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News 05/A/2017
Lunedì, 30 Gennaio 2017
Osservatorio nazionale sui rifiuti, non dovuti contributi post soppressione.
I contributi chiesti dal Ministero dell’ambiente ai Consorzi per il funzionamento
dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti dopo la sua cessata operatività sono illegittimi.
Il Tar Lazio (sentenza 20 gennaio 2017, n.1080) ha annullato i decreti ministeriali n.79,
80 e 81 del 5 marzo 2013 coi quali il MinAmbiente definiva ai sensi dell’articolo 206-
bis del Dlgs. 152/2006 il cotributo dovuto dai Consorzi del riciclo per gli anni 2010,
2011 e 2012 per il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti. I Giudici hanno
ricordato come l’Osservatorio abbia cessato l’operatività per effetto del combinato
disposto dell’articolo 29 del Dl 223/2006 e dell’articolo 68 del Dl 112/2008 per cui,
dato il tenore della norma, non sono più dovuti gli oneri per il suo finanziamento,
anche se le relative funzioni della norma, non sono più dovuti gli oneri per il suo
funzionamento, anche se le relative funzioni erano passate alla Direzione generale
competente del Ministero.
E’ stato solo con la legge “Green Economy” n.221/2015, vigente dal 2 febbraio 2016
che attraverso la modifica dell’articolo 206-bis, Dlgs. 152/2006 si sono posti
effettivamente a carico dei Consorzi gli oneri per l’esercizio delle funzioni di vigilanza
effettuate dalla Direzione generale del Ministero, cosa ben diversa da quanto
prevedeva la norma originaria sul contributo per il funzionamento dell’Osservatorio
sui rifiuti. Il nuovo onere dovuto dal 2 febbraio 2016 non ha valenza retroattiva,
pertanto i contributi chiesti ai Consorzi dopo la cessata operatività dell’Osservatorio
sui rifiuti sono illegittimi. (Articolo di Francesco Petrucci)
Fonte: reteambiente.it
Trasporto illecito di rifiuti, confisca mezzo prescinde da sequestro.
La disponibilità materiale del veicolo oggetto della confisca, secondo la
Cassazione, non costituisce una condizione per l’adottabilità del provvedimento
ablatorio, ai sensi sia del Codice penale, sia del Dlgs. 152/2006.
La Corte di Cassazione (sentenza 55286/2016) ha così respinto il ricorso contro la
confisca di un veicolo Ape 50 utilizzato per un trasporto illecito di rifiuti, disposta – ex
articolo 259, comma 2, Dlgs. 152/2006 – dl Tribunale di Brindisi a seguito della
condanna del conducente per gestione non autorizzata di rifiuti (articolo 256,
comma 1).
La Corte “condivide e ribadisce” quindi l’orientamento secondo il quale la
disponibilità materiale del bene attiene esclusivamente alla fase di esecuzione della
confisca, per la quale occorrerà la ricerca e la materiale apprensione del bene, ma
certo “non impedisce di disporla, né la condiziona”.
Nel caso specifico, il veicolo era stato restituito al proprietario soggetto “terzo”, ma
ha ben operato il Tribunale nell’escludere che lo stesso fosse “estraneo” al reato,
trattandosi della moglie del soggetto condannato oltretutto presente a bordo del
veicolo al momento della consumazione del reato. (Articolo di Alessandro Geremei)
Fonte: reteambiente.it
Ambiente in genere. VIA e principio tempus regit actum.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 5339 del 16 dicembre 2016
La corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica
amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute
durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato
in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la
legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad
istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo
in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione
della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento
amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in
dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa
valutazione degli interessi pubblici.
Fonte: lexambiente.it
Bonifica amianto edifici P.a., accesso finanziamenti entro marzo 2017.
Danno ambientale e bonifiche
Le richieste di finanziamento per la progettazione degli interventi di bonifica di
edifici pubblici contaminati da amianto potranno essere presentate dal 30 gennaio
2017 al 30 marzo 2017.
A renderlo noto è il MinAmbiente che ha pubblicato sulla Gu del 24 gennaio 2017
un avviso pubblico relativo al bando per il finanziamento della progettazione di
interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto (provvedimento 10
gennaio 2017, prot. 1).
Il bando arriva in applicazione del Dm 21 settembre 2016 che disciplina il
funzionamento dell’apposito Fondo istituito dall’articolo 56 della legge 221/2015
(“Green Economy”) e dotato di un budget di circa 17 milioni di euro per il triennio
2015/2017.
L’incentivo può arrivare fino ad un massimo di 15mila euro ed è destinato
esclusivamente agli edifici e alle strutture di proprietà degli Enti pubblici destinati ad
attività di interesse pubblico. Priorità massima sarà data agli edifici collocati entro un
raggio di 100 metri da scuole, ospedali e impianti sportivi. (Articolo di Alessandro
Geremei)
Fonte: reteambiente.it
Rifiuti. Programma regionale di gestione dei rifiuti ed individuazione dl “fattore di
pressione”.
Consiglio di Stato Sez. IV n.5340 del 16 dicembre 2016
La prescrizione generale di cui all'art. 195 comma 1 lett.P del decreto Legislativo
3.4.2006, n.152 non ha trovato attuazione: in particolare non è stato adottato dallo
Stato alcun atto generale che preveda “l'indicazione dei criteri generali relativi alle
caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
smaltimento dei rifiuti”; riscontrata una tale condizione di vuoto normativo, la
Regione che ha emanato una disposizione in punto di “fattore di pressione” non
introduce una “soglia inferiore di tutela” ma, semmai, persegue “livelli di tutela più
elevati”; la prescrizione si lega ad una materia a competenza concorrente (quella
della tutela della salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione e la
significativa affermazione secondo cui l’eventuale esigenza di contemperare la
liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del
lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa in senso sistematico,
complessivo e non frazionato, è stata a più riprese ribadita dal Giudice delle leggi.
Fonte: lexambiente.it
Da oggi le grandi imprese sono obbligate a comunicare performance sociali e
ambientali.
Entra in vigore la nuova rendicontazione non finanziaria, sanzioni pecuniarie per chi
non si adegua.
Entra oggi in vigore il decreto legislativo del 30 dicembre 2016, n. 254 sulla
«comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla
diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni», che
prevede «l’obbligo di presentare – come illustra Alessandra Bailo Modesti sulle
pagine della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – una dichiarazione individuale
di carattere non finanziario per le imprese di interesse pubblico che abbiano avuto,
in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 e,
alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti
limiti dimensionali: a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro; b) totale dei
ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro».
La relazione deve fornire tutte le informazioni necessarie «a comprendere il modello
aziendale di gestione e organizzazione delle attività dell’impresa anche con
riferimento alla gestione dei temi sopra citati; le politiche praticate dall’impresa,
comprese quelle di due diligence, i risultati conseguiti grazie ad esse ed i relativi Key
performance indicator di carattere non finanziario; i principali rischi, generati o subiti,
connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti,
servizi o rapporti commerciali, incluse, le catene di fornitura e subappalto laddove
vengano considerate rilevanti ai fini della dichiarazione. L’attenzione alle catene di
fornitura è un elemento interessante del decreto in quanto essa allarga, seppur
indirettamente, l’assessment all’intero indotto e, attraverso le azioni dell’impresa di
grandi dimensioni, può avere l’effetto di sollecitare le imprese fornitrici, che spesso
sono PMI, ad adottare standard ambientali e sociali più elevati».
A prescindere dagli standard adottati, deve contenere «almeno»
informazioni sull’impiego da parte dell’impresa di risorse energetiche – rinnovabili e
non – e risorse idriche; sulle emissioni di gas serra e inquinanti; l’impatto dell’attività
d’impresa su ambiente, salute e sicurezza; gli aspetti sociali della gestione, in primo
luogo quelli inerenti il personale; rispetto dei diritti umani e lotta alla corruzione.
Nonostante gli ampi margini di miglioramento, con il decreto viene finalmente
«chiesto alle imprese di rendicontare, e quindi – cosa più importante – di mettere in
campo, concretamente, iniziative di green economy. Esso avrà raggiunto, infatti,
dei risultati, solo se non verrà interpretato come un ulteriore “laccio” da parte delle
imprese ma diventi uno stimolo a fare di più per migliorare le proprie performance
ambientali e per rafforzare il ruolo dell’impresa nella società».
E per quanti non si adegueranno? Il decreto «non prevede meccanismi obbligatori
di certificazione da parte terza delle dichiarazioni rese dalle imprese ma prevede la
verifica da parte di chi si occupa della revisione legale del bilancio dell’avvenuta
predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non
finanziario. Lo stesso soggetto, o altro soggetto abilitato allo svolgimento della
revisione legale deve predisporre una relazione distinta con attestazione di
conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal decreto
legislativo. In caso di dichiarazioni non conformi o che riportino informazioni non
veritiere sono istituite dal decreto anche sanzioni pecuniarie».
Fonte: greenreport.it
Il proprietario che acquista sapendo dell’esistenza di rifiuti deve gestirli.
Il soggetto che acquista una proprietà sapendo dell’esistenza dei rifiuti ha la
responsabilità della corretta gestione degli stessi. Lo ricorda il Tribunale
amministrativo della Lombardia (Tar) che – con sentenza di questo mese, la numero
48 – in relazione alla questione che vede coinvolta il Comune di Castelli Calepio e il
proprietario di un’area industriale dismessa.
Il Comune ha diffidato il proprietario a portare a termine le operazioni di
risanamento; poiché dopo la cessazione dell’attività produttiva erano emersi dubbi
circa l’inquinamento dell’area, la proprietà ha predisposto un piano di
caratterizzazione. Una successiva serie di campionamenti, ha poi invece evidenziato
il superamento dei limiti per alcuni inquinanti (piombo, zinco, idrocarburi pesanti) in
corrispondenza del fondo delle vasche di decantazione fanghi e di raffreddamento
cubilotti.
Sulla base di questi risultati, è stato elaborato un progetto definitivo di bonifica. La
vicenda della bonifica, però si è intrecciano con il progetto di realizzazione di un
centro commerciale e con l’ingresso come proprietaria di altra società. Il Comune
ha infatti approvato, un piano attuativo che individuava proprio sull’area industriale
dismessa, in variante al PRG, il perimetro di un centro commerciale multifunzionale.
Inoltre fra la nuova proprietaria e il Comune è stato stipulato un atto unilaterale
d’obbligo irrevocabile. Nelle premesse sono richiamati una serie di atti fra cui il
protocollo d’intesa firmato dalla precedente proprietaria con cui assumeva una
serie di impegni, sia di natura socio-economica sia di natura ambientale. Tra questi
ultimi figura, in particolare la riqualificazione dell’area e la rimozione dei rifiuti
presenti. Le parti hanno però specificato che gli impegni sarebbero decaduti in
caso di annullamento di una serie di atti relativi al centro commerciale fra cui
l’autorizzazione commerciale.
Nel frattempo e dopo una serie di vicende, il Consiglio di Stato, in accoglimento
dell’appello presentato dal Comune di Palazzolo sull’Oglio (contrario al progetto del
centro commerciale per i potenziali effetti negativi sul proprio territorio), ha annullato
l’autorizzazione commerciale a causa della mancata effettuazione della verifica
preliminare di assoggettamento alla Via.
Per questo il proprietario del fondo ex industriale ha sostenuto di non essere più
tenuto a completare le operazioni di risanamento ambientale o comunque non con
le scadenze originarie.
Ma nessun effetto liberatorio o anche solo dilatorio dall’atto unilaterale può derivare
dall’abbandono del progetto del centro commerciale proprio perché sussiste
interesse pubblico al risanamento ambientale del comparto industriale degradato.
In tale ottica non costituisce causa di liberazione dall’obbligo la circostanza che si
rendano necessari ulteriori interventi di risanamento ambientale e neppure la
circostanza che i costi degli interventi si rivelino maggiori di quanto preventivato. Lo
scambio tra diritti edificatori e risanamento ambientale, infatti, riguarda l’intero
comparto industriale degradato, in quanto non sarebbe ammissibile l’edificazione di
un centro commerciale su un’area solo parzialmente bonificata.
Non è ravvisabile un rapporto di stretta dipendenza tra gli atti autorizzativi del centro
commerciale e le singole operazioni di bonifica o di escavazione e smaltimento dei
rifiuti. Quindi l’impossibilità di realizzare il centro commerciale non può liberare il
proprietario dall’obbligo di proseguire e completare l’escavazione e lo smaltimento
dei rifiuti. Il Comune, attraverso la conferenza di servizi, conserva il potere di stabilire
in dettaglio la natura e la quantità di rifiuti da rimuovere, e le modalità di
smaltimento in capo a colui che ha acquistato le proprietà di un terreno che
sapeva inquinato e occupato da rifiuti.
Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui
gli stessi sono collocati, non può essere obbligato alla rimozione dei rifiuti. Questo
perché l’ordine di smaltimento presuppone l’accertamento della responsabilità a
titolo quantomeno di colpa in capo all’autore dell’abbandono dei rifiuti, anche del
proprietario, Ma se il soggetto acquista la proprietà sapendo dell’esistenza dei rifiuti
non è esonerato dall’obbligo, in quanto la consapevolezza della situazione
comporta che al passaggio della titolarità del bene sul piano privatistico si associ, sul
piano pubblicistico, l’assunzione di una posizione di responsabilità circa la corretta
gestione dei rifiuti. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte: greenreport.it

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  • 1. News 05/A/2017 Lunedì, 30 Gennaio 2017 Osservatorio nazionale sui rifiuti, non dovuti contributi post soppressione. I contributi chiesti dal Ministero dell’ambiente ai Consorzi per il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti dopo la sua cessata operatività sono illegittimi. Il Tar Lazio (sentenza 20 gennaio 2017, n.1080) ha annullato i decreti ministeriali n.79, 80 e 81 del 5 marzo 2013 coi quali il MinAmbiente definiva ai sensi dell’articolo 206- bis del Dlgs. 152/2006 il cotributo dovuto dai Consorzi del riciclo per gli anni 2010, 2011 e 2012 per il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti. I Giudici hanno ricordato come l’Osservatorio abbia cessato l’operatività per effetto del combinato disposto dell’articolo 29 del Dl 223/2006 e dell’articolo 68 del Dl 112/2008 per cui, dato il tenore della norma, non sono più dovuti gli oneri per il suo finanziamento, anche se le relative funzioni della norma, non sono più dovuti gli oneri per il suo funzionamento, anche se le relative funzioni erano passate alla Direzione generale competente del Ministero. E’ stato solo con la legge “Green Economy” n.221/2015, vigente dal 2 febbraio 2016 che attraverso la modifica dell’articolo 206-bis, Dlgs. 152/2006 si sono posti effettivamente a carico dei Consorzi gli oneri per l’esercizio delle funzioni di vigilanza effettuate dalla Direzione generale del Ministero, cosa ben diversa da quanto prevedeva la norma originaria sul contributo per il funzionamento dell’Osservatorio sui rifiuti. Il nuovo onere dovuto dal 2 febbraio 2016 non ha valenza retroattiva, pertanto i contributi chiesti ai Consorzi dopo la cessata operatività dell’Osservatorio sui rifiuti sono illegittimi. (Articolo di Francesco Petrucci) Fonte: reteambiente.it Trasporto illecito di rifiuti, confisca mezzo prescinde da sequestro. La disponibilità materiale del veicolo oggetto della confisca, secondo la Cassazione, non costituisce una condizione per l’adottabilità del provvedimento
  • 2. ablatorio, ai sensi sia del Codice penale, sia del Dlgs. 152/2006. La Corte di Cassazione (sentenza 55286/2016) ha così respinto il ricorso contro la confisca di un veicolo Ape 50 utilizzato per un trasporto illecito di rifiuti, disposta – ex articolo 259, comma 2, Dlgs. 152/2006 – dl Tribunale di Brindisi a seguito della condanna del conducente per gestione non autorizzata di rifiuti (articolo 256, comma 1). La Corte “condivide e ribadisce” quindi l’orientamento secondo il quale la disponibilità materiale del bene attiene esclusivamente alla fase di esecuzione della confisca, per la quale occorrerà la ricerca e la materiale apprensione del bene, ma certo “non impedisce di disporla, né la condiziona”. Nel caso specifico, il veicolo era stato restituito al proprietario soggetto “terzo”, ma ha ben operato il Tribunale nell’escludere che lo stesso fosse “estraneo” al reato, trattandosi della moglie del soggetto condannato oltretutto presente a bordo del veicolo al momento della consumazione del reato. (Articolo di Alessandro Geremei) Fonte: reteambiente.it Ambiente in genere. VIA e principio tempus regit actum. Consiglio di Stato Sez. IV n. 5339 del 16 dicembre 2016 La corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici. Fonte: lexambiente.it
  • 3. Bonifica amianto edifici P.a., accesso finanziamenti entro marzo 2017. Danno ambientale e bonifiche Le richieste di finanziamento per la progettazione degli interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto potranno essere presentate dal 30 gennaio 2017 al 30 marzo 2017. A renderlo noto è il MinAmbiente che ha pubblicato sulla Gu del 24 gennaio 2017 un avviso pubblico relativo al bando per il finanziamento della progettazione di interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto (provvedimento 10 gennaio 2017, prot. 1). Il bando arriva in applicazione del Dm 21 settembre 2016 che disciplina il funzionamento dell’apposito Fondo istituito dall’articolo 56 della legge 221/2015 (“Green Economy”) e dotato di un budget di circa 17 milioni di euro per il triennio 2015/2017. L’incentivo può arrivare fino ad un massimo di 15mila euro ed è destinato esclusivamente agli edifici e alle strutture di proprietà degli Enti pubblici destinati ad attività di interesse pubblico. Priorità massima sarà data agli edifici collocati entro un raggio di 100 metri da scuole, ospedali e impianti sportivi. (Articolo di Alessandro Geremei) Fonte: reteambiente.it Rifiuti. Programma regionale di gestione dei rifiuti ed individuazione dl “fattore di pressione”. Consiglio di Stato Sez. IV n.5340 del 16 dicembre 2016 La prescrizione generale di cui all'art. 195 comma 1 lett.P del decreto Legislativo 3.4.2006, n.152 non ha trovato attuazione: in particolare non è stato adottato dallo Stato alcun atto generale che preveda “l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti”; riscontrata una tale condizione di vuoto normativo, la Regione che ha emanato una disposizione in punto di “fattore di pressione” non introduce una “soglia inferiore di tutela” ma, semmai, persegue “livelli di tutela più
  • 4. elevati”; la prescrizione si lega ad una materia a competenza concorrente (quella della tutela della salute ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione e la significativa affermazione secondo cui l’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa in senso sistematico, complessivo e non frazionato, è stata a più riprese ribadita dal Giudice delle leggi. Fonte: lexambiente.it Da oggi le grandi imprese sono obbligate a comunicare performance sociali e ambientali. Entra in vigore la nuova rendicontazione non finanziaria, sanzioni pecuniarie per chi non si adegua. Entra oggi in vigore il decreto legislativo del 30 dicembre 2016, n. 254 sulla «comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni», che prevede «l’obbligo di presentare – come illustra Alessandra Bailo Modesti sulle pagine della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – una dichiarazione individuale di carattere non finanziario per le imprese di interesse pubblico che abbiano avuto, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 e, alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali: a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro; b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro». La relazione deve fornire tutte le informazioni necessarie «a comprendere il modello aziendale di gestione e organizzazione delle attività dell’impresa anche con riferimento alla gestione dei temi sopra citati; le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di due diligence, i risultati conseguiti grazie ad esse ed i relativi Key performance indicator di carattere non finanziario; i principali rischi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, le catene di fornitura e subappalto laddove vengano considerate rilevanti ai fini della dichiarazione. L’attenzione alle catene di fornitura è un elemento interessante del decreto in quanto essa allarga, seppur indirettamente, l’assessment all’intero indotto e, attraverso le azioni dell’impresa di grandi dimensioni, può avere l’effetto di sollecitare le imprese fornitrici, che spesso sono PMI, ad adottare standard ambientali e sociali più elevati».
  • 5. A prescindere dagli standard adottati, deve contenere «almeno» informazioni sull’impiego da parte dell’impresa di risorse energetiche – rinnovabili e non – e risorse idriche; sulle emissioni di gas serra e inquinanti; l’impatto dell’attività d’impresa su ambiente, salute e sicurezza; gli aspetti sociali della gestione, in primo luogo quelli inerenti il personale; rispetto dei diritti umani e lotta alla corruzione. Nonostante gli ampi margini di miglioramento, con il decreto viene finalmente «chiesto alle imprese di rendicontare, e quindi – cosa più importante – di mettere in campo, concretamente, iniziative di green economy. Esso avrà raggiunto, infatti, dei risultati, solo se non verrà interpretato come un ulteriore “laccio” da parte delle imprese ma diventi uno stimolo a fare di più per migliorare le proprie performance ambientali e per rafforzare il ruolo dell’impresa nella società». E per quanti non si adegueranno? Il decreto «non prevede meccanismi obbligatori di certificazione da parte terza delle dichiarazioni rese dalle imprese ma prevede la verifica da parte di chi si occupa della revisione legale del bilancio dell’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario. Lo stesso soggetto, o altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione legale deve predisporre una relazione distinta con attestazione di conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal decreto legislativo. In caso di dichiarazioni non conformi o che riportino informazioni non veritiere sono istituite dal decreto anche sanzioni pecuniarie». Fonte: greenreport.it Il proprietario che acquista sapendo dell’esistenza di rifiuti deve gestirli. Il soggetto che acquista una proprietà sapendo dell’esistenza dei rifiuti ha la responsabilità della corretta gestione degli stessi. Lo ricorda il Tribunale amministrativo della Lombardia (Tar) che – con sentenza di questo mese, la numero 48 – in relazione alla questione che vede coinvolta il Comune di Castelli Calepio e il proprietario di un’area industriale dismessa. Il Comune ha diffidato il proprietario a portare a termine le operazioni di risanamento; poiché dopo la cessazione dell’attività produttiva erano emersi dubbi circa l’inquinamento dell’area, la proprietà ha predisposto un piano di caratterizzazione. Una successiva serie di campionamenti, ha poi invece evidenziato il superamento dei limiti per alcuni inquinanti (piombo, zinco, idrocarburi pesanti) in corrispondenza del fondo delle vasche di decantazione fanghi e di raffreddamento cubilotti.
  • 6. Sulla base di questi risultati, è stato elaborato un progetto definitivo di bonifica. La vicenda della bonifica, però si è intrecciano con il progetto di realizzazione di un centro commerciale e con l’ingresso come proprietaria di altra società. Il Comune ha infatti approvato, un piano attuativo che individuava proprio sull’area industriale dismessa, in variante al PRG, il perimetro di un centro commerciale multifunzionale. Inoltre fra la nuova proprietaria e il Comune è stato stipulato un atto unilaterale d’obbligo irrevocabile. Nelle premesse sono richiamati una serie di atti fra cui il protocollo d’intesa firmato dalla precedente proprietaria con cui assumeva una serie di impegni, sia di natura socio-economica sia di natura ambientale. Tra questi ultimi figura, in particolare la riqualificazione dell’area e la rimozione dei rifiuti presenti. Le parti hanno però specificato che gli impegni sarebbero decaduti in caso di annullamento di una serie di atti relativi al centro commerciale fra cui l’autorizzazione commerciale. Nel frattempo e dopo una serie di vicende, il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello presentato dal Comune di Palazzolo sull’Oglio (contrario al progetto del centro commerciale per i potenziali effetti negativi sul proprio territorio), ha annullato l’autorizzazione commerciale a causa della mancata effettuazione della verifica preliminare di assoggettamento alla Via. Per questo il proprietario del fondo ex industriale ha sostenuto di non essere più tenuto a completare le operazioni di risanamento ambientale o comunque non con le scadenze originarie. Ma nessun effetto liberatorio o anche solo dilatorio dall’atto unilaterale può derivare dall’abbandono del progetto del centro commerciale proprio perché sussiste interesse pubblico al risanamento ambientale del comparto industriale degradato. In tale ottica non costituisce causa di liberazione dall’obbligo la circostanza che si rendano necessari ulteriori interventi di risanamento ambientale e neppure la circostanza che i costi degli interventi si rivelino maggiori di quanto preventivato. Lo scambio tra diritti edificatori e risanamento ambientale, infatti, riguarda l’intero comparto industriale degradato, in quanto non sarebbe ammissibile l’edificazione di un centro commerciale su un’area solo parzialmente bonificata. Non è ravvisabile un rapporto di stretta dipendenza tra gli atti autorizzativi del centro commerciale e le singole operazioni di bonifica o di escavazione e smaltimento dei rifiuti. Quindi l’impossibilità di realizzare il centro commerciale non può liberare il proprietario dall’obbligo di proseguire e completare l’escavazione e lo smaltimento dei rifiuti. Il Comune, attraverso la conferenza di servizi, conserva il potere di stabilire in dettaglio la natura e la quantità di rifiuti da rimuovere, e le modalità di smaltimento in capo a colui che ha acquistato le proprietà di un terreno che
  • 7. sapeva inquinato e occupato da rifiuti. Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, non può essere obbligato alla rimozione dei rifiuti. Questo perché l’ordine di smaltimento presuppone l’accertamento della responsabilità a titolo quantomeno di colpa in capo all’autore dell’abbandono dei rifiuti, anche del proprietario, Ma se il soggetto acquista la proprietà sapendo dell’esistenza dei rifiuti non è esonerato dall’obbligo, in quanto la consapevolezza della situazione comporta che al passaggio della titolarità del bene sul piano privatistico si associ, sul piano pubblicistico, l’assunzione di una posizione di responsabilità circa la corretta gestione dei rifiuti. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte: greenreport.it