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Umanesimo latino e volgare
La lingua volgare e la concorrenza
con il latino nel Quattrocento
L'espansione del fiorentino trecentesco come lingua letteraria subisce un processo di rallentamento
in età umanistica. Già dalla metà del Trecento, con Petrarca e Boccaccio, si avviano anche in Italia la
riscoperta e l'ammirazione per i classici greci e latini, il culto soprattutto della latinità̀, indagata con
rigore filologico e grammaticale applicato ai testi e alla lingua.
Nei primi decenni del Quattrocento gli umanisti, identificandosi nella tradizione culturale classica,
considerano il latino, da loro recuperato a una nuova regolarità e dignità, come sola lingua
elevata, adatta a scopi d'arte; e manifestano un atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti
del volgare, ritenuto lingua inferiore, corrotta, da impiegarsi solo per usi pratici e per scrivere quod
nolumus transferre adposteros (‘ciò che non vogliamo tramandare ai posteri’), come osservava
Francesco Filelfo (1447).
L’Umanesimo
Rispetto alla tradizione classica che era continuata
anche in epoca medievale, la cultura umanistica si
differenzia perché riacquisisce i motivi del mondo
classico non solo a livello di contenuti o stimoli (come
aveva fatto il Medioevo), ma soprattutto a livello di
modelli formali: l’umanesimo reintegra i motivi antichi
nella forma antica, esclusivamente latina.
Nel corso del Quattrocento mutano anche i
procedimenti con cui si insegna a comporre in prosa e
vengono rivoluzionati la concezione e l’insegnamento
della retorica (considerata non più disciplina filosofica,
ma linguistico-letteraria) grazie alla scoperta di testi
fondamentali come il De oratore di Cicerone e l’Institutio
oratoria di Quintiliano.
L’Umanesimo
Gli umanisti condannavano il versatile latino medievale, che viveva nei testi in simbiosi
col volgare, e volevano restaurare il latino ciceroniano e grammaticale. In tal modo, però,
rendevano, di fatto, più forte il bilinguismo latino-volgare: il latino era sempre meno
utilizzabile per gli usi pratici per i quali si esigeva l’impiego del volgare.
Tale bilinguismo favorì scambi in entrambe le direzioni: mentre il latino degli umanisti
impiega alcuni moduli volgari che non hanno precedenti nell’antichità, il volgare si
arricchisce di nuovi costrutti sintattici (per es. l’accusativo con infinito come sento
qualcuno cantare) e di forme lessicali del latino classico (per es. il termine tradurre
sostituisce il trecentesco tralatrare, o la reintroduzione dei termini repubblica e
accademia).
Il volgare, emarginato dalla letteratura e ancora mancante di una norma di riferimento, si
espandeva in usi scritti epistolari, amministrativi e burocratici, libri di famiglia, cronache,
e accoglieva, fra Tre e Quattrocento, a Firenze e in Toscana, fenomeni innovativi, usi
parlati popolari ed extraurbani.
L’Umanesimo
L’Umanesimo e il prestigio letterario della lingua latina non servirono, dunque, da freno
allo sviluppo del volgare, ma semmai, ne accelerarono i processi evolutivi. Già fra Tre e
Quattrocento il fiorentino, impiegato in scritture pratiche, comincia ad accogliere
fenomeni innovativi dovuti a imponenti fattori socioeconomici (spopolamento delle
campagne, immigrazione da altri centri toscani ecc.).
Si diffondono così forme estranee al fiorentino trecentesco (detto “aureo”) delle “tre
corone”, come gli articoli el, e per il, i, l'imperfetto in -o (io amavo), forme come
cantono, cantorno ’cantano, cantarono', arei, aresti 'avrei, avresti’
Queste forme, testimoniate negli epistolari familiari, nelle cronache, nei libri di ricordi,
come quello del mercante Giovanni Pagolo Morelli (1402), sono presenti anche in
scrittori cinquecenteschi aperti all’uso vivo del fiorentino contemporaneo, come
Benvenuto Cellini e Niccolò Machiavelli.
Fiorentino argenteo
Il peso culturale preponderante del latino, e la presenza di influssi
latini nelle scritture volgari, crea delle situazioni di ibridismo
latino-volgare negli usi quattrocenteschi, fino a vere e proprie
situazioni di mistilinguismo: latino e volgare si alternano, per
esempio, nelle prediche mescidate del francescano Bernardino da
Feltre o del domenicano Valeriano da Soncino.
Quest’ultimo, nel suo Quaresimale, scrive:
Sicfaciunt isti prophete, questi gabadei, questi hypocritoni, sangioni dal
collo torto, quando habent plenum corpus de galini, caponi, fasani, pernise,
qualie e de boni lonzi de vitello e qualche fidegeti per aguzar lo apetito.
Linguaggi ibridi: le prediche mescidate
‘Così fanno questi profeti, questi imbroglioni, questi grandi ipocriti, santoni dal collo torto, quando
hanno il corpo pieno di galline, capponi, fagiani, pernici, quaglie e buoni pezzi di vitello, e qualche
fegatino per aguzzare l'appetito’.
La mescolanza latino-volgare è anche la base di alcune di sperimentazioni letterarie, di
linguaggi ibridi, costruiti artificialmente.
Il macaronico, per esempio, prende il nome dalle Macaronee (poesie comiche del
padovano Tifi Odasi, l'iniziatore del genere, poi portato ad alti livelli letterari da Teofilo
Folengo), ha fini comici o parodistici e gioca sul contrasto alto/basso: metrica e tessuto
linguistico sono latini, ma in essi vengono inseriti elementi lessicali volgari, parole e
sintagmi bassi e plebei a cui vengono date desinenze latine: cercabat 'cercava', bulire
'bollire', magnat 'mangia' ecc.
Un esempio dalla Macaronea dell'astigiano Giovan Giorgio Alione (1500):
Inter fombardos est semper vita beata; / lasagnas etiam dant pro imbialia quinque / plenam
scutellam, casei ponendo sexinum; / porros, quos virida pisses de cauda vocamus, / cum sale in
manu faciunt scrossire da Petrus.
‘Tra i lombardi è sempre vita beata: anche di lasagne ne danno per cinque imperiali una scodella
piena, mettendoci mezzo soldo di cacio; i porri, che per la coda verde chiamiamo pesci, col sale in
mano li fanno scrocchiare da papa’.
Linguaggi ibridi: il macaronico
Il linguaggio polifilesco è così chiamato dal titolo del romanzo anonimo stampato nel
1499 da Aldo Manuzio: l’Hypnerotomachia Poliphili ('la guerra d'amore in sogno di
Polifilo, cioè l'amante di Polia’). Il polifilesco non ha funzione parodistica, ma porta
piuttosto alle estreme conseguenze alcune tendenze della prosa umanistica.
L’esperimento, a cui si rifanno nel Cinquecento il linguaggio “pedantesco” (dal
personaggio del pedante nella commedia) e “fidenziano” (dai Cantici di Fidenzio di
Camillo Scroffa), si fonda sul volgare, già di livello elevato, che viene nobilitato con una
latinizzazione estrema, al limite dello snaturamento, infarcendolo di preziosità lessicali
prelevate soprattutto da autori latini tardi, come Apuleio, Gellio.
Un esempio dall’Hypnerotomachia:
Et, recluse le metalline valve, rimansi claustrato immediate tra quelle egregie nymphe, le quale
meco lepidissime et lascivule incominciarono d'antorno a scherciare.
‘E, chiuse le porte di metallo, rimasi chiuso subito tra quelle nobili ninfe, le quali con me
cominciarono a scherzare intorno molto piacevolmente e alquanto giocosamente’.
Linguaggi ibridi: il polifilesco
Fuori Toscana, le scritture volgari quattrocentesche mostrano una grande variabilità, ma
anche alcuni caratteri comuni:
• la progressiva perdita di elementi troppo caratterizzati in senso locale
• la veste più latineggiante (anche se in misura diversa da un luogo all’altro)
• la presenza di una patina toscaneggiante
La specificità geografica delle scriptae medievali tende quindi a trasformarsi in forme di
koinè regionali o superregionali, nelle quali il peso del toscano varia a seconda dei
generi e degli scriventi.
Un esempio notevole di uso letterario della koinè̀ settentrionale tardo-quattrocentesca
è offerto dall’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1482-84, ma pervenuto in
stampe più̀ tarde), che opera in una delle più grandi e prestigiose corti padane, la
Ferrara degli Este.
Koinè regionali
È di grande rilievo, infatti, che il volgare venga usato sempre più frequentemente, sia
pure in alternanza col latino, nelle cancellerie delle corti, centri importanti non solo
culturalmente, ma per gli sviluppi storico-linguistici: a Firenze dal 1311, a Mantova dal
1401, a Urbino dal 1378, a Milano dal 1438, a Ferrara dal 1427.
Koinè cancelleresche
Si elaborano così delle koinè
cancelleresche, elaborate da
funzionari colti, di formazione
latina ma aperti alla cultura
volgare apprezzata nelle corti
quattrocentesche. Queste koinè
diventano anche strumento di
scambi epistolari tra le diverse
cancellerie sulla base della
comune vicinanza al latino e, in
misura sempre più crescente, al
toscano.
Per esempio la lingua milanese della cancelleria visconteo-sforzesca mostra,
negli ultimi anni del Quattrocento, un processo ormai avanzato di
toscanizzazione: il fiorentino letterario dei grandi autori trecenteschi, ammirati
e imitati alla corte di Ludovico il Moro, si accompagna alla presenza di forme
del fiorentino vivo coevo.
Ecco un passo di una lettera di raccomandazione (per tale Apolinare Palmengo da Lodi)
che Gasparo Visconti, uno dei più rappresentativi poeti della Milano sforzesca, scrive al
marchese di Mantova Francesco Gonzaga:
Illustrissime et excellemissime domine, domine mi singularissime. Altre volte parlai a la
Signoria Vostra copiosamente de le virtù de meser magistro Apolinare Palmengo
laudense [‘di Lodi’], et homo, al iuditio de molti più intelligenti di me a questa età, de
innumerabili scientie habondamissimamente dotato, et s'io non temesse offendere li
altri, direi unica fenice al mondo.
Koinè cancelleresche
Quando, negli ultimi decenni del XV secolo, il volgare verrà “riabilitato” e
impiegato letterariamente, saranno gli stessi umanisti, educati al rigore
filologico e grammaticale degli studi classici, e insoddisfatti della lingua coeva, a
esigere una regolarizzazione dei testi volgari, recuperando la lingua letteraria
dei grandi modelli fiorentini trecenteschi, diffusi e ammirati nelle corti
quattrocentesche.
La fondazione di una norma stabile e comune per il volgare, a cui l'industria
tipografica darà, dalla fine del Quattrocento, un impulso decisivo, non creerà,
dunque, in Italia, fratture linguistiche tra l’età medievale e l’età umanistico-
rinascimentale, come avverrà, ad esempio, in Francia e in Spagna, ma sancirà
continuità con la lingua letteraria antica.
Umanesimo Volgare
Il processo di rivalutazione letteraria del volgare, che ha preso
il nome di “Umanesimo volgare”, inizia con Leon Battista
Alberti.
Alberti rivela lo sforzo consapevole di “ampliare” il volgare con
le sue opere (sia con la prosa del dialogo Della famiglia, sia col
volgarizzamento De pictura, prima steso in latino); e mostra
anche un impegno teorico non indifferente, nel Proemio al III
libro Della famiglia (1437).
Leon Battista Alberti
Alberti riprende la tesi dell'umanista forlivese Biondo Flavio sul volgare contro a quella
del rivale Leonardo Bruni (quest’ultimo credeva che anche nell’età antica il latino fosse
la lingua della letteratura e della retorica, esclusiva dei dotti e della scrittura e il volgare
la lingua naturale parlata da tutti): il volgare «nato dalla barbarie, deve riscattarsi
facendosi “ornato” e “copioso” come il latino» e apre la via alla considerazione del
volgare come lingua che può essere regolata, grammaticalizzata e nobilitata («elimata
e polita») se usata da autori dotti, come già il latino parlato nell’antichità.
A Leon Battista Alberti si deve anche la prima Grammatica della lingua toscana, opera
composta attorno al 1440, ma rimasta inedita fino al secolo scorso (ci è giunta in
un’unica copia manoscritta della Biblioteca Vaticana) e considerata la prima grammatica
di una lingua moderna (la grammatica della lingua castigliana del Nebrija verrà
pubblicata solo cinquent’anni doppo, mentre la prima grammatica del volgare a stampa,
le Regole del Fortunio, uscirà nel 1516).
Il proposito dalla Grammatica dell’Alberti era di mostrare le possibilità del volgare,
raccogliendo «l'uso della lingua nostra», infatti si basava sul fiorentino colto dei suoi
tempi e non su modelli letterari trecenteschi.
A conferma del suo impegno per nobilitare il volgare, l’umanista organizzò anche una
gara di poesia volgare sul tema dell'amicizia, intitolata latinamente Certame coronario
(1441).
Leon Battista Alberti
Lorenzo de’ Medici fu un grande umanista e mecenate e,
insieme al circolo letterario che nella seconda metà del XV
sec. seppe radunare attorno a sé nella sua Firenze, fu uno
dei principali artefici del riscatto del volgare letterario.
l poeti laurenziani (da Agnolo Poliziano a Luigi Pulci, a
Lorenzo stesso), nella varietà dei generi sperimentati,
usano una lingua fiorentina composita, aperta al
fiorentino contemporaneo, ma anche alla tradizione lirica
antica e al latineggiamento di stampo umanistico, e
manifestano vivaci curiosità lessicali.
Lorenzo il Magnifico
Luigi Pulci, per esempio, l'autore del poema eroicomico Morgante, scrisse anche il
Vocabulista, una raccolta di vocaboli per uso personale, mentre il fiorentino
Benedetto Dei, che scrisse una celebre Cronica della sua città, compilò anche un
elenco di voci del dialetto milanese.
Lorenzo e i suoi poeti rivalutarono la tradizione linguistica e letteraria toscofiorentina
rendendola strumento della politica e della propaganda della Firenze dei Medici.
Troviamo vere e proprie esaltazioni del fiorentino, fondate sulla grandezza della sua
tradizione letteraria nel Comento di Lorenzo sopra alcuni suoi sonetti:
Dante, il Petrarca e il Boccaccio, nostri poeti fiorentini, hanno, nelli gravi e dolcissimi versi e
orazioni loro, mostro assai chiaramente con molta facilità potersi in questa lingua exprimere ogni
senso.
E nell’Epistola (attribuita ad Agnolo Poliziano) che precede la cosiddetta Silloge
Aragonese, raccolta di poeti toscani prestilnovisti, stilnovisti e quattrocenteschi:
Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi. Imperocché
se bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno stimati, non povera questa lingua,
non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata.
Lorenzo il Magnifico

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023 Umanesimo latino e volgare

  • 1. Umanesimo latino e volgare La lingua volgare e la concorrenza con il latino nel Quattrocento
  • 2. L'espansione del fiorentino trecentesco come lingua letteraria subisce un processo di rallentamento in età umanistica. Già dalla metà del Trecento, con Petrarca e Boccaccio, si avviano anche in Italia la riscoperta e l'ammirazione per i classici greci e latini, il culto soprattutto della latinità̀, indagata con rigore filologico e grammaticale applicato ai testi e alla lingua. Nei primi decenni del Quattrocento gli umanisti, identificandosi nella tradizione culturale classica, considerano il latino, da loro recuperato a una nuova regolarità e dignità, come sola lingua elevata, adatta a scopi d'arte; e manifestano un atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti del volgare, ritenuto lingua inferiore, corrotta, da impiegarsi solo per usi pratici e per scrivere quod nolumus transferre adposteros (‘ciò che non vogliamo tramandare ai posteri’), come osservava Francesco Filelfo (1447). L’Umanesimo
  • 3. Rispetto alla tradizione classica che era continuata anche in epoca medievale, la cultura umanistica si differenzia perché riacquisisce i motivi del mondo classico non solo a livello di contenuti o stimoli (come aveva fatto il Medioevo), ma soprattutto a livello di modelli formali: l’umanesimo reintegra i motivi antichi nella forma antica, esclusivamente latina. Nel corso del Quattrocento mutano anche i procedimenti con cui si insegna a comporre in prosa e vengono rivoluzionati la concezione e l’insegnamento della retorica (considerata non più disciplina filosofica, ma linguistico-letteraria) grazie alla scoperta di testi fondamentali come il De oratore di Cicerone e l’Institutio oratoria di Quintiliano. L’Umanesimo
  • 4. Gli umanisti condannavano il versatile latino medievale, che viveva nei testi in simbiosi col volgare, e volevano restaurare il latino ciceroniano e grammaticale. In tal modo, però, rendevano, di fatto, più forte il bilinguismo latino-volgare: il latino era sempre meno utilizzabile per gli usi pratici per i quali si esigeva l’impiego del volgare. Tale bilinguismo favorì scambi in entrambe le direzioni: mentre il latino degli umanisti impiega alcuni moduli volgari che non hanno precedenti nell’antichità, il volgare si arricchisce di nuovi costrutti sintattici (per es. l’accusativo con infinito come sento qualcuno cantare) e di forme lessicali del latino classico (per es. il termine tradurre sostituisce il trecentesco tralatrare, o la reintroduzione dei termini repubblica e accademia). Il volgare, emarginato dalla letteratura e ancora mancante di una norma di riferimento, si espandeva in usi scritti epistolari, amministrativi e burocratici, libri di famiglia, cronache, e accoglieva, fra Tre e Quattrocento, a Firenze e in Toscana, fenomeni innovativi, usi parlati popolari ed extraurbani. L’Umanesimo
  • 5. L’Umanesimo e il prestigio letterario della lingua latina non servirono, dunque, da freno allo sviluppo del volgare, ma semmai, ne accelerarono i processi evolutivi. Già fra Tre e Quattrocento il fiorentino, impiegato in scritture pratiche, comincia ad accogliere fenomeni innovativi dovuti a imponenti fattori socioeconomici (spopolamento delle campagne, immigrazione da altri centri toscani ecc.). Si diffondono così forme estranee al fiorentino trecentesco (detto “aureo”) delle “tre corone”, come gli articoli el, e per il, i, l'imperfetto in -o (io amavo), forme come cantono, cantorno ’cantano, cantarono', arei, aresti 'avrei, avresti’ Queste forme, testimoniate negli epistolari familiari, nelle cronache, nei libri di ricordi, come quello del mercante Giovanni Pagolo Morelli (1402), sono presenti anche in scrittori cinquecenteschi aperti all’uso vivo del fiorentino contemporaneo, come Benvenuto Cellini e Niccolò Machiavelli. Fiorentino argenteo
  • 6. Il peso culturale preponderante del latino, e la presenza di influssi latini nelle scritture volgari, crea delle situazioni di ibridismo latino-volgare negli usi quattrocenteschi, fino a vere e proprie situazioni di mistilinguismo: latino e volgare si alternano, per esempio, nelle prediche mescidate del francescano Bernardino da Feltre o del domenicano Valeriano da Soncino. Quest’ultimo, nel suo Quaresimale, scrive: Sicfaciunt isti prophete, questi gabadei, questi hypocritoni, sangioni dal collo torto, quando habent plenum corpus de galini, caponi, fasani, pernise, qualie e de boni lonzi de vitello e qualche fidegeti per aguzar lo apetito. Linguaggi ibridi: le prediche mescidate ‘Così fanno questi profeti, questi imbroglioni, questi grandi ipocriti, santoni dal collo torto, quando hanno il corpo pieno di galline, capponi, fagiani, pernici, quaglie e buoni pezzi di vitello, e qualche fegatino per aguzzare l'appetito’.
  • 7. La mescolanza latino-volgare è anche la base di alcune di sperimentazioni letterarie, di linguaggi ibridi, costruiti artificialmente. Il macaronico, per esempio, prende il nome dalle Macaronee (poesie comiche del padovano Tifi Odasi, l'iniziatore del genere, poi portato ad alti livelli letterari da Teofilo Folengo), ha fini comici o parodistici e gioca sul contrasto alto/basso: metrica e tessuto linguistico sono latini, ma in essi vengono inseriti elementi lessicali volgari, parole e sintagmi bassi e plebei a cui vengono date desinenze latine: cercabat 'cercava', bulire 'bollire', magnat 'mangia' ecc. Un esempio dalla Macaronea dell'astigiano Giovan Giorgio Alione (1500): Inter fombardos est semper vita beata; / lasagnas etiam dant pro imbialia quinque / plenam scutellam, casei ponendo sexinum; / porros, quos virida pisses de cauda vocamus, / cum sale in manu faciunt scrossire da Petrus. ‘Tra i lombardi è sempre vita beata: anche di lasagne ne danno per cinque imperiali una scodella piena, mettendoci mezzo soldo di cacio; i porri, che per la coda verde chiamiamo pesci, col sale in mano li fanno scrocchiare da papa’. Linguaggi ibridi: il macaronico
  • 8. Il linguaggio polifilesco è così chiamato dal titolo del romanzo anonimo stampato nel 1499 da Aldo Manuzio: l’Hypnerotomachia Poliphili ('la guerra d'amore in sogno di Polifilo, cioè l'amante di Polia’). Il polifilesco non ha funzione parodistica, ma porta piuttosto alle estreme conseguenze alcune tendenze della prosa umanistica. L’esperimento, a cui si rifanno nel Cinquecento il linguaggio “pedantesco” (dal personaggio del pedante nella commedia) e “fidenziano” (dai Cantici di Fidenzio di Camillo Scroffa), si fonda sul volgare, già di livello elevato, che viene nobilitato con una latinizzazione estrema, al limite dello snaturamento, infarcendolo di preziosità lessicali prelevate soprattutto da autori latini tardi, come Apuleio, Gellio. Un esempio dall’Hypnerotomachia: Et, recluse le metalline valve, rimansi claustrato immediate tra quelle egregie nymphe, le quale meco lepidissime et lascivule incominciarono d'antorno a scherciare. ‘E, chiuse le porte di metallo, rimasi chiuso subito tra quelle nobili ninfe, le quali con me cominciarono a scherzare intorno molto piacevolmente e alquanto giocosamente’. Linguaggi ibridi: il polifilesco
  • 9. Fuori Toscana, le scritture volgari quattrocentesche mostrano una grande variabilità, ma anche alcuni caratteri comuni: • la progressiva perdita di elementi troppo caratterizzati in senso locale • la veste più latineggiante (anche se in misura diversa da un luogo all’altro) • la presenza di una patina toscaneggiante La specificità geografica delle scriptae medievali tende quindi a trasformarsi in forme di koinè regionali o superregionali, nelle quali il peso del toscano varia a seconda dei generi e degli scriventi. Un esempio notevole di uso letterario della koinè̀ settentrionale tardo-quattrocentesca è offerto dall’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1482-84, ma pervenuto in stampe più̀ tarde), che opera in una delle più grandi e prestigiose corti padane, la Ferrara degli Este. Koinè regionali
  • 10. È di grande rilievo, infatti, che il volgare venga usato sempre più frequentemente, sia pure in alternanza col latino, nelle cancellerie delle corti, centri importanti non solo culturalmente, ma per gli sviluppi storico-linguistici: a Firenze dal 1311, a Mantova dal 1401, a Urbino dal 1378, a Milano dal 1438, a Ferrara dal 1427. Koinè cancelleresche Si elaborano così delle koinè cancelleresche, elaborate da funzionari colti, di formazione latina ma aperti alla cultura volgare apprezzata nelle corti quattrocentesche. Queste koinè diventano anche strumento di scambi epistolari tra le diverse cancellerie sulla base della comune vicinanza al latino e, in misura sempre più crescente, al toscano.
  • 11. Per esempio la lingua milanese della cancelleria visconteo-sforzesca mostra, negli ultimi anni del Quattrocento, un processo ormai avanzato di toscanizzazione: il fiorentino letterario dei grandi autori trecenteschi, ammirati e imitati alla corte di Ludovico il Moro, si accompagna alla presenza di forme del fiorentino vivo coevo. Ecco un passo di una lettera di raccomandazione (per tale Apolinare Palmengo da Lodi) che Gasparo Visconti, uno dei più rappresentativi poeti della Milano sforzesca, scrive al marchese di Mantova Francesco Gonzaga: Illustrissime et excellemissime domine, domine mi singularissime. Altre volte parlai a la Signoria Vostra copiosamente de le virtù de meser magistro Apolinare Palmengo laudense [‘di Lodi’], et homo, al iuditio de molti più intelligenti di me a questa età, de innumerabili scientie habondamissimamente dotato, et s'io non temesse offendere li altri, direi unica fenice al mondo. Koinè cancelleresche
  • 12. Quando, negli ultimi decenni del XV secolo, il volgare verrà “riabilitato” e impiegato letterariamente, saranno gli stessi umanisti, educati al rigore filologico e grammaticale degli studi classici, e insoddisfatti della lingua coeva, a esigere una regolarizzazione dei testi volgari, recuperando la lingua letteraria dei grandi modelli fiorentini trecenteschi, diffusi e ammirati nelle corti quattrocentesche. La fondazione di una norma stabile e comune per il volgare, a cui l'industria tipografica darà, dalla fine del Quattrocento, un impulso decisivo, non creerà, dunque, in Italia, fratture linguistiche tra l’età medievale e l’età umanistico- rinascimentale, come avverrà, ad esempio, in Francia e in Spagna, ma sancirà continuità con la lingua letteraria antica. Umanesimo Volgare
  • 13. Il processo di rivalutazione letteraria del volgare, che ha preso il nome di “Umanesimo volgare”, inizia con Leon Battista Alberti. Alberti rivela lo sforzo consapevole di “ampliare” il volgare con le sue opere (sia con la prosa del dialogo Della famiglia, sia col volgarizzamento De pictura, prima steso in latino); e mostra anche un impegno teorico non indifferente, nel Proemio al III libro Della famiglia (1437). Leon Battista Alberti Alberti riprende la tesi dell'umanista forlivese Biondo Flavio sul volgare contro a quella del rivale Leonardo Bruni (quest’ultimo credeva che anche nell’età antica il latino fosse la lingua della letteratura e della retorica, esclusiva dei dotti e della scrittura e il volgare la lingua naturale parlata da tutti): il volgare «nato dalla barbarie, deve riscattarsi facendosi “ornato” e “copioso” come il latino» e apre la via alla considerazione del volgare come lingua che può essere regolata, grammaticalizzata e nobilitata («elimata e polita») se usata da autori dotti, come già il latino parlato nell’antichità.
  • 14. A Leon Battista Alberti si deve anche la prima Grammatica della lingua toscana, opera composta attorno al 1440, ma rimasta inedita fino al secolo scorso (ci è giunta in un’unica copia manoscritta della Biblioteca Vaticana) e considerata la prima grammatica di una lingua moderna (la grammatica della lingua castigliana del Nebrija verrà pubblicata solo cinquent’anni doppo, mentre la prima grammatica del volgare a stampa, le Regole del Fortunio, uscirà nel 1516). Il proposito dalla Grammatica dell’Alberti era di mostrare le possibilità del volgare, raccogliendo «l'uso della lingua nostra», infatti si basava sul fiorentino colto dei suoi tempi e non su modelli letterari trecenteschi. A conferma del suo impegno per nobilitare il volgare, l’umanista organizzò anche una gara di poesia volgare sul tema dell'amicizia, intitolata latinamente Certame coronario (1441). Leon Battista Alberti
  • 15. Lorenzo de’ Medici fu un grande umanista e mecenate e, insieme al circolo letterario che nella seconda metà del XV sec. seppe radunare attorno a sé nella sua Firenze, fu uno dei principali artefici del riscatto del volgare letterario. l poeti laurenziani (da Agnolo Poliziano a Luigi Pulci, a Lorenzo stesso), nella varietà dei generi sperimentati, usano una lingua fiorentina composita, aperta al fiorentino contemporaneo, ma anche alla tradizione lirica antica e al latineggiamento di stampo umanistico, e manifestano vivaci curiosità lessicali. Lorenzo il Magnifico Luigi Pulci, per esempio, l'autore del poema eroicomico Morgante, scrisse anche il Vocabulista, una raccolta di vocaboli per uso personale, mentre il fiorentino Benedetto Dei, che scrisse una celebre Cronica della sua città, compilò anche un elenco di voci del dialetto milanese.
  • 16. Lorenzo e i suoi poeti rivalutarono la tradizione linguistica e letteraria toscofiorentina rendendola strumento della politica e della propaganda della Firenze dei Medici. Troviamo vere e proprie esaltazioni del fiorentino, fondate sulla grandezza della sua tradizione letteraria nel Comento di Lorenzo sopra alcuni suoi sonetti: Dante, il Petrarca e il Boccaccio, nostri poeti fiorentini, hanno, nelli gravi e dolcissimi versi e orazioni loro, mostro assai chiaramente con molta facilità potersi in questa lingua exprimere ogni senso. E nell’Epistola (attribuita ad Agnolo Poliziano) che precede la cosiddetta Silloge Aragonese, raccolta di poeti toscani prestilnovisti, stilnovisti e quattrocenteschi: Né sia però nessuno che questa toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi. Imperocché se bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno stimati, non povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata. Lorenzo il Magnifico

Editor's Notes

  1. L’umanesimo è quel periodo nella storia del pensiero e dell’arte che copre gli ultimi decenni del XIV e la fine del XV e che, a partire dall’Italia (e in particolare da Firenze) portò alla riscoperta dei classici latini e greci con una intensa attività filologica. Le humanae litterae, sono le discipline umanistiche (grammatica, retorica, storia, poesia e filosofia); il termine va distinto dal periodo noto come Rinascimento (tra la metà del XV e la metà del XVI). [L’umanesimo è più la riscoperta, il rinascimento l’imitazione.] Filelfo era un umanista che insegnò a Venezia e poi fu al servizio dei signori milanesi (Visconti prima e Sforza poi). L’immagine rappresenta la Primavera del Botticelli (dipinto tra il 1477-1490), uno dei capolavori della pittura del Quattrocento fiorentino. Il soggetto è allegorico e si rifà alla cultura umanistica e neoplatonica della corte di Lorenzo il Magnifico. (Firenze, Uffizi
  2. La svalutazione del volgare doveva arrivare a coinvolgere, in certi casi, anche la letteratura precedente e Io stesso Dante, biasimato da umanisti “ciceroniani”, come Coluccio Salutati, per non aver usato il latino in un’opera alta come la Commedia. Il termine repubblica poi si consoliderà come contrario di principato col Principe di Macchiavelli all’inizio del Cinquecento. Il termine accademia era il nome della scuola di Platone ad Atene, ma acquista il significato di ‘gruppo di persone colte riunite a scopo di studio’. Altri termini “umanistici” sono ameno, anelante, connubio, esangue, facezia, fanatico, ilare, opulento, ottemperare, pagina, prodigioso, trofeo, veemente, vitreo… I libri di famiglia erano scritti destinati a parenti prossimi che trattavano argomenti legati a personali rapporti con i propri parenti. Esempio celebre è quello dei Libri della Famiglia dell’Alberti (sono quattro e trattano il bene della famiglia, considerato fondamento della società (visione aristotelica). Il primo libro tratta soprattutto dell'educazione dei figli e dei compiti degli anziani, il secondo di amore e matrimonio, il terzo degli aspetti economici della vita familiare e del buon uso del corpo, dello spirito e del tempo, il quarto dell'amicizia.
  3. La prima macaronea parlava di un gruppo di universitari (la setta dei maccheroni) che organizzava uno scherzo a uno speziale (che si occupava di spezie, l’attuale farmacista). E’ una presa in giro dell’umanesimo e della pedanteria di dottori e studenti. Forse per questo ebbe subito grande fortuna e imitazione.
  4. L’attribuzione dell’Hypnerotomachia è incerta, forse perché l'opera, che fa continuamento riferimento alle divinità latine, era un po’ troppo pagana e l’autore ha voluto rimanere anonimo.
  5. Il termine koinè è greco e significa genericamente ‘lingua comune’ (in senso proprio era la lingua comune della Grecia antica, basata sul sul dialetto attico a partire dal IV sec. a. C.).
  6. Nella seconda metà del XIII sec. quasi ovunque gli ordinamenti comunali si trasformarono in signorie, cioè l'effettivo esercizio del potere passò nelle mani di un solo individuo (il dominus o signore) che inizialmente fu il rappresentante delle forze borghesi che si erano affermate vittoriosamente. Urbino i Montefeltro
  7. Libri della Famiglia dell’Alberti (sono quattro e trattano il bene della famiglia, considerato fondamento della società (visione aristotelica). Il primo libro tratta soprattutto dell'educazione dei figli e dei compiti degli anziani, il secondo di amore e matrimonio, il terzo degli aspetti economici della vita familiare e del buon uso del corpo, dello spirito e del tempo, il quarto dell'amicizia.
  8. L’iniziativa del Certame dal punto di vista pratico fallì, perché non fu assegnato il premio, una corona d'alloro lavorata in argento
  9. La Silloge Aragonese è una raccolta di poesie toscane dai poeti prestilnovisti e stilnovisti alla poesia toscana quattrocentesca. Fu mandata da Lorenzo a Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, nel 1477.
  10. La Silloge Aragonese è una raccolta di poesie toscane dai poeti prestilnovisti e stilnovisti alla poesia toscana quattrocentesca. Fu mandata da Lorenzo a Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli, nel 1477.