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La diffusione dell’italiano
oltre gli usi letterari
Testi tecnici, pratici,
e diffusione della competenza
linguistica dell’italiano
Fuori dall’uso scritto a scopi artistici il processo di adeguamento
alla norma della lingua letteraria fu più complesso e irregolare.
La diffusione del nuovo sistema linguistico fiorentino-toscano
(come in tutti i processi di standardizzazione) non è avvenuta
all’improvviso e non si è realizzata in una sostituzione radicale,
priva di residui dei precedenti sistemi locali.
È stata piuttosto un’infiltrazione lenta e graduale attraverso varie
fasi di incontri a metà strada e di compromessi tra il sistema
egemone in espansione (la lingua italiana) e i sistemi minori
(dialetti) che lo fronteggiavano.
Canali di diffusione e varietà
L’italiano dei testi tecnici e pratici offre molti
esempi di questi “compromessi”, e una notevole
varietà di esiti (dipendenti anche dalla provenienza
e dal tipo di cultura degli scriventi).
Un buon esempio sono i testi del matematico
Niccolò Tartaglia che si confessa «Bresciano, cioè
un puoco grossetto di loquella [di lingua]».
Tartaglia usa nelle sue opere (per esempio nei
Quesiti et inventioni diverse, 1546 e 1554) una
lingua “italiana”, ma che mantiene ancora tratti
conservativi di koinè settentrionale, soprattutto
nella morfologia verbale (per es. l’oscillazione tra
chiamiamo e chiamamo, sappiamo e sapemo…).
Testi tecnici e pratici
Nella trattatistica d’arte, un genere che ha grande sviluppo nella seconda metà
del Cinquecento, invece si tende ad usare un italiano più regolato e lontano dalle
parlate locali. Caso esemplare è l’architetto Andrea Palladio nei Quattro libri
dell'architettura (1570) che usa un italiano selezionato, di base toscana, con
pochi venetismi lessicali (benefattori ‘abbeveratoi’, zenzale ‘zanzare’ ecc.).
Testi tecnici e pratici
Negli usi privati di scrittura, nelle lettere, nei
libri di memorie, affiorano spesso parole ed
espressioni regionali italianizzate, come
herbioni ‘piselli’, persichi ‘pesche’, pelizza
‘pelliccia’ in alcuni scriventi lombardi.
l settori dominati dai regionalismi sono quelli
delle nomenclature domestiche e tecniche,
delle arti e dei mestieri.
Testi tecnici e pratici
Il settore specialistico del diritto, continuando a
modellarsi sui testi latini del Corpus iuris civilis e del
Corpus iuris canonici, per tutto il Seicento resterà
dominio indiscusso del latino.
Quella giuridica era ormai ridotta ad una lingua
elitaria, incomprensibile all’uomo comune. L’uomo
di legge veniva spesso rappresentato come,
sofisticato, pedante, cavilloso e chiamato in tono
spregiativo “leguleio”.
La lingua giuridico-burocratica
Nelle scritture notarili (come i testamenti, i patti dotali, gli inventari, …) e nelle
scritture amministrative e burocratiche (gride, avvisi, ...) iniziano ad affiorare
comunque soprattutto tecnicismi e termini settoriali italianizzati.
Questo per esempio è un elenco di beni portati in dote in una carta dotale
pugliese di fine Cinquecento:
lm primis una letthèra [‘letto’] de campo nova.
Uno saccone nuovo in sarica [‘sargia’, stoffa].
Quattro lenzuoli, dui con le ardecelle [‘orli’] (uno pinto de refe rossa, un altro
pinto de refe bianca) et dui cosuti [‘cuciti’] a punti piani, tutti quattri nuovi.
Uno capitale [‘capezzale’] d'interlice [‘tela’] listato de bommace [‘bambagia’]
tarchina [‘turchina’] nuovo.
Anche dagli elenchi di mercanzie sottoposte al Dazio di Milano nell’arco di un
secolo (1580-1680), emerge una situazione lessicale conservativa, ma una
chiara tendenza all’italianizzazione fonomorfologica. Avvengono, per esempio,
queste trasformazioni: cugiali de legno diventa cucchiari de legno, bindello de
bombaso > bindello di bombace ‘fìlo di cotone’, foiete d'oro > fogliette d’oro ecc.
La lingua giuridico-burocratica
Le aperture consapevoli al volgare nel campo del diritto
furono poche, ma interessanti.
Un esempio eclatante (unico nel panorama degli stati
italiani preunitari) fu l’ordinanza emessa nel 1560 da
Emanuele Filiberto che prescriveva il volgare per lo
Stato Sabaudo nei settori dell’amministrazione, della
giustizia e degli atti notarili: il francese nei territori ad
ovest delle Alpi (la Savoia) e nella Valle d’Aosta e
l’italiano nei territori ad est (Piemonte) e a sud (Contea
di Nizza) delle Alpi.
La lingua giuridico-burocratica
Il provvedimento ricalcava quello del re di Francia Francesco I (che aveva
sostituito il latino col francese negli atti legislativi e amministrativi) e rimase un
caso isolato in Italia fino alla promulgazione del codice napoleonico (1806).
Un’importante novità fu l’opera dell’avvocato cardinal
Giovan Battista De Luca (1614-1683) che ebbe un ruolo
non secondario nell'amministrazione della giustizia e
nella stesura degli atti di governo dello Stato della Chiesa.
De Luca, dopo aver redatto per trent’anni testi in latino,
iniziò l’ambizioso progetto di redigere nella nuova lingua
una summa che comprendesse «tutta la legge civile,
Il Dottor Volgare di De Luca
canonica, feudale, e municipale, nelle cose più ricevute in pratica» e, nel 1673
pubblicò a Roma Il Dottor volgare, trattato al quale fece seguire alcuni opuscoli
(Dello stile legale e Difesa della lingua italiana) che illustrassero le motivazioni
della sua scelta linguistica rivoluzionaria e innovativa.
L’opera di De Luca esprime un forte ideale di chiarezza e l’idea di collocare su un
piano di uguaglianza (almeno teorica) chi legifera e chi è sottoposto alle leggi.
Per molti aspetti l’opera di De Luca fonda il lessico tecnico del diritto in
italiano moderno: sono molte delle voci d’ambito giuridico o di settori connessi
(economia, burocrazia, amministrazione dello stato, ecc.) che vedono la loro
prima attestazione proprio nel 1673, anno di pubblicazione del trattato. Eccone
un elenco incompleto:
abigeato, àlea (‘rischio economico’), alimentario (‘relativo agli alimenti economici’),
azione (‘quota di capitale’), captatorio, chirografario, collativo, collusivo, comodatario,
contributo (‘somma dovuta a un ente’), contumaciale, cumulativo, declinatoria,
decozione (‘stato di insolvenza debitoria’), devolutivo, espromissore, extradotale,
fiduciario, giratario, impugnabile, imputabile, inabilitare, inabilitazione, intestabile (‘che
non può disporre o ricevere per testamento’), liberatorio, locupletazione, moratorio,
mutuatario, negatorio, ordinatorio, patrocinatore, peculato, poziore (‘che conferisce un
diritto di prelazione’), pregiudizialità, prelegato (‘legato fatto all'erede’), prescrittibile,
promittente, rescissorio, restitutorio, stragiudiziale, successibile, successorio,
trasmittente (‘erede che muore prima di esercitare il suo diritto, che trasmette ai
successori’), ecc.
Il Dottor Volgare di De Luca
I nuovi termini italiani si presentano quasi sempre come una traduzione molto
fedele della base greca o latina (spesso non classica, ma ecclesiastica): ad es.
esigibile (‘che si può riscuotere’), fideiussorio, ipotecabile, illiquidità
(‘indisponibilità di denaro’), prorogabile, le locuzioni latine pro soluto (‘credito
in pagamento’), pro solvendo (‘che sarà pagato’), ecc.; in certi casi si tiene
presente un filone non scritto, quindi prettamente volgare, come nell’uso
sostantivale di pagherò per dire ‘cambiale’ («que’ polizzini che si dicono
volgarmente “pagherò”»).
Vi sono anche vocaboli di retaggio feudale, oggi sopravvissuti, come termini
storicamente importanti per descrivere i cambiamenti del sistema sociale:
burgensatico o allodiale (‘possesso non vincolato dal feudo’), enfitèuta («il
padrone diretto ed il feudatario, o enfitèuta, o conduttore perpetuo»), per non
citare termini che risalgono al diritto romano, come agnatizio (‘di un parente
maschio’) e nuncupazione (‘pronuncia solenne’).
Il Dottor Volgare di De Luca
La persistenza di tratti marcatamente locali e dialettali può connotare la
scrittura di scriventi poco colti, ad esempio di artigiani o bottegai, che
hanno imparato a scrivere in modo approssimativo nelle scuole
parrocchiali.
A partire dal Cinquecento abbiamo infatti una documentazione
consistente di scritture semicolte provenienti dalle varie regioni, cioè
prodotte da scriventi, uomini e donne, con un grado molto modesto di
alfabetizzazione e di competenza dell’italiano scritto come il libro di
memorie di un falegname milanese di fine Cinquecento, delle lettere di
briganti abruzzesi del Seicento, le lettere del piemontese Francesco Elia,
servitore di Vittorio Alfieri ecc.
Scritture semicolte
Un celebre esempio di scrittura semicolta è la trascrizione della confessione di
Bellezze Ursini, “strega” sabina del primo Cinquecento:
lo aio comenzato a scioiere lu sacco, de che semo vetate dale nostre patrone, e
nollo possemo dire se non a chi imparamo, pure io ve llo dirrò como se fa e come
facemo a streare onne iente [‘a stregare ogni gente’], che me è stato imparata e
òlo fatto imparare ad altre femene.
Scritture semicolte
Le scritture semicolte si diversificano per l’estrema variabilità nell’esecuzione
scritta dell’italiano, ma hanno alcune caratteristiche comuni. Queste le principali:
• l’invadenza del parlato nello scritto, fatto che si traduce nell’interferenza del
dialetto a tutti i livelli e nell'organizzazione sintattica e testuale approssimativa
(false partenze, ripetizioni, interruzioni, cambi di progetto, anacoluti ecc.);
• la scarsa competenza a livello di grafia e interpunzione e a livello lessicale-
semantico (che produce i cosiddetti “malapropismi”, cioè storpiature di termini
difficili, come micragna per emicrania);
• l’alternanza di registri diversi, quello alto, su cui di solito influisce la lingua
della Chiesa e della burocrazia, e quello basso, del parlato dialettale, che si
traduce nella coesistenza di espressioni dotte e popolari e di forme di uso
regionale o dialettale;
• l’uso frequente di parole generiche (fare, cosa ecc.).
Scritture semicolte
Il grado di standardizzazione nelle scritture è senza dubbio legato al complesso
problema dell'alfabetizzazione e ai modi di apprendimento dell’italiano scritto.
L’alfabetizzazione cresce in modo diverso nelle varie aree in rapporto a diversi
fattori. In certe zone fu fondamentale la missione religiosa ed educativa della
Chiesa tridentina e post-tridentina.
La Chiesa e l’alfabetizzazione
La Chiesa, con i suoi nuovi ordini religiosi (cappuccini,
barnabiti, gesuiti, somaschi, carmelitani), operò nel tessuto
sociale sia “dal basso” (con la predicazione) sia “dall’alto”
(con la scolarizzazione del clero e delle classi agiate). Nelle
scuole parrocchiali e con l’insegnamento della dottrina
cristiana veniva soprattutto sviluppata la capacità di
leggere a cui spesso veniva affiancata anche un’elementare
abilità di scrittura in lingua italiana.
L’istituzione dei registri parrocchiali, prototipo dei moderni uffici anagrafici (vi si
registrano battesimi, cresime, matrimoni, morti), determina il fenomeno della
stabilizzazione dei cognomi.
La nuova spinta verso il rigore morale e dottrinale, che parte dall’insegnamento
di età scolare, prevede anche…
• indicazioni precise sulla lettura della Bibbia, che deve essere letta
esclusivamente da chi conosce il latino (quindi dall’ecclesiastico, dal chierico)
• l’autorizzazione per stampare le Bibbie in volgare passa attraverso il
Sant’Uffizio, mettendo fine ai vari volgarizzamenti cinquecenteschi
• la supervisione del mercato librario, almeno di quello ufficiale nello Stato
della Chiesa e nei territori spagnoli, passa attraverso l’Indice dei libri proibiti
(Index librorum prohibitorum), che limita la diffusione di alcune opere.
La Chiesa e l’alfabetizzazione
Gli ordini religiosi riformati, spesso di nuova formazione, insieme alla dottrina
cristiana attuano l’insegnamento dell’italiano scritto di matrice bembiana che,
soprattutto grazie a questa spinta, inizia a espandere il suo raggio d’azione fuori
dell’ambito strettamente letterario. Rispetto all’italiano codificato dalla
grammaticografia cinquecentesca, questo nuovo italiano (che potremmo definire
“premanzoniano”) possiede alcuni tratti peculiari:
1) L’aspetto grafico-fonetico e la morfologia sono tendenzialmente
“conservativi”, aderente alla norma cinquecentesca: forme con la scempia o con
la doppia alternanti (tipo ubriaco/ubbriaco), dittongo e monottongo nel
vocalismo tonico e atono di alcuni verbi (tipo cuopre/copre, cuoprire/coprire;
sieguo/seguo, niego/nego ecc.), 1a pers. dell’imperfetto in -a (tipo io aveva), 2a
pers. del presente congiuntivo del tipo che tu abbi, che tu sii; determinativi lo e li
dopo la prep. per (tipo per lo passato, per li campi); enclisi e proclisi 'libera' nei
tipi pregolo/lo prego.
La Chiesa e l’alfabetizzazione
2) L’aspetto sintattico del periodo è più lineare e semplificato: i
moduli paratattici vengono preferiti a quelli ipotattici, si evita la
subordinazione di grado elevato e in generale tutti i fenomeni legati
allo stile periodico o latineggiante
3) Il lessico è ancora in fase di assestamento: si tende a eliminare
progressivamente (ma il processo si protrarrà fino alla seconda
metà dell'Ottocento) serie di parole troppo letterarie o arcaiche e a
sostituirle con allotropi o varianti correnti, tipo aere > aria, deo >
dio, magione > casa e simili.
La Chiesa e l’alfabetizzazione
Così, se da una parte per la forma grafica delle parole ci si rifà alla terza edizione
della Crusca (1691), che avvalora numerose oscillazioni ed esiti grafici
concorrenti, dall’altra nelle grammatiche più diffuse, anche a livello scolastico,
si avverte un irrigidimento della norma (si continua a censurare per esempio i
tipi io avevo, per il campo).
Su questa linea si iscrivono, solo per citare alcune grammatiche tra le più̀ diffuse,
gli Avvertimenti grammaticali del cardinale Sforza Pallavicino (1661), l’Ortografia
moderna italiana di Jacopo Facciolati (1721) pensata per gli alunni del seminario
di Padova, le fortunatissime Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte
a metodo (1745) di Salvatore Corticelli, più volte riedite fino a metà Ottocento,
considerata la prima grammatica specificamente rivolta alla scuola, in
particolare agli alunni del seminario di Bologna.
La Chiesa e l’alfabetizzazione
Il Predicatore (1609, postumo), trattato di oratoria sacra del vescovo francescano
(nato a Milano) Francesco Panigarola, esponente di spicco della linea
controriformistica uscita dal Concilio di Trento, è un tentativo di adeguare i
precetti dell’oratoria classica agli scopi della predicazione in volgare.
Una sezione del trattato è dedicata alla «lingua, che ha da adoperare il
predicatore italiano». Sul modello di analoghi trattati cinquecenteschi (come
l’Ercolano del Varchi), Panigarola pone dei «Quesiti» per trattare vari aspetti
della questione della lingua: respinta la posizione “italianista e cortigiana”,
accoglie il modello arcaizzante del Bembo, nella sua variante “moderata”
rappresentata dalle posizioni del Varchi ( che voleva conciliare il fiorentino “vivo”
con quello “letterario” del Trecento).
Il Predicatore di Francesco Panigarola
Nel libro il problema della lingua viene strettamente collegato alla scelta di uno specifico
strumento comunicativo da utilizzare nella pratica della predicazione religiosa. Panigarola
dà consigli pratici su come usare la lingua toscana nel modo più efficace. Per farsi
facilmente comprendere dal suo uditorio, il predicatore dovrà evitare, ad esempio:
• i settentrionalismi, cercando di «finire almeno le parole», poiché le parole toscane
terminano con finale vocalica
• gli arcaismi, anche della più alta tradizione letteraria trecentesca: amicizia e non
amistà, sorella non sirocchia, servitù non servaggio, ultimo non sezzaio...
• i latinismi “cancellereschi” del registro colto di politici, diplomatici, segretari:
claudicare ‘zoppicare’, interpellare ‘chiedere’
• i fiorentinismi incomprensibili fuori di Toscana, tipo mandare all’uccellatoio per
‘gabbare’, dar l’allodola per ‘adulare oppure cumulare è da preferire ad accatastare,
licenziarsi ad accomiatarsi, chiodi ad aguti, procurare a brigare, informazione a
contezza, guancia a gota, mediocre a mezzano, abuso a misuso, riprendere a ripigliare,
indietro a ritroso, scherzare a ruzzare, varcare a valicare, vigilia a veglia, …
Il Predicatore di Francesco Panigarola
Il cardinal Federico Borromeo (1564-1631), arcivescovo di Milano dal 1595, fu
un coltissimo umanista, cultore di scienze e arti, che si distinse per una serie di
iniziative sia culturali (nel 1609 fonda la Biblioteca Ambrosiana) sia caritative (il
suo impegno in opere assistenziali nella pestilenza del1630 è riportata anche
nell’opera del Manzoni). Molto impegnato nelle attività controriformistiche (De
propaganda fide, Indice, ecc.), Borromeo dedicò particolare cura alla formazione
scolastica dei religiosi. Istituì un Collegio trilingue, destinato alla formazione dei
sacerdoti che avrebbero operato nei seminari, dove accanto al latino e al greco si
insegnava anche il “toscano”.
Il suo modello di riferimento era la Ratio atque institutio studiorum dei gesuiti
(1599, edizione definitiva), che era fondata rigorosamente sull’insegnamento in
e del latino: Borromeo, prendendo spunto dalla Ratio, vuole emulare il rigoroso
metodo grammaticale dei gesuiti estendendo lo studio alla lingua letteraria
toscana, da affiancare a quello canonico delle due lingue classiche.
Federico Borromeo
Nelle sue Osservationi sopra le Novelle (cioè sul Decameron) e, soprattutto,
negli Avertimenti per la lingua toscana (composti intorno al1614), Borromeo
glossa vocaboli, forme e costrutti letterari ritenuti ormai desueti con l’obiettivo
di far tesoro di «una suppellettile di parole, e forme di dire, delle quali havremo
spesso bisogno per il progresso del dire, e dello scrivere».
L’ammirazione per la lingua dei trecentisti toscani, sempre dichiarati come
modelli di lingua elegante e propria, non impedisce a Borromeo di segnalare, a
lato della forma tradizionale, l’impiego più corrente.
Le indicazioni sono finalizzate al bisogno pratico di risolvere molte incertezze,
nelle quali i predicatori potevano incorrere quotidianamente.
un uso ritenuto 'corretto' per gli impieghi pubblici (di cui, in certi casi, prefigura
con un certo anticipo l'assetto futuro: si veda qui sotto il caso di per il + cons.
invece di per lo).
Federico Borromeo
Molte indicazioni vengono fornite riguardo alla morfologia, un settore dove si avvertiva il
bisogno di correggere le forme usuali di scriventi non toscani: negli articoli e nelle
preposizioni articolate, ad esempio, si prescrive il e non el, del e non dil, nello e nella non
ne lo, ne la, e anche, in contrasto con la norma bembiana, per il campo e non il
trecentesco per lo campo; nella morfologia del verbo si consiglia possiamo e non potiamo,
dovremmo e saremmo e non dovressimo e saressimo (particolarmente diffuse in scriventi
settentrionali), stesse e non stasse, bere e non bevere, poté e non puote, ecc.; sempre in
sintonia con l’uso corrente sono, nella sequenza dei clitici, il tipo me lo invece dell’antico
lo mi, gli si invece di se gli.
In alcune indicazioni si scorge anche una particolare attenzione alla fonetica sintattica ai
fini di rendere più gradevole la lingua, per es. la prostesi di i («i s’aggionge al principio
delle voci comincianti da doppia consonante delle quali la prima sia s, come in istratio,
non istea, et per isciagura»), e il troncamento negli infiniti («Gl'infiniti stanno bene molte
volte scorciati, mentre non segue un’altra parola che cominci da due consonanti et la
prima sia s, come: di far credere; di fare strepito»), ammesso solo se non segue parola che
inizi con s + consonante.
Federico Borromeo
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autore prolifico in latino e in
italiano, fonda nel 1732 a Scala (Salerno) la Congregazione
del Santissimo Redentore.
L’attività dei padri redentoristi, per le modalità e
l’attuazione di un vero e proprio piano pedagogico, si pone
come uno dei tentativi più importanti compiuti dalla
Chiesapostconciliare nel campo dell'istruzione e della
predicazione rivolta agli strati più bassi della popolazione.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Anche nell’operato missionario di sant’Alfonso e dei suoi seguaci emergono i tratti
della nuova lingua della predicazione: per esempio l’adozione di un registro non
troppo aulico che venisse incontro alle esigenze di comunicare con popolazioni
scarsamente o per nulla istruite, la promozione di una lingua dai tratti
sovraregionali e il deciso rifiuto del dialetto.
Rispetto alla pedagogia linguistica “dall’alto” di un Panigarola o di
un Borromeo, sant’Alfonso predilige uno stile e una lingua più
comuni e comunicativi.
Nella Selva di materie predicabili ed istruttive (1760), entrando nel
merito della lingua da usare, scrive: «le parole debbon essere
popolari ed usuali, i periodi corti e sciolti, imitando lo stesso modo
di ragionare che sogliono praticare tali sorte di persone tra di loro»
o ancora «nelle prediche non si parla solo a’ dotti, ma anche a’ rozzi
[…] per ciò sempre è spediente, che si predichi alla semplice, e
popolare».
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
La stessa esigenza è ribadita in una lettera del 1773, in cui fornisce
indicazioni a chi voglia stendere un sermone:
Quando V. R. scrive il sermone, si guardi di ogni parola ampollosa e gonfia, e che
non sia familiare, ed intelligibile anche ai villani. Che serve a dire magione per
casa, compiuto per compito, dovizia per ricchezze, trarre per tirare, dorso per le
spalle, veruno o nessuno per niuno, condonare per perdonare, pudore per
vergogna, impudenza per audacia, a prò per a favore, rammentare per ricordare,
agevolare per facilitare, aggradevole e malagevole per gradito e difficile,
consorte per marito e simili?
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Tra le diverse opere, anche di carattere linguistico, che sant’Alfonso redige
vengono pubblicati, intorno alla metà del Settecento, i Brevi avvertimenti di
grammatica e aritmetica, un breviario grammaticale pensato per venire
incontro alle richieste di un clero scarsamente alfabetizzato. L’opera è
un’interessante propria sintesi dei tratti salienti dell’italiano per la
predicazione e i precetti mirano ad essere più univoci e disambiguanti possibili.
Tra i pronomi personali soggetto, si prescrive al singolare egli, ei, e’, al plurale
eglino, egli, essi, al femminile ella, essa, plurale elle, elleno, esse, mentre si
censurano le forme lui e lei (che avranno via libera solo col Manzoni), a patto che
non si tratti di soggetto proprio in un costrutto assoluto; al dativo e per la scelta
del maschile singolare, si avverte che «i moderni usano più gli che li». Nelle
preposizioni articolate, si censura con il e con i a favore di col, coi, co’, mentre al
maschile l’articolo determinativo plurale ha tre forme: i, li, gli.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Nella morfologia del verbo, dove rientra anche la prescrizione ortografica di h in
ha e hanno, si conferma -iamo come uscita parificata per la prima pers. plurale
dell’indicativo, e si bandiscono forme come potiamo per possiamo, sete per
siete, ponno per possono, che avevano una discreta diffusione.
Prescrive il tipo io leggeva e a rifiutare leggevo, ammesso solo nei registri meno
formali dello scritto («ciò solo si tollera nelle pistole familiari»), seguendo e
confermando una regola ferrea dell’italiano premanzoniano, e aggiunge le forme
ridotte leggea, avea, ammesse sia alla prima sia alla terza persona.
In direzione decisamente sovraregionale sono indicati i tipi tacque e «non
tacette» nel passato remoto, «giungere e giunto, non giongere e gionto»,
«congiunto, non congionto».
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
La crescita dell’alfabetismo (più rapida nelle zone interessate a fenomeni
migratori, dov’era più forte il “bisogno” della scrittura) comportava anche
la diffusione di una produzione editoriale “di consumo”, richiesta da un
pubblico non di letterati, ma di commercianti e artigiani: manuali come lo
Specchio del mercatante o stampe popolari come i pronostici e i cantari.
La diffusione di questa produzione va considerata in relazione al carattere
conservativo della lingua di questi testi, che continuano a irradiare, più
che un modello toscano uniforme, un italiano di tipo “regionale”,
intessuto di oscillazioni tra forme toscane e forme locali.
L’editoria
Il filone editoriale più ricco è quello delle opere
religiose e devote, che viene enormemente
potenziato dopo il Concilio di Trento (1545-1563),
anche per la pratica di lettura collettiva, che
interessa anche i testi profani.
Da un lato si amplia il numero di coloro che
leggono e impiegano l’italiano scritto con una
grande varietà di realizzazioni; dall’altro viene
potenziata anche la competenza passiva, in primo
luogo dalla predicazione in italiano, che fu uno
dei cardini della politica linguistica della Chiesa
post-tridentina e uno dei principali tramiti del
processo di italianizzazione.
L’editoria

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026 Diffusione non letteraria

  • 1. La diffusione dell’italiano oltre gli usi letterari Testi tecnici, pratici, e diffusione della competenza linguistica dell’italiano
  • 2. Fuori dall’uso scritto a scopi artistici il processo di adeguamento alla norma della lingua letteraria fu più complesso e irregolare. La diffusione del nuovo sistema linguistico fiorentino-toscano (come in tutti i processi di standardizzazione) non è avvenuta all’improvviso e non si è realizzata in una sostituzione radicale, priva di residui dei precedenti sistemi locali. È stata piuttosto un’infiltrazione lenta e graduale attraverso varie fasi di incontri a metà strada e di compromessi tra il sistema egemone in espansione (la lingua italiana) e i sistemi minori (dialetti) che lo fronteggiavano. Canali di diffusione e varietà
  • 3. L’italiano dei testi tecnici e pratici offre molti esempi di questi “compromessi”, e una notevole varietà di esiti (dipendenti anche dalla provenienza e dal tipo di cultura degli scriventi). Un buon esempio sono i testi del matematico Niccolò Tartaglia che si confessa «Bresciano, cioè un puoco grossetto di loquella [di lingua]». Tartaglia usa nelle sue opere (per esempio nei Quesiti et inventioni diverse, 1546 e 1554) una lingua “italiana”, ma che mantiene ancora tratti conservativi di koinè settentrionale, soprattutto nella morfologia verbale (per es. l’oscillazione tra chiamiamo e chiamamo, sappiamo e sapemo…). Testi tecnici e pratici
  • 4. Nella trattatistica d’arte, un genere che ha grande sviluppo nella seconda metà del Cinquecento, invece si tende ad usare un italiano più regolato e lontano dalle parlate locali. Caso esemplare è l’architetto Andrea Palladio nei Quattro libri dell'architettura (1570) che usa un italiano selezionato, di base toscana, con pochi venetismi lessicali (benefattori ‘abbeveratoi’, zenzale ‘zanzare’ ecc.). Testi tecnici e pratici
  • 5. Negli usi privati di scrittura, nelle lettere, nei libri di memorie, affiorano spesso parole ed espressioni regionali italianizzate, come herbioni ‘piselli’, persichi ‘pesche’, pelizza ‘pelliccia’ in alcuni scriventi lombardi. l settori dominati dai regionalismi sono quelli delle nomenclature domestiche e tecniche, delle arti e dei mestieri. Testi tecnici e pratici
  • 6. Il settore specialistico del diritto, continuando a modellarsi sui testi latini del Corpus iuris civilis e del Corpus iuris canonici, per tutto il Seicento resterà dominio indiscusso del latino. Quella giuridica era ormai ridotta ad una lingua elitaria, incomprensibile all’uomo comune. L’uomo di legge veniva spesso rappresentato come, sofisticato, pedante, cavilloso e chiamato in tono spregiativo “leguleio”. La lingua giuridico-burocratica Nelle scritture notarili (come i testamenti, i patti dotali, gli inventari, …) e nelle scritture amministrative e burocratiche (gride, avvisi, ...) iniziano ad affiorare comunque soprattutto tecnicismi e termini settoriali italianizzati.
  • 7. Questo per esempio è un elenco di beni portati in dote in una carta dotale pugliese di fine Cinquecento: lm primis una letthèra [‘letto’] de campo nova. Uno saccone nuovo in sarica [‘sargia’, stoffa]. Quattro lenzuoli, dui con le ardecelle [‘orli’] (uno pinto de refe rossa, un altro pinto de refe bianca) et dui cosuti [‘cuciti’] a punti piani, tutti quattri nuovi. Uno capitale [‘capezzale’] d'interlice [‘tela’] listato de bommace [‘bambagia’] tarchina [‘turchina’] nuovo. Anche dagli elenchi di mercanzie sottoposte al Dazio di Milano nell’arco di un secolo (1580-1680), emerge una situazione lessicale conservativa, ma una chiara tendenza all’italianizzazione fonomorfologica. Avvengono, per esempio, queste trasformazioni: cugiali de legno diventa cucchiari de legno, bindello de bombaso > bindello di bombace ‘fìlo di cotone’, foiete d'oro > fogliette d’oro ecc. La lingua giuridico-burocratica
  • 8. Le aperture consapevoli al volgare nel campo del diritto furono poche, ma interessanti. Un esempio eclatante (unico nel panorama degli stati italiani preunitari) fu l’ordinanza emessa nel 1560 da Emanuele Filiberto che prescriveva il volgare per lo Stato Sabaudo nei settori dell’amministrazione, della giustizia e degli atti notarili: il francese nei territori ad ovest delle Alpi (la Savoia) e nella Valle d’Aosta e l’italiano nei territori ad est (Piemonte) e a sud (Contea di Nizza) delle Alpi. La lingua giuridico-burocratica Il provvedimento ricalcava quello del re di Francia Francesco I (che aveva sostituito il latino col francese negli atti legislativi e amministrativi) e rimase un caso isolato in Italia fino alla promulgazione del codice napoleonico (1806).
  • 9. Un’importante novità fu l’opera dell’avvocato cardinal Giovan Battista De Luca (1614-1683) che ebbe un ruolo non secondario nell'amministrazione della giustizia e nella stesura degli atti di governo dello Stato della Chiesa. De Luca, dopo aver redatto per trent’anni testi in latino, iniziò l’ambizioso progetto di redigere nella nuova lingua una summa che comprendesse «tutta la legge civile, Il Dottor Volgare di De Luca canonica, feudale, e municipale, nelle cose più ricevute in pratica» e, nel 1673 pubblicò a Roma Il Dottor volgare, trattato al quale fece seguire alcuni opuscoli (Dello stile legale e Difesa della lingua italiana) che illustrassero le motivazioni della sua scelta linguistica rivoluzionaria e innovativa. L’opera di De Luca esprime un forte ideale di chiarezza e l’idea di collocare su un piano di uguaglianza (almeno teorica) chi legifera e chi è sottoposto alle leggi.
  • 10. Per molti aspetti l’opera di De Luca fonda il lessico tecnico del diritto in italiano moderno: sono molte delle voci d’ambito giuridico o di settori connessi (economia, burocrazia, amministrazione dello stato, ecc.) che vedono la loro prima attestazione proprio nel 1673, anno di pubblicazione del trattato. Eccone un elenco incompleto: abigeato, àlea (‘rischio economico’), alimentario (‘relativo agli alimenti economici’), azione (‘quota di capitale’), captatorio, chirografario, collativo, collusivo, comodatario, contributo (‘somma dovuta a un ente’), contumaciale, cumulativo, declinatoria, decozione (‘stato di insolvenza debitoria’), devolutivo, espromissore, extradotale, fiduciario, giratario, impugnabile, imputabile, inabilitare, inabilitazione, intestabile (‘che non può disporre o ricevere per testamento’), liberatorio, locupletazione, moratorio, mutuatario, negatorio, ordinatorio, patrocinatore, peculato, poziore (‘che conferisce un diritto di prelazione’), pregiudizialità, prelegato (‘legato fatto all'erede’), prescrittibile, promittente, rescissorio, restitutorio, stragiudiziale, successibile, successorio, trasmittente (‘erede che muore prima di esercitare il suo diritto, che trasmette ai successori’), ecc. Il Dottor Volgare di De Luca
  • 11. I nuovi termini italiani si presentano quasi sempre come una traduzione molto fedele della base greca o latina (spesso non classica, ma ecclesiastica): ad es. esigibile (‘che si può riscuotere’), fideiussorio, ipotecabile, illiquidità (‘indisponibilità di denaro’), prorogabile, le locuzioni latine pro soluto (‘credito in pagamento’), pro solvendo (‘che sarà pagato’), ecc.; in certi casi si tiene presente un filone non scritto, quindi prettamente volgare, come nell’uso sostantivale di pagherò per dire ‘cambiale’ («que’ polizzini che si dicono volgarmente “pagherò”»). Vi sono anche vocaboli di retaggio feudale, oggi sopravvissuti, come termini storicamente importanti per descrivere i cambiamenti del sistema sociale: burgensatico o allodiale (‘possesso non vincolato dal feudo’), enfitèuta («il padrone diretto ed il feudatario, o enfitèuta, o conduttore perpetuo»), per non citare termini che risalgono al diritto romano, come agnatizio (‘di un parente maschio’) e nuncupazione (‘pronuncia solenne’). Il Dottor Volgare di De Luca
  • 12. La persistenza di tratti marcatamente locali e dialettali può connotare la scrittura di scriventi poco colti, ad esempio di artigiani o bottegai, che hanno imparato a scrivere in modo approssimativo nelle scuole parrocchiali. A partire dal Cinquecento abbiamo infatti una documentazione consistente di scritture semicolte provenienti dalle varie regioni, cioè prodotte da scriventi, uomini e donne, con un grado molto modesto di alfabetizzazione e di competenza dell’italiano scritto come il libro di memorie di un falegname milanese di fine Cinquecento, delle lettere di briganti abruzzesi del Seicento, le lettere del piemontese Francesco Elia, servitore di Vittorio Alfieri ecc. Scritture semicolte
  • 13. Un celebre esempio di scrittura semicolta è la trascrizione della confessione di Bellezze Ursini, “strega” sabina del primo Cinquecento: lo aio comenzato a scioiere lu sacco, de che semo vetate dale nostre patrone, e nollo possemo dire se non a chi imparamo, pure io ve llo dirrò como se fa e come facemo a streare onne iente [‘a stregare ogni gente’], che me è stato imparata e òlo fatto imparare ad altre femene. Scritture semicolte
  • 14. Le scritture semicolte si diversificano per l’estrema variabilità nell’esecuzione scritta dell’italiano, ma hanno alcune caratteristiche comuni. Queste le principali: • l’invadenza del parlato nello scritto, fatto che si traduce nell’interferenza del dialetto a tutti i livelli e nell'organizzazione sintattica e testuale approssimativa (false partenze, ripetizioni, interruzioni, cambi di progetto, anacoluti ecc.); • la scarsa competenza a livello di grafia e interpunzione e a livello lessicale- semantico (che produce i cosiddetti “malapropismi”, cioè storpiature di termini difficili, come micragna per emicrania); • l’alternanza di registri diversi, quello alto, su cui di solito influisce la lingua della Chiesa e della burocrazia, e quello basso, del parlato dialettale, che si traduce nella coesistenza di espressioni dotte e popolari e di forme di uso regionale o dialettale; • l’uso frequente di parole generiche (fare, cosa ecc.). Scritture semicolte
  • 15. Il grado di standardizzazione nelle scritture è senza dubbio legato al complesso problema dell'alfabetizzazione e ai modi di apprendimento dell’italiano scritto. L’alfabetizzazione cresce in modo diverso nelle varie aree in rapporto a diversi fattori. In certe zone fu fondamentale la missione religiosa ed educativa della Chiesa tridentina e post-tridentina. La Chiesa e l’alfabetizzazione La Chiesa, con i suoi nuovi ordini religiosi (cappuccini, barnabiti, gesuiti, somaschi, carmelitani), operò nel tessuto sociale sia “dal basso” (con la predicazione) sia “dall’alto” (con la scolarizzazione del clero e delle classi agiate). Nelle scuole parrocchiali e con l’insegnamento della dottrina cristiana veniva soprattutto sviluppata la capacità di leggere a cui spesso veniva affiancata anche un’elementare abilità di scrittura in lingua italiana.
  • 16. L’istituzione dei registri parrocchiali, prototipo dei moderni uffici anagrafici (vi si registrano battesimi, cresime, matrimoni, morti), determina il fenomeno della stabilizzazione dei cognomi. La nuova spinta verso il rigore morale e dottrinale, che parte dall’insegnamento di età scolare, prevede anche… • indicazioni precise sulla lettura della Bibbia, che deve essere letta esclusivamente da chi conosce il latino (quindi dall’ecclesiastico, dal chierico) • l’autorizzazione per stampare le Bibbie in volgare passa attraverso il Sant’Uffizio, mettendo fine ai vari volgarizzamenti cinquecenteschi • la supervisione del mercato librario, almeno di quello ufficiale nello Stato della Chiesa e nei territori spagnoli, passa attraverso l’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum), che limita la diffusione di alcune opere. La Chiesa e l’alfabetizzazione
  • 17. Gli ordini religiosi riformati, spesso di nuova formazione, insieme alla dottrina cristiana attuano l’insegnamento dell’italiano scritto di matrice bembiana che, soprattutto grazie a questa spinta, inizia a espandere il suo raggio d’azione fuori dell’ambito strettamente letterario. Rispetto all’italiano codificato dalla grammaticografia cinquecentesca, questo nuovo italiano (che potremmo definire “premanzoniano”) possiede alcuni tratti peculiari: 1) L’aspetto grafico-fonetico e la morfologia sono tendenzialmente “conservativi”, aderente alla norma cinquecentesca: forme con la scempia o con la doppia alternanti (tipo ubriaco/ubbriaco), dittongo e monottongo nel vocalismo tonico e atono di alcuni verbi (tipo cuopre/copre, cuoprire/coprire; sieguo/seguo, niego/nego ecc.), 1a pers. dell’imperfetto in -a (tipo io aveva), 2a pers. del presente congiuntivo del tipo che tu abbi, che tu sii; determinativi lo e li dopo la prep. per (tipo per lo passato, per li campi); enclisi e proclisi 'libera' nei tipi pregolo/lo prego. La Chiesa e l’alfabetizzazione
  • 18. 2) L’aspetto sintattico del periodo è più lineare e semplificato: i moduli paratattici vengono preferiti a quelli ipotattici, si evita la subordinazione di grado elevato e in generale tutti i fenomeni legati allo stile periodico o latineggiante 3) Il lessico è ancora in fase di assestamento: si tende a eliminare progressivamente (ma il processo si protrarrà fino alla seconda metà dell'Ottocento) serie di parole troppo letterarie o arcaiche e a sostituirle con allotropi o varianti correnti, tipo aere > aria, deo > dio, magione > casa e simili. La Chiesa e l’alfabetizzazione
  • 19. Così, se da una parte per la forma grafica delle parole ci si rifà alla terza edizione della Crusca (1691), che avvalora numerose oscillazioni ed esiti grafici concorrenti, dall’altra nelle grammatiche più diffuse, anche a livello scolastico, si avverte un irrigidimento della norma (si continua a censurare per esempio i tipi io avevo, per il campo). Su questa linea si iscrivono, solo per citare alcune grammatiche tra le più̀ diffuse, gli Avvertimenti grammaticali del cardinale Sforza Pallavicino (1661), l’Ortografia moderna italiana di Jacopo Facciolati (1721) pensata per gli alunni del seminario di Padova, le fortunatissime Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo (1745) di Salvatore Corticelli, più volte riedite fino a metà Ottocento, considerata la prima grammatica specificamente rivolta alla scuola, in particolare agli alunni del seminario di Bologna. La Chiesa e l’alfabetizzazione
  • 20. Il Predicatore (1609, postumo), trattato di oratoria sacra del vescovo francescano (nato a Milano) Francesco Panigarola, esponente di spicco della linea controriformistica uscita dal Concilio di Trento, è un tentativo di adeguare i precetti dell’oratoria classica agli scopi della predicazione in volgare. Una sezione del trattato è dedicata alla «lingua, che ha da adoperare il predicatore italiano». Sul modello di analoghi trattati cinquecenteschi (come l’Ercolano del Varchi), Panigarola pone dei «Quesiti» per trattare vari aspetti della questione della lingua: respinta la posizione “italianista e cortigiana”, accoglie il modello arcaizzante del Bembo, nella sua variante “moderata” rappresentata dalle posizioni del Varchi ( che voleva conciliare il fiorentino “vivo” con quello “letterario” del Trecento). Il Predicatore di Francesco Panigarola
  • 21. Nel libro il problema della lingua viene strettamente collegato alla scelta di uno specifico strumento comunicativo da utilizzare nella pratica della predicazione religiosa. Panigarola dà consigli pratici su come usare la lingua toscana nel modo più efficace. Per farsi facilmente comprendere dal suo uditorio, il predicatore dovrà evitare, ad esempio: • i settentrionalismi, cercando di «finire almeno le parole», poiché le parole toscane terminano con finale vocalica • gli arcaismi, anche della più alta tradizione letteraria trecentesca: amicizia e non amistà, sorella non sirocchia, servitù non servaggio, ultimo non sezzaio... • i latinismi “cancellereschi” del registro colto di politici, diplomatici, segretari: claudicare ‘zoppicare’, interpellare ‘chiedere’ • i fiorentinismi incomprensibili fuori di Toscana, tipo mandare all’uccellatoio per ‘gabbare’, dar l’allodola per ‘adulare oppure cumulare è da preferire ad accatastare, licenziarsi ad accomiatarsi, chiodi ad aguti, procurare a brigare, informazione a contezza, guancia a gota, mediocre a mezzano, abuso a misuso, riprendere a ripigliare, indietro a ritroso, scherzare a ruzzare, varcare a valicare, vigilia a veglia, … Il Predicatore di Francesco Panigarola
  • 22. Il cardinal Federico Borromeo (1564-1631), arcivescovo di Milano dal 1595, fu un coltissimo umanista, cultore di scienze e arti, che si distinse per una serie di iniziative sia culturali (nel 1609 fonda la Biblioteca Ambrosiana) sia caritative (il suo impegno in opere assistenziali nella pestilenza del1630 è riportata anche nell’opera del Manzoni). Molto impegnato nelle attività controriformistiche (De propaganda fide, Indice, ecc.), Borromeo dedicò particolare cura alla formazione scolastica dei religiosi. Istituì un Collegio trilingue, destinato alla formazione dei sacerdoti che avrebbero operato nei seminari, dove accanto al latino e al greco si insegnava anche il “toscano”. Il suo modello di riferimento era la Ratio atque institutio studiorum dei gesuiti (1599, edizione definitiva), che era fondata rigorosamente sull’insegnamento in e del latino: Borromeo, prendendo spunto dalla Ratio, vuole emulare il rigoroso metodo grammaticale dei gesuiti estendendo lo studio alla lingua letteraria toscana, da affiancare a quello canonico delle due lingue classiche. Federico Borromeo
  • 23. Nelle sue Osservationi sopra le Novelle (cioè sul Decameron) e, soprattutto, negli Avertimenti per la lingua toscana (composti intorno al1614), Borromeo glossa vocaboli, forme e costrutti letterari ritenuti ormai desueti con l’obiettivo di far tesoro di «una suppellettile di parole, e forme di dire, delle quali havremo spesso bisogno per il progresso del dire, e dello scrivere». L’ammirazione per la lingua dei trecentisti toscani, sempre dichiarati come modelli di lingua elegante e propria, non impedisce a Borromeo di segnalare, a lato della forma tradizionale, l’impiego più corrente. Le indicazioni sono finalizzate al bisogno pratico di risolvere molte incertezze, nelle quali i predicatori potevano incorrere quotidianamente. un uso ritenuto 'corretto' per gli impieghi pubblici (di cui, in certi casi, prefigura con un certo anticipo l'assetto futuro: si veda qui sotto il caso di per il + cons. invece di per lo). Federico Borromeo
  • 24. Molte indicazioni vengono fornite riguardo alla morfologia, un settore dove si avvertiva il bisogno di correggere le forme usuali di scriventi non toscani: negli articoli e nelle preposizioni articolate, ad esempio, si prescrive il e non el, del e non dil, nello e nella non ne lo, ne la, e anche, in contrasto con la norma bembiana, per il campo e non il trecentesco per lo campo; nella morfologia del verbo si consiglia possiamo e non potiamo, dovremmo e saremmo e non dovressimo e saressimo (particolarmente diffuse in scriventi settentrionali), stesse e non stasse, bere e non bevere, poté e non puote, ecc.; sempre in sintonia con l’uso corrente sono, nella sequenza dei clitici, il tipo me lo invece dell’antico lo mi, gli si invece di se gli. In alcune indicazioni si scorge anche una particolare attenzione alla fonetica sintattica ai fini di rendere più gradevole la lingua, per es. la prostesi di i («i s’aggionge al principio delle voci comincianti da doppia consonante delle quali la prima sia s, come in istratio, non istea, et per isciagura»), e il troncamento negli infiniti («Gl'infiniti stanno bene molte volte scorciati, mentre non segue un’altra parola che cominci da due consonanti et la prima sia s, come: di far credere; di fare strepito»), ammesso solo se non segue parola che inizi con s + consonante. Federico Borromeo
  • 25. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autore prolifico in latino e in italiano, fonda nel 1732 a Scala (Salerno) la Congregazione del Santissimo Redentore. L’attività dei padri redentoristi, per le modalità e l’attuazione di un vero e proprio piano pedagogico, si pone come uno dei tentativi più importanti compiuti dalla Chiesapostconciliare nel campo dell'istruzione e della predicazione rivolta agli strati più bassi della popolazione. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori Anche nell’operato missionario di sant’Alfonso e dei suoi seguaci emergono i tratti della nuova lingua della predicazione: per esempio l’adozione di un registro non troppo aulico che venisse incontro alle esigenze di comunicare con popolazioni scarsamente o per nulla istruite, la promozione di una lingua dai tratti sovraregionali e il deciso rifiuto del dialetto.
  • 26. Rispetto alla pedagogia linguistica “dall’alto” di un Panigarola o di un Borromeo, sant’Alfonso predilige uno stile e una lingua più comuni e comunicativi. Nella Selva di materie predicabili ed istruttive (1760), entrando nel merito della lingua da usare, scrive: «le parole debbon essere popolari ed usuali, i periodi corti e sciolti, imitando lo stesso modo di ragionare che sogliono praticare tali sorte di persone tra di loro» o ancora «nelle prediche non si parla solo a’ dotti, ma anche a’ rozzi […] per ciò sempre è spediente, che si predichi alla semplice, e popolare». Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
  • 27. La stessa esigenza è ribadita in una lettera del 1773, in cui fornisce indicazioni a chi voglia stendere un sermone: Quando V. R. scrive il sermone, si guardi di ogni parola ampollosa e gonfia, e che non sia familiare, ed intelligibile anche ai villani. Che serve a dire magione per casa, compiuto per compito, dovizia per ricchezze, trarre per tirare, dorso per le spalle, veruno o nessuno per niuno, condonare per perdonare, pudore per vergogna, impudenza per audacia, a prò per a favore, rammentare per ricordare, agevolare per facilitare, aggradevole e malagevole per gradito e difficile, consorte per marito e simili? Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
  • 28. Tra le diverse opere, anche di carattere linguistico, che sant’Alfonso redige vengono pubblicati, intorno alla metà del Settecento, i Brevi avvertimenti di grammatica e aritmetica, un breviario grammaticale pensato per venire incontro alle richieste di un clero scarsamente alfabetizzato. L’opera è un’interessante propria sintesi dei tratti salienti dell’italiano per la predicazione e i precetti mirano ad essere più univoci e disambiguanti possibili. Tra i pronomi personali soggetto, si prescrive al singolare egli, ei, e’, al plurale eglino, egli, essi, al femminile ella, essa, plurale elle, elleno, esse, mentre si censurano le forme lui e lei (che avranno via libera solo col Manzoni), a patto che non si tratti di soggetto proprio in un costrutto assoluto; al dativo e per la scelta del maschile singolare, si avverte che «i moderni usano più gli che li». Nelle preposizioni articolate, si censura con il e con i a favore di col, coi, co’, mentre al maschile l’articolo determinativo plurale ha tre forme: i, li, gli. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
  • 29. Nella morfologia del verbo, dove rientra anche la prescrizione ortografica di h in ha e hanno, si conferma -iamo come uscita parificata per la prima pers. plurale dell’indicativo, e si bandiscono forme come potiamo per possiamo, sete per siete, ponno per possono, che avevano una discreta diffusione. Prescrive il tipo io leggeva e a rifiutare leggevo, ammesso solo nei registri meno formali dello scritto («ciò solo si tollera nelle pistole familiari»), seguendo e confermando una regola ferrea dell’italiano premanzoniano, e aggiunge le forme ridotte leggea, avea, ammesse sia alla prima sia alla terza persona. In direzione decisamente sovraregionale sono indicati i tipi tacque e «non tacette» nel passato remoto, «giungere e giunto, non giongere e gionto», «congiunto, non congionto». Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
  • 30. La crescita dell’alfabetismo (più rapida nelle zone interessate a fenomeni migratori, dov’era più forte il “bisogno” della scrittura) comportava anche la diffusione di una produzione editoriale “di consumo”, richiesta da un pubblico non di letterati, ma di commercianti e artigiani: manuali come lo Specchio del mercatante o stampe popolari come i pronostici e i cantari. La diffusione di questa produzione va considerata in relazione al carattere conservativo della lingua di questi testi, che continuano a irradiare, più che un modello toscano uniforme, un italiano di tipo “regionale”, intessuto di oscillazioni tra forme toscane e forme locali. L’editoria
  • 31. Il filone editoriale più ricco è quello delle opere religiose e devote, che viene enormemente potenziato dopo il Concilio di Trento (1545-1563), anche per la pratica di lettura collettiva, che interessa anche i testi profani. Da un lato si amplia il numero di coloro che leggono e impiegano l’italiano scritto con una grande varietà di realizzazioni; dall’altro viene potenziata anche la competenza passiva, in primo luogo dalla predicazione in italiano, che fu uno dei cardini della politica linguistica della Chiesa post-tridentina e uno dei principali tramiti del processo di italianizzazione. L’editoria

Editor's Notes

  1. Al suo soprannome (Tartaglia), dovuto al suo linguaggio balbettante, è legato il noto triangolo numerico, detto triangolo di Tartaglia e la scoperta della risoluzione algebrica delle equazioni di terzo grado.
  2. Anche l’Alberti che aveva scritto il De Pictura prima in latino, poi lo aveva auto-tradotto in italiano. Andrea Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (Padova 1508 – Maser 1580), è stato un architetto, teorico dell'architettura e scenografo italiano del Rinascimento, cittadino della Repubblica di Venezia. Influenzato dall'architettura greco-romana, anzitutto da Vitruvio, è considerato una delle personalità più influenti nella storia dell'architettura occidentale
  3. Il Giurista dell’Arcimboldi Il Corpus iuris civilis o Corpus iuris Iustinianeum (529-534) è la raccolta di materiale normativo e materiale giurisprudenziale di diritto romano, voluta dall'imperatore bizantino Giustiniano I (527-565) per riordinare l'ormai caotico sistema giuridico dell'impero e rimase alla base del sistema giuridico di Bisanzio. In Occidente la sua applicazione fu limitata ai territori dell'Italia meridionale, sotto il dominio bizantino, e fu riscoperta e rielaborata dalla scuola bolognese nel XII secolo, in contrasto con le leggi di origine barbarica in uso, ed è la base del diritto di molti Stati moderni. Il Corpus Iuris Canonici è un corpo normativo sul diritto canonico della Chiesa cattolica, pubblicato ufficialmente nel 1582 e comprendente
  4. Il Dottor Volgare ispira un numero sempre maggiore di opere giuridiche in volgare Si notano subito i termini legati a modalità giuridiche che hanno un forte impatto sulla collettività, come ad es. il diritto legato alla successione di beni o il diritto creditizio.
  5. I beni burgensatici e allodiali erano i terreni slegati dai vincoli feudali. Scipione Maffei, in un appunto rivolto agli accademici della Crusca, che avevano fino alla quarta impressione del Vocabolario (1729-38) praticamente ignorato il lessico giuridico, scrive: «Ma chi potrebbe credere, che ignorarono fino il gran corpo d'ogni materia legale del Cardinal De Luca d'un simile al quale nissun'altra volgar lingua può far mostra?». Un debito che la lessicografia storica italiana ha prontamente saldato nel corso dell'Ottocento: esempi numerosi tratti dal Dottor volgare compaiono infatti nell'importante Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo di G. Rezasco (1881), nel monumentale Dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo e B. Bellini (1865-79), e infine nella quinta impressione della Crusca (1863-1923), dove dalla lettera A alla G circa cinquecento voci hanno esempi tratti dal Dottor volgare, e tra queste ben centoquaranta risultano prime attestazioni della parola.
  6. ‘lo ho cominciata a vuotare (lett. ‘sciogliere’) il sacco, del che siamo vietate dalle nostre padrone, e non lo possiamo dire se non a coloro a cui insegniamo l’arte, pur tuttavia io ve lo dirò come si fa e come facciamo a stregare tutti (lett. ‘ogni gente’), il che mi è stato insegnato e io l’ho fatto imparare ad altre donne’. Bellezze Ursini viveva a Collevecchio, un piccolo centro della Sabina tra Roma e Rieti, e al suo lavoro di domestica alternava ogni tanto quello di guaritrice: un'attività mal vista, per cui nel 1527 (o forse 1528) si ritrovò a essere processata con l'accusa di stregoneria. Stremata dalle torture, finì per scrivere una confessione autografa in cui – sperando nel perdono – riconosceva tutte le colpe che le erano state attribuite. Non servì a niente: prima di finire sul rogo, Bellezze preferì suicidarsi in carcere.
  7. Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. San Carlo è considerato tra i massimi riformatori della chiesa cattolica nel XVI secolo assieme a Sant'Ignazio di Loyola ed a San Filippo Neri, guidando il movimento della Controriforma contrapposta alla riforma protestante. Tra le riforme di maggior peso da lui proposte ed accettate dal Concilio di Trento, vi fu la fondazione dei seminari per la corretta formazione dei presbiteri e la loro educazione. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  8. Risalgono a questo periodo consuetudini che hanno un ruolo nello stabilizzare gli assetti del territorio italiano Libri all’Indice: Dante Alighieri (De Monarchia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino). Il Cortegiano viene epurato eliminando i personaggi ecclesiastici (il vescovo di Potenza diventò podestà), le espressioni cattoliche (Guardate bel becco! pare un san Paolo diventò Guardate bel becco! pare un Dante), Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  9. Risalgono a questo periodo consuetudini che hanno un ruolo nello stabilizzare gli assetti del territorio italiano Libri all’Indice: Dante Alighieri (De Monarchia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino). Il Cortegiano viene epurato eliminando i personaggi ecclesiastici (il vescovo di Potenza diventò podestà), le espressioni cattoliche (Guardate bel becco! pare un san Paolo diventò Guardate bel becco! pare un Dante), Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  10. Risalgono a questo periodo consuetudini che hanno un ruolo nello stabilizzare gli assetti del territorio italiano Libri all’Indice: Dante Alighieri (De Monarchia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino). Il Cortegiano viene epurato eliminando i personaggi ecclesiastici (il vescovo di Potenza diventò podestà), le espressioni cattoliche (Guardate bel becco! pare un san Paolo diventò Guardate bel becco! pare un Dante), Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  11. Risalgono a questo periodo consuetudini che hanno un ruolo nello stabilizzare gli assetti del territorio italiano Libri all’Indice: Dante Alighieri (De Monarchia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino). Il Cortegiano viene epurato eliminando i personaggi ecclesiastici (il vescovo di Potenza diventò podestà), le espressioni cattoliche (Guardate bel becco! pare un san Paolo diventò Guardate bel becco! pare un Dante), Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  12. Risalgono a questo periodo consuetudini che hanno un ruolo nello stabilizzare gli assetti del territorio italiano Libri all’Indice: Dante Alighieri (De Monarchia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino). Il Cortegiano viene epurato eliminando i personaggi ecclesiastici (il vescovo di Potenza diventò podestà), le espressioni cattoliche (Guardate bel becco! pare un san Paolo diventò Guardate bel becco! pare un Dante), Il concilio di Trento, che in teoria avrebbe dovuto "conciliare" cattolici e protestanti, durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563, sotto il pontificato di tre papi. Federico Borromeo (Milano 1564 – Milano 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595. Personaggio chiave (e fonte documentaria) nei Promessi Sposi di Manzoni.
  13. I predicatori, come i venditori ambulanti, all’epoca dovevano parlare una specie di toscano “lingua franca”, una varietà di “lingua mercantile” o “linguaggio itinerario” che sta alle origini degli italiani regionali parlati di cui si intensificheranno le testimonianze nei secoli successivi.
  14. Il cardinale Federigo immortalato nei Promessi sposi del Manzoni. La Ratio era il corso ufficiale per l'istruzione dei gesuiti scritto da vari autori.
  15. Il cardinale Federigo immortalato nei Promessi sposi del Manzoni. La Ratio era il corso ufficiale per l'istruzione dei gesuiti scritto da vari autori.
  16. Il cardinale Federigo immortalato nei Promessi sposi del Manzoni. La Ratio era il corso ufficiale per l'istruzione dei gesuiti scritto da vari autori.
  17. (nato nel 1696 a Marianella, nei pressi di Napoli) La Congregazione del Santissimo Redentore (poi detti, dal nome del fondatore, 'liguorini')
  18. Le forme ridotte leggea, avea (di leggeva e aveva) si possono usare «se non però siegue vocale, allora senza meno dee dirsi io leggeva un libro, quegli aveva insegnato, ec.»: una regola che consente di evitare il contatto di tre vocali in iato (e-a-u, e-a-i, ecc.), alla quale ci si atterrà per molto tempo, anche in opere letterarie di prima im- portanza (ad es. nelle Operette morali del Leopardi).