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LA GINESTRA
In esordio del vasto componimento si apre un paesaggio desolato alle pendici del Vesuvio, dove sboccia l’ odorata ginestra, che
il poeta ricorda di avere visto già nelle campagne romane, e che diventa simbolo di una pacata resistenza alla violenza ostile
della natura. La visione della Ginestra sollecita una riflessione sul senso della vita dell’uomo e della sua storia. Dalla descrizione
paesaggistica scaturisce nella seconda strofa la polemica del poeta verso la propria epoca e verso tutti coloro che si illudono con
false credenze ottimistiche e rinnegano le conquiste filosofiche dei secoli illuminati. Nella terza strofa il poeta invita gli uomini
ad accettare la propria condizione e a stringersi in “social catena” contro la natura, comune nemica. Solo così il vivere collettivo
potrà avere una solida base etica per tentare di arginare il dolore della vita. La quarta strofa si allarga alla contemplazione di una
notte stellata e degli sconfinati spazi cosmici, di fronte ai quali risalta per contrasto la piccolezza dell’uomo, il quale pure non
cessa di illudersi della propria centralità nell’universo. La quinta strofa, attraverso una similitudine quotidiana e dimessa,
paragona la distruzione provocata dall’eruzione del vulcano al cadere dall’albero di una mela troppo matura, che annienta in un
istante un intero popolo di formiche. La riflessione sulla potenza della natura e sulla sua violenza cieca contro l’umanità culmina
nella sesta strofa, in cui il poeta sottolinea come il timore del vulcano dopo mille e ottocento anni tormenti ancora: sovrasta il
paesaggio la mole del monte, simbolo dell’eternità della natura e dei suoi tempi eterni, di fronte ai quali l’uomo e la sua storia
appaiono irrilevanti. La strofa finale della lirica si concentra, poi, nuovamente sulla ginestra, che all’arrivo della lava distruttrice
si piegherà docilmente ma che fino ad allora non si prostra con viltà per implorare né si erge con superbia per proclamare
un’ingannevole immortalità; in questo modo l’arbusto fiorito diventa un modello esistenziale ed etico per l’uomo.
La prima strofa si incentra sulla contrapposizione tra due immagini-simbolo: la ginestra e il vulcano. Il Vesuvio si erge al centro
di un paesaggio arido e sterile, che testimonia il potere di una natura ostile, indifferente alla sofferenza umana. L’immagine
delle campagne introduce il motivo della potenza dominatrice ormai decaduta, immagine ribadita dalle rovine delle città romane:
emerge la valutazione della storia dell’uomo come un fatto irrisorio. La ginestra, unico fiore che riesce a germogliare nel deserto
di lava, diviene così un emblema dell’atteggiamento umile ma dignitoso che ogni uomo dovrebbe assumere, sfuggendo le
simulazioni e le mistificazioni, accettando la propria realtà di dolore e adoperandosi con compassione per alleviare la condizione
di sofferenza di tutti gli uomini. Al tempo stesso, il fiore gentile può essere inteso anche come un simbolo della poesia
dell’ultimo Leopardi che propone modelli etici positivi ispirati al triste vero.
A partire dal v.37, il poeta articola una risentita polemica nei confronti delle diffuse ideologie spiritualiste della sua epoca, le
quali esaltano la centralità dell’uomo nel creato e la fiducia in un rapido progresso dell’umanità. Nella seconda strofa Leopardi
continua ad attaccare duramente queste concezioni, sostenendo che esse hanno comportato un regresso culturale. Il poeta oppone
il proprio fermo disprezzo alla viltà e alla paura che spingono i suoi contemporanei a ignorare la miseria della condizione umana
e a inneggiare a presunte conquiste di libertà che nascondono un nuovo controllo delle coscienze sottomesse al dogma religioso
e all’autoritarismo politico. Alla paura del vero il poeta contrappone in finale di strofa la figura solitaria e coraggiosa di chi
invece persegue quel vero a costo di sofferenza e solitudine. La terza strofa contiene un’allegoria in funzione di similitudine
esemplare: l’uomo indigente rappresenta tutta la specie umana, che può dimostrare grandezza accettando le proprie sventure.
Soprattutto è segno di nobiltà l’accusare dei propri mali non già gli altri uomini, bensì la natura. Gli antichi furono capaci di
questa lucidità e di conseguenza, sul piano sociale, praticarono le virtù individuali e civili, mentre i moderni sono dominati
dall’egoismo e dall’ostilità. Nella seconda parte della strofa, però, superando la corrosività della precedente critica alle mitologie
ottimistiche, Leopardi avanza una proposta morale e sociale costruttiva, ipotizzando la costruzione di una civiltà in cui gli
uomini pratichino il sostegno reciproco. Consapevole del dovere della poesia, Leopardi invita dunque gli uomini a stringersi in
un vincolo di fratellanza civile, unico possibile fondamento di una società rinnovata.
Nella Ginestra, Leopardi sviluppa con rigore argomentativo le proprie considerazioni, volte da un lato a polemizzare contro lo
spiritualismo e l’illusorio antropocentrismo del tempo e, dall’altro a evidenziare l’indifferenza di una natura crudele. La
potenza della natura viene sottolineata non solo sul piano spaziale, ma anche temporale, mediante il contrasto tra la durata
effimera della vita dell’uomo e l’eternità della natura, immobile e sempre uguale a sé stessa. Di fronte a essa, l’uomo appare
davvero ridicolo. Il motivo della pochezza dell’uomo viene ripreso anche nella quinta strofa, attraverso una lunga similitudine
che mette in rapporto l’eruzione che annientò le città vesuviane con la caduta di una mela che stermina un formicaio. Anche
alla sesta strofa propone una similitudine tra due realtà dispari tra loro allo scopo di rilevare la relatività e la fallacia del tempo
della storia umana.
Nella forma dell’allocuzione diretta, nella strofa finale il poeta torna a rivolgersi alla ginestra: in una struttura circolare, la
lirica si apre e chiude sull’immagine del fiore, che ha sollecitato e che ora conclude una vastissima riflessione. La ginestra
diventa un simbolo positivo di comportamento, implicitamente contrapposto alla stoltezza dei contemporanei, incarnazione del
poeta stesso si mostra nella sua umile semplicità.
La Ginestra segna sul piano formale l’approdo di Leopardi a una poesia nuova, il poeta qui adotta una forma amplissima e uno
stile raziocinante con intenti persuasivi. Gli elementi del paesaggio assumono un intenso valore simbolico, in un quadro
dissonante, sottolineato da immagini e suoni aspri. Da notare è anche la posizione dell’io poetico, che si immerge nel paesaggio
abbandonando ogni schermo illusorio tra sé e la realtà; il poeta si confronta così direttamente con la natura e invita il lettore a
fare altrettanto, con un atteggiamento più attivo rispetto a quello contemplativo del pastore nel Canto notturno.

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Il poeta oppone il proprio fermo disprezzo alla viltà e alla paura che spingono i suoi contemporanei a ignorare la miseria della condizione umana e a inneggiare a presunte conquiste di libertà che nascondono un nuovo controllo delle coscienze sottomesse al dogma religioso e all’autoritarismo politico. Alla paura del vero il poeta contrappone in finale di strofa la figura solitaria e coraggiosa di chi invece persegue quel vero a costo di sofferenza e solitudine. La terza strofa contiene un’allegoria in funzione di similitudine esemplare: l’uomo indigente rappresenta tutta la specie umana, che può dimostrare grandezza accettando le proprie sventure. Soprattutto è segno di nobiltà l’accusare dei propri mali non già gli altri uomini, bensì la natura. Gli antichi furono capaci di questa lucidità e di conseguenza, sul piano sociale, praticarono le virtù individuali e civili, mentre i moderni sono dominati dall’egoismo e dall’ostilità. Nella seconda parte della strofa, però, superando la corrosività della precedente critica alle mitologie ottimistiche, Leopardi avanza una proposta morale e sociale costruttiva, ipotizzando la costruzione di una civiltà in cui gli uomini pratichino il sostegno reciproco. Consapevole del dovere della poesia, Leopardi invita dunque gli uomini a stringersi in un vincolo di fratellanza civile, unico possibile fondamento di una società rinnovata. Nella Ginestra, Leopardi sviluppa con rigore argomentativo le proprie considerazioni, volte da un lato a polemizzare contro lo spiritualismo e l’illusorio antropocentrismo del tempo e, dall’altro a evidenziare l’indifferenza di una natura crudele. La potenza della natura viene sottolineata non solo sul piano spaziale, ma anche temporale, mediante il contrasto tra la durata effimera della vita dell’uomo e l’eternità della natura, immobile e sempre uguale a sé stessa. Di fronte a essa, l’uomo appare davvero ridicolo. Il motivo della pochezza dell’uomo viene ripreso anche nella quinta strofa, attraverso una lunga similitudine che mette in rapporto l’eruzione che annientò le città vesuviane con la caduta di una mela che stermina un formicaio. Anche alla sesta strofa propone una similitudine tra due realtà dispari tra loro allo scopo di rilevare la relatività e la fallacia del tempo della storia umana. Nella forma dell’allocuzione diretta, nella strofa finale il poeta torna a rivolgersi alla ginestra: in una struttura circolare, la lirica si apre e chiude sull’immagine del fiore, che ha sollecitato e che ora conclude una vastissima riflessione. La ginestra diventa un simbolo positivo di comportamento, implicitamente contrapposto alla stoltezza dei contemporanei, incarnazione del poeta stesso si mostra nella sua umile semplicità. La Ginestra segna sul piano formale l’approdo di Leopardi a una poesia nuova, il poeta qui adotta una forma amplissima e uno stile raziocinante con intenti persuasivi. Gli elementi del paesaggio assumono un intenso valore simbolico, in un quadro dissonante, sottolineato da immagini e suoni aspri. Da notare è anche la posizione dell’io poetico, che si immerge nel paesaggio abbandonando ogni schermo illusorio tra sé e la realtà; il poeta si confronta così direttamente con la natura e invita il lettore a fare altrettanto, con un atteggiamento più attivo rispetto a quello contemplativo del pastore nel Canto notturno.