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Italiano, dialetti
e lingue europee
Concorrenza e influenza dei sistemi
linguistici minori e delle lingue europee
rispetto all’italiano dei sec. XVI e XVII
L’uso del fiorentino letterario trecentesco come lingua scritta
nazionale anche nei testi comuni fa scadere le varie parlate locali
italiane - compreso il fiorentino vivo - al rango di dialetti.
Per contrastare il classicismo bembiano si sviluppano in tutta Italia
(soprattutto nel Veneto) ricchi filoni di letteratura dialettale.
L’uso letterario dei dialetti, già a partire dalla fine del Quattrocento,
diventa lo strumento di molta letteratura realistica e di numerose
sperimentazioni espressionistiche e rappresenta sempre una
scelta alternativa, di carattere espressivo ed eversivo contro
l’egemonia del monolinguismo di base fiorentina.
Uso letterario dei dialetti
In certi casi l’uso letterario dei dialetti diviene esplicita protesta e
rivendicazione delle possibilità artistiche e della superiorità dei
dialetti rispetto alla lingua ormai egemone.
Ne sono un esempio operette come il Varon milanes (‘Varrone
milanese’) de la lengua da Milan e il Prissian de Milan della
parnonzia milanesa (‘Prisciano [dal nome del grammatico latino]
milanese della pronuncia milanese’) di Giovan Ambrogio Biffi
(1606), il Discorso della lingua bolognese di Adriano Banchieri
(1629) o l’Eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza
alla Toscana di Partenio Tosco (1662).
Uso letterario dei dialetti
In Toscana, d’altra parte, fiorisce una letteratura “rusticale” che
sperimenta le possibilità del fiorentino popolare e contadinesco in
chiave iperrealistica e parodistica e con evidente gusto “linguaiolo”
di valorizzare il patrimonio vernacolare toscano.
Uso letterario dei dialetti
Ne sono esempi opere come la Tancia del
1611 e la Fiera del 1619, di Michelangelo
Buonarroti il giovane o il Malmantile
racquistato di Lorenzo Lippi del 1676.
Gli scrittori di teatro sfruttano il contrasto dell’italiano coi vari dialetti in
direzione espressiva e comica.
Nelle commedie il “linguaggio del caos” gioca sulle opposizioni colto/popolare,
cittadino/rustico, con un plurilinguismo “verticale” che ha implicazioni
sociologiche.
Plurilinguismo nel teatro
Gli esempi più alti di questo plurilinguismo si trovano,
nel primo Cinquecento, nel teatro veneziano di
Ruzante Beolco (la Moscheta, il Reduce, la Bilora…), a
fine Seicento nel teatro milanese di Carlo Maria Maggi
(il Manco Male, il Barone di Birbanza, i Consigli di
Meneghino…). Oltre a caratterizzare maggiormente i
personaggi, la “diversità” delle lingue viene utilizzata
in queste opere per l’effetto comico che produce.
L’allineamento delle varietà, con un plurilinguismo “orizzontale” (lingue e dialetti,
latino, lingue straniere) raggiunge l’apice ne Las Spagnolas (1549) del veneziano
Andrea Calmo, dove si alternano sulla scena addirittura sette lingue, ma
soprattutto si fissa nella Commedia dell’Arte, dove le varie maschere sono
rigidamente legate a una caratterizzazione dialettale, stilizzata e stereotipata: il
servo astuto Arlecchino, si esprime in bergamasco, il tirchio mercante Pantalone
in veneziano, lo svogliato e vorace Pulcinella in napoletano, il colto dottor
Balanzone in bolognese, ecc., mentre, per esempio, gli innamorati parlano un
toscano libresco e petrarcheggiante.
Plurilinguismo nel teatro
Nel variegato plurilinguismo teatrale il francese
non è legato a una precisa tipizzazione e ha
sempre una parte subalterna rispetto allo
spagnolo.
Las Spagnolas di Andrea Calmo, che richiama fin
dal titolo commedie castigliane di analogo
argomento, evoca il forte prestigio culturale e
linguistico esercitato dalla Spagna sugli Stati
italiani a partire dalla conquista del Ducato di
Milano (1535).
Influssi iberici e francesi
Nel corso del Cinquecento la conoscenza dello spagnolo, che attraverso la corte
aragonese di Napoli si diffonde in Italia già nella seconda metà del secolo
precedente, diventa indispensabile per gli uomini politici e di cultura.
La crescente concorrenza tra spagnolo e francese (che già dal Quattrocento
aveva fortemente ridotto l’influsso esercitato sull’italiano nell’epoca precedente)
è attestata da una famosa pagina di Baldassarre Castiglione nel Cortegiano circa
il sapere diverse lingue da parre dell’uomo di corte:
lo vorrei che ‘l nostro cortegiano parlasse e scrivesse di tal maniera; e non
solamente pigliasse parole splendide ed eleganti d’ogni parre d’Italia, ma ancora
lauderei che talor usasse di quelli termini e franzesi e spagnoli, che già sono dalla
consuetudine nostra accettati [...]. Il medesimo intervien del saper diverse lingue;
il che io laudo molto nel cortegiano, e massimamente la spagnola e la franzese:
perché il commerzio dell’una e dell'altra nazione è molto frequente in Italia.
Influssi iberici e francesi
Gli intensi rapporti di carattere culturale, commerciale, politico e
religioso con la Spagna ebbero anche un riflesso nella produzione a
stampa: molti i testi (grammatiche e vocabolari) pubblicati per la
didattica dello spagnolo agli italiani.
È del 1560 la prima grammatica (Il paragone della lingua toscana e
castigliana di Giovanni Mario Alessandri) , del 1570 il primo
vocabolario bilingue (il fortunato Vocabulario de las dos lenguas
Toscana y Castellana di Cristóbal de las Casas); e molte sono le
traduzioni di opere letterarie e di relazioni di viaggi e scoperte
geografiche (imponenti le raccolte tradotte e pubblicate da
Giovanni Battista Ramusio, 1550-59).
Influssi iberici e francesi
Attraverso queste opere entrano in italiano numerose voci iberiche,
soprattutto termini marinareschi di origine spagnola o portoghese (come
doppiare, tolda, risacca, baia, tormenta, uragano) e molti esotismi,
soprattutto termini che designano animali (armadillo, caimano, condor,
lama ecc.) e piante (china, coca, mais, papaia, patata).
Delle molte centinaia di voci iberiche entrate tra Cinque e Seicento, solo
un quinto però si impianterà saldamente nell’italiano: si tratta
prevalentemente di termini relativi alla vita sociale e mondana (come
etichetta, complimento, creanza, disinvoltura, puntiglio; l’uso del Lei come
allocutivo di cortesia), alla moda (alamari, mantiglia, tracolla), alla vita
militare (ammutinare, guerriglia, ronda, squadriglia, camerata, recluta).
Iberismi
Nel corso del Cinquecento e del primo Seicento dunque, mentre l’italiano
conosce in Europa una stagione di enorme fortuna (in Francia Henri Estienne
parla di «nouveau langage françois italianisé»), la lingua spagnola diventa
prevalente in Italia e l’influsso iberico preponderante rispetto a quello del
francese, lingua ancora poco conosciuta e usata solo dai cortigiani, dai
diplomatici, dai viaggiatori.
La grammatica plurilingue dello scrittore francese Antoine Fabre (Grammaire
pour aprendre les langues italienne, françoise et espagnole, ‘Grammatica per
insegnare la lingua italiana, francese e spagnola’ del 1627) è esplicitamente
rivolta a un pubblico di viaggiatori e di traduttori, cioè alle categorie che
studiavano il francese per esigenze professionali e non ancora perché
indispensabile nell’educazione delle “persone di qualità”, come avverrà nel giro
di pochi decenni.
Conoscenza del francese
Ai primi del Seicento il francese è ancora poco praticato in Italia.
In una sua lettera, dopo essere giunto a Parigi (1615), Giovan Battista Marino scrive:
Vi do avviso, che son in Parigi, dove, lasciando a voi altri piemontesi il “vaire” ed il “mi
decò”, mi son dato tutto tutto al linguaggio francioso, del quale però altro sin qui non
ho imparato che “oui” e “nani”.
Il poeta si divertiva anche a stupire l'amico (Lorenzo Scoto) elencando le stravaganze
del parlare parigino con una serie di voci equivoche: «L’oro si appella “argento” [fr.
argent]. Il far colazione si chiama “digiunare” [fr. dejeuner]. Le città san dette “ville”
[fr. villes]. I medici “i medicini” [fr. médicins]. I vescovi “vecchi” [fr. évéques]».
Proprio perché in quest’epoca, in cui è ancora di gran lunga predominante l’apporto
iberico, il francese è poco usato, Marino potrà utilizzare consapevolmente certe voci
di origine francese come vere e proprie preziosità lessicali, in conformità alla
poetica barocca che ricerca il raro e il disusato.
Francesismi
L’espansione dell’italiano
Rinnovamento del lessico e delle idee in
una dimensione europea nell’Italia
dei sec. XVII e XVIII
Tra Sei e Settecento l’italiano sarà investito da un processo di
trasformazione ed espansione che culminerà poi nel secondo
Settecento, in età illuministica.
In Italia e in Europa iniziarono a circolare nuove idee, nuovi
concetti politici, filosofici, economici (provenienti soprattutto da
Francia e Inghilterra) e con essi nuovi termini per definirli o
termini antichi che acquistavano nuovo significato.
Il processo di rinnovamento si verificava in direzione europea, nel
senso che erano in gran parte l’influsso del francese, la nuova
lingua universale della cultura e, in misura minore, dell’inglese a
condizionare i mutamenti lessicali e sintattici.
Espansione dell’italiano
L’illuminista milanese Cesare Beccaria sulle pagine del giornale il Caffè sottolinea
questa stretta connessione tra il rinnovamento della lingua e il rinnovamento
delle idee e della cultura:
Quando una lingua fa veloci cambiamenti, è un indizio certo di una rivoluzione
nelle idee della nazione che la parla, e dall’indole del cangiamento della lingua si
potrà argomentarne il cangiamento delle idee.
Questo rinnovamento (il “cangiamento della lingua”) avvenne prevalentemente
in direzione non letteraria, perché era legato al grande sviluppo della scienza e
Espansione dell’italiano
della tecnica (dalla seconda metà del Settecento
ha inizio in Inghilterra la rivoluzione
industriale), esaltate dall’enciclopedismo come
indispensabili al progresso e all’utilità pubblica.
L’italiano si allarga a nuovi usi, non più letterari, ma giuridici, economici, tecnici,
scientifici, in linea con la forte spinta divulgativa settecentesca:
a Napoli, Antonio Genovesi, nel1754, tiene in italiano il primo insegnamento
universitario europeo di Economia politica; a Milano, Cesare Beccaria, nel 1769,
ricopre la cattedra di Economia pubblica.
Le conseguenze di questa espansione sono importanti: le strutture tradizionali
della prosa si semplificano, il patrimonio dell'italiano si arricchisce
notevolmente nei settori non letterari, con la nascita di nuove discipline, come
l’elettrologia (lo studio dell’elettricità e dell’elettromagnetismo), o la
trasformazione di quelle già esistenti, come la chimica.
Espansione dell’italiano
Antoine Lavoisier, per esempio, nella seconda
metà del Settecento riformò tutto il
linguaggio della chimica, introducendo la
nomenclatura sistematica e nella sua opera
fondamentale (Traité élémentaire de chimie,
1789), illustrò con tavole dettagliate una lista
di 33 elementi chimici, raggruppandoli in gas,
metalli, non-metalli e terrosi.
Gli scienziati, in particolare i chimici, spesero
il secolo successivo in cerca di uno schema di
classificazione più preciso sino a giungere
all’attuale tavola periodica degli elementi
(ideata dal chimico russo Dmitrij Ivanovič
Mendeleev nel 1869).
Espansione dell’italiano
La formazione delle nomenclature delle varie discipline con elementi greci e
latini - che tendono a essere preferiti nella coniazione di nuovi “termini” per la
loro monosemia e monoreferenzialità, in quanto riferiti a un solo oggetto o
concetto - favorisce la convergenza dell’italiano con le altre lingue europee,
attraverso il comune ricorso al serbatoio delle lingue classiche per la formazione
di europeismi lessicali.
Alessandro Volta, per esempio, per denominare il nuovo importante apparecchio
(scoperto nel 1780) oscilla tra il composto greco micro-elettroscopio e il sintagma
analitico apparecchio ingranditore, ma alla fine opta per il termine
condensatore, perché più chiaro, trasparente e sintetico: il vocabolo è di origine
latina, ma di coniazione inglese (condenser) suffissato in -tore come i nomi
d’agente (isolatore, conduttore, investigatore, ecc.). In inglese sarà condenser, in
francese condenseur, in spagnolo condensador…
Lessico e lessicografia
Giacomo Leopardi in un passo famoso dello Zibaldone (26 giugno 1821)
osserverà che «da qualche tempo tutte le lingue colte d’Europa hanno un buon
numero di voci comuni», e che «grandissima parte» delle «voci pertinenti alle
scienze [...] sono le stesse in tutte le lingue colte d’Europa, eccetto piccole
modificazioni particolari, per lo più nella desinenza», come «genio sentimentale,
dispotismo, analisi, analizzare, demagogo, fanatismo, originalità ecc. e tante
simili che tutto il mondo intende, e tutto il mondo adopera in una stessa e
precisa significazione» E aggiungeva: «Si condannino[...] e si chiamino barbari i
gallicismi, ma non (se così posso dire) gli europeismi, ché non fu mai barbaro
quello che fu proprio di tutto il mondo civile, e proprio per ragione appunto della
civiltà, come l’uso di queste voci che deriva dalla stessa civiltà e dalla stessa
scienza d'Europa».
Lessico e lessicografia
Il panorama lessicografico del Settecento italiano è ormai dominato dall’attività
dell’Accademia della Crusca, che rappresenta un punto di riferimento
ineliminabile, anche se accoglie in modo cauto e parziale i nuovi influssi
europeizzanti.
Esce la quarta edizione del Vocabolario (stampata a Firenze in sei volumi dal
1729 al 1738), che si presentava non solo come uno strumento normativo, ma
come un vero “tesoro” della lingua letteraria: rafforza ancora di più il suo
orientamento toscano e arcaizzante e limita l’accettazione del lessico scientifico
e dei neologismi, soprattutto stranieri e non ancora integrati, che dovevano in
tutti i casi essere autenticati con esempi di autori “approvati”.
L’importanza della quarta edizione del Vocabolario, nonostante gli attacchi e le
critiche, è testimoniata dal suo grande successo editoriale: sono molte le
riduzioni e le ristampe, anche non ufficiali (soprattutto a Venezia e a Napoli).
La IV ed. del Vocabolario della Crusca
Il Settecento rappresenta anche una fase di ricerca e di sviluppo fondamentale
per la lessicografia italiana.
Escono vari dizionari dialettali, in generale con l’intenzione didattica e
normativa di elencare le voci dialettali giudicate errate e di sostituirle con le
parole italiane corrette (il Vocabolario bresciano e toscano, 1759; il Vocabolario
veneziano e padovano, 1775), ma con una nuova apertura alle parole d’uso
corrente e delle arti e mestieri.
Si pubblicano i primi dizionari specializzati, che registrano le terminologie delle
varie aree disciplinari (il primo è il Saggio alfabetico d’istoria medica, e naturale
di Antonio Vallisnieri, 1733), e si stampano numerose traduzioni di vocabolari
specialistici stranieri, soprattutto francesi.
Dizionari dialettali
Si fa strada l’idea del vocabolario “universale”, che deve accogliere un
patrimonio lessicale più ampio di quello “autorizzato” dagli esempi degli scrittori,
documentare la varietà degli usi, anche pratici, tecnici, scientifici, uscendo dalle
ristrettezze del canone tradizionale (a cui la IV ed. della Crusca era rimasta
legata).
Giovanpietro Bergantini compila per esempio una raccolta di Voci italiane
(1745), a integrazione della IV edizione del Vocabolario della Crusca, soprattutto
nel settore dei termini scientifici, ed è autore di un inedito Dizionario Universale.
Francesco D’Alberti di Villanuova, abate nizzardo, con il suo Dizionario
universale critico enciclopedico della lingua italiana (1797- 1805), opera un
profondo rinnovamento nella lessicografia poiché si rifà non solo a fonti scritte,
ma all’uso vivo, e inaugura il metodo dell’inchiesta “sul campo”: dichiara infatti
di aver attinto «dalla viva voce» degli artigiani toscani i termini «de’ Pittori, de’
Scultori, degli Oriuolaj [gli orologiai], de’ Lanajuoli, de’ Calzolaj, de' Magnani [i
pentolai], de’ Costruttori, della Marineria ecc.».
Dizionari universali
Ci sono, poi, nuovi canali di diffusione che
contribuiscono in maniera significativa
all’espansione dell’italiano, primo tra tutti la
scuola.
In vari Stati (in Piemonte, nel Lombardo-
Veneto, a Parma, a Modena, a Napoli) si
sviluppano piani di riforma scolastica che
scardinano la didattica tradizionale fondata sul
latino e pongono l’esigenza
Scuola
dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole primarie; nel Lombardo-Veneto
le riforme austriache introducono l’istruzione elementare obbligatoria (le
scuole “normali”), e promuovono manuali, grammatiche e testi scolastici
finalizzati all’apprendimento dell'italiano.
A Napoli, il sacerdote e filosofo Antonio Genovesi così scrive al re Ferdinando IV
sul piano di studi per le scuole pubbliche (1767):
“Una scuola di Lingua, eloquenza e poesia italiana”: perché mirando già tutte le
nazioni di Europa a rendere vulgari i libri dell’arti e delle scienze, affinché
riescano di comune istruzione e giovamento, non mi par né utile, né convenevole
che noi restiamo addietro e come barbari. Ma a render fra noi i libri delle scienze
e delle arti aggradevoli e anche rispettabili, mi pare necessario che si scrivano in
purgata e nobile lingua italiana, la qual lingua, e per copia di parole e per
leggiadria e per fraseologia e magnificenza al giudizio di grandissimi uomini,
nonché superi le presenti lingue europee, ma agguaglia la greca.
Scuola
Un altro canale di diffusione sono le gazzette e i
giornali, che divulgano la cultura italiana e
straniera a un pubblico non specialista, più vasto
di quello a cui erano rivolti i tradizionali mezzi di
trasmissione del sapere, e contribuiscono allo
svecchiamento delle strutture sintattiche e
lessicali.
Il programma del Caffè (1764-66), il giornale su
cui scrivono Pietro e Alessandro Verri, Cesare
Beccaria, lo scienziato Paolo Frisi e altri, è di
«Spargere utili cognizioni» di carattere pratico e
scientifico, importando le nuove idee che
«rendono quasi concittadini di tutta Europa».
Giornali
A Venezia si pubblica anche un giornale rivolto al pubblico femminile, La donna
galante ed erudita. Giornale dedicato al bel sesso (1788), che si occupa
prevalentemente di moda. Nell’introduzione l’editrice anonima dichiara così:
La mia penna mi dice all’orecchio che posso anch’io scarabocchiare. Mi avverte
Giornali
per altro che devo ristringermi a letteratura femminea.
Quale dunque più aproposito quanto quella delle mode, e
tanto più quanto che nuova moda abbiamo anche di
scrivere. S’è fatta la gran scoperta che l’idioma italiano è
poverissimo, che convien porre a contribuzione oltremontani,
oltremarini e perfino selvaggi ne’ loro vocaboli. Io non sono
sì ardita: il mio stile sarà un composto d’italo-lombardo-
veneto. Scrivo per essere intesa.
Il teatro comico, a partire da Goldoni, si
allarga a un pubblico più stratificato e si
distacca dalla tipizzazione di caratteri e di
lingua della Commedia dell’Arte, dove ogni
ruolo era codificato, per utilizzare uno stile
familiare, naturale e facile, per non distaccarsi
dal verisimile.
Teatro
Nella commedia goldoniana la convivenza di italiano e dialetto
riflette anche il particolare status sociolinguistico della società
veneziana, dove il dialetto civile, impiegato anche negli usi
giuridici, aveva grande prestigio.
Il teatro di Goldoni ha avuto anche il merito di inventare un italiano colloquiale,
soprattutto a livello sintattico e testuale, con una sintassi spezzata e ricca di
fenomeni dell’oralità.
Ad esempio, nella Locandiera (1753), l’uso di dislocazioni a sinistra (Certe cose
non le posso soffrire; In camera per ora non ci vado), segnali discorsivi (ecco,
basta, vedi, via...); e anche a livello lessicale, con voci colloquiali come
arrabbiare, pigliare, o basse, come non valere un corno.
Si veda il celebre monologo di Mirandolina (La locandiera, I, 9):
Uh, che mai ha detto! L’eccellentissimo signor marchese Arsura mi sposerebbe? E
pure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi
piace l’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli, che
hanno detto di volermi, oh, averei pure tanti mariti!
Teatro
Un grande canale di diffusione dell’italiano furono anche la poesia per musica e
il melodramma, che facilitarono la conoscenza e la diffusione, anche all'estero,
della lingua poetica.
L’italiano “cantato” esce dalla cerchia dei letterati, allarga il suo pubblico e
diventa una lingua ampiamente conosciuta sia in Italia sia fuori d’Italia, grazie
anche al successo dell’opera di Pietro Metastasio.
Melodramma
Il ritmo facile delle sue arie e la sintassi semplice ed
elementare in funzione della musica agevolano
l’apprendimento della lingua:
Son lungi, e non mi brami:
son teco, e non sospiri:
ti sento dir che m’ami,
né trovo amore in te.
Si cristallizza cosi il giudizio dell’italiano come lingua “delle dame” e “dei sospiri”,
soprattutto in contrapposizione al francese, lingua della “ragione”: un giudizio
che percorre largamente il dibattito linguistico settecentesco, senza scalfire però
il successo europeo dell’italiano per musica.
Anzi, la sua influenza si fa sentire anche nell’italiano scritto da stranieri, per
esempio nell’epistolario plurilingue di Voltaire, che non di rado infarcisce le sue
lettere di forme auliche e melodrammatiche, come in questa (1745) a Francesco
Algarotti, autore del fortunato Newtonianismo per le dame ovvero dialoghi sopra
la luce e i colori (1737): «e che barbaro potrebbe mai dimenticarsi di tanti vezzi,
e del vostro bello ingegno? [...] Emilia è sempre internata ne i profondi e sacri
orrori di Neuton [Newton]».
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027 Italiano, dialetti e lingue europee

  • 1. Italiano, dialetti e lingue europee Concorrenza e influenza dei sistemi linguistici minori e delle lingue europee rispetto all’italiano dei sec. XVI e XVII
  • 2. L’uso del fiorentino letterario trecentesco come lingua scritta nazionale anche nei testi comuni fa scadere le varie parlate locali italiane - compreso il fiorentino vivo - al rango di dialetti. Per contrastare il classicismo bembiano si sviluppano in tutta Italia (soprattutto nel Veneto) ricchi filoni di letteratura dialettale. L’uso letterario dei dialetti, già a partire dalla fine del Quattrocento, diventa lo strumento di molta letteratura realistica e di numerose sperimentazioni espressionistiche e rappresenta sempre una scelta alternativa, di carattere espressivo ed eversivo contro l’egemonia del monolinguismo di base fiorentina. Uso letterario dei dialetti
  • 3. In certi casi l’uso letterario dei dialetti diviene esplicita protesta e rivendicazione delle possibilità artistiche e della superiorità dei dialetti rispetto alla lingua ormai egemone. Ne sono un esempio operette come il Varon milanes (‘Varrone milanese’) de la lengua da Milan e il Prissian de Milan della parnonzia milanesa (‘Prisciano [dal nome del grammatico latino] milanese della pronuncia milanese’) di Giovan Ambrogio Biffi (1606), il Discorso della lingua bolognese di Adriano Banchieri (1629) o l’Eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza alla Toscana di Partenio Tosco (1662). Uso letterario dei dialetti
  • 4. In Toscana, d’altra parte, fiorisce una letteratura “rusticale” che sperimenta le possibilità del fiorentino popolare e contadinesco in chiave iperrealistica e parodistica e con evidente gusto “linguaiolo” di valorizzare il patrimonio vernacolare toscano. Uso letterario dei dialetti Ne sono esempi opere come la Tancia del 1611 e la Fiera del 1619, di Michelangelo Buonarroti il giovane o il Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi del 1676.
  • 5. Gli scrittori di teatro sfruttano il contrasto dell’italiano coi vari dialetti in direzione espressiva e comica. Nelle commedie il “linguaggio del caos” gioca sulle opposizioni colto/popolare, cittadino/rustico, con un plurilinguismo “verticale” che ha implicazioni sociologiche. Plurilinguismo nel teatro Gli esempi più alti di questo plurilinguismo si trovano, nel primo Cinquecento, nel teatro veneziano di Ruzante Beolco (la Moscheta, il Reduce, la Bilora…), a fine Seicento nel teatro milanese di Carlo Maria Maggi (il Manco Male, il Barone di Birbanza, i Consigli di Meneghino…). Oltre a caratterizzare maggiormente i personaggi, la “diversità” delle lingue viene utilizzata in queste opere per l’effetto comico che produce.
  • 6. L’allineamento delle varietà, con un plurilinguismo “orizzontale” (lingue e dialetti, latino, lingue straniere) raggiunge l’apice ne Las Spagnolas (1549) del veneziano Andrea Calmo, dove si alternano sulla scena addirittura sette lingue, ma soprattutto si fissa nella Commedia dell’Arte, dove le varie maschere sono rigidamente legate a una caratterizzazione dialettale, stilizzata e stereotipata: il servo astuto Arlecchino, si esprime in bergamasco, il tirchio mercante Pantalone in veneziano, lo svogliato e vorace Pulcinella in napoletano, il colto dottor Balanzone in bolognese, ecc., mentre, per esempio, gli innamorati parlano un toscano libresco e petrarcheggiante. Plurilinguismo nel teatro
  • 7. Nel variegato plurilinguismo teatrale il francese non è legato a una precisa tipizzazione e ha sempre una parte subalterna rispetto allo spagnolo. Las Spagnolas di Andrea Calmo, che richiama fin dal titolo commedie castigliane di analogo argomento, evoca il forte prestigio culturale e linguistico esercitato dalla Spagna sugli Stati italiani a partire dalla conquista del Ducato di Milano (1535). Influssi iberici e francesi Nel corso del Cinquecento la conoscenza dello spagnolo, che attraverso la corte aragonese di Napoli si diffonde in Italia già nella seconda metà del secolo precedente, diventa indispensabile per gli uomini politici e di cultura.
  • 8. La crescente concorrenza tra spagnolo e francese (che già dal Quattrocento aveva fortemente ridotto l’influsso esercitato sull’italiano nell’epoca precedente) è attestata da una famosa pagina di Baldassarre Castiglione nel Cortegiano circa il sapere diverse lingue da parre dell’uomo di corte: lo vorrei che ‘l nostro cortegiano parlasse e scrivesse di tal maniera; e non solamente pigliasse parole splendide ed eleganti d’ogni parre d’Italia, ma ancora lauderei che talor usasse di quelli termini e franzesi e spagnoli, che già sono dalla consuetudine nostra accettati [...]. Il medesimo intervien del saper diverse lingue; il che io laudo molto nel cortegiano, e massimamente la spagnola e la franzese: perché il commerzio dell’una e dell'altra nazione è molto frequente in Italia. Influssi iberici e francesi
  • 9. Gli intensi rapporti di carattere culturale, commerciale, politico e religioso con la Spagna ebbero anche un riflesso nella produzione a stampa: molti i testi (grammatiche e vocabolari) pubblicati per la didattica dello spagnolo agli italiani. È del 1560 la prima grammatica (Il paragone della lingua toscana e castigliana di Giovanni Mario Alessandri) , del 1570 il primo vocabolario bilingue (il fortunato Vocabulario de las dos lenguas Toscana y Castellana di Cristóbal de las Casas); e molte sono le traduzioni di opere letterarie e di relazioni di viaggi e scoperte geografiche (imponenti le raccolte tradotte e pubblicate da Giovanni Battista Ramusio, 1550-59). Influssi iberici e francesi
  • 10. Attraverso queste opere entrano in italiano numerose voci iberiche, soprattutto termini marinareschi di origine spagnola o portoghese (come doppiare, tolda, risacca, baia, tormenta, uragano) e molti esotismi, soprattutto termini che designano animali (armadillo, caimano, condor, lama ecc.) e piante (china, coca, mais, papaia, patata). Delle molte centinaia di voci iberiche entrate tra Cinque e Seicento, solo un quinto però si impianterà saldamente nell’italiano: si tratta prevalentemente di termini relativi alla vita sociale e mondana (come etichetta, complimento, creanza, disinvoltura, puntiglio; l’uso del Lei come allocutivo di cortesia), alla moda (alamari, mantiglia, tracolla), alla vita militare (ammutinare, guerriglia, ronda, squadriglia, camerata, recluta). Iberismi
  • 11. Nel corso del Cinquecento e del primo Seicento dunque, mentre l’italiano conosce in Europa una stagione di enorme fortuna (in Francia Henri Estienne parla di «nouveau langage françois italianisé»), la lingua spagnola diventa prevalente in Italia e l’influsso iberico preponderante rispetto a quello del francese, lingua ancora poco conosciuta e usata solo dai cortigiani, dai diplomatici, dai viaggiatori. La grammatica plurilingue dello scrittore francese Antoine Fabre (Grammaire pour aprendre les langues italienne, françoise et espagnole, ‘Grammatica per insegnare la lingua italiana, francese e spagnola’ del 1627) è esplicitamente rivolta a un pubblico di viaggiatori e di traduttori, cioè alle categorie che studiavano il francese per esigenze professionali e non ancora perché indispensabile nell’educazione delle “persone di qualità”, come avverrà nel giro di pochi decenni. Conoscenza del francese
  • 12. Ai primi del Seicento il francese è ancora poco praticato in Italia. In una sua lettera, dopo essere giunto a Parigi (1615), Giovan Battista Marino scrive: Vi do avviso, che son in Parigi, dove, lasciando a voi altri piemontesi il “vaire” ed il “mi decò”, mi son dato tutto tutto al linguaggio francioso, del quale però altro sin qui non ho imparato che “oui” e “nani”. Il poeta si divertiva anche a stupire l'amico (Lorenzo Scoto) elencando le stravaganze del parlare parigino con una serie di voci equivoche: «L’oro si appella “argento” [fr. argent]. Il far colazione si chiama “digiunare” [fr. dejeuner]. Le città san dette “ville” [fr. villes]. I medici “i medicini” [fr. médicins]. I vescovi “vecchi” [fr. évéques]». Proprio perché in quest’epoca, in cui è ancora di gran lunga predominante l’apporto iberico, il francese è poco usato, Marino potrà utilizzare consapevolmente certe voci di origine francese come vere e proprie preziosità lessicali, in conformità alla poetica barocca che ricerca il raro e il disusato. Francesismi
  • 13.
  • 14. L’espansione dell’italiano Rinnovamento del lessico e delle idee in una dimensione europea nell’Italia dei sec. XVII e XVIII
  • 15. Tra Sei e Settecento l’italiano sarà investito da un processo di trasformazione ed espansione che culminerà poi nel secondo Settecento, in età illuministica. In Italia e in Europa iniziarono a circolare nuove idee, nuovi concetti politici, filosofici, economici (provenienti soprattutto da Francia e Inghilterra) e con essi nuovi termini per definirli o termini antichi che acquistavano nuovo significato. Il processo di rinnovamento si verificava in direzione europea, nel senso che erano in gran parte l’influsso del francese, la nuova lingua universale della cultura e, in misura minore, dell’inglese a condizionare i mutamenti lessicali e sintattici. Espansione dell’italiano
  • 16. L’illuminista milanese Cesare Beccaria sulle pagine del giornale il Caffè sottolinea questa stretta connessione tra il rinnovamento della lingua e il rinnovamento delle idee e della cultura: Quando una lingua fa veloci cambiamenti, è un indizio certo di una rivoluzione nelle idee della nazione che la parla, e dall’indole del cangiamento della lingua si potrà argomentarne il cangiamento delle idee. Questo rinnovamento (il “cangiamento della lingua”) avvenne prevalentemente in direzione non letteraria, perché era legato al grande sviluppo della scienza e Espansione dell’italiano della tecnica (dalla seconda metà del Settecento ha inizio in Inghilterra la rivoluzione industriale), esaltate dall’enciclopedismo come indispensabili al progresso e all’utilità pubblica.
  • 17. L’italiano si allarga a nuovi usi, non più letterari, ma giuridici, economici, tecnici, scientifici, in linea con la forte spinta divulgativa settecentesca: a Napoli, Antonio Genovesi, nel1754, tiene in italiano il primo insegnamento universitario europeo di Economia politica; a Milano, Cesare Beccaria, nel 1769, ricopre la cattedra di Economia pubblica. Le conseguenze di questa espansione sono importanti: le strutture tradizionali della prosa si semplificano, il patrimonio dell'italiano si arricchisce notevolmente nei settori non letterari, con la nascita di nuove discipline, come l’elettrologia (lo studio dell’elettricità e dell’elettromagnetismo), o la trasformazione di quelle già esistenti, come la chimica. Espansione dell’italiano
  • 18. Antoine Lavoisier, per esempio, nella seconda metà del Settecento riformò tutto il linguaggio della chimica, introducendo la nomenclatura sistematica e nella sua opera fondamentale (Traité élémentaire de chimie, 1789), illustrò con tavole dettagliate una lista di 33 elementi chimici, raggruppandoli in gas, metalli, non-metalli e terrosi. Gli scienziati, in particolare i chimici, spesero il secolo successivo in cerca di uno schema di classificazione più preciso sino a giungere all’attuale tavola periodica degli elementi (ideata dal chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev nel 1869). Espansione dell’italiano
  • 19. La formazione delle nomenclature delle varie discipline con elementi greci e latini - che tendono a essere preferiti nella coniazione di nuovi “termini” per la loro monosemia e monoreferenzialità, in quanto riferiti a un solo oggetto o concetto - favorisce la convergenza dell’italiano con le altre lingue europee, attraverso il comune ricorso al serbatoio delle lingue classiche per la formazione di europeismi lessicali. Alessandro Volta, per esempio, per denominare il nuovo importante apparecchio (scoperto nel 1780) oscilla tra il composto greco micro-elettroscopio e il sintagma analitico apparecchio ingranditore, ma alla fine opta per il termine condensatore, perché più chiaro, trasparente e sintetico: il vocabolo è di origine latina, ma di coniazione inglese (condenser) suffissato in -tore come i nomi d’agente (isolatore, conduttore, investigatore, ecc.). In inglese sarà condenser, in francese condenseur, in spagnolo condensador… Lessico e lessicografia
  • 20. Giacomo Leopardi in un passo famoso dello Zibaldone (26 giugno 1821) osserverà che «da qualche tempo tutte le lingue colte d’Europa hanno un buon numero di voci comuni», e che «grandissima parte» delle «voci pertinenti alle scienze [...] sono le stesse in tutte le lingue colte d’Europa, eccetto piccole modificazioni particolari, per lo più nella desinenza», come «genio sentimentale, dispotismo, analisi, analizzare, demagogo, fanatismo, originalità ecc. e tante simili che tutto il mondo intende, e tutto il mondo adopera in una stessa e precisa significazione» E aggiungeva: «Si condannino[...] e si chiamino barbari i gallicismi, ma non (se così posso dire) gli europeismi, ché non fu mai barbaro quello che fu proprio di tutto il mondo civile, e proprio per ragione appunto della civiltà, come l’uso di queste voci che deriva dalla stessa civiltà e dalla stessa scienza d'Europa». Lessico e lessicografia
  • 21. Il panorama lessicografico del Settecento italiano è ormai dominato dall’attività dell’Accademia della Crusca, che rappresenta un punto di riferimento ineliminabile, anche se accoglie in modo cauto e parziale i nuovi influssi europeizzanti. Esce la quarta edizione del Vocabolario (stampata a Firenze in sei volumi dal 1729 al 1738), che si presentava non solo come uno strumento normativo, ma come un vero “tesoro” della lingua letteraria: rafforza ancora di più il suo orientamento toscano e arcaizzante e limita l’accettazione del lessico scientifico e dei neologismi, soprattutto stranieri e non ancora integrati, che dovevano in tutti i casi essere autenticati con esempi di autori “approvati”. L’importanza della quarta edizione del Vocabolario, nonostante gli attacchi e le critiche, è testimoniata dal suo grande successo editoriale: sono molte le riduzioni e le ristampe, anche non ufficiali (soprattutto a Venezia e a Napoli). La IV ed. del Vocabolario della Crusca
  • 22. Il Settecento rappresenta anche una fase di ricerca e di sviluppo fondamentale per la lessicografia italiana. Escono vari dizionari dialettali, in generale con l’intenzione didattica e normativa di elencare le voci dialettali giudicate errate e di sostituirle con le parole italiane corrette (il Vocabolario bresciano e toscano, 1759; il Vocabolario veneziano e padovano, 1775), ma con una nuova apertura alle parole d’uso corrente e delle arti e mestieri. Si pubblicano i primi dizionari specializzati, che registrano le terminologie delle varie aree disciplinari (il primo è il Saggio alfabetico d’istoria medica, e naturale di Antonio Vallisnieri, 1733), e si stampano numerose traduzioni di vocabolari specialistici stranieri, soprattutto francesi. Dizionari dialettali
  • 23. Si fa strada l’idea del vocabolario “universale”, che deve accogliere un patrimonio lessicale più ampio di quello “autorizzato” dagli esempi degli scrittori, documentare la varietà degli usi, anche pratici, tecnici, scientifici, uscendo dalle ristrettezze del canone tradizionale (a cui la IV ed. della Crusca era rimasta legata). Giovanpietro Bergantini compila per esempio una raccolta di Voci italiane (1745), a integrazione della IV edizione del Vocabolario della Crusca, soprattutto nel settore dei termini scientifici, ed è autore di un inedito Dizionario Universale. Francesco D’Alberti di Villanuova, abate nizzardo, con il suo Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana (1797- 1805), opera un profondo rinnovamento nella lessicografia poiché si rifà non solo a fonti scritte, ma all’uso vivo, e inaugura il metodo dell’inchiesta “sul campo”: dichiara infatti di aver attinto «dalla viva voce» degli artigiani toscani i termini «de’ Pittori, de’ Scultori, degli Oriuolaj [gli orologiai], de’ Lanajuoli, de’ Calzolaj, de' Magnani [i pentolai], de’ Costruttori, della Marineria ecc.». Dizionari universali
  • 24. Ci sono, poi, nuovi canali di diffusione che contribuiscono in maniera significativa all’espansione dell’italiano, primo tra tutti la scuola. In vari Stati (in Piemonte, nel Lombardo- Veneto, a Parma, a Modena, a Napoli) si sviluppano piani di riforma scolastica che scardinano la didattica tradizionale fondata sul latino e pongono l’esigenza Scuola dell’insegnamento dell’italiano nelle scuole primarie; nel Lombardo-Veneto le riforme austriache introducono l’istruzione elementare obbligatoria (le scuole “normali”), e promuovono manuali, grammatiche e testi scolastici finalizzati all’apprendimento dell'italiano.
  • 25. A Napoli, il sacerdote e filosofo Antonio Genovesi così scrive al re Ferdinando IV sul piano di studi per le scuole pubbliche (1767): “Una scuola di Lingua, eloquenza e poesia italiana”: perché mirando già tutte le nazioni di Europa a rendere vulgari i libri dell’arti e delle scienze, affinché riescano di comune istruzione e giovamento, non mi par né utile, né convenevole che noi restiamo addietro e come barbari. Ma a render fra noi i libri delle scienze e delle arti aggradevoli e anche rispettabili, mi pare necessario che si scrivano in purgata e nobile lingua italiana, la qual lingua, e per copia di parole e per leggiadria e per fraseologia e magnificenza al giudizio di grandissimi uomini, nonché superi le presenti lingue europee, ma agguaglia la greca. Scuola
  • 26. Un altro canale di diffusione sono le gazzette e i giornali, che divulgano la cultura italiana e straniera a un pubblico non specialista, più vasto di quello a cui erano rivolti i tradizionali mezzi di trasmissione del sapere, e contribuiscono allo svecchiamento delle strutture sintattiche e lessicali. Il programma del Caffè (1764-66), il giornale su cui scrivono Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria, lo scienziato Paolo Frisi e altri, è di «Spargere utili cognizioni» di carattere pratico e scientifico, importando le nuove idee che «rendono quasi concittadini di tutta Europa». Giornali
  • 27. A Venezia si pubblica anche un giornale rivolto al pubblico femminile, La donna galante ed erudita. Giornale dedicato al bel sesso (1788), che si occupa prevalentemente di moda. Nell’introduzione l’editrice anonima dichiara così: La mia penna mi dice all’orecchio che posso anch’io scarabocchiare. Mi avverte Giornali per altro che devo ristringermi a letteratura femminea. Quale dunque più aproposito quanto quella delle mode, e tanto più quanto che nuova moda abbiamo anche di scrivere. S’è fatta la gran scoperta che l’idioma italiano è poverissimo, che convien porre a contribuzione oltremontani, oltremarini e perfino selvaggi ne’ loro vocaboli. Io non sono sì ardita: il mio stile sarà un composto d’italo-lombardo- veneto. Scrivo per essere intesa.
  • 28. Il teatro comico, a partire da Goldoni, si allarga a un pubblico più stratificato e si distacca dalla tipizzazione di caratteri e di lingua della Commedia dell’Arte, dove ogni ruolo era codificato, per utilizzare uno stile familiare, naturale e facile, per non distaccarsi dal verisimile. Teatro Nella commedia goldoniana la convivenza di italiano e dialetto riflette anche il particolare status sociolinguistico della società veneziana, dove il dialetto civile, impiegato anche negli usi giuridici, aveva grande prestigio.
  • 29. Il teatro di Goldoni ha avuto anche il merito di inventare un italiano colloquiale, soprattutto a livello sintattico e testuale, con una sintassi spezzata e ricca di fenomeni dell’oralità. Ad esempio, nella Locandiera (1753), l’uso di dislocazioni a sinistra (Certe cose non le posso soffrire; In camera per ora non ci vado), segnali discorsivi (ecco, basta, vedi, via...); e anche a livello lessicale, con voci colloquiali come arrabbiare, pigliare, o basse, come non valere un corno. Si veda il celebre monologo di Mirandolina (La locandiera, I, 9): Uh, che mai ha detto! L’eccellentissimo signor marchese Arsura mi sposerebbe? E pure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli, che hanno detto di volermi, oh, averei pure tanti mariti! Teatro
  • 30. Un grande canale di diffusione dell’italiano furono anche la poesia per musica e il melodramma, che facilitarono la conoscenza e la diffusione, anche all'estero, della lingua poetica. L’italiano “cantato” esce dalla cerchia dei letterati, allarga il suo pubblico e diventa una lingua ampiamente conosciuta sia in Italia sia fuori d’Italia, grazie anche al successo dell’opera di Pietro Metastasio. Melodramma Il ritmo facile delle sue arie e la sintassi semplice ed elementare in funzione della musica agevolano l’apprendimento della lingua: Son lungi, e non mi brami: son teco, e non sospiri: ti sento dir che m’ami, né trovo amore in te.
  • 31. Si cristallizza cosi il giudizio dell’italiano come lingua “delle dame” e “dei sospiri”, soprattutto in contrapposizione al francese, lingua della “ragione”: un giudizio che percorre largamente il dibattito linguistico settecentesco, senza scalfire però il successo europeo dell’italiano per musica. Anzi, la sua influenza si fa sentire anche nell’italiano scritto da stranieri, per esempio nell’epistolario plurilingue di Voltaire, che non di rado infarcisce le sue lettere di forme auliche e melodrammatiche, come in questa (1745) a Francesco Algarotti, autore del fortunato Newtonianismo per le dame ovvero dialoghi sopra la luce e i colori (1737): «e che barbaro potrebbe mai dimenticarsi di tanti vezzi, e del vostro bello ingegno? [...] Emilia è sempre internata ne i profondi e sacri orrori di Neuton [Newton]». Melodramma

Editor's Notes

  1. Michelangelo Buonarroti detto il Giovane pronipote dell’omonimo pittore, fu scrittore fiorentino e partecipò alla prima edizione del Vocabolario della Crusca. vernacolare = particolaristico, dialettale
  2. La figura di Meneghino, una delle maschere della Commedia dell’Arte Italiana, è introdotta proprio da Carlo Maria Maggi, che gli ha dato l'immagine del personaggio popolare, giunta fino ai giorni nostri. Più avanti Carlo Porta ha contribuito ad aumentarne la popolarità fino alla metà del XIX secolo, epoca in cui Meneghino è diventato simbolo dell'animo patriottico milanese, contro la dominazione asburgica.
  3. La commedia dell'arte è nata in Italia nel 16° secolo e rimasta popolare fino alla metà del 18° secolo, anni della riforma goldoniana della commedia. Era una diversa modalità di produzione degli spettacoli: le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci, detti anche scenari. All'estero è conosciuta come "Commedia italiana". Un elemento nuovo fu la presenza delle donne sul palcoscenico.
  4. Las Spagnolas narra le vicende di due soldati, il greco Floricchi e il bergamasco Scarpella, che con il vecchio veneziano Zurlotto tentano di conquistare tre donne, mentre il veneziano Spezzaferro, il facchino bergamasco Menchin e il contadino pavano Rosato, fingendo di aiutarli, li deridono e derubano. A partire dal 1498, lo stato di Milano fu conteso dal regno di Francia e da quello di Spagna; dopo varie vicissitudini, nel 1499 i francesi riuscirono a impadronirsi del ducato, che conservarono fino al 1512, quando vennero scacciati dall'imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Nel 1515, tuttavia, Francesco I di Valois sconfisse le armate imperiali e riprese il controllo del Milanese, che tenne fino al 1522. Le trasformazioni politiche e istituzionali dello stato di Milano vennero in gran parte conservate anche dopo l'affermazione definitiva degli Absburgo, avvenuta a seguito della battaglia di Pavia nel 1525. In seguito a quell'evento, tuttavia, il ducato di Milano fu assegnato a Francesco II Sforza. Alla morte dello Sforza, avvenuta nel 1535, la maggior parte delle potenze europee, come i regni di Francia e d'Inghilterra, e degli stati della penisola italiana, in particolare lo stato della Chiesa e la repubblica di Venezia, cercarono di convincere l'imperatore Carlo V d’Asburgo a rinunciare al ducato e affidarlo a un principe italiano o straniero. L'imperatore però, nonostante alcune incertezze, decise di conservare il diretto dominio del ducato, ritenendolo la "chiave d'Italia”.
  5. Le Guerre d'Italia furono una serie conflitti (8) tra Francia e Spagna (e Impero, nella figura di Carlo V questi due poteri coincidevano), combattuti prevalentemente sul suolo italiano nella prima metà del secolo 16° (per la precisione durarono dal 1494 al 1559), che avevano come obiettivo non solo il controllo del nord (il Ducato di Milano) e del sud Italia (il Regno di Napoli), ma anche l’egemonia europea. Al termine delle guerre la Spagna si affermò come la principale potenza continentale, ponendo gran parte della penisola italiana sotto la sua dominazione diretta (Regno di Napoli, Ducato di Milano, Stato dei Presidi) o indiretta; gli unici stati italiani che seppero mantenere una certa autonomia furono il Ducato di Savoia (legato alla Francia) e la Repubblica di Venezia, mentre il Papato, pur autonomo, risultava perlopiù legato alla Spagna dalla comune politica di far prevalere in Europa la Controriforma cattolica.
  6. alamari = allacciature per abiti a forma di piccoli cappi, mantiglia = scialle
  7. I francesismi appaiono gli elementi più interessanti ed esotici del ricco lessico dell’Adone (1623): sono infatti novità voci come gabinetto ‘stipo’, voliera ‘uccelliera’, lunette ‘lenti del canocchiale’, perterra ‘aiuola’.
  8. La Guerra dei Trent'anni dilaniò l'Europa tra il 1618 e il 1648 e fu una delle guerre più devastanti e lunghe della storia europea. Inizialmente fu una guerra tra stati protestanti e quelli cattolici nel frammentato Sacro Romano Impero, progressivamente si sviluppò in un conflitto più generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, inquadrandosi come la continuazione della rivalità franco-asburgica per l'egemonia sulla scena europea (Richelieu fece entrare nel conflitto la Francia alleandosi alla Svezia protestante!). Questa guerra cambiò gli equilibri d’Europa e portò la Francia ad avere un prestigio migliore della Spagna ormai in declino.
  9. Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima interessò prevalentemente il settore tessile-metallurgico con l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nella seconda metà del '700. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870 con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta ci si riferisce agli effetti dell'introduzione massiccia dell'elettronica, delle telecomunicazioni e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire dal 1970.
  10. Antoine Lavoisier nella seconda metà del Settecento riformò tutto il linguaggio della chimica, introducendo la nomenclatura sistematica e nella sua opera fondamentale (Traité élémentaire de chimie, 1789), illustrò con tavole dettagliate gli strumenti indispensabili per compiere gli esperimenti della nuova chimica. Nel 1789 Antoine Lavoisier pubblicò una lista di 33 elementi chimici, raggruppandoli in gas, metalli, non-metalli e terrosi;[3][4] i chimici spesero il secolo successivo in cerca di uno schema di classificazione più preciso.
  11. Sempre nel Settecento è lo scienziato svedese Linneo (dalla forma latinizzata del nome, Carolus Linnaeus) pubblicando l’opera Systema naturae (1735) fonda la moderna classificazione scientifica degli organismi viventi (che verranno riprese nell’Ottocento e nel Novecento dopo le teorie Darwin).