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L’italiano
dall’Unità a oggi
Fattori di evoluzione
e linee di tendenza
Già nel 1870 il giornalista e letterato Carlo Tenca aveva descritto
l’evoluzione degli usi linguistici («Un po’ per volta l’uso porta alla
lingua»): i dialetti venivano rapidamente italianizzati e allo stesso
tempo comparivano gli italiani regionali parlati.
Erano soprattutto le trasformazioni socioculturali ed economiche a
modificare il quadro sociolinguistico:
Le scuole moltiplicate, il giornalismo che va per le mani di tutti,
l’uguagliarsi delle classi sociali, l’aumentare delle comunicazioni e
dei commerci tra le varie parti d’Italia, le necessità e le abitudini
della vita pubblica, tutto contribuisce a far iscomparire il dialetto.
Il nuovo quadro sociolinguistico
Oltre alla scuola hanno agito in direzione dell’italofonia una serie di
altri fattori socioeconomici che possiamo sinteticamente indicare
in cinque punti:
1. Le migrazioni interne
2. Le migrazioni esterne
3. L’apparato amministrativo centralizzato
4. Il servizio militare obbligatorio
5. La stampa e le trasmissioni di massa
Fattori socioeconomici
Le migrazioni interne, connesse all’urbanizzazione e all’industrializzazione,
furono un fenomeno massiccio. Dapprima il dialetto di provenienza degli
immigrati e il dialetto “d’arrivo” s’incontravano causando un crescente
livellamento verso gli italiani regionali. Dal secondo dopoguerra, negli anni del
boom economico, nelle grandi aree metropolitane l’integrazione linguistica
avviene direttamente in italiano: i figli degli immigrati, che hanno solo una
competenza passiva del dialetto d’origine, parlano ormai in italiano.
Anche le migrazioni esterne a cavallo tra Otto e Novecento, spingono verso
Migrazioni
l’alfabetizzazione e
l’apprendimento della
lingua.
L’apparato amministrativo centralizzato irradia un italiano burocratico e
giuridico di alta formalità, molto conservativo rispetto alla norma e di difficile
comprensione, e tuttavia si diffonde largamente anche presso i ceti più bassi e
meno alfabetizzati.
Il servizio militare obbligatorio mette in rapporto tra loro soldati provenienti da
regioni diverse, e spinge verso l’italianizzazione dei dialetti e l’adozione della
Burocrazia e servizio militare
lingua nazionale, insegnata anche nelle
scuole militari. I due conflitti mondiali
hanno rappresentato momenti cruciali per
quanto riguarda il livellamento dei dialetti, e
la formazione di un italiano di livello
popolare, documentato da una ricchissima
produzione di lettere e diari.
La stampa e le trasmissioni di massa (cinema, radio, televisione), che sono stati
determinanti per l’espansione dell’italiano a scapito dei dialetti e la circolazione
di innovazioni lessicali e linguistiche. Fondamentale è stato già tra Otto e
Novecento il ruolo della stampa giornalistica.
La radio, dal 1926, e la televisione, dal 1954, hanno contribuito poi ad accelerare
fortemente il processo di italianizzazione in atto, superando anche le sacche di
persistente analfabetismo e penetrando anche in aree di esclusiva
dialettofonia.
Mass media
Parlanti solo in dialetto
Parlanti solo in italiano
Dagli anni dell’Unità a oggi si è verificata dunque una radicale
evoluzione negli usi linguistici: da una situazione di prevalente
monolinguismo dialettale, cioè di dialettofonia al massimo con una
certa competenza passiva dell’italiano, si è arrivati alla situazione
attuale di prevalente bilinguismo con diglossia.
Oggi la maggioranza degli italiani è composta da italofoni con la
competenza di un dialetto, avvertito però come codice “basso”
rispetto all’italiano, e usato in situazioni comunicative più limitate.
L’espansione dell’italofonia
L’espansione dell’italiano negli ultimi decenni è una tendenza costante ed è
confermata anche dai rilievi statistici, della Doxa e dell’ISTAT, che vanno però
considerati con cautela, dato che sono basati sull’autovalutazione dei parlanti.
Le linee evolutive dei comportamenti linguistici degli italiani sono le seguenti:
• L’italiano avanza progressivamente sia negli usi familiari sia fuori casa,
parallelamente al decremento del dialetto, che perde parlanti e perde
contesti d’uso. I giovani tendono a usare sempre più l’italiano soprattutto al
Nord-Ovest e al Centro.
• Le aree di maggior resistenza nell’uso del dialetto continuano a essere il
Nord-Est, il Sud e le Isole.
L’espansione dell’italiano
• Buona percentuale della popolazione continua a essere
bilingue, e si producono spesso fenomeni di alternanza di codice
(per esempio, ci si esprime in dialetto in famiglia o con gli amici,
ma in italiano fuori casa, nell’ambiente scolastico e di lavoro)
oppure di cambio di codice (dall’italiano al dialetto o viceversa).
• Una percentuale sempre crescente di popolazione è solo
italofona, parla solo l’italiano (al massimo con una competenza
passiva del dialetto): la totale italofonia tende ad aumentare
maggiormente nei medi e grandi centri urbani, e progredisce
nelle nuove generazioni.
L’espansione dell’italiano
Quelli che seguono sono i risultati dell’indagine ISTAT 2006 su I cittadini e il
tempo libero: su un campione rappresentativo di 54.000 persone, dal 2000 al
2006 è aumentato ancora l’uso esclusivo dell’italiano in famiglia (dal 44,1% al
45,5%) e con gli amici (dal 48% al 48,9%), mentre con gli estranei si è
stabilizzato su un livello alto (72,8%).
L’utilizzo unico del dialetto invece, soprattutto in famiglia, è diminuito in
maniera significativa: le quote sono passate dal 32% del 1988 al 16% del 2006.
Secondo la ricerca, però, cresce l’uso misto di italiano e dialetto: dal 24,9% del
1988 al 32,5% del 2006.
Le persone che parlano soprattutto italiano in famiglia rappresentano il 45,5%
della popolazione di sei anni e più (25,051 milioni). La quota aumenta nelle
relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più rilevante nei rapporti con gli
estranei (72,8%).
Alcuni dati
è significativo anche l’uso misto di italiano e dialetto nei tre
contesti relazionali: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5%
delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei
il 19%.
Usa prevalentemente il dialetto in famiglia il 16% della popolazione
di oltre 6 anni (8,801 milioni di persone), mentre la quota scende al
13,2% nelle relazioni con gli amici e al 5,4% con gli estranei.
Ricorre poi a un’altra lingua per esprimersi in famiglia il 5,1% della
popolazione, il 3,9% la usa con gli amici e l’1,5% con gli estranei.
Alcuni dati
L’uso prevalente dell’italiano diminuisce con l’aumentare dell’età in tutti i
contesti relazionali: in famiglia varia dal 58,4% delle persone di 6-24 anni al
30,3% degli ultrasessantacinquenni.
Al contrario, l’uso esclusivo del dialetto cresce con l’aumentare dell’età,
passando da una quota molto bassa di bambini e ragazzi che parlano soltanto
dialetto in famiglia (8,1% tra i 6-24 anni) al 32,2% dei maggiori di 65 anni.
Alcuni dati
La scelta della lingua è anche influenzata dal genere. Le donne mostrano una
maggiore propensione a esprimersi soltanto o prevalentemente in italiano in
famiglia (46,9%, contro il 44% degli uomini) e con gli amici (51,6% contro il 46%).
La differenza tra maschi e femmine è maggiore tra i giovani, cala nelle classi d’età
successive, per annullarsi tra gli anziani.
La scelta ovviamente è soprattutto influenzata dal livello di istruzione. L’uso
prevalente del dialetto in famiglia e con gli amici riguarda soprattutto le persone
con un titolo di studio basso, anche a parità di età: il 28,7% di quelli che
possiedono la licenza elementare usa prevalentemente il dialetto in famiglia e il
24,6% con gli amici, contro il 3% e l’1,9% dei laureati. Sono soprattutto i maggiori
di 65 anni con un’istruzione di livello elementare a parlare il dialetto in tutti i
contesti osservati.
Alcuni dati
L’uso prevalente o esclusivo dell’italiano è più diffuso al Centro e nel Nord-
Ovest, in tutti e tre i contesti relazionali esaminati. In particolare, in famiglia
parla prevalentemente italiano il 63,6% delle persone residenti al Centro,
rispetto al 28,3% del Sud e al 32,8% delle Isole.
Le regioni in cui è maggiore la quota di persone che parlano prevalentemente
italiano sono la Toscana (83,9%), la Liguria (68,5%) e il Lazio (60,7%), mentre
quelle dove è minore sono la Calabria (20,4%), il Veneto (23,6%) e la Campania
(25,5%).
Nonostante le sue varietà, soprattutto regionali, resta il fatto che in poco più di
cento anni dall’unificazione politica, l’italiano, dopo essere stato per secoli lingua
prevalentemente scritta e letteraria, è diventato la lingua anche parlata almeno
dal 90% della popolazione italiana e usata nelle diverse situazioni della vita
quotidiana.
Alcuni dati
In questo processo di italianizzazione la letteratura ha perso ormai da tempo il
suo ruolo tradizionale di modello linguistico, ed è chiamata piuttosto a
confrontarsi continuamente con la rapida evoluzione degli usi e del quadro
sociolinguistico.
Il processo di espansione dell’italiano nel periodo postunitario e nel corso del
Novecento è infatti sempre meno legata al suo principale fattore di diffusione nei
secoli passati: la lingua letteraria.
Il vecchio modello linguistico
I nuovi modelli linguistici sono i nuovi protagonisti della nostra storia linguistica
recente: i giornali e i mezzi di comunicazione di massa, la pubblicità (insieme a
generi letterari considerati marginali o inferiori, come la cosiddetta letteratura di
consumo, i fumetti, la canzone).
Sono questi i principali laboratori in cui si rinnovano le strutture dell’italiano
contemporaneo, e i veicoli di diffusione delle innovazioni morfosintattiche e
lessicali, di divulgazione nella lingua comune di termini delle lingue speciali, di
prestiti stranieri, di elementi dialettali o gergali.
Di fronte alla perduta autorevolezza dei testi letterari, i mass media tendono
oggi a proporsi come le nuove fonti della norma linguistica, come modello
espressivo di usi scritti e parlati per una fascia di utenti ampia e stratificata; un
pubblico che legge poco è soprattutto la televisione il mezzo dotato di maggiore
pervasività e prestigio nell’irradiazione di modelli linguistici.
I nuovi modelli linguistici
I mass media hanno progressivamente acquisito nella storia della lingua italiana,
almeno dalla metà del secolo scorso, una posizione sempre meno periferica e
sempre più centrale, definitivamente sancita dalla prima edizione della Storia
Linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro del 1963.
La Storia demauriana sottolinea il ruolo determinante dei media, e in particolare
della televisione, nel processo di “italianizzazione” di un paese ancora nel
Mass media
secondo dopoguerra prevalentemente
dialettofono, e nella diffusione di un
italiano stratificato nelle sue varietà e
meno libresco di quello ufficiale e
scolastico, avviando così il dibattito
sull’italiano della scuola e
sull’educazione linguistica.
Dagli anni settanta in poi si sono moltiplicati gli studi sull’italiano dei mass
media, di cui è stata riconosciuta l’importanza e responsabilità anche
nell’evoluzione e nelle dinamiche di rinnovamento della lingua contemporanea.
L’interesse dei linguisti, almeno negli ultimi due decenni, per le varietà
diamesiche (legate al canale di comunicazione) è aumentato notevolmente: sono
stati pubblicati numerosi e qualificati lavori sull’italiano parlato, scritto,
trasmesso e, più recentemente, “digitato” attraverso le nuove tecnologie (SMS,
e-mail, chat-line), e soprattutto nell’allestimento di ampi corpora elettronici e di
liste di frequenza (come il Lessico di frequenza dell’italiano radiofonico a cura di
Nicoletta Maraschio e Stefania Stefanelli).
Inoltre il lavoro d’equipe in ambito universitario ha consentito di realizzare, in
sincronia e con criteri e metodologie condivisi, indagini a largo spettro partendo
da “osservatori” scientifici qualificati.
Mass media
Sul ruolo della televisione, “buona” o “cattiva” maestra anche di lingua, il
dibattito, come è noto, è ancora aperto.
Simonetta Losi in un articolo sulla rivista Lingua Italiana Oggi ripercorre la storia
dei rapporti tra lingua italiana e TV, che «si è proposta, di volta in volta, come
scuola di lingua, come strumento se non alternativo almeno complementare alla
scuola, come modello di italiano “corretto”, come modello negativo in grado di
determinare la morte del “buon italiano” e la creazione di una “lingua di
plastica” e infine come specchio delle lingue, dei linguaggi e dei dialetti».
Piuttosto che come specchio dell’italiano in tutte le sue varietà, a partire dagli
anni ottanta la “neotelevisione” di flusso nel suo mescolamento di generi tende
sempre più a essere uno specchio deformante, amplificando da un lato i registri
linguistici bassi nella rappresentazione del parlato spontaneo e dall’altro
spacciando come spontaneo il parlato-scritto simulato delle fiction.
Televisione
Nei primi tempi la televisione ha avuto un intento pedagogico di
alfabetizzazione e di diffusione dell’italiano.
Programma simbolo di quel primo periodo fu la trasmissione della
RAI Non è mai troppo tardi, condotta dal Alberto Manzi che mirava
ad alfabetizzare quelle minoranze (soprattutto di anziani e
contadini) che non avevano imparato l’italiano a scuola.
Televisione
Dagli anni settanta a oggi, pur avendo sminuito l’iniziale impulso
pedagogico, la televisione ha comunque svolto il ruolo di
strumento di riflessione sulla lingua e gli usi linguistici: in
trasmissioni come Una lingua per tutti o, più recentemente, ABC:
l’ha detto la TV, Calepio tecnologie della lingua, Lemma e Verba
volant attraverso il mezzo televisivo si è anche perseguito il fine
didattico di analizzare la lingua in se stessa, nelle sue varie
componenti, anche se la dura legge dell’audience ha spesso
penalizzato, come fascia oraria, la programmazione di queste
trasmissioni.
Televisione
Soprattutto è a scuola, sede dell’educazione linguistica, che si deve riflettere
sulla “norma implicita” dei media a cui i ragazzi sono esposti quotidianamente e
intensamente (giornali, radio, TV, cinema, fumetti, canzoni, pubblicità), e fornire
l’orientamento nel variegato e spesso indistinto amalgama linguistico mediatico.
Sono diverse le esperienze di indagine nel quotidiano delle classi di scuola
superiore dove si osservano fenomeni innovativi rispetto allo standard di
riferimento descritto dalle grammatiche (il cosiddetto neostandard) e dove
Il ruolo della scuola
emergono le varietà e il dilagare della
dimensione orale nello scritto, il
riconoscimento di tendenze
“trasversali” che coinvolgono diversi
ambiti testuali.
Un fenomeno, per esempio, che ha una forte ricaduta
nell’organizzazione sintattica è la sempre più frequente
frammentazione del periodo, segmentato dal punto fermo,
utilizzato anche in contesti che tradizionalmente richiederebbero
altri segni interpuntivi.
Si sta affermando nelle varie tipologie di testo una scrittura che
punta a un ritmo impressivo ed emotivo, non diverso da quello a
cui ci hanno abituato i trailer cinematografici o i lanci
dell’informazione televisiva, che non favorisce la comprensione del
testo con la frantumazione dell’impalcatura sintattica.
Il ruolo della scuola
L’italiano è diventato solo recentemente una lingua «viva e intera»,
come auspicava Manzoni, una lingua anche parlata nelle varie
circostanze della vita civile dalla maggioranza degli italiani.
La nostra lingua appare dunque, oggi, in trasformazione più rapida
rispetto al passato, dato che sta compiendo da pochi decenni un
cammino che altre lingue europee nazionali hanno già percorso da
alcuni secoli.
Fenomeni evolutivi
Queste, in sintesi, sono le tendenze evolutive più rilevanti degli ultimi decenni:
• Si è potenziato l’apporto dell’inglese o dell’angloamericano, che è ormai
divenuto prevalente rispetto a quello del francese.
• Si sono consolidate le varietà regionali, che soprattutto nell’esecuzione orale
rendono oggi quasi sempre riconoscibile la provenienza geografica di un parlante
italiano: in particolare i tratti di pronuncia e intonazione (meno di lessico e
sintassi), che caratterizzano anche l’italiano dei giovani solo italofoni.
• Accanto all’italiano standard (varietà normativa di riferimento, più che
effettivamente usata specie nel parlato) si è delineata una varietà definita
neostandard (o “italiano dell’uso medio”), che si caratterizza per la “risalita”
verso la norma di fenomeni soprattutto morfosintattici, documentati per lo più
da secoli nell’italiano scritto, ma emarginati dalla grammatica tradizionale.
Fenomeni evolutivi
Rientrano nell’italiano neostandard i seguenti fenomeni:
• lui, lei, Ioro come soggetti
• gli per a lei, a loro
• i pronomi ridondanti (A me mi piace)
• il cosiddetto ci “attualizzante”
• l’uso di cosa per che cosa (Cosa ci hai? Ci ho sonno)
• il niente in funzione aggettivale (A Roma niente pioggia)
• il che come connettivo polivalente (il giorno che mi hai visto; guarda che ti fai
male)
• il come mai invece di perché interrogativo (Come mai esci?)
Italiano neostandard
• l’uso dell’indicativo per il congiuntivo nelle dipendenti (Non so se hanno letto
il libro)
• l’uso del presente per il futuro (Domani andiamo a Roma)
• l’uso dell’imperfetto per il congiuntivo e il condizionale nelle ipotetiche (Se
facevi in fretta eravamo già arrivati)
• fenomeni di sintassi marcata (dislocazioni a sinistra: La pizza l’ho mangiata
oggi; o a destra: L’ho mangiata oggi, la pizza; frase scissa: è La pizza, che ho
mangiata oggi).
Alcuni di questi fenomeni del neostandard sono diffusi sia nel parlato sia nello
scritto (come lui, lei, loro, gli per a loro, cosa, niente).
Altri fenomeni, come certi usi del che, il tipo a me mi, gli per le, sono estesi
soprattutto negli usi parlati informali, molto meno negli usi scritti, dove sembra
ancora resistere bene, per esempio, il congiuntivo.
Italiano neostandard
Nell’italiano neostandard è chiaramente riconoscibile anche una tendenza alla
semplificazione di paradigmi complessi (sistema dei pronomi e dei verbi) che gli
usi parlati dell’italiano stanno potenziando, come è accaduto in altre lingue.
Si sono potenziati e differenziati anche in senso “verticale” i sottocodici o lingue
speciali (o settoriali), come la lingua dell’informatica e dell’economia, secondo i
vari livelli d’uso (tra esperti, divulgativo ecc.).
Italiano neostandard

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031 Fattori di evoluzione dell'italiano

  • 1. L’italiano dall’Unità a oggi Fattori di evoluzione e linee di tendenza
  • 2. Già nel 1870 il giornalista e letterato Carlo Tenca aveva descritto l’evoluzione degli usi linguistici («Un po’ per volta l’uso porta alla lingua»): i dialetti venivano rapidamente italianizzati e allo stesso tempo comparivano gli italiani regionali parlati. Erano soprattutto le trasformazioni socioculturali ed economiche a modificare il quadro sociolinguistico: Le scuole moltiplicate, il giornalismo che va per le mani di tutti, l’uguagliarsi delle classi sociali, l’aumentare delle comunicazioni e dei commerci tra le varie parti d’Italia, le necessità e le abitudini della vita pubblica, tutto contribuisce a far iscomparire il dialetto. Il nuovo quadro sociolinguistico
  • 3. Oltre alla scuola hanno agito in direzione dell’italofonia una serie di altri fattori socioeconomici che possiamo sinteticamente indicare in cinque punti: 1. Le migrazioni interne 2. Le migrazioni esterne 3. L’apparato amministrativo centralizzato 4. Il servizio militare obbligatorio 5. La stampa e le trasmissioni di massa Fattori socioeconomici
  • 4. Le migrazioni interne, connesse all’urbanizzazione e all’industrializzazione, furono un fenomeno massiccio. Dapprima il dialetto di provenienza degli immigrati e il dialetto “d’arrivo” s’incontravano causando un crescente livellamento verso gli italiani regionali. Dal secondo dopoguerra, negli anni del boom economico, nelle grandi aree metropolitane l’integrazione linguistica avviene direttamente in italiano: i figli degli immigrati, che hanno solo una competenza passiva del dialetto d’origine, parlano ormai in italiano. Anche le migrazioni esterne a cavallo tra Otto e Novecento, spingono verso Migrazioni l’alfabetizzazione e l’apprendimento della lingua.
  • 5. L’apparato amministrativo centralizzato irradia un italiano burocratico e giuridico di alta formalità, molto conservativo rispetto alla norma e di difficile comprensione, e tuttavia si diffonde largamente anche presso i ceti più bassi e meno alfabetizzati. Il servizio militare obbligatorio mette in rapporto tra loro soldati provenienti da regioni diverse, e spinge verso l’italianizzazione dei dialetti e l’adozione della Burocrazia e servizio militare lingua nazionale, insegnata anche nelle scuole militari. I due conflitti mondiali hanno rappresentato momenti cruciali per quanto riguarda il livellamento dei dialetti, e la formazione di un italiano di livello popolare, documentato da una ricchissima produzione di lettere e diari.
  • 6. La stampa e le trasmissioni di massa (cinema, radio, televisione), che sono stati determinanti per l’espansione dell’italiano a scapito dei dialetti e la circolazione di innovazioni lessicali e linguistiche. Fondamentale è stato già tra Otto e Novecento il ruolo della stampa giornalistica. La radio, dal 1926, e la televisione, dal 1954, hanno contribuito poi ad accelerare fortemente il processo di italianizzazione in atto, superando anche le sacche di persistente analfabetismo e penetrando anche in aree di esclusiva dialettofonia. Mass media
  • 7. Parlanti solo in dialetto
  • 8. Parlanti solo in italiano
  • 9. Dagli anni dell’Unità a oggi si è verificata dunque una radicale evoluzione negli usi linguistici: da una situazione di prevalente monolinguismo dialettale, cioè di dialettofonia al massimo con una certa competenza passiva dell’italiano, si è arrivati alla situazione attuale di prevalente bilinguismo con diglossia. Oggi la maggioranza degli italiani è composta da italofoni con la competenza di un dialetto, avvertito però come codice “basso” rispetto all’italiano, e usato in situazioni comunicative più limitate. L’espansione dell’italofonia
  • 10. L’espansione dell’italiano negli ultimi decenni è una tendenza costante ed è confermata anche dai rilievi statistici, della Doxa e dell’ISTAT, che vanno però considerati con cautela, dato che sono basati sull’autovalutazione dei parlanti. Le linee evolutive dei comportamenti linguistici degli italiani sono le seguenti: • L’italiano avanza progressivamente sia negli usi familiari sia fuori casa, parallelamente al decremento del dialetto, che perde parlanti e perde contesti d’uso. I giovani tendono a usare sempre più l’italiano soprattutto al Nord-Ovest e al Centro. • Le aree di maggior resistenza nell’uso del dialetto continuano a essere il Nord-Est, il Sud e le Isole. L’espansione dell’italiano
  • 11. • Buona percentuale della popolazione continua a essere bilingue, e si producono spesso fenomeni di alternanza di codice (per esempio, ci si esprime in dialetto in famiglia o con gli amici, ma in italiano fuori casa, nell’ambiente scolastico e di lavoro) oppure di cambio di codice (dall’italiano al dialetto o viceversa). • Una percentuale sempre crescente di popolazione è solo italofona, parla solo l’italiano (al massimo con una competenza passiva del dialetto): la totale italofonia tende ad aumentare maggiormente nei medi e grandi centri urbani, e progredisce nelle nuove generazioni. L’espansione dell’italiano
  • 12. Quelli che seguono sono i risultati dell’indagine ISTAT 2006 su I cittadini e il tempo libero: su un campione rappresentativo di 54.000 persone, dal 2000 al 2006 è aumentato ancora l’uso esclusivo dell’italiano in famiglia (dal 44,1% al 45,5%) e con gli amici (dal 48% al 48,9%), mentre con gli estranei si è stabilizzato su un livello alto (72,8%). L’utilizzo unico del dialetto invece, soprattutto in famiglia, è diminuito in maniera significativa: le quote sono passate dal 32% del 1988 al 16% del 2006. Secondo la ricerca, però, cresce l’uso misto di italiano e dialetto: dal 24,9% del 1988 al 32,5% del 2006. Le persone che parlano soprattutto italiano in famiglia rappresentano il 45,5% della popolazione di sei anni e più (25,051 milioni). La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più rilevante nei rapporti con gli estranei (72,8%). Alcuni dati
  • 13. è significativo anche l’uso misto di italiano e dialetto nei tre contesti relazionali: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei il 19%. Usa prevalentemente il dialetto in famiglia il 16% della popolazione di oltre 6 anni (8,801 milioni di persone), mentre la quota scende al 13,2% nelle relazioni con gli amici e al 5,4% con gli estranei. Ricorre poi a un’altra lingua per esprimersi in famiglia il 5,1% della popolazione, il 3,9% la usa con gli amici e l’1,5% con gli estranei. Alcuni dati
  • 14. L’uso prevalente dell’italiano diminuisce con l’aumentare dell’età in tutti i contesti relazionali: in famiglia varia dal 58,4% delle persone di 6-24 anni al 30,3% degli ultrasessantacinquenni. Al contrario, l’uso esclusivo del dialetto cresce con l’aumentare dell’età, passando da una quota molto bassa di bambini e ragazzi che parlano soltanto dialetto in famiglia (8,1% tra i 6-24 anni) al 32,2% dei maggiori di 65 anni. Alcuni dati
  • 15. La scelta della lingua è anche influenzata dal genere. Le donne mostrano una maggiore propensione a esprimersi soltanto o prevalentemente in italiano in famiglia (46,9%, contro il 44% degli uomini) e con gli amici (51,6% contro il 46%). La differenza tra maschi e femmine è maggiore tra i giovani, cala nelle classi d’età successive, per annullarsi tra gli anziani. La scelta ovviamente è soprattutto influenzata dal livello di istruzione. L’uso prevalente del dialetto in famiglia e con gli amici riguarda soprattutto le persone con un titolo di studio basso, anche a parità di età: il 28,7% di quelli che possiedono la licenza elementare usa prevalentemente il dialetto in famiglia e il 24,6% con gli amici, contro il 3% e l’1,9% dei laureati. Sono soprattutto i maggiori di 65 anni con un’istruzione di livello elementare a parlare il dialetto in tutti i contesti osservati. Alcuni dati
  • 16. L’uso prevalente o esclusivo dell’italiano è più diffuso al Centro e nel Nord- Ovest, in tutti e tre i contesti relazionali esaminati. In particolare, in famiglia parla prevalentemente italiano il 63,6% delle persone residenti al Centro, rispetto al 28,3% del Sud e al 32,8% delle Isole. Le regioni in cui è maggiore la quota di persone che parlano prevalentemente italiano sono la Toscana (83,9%), la Liguria (68,5%) e il Lazio (60,7%), mentre quelle dove è minore sono la Calabria (20,4%), il Veneto (23,6%) e la Campania (25,5%). Nonostante le sue varietà, soprattutto regionali, resta il fatto che in poco più di cento anni dall’unificazione politica, l’italiano, dopo essere stato per secoli lingua prevalentemente scritta e letteraria, è diventato la lingua anche parlata almeno dal 90% della popolazione italiana e usata nelle diverse situazioni della vita quotidiana. Alcuni dati
  • 17. In questo processo di italianizzazione la letteratura ha perso ormai da tempo il suo ruolo tradizionale di modello linguistico, ed è chiamata piuttosto a confrontarsi continuamente con la rapida evoluzione degli usi e del quadro sociolinguistico. Il processo di espansione dell’italiano nel periodo postunitario e nel corso del Novecento è infatti sempre meno legata al suo principale fattore di diffusione nei secoli passati: la lingua letteraria. Il vecchio modello linguistico
  • 18. I nuovi modelli linguistici sono i nuovi protagonisti della nostra storia linguistica recente: i giornali e i mezzi di comunicazione di massa, la pubblicità (insieme a generi letterari considerati marginali o inferiori, come la cosiddetta letteratura di consumo, i fumetti, la canzone). Sono questi i principali laboratori in cui si rinnovano le strutture dell’italiano contemporaneo, e i veicoli di diffusione delle innovazioni morfosintattiche e lessicali, di divulgazione nella lingua comune di termini delle lingue speciali, di prestiti stranieri, di elementi dialettali o gergali. Di fronte alla perduta autorevolezza dei testi letterari, i mass media tendono oggi a proporsi come le nuove fonti della norma linguistica, come modello espressivo di usi scritti e parlati per una fascia di utenti ampia e stratificata; un pubblico che legge poco è soprattutto la televisione il mezzo dotato di maggiore pervasività e prestigio nell’irradiazione di modelli linguistici. I nuovi modelli linguistici
  • 19. I mass media hanno progressivamente acquisito nella storia della lingua italiana, almeno dalla metà del secolo scorso, una posizione sempre meno periferica e sempre più centrale, definitivamente sancita dalla prima edizione della Storia Linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro del 1963. La Storia demauriana sottolinea il ruolo determinante dei media, e in particolare della televisione, nel processo di “italianizzazione” di un paese ancora nel Mass media secondo dopoguerra prevalentemente dialettofono, e nella diffusione di un italiano stratificato nelle sue varietà e meno libresco di quello ufficiale e scolastico, avviando così il dibattito sull’italiano della scuola e sull’educazione linguistica.
  • 20. Dagli anni settanta in poi si sono moltiplicati gli studi sull’italiano dei mass media, di cui è stata riconosciuta l’importanza e responsabilità anche nell’evoluzione e nelle dinamiche di rinnovamento della lingua contemporanea. L’interesse dei linguisti, almeno negli ultimi due decenni, per le varietà diamesiche (legate al canale di comunicazione) è aumentato notevolmente: sono stati pubblicati numerosi e qualificati lavori sull’italiano parlato, scritto, trasmesso e, più recentemente, “digitato” attraverso le nuove tecnologie (SMS, e-mail, chat-line), e soprattutto nell’allestimento di ampi corpora elettronici e di liste di frequenza (come il Lessico di frequenza dell’italiano radiofonico a cura di Nicoletta Maraschio e Stefania Stefanelli). Inoltre il lavoro d’equipe in ambito universitario ha consentito di realizzare, in sincronia e con criteri e metodologie condivisi, indagini a largo spettro partendo da “osservatori” scientifici qualificati. Mass media
  • 21. Sul ruolo della televisione, “buona” o “cattiva” maestra anche di lingua, il dibattito, come è noto, è ancora aperto. Simonetta Losi in un articolo sulla rivista Lingua Italiana Oggi ripercorre la storia dei rapporti tra lingua italiana e TV, che «si è proposta, di volta in volta, come scuola di lingua, come strumento se non alternativo almeno complementare alla scuola, come modello di italiano “corretto”, come modello negativo in grado di determinare la morte del “buon italiano” e la creazione di una “lingua di plastica” e infine come specchio delle lingue, dei linguaggi e dei dialetti». Piuttosto che come specchio dell’italiano in tutte le sue varietà, a partire dagli anni ottanta la “neotelevisione” di flusso nel suo mescolamento di generi tende sempre più a essere uno specchio deformante, amplificando da un lato i registri linguistici bassi nella rappresentazione del parlato spontaneo e dall’altro spacciando come spontaneo il parlato-scritto simulato delle fiction. Televisione
  • 22. Nei primi tempi la televisione ha avuto un intento pedagogico di alfabetizzazione e di diffusione dell’italiano. Programma simbolo di quel primo periodo fu la trasmissione della RAI Non è mai troppo tardi, condotta dal Alberto Manzi che mirava ad alfabetizzare quelle minoranze (soprattutto di anziani e contadini) che non avevano imparato l’italiano a scuola. Televisione
  • 23. Dagli anni settanta a oggi, pur avendo sminuito l’iniziale impulso pedagogico, la televisione ha comunque svolto il ruolo di strumento di riflessione sulla lingua e gli usi linguistici: in trasmissioni come Una lingua per tutti o, più recentemente, ABC: l’ha detto la TV, Calepio tecnologie della lingua, Lemma e Verba volant attraverso il mezzo televisivo si è anche perseguito il fine didattico di analizzare la lingua in se stessa, nelle sue varie componenti, anche se la dura legge dell’audience ha spesso penalizzato, come fascia oraria, la programmazione di queste trasmissioni. Televisione
  • 24. Soprattutto è a scuola, sede dell’educazione linguistica, che si deve riflettere sulla “norma implicita” dei media a cui i ragazzi sono esposti quotidianamente e intensamente (giornali, radio, TV, cinema, fumetti, canzoni, pubblicità), e fornire l’orientamento nel variegato e spesso indistinto amalgama linguistico mediatico. Sono diverse le esperienze di indagine nel quotidiano delle classi di scuola superiore dove si osservano fenomeni innovativi rispetto allo standard di riferimento descritto dalle grammatiche (il cosiddetto neostandard) e dove Il ruolo della scuola emergono le varietà e il dilagare della dimensione orale nello scritto, il riconoscimento di tendenze “trasversali” che coinvolgono diversi ambiti testuali.
  • 25. Un fenomeno, per esempio, che ha una forte ricaduta nell’organizzazione sintattica è la sempre più frequente frammentazione del periodo, segmentato dal punto fermo, utilizzato anche in contesti che tradizionalmente richiederebbero altri segni interpuntivi. Si sta affermando nelle varie tipologie di testo una scrittura che punta a un ritmo impressivo ed emotivo, non diverso da quello a cui ci hanno abituato i trailer cinematografici o i lanci dell’informazione televisiva, che non favorisce la comprensione del testo con la frantumazione dell’impalcatura sintattica. Il ruolo della scuola
  • 26. L’italiano è diventato solo recentemente una lingua «viva e intera», come auspicava Manzoni, una lingua anche parlata nelle varie circostanze della vita civile dalla maggioranza degli italiani. La nostra lingua appare dunque, oggi, in trasformazione più rapida rispetto al passato, dato che sta compiendo da pochi decenni un cammino che altre lingue europee nazionali hanno già percorso da alcuni secoli. Fenomeni evolutivi
  • 27. Queste, in sintesi, sono le tendenze evolutive più rilevanti degli ultimi decenni: • Si è potenziato l’apporto dell’inglese o dell’angloamericano, che è ormai divenuto prevalente rispetto a quello del francese. • Si sono consolidate le varietà regionali, che soprattutto nell’esecuzione orale rendono oggi quasi sempre riconoscibile la provenienza geografica di un parlante italiano: in particolare i tratti di pronuncia e intonazione (meno di lessico e sintassi), che caratterizzano anche l’italiano dei giovani solo italofoni. • Accanto all’italiano standard (varietà normativa di riferimento, più che effettivamente usata specie nel parlato) si è delineata una varietà definita neostandard (o “italiano dell’uso medio”), che si caratterizza per la “risalita” verso la norma di fenomeni soprattutto morfosintattici, documentati per lo più da secoli nell’italiano scritto, ma emarginati dalla grammatica tradizionale. Fenomeni evolutivi
  • 28. Rientrano nell’italiano neostandard i seguenti fenomeni: • lui, lei, Ioro come soggetti • gli per a lei, a loro • i pronomi ridondanti (A me mi piace) • il cosiddetto ci “attualizzante” • l’uso di cosa per che cosa (Cosa ci hai? Ci ho sonno) • il niente in funzione aggettivale (A Roma niente pioggia) • il che come connettivo polivalente (il giorno che mi hai visto; guarda che ti fai male) • il come mai invece di perché interrogativo (Come mai esci?) Italiano neostandard
  • 29. • l’uso dell’indicativo per il congiuntivo nelle dipendenti (Non so se hanno letto il libro) • l’uso del presente per il futuro (Domani andiamo a Roma) • l’uso dell’imperfetto per il congiuntivo e il condizionale nelle ipotetiche (Se facevi in fretta eravamo già arrivati) • fenomeni di sintassi marcata (dislocazioni a sinistra: La pizza l’ho mangiata oggi; o a destra: L’ho mangiata oggi, la pizza; frase scissa: è La pizza, che ho mangiata oggi). Alcuni di questi fenomeni del neostandard sono diffusi sia nel parlato sia nello scritto (come lui, lei, loro, gli per a loro, cosa, niente). Altri fenomeni, come certi usi del che, il tipo a me mi, gli per le, sono estesi soprattutto negli usi parlati informali, molto meno negli usi scritti, dove sembra ancora resistere bene, per esempio, il congiuntivo. Italiano neostandard
  • 30. Nell’italiano neostandard è chiaramente riconoscibile anche una tendenza alla semplificazione di paradigmi complessi (sistema dei pronomi e dei verbi) che gli usi parlati dell’italiano stanno potenziando, come è accaduto in altre lingue. Si sono potenziati e differenziati anche in senso “verticale” i sottocodici o lingue speciali (o settoriali), come la lingua dell’informatica e dell’economia, secondo i vari livelli d’uso (tra esperti, divulgativo ecc.). Italiano neostandard

Editor's Notes

  1. La grande emigrazione ha avuto come punto d’origine la diffusa povertà di vaste aree dell’Italia e la voglia di riscatto d’intere fasce della popolazione, la cui partenza significò per lo Stato e la società italiana un forte alleggerimento della "pressione demografica". Essa ebbe come destinazioni soprattutto l’America del sud e l’America del Nord (in particolare Argentina, Stati Uniti d’America e Brasile, paesi con grandi estensioni di terre non sfruttate e necessità di manodopera) e, in Europa, la Francia. Ebbe modalità e forme diverse a seconda dei paesi di destinazione. A partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l’Africa, che riguardò principalmente l’Egitto, la Tunisia ed il Marocco, ma che nel secolo XX interessò pure l’Unione Sudafricana e le colonie italiane della Libia e dell’Eritrea.
  2. Il Kinétographe dell’americano Thomas Edison, brevettato il 24 agosto 1891 e perfezionato dai fratelli Lumiere. La prima trasmissione radio è datata 1893 per opera del fisico serbo naturalizzato statunitense Nikola Tesla. l tubo a raggi catodici, fu inventato dal fisico tedesco Ferdinand Braun nel 1897, ma venne sviluppato nella televisione solo trent’anni dopo.
  3. La fonte sono i dati Doxa e Istat (M. D’Agostino 2007)
  4. La fonte sono i dati Doxa e Istat (M. D’Agostino 2007)
  5. I dati sono del 2006.
  6. Il cambio di codice può avvenire come code switching, o commutazione di codice, cioè passaggio dall’uso dell’italiano al dialetto e viceversa, oppure come code mixing, o mescolanza di codice o parlato mistilingue, cioè mescolanza di italiano e dialetto all’interno della frase.
  7. il Lessico di frequenza dell’italiano radiofonico è stato compilato presso il Centro di Studi di Grammatica italiana dell’Accademia della Crusca: progetto di un corpus, trascritto e “in voce” di circa 50 ore di parlato radiofonico corrispondenti a circa 500.000 occorrenze lessicali.
  8. La televisione buona maestra di italiano? Nella rivista «Lingua italiana d’oggi».
  9. Non è mai troppo tardi è un corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta è il titolo di una trasmissione televisiva curata da Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni, mandata in onda dalla RAI nel tardo pomeriggio dal lunedì al venerdì negli anni ’60 e organizzata con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione.
  10. Non è mai troppo tardi è un corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta è il titolo di una trasmissione televisiva curata da Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni, mandata in onda dalla RAI dal lunedì al venerdì negli anni ’60 e organizzata con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione.