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Scheda su Alcyone
ella raccolta dal titolo Alcyone (o Alcione), che la critica ha sempre considerato il migliore risultato di
D’Annunzio, si espande nel modo più pieno quella poesia dell’estate e della vacanza che si era già affacciata
in Canto novo. La gioia per lo sprofondarsi del fisico nel sole, nel mare, nelle forme vegetali, si amplifica
sotto il segno di Pan e degli antichi miti della fertilità, del rigoglio, della metamorfosi, che spesso D’Annunzio riscrive
e sviluppa in nuove figurazioni.
La raccolta ha per filo conduttore lo scorrere della stagione estiva vissuta in “soggettiva” dal poeta. L’opera muove
dalla tarda primavera quando l’io lirico confessa il proprio desiderio di tregua dall’impegno politico e morale della
precedente produzione poetica. Per realizzare tale aspirazione, l’io cerca il contatto con la natura in una sorta di
fusione vitalistica che coinvolge tutti i sensi. Ad accompagnare il poeta in tale immersione è una figura femminile di
nome Ermione, nome mitologico sotto cui si cela Eleonora Duse, con la quale il poeta trascorse effettivamente
un’estate in Versilia. Dopo la sensualità e l’energia dell’estate, rappresentata sotto forma di donna nuda che avvampa e
avvolge, giunge il malinconico autunno, accompagnato da segni inquietanti: i gironi si abbreviano e appaiono nuvole
minacciose. Raccontando questa storia semplice e antica (gli eterni corsi e ricorsi delle stagioni, il perenne ritmo della
mietitura), d’Annunzio disegna un percorso conoscitivo celato ai moderni: in mezzo alla natura egli sente rinascere
l’antica Grecia e i suoi miti, vede materializzarsi figure di fauni, di ninfe voluttuose, di possenti centauri. Entrando
nella boscaglia, presente, passato e futuro vengono a coincidere, come in una dimensione mitica in cui il tempo è
ciclico e reversibile. Ancora una volta si riaffaccia il richiamo al mito dell’«eterno ritorno» di Nietzsche, secondo cui
ogni gesto esaltato, ogni sentimento vittorioso è destinato a ritornare eternamente.
Per Alcyone si parla di panismo (dal nome del dio greco, Pan, attraverso l’aggettivo pànico; Pan è una divinità ferina,
di cui sono celebri gli accoppiamenti in forma travestita, per una etimologia simile, il nome è collegabile alla voce
greca «pan» che vuol dire tutto; a questa accezione si riferisce il termine “panismo”, con la quale si dive intendere la
fusione dell’individuo con la natura e infatti in molti testi dell’Alcyone si trova la vegetalizzazione e l’animalizzazione
dell’umano). Nel componimento La pioggia nel pineto, l’io lirico, varcando la soglia del bosco, entra in un mondo
altro, fatto di «parole non umane», in cui l’esperienza quotidiana cede al miracolo: l’umano e il naturale si incontrano
in una dimensione divina fondendosi e completandosi. Se nei poeti romantici, soprattutto tedeschi, il mito della
partecipazione pànica alla vita dell’Universo era interpretato in chiave mistica, per d’Annunzio è strettamente
collegato a uno stato di esaltazione sensuale.
Notevole è il virtuosismo verbale del poeta che dalle sensazioni corporee trascorre abilmente a trionfanti visioni di
paesaggio: dappertutto cerca segni di entusiasmo e di godimento, si concede a un piacere che vorrebbe essere
orgiastico e dionisiaco, ma che appare ancora una volta del tutto narcisistico, teso a un’esaltazione dell’io e della sua
parola. Dall’insieme del libro si ricava un’impressione di eccesso, di sovraccarico barocco, di ostinata ripetitività o di
variazione infinita intorno a una tematica in realtà assai semplice.
Alcyone è divisibile in cinque sezioni, che comprendono in totale ben 88 testi, inquadrati in un disegno rigorosamente
unitario. Aperta da un proemio intitolato La tregua e chiusa da un epilogo denominato Il commitato, la raccolta si
sviluppa attraverso cinque sezioni, scandite da quattro ditirambi che conferiscono l’unità di un canzoniere. A tal
proposito, il filologo Franco Gavazzeni, nel suo studio dal titolo Le sinopie di Alcione, ha ricostruito il processo
genetico e ha vagliato il succedersi strutturale delle diverse fasi del terzo libro delle Laudi. Gavazzeni rivendica per
Alcyone la qualifica tecnica di canzoniere, osservando come essa derivi dalle intenzioni stesse del poeta, che aveva
previsto sin dall’inizio un rigoroso ordine architettonico. Non si tratta dunque di una raccolta di poesie, ma di un vero
e proprio poema, scandito in diversi componimenti. Alcyone ha assunto nel tempo diverse forme, attestate da elenchi
nei quali componimenti già scritti, magari anche con titoli diversi da quelli poi definitivi, si intrecciano a testi solo
abbozzati o a liriche mai più realizzate. Il progressivo divenire di questo libro è testimoniato da una serie di autografi
conservati negli archivi del Vittoriale. Le cinque sezioni sono segnate da un ditirambo, canto corale in onore di
Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, preceduti da un breve testo che ne annuncia il tema
I Ditirambi, secondo Nietzsche, costituirebbero il momento vitalistico di tipo dionisiaco in rapporto oppositivo e però
necessario, con il momento intimo e contemplativo di tipo apollineo.
• testo introduttivo: La tregua, che ha la funzione di raccordo con le due raccolte precedenti, Maia ed Elettra:
nelle prime due si era realizzato l’impegno eroico-civile del superuomo, in Alcyone si ha una tregua di questo
personaggio, che si abbandona alla dimensione della natura e del mito. Altro testo introduttivo è Il Fanciullo,
dove si celebra la continua metamorfosi tra il mondo naturale e umano, realizzabile solo per creature
privilegiate come il «fanciullo» e il poeta stesso.
• prima sezione: ambientata a giugno, tra Fiesole e Firenze e composta da sette lodi, che riutilizzano in
prospettiva pagana la celebrazione cristiana della natura presente nella Laudes creaturarum di San Francesco
d’Assisi. Fa parte di questa sezione La sera fiesolana, il testo più antico del libro, scritto nel giugno del 1899.
• la seconda sezione si svolge in Versilia, in piena estate, dal 1 al 8 luglio. L’estate è ormai esplosa e si verifica
la celebrazione del rapporto panico con la natura, in cui l’individuo immerge la propria individualità. È
contenuta in questa sezione un testo famosissimo: La pioggia nel pineto.
• terza sezione: l’estate al culmine, 16 testi con al centro l’affermazione del potere panico del superuomo.
N
• quarta sezione: iniziano i presagi autunnali, siamo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre e nello stesso
modo in cui sta tramontando l’estate, tramonta anche il mito.
• quinta e ultima sezione: il ditirambo IV, dedicato non a caso alla caduta di Icaro, introduce l’ultima sezione.
Dal punto di vista temporale siamo a settembre e il sentimento di ripiegamento dell’io si accompagna alla
registrazione della fine dell’estate e dalla consapevolezza dell’impossibilità di resuscitare il mito nel mondo
moderno.
• Il commiato, che chiude il libro e contiene una dedica a Pascoli, maggior rappresentante del simbolismo
naturale. Pascoli è «figlio di Virgilio» ed è visto come fratello diletto nella conquista del supremo dono della
poesia contro la degradazione morale ed economica del mondo contemporaneo. Il finale di Alcyone è
malinconico, giocato sul sentimento della perdita e sulla condizione dell’esule: perdita della pienezza panica e
mitica, esilio da un luogo di pienezza esistenziale e di identità certa, che per i moderni è irrimediabilmente
ritenuta impossibile. I componimenti finali, con la solitudine del superuomo e la morte del mito scandiscono,
con l’arrivo dell’autunno, il rimpianto per un eden perduto, per una dimensione, quella mitica, destinata a
svanire con la stagione estiva: si insinua l’ansia per il trascorrere del tempo, per il declinare del sole e per il
marcire dei frutti.
Come si caratterizza dal punto di vista tematico Alcyone? Da una estrema povertà tematica, oltre che da una vicenda
abbastanza banale, che si riduce alla celebrazione di un paesaggio marino ed estivo. È presente inoltre una certa
indeterminatezza che si rispecchia non solo nelle figure di dona che equivalgono ai personaggi del mito, ma anche nei
luoghi toscani, che sono travestiti da Grecia classica e arcaica. Si possono distinguere essenzialmente tre temi:
1. la compenetrazione tra umano e naturale: se il superuomo dannunziano si elevava nei confronti della massa, al
cospetto della realtà naturale invece si fonde con essa, perde la propria identità nazionale per assumere in modo
panico l’identità del paesaggio circostante.
2. il mito che si riattualizza. Perché la natura possa avere questo significato è necessario che recuperi la vitalità e la
verginità che il mondo moderno le ha privato. Per fare ciò è necessario recuperare il mito, attraverso il recupero
dei grandi miti naturali della classicità. Questo recupero del mito però non è una semplice operazione classicistica:
D’Annunzio vuole creare dei miti nuovi e attuali. Il poeta si dichiara infatti «l’ultimo figlio degli Elleni» e si
identifica con il fanciullo che suona il suo «sufolo doppio», con allusione a Pan, la divinità che incarna la vitalità
istintiva, l’impulso a fondersi con la natura. La connessione con Dioniso, il duo dei culti orgiastici a cui è legato il
mito di Pan, riporta a Nietzsche. Intrecciato a questo, compare anche il motivo orfico: il poeta è come il mitico
cantore Orfeo, che fa parlare le cose e le dispone secondo il ritmo del suo canto. D’Annunzio canta dei propri
«carmi» come figli nati dalla voce delle foreste, delle onde, dei venti, del sole, degli alberi, delle spiagge, dei fiori:
sono la natura stessa fatta parola.
3. si esalta la parola e la figura del poeta. La fusione dell’io nella natura è un progetto estetico: in D’Annunzio
avviene l’identificazione di panismo e di estetismo. Il poeta viene esaltato come sacerdote, o vate, in grado di
accedere a significati nascosti rivisitando e attualizzando il mito.
Se i temi sono abbastanza ripetitivi, il maggior interesse consiste nella metrica, nello stile e nel lessico. Alcyone infatti
è il libro più sperimentale di D’Annunzio: lo stile del libro evita per lo più i risultati medi: ora mira a usare delle
anafore insistenti, ora parallelismi interminabili, ora invece usa una sintassi secca. Notevoli sono le citazioni di autori
più o meno note, con le quali D’Annunzio infarcisce i suoi componimenti. Il tutto quindi porta a manifestare il primato
della parola rispetto al contenuto. Per quanto riguarda invece lo stile abbiamo l’utilizzo di lessico ricco, che alterna
termini arcaici, regionali e tecnici, a volte ricavati da dizionari specialistici, come quello di termini marinareschi, di
botanica. Per quanto riguarda la metrica l’elemento più importante è l’utilizzo del verso libero che, grazie a
D’Annunzio e ad Alcyone, diventa dilagante nella poesia italiana del Novecento. Ricordiamoci come il verso libero
sia stato introdotto in Italia dallo Scapigliato Gian Pietro Lucini. Egli produce una serie di interventi teorici sul verso
libero, nel primo decennio del Novecento, usandolo egli stesso in un’opera del 1898, Drami delle maschere. Dopo di
lui il verso libero sarà usato da D’Annunzio, subito dopo da Corazzini, da altri crepuscolari e dai futuristi che lo
sosterranno con entusiasmo. Secondo Lucini, «il verso libero deve ondeggiare seguendo le emozioni del poeta,
apportandovi quelle diversità di ritmo e di armonia le quali meglio convengono ai diversi concetti che manifesta.
Bisogna quindi distruggere il “castelletto piacevole e bene architettato” della prosodia tradizionale». Il tentativo di
introdurre il verso libero si fonda sul vers libre di Mallarmé e sulla lezione carducciana delle Odi Barbare: Carduci
infatti aveva inventato una metrica nuova nel tentativo di imitare quella latina, introducendo così una certa libertà
metrica. Il verso non solo è «sciolto» da ogni vincolo di rima (cosa questa già praticata a partire dal Cinquecento e
molto frequente nel Settecento e nel primo Ottocento, Foscolo per esempio scrive il carme Dei sepolcri in
endecasillabi sciolti), ma ora viene liberato anche da qualsiasi norma relativa al numero delle sillabe e alla
collocazione delle cesure. A partire della sua diffusione all’inizio del Novecento, la libertà metrica diventa totale.
Il poeta usa quindi un lessico aulico e prezioso, dalle sonorità rare e musicali. Egli è un abile sperimentatore di
vocaboli, metri e ritmi che possano adeguatamente rappresentare le metamorfosi continue di tutte le cose. Frequente è
l’uso della sinestesia; il fluire e il trasformarsi delle cose è descritto attraverso le tecniche dell’amplificazione, della
ridondanza e dell’enumerazione. La varietà della natura è affidata a un linguaggio inventivo, all’uso sapiente del
vocabolario tecnico, all’abile rilievo dato alla dimensione fonica e simbolica della parola.

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Alcyone prof. Zenoni

  • 1. Scheda su Alcyone ella raccolta dal titolo Alcyone (o Alcione), che la critica ha sempre considerato il migliore risultato di D’Annunzio, si espande nel modo più pieno quella poesia dell’estate e della vacanza che si era già affacciata in Canto novo. La gioia per lo sprofondarsi del fisico nel sole, nel mare, nelle forme vegetali, si amplifica sotto il segno di Pan e degli antichi miti della fertilità, del rigoglio, della metamorfosi, che spesso D’Annunzio riscrive e sviluppa in nuove figurazioni. La raccolta ha per filo conduttore lo scorrere della stagione estiva vissuta in “soggettiva” dal poeta. L’opera muove dalla tarda primavera quando l’io lirico confessa il proprio desiderio di tregua dall’impegno politico e morale della precedente produzione poetica. Per realizzare tale aspirazione, l’io cerca il contatto con la natura in una sorta di fusione vitalistica che coinvolge tutti i sensi. Ad accompagnare il poeta in tale immersione è una figura femminile di nome Ermione, nome mitologico sotto cui si cela Eleonora Duse, con la quale il poeta trascorse effettivamente un’estate in Versilia. Dopo la sensualità e l’energia dell’estate, rappresentata sotto forma di donna nuda che avvampa e avvolge, giunge il malinconico autunno, accompagnato da segni inquietanti: i gironi si abbreviano e appaiono nuvole minacciose. Raccontando questa storia semplice e antica (gli eterni corsi e ricorsi delle stagioni, il perenne ritmo della mietitura), d’Annunzio disegna un percorso conoscitivo celato ai moderni: in mezzo alla natura egli sente rinascere l’antica Grecia e i suoi miti, vede materializzarsi figure di fauni, di ninfe voluttuose, di possenti centauri. Entrando nella boscaglia, presente, passato e futuro vengono a coincidere, come in una dimensione mitica in cui il tempo è ciclico e reversibile. Ancora una volta si riaffaccia il richiamo al mito dell’«eterno ritorno» di Nietzsche, secondo cui ogni gesto esaltato, ogni sentimento vittorioso è destinato a ritornare eternamente. Per Alcyone si parla di panismo (dal nome del dio greco, Pan, attraverso l’aggettivo pànico; Pan è una divinità ferina, di cui sono celebri gli accoppiamenti in forma travestita, per una etimologia simile, il nome è collegabile alla voce greca «pan» che vuol dire tutto; a questa accezione si riferisce il termine “panismo”, con la quale si dive intendere la fusione dell’individuo con la natura e infatti in molti testi dell’Alcyone si trova la vegetalizzazione e l’animalizzazione dell’umano). Nel componimento La pioggia nel pineto, l’io lirico, varcando la soglia del bosco, entra in un mondo altro, fatto di «parole non umane», in cui l’esperienza quotidiana cede al miracolo: l’umano e il naturale si incontrano in una dimensione divina fondendosi e completandosi. Se nei poeti romantici, soprattutto tedeschi, il mito della partecipazione pànica alla vita dell’Universo era interpretato in chiave mistica, per d’Annunzio è strettamente collegato a uno stato di esaltazione sensuale. Notevole è il virtuosismo verbale del poeta che dalle sensazioni corporee trascorre abilmente a trionfanti visioni di paesaggio: dappertutto cerca segni di entusiasmo e di godimento, si concede a un piacere che vorrebbe essere orgiastico e dionisiaco, ma che appare ancora una volta del tutto narcisistico, teso a un’esaltazione dell’io e della sua parola. Dall’insieme del libro si ricava un’impressione di eccesso, di sovraccarico barocco, di ostinata ripetitività o di variazione infinita intorno a una tematica in realtà assai semplice. Alcyone è divisibile in cinque sezioni, che comprendono in totale ben 88 testi, inquadrati in un disegno rigorosamente unitario. Aperta da un proemio intitolato La tregua e chiusa da un epilogo denominato Il commitato, la raccolta si sviluppa attraverso cinque sezioni, scandite da quattro ditirambi che conferiscono l’unità di un canzoniere. A tal proposito, il filologo Franco Gavazzeni, nel suo studio dal titolo Le sinopie di Alcione, ha ricostruito il processo genetico e ha vagliato il succedersi strutturale delle diverse fasi del terzo libro delle Laudi. Gavazzeni rivendica per Alcyone la qualifica tecnica di canzoniere, osservando come essa derivi dalle intenzioni stesse del poeta, che aveva previsto sin dall’inizio un rigoroso ordine architettonico. Non si tratta dunque di una raccolta di poesie, ma di un vero e proprio poema, scandito in diversi componimenti. Alcyone ha assunto nel tempo diverse forme, attestate da elenchi nei quali componimenti già scritti, magari anche con titoli diversi da quelli poi definitivi, si intrecciano a testi solo abbozzati o a liriche mai più realizzate. Il progressivo divenire di questo libro è testimoniato da una serie di autografi conservati negli archivi del Vittoriale. Le cinque sezioni sono segnate da un ditirambo, canto corale in onore di Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, preceduti da un breve testo che ne annuncia il tema I Ditirambi, secondo Nietzsche, costituirebbero il momento vitalistico di tipo dionisiaco in rapporto oppositivo e però necessario, con il momento intimo e contemplativo di tipo apollineo. • testo introduttivo: La tregua, che ha la funzione di raccordo con le due raccolte precedenti, Maia ed Elettra: nelle prime due si era realizzato l’impegno eroico-civile del superuomo, in Alcyone si ha una tregua di questo personaggio, che si abbandona alla dimensione della natura e del mito. Altro testo introduttivo è Il Fanciullo, dove si celebra la continua metamorfosi tra il mondo naturale e umano, realizzabile solo per creature privilegiate come il «fanciullo» e il poeta stesso. • prima sezione: ambientata a giugno, tra Fiesole e Firenze e composta da sette lodi, che riutilizzano in prospettiva pagana la celebrazione cristiana della natura presente nella Laudes creaturarum di San Francesco d’Assisi. Fa parte di questa sezione La sera fiesolana, il testo più antico del libro, scritto nel giugno del 1899. • la seconda sezione si svolge in Versilia, in piena estate, dal 1 al 8 luglio. L’estate è ormai esplosa e si verifica la celebrazione del rapporto panico con la natura, in cui l’individuo immerge la propria individualità. È contenuta in questa sezione un testo famosissimo: La pioggia nel pineto. • terza sezione: l’estate al culmine, 16 testi con al centro l’affermazione del potere panico del superuomo. N
  • 2. • quarta sezione: iniziano i presagi autunnali, siamo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre e nello stesso modo in cui sta tramontando l’estate, tramonta anche il mito. • quinta e ultima sezione: il ditirambo IV, dedicato non a caso alla caduta di Icaro, introduce l’ultima sezione. Dal punto di vista temporale siamo a settembre e il sentimento di ripiegamento dell’io si accompagna alla registrazione della fine dell’estate e dalla consapevolezza dell’impossibilità di resuscitare il mito nel mondo moderno. • Il commiato, che chiude il libro e contiene una dedica a Pascoli, maggior rappresentante del simbolismo naturale. Pascoli è «figlio di Virgilio» ed è visto come fratello diletto nella conquista del supremo dono della poesia contro la degradazione morale ed economica del mondo contemporaneo. Il finale di Alcyone è malinconico, giocato sul sentimento della perdita e sulla condizione dell’esule: perdita della pienezza panica e mitica, esilio da un luogo di pienezza esistenziale e di identità certa, che per i moderni è irrimediabilmente ritenuta impossibile. I componimenti finali, con la solitudine del superuomo e la morte del mito scandiscono, con l’arrivo dell’autunno, il rimpianto per un eden perduto, per una dimensione, quella mitica, destinata a svanire con la stagione estiva: si insinua l’ansia per il trascorrere del tempo, per il declinare del sole e per il marcire dei frutti. Come si caratterizza dal punto di vista tematico Alcyone? Da una estrema povertà tematica, oltre che da una vicenda abbastanza banale, che si riduce alla celebrazione di un paesaggio marino ed estivo. È presente inoltre una certa indeterminatezza che si rispecchia non solo nelle figure di dona che equivalgono ai personaggi del mito, ma anche nei luoghi toscani, che sono travestiti da Grecia classica e arcaica. Si possono distinguere essenzialmente tre temi: 1. la compenetrazione tra umano e naturale: se il superuomo dannunziano si elevava nei confronti della massa, al cospetto della realtà naturale invece si fonde con essa, perde la propria identità nazionale per assumere in modo panico l’identità del paesaggio circostante. 2. il mito che si riattualizza. Perché la natura possa avere questo significato è necessario che recuperi la vitalità e la verginità che il mondo moderno le ha privato. Per fare ciò è necessario recuperare il mito, attraverso il recupero dei grandi miti naturali della classicità. Questo recupero del mito però non è una semplice operazione classicistica: D’Annunzio vuole creare dei miti nuovi e attuali. Il poeta si dichiara infatti «l’ultimo figlio degli Elleni» e si identifica con il fanciullo che suona il suo «sufolo doppio», con allusione a Pan, la divinità che incarna la vitalità istintiva, l’impulso a fondersi con la natura. La connessione con Dioniso, il duo dei culti orgiastici a cui è legato il mito di Pan, riporta a Nietzsche. Intrecciato a questo, compare anche il motivo orfico: il poeta è come il mitico cantore Orfeo, che fa parlare le cose e le dispone secondo il ritmo del suo canto. D’Annunzio canta dei propri «carmi» come figli nati dalla voce delle foreste, delle onde, dei venti, del sole, degli alberi, delle spiagge, dei fiori: sono la natura stessa fatta parola. 3. si esalta la parola e la figura del poeta. La fusione dell’io nella natura è un progetto estetico: in D’Annunzio avviene l’identificazione di panismo e di estetismo. Il poeta viene esaltato come sacerdote, o vate, in grado di accedere a significati nascosti rivisitando e attualizzando il mito. Se i temi sono abbastanza ripetitivi, il maggior interesse consiste nella metrica, nello stile e nel lessico. Alcyone infatti è il libro più sperimentale di D’Annunzio: lo stile del libro evita per lo più i risultati medi: ora mira a usare delle anafore insistenti, ora parallelismi interminabili, ora invece usa una sintassi secca. Notevoli sono le citazioni di autori più o meno note, con le quali D’Annunzio infarcisce i suoi componimenti. Il tutto quindi porta a manifestare il primato della parola rispetto al contenuto. Per quanto riguarda invece lo stile abbiamo l’utilizzo di lessico ricco, che alterna termini arcaici, regionali e tecnici, a volte ricavati da dizionari specialistici, come quello di termini marinareschi, di botanica. Per quanto riguarda la metrica l’elemento più importante è l’utilizzo del verso libero che, grazie a D’Annunzio e ad Alcyone, diventa dilagante nella poesia italiana del Novecento. Ricordiamoci come il verso libero sia stato introdotto in Italia dallo Scapigliato Gian Pietro Lucini. Egli produce una serie di interventi teorici sul verso libero, nel primo decennio del Novecento, usandolo egli stesso in un’opera del 1898, Drami delle maschere. Dopo di lui il verso libero sarà usato da D’Annunzio, subito dopo da Corazzini, da altri crepuscolari e dai futuristi che lo sosterranno con entusiasmo. Secondo Lucini, «il verso libero deve ondeggiare seguendo le emozioni del poeta, apportandovi quelle diversità di ritmo e di armonia le quali meglio convengono ai diversi concetti che manifesta. Bisogna quindi distruggere il “castelletto piacevole e bene architettato” della prosodia tradizionale». Il tentativo di introdurre il verso libero si fonda sul vers libre di Mallarmé e sulla lezione carducciana delle Odi Barbare: Carduci infatti aveva inventato una metrica nuova nel tentativo di imitare quella latina, introducendo così una certa libertà metrica. Il verso non solo è «sciolto» da ogni vincolo di rima (cosa questa già praticata a partire dal Cinquecento e molto frequente nel Settecento e nel primo Ottocento, Foscolo per esempio scrive il carme Dei sepolcri in endecasillabi sciolti), ma ora viene liberato anche da qualsiasi norma relativa al numero delle sillabe e alla collocazione delle cesure. A partire della sua diffusione all’inizio del Novecento, la libertà metrica diventa totale. Il poeta usa quindi un lessico aulico e prezioso, dalle sonorità rare e musicali. Egli è un abile sperimentatore di vocaboli, metri e ritmi che possano adeguatamente rappresentare le metamorfosi continue di tutte le cose. Frequente è l’uso della sinestesia; il fluire e il trasformarsi delle cose è descritto attraverso le tecniche dell’amplificazione, della ridondanza e dell’enumerazione. La varietà della natura è affidata a un linguaggio inventivo, all’uso sapiente del vocabolario tecnico, all’abile rilievo dato alla dimensione fonica e simbolica della parola.