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CELEBRI MITI
PLATONICI
Prof.ssa Lucia Gangale
Perché il mito
Platone ricorre spesso ai miti
per spiegare concetti
fondamentali della sua
filosofia. Il mito non ha la
forma di un discorso rigoroso,
ma espone un pensiero
complesso sotto forma di
narrazione, di racconto, per
rendere accessibile a
chiunque ciò che si vuole dire.
Tutta la sua filosofia è
protesa a definire un
concetto valido di giustizia.
Questo perché tutta la sua
filosofia scaturisce da un
avvenimento politico: la
condanna a morte di Socrate.
Prof. LuciaGangale
Quanti sono i
miti platonici?
 Nel complesso dell’intera
opera platonica, i miti sono
sedici:
 1) il mito di Epimeteo e
Prometeo;
 2) il mito di Aristofane o
dell’Androgino;
 3) il mito della nascita
dell’amore;
 4) il mito della biga alata;
 5) il mito della reminiscenza;
 6) il mito della caverna;
 7) il mistero dell’amore;
 8) il mito della sentenza finale;
 9) il mito della distribuzione
delle pene;
 10) il mito di Er;
 11) il mito del Demiurgo;
 12) il mito dei cicli inversi;
 13) il mito di Atlantide;
 14) il mito di Gige;
 15) il mito delle cicale;
 16) il mito diTheuth.
Prof. Lucia Gangale
Quali miti
esaminiamo
qui?
Nel presente lavoro esaminiamo 8 miti che
sono forse i più importanti
▪ Il mito degli Androgini
▪ Mito di Er
▪ Mito della Biga alata
▪ Mito di Eros
▪ Mito della caverna
▪ Mito del Demiurgo
▪ Mito di Atlantide
▪ Mito diTheut
Prof. Lucia Gangale
MITO DEGLI
ANDROGINI
 È detto anche mito di Aristofane ed è contenuto nel celebre
dialogo platonico il Simposio, dove i convenuti discutono
dell’amore. Ad esporlo agli altri convitati è Aristofane,
celebre poeta comico.
 Un tempo c’erano tre sessi: il maschile, il femminile e gli
androgini. Questi ultimi erano completi in quanto dotati di
tutte le caratteristiche maschili e femminili, avevano quattro
braccia, quattro gambe, due facce orientate in direzione
opposta su una sola testa ed erano sferici. Superbi, perché
completi, tentarono la scalata all’Olimpo, ma Zeus li punì,
dividendoli a metà a colpi di saetta. Da quel momento la
parte maschile va in cerca della parte femminile e viceversa.
L’amore è dunque questo eterno cercarsi, per trovare
completamento di sé attraverso la parte che ci manca.
Prof. Lucia Gangale
catania.liveuniversity.it
MITO DI ER
Il mito è contenuto nella maggiore opera di Platone, cioè la
Repubblica (mito con cui l’opera si chiude, Libro X), e serve a
spiegare la teoria dell’immortalità dell’anima, e cioè come l’uomo
possegga dentro di sé le idee che ha contemplato nell’aldilà nella
sua vita precedente (il filosofo credeva alla metempsicosi). È un
mito sul destino individuale e sulla responsabilità delle nostre scelte.
Er è un guerriero greco che viene ucciso in una battaglia. Dopo 12
giorni resuscita e racconta ai suoi compagni che cosa ha visto
nell’aldilà. Qui c’è Làchesi, figlia di Necessità, che getta in sorte ai
convenuti le sorti. Ognuno di loro ha facoltà di scegliere la vita che
vorrà, ma questo sulla base delle vite che ha precedentemente
vissuto.
Il significato del mito è che ognuno sceglie il proprio destino, anche
se è stato condizionato dalla sua precedente vita.
Prof. Lucia Gangale
Prove
dell’immortalità
dell’anima
Platone porta 4 prove circa l’immortalità dell’anima
■ Prova del ricordo, o della reminescenza, o dell’anàmnesi: nel Fedone egli
afferma che l’anima porta con sé il ricordo delle esperienze vissute quando si
trovava nel mondo delle Idee, cioè del mondo intellegibile a cui la sua sostanza
più assomiglia. Conoscere, dunque, portare alla luce quanto già si sa, ma si è
dimenticato.
■ Prova della vitalità: l’anima, in quanto soffio vitale, vive e partecipa della vita
dell’universo e quindi non può accogliere in sé l’idea opposta della morte.
■ Prova della somiglianza: l’anima è simile alle idee, che sono eterne, e quindi
rivive dopo la morte del corpo. I composti sono destinati a scomporsi. Non così le
anime e le idee, che sono semplici, e che pertanto non possono venire create né
distrutte.
■ Prova degli opposti (o dei contrari): ogni cosa prende origine dal suo
contrario. Il forte dal debole, il grande dal piccolo, il veloce dal lento. Dal vivo si
genera un morto e con il rivivere dal morto si genera un vivo. Se è possibile
rivivere, è necessario che le anime non scompaiano, ma continuino a vivere
anche fuori dal corpo.Prof. Lucia Gangale
MITO DELLA
BIGAALATA
È contenuto nel Fedro e ci parla del mondo delle Idee e
dell’immortalità dell’anima. Nel cielo vola una biga (un cocchio)
trainato da un auriga (un cocchiere) e trascinata da due cavalli, uno
bianco e uno nero. Quello bianco punta verso l’alto. Quello nero
tende a trascinare la biga verso il basso.
La biga e l’auriga rappresentano l’anima. La parte razionale
dell’anima è simboleggiata dal cavallo bianco e tende verso
l’iperuranio.
Il cavallo nero rappresenta le passioni e gli istinti che trascinano
verso il basso. Se il cavallo nero prevale, l’anima si sta incarnando. Se
il cavallo bianco prevale l’anima si eleva al mondo Iperuranio.
Uno scarto del cavallo nero provoca la caduta dell’anima nel corpo.
Anche in questo mito riemerge il tipico dualismo platonico, tra
corpo e anima, tra mondo sensibile e mondo iperuranio, tra
conoscenza terrena e conoscenza scientifica.
Prof. Lucia Gangale
Il rapporto tra
idee e cose
Per spiegare come le Idee partecipano delle cose, Platone usa
tre termini:
▪ Mimesi (imitazione): le cose di questo mondo imitano le idee
dell’iperuranio
▪ Metessi (partecipazione): le cose di questo mondo
partecipano delle idee
▪ Parusìa (presenza): le idee sono presenti nelle cose e le cose
sono manifestazione delle idee
Prof. Lucia Gangale
MITO DI EROS
Il mito di Eros è contenuto nel Simposio ed è variamente spiegato dai
suoi personaggi. Aristofane illustra il mito degli androgini. Pausania
distingue tra éros volgare ed éros celeste. Socrate, infine, dice la sua.
L’amore desidera ciò di cui è privo, di cui dunque sente la mancanza.
Infatti esso è figlio di Penìa (la Povertà) e di Pòros (ingegno). In quanto
tale esso non è un dio, ma un dèmone, cioè ha natura intermedia tra gli
dei e gli uomini. Non è perfettamente sapiente come gli dei, ma aspira
alla sapienza: per questo l’amore è filosofo. Il fine dell’amore è la
bellezza. E la bellezza ha gradi diversi: si passa dalla bellezza dei corpi a
quella delle anime, poi a quella delle leggi, delle scienze, delle
istituzioni, per pervenire alla bellezza in sé, eterna e perfetta, oggetto
di contemplazione della filosofia. La bellezza più alta corrisponde
all’amore filosofico.
L’espressione «amore platonico», cioè asessuato, sorse nel Medioevo
cristiano, come amore spirituale e disinteressato alla corporeità. Invece,
l’amore di cui parla Platone, contempla al primo gradino della sua scala
proprio l’amore fisico, ma poi passa ad altro e quindi non si riduce al
sentimento tra uomo e donna, bensì ad un’altra attività, che è quella
della conoscenza superiore, ed è desiderio di creare in tutte le sue
forme. Che si tratti di figli, opere immortali, conquiste o altro.
L’amore è follia ed è connesso con la passione. L’amore, per Platone, è
tensione verso qualcosa che possa trascendere la nostra finitezza. Il suo
scopo è raggiungere il bene per essere felici.
Prof. Lucia Gangale
MITO DELLA
CAVERNA
È il racconto chiave della Repubblica ed è tra i più belli e
significativi scritti da Platone. È forse quello che meglio espone
la sua teoria della conoscenza e tutto il significato della sua
filosofia.
Un tempo gli uomini vivevano legati al fondo di una caverna con
la faccia rivolta al muro della buia caverna. Sul fondo della
caverna passano le immagini di alcune sagome. Dietro di loro ci
sono dei portatori di statuette, le cui sagome si riflettono sul
fondo grazie ad un fuoco che brilla più in là. I prigionieri
credevano che quelle ombre fossero la vera realtà. Un giorno
uno di loro riesce a liberarsi e ad andarsene. Uscì dalla caverna e
poco a poco i suoi occhi si abituarono alla luce del sole.
Sentendosi in colpa, decise di tornare nella caverna e
raccontare ai compagni ciò che aveva visto. I compagni prima lo
derisero, poi, stanchi di lui, lo uccisero.
Prof. Lucia Gangale
MITO DELLA
CAVERNA
Qual è il significato del mito?
Nel mito è adombrata la morte di Socrate, cioè del sapiente che resta
vittima di coloro che non sono riusciti ad elevarsi ad un livello di
conoscenza filosofica. Il sole di cui si parla nel mito rappresenta l’idea
di Bene, a cui lo schiavo si eleva quando lascia il mondo ristretto della
caverna. Lo schiavo che torna nella caverna simboleggia il dovere del
filosofo di parlare alla gente. La caverna rappresenta le illusioni del
mondo sensibile. Le catene sono i nostri vizi. La fine dello schiavo è la
stessa fine di Socrate che, abituato a verità superiori, non riesce più a
misurarsi con gli altri sulle cose umane.
Nel mito è espressa soprattutto la finalità politica della filosofia. Solo
rientrando nella caverna lo schiavo liberato, che ha conosciuto la
giustizia, la bellezza, il bene, potrà combattere le ombre (=
conoscenze imperfette) e potrà contribuire ad elevare la conoscenza
dei suoi simili. Per questo potrà dirsi veramente filosofo.
E proprio i filosofi, per le loro maggiori conoscenze, sono quelli che,
per Platone, devono guidare il governo.
Prof. Lucia Gangale
MITO DEL
DEMIURGO
Si trova nel Timeo (360 a.C.), un’opera di carattere fisico-
cosmologico. Il Demiurgo è un divino artefice che plasma e vivifica
la materia informe e caotica e le dona ordine. Non è Dio, ma è una
sorta di architetto dell’universo. Non è principio generatore delle
cose (come il Dio cristiano), bensì principio ordinatore. Sarebbe
quindi un semidio, che ha una funzione mediatrice tra mondo delle
idee e mondo delle cose, organizzando queste ultime sul modello
delle prime.
Il divino artefice ha donato un’anima al mondo (anima mundi) ed ha
anche generato il tempo (che nel mutamento riproduce l’ordine
immutabile dell’eternità), misurato dagli astri, attraverso i quali si
esprime la volontà stessa del Demiurgo.
Nel Timeo c’è un interessante avvicinamento al pitagorismo. La
matematica è la cifra interpretativa di tutto ciò che esiste, la
«sintassi del mondo».
Al meccanicismo atomistico, Platone preferisce le cause finali, che
spiegano tutto ciò che accade in natura.
Prof. Lucia Gangale
MITO DI
ATLANTIDE
È raccontato in parte nel Timeo ed in parte nel suo seguito, il Crizia,
un’opera incompleta come incompleto rimase anche il mito in
questione.
Atlantide era una grande, favolosa e fertilissima isola posta dopo le
colonne di Ercole e novemila anni prima si era scontrata con Atene,
la superpotenza dell’Attica. Il mondo era stato diviso dagli dei in
lotti: a Poseidone era toccata Atlantide (che aveva diviso il territorio
fra i suoi 10 figli), mentre l’Attica era stata assegnata ad Atena ed
Efesto, fratelli e amanti delle arti e della cultura. Atlantide era stata
così destinata a scomparire e Atene a sopravvivere, in quanto
governata saggiamente, anche perché gli dei avevano diviso i
cittadini in classi, imponendo il vivere comune e seguendo così
quell’ideale di “comunismo” platonico che il filosofo aveva già
illustrato ne La Repubblica.
Secondo il mito, Atlantide si trasformò da paradiso terrestre a luogo
di degenerazione, il che non piacque a Zeus, che volle punire l’isola.
Prof. Lucia Gangale
MITO DI
THEUT
Il mito di Theuth (o mito di Thamus) è presente nel Fedro. Esso
analizza il rapporto tra dialogo e scrittura. È ambientato in Egitto e
immagina un dialogo tra il dio Theuth, inventore della matematica,
della geometria, dell’alfabeto e della scrittura, e il re egiziano
Thamus.
Secondo Theut la scrittura renderà più sapienti gli egiziani e
aumenterà la loro memoria. Il re, però, non è d’accordo, perché
pensa che gli studenti non possano avere conoscenze senza
l’insegnamento orale del maestro.
Seguendo dunque la pratica del maestro Socrate, Platone ci sta qui
dicendo che l’uso della scrittura sarà causa del non esercizio della
memoria, e che solo la vitalità del discorso orale rende possibile
arrivare alla verità.
Il racconto in questione nell’opera viene fatto dallo stesso Socrate,
che è il protagonista principale di quasi tutti i dialoghi platonici. Il
mito ribadisce la fiducia di Platone nell’uso del linguaggio orale per
la conoscenza e la diffusione del sapere.
Prof. Lucia Gangale
Prof. Lucia Gangale

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Celebri miti platonici - Lucia Gangale

  • 2. Perché il mito Platone ricorre spesso ai miti per spiegare concetti fondamentali della sua filosofia. Il mito non ha la forma di un discorso rigoroso, ma espone un pensiero complesso sotto forma di narrazione, di racconto, per rendere accessibile a chiunque ciò che si vuole dire. Tutta la sua filosofia è protesa a definire un concetto valido di giustizia. Questo perché tutta la sua filosofia scaturisce da un avvenimento politico: la condanna a morte di Socrate. Prof. LuciaGangale
  • 3. Quanti sono i miti platonici?  Nel complesso dell’intera opera platonica, i miti sono sedici:  1) il mito di Epimeteo e Prometeo;  2) il mito di Aristofane o dell’Androgino;  3) il mito della nascita dell’amore;  4) il mito della biga alata;  5) il mito della reminiscenza;  6) il mito della caverna;  7) il mistero dell’amore;  8) il mito della sentenza finale;  9) il mito della distribuzione delle pene;  10) il mito di Er;  11) il mito del Demiurgo;  12) il mito dei cicli inversi;  13) il mito di Atlantide;  14) il mito di Gige;  15) il mito delle cicale;  16) il mito diTheuth. Prof. Lucia Gangale
  • 4. Quali miti esaminiamo qui? Nel presente lavoro esaminiamo 8 miti che sono forse i più importanti ▪ Il mito degli Androgini ▪ Mito di Er ▪ Mito della Biga alata ▪ Mito di Eros ▪ Mito della caverna ▪ Mito del Demiurgo ▪ Mito di Atlantide ▪ Mito diTheut Prof. Lucia Gangale
  • 5. MITO DEGLI ANDROGINI  È detto anche mito di Aristofane ed è contenuto nel celebre dialogo platonico il Simposio, dove i convenuti discutono dell’amore. Ad esporlo agli altri convitati è Aristofane, celebre poeta comico.  Un tempo c’erano tre sessi: il maschile, il femminile e gli androgini. Questi ultimi erano completi in quanto dotati di tutte le caratteristiche maschili e femminili, avevano quattro braccia, quattro gambe, due facce orientate in direzione opposta su una sola testa ed erano sferici. Superbi, perché completi, tentarono la scalata all’Olimpo, ma Zeus li punì, dividendoli a metà a colpi di saetta. Da quel momento la parte maschile va in cerca della parte femminile e viceversa. L’amore è dunque questo eterno cercarsi, per trovare completamento di sé attraverso la parte che ci manca. Prof. Lucia Gangale catania.liveuniversity.it
  • 6. MITO DI ER Il mito è contenuto nella maggiore opera di Platone, cioè la Repubblica (mito con cui l’opera si chiude, Libro X), e serve a spiegare la teoria dell’immortalità dell’anima, e cioè come l’uomo possegga dentro di sé le idee che ha contemplato nell’aldilà nella sua vita precedente (il filosofo credeva alla metempsicosi). È un mito sul destino individuale e sulla responsabilità delle nostre scelte. Er è un guerriero greco che viene ucciso in una battaglia. Dopo 12 giorni resuscita e racconta ai suoi compagni che cosa ha visto nell’aldilà. Qui c’è Làchesi, figlia di Necessità, che getta in sorte ai convenuti le sorti. Ognuno di loro ha facoltà di scegliere la vita che vorrà, ma questo sulla base delle vite che ha precedentemente vissuto. Il significato del mito è che ognuno sceglie il proprio destino, anche se è stato condizionato dalla sua precedente vita. Prof. Lucia Gangale
  • 7. Prove dell’immortalità dell’anima Platone porta 4 prove circa l’immortalità dell’anima ■ Prova del ricordo, o della reminescenza, o dell’anàmnesi: nel Fedone egli afferma che l’anima porta con sé il ricordo delle esperienze vissute quando si trovava nel mondo delle Idee, cioè del mondo intellegibile a cui la sua sostanza più assomiglia. Conoscere, dunque, portare alla luce quanto già si sa, ma si è dimenticato. ■ Prova della vitalità: l’anima, in quanto soffio vitale, vive e partecipa della vita dell’universo e quindi non può accogliere in sé l’idea opposta della morte. ■ Prova della somiglianza: l’anima è simile alle idee, che sono eterne, e quindi rivive dopo la morte del corpo. I composti sono destinati a scomporsi. Non così le anime e le idee, che sono semplici, e che pertanto non possono venire create né distrutte. ■ Prova degli opposti (o dei contrari): ogni cosa prende origine dal suo contrario. Il forte dal debole, il grande dal piccolo, il veloce dal lento. Dal vivo si genera un morto e con il rivivere dal morto si genera un vivo. Se è possibile rivivere, è necessario che le anime non scompaiano, ma continuino a vivere anche fuori dal corpo.Prof. Lucia Gangale
  • 8. MITO DELLA BIGAALATA È contenuto nel Fedro e ci parla del mondo delle Idee e dell’immortalità dell’anima. Nel cielo vola una biga (un cocchio) trainato da un auriga (un cocchiere) e trascinata da due cavalli, uno bianco e uno nero. Quello bianco punta verso l’alto. Quello nero tende a trascinare la biga verso il basso. La biga e l’auriga rappresentano l’anima. La parte razionale dell’anima è simboleggiata dal cavallo bianco e tende verso l’iperuranio. Il cavallo nero rappresenta le passioni e gli istinti che trascinano verso il basso. Se il cavallo nero prevale, l’anima si sta incarnando. Se il cavallo bianco prevale l’anima si eleva al mondo Iperuranio. Uno scarto del cavallo nero provoca la caduta dell’anima nel corpo. Anche in questo mito riemerge il tipico dualismo platonico, tra corpo e anima, tra mondo sensibile e mondo iperuranio, tra conoscenza terrena e conoscenza scientifica. Prof. Lucia Gangale
  • 9. Il rapporto tra idee e cose Per spiegare come le Idee partecipano delle cose, Platone usa tre termini: ▪ Mimesi (imitazione): le cose di questo mondo imitano le idee dell’iperuranio ▪ Metessi (partecipazione): le cose di questo mondo partecipano delle idee ▪ Parusìa (presenza): le idee sono presenti nelle cose e le cose sono manifestazione delle idee Prof. Lucia Gangale
  • 10. MITO DI EROS Il mito di Eros è contenuto nel Simposio ed è variamente spiegato dai suoi personaggi. Aristofane illustra il mito degli androgini. Pausania distingue tra éros volgare ed éros celeste. Socrate, infine, dice la sua. L’amore desidera ciò di cui è privo, di cui dunque sente la mancanza. Infatti esso è figlio di Penìa (la Povertà) e di Pòros (ingegno). In quanto tale esso non è un dio, ma un dèmone, cioè ha natura intermedia tra gli dei e gli uomini. Non è perfettamente sapiente come gli dei, ma aspira alla sapienza: per questo l’amore è filosofo. Il fine dell’amore è la bellezza. E la bellezza ha gradi diversi: si passa dalla bellezza dei corpi a quella delle anime, poi a quella delle leggi, delle scienze, delle istituzioni, per pervenire alla bellezza in sé, eterna e perfetta, oggetto di contemplazione della filosofia. La bellezza più alta corrisponde all’amore filosofico. L’espressione «amore platonico», cioè asessuato, sorse nel Medioevo cristiano, come amore spirituale e disinteressato alla corporeità. Invece, l’amore di cui parla Platone, contempla al primo gradino della sua scala proprio l’amore fisico, ma poi passa ad altro e quindi non si riduce al sentimento tra uomo e donna, bensì ad un’altra attività, che è quella della conoscenza superiore, ed è desiderio di creare in tutte le sue forme. Che si tratti di figli, opere immortali, conquiste o altro. L’amore è follia ed è connesso con la passione. L’amore, per Platone, è tensione verso qualcosa che possa trascendere la nostra finitezza. Il suo scopo è raggiungere il bene per essere felici. Prof. Lucia Gangale
  • 11. MITO DELLA CAVERNA È il racconto chiave della Repubblica ed è tra i più belli e significativi scritti da Platone. È forse quello che meglio espone la sua teoria della conoscenza e tutto il significato della sua filosofia. Un tempo gli uomini vivevano legati al fondo di una caverna con la faccia rivolta al muro della buia caverna. Sul fondo della caverna passano le immagini di alcune sagome. Dietro di loro ci sono dei portatori di statuette, le cui sagome si riflettono sul fondo grazie ad un fuoco che brilla più in là. I prigionieri credevano che quelle ombre fossero la vera realtà. Un giorno uno di loro riesce a liberarsi e ad andarsene. Uscì dalla caverna e poco a poco i suoi occhi si abituarono alla luce del sole. Sentendosi in colpa, decise di tornare nella caverna e raccontare ai compagni ciò che aveva visto. I compagni prima lo derisero, poi, stanchi di lui, lo uccisero. Prof. Lucia Gangale
  • 12. MITO DELLA CAVERNA Qual è il significato del mito? Nel mito è adombrata la morte di Socrate, cioè del sapiente che resta vittima di coloro che non sono riusciti ad elevarsi ad un livello di conoscenza filosofica. Il sole di cui si parla nel mito rappresenta l’idea di Bene, a cui lo schiavo si eleva quando lascia il mondo ristretto della caverna. Lo schiavo che torna nella caverna simboleggia il dovere del filosofo di parlare alla gente. La caverna rappresenta le illusioni del mondo sensibile. Le catene sono i nostri vizi. La fine dello schiavo è la stessa fine di Socrate che, abituato a verità superiori, non riesce più a misurarsi con gli altri sulle cose umane. Nel mito è espressa soprattutto la finalità politica della filosofia. Solo rientrando nella caverna lo schiavo liberato, che ha conosciuto la giustizia, la bellezza, il bene, potrà combattere le ombre (= conoscenze imperfette) e potrà contribuire ad elevare la conoscenza dei suoi simili. Per questo potrà dirsi veramente filosofo. E proprio i filosofi, per le loro maggiori conoscenze, sono quelli che, per Platone, devono guidare il governo. Prof. Lucia Gangale
  • 13. MITO DEL DEMIURGO Si trova nel Timeo (360 a.C.), un’opera di carattere fisico- cosmologico. Il Demiurgo è un divino artefice che plasma e vivifica la materia informe e caotica e le dona ordine. Non è Dio, ma è una sorta di architetto dell’universo. Non è principio generatore delle cose (come il Dio cristiano), bensì principio ordinatore. Sarebbe quindi un semidio, che ha una funzione mediatrice tra mondo delle idee e mondo delle cose, organizzando queste ultime sul modello delle prime. Il divino artefice ha donato un’anima al mondo (anima mundi) ed ha anche generato il tempo (che nel mutamento riproduce l’ordine immutabile dell’eternità), misurato dagli astri, attraverso i quali si esprime la volontà stessa del Demiurgo. Nel Timeo c’è un interessante avvicinamento al pitagorismo. La matematica è la cifra interpretativa di tutto ciò che esiste, la «sintassi del mondo». Al meccanicismo atomistico, Platone preferisce le cause finali, che spiegano tutto ciò che accade in natura. Prof. Lucia Gangale
  • 14. MITO DI ATLANTIDE È raccontato in parte nel Timeo ed in parte nel suo seguito, il Crizia, un’opera incompleta come incompleto rimase anche il mito in questione. Atlantide era una grande, favolosa e fertilissima isola posta dopo le colonne di Ercole e novemila anni prima si era scontrata con Atene, la superpotenza dell’Attica. Il mondo era stato diviso dagli dei in lotti: a Poseidone era toccata Atlantide (che aveva diviso il territorio fra i suoi 10 figli), mentre l’Attica era stata assegnata ad Atena ed Efesto, fratelli e amanti delle arti e della cultura. Atlantide era stata così destinata a scomparire e Atene a sopravvivere, in quanto governata saggiamente, anche perché gli dei avevano diviso i cittadini in classi, imponendo il vivere comune e seguendo così quell’ideale di “comunismo” platonico che il filosofo aveva già illustrato ne La Repubblica. Secondo il mito, Atlantide si trasformò da paradiso terrestre a luogo di degenerazione, il che non piacque a Zeus, che volle punire l’isola. Prof. Lucia Gangale
  • 15. MITO DI THEUT Il mito di Theuth (o mito di Thamus) è presente nel Fedro. Esso analizza il rapporto tra dialogo e scrittura. È ambientato in Egitto e immagina un dialogo tra il dio Theuth, inventore della matematica, della geometria, dell’alfabeto e della scrittura, e il re egiziano Thamus. Secondo Theut la scrittura renderà più sapienti gli egiziani e aumenterà la loro memoria. Il re, però, non è d’accordo, perché pensa che gli studenti non possano avere conoscenze senza l’insegnamento orale del maestro. Seguendo dunque la pratica del maestro Socrate, Platone ci sta qui dicendo che l’uso della scrittura sarà causa del non esercizio della memoria, e che solo la vitalità del discorso orale rende possibile arrivare alla verità. Il racconto in questione nell’opera viene fatto dallo stesso Socrate, che è il protagonista principale di quasi tutti i dialoghi platonici. Il mito ribadisce la fiducia di Platone nell’uso del linguaggio orale per la conoscenza e la diffusione del sapere. Prof. Lucia Gangale Prof. Lucia Gangale