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Il valore
conoscitivo
della poesia di
Eugenio
Montale
Prof.ssa
Daniela Riti
16 novembre 2017 Liceo James Joyce
Linguistico e delle Scienze umane
Il valore conoscitivo della poesia
In greco, espressioni come “arte poetica” e “poesia”
significano in generale "arte di produrre" e
"produzione".
Nella Poetica di Aristotele, tuttavia, tali espressioni
individuano l'arte di elaborare narrazioni
(mythoi), le cui forme principali, anche se non
esclusive, sono l'epica e la tragedia (generi alti),
il giambo e la commedia
(generi bassi).
Aristotele e Platone
• Anche per Aristotele,
come per Platone, l'arte è
imitazione (mimesis) della
realtà. Platone, però, nella
Repubblica condanna
l'opera del poeta come
imitazione di imitazione,
priva di verità perché
copia della realtà
sensibile, a sua volta
immagine sfocata del
mondo intelligibile.
• Aristotele, invece, nella
Poetica, prende le
mosse dalla definizione
dell'arte come
imitazione, per
affermare il valore
conoscitivo della
poesia. Imitando le
azioni e le passioni
umane, cioè
rappresentandole, la
poesia ci insegna infatti
a conoscerle, mentre ci
procura diletto.
Il confronto tra poesia e storia
• A conferma di tale valore conoscitivo, Aristotele pone l'arte
poetica a confronto con la storia, rilevando che, benché
entrambe abbiano a oggetto vicende particolari e non
nozioni universali, la poesia ha un maggior rilievo teorico, è
«più filosofica» (philosophoteron) della storia, perché le
conoscenze di cui essa è portatrice accedono a un maggior
grado di universalità.
• Se infatti la storia narra di singoli eventi realmente accaduti
in un determinato momento e luogo, la poesia si propone
di rappresentare vicende umane possibili. A differenza della
storia, cioè, la poesia raffigura azioni che ogni uomo
potrebbe verosimilmente compiere qualora si trovasse ad
agire in un contesto analogo a quello descritto.
EUGENIO MONTALE
Il valore conoscitivo della sua poesia
Le raccolte poetiche
La poesia di Montale conosce varie
stagioni.
Per semplificare: ci sono due grandi
aree con caratteristiche simili:
Ossi di seppia (1925)
Le occasioni (1939)
La bufera e altro(1956)
Concentrazione espressiva;
ellitticità; epifanie;
condensazione espressiva;
complessità del discorso.
Satura (1971)
Diario del ’71 e del ’72 (1973)
Quaderno di quattro anni (1977)
Altri versi (1980)
Diario postumo
Stile piano e discorsivo;
atteggiamento spesso
dissacratorio e amaramente
divertito; linguaggio
prosastico.
Il valore conoscitivo
della poesia di Montale
in due esempi tratti da
Ossi di seppia
e
Le occasioni
Il canneto
Il ramarro
Ossi di seppia
Il canneto
Il canneto rispunta i suoi cimelli
nella serenità che non si ragna:
l'orto assetato sporge irti ramelli
oltre i chiusi ripari, all'afa stagna.
Sale un'ora d'attesa in cielo, vacua,
dal mare che s'ingrigia.
Un albero di nuvole sull'acqua
cresce, poi crolla come di cinigia.
Assente, come manchi in questa plaga
che ti presente e senza te consuma:
sei lontana e però tutto divaga
dal suo solco, dirupa, spare in bruma.
Le occasioni
Il ramarro
Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa
dalle stoppie-
la vela, quando fiotta
e s’inabissa al salto
della rocca-
il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuore
e il cronometro se
scatta senza rumore-
. . . . . . . . . . . . . .
e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunchè
di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.
Analisi dei due testi
 Analogia di impostazione:
due zone sensoriali:
• Fenomeni della natura(l’orto assetato…) o delle esperienze
sensoriali (più fioco del tuo cuore…)
• Considerazioni esistenziali (sei lontana…) o conoscitive (Altro era il
tuo stampo)
 Caratteristiche:
• OGGETTUALITÀ, CONCRETEZZA, NITIDEZZA DELLA
RAPPRESENTAZIONE. La lingua aderisce agli oggetti con estrema
precisione.
Conseguenza: vocabolario molto ampio, che attinge da:
o letteratura(fiotta, da Pascoli; s’ingrigia, da D’Annunzio)
o dialetto ligure (cimelli=germogli)
o tecnica marinaresca (salto= salto di vento)
MONTALE: poeta del realismo e poeta dotto.
Il realismo si sostanzia di letteratura.
Il ramarro si apre con una immagine che proviene dall’Inferno di Dante:
Come ‘l ramarro sotto la gran fersa
dei dì canicular, cangiando sepe,
folgore par se la via attraversa…
(Inferno, c.XXV, vv.79-81)
Dante e Virgilio sono nell’ottavo cerchio(Malebolge), settima bolgia, dove sono puniti i ladri. Il
paesaggio brulica di serpenti, e il poeta presenta una feroce violenza fisica che si esprime
attraverso la velocità incalzante degli incontri e la concitazione dei dialoghi. È come se la
violenza fisica del male, esprimendosi con la velocità parossistica del brulichio dei serpenti e
dei movimenti disperati dei ladri, qui rischiasse di diventare contagiosa, tanto che Dante fa un
gesto con la mano per zittire Virgilio, quasi mancando di rispetto al suo maestro per la foga di
ascoltare.
È il male nelle sue manifestazioni più raccapriccianti,male allo stato puro, che, come spesso
avviene in Dante, si esprime nei gesti scomposti e nella disarmonia.
Il ramarro, nella similitudine dantesca, è il contrappunto terrestre del mostro infernale, il
serpentello acceso, livido e nero come gran di pepe (vv.83-84), che colpisce il dannato
all’ombelico, prima di stramazzare al suolo. Da qui seguirà poi la metamorfosi, in cui il
dannato diventerà serpente e il serpente assumerà le sembianze del dannato.
• Caratteristiche:
• puntualità delle immagini,
• netta definizione degli oggetti,
• referenzialità del linguaggio
portano ad allontanare
Montale dagli Ermetici.
Poniamoci delle domande…
Riflessione:
la poesia di Montale è
di facile interpretazione?
Analizziamo e riflettiamo…
Nettezza e nitidezza dei particolari
DIFFICOLTÀ di decifrare il significato dell’insieme o
comunque frequente ambiguità del senso complessivo.
Nel Canneto: cos’è quell’ albero di nuvole?
Nel Ramarro: a chi appartiene il tuo cuore?
La presenza di un “IO” e un “TU” è molto frequente nella poesia di Montale.
IO:presente come istanza discorsiva impersonale.
IO: soggetto detentore della visone e dell’interpretazione, ma la centralità
NON è psicologica.
Il DISCORSO POETICO di MONTALE, a differenza di gran parte della poesia del
Novecento, NON affonda nella PSICHE, nei traumi dell’identità soggettiva,
ma è STRUMENTO DI CONOSCENZA.
CONDIZIONE PSICOLOGICA-ESISTENZIALE di MONTALE:
incapacità di vivere
fuga dalla realtà
senso di inappartenenza
sono a monte della sua poesia ma NON sono la via per l’autoanalisi e per lo
scandaglio intimistico.
Attraverso la poesia l’IO esprime la condizione dell’esistenza dell’umanità in
generale attraverso
LAMPI, INTUIZIONI, EPIFANIE che possono aprire il VARCO alla salvezza.
Con MONTALE la poesia abbandona la problematica del SOGGETTO e diventa
CONOSCITIVA.
• Sia nel Canneto, che nel Ramarro, dietro al “tu” si
nasconde, probabilmente, una donna. Ma in entrambi i
casi la donna è assente e non può esplicare il suo
potere salvifico.
• Quindi la Verità, l’Essenza possono essere colte solo
attraverso
improvvise apparizioni o immagini sfuggenti che sforano
la cortina delle apparenze. Sono le “occasioni”.
La bufera e altro
Riflessioni…
In che senso si può dire che la poesia della
raccolta La Bufera e altro sia di tipo
conoscitivo?
In che modo Montale ci fa conoscere la
brutalità della guerra?
La bufera e altro
COMPOSIZIONE: 1940-1954
PUBBLICAZIONE: 1^ ed. (Finisterre) 1943
La bufera e altro 1956
Strutturata in sette sezioni:
• Finisterre : 15 testi scritti fra il 1940 e il 1943. Titolo: Finistére in Bretagna
o “Finis terrae”
• Dopo :4 testi (di cui due madrigali fiorentini) scritti fra il 1943 e il 1945
• Intermezzo: 3 testi scritti fra il 1943 e il 1945
• Flashes e dediche: 15 testi scritti prevalentemente fra il 1948 e il 1952
• Silvae: 11 testi scritti fra il 1946 e il 1949 (ci sono le poesie più significative
della raccolta)
• Madrigali privati: 8 testi scritti prevalentemente fra il 1949 e il 1950
• Conclusioni provvisorie: 2 testi scritti rispettivamente nel 1953 e 1954
Struttura dell’opera
• Montale pensava di intitolare la raccolta Romanzo, a testimonianza del filo
narrativo che si snoda fra i vari testi, inseriti in ordine
approssimativamente cronologico.
• Vi si trova lo svilupparsi della storia personale del poeta in parallelo alla
storia collettiva. Il percorso del poeta va dalla speranza alla negazione
della speranza e quindi, al ripiegamento e alla sconfitta.
• Le eccezioni alla sequenza cronologica sono però frequenti: Finisterre apre
la raccolta con alcuni temi(la guerra, la morte della madre), destinati a
tornare nella seconda e nella terza sezione, Dopo e Intermezzo.
• Segue poi ‘Flashes’ e dediche, sezione che ripresenta le epifanie dei
Mottetti, ma calandole in contesti più consueti(spesso borghesi), con una
sottile ironia, che ridimensiona la carica drammatica delle epifanie stesse.
• Si arriva poi alla sezione più importante dell’opera, Silvae.
Silvae= selve, genere della poesia latina contraddistinto da contenuti
eterogenei.
Clizia-Cristofora
• L’opera, nell’idea del poeta del 1949, doveva avere un impianto
stilnovistico, con il contrasto fra Beatrice(Clizia) e l’antiBeatrice(Volpe). La
donna assume una funzione salvifica proprio a partire da Silvae e poi nelle
sezioni quinta e sesta. La Clizia delle “Occasioni”, depositaria dei valori
della cultura e della civiltà, diventa Cristofora, cioè “portatrice di Cristo”,
che rappresenta i valori cristiani non in quanto elementi dottrinali ma in
quanto elemento di riferimento di valori assoluti che possono calarsi nella
realtà umana. Il critico Jacomuzzi ha detto che Cristofora non è oggetto
della fede ma della speranza.
• Però questa speranza di una incarnazione dell’assoluto in Cristofora si
rivela illusoria: dopo il momento di grande euforia degli anni 1945-46, a
seguito della sconfitta del Fascismo, gli anni 1947-48 sono per Montale
una grande delusione.
• Clizia-Cristofora: la donna-angelo che ha il compito di
salvare l’umanità, è costretta ad allontanarsi
nell’oltrecielo (parallelo con la fuga delle Grazie di
Foscolo). La donna-angelo è sentita ormai come
irraggiungibile e il poeta assume una prospettiva
opposta, terrestre. Il divino che prima era posto
nell’oltrecielo di Clizia viene ora individuato negli strati
bassi della vita, dove vivono le nuove allegorie di
Montale il gallo cedrone e l’anguilla, protagonisti delle
ultime due Silvae.
• I Madrigali privati confermano il passaggio dell’io ad una
dimensione passionale e vitalistica Compare Volpe (la
giovane poetessa Maria Luisa Spaziani), una sorta di anti
Beatrice, che, se da una parte risprende le implicazioni
religiose di Clizia, dall’altra ne rovescia i tratti fisici e
psicologici.
• Volpe: con lei Montale rovescia il mito della speranza per
tutti (Il dono che speravo/ non per me ma per tutti/
appartiene a me solo).
Montale e Maria Luisa Spaziani
Individualismo: le Conclusioni provvisorie concludono il “romanzo”
della Bufera con la difesa dei valori politici e morali della cultura borghese.
Ambientazione storica: guerra fredda tra
“chierici rossi” (lo Stalinismo, il PCI)
“neri”(il clericalismo conservatore, la DC).
Tornano i temi tipici di Montale: il “male di vivere”, la “disarmonia tra io e il
mondo”.
Montale: un recluso oppresso da una forza oscura che lo condanna da sempre
senza un perché.
Novità:
crisi dell’io parallela crisi della civiltà
borghese
NON si può descrivere con gli strumenti della cultura
umanistica.
La poesia conoscitiva di Montale approda ad un punto di
vista critico-negativo sul mondo.
La poesia, per tornare ad esistere, dovrà abbassare la
propria voce e prendere atto della sconfitta definitiva:
sarà appunto questa la poesia prosastica, questo
l’atteggiamento dissacratorio della successiva raccolta,
Satura.
La disarmonia con la realtà:
In una dichiarazione di poetica del 1951, Montale chiarisce il motivo esistenziale profondo da cui nasce
la sua poesia. Il drammatico momento storico in cui è vissuto(la guerra, il Fascismo, il Nazismo), è
presente, ma non in modo determinante nella sua ispirazione poetica.
• “L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la
condizione umana in sé considerata; non questo o quello avvenimento
storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa
solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio. Non
sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent'anni; ma non
posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe
avuto un volto totalmente diverso. […]
Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi
circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella
disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la
guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano
in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi
fenomeni. Ritengo si tratti di un in adattamento … psicologico e morale che
è proprio a tutte le nature a sfondo introspettivo, cioè a tutte le nature
poetiche.”
Il tempo
Le Occasioni: spazio chiuso e tempo fermo, legato alle epifanie
La Bufera e altro: luoghi aperti delle città e della campagna
Tempo lineare e romanzesco
TEMPO DELL’ATTESA E DELLA SPERANZA (la lontananza di
Clizia, l’attesa del suo ritorno)
PASSATO= l’infanzia, la presenza di Clizia
FUTURO=il ritorno di Clizia
Contro PRESENTE= NEGATIVO
Alla fine il buio della prigione dove “il secolo è il minuto”.
Fallimento delle speranze.
Lo spazio
VERTICALITÀ
• CIELO LUOGO DI CLIZIA,
LA DONNA ANGELO
INVERSIONE
• TERRA LUOGO DEL FANGO
E DEL SOTTOSUOLO(le tombe)
Il DIVINO non più nel cielo ma nel fango
(l’anguilla, il gallo cedrone)
Il gallo cedrone
Dove t’abbatti dopo il breve sparo
(la tua voce ribolle rossonero
Salmì di cielo e terra a lento fuoco)
Anch’io riparo brucio anch’io nel fosso.
Chiede aiuto il singulto.
Era più dolce Vivere che affondare in questo magma
Più facile disfarsi al vento che
Qui nel limo incrostati sulla fiamma.
Sento nel petto la tua piaga sotto
Un grumo d’ala il mio pesante volo
Tenta un muro e di noi solo rimane
Qualche piuma sull’ilice brinata.
Zuffe di nidi, amori, nidi d’uova
Marmorate divine! Ora la gemma
Delle piante perenni come il bruco
Luccica al buio, Giove è sotterrato.
Gallo cedrone emblema della poesia
Uccisione del gallo fine della poesia nella
società contemporanea
Prima strofa: fratellanza fra il gallo e il poeta
Il gallo precipita nel fosso e così il poeta, che brucia di sofferenza
Seconda strofa: il “singulto” è lo stesso del poeta che chiede aiuto.
Meglio della morte nel fango sarebbe stata una morte eroica,
volando nel vento: sacrificarsi per un ideale, opponendosi al
fascismo,sarebbe stato meglio di piegarsi alla meschinità dell’epoca
contemporanea, nel fango.
Terza strofa: il poeta, completamente identificato con il gallo
cedrone, tenta disperatamente di valicare il muro ma il volo
è pesante e ci sono solo brandelli delle ali(del gallo e del
poeta).
Quarta strofa: il poeta rievoca le lotte, la vita vissuta. Ciò che
rimane sono le uova fecondate da cui nascerà un nuovo
urogallo. Quindi il poeta trasmette la speranza che la poesia
possa sopravvivere. La funzione sociale della poesia non è
nella sua capacità di elevarsi verso l’alto, di proporre grandi
ideali, ma è nella sua capacità di vivere nel fango.
Giove: la divinità pagana per eccellenza, assume un valore di
eternità.
La bufera
Les princes n' ont point d' yeux pour voir ces grand' s merveilles,
leurs mains ne servent plus qu' à nous persécuter
Agrippa d'Aubignè (1552 -1630), À Dieu
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
Analisi
• Nella prima stesura(1941) l’epigrafe era: “Porque
sabes que siempre te he querido” perché il regime
fascista avrebbe censurato i versi del poeta
protestante francese Agrippa D’Aubigné, che
Montale aveva scelto alludendo alle dittature di
Hitler e Mussolini
• La bufera è la seconda guerra, con la sua
distruzione, accostata alla bufera, con lampi,
fulmini e grandine.
La lunga parentesi dei versi 4-9 ripropone
interno familiare
oggetti(mogani, libri rilegati),
“nido”,
di chiara impronta pascoliana.
I tre elementi dei v.12-13 sono correlativi
oggettivi:
marmo freddezza
manna dolcezza
distruzione ineluttabilità
• Rapporto con Clizia: “strana sorella”
• Elementi uditivi: sistri tamburelli fandango
• Legami letterari: sistri(Pascoli)
Fossa fuia (Dante)
• Immagine della donna che saluta il poeta e se
ne va per sempre.
https://www.youtube.com/watch?v=FXz8ombIvtU
La primavera hitleriana
La visita di Hitler a Firenze
Visita di Hitler in ItaLia il 9 maggio 1938.
FIRENZE. RASSEGNA DEL COMUNE Anno VII, n. 6, Giugno 1938
IL SOGGIORNO IN ITALIA DI ADOLFO HITLER si è concluso fra grandiose
manifestazioni a Firenze
“Per la venuta del Fuhrer Firenze è apparsa sfolgorante di bellezza. Il sole aveva
indorato l’incanto delle sue ridenti colline e la vetusta magnificenza dei suoi
palazzi, dei suoi monumenti che costituiscono la testimonianza della sua gloria
artistica: mai tante bandiere, mai tanti arazzi e damaschi preziosissimi, avevano
adornato le finestre ed i balconi dei suoi antichi edifici. E gli addobbi non coprono,
ma inquadrano ed esaltano quanto il genio ha creato nei secoli in una successione
di pittoresche apparizioni, in un’apoteosi di colori. Le felici e geniali decorazioni –
ideate e realizzate da un apposito ufficio comunale dei festeggiamenti – hanno
trovato, secondo lo stesso concorde ed entusiastico giudizio delle personalità
ospiti e della stampa italiana ed internazionale, completa armonia e perfetta
ispirazione e fusione con l’architettura dei palazzi, con la struttura delle strade e
con le linee dei monumenti.
L’interno della Stazione preannunzia i motivi
degli addobbi della città: bandiere
bianco-gigliate e
rosso-uncinate, fasci littori dorati e piante
ornamentali, magnifiche azalee in tutte
le sfumature dal bianco al rosso.
Nel piazzale esterno della Stazione,
di fronte all’uscita del padiglione reale,
è stata eretta una grande esedra di verde
con tre vasche, in mezzo alle quali
sorgono le riproduzioni del Nettuno
e delle sirene del Giambologna.
Sul ripiano antistante,
coperto di pratoline, è, al centro,
il giglio fiorentino formato da primule rosse.
L’esedra di verde, alta 15 metri, si prolunga di fronte al lato arrivi formando ampie anse
equidistanti che accolgono otto fontane zampillanti, le quali, a loro volta, sovrastano una
grandiosa tribuna a gradinate per la folla degli invitati alla cui base sono sedici leoni
michelangioleschi.
Entrando nella piazza dell’Unità, sul lato destro l’abside e la facciata trecentesche e l’agile
campanile quattrocentesco di S. Maria Novella si mostrano nella loro mirabile nudità: sul
fianco sinistro, dietro l’obelisco, che ricorda i caduti per la Patria, i palazzi sono adorni di
labari bianco-gigliati, rosso-uncinati e nero-dorati, spioventi dai tetti fino a terra: le file delle
finestre sono pavesate di bandiere. Via Panzani è trasformata in una meravigliosa galleria a
grandi campate di stoffa bianca che portano impressi gigli rossi. Le campate salgono dai
marciapiedi sino ai tetti, traversando le strade e ridiscendendo ai marciapiedi opposti.
Ad ogni finestra sventolano insegne azzurre del Capo del Governo. Via Cerretani continua la
galleria con grandi campate rosse recanti impresso l’emblema del Terzo Reich. In Piazza del
Duomo le moli meravigliose di S. Maria del Fiore, della cupola del Brunellesco, del campanile
di Giotto e del Battistero con le porte del Pisano e del Ghiberti, che furono dette del Paradiso,
formano di per sé stesse una zona monumentale di incomparabile armonia. I palazzi
circostanti, decorati di arazzi e gonfaloni bianchi gigliati in rosso, infondono al quadro di
insieme una austerità solenne e mistica. Via Calzaiuoli è ammantata di bandiere bianco-rosso
e di campate cilestrine, su ciascuna delle quali sono disegnati i simboli delle antiche
corporazioni fiorentine..
Via Speziali a bandiere rosse e bianche. In piazza Vittorio, cuore della città medioevale, ove si
incrociavano le grandi arterie romane del cardo e del decumano, sono erette due immense
tribune per il popolo. Sugli attici dei palazzi svettano selve di bandiere tricolori. Via Strozzi ha
le campate in giallo-oro e festoni robbiani di verde e di frutta. Palazzo Strozzi, la massiccia
costruzione cinquecentesca di Benedetto da Maiano, ha infisso nei suoi mirabili
portabandiera di ferro battuto le bandiere degli antichi nobili casati e quelle delle arti. I
palazzi di Via Tornabuoni si ammantano di antichissimi arazzi. Piazza S. Trinita ed il ponte
omonimo dell’Ammannati sono trasformati in un delizioso giardino fiorito. I palazzi della Via
Maggio, tra cui quello ove dimorò Bianca Cappello, sono addobbati con gli arazzi degli antichi
rioni, con bandiere delle arti e con decorazioni robbiane…”.
1 Da: Firenze. Rassegna del Comune, Anno VII, n. 6, Giugno
1938, pp. 242-244
E’ in questo clima che, per la visita del Fuhrer, Firenze, la città
della cultura per eccellenza, mette in scena una
rappresentazione folcloristica della sua storia proponendo un
Medioevo romanticamente vissuto come archetipo delle virtù
civili e un Rinascimento centro delle glorie cittadine.
Medioevo e Rinascimento spezzati dai lampi vividi della
modernità razionalista delle nuove architetture, ma il tutto
unito a formare la “supremazia culturale” fiorentina. Un
tripudio di colori e festoni fioriti in strade e palazzi ripuliti e
riportati a nuovo, quinte di verde e schieramenti militari che
occultano cantieri e brutture, devono rendere, insieme ai
cortei dei figuranti dei giochi storici toscani, il mondo
medioevale e la primogenitura culturale fiorentina, toscana
ed italiana.
Una voce discordante
I quaderni dell’archivio della città di Firenze
La Primavera della città in simbiosi con la primavera
meteorologica si bea dei propri monumenti e delle proprie
collezioni, si realizza una profusione di stendardi gigliati, ma si
dimentica la lezione profonda della cultura umanistica e la
centralità della dignità dell’uomo e della sua libera azione.
L’allestimento del percorso serale verso il Teatro Comunale e
le Cascine, cambia di tono e si trasforma nell’esaltazione della
potenza militare italiana e dell’ospite germanico in un
crescendo drammatico dai colori cupi e irreali in cui si
moltiplicano svastiche, soldati, cannoni, torce e nomi
fiammeggianti.
La rappresentazione ha lo scopo preciso di impressionare il
dittatore tedesco e decretare una sicura supremazia italiana:
non è frutto di una improvvisazione, ma di una puntuale e
precisa regia creata con l’istituzione di uno speciale Ufficio
comunale destinato a curare l’immagine della città.
Il “giubilo spontaneo” delle bandiere, dei drappi e delle scritte
inneggianti i due dittatori è studiato e programmato nei
minimi particolari. I condomini e le case poste lungo la
ferrovia e i percorsi cittadini sono minuziosamente fotografati
e rilevati. Vengono progettati gli addobbi, il numero e il tipo di
bandiere (nessuna bandiera tedesca o svastica doveva
comparire sugli edifici pubblici), i cartelli, nonché i restauri e
gli occultamenti.
I cartelli di saluto e di inneggiamento ai due dittatori erano
dettagliatamente contati e bilanciati tra i due ed era disegnato
il luogo dove apporli.
Un intervento pubblico che sembra funzionare nella
realizzazione della impeccabile ospitalità e nell’organizzazione
delle masse di cittadini, ma che non riesce a colpire nel
profondo l’animo pseudo artistico del Fuhrer che rimanda
ogni manifestazione culturale a una primogenitura della
mitica Atlantide germanica dalla quale viene fatta derivare dai
nazisti la cultura greca e occidentale
Il punto finale “der höhepunkt” del Viaggio in Italia del
Cancelliere tedesco, unico luogo nel quale si ritrovano soli
senza la subordinazione gerarchica del Duce alla Monarchia,
vede il rovesciarsi dei ruoli e delle gerarchie tra i due dittatori:
l’Italia si vede costretta ad accettare la supremazia militare e
strategica tedesca e l’annessione dell’Austria quando, solo
quattro anni prima spostava le truppe al Brennero a difesa
dell’indipendenza austriaca.
Il Cerimoniale della Presidenza del Consiglio aveva fatto si che il
fitto programma impedisse colloqui approfonditi e risposte
imbarazzanti, ma la commedia recitata nella giornata del 9
maggio 1938 abbandona i colori della primavera e gli echi
grotteschi che ci ha fatto rivivere Chaplin nel Grande dittatore
per divenire così il simbolo drammatico della nuova alleanza
con il Reich tedesco e il punto di partenza di un nuovo ordine
L’organizzazione della giornata della visita che voleva mettere in
luce la supremazia della cultura italiana e fiorentino/toscana
nella rievocazione forzatamente medioeval-romantica e il
forte legame del Duce con le folle attraverso il tripudio offerto
al passaggio delle autorità, si tinge di toni sempre più oscuri.
La gioia del paesaggio e delle bellezze artistiche ripulite e
lucidate a tappe forzate è pervaso dal problema della
sicurezza: imponenti cordoni militari e di polizia fanno da
sfondo. La paura di contestazioni fa arrivare persino a
sostituire l’allestimento progettato, nel popolare quartiere di
Santo Spirito, in piazza S. Felicita, con uno schieramento di
soldati. Le preoccupazioni continuano per la serata al Teatro
Comunale per l’opera del Maggio dove funzionari dell’Ovra, la
polizia segreta, erano strategicamente disseminati in sala
Una preoccupazione che unita a misure di polizia eccezionali
contro i possibili oppositori, evitò in quegli anni di
cosiddetto “consenso” manifestazioni eclatanti, ma non
evitò l’ironia diffusa per l’evento. Le vignette ironiche sui
lavori e le frettolose ripuliture, i rifacimenti delle strade e le
coperture dei cantieri, delle case fatiscenti e dei numerosi
pollai lungo la ferrovia, trovarono spazio persino su «La
Nazione».
Nella memoria popolare rimane forte la vetrina di un
pasticcere, che davanti all’invito di onorare i due dittatori
apponendo le loro foto in vetrina, le circonda di scatole di
biscotti Fratelli Lazzaroni. La stessa ironia accoglie il
Rinascimento di “cartapesta e gesso” che copiosamente
aveva invaso le strade.
Ma forse è proprio la conclusione della giornata del 9 maggio che
con un transfert temporale fa presagire il dramma futuro:
l’opera rappresentata al Maggio, il nuovo festival musicale
fortemente voluto dal regime fascista e ideato dallo stesso
Alessandro Pavolini, è il Simon Boccanegra di Verdi. La storia,
dalla trama complessa e ricca di drammi di amore e di
cospirazioni, con il testo di Antonio García Gutiérrez, ridotto in
libretto da Francesco Maria Piave, poi da Giuseppe
Montanelli e nella versione definitiva da Arrigo Boito, narra
delle lotte e della crisi del potere della Genova trecentesca e
si conclude con l’avvelenamento del “tiranno”, il doge, ed ex
corsaro Simon Boccanegra. Una atmosfera triste, una tangibile
sofferenza, pervadono il melodramma riscattato dal
messaggio finale di pace, di giustizia e di amore per un futuro
migliore.
I quaderni dell’Archivio della città di Firenze n.1
Pubblicazione a cura della P.O. Archivi e collezioni librarie e storiche
(servizio attività culturali ed eventi)
La primavera hitleriana
Né quella ch’a veder lo sol si gira…
Dante (?) a Giovanni Quirini
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede (l'estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch'esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate,
di larve sulle golene, e l'acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a san Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell’avvenire) e gli eliotropo nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi
fino a che il cieco sole in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince – col respiro
di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
Analisi
• Presenza di riferimenti biblici e cristiani: San Giovanni
(v.21), i sette angeli di Tobia (v.26) che nella Bibbia hanno il
compito di indicare a Dio i meriti degli uomini, l’Altro (v.36),
il Lui(v.37).
• Linguaggio elevato e raro: il sinibbio (v.30), abbacini (v.36),
stillando (v.34).
• Linguaggio della contemporaneità: alalà (v.9), croci a
uncino (v.10).
• Costruzione sintattica: in parte lunga e articolata(vv.20-30),
in parte semplice e prosastica (vv.10-15)
Montale riesce a variare linguaggio e situazioni, costruendo
un testo di grandissima maestria e pregnanza visiva.
• vv.1-7: immagine di morte. Hitler da poco è passato per le strade di
Firenze addobbate a festa. Le falene si accostano ai lampioni e ne segue
uno strato di insetti morti a terra su cui i fiorentini passano. Significato
simbolico: i fiorentini ignari di cosa accadrà, calpestano le farfalle bianche,
e, inconsapevolmente sono già complici del carnefice.
• vv.8-19: Hitler (il “messo infernale”) arriva al Teatro Comunale (il “golfo
mistico” ), dove, insieme a Mussolini, assistette ad uno spettacolo
musicale. Viene salutato da soldati fascisti (gli “scherani”, in senso
dispregiativo anche per sottolineare il ruolo subalterno del Fascismo nel
confronti del Nazismo), con il grido tipico dei fascisti italiani (“eja eja
alalà”). Tutti i fiorentini che accolgono festosamente Hitler non si rendono
conto che, con il loro atteggiamento, favoriscono l’ascesa del dittatore e
l’attuarsi della carneficina da lì a breve. Alcuni particolari, riferiti ad oggetti
esposti nelle vetrine ( i “giocattoli di guerra” e le bacche nei musi dei
capretti uccisi), rappresentano simbolicamente segnali sinistri di una
tragedia imminente.
• vv.20-30: data la vittoria del male, al poeta sembrano inutili
quei momenti positivi vissuti insieme a Clizia e li rievoca per
accenni(i fuochi d’artificio della festa di San Giovanni, l’addio
dato alla donna). Ma come una luce di speranza il ricordo di
una stella cadente che il poeta vide insieme a Clizia, rievocata
nella tristezza presente di una primavera che non porta
polline ma il freddo del sinibbio(un vento del Nord), come
presagio di sventura.
• vv.31-37 Ma la stessa morìa di farfalle, il freddo inusuale in
primavere possono essere già il segnale della morte per le
forze stesse del male che portano la morte. Quindi il ruolo di
Clizia non è concluso come sembrava nella terza strofa: a
Clizia spetta ora di riunirsi, con il proprio amore, all’amore
universale di Dio, ripetendo in qualche modo la funzione
sacrificale di Gesù, per la salvezza dell’intera umanità. Qui
compare per la prima volta il nome di Clizia: il suo destino, per
Montale, è quello di guardare in alto, verso il sole, come evoca
il suo nome. Al verso 34 abbiamo il secondo verso che si
ricollega a quello citato dal poeta in epigrafe. Clizia, la ninfa
tramutata in girasole e unita per sempre all’amore di Apollo,
allude alle trasformazioni storiche e personali di Irma Brandeis
nel suo rapporto con Montale.
• vv. 37-43:la conclusione, con i rintocchi delle campane, con
l’alba “bianca ma senz’ali di raccapriccio”, esprimono una
speranza di rinascita. Sono il segnale, non consueto in
Montale, di speranza e ottimismo nel futuro della società.
Colleghiamo due poeti sul tema della guerra……
Trilussa
• Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri]
(Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950).
• Poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue
composizioni in dialetto romanesco.
• Linguaggio:dialettale ma non romanesco autentico. Si può definire un “dialetto
borghese”, che ha il pregio di farsi capire da tutti, anche da chi non è di Roma.
• Nella Ninna nanna de la guerra (scritta nel 1914) Trilussa denuncia la brutalità
della guerra causata da due sovrani:
• Gujermone: Guglielmo II, imperatore tedesco
• Ceccopeppe: Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria
• I due sovrani sono accomunati a Farfarello (uno dei diavoli danteschi), in quanto
mandarono al macello i popoli europei nella prima guerra mondiale.
• Trilussa denuncia gli interessi economici dell’industria dell’acciaio e della
produzione di armi, che determinarono lo scoppio della guerra.
• Con grande acume satirico, Trilussa dice che, alla fine della guerra, i sovrani nemici
si stringeranno la mano alle spalle di quel popolo di ingenui e creduloni, che sarà
stato risparmiato dalla carneficina.
Ninna nanna de la guerra
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe dun impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Ché quer covo dassassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura sto macello:
fa la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

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"Il valore conoscitivo della poesia di Montale"

  • 1. Il valore conoscitivo della poesia di Eugenio Montale Prof.ssa Daniela Riti 16 novembre 2017 Liceo James Joyce Linguistico e delle Scienze umane
  • 2. Il valore conoscitivo della poesia In greco, espressioni come “arte poetica” e “poesia” significano in generale "arte di produrre" e "produzione". Nella Poetica di Aristotele, tuttavia, tali espressioni individuano l'arte di elaborare narrazioni (mythoi), le cui forme principali, anche se non esclusive, sono l'epica e la tragedia (generi alti), il giambo e la commedia (generi bassi).
  • 3. Aristotele e Platone • Anche per Aristotele, come per Platone, l'arte è imitazione (mimesis) della realtà. Platone, però, nella Repubblica condanna l'opera del poeta come imitazione di imitazione, priva di verità perché copia della realtà sensibile, a sua volta immagine sfocata del mondo intelligibile.
  • 4. • Aristotele, invece, nella Poetica, prende le mosse dalla definizione dell'arte come imitazione, per affermare il valore conoscitivo della poesia. Imitando le azioni e le passioni umane, cioè rappresentandole, la poesia ci insegna infatti a conoscerle, mentre ci procura diletto.
  • 5. Il confronto tra poesia e storia • A conferma di tale valore conoscitivo, Aristotele pone l'arte poetica a confronto con la storia, rilevando che, benché entrambe abbiano a oggetto vicende particolari e non nozioni universali, la poesia ha un maggior rilievo teorico, è «più filosofica» (philosophoteron) della storia, perché le conoscenze di cui essa è portatrice accedono a un maggior grado di universalità. • Se infatti la storia narra di singoli eventi realmente accaduti in un determinato momento e luogo, la poesia si propone di rappresentare vicende umane possibili. A differenza della storia, cioè, la poesia raffigura azioni che ogni uomo potrebbe verosimilmente compiere qualora si trovasse ad agire in un contesto analogo a quello descritto.
  • 6. EUGENIO MONTALE Il valore conoscitivo della sua poesia
  • 7. Le raccolte poetiche La poesia di Montale conosce varie stagioni. Per semplificare: ci sono due grandi aree con caratteristiche simili: Ossi di seppia (1925) Le occasioni (1939) La bufera e altro(1956) Concentrazione espressiva; ellitticità; epifanie; condensazione espressiva; complessità del discorso.
  • 8. Satura (1971) Diario del ’71 e del ’72 (1973) Quaderno di quattro anni (1977) Altri versi (1980) Diario postumo Stile piano e discorsivo; atteggiamento spesso dissacratorio e amaramente divertito; linguaggio prosastico.
  • 9. Il valore conoscitivo della poesia di Montale in due esempi tratti da Ossi di seppia e Le occasioni Il canneto Il ramarro
  • 10. Ossi di seppia Il canneto Il canneto rispunta i suoi cimelli nella serenità che non si ragna: l'orto assetato sporge irti ramelli oltre i chiusi ripari, all'afa stagna. Sale un'ora d'attesa in cielo, vacua, dal mare che s'ingrigia. Un albero di nuvole sull'acqua cresce, poi crolla come di cinigia. Assente, come manchi in questa plaga che ti presente e senza te consuma: sei lontana e però tutto divaga dal suo solco, dirupa, spare in bruma.
  • 11. Le occasioni Il ramarro Il ramarro, se scocca sotto la grande fersa dalle stoppie- la vela, quando fiotta e s’inabissa al salto della rocca- il cannone di mezzodì più fioco del tuo cuore e il cronometro se scatta senza rumore- . . . . . . . . . . . . . . e poi? Luce di lampo invano può mutarvi in alcunchè di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.
  • 12. Analisi dei due testi  Analogia di impostazione: due zone sensoriali: • Fenomeni della natura(l’orto assetato…) o delle esperienze sensoriali (più fioco del tuo cuore…) • Considerazioni esistenziali (sei lontana…) o conoscitive (Altro era il tuo stampo)  Caratteristiche: • OGGETTUALITÀ, CONCRETEZZA, NITIDEZZA DELLA RAPPRESENTAZIONE. La lingua aderisce agli oggetti con estrema precisione. Conseguenza: vocabolario molto ampio, che attinge da: o letteratura(fiotta, da Pascoli; s’ingrigia, da D’Annunzio) o dialetto ligure (cimelli=germogli) o tecnica marinaresca (salto= salto di vento)
  • 13. MONTALE: poeta del realismo e poeta dotto. Il realismo si sostanzia di letteratura. Il ramarro si apre con una immagine che proviene dall’Inferno di Dante: Come ‘l ramarro sotto la gran fersa dei dì canicular, cangiando sepe, folgore par se la via attraversa… (Inferno, c.XXV, vv.79-81) Dante e Virgilio sono nell’ottavo cerchio(Malebolge), settima bolgia, dove sono puniti i ladri. Il paesaggio brulica di serpenti, e il poeta presenta una feroce violenza fisica che si esprime attraverso la velocità incalzante degli incontri e la concitazione dei dialoghi. È come se la violenza fisica del male, esprimendosi con la velocità parossistica del brulichio dei serpenti e dei movimenti disperati dei ladri, qui rischiasse di diventare contagiosa, tanto che Dante fa un gesto con la mano per zittire Virgilio, quasi mancando di rispetto al suo maestro per la foga di ascoltare. È il male nelle sue manifestazioni più raccapriccianti,male allo stato puro, che, come spesso avviene in Dante, si esprime nei gesti scomposti e nella disarmonia. Il ramarro, nella similitudine dantesca, è il contrappunto terrestre del mostro infernale, il serpentello acceso, livido e nero come gran di pepe (vv.83-84), che colpisce il dannato all’ombelico, prima di stramazzare al suolo. Da qui seguirà poi la metamorfosi, in cui il dannato diventerà serpente e il serpente assumerà le sembianze del dannato.
  • 14. • Caratteristiche: • puntualità delle immagini, • netta definizione degli oggetti, • referenzialità del linguaggio portano ad allontanare Montale dagli Ermetici.
  • 15. Poniamoci delle domande… Riflessione: la poesia di Montale è di facile interpretazione?
  • 16. Analizziamo e riflettiamo… Nettezza e nitidezza dei particolari DIFFICOLTÀ di decifrare il significato dell’insieme o comunque frequente ambiguità del senso complessivo. Nel Canneto: cos’è quell’ albero di nuvole? Nel Ramarro: a chi appartiene il tuo cuore? La presenza di un “IO” e un “TU” è molto frequente nella poesia di Montale. IO:presente come istanza discorsiva impersonale. IO: soggetto detentore della visone e dell’interpretazione, ma la centralità NON è psicologica. Il DISCORSO POETICO di MONTALE, a differenza di gran parte della poesia del Novecento, NON affonda nella PSICHE, nei traumi dell’identità soggettiva, ma è STRUMENTO DI CONOSCENZA.
  • 17. CONDIZIONE PSICOLOGICA-ESISTENZIALE di MONTALE: incapacità di vivere fuga dalla realtà senso di inappartenenza sono a monte della sua poesia ma NON sono la via per l’autoanalisi e per lo scandaglio intimistico. Attraverso la poesia l’IO esprime la condizione dell’esistenza dell’umanità in generale attraverso LAMPI, INTUIZIONI, EPIFANIE che possono aprire il VARCO alla salvezza. Con MONTALE la poesia abbandona la problematica del SOGGETTO e diventa CONOSCITIVA.
  • 18. • Sia nel Canneto, che nel Ramarro, dietro al “tu” si nasconde, probabilmente, una donna. Ma in entrambi i casi la donna è assente e non può esplicare il suo potere salvifico. • Quindi la Verità, l’Essenza possono essere colte solo attraverso improvvise apparizioni o immagini sfuggenti che sforano la cortina delle apparenze. Sono le “occasioni”.
  • 19. La bufera e altro
  • 20. Riflessioni… In che senso si può dire che la poesia della raccolta La Bufera e altro sia di tipo conoscitivo? In che modo Montale ci fa conoscere la brutalità della guerra?
  • 21. La bufera e altro COMPOSIZIONE: 1940-1954 PUBBLICAZIONE: 1^ ed. (Finisterre) 1943 La bufera e altro 1956 Strutturata in sette sezioni: • Finisterre : 15 testi scritti fra il 1940 e il 1943. Titolo: Finistére in Bretagna o “Finis terrae” • Dopo :4 testi (di cui due madrigali fiorentini) scritti fra il 1943 e il 1945 • Intermezzo: 3 testi scritti fra il 1943 e il 1945 • Flashes e dediche: 15 testi scritti prevalentemente fra il 1948 e il 1952 • Silvae: 11 testi scritti fra il 1946 e il 1949 (ci sono le poesie più significative della raccolta) • Madrigali privati: 8 testi scritti prevalentemente fra il 1949 e il 1950 • Conclusioni provvisorie: 2 testi scritti rispettivamente nel 1953 e 1954
  • 22. Struttura dell’opera • Montale pensava di intitolare la raccolta Romanzo, a testimonianza del filo narrativo che si snoda fra i vari testi, inseriti in ordine approssimativamente cronologico. • Vi si trova lo svilupparsi della storia personale del poeta in parallelo alla storia collettiva. Il percorso del poeta va dalla speranza alla negazione della speranza e quindi, al ripiegamento e alla sconfitta. • Le eccezioni alla sequenza cronologica sono però frequenti: Finisterre apre la raccolta con alcuni temi(la guerra, la morte della madre), destinati a tornare nella seconda e nella terza sezione, Dopo e Intermezzo. • Segue poi ‘Flashes’ e dediche, sezione che ripresenta le epifanie dei Mottetti, ma calandole in contesti più consueti(spesso borghesi), con una sottile ironia, che ridimensiona la carica drammatica delle epifanie stesse. • Si arriva poi alla sezione più importante dell’opera, Silvae. Silvae= selve, genere della poesia latina contraddistinto da contenuti eterogenei.
  • 23. Clizia-Cristofora • L’opera, nell’idea del poeta del 1949, doveva avere un impianto stilnovistico, con il contrasto fra Beatrice(Clizia) e l’antiBeatrice(Volpe). La donna assume una funzione salvifica proprio a partire da Silvae e poi nelle sezioni quinta e sesta. La Clizia delle “Occasioni”, depositaria dei valori della cultura e della civiltà, diventa Cristofora, cioè “portatrice di Cristo”, che rappresenta i valori cristiani non in quanto elementi dottrinali ma in quanto elemento di riferimento di valori assoluti che possono calarsi nella realtà umana. Il critico Jacomuzzi ha detto che Cristofora non è oggetto della fede ma della speranza. • Però questa speranza di una incarnazione dell’assoluto in Cristofora si rivela illusoria: dopo il momento di grande euforia degli anni 1945-46, a seguito della sconfitta del Fascismo, gli anni 1947-48 sono per Montale una grande delusione.
  • 24. • Clizia-Cristofora: la donna-angelo che ha il compito di salvare l’umanità, è costretta ad allontanarsi nell’oltrecielo (parallelo con la fuga delle Grazie di Foscolo). La donna-angelo è sentita ormai come irraggiungibile e il poeta assume una prospettiva opposta, terrestre. Il divino che prima era posto nell’oltrecielo di Clizia viene ora individuato negli strati bassi della vita, dove vivono le nuove allegorie di Montale il gallo cedrone e l’anguilla, protagonisti delle ultime due Silvae.
  • 25. • I Madrigali privati confermano il passaggio dell’io ad una dimensione passionale e vitalistica Compare Volpe (la giovane poetessa Maria Luisa Spaziani), una sorta di anti Beatrice, che, se da una parte risprende le implicazioni religiose di Clizia, dall’altra ne rovescia i tratti fisici e psicologici. • Volpe: con lei Montale rovescia il mito della speranza per tutti (Il dono che speravo/ non per me ma per tutti/ appartiene a me solo).
  • 26. Montale e Maria Luisa Spaziani
  • 27. Individualismo: le Conclusioni provvisorie concludono il “romanzo” della Bufera con la difesa dei valori politici e morali della cultura borghese. Ambientazione storica: guerra fredda tra “chierici rossi” (lo Stalinismo, il PCI) “neri”(il clericalismo conservatore, la DC). Tornano i temi tipici di Montale: il “male di vivere”, la “disarmonia tra io e il mondo”. Montale: un recluso oppresso da una forza oscura che lo condanna da sempre senza un perché.
  • 28. Novità: crisi dell’io parallela crisi della civiltà borghese NON si può descrivere con gli strumenti della cultura umanistica. La poesia conoscitiva di Montale approda ad un punto di vista critico-negativo sul mondo. La poesia, per tornare ad esistere, dovrà abbassare la propria voce e prendere atto della sconfitta definitiva: sarà appunto questa la poesia prosastica, questo l’atteggiamento dissacratorio della successiva raccolta, Satura.
  • 29. La disarmonia con la realtà: In una dichiarazione di poetica del 1951, Montale chiarisce il motivo esistenziale profondo da cui nasce la sua poesia. Il drammatico momento storico in cui è vissuto(la guerra, il Fascismo, il Nazismo), è presente, ma non in modo determinante nella sua ispirazione poetica. • “L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent'anni; ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso. […] Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni. Ritengo si tratti di un in adattamento … psicologico e morale che è proprio a tutte le nature a sfondo introspettivo, cioè a tutte le nature poetiche.”
  • 30. Il tempo Le Occasioni: spazio chiuso e tempo fermo, legato alle epifanie La Bufera e altro: luoghi aperti delle città e della campagna Tempo lineare e romanzesco TEMPO DELL’ATTESA E DELLA SPERANZA (la lontananza di Clizia, l’attesa del suo ritorno) PASSATO= l’infanzia, la presenza di Clizia FUTURO=il ritorno di Clizia Contro PRESENTE= NEGATIVO Alla fine il buio della prigione dove “il secolo è il minuto”. Fallimento delle speranze.
  • 31. Lo spazio VERTICALITÀ • CIELO LUOGO DI CLIZIA, LA DONNA ANGELO INVERSIONE • TERRA LUOGO DEL FANGO E DEL SOTTOSUOLO(le tombe) Il DIVINO non più nel cielo ma nel fango (l’anguilla, il gallo cedrone)
  • 32. Il gallo cedrone Dove t’abbatti dopo il breve sparo (la tua voce ribolle rossonero Salmì di cielo e terra a lento fuoco) Anch’io riparo brucio anch’io nel fosso. Chiede aiuto il singulto. Era più dolce Vivere che affondare in questo magma Più facile disfarsi al vento che Qui nel limo incrostati sulla fiamma. Sento nel petto la tua piaga sotto Un grumo d’ala il mio pesante volo Tenta un muro e di noi solo rimane Qualche piuma sull’ilice brinata. Zuffe di nidi, amori, nidi d’uova Marmorate divine! Ora la gemma Delle piante perenni come il bruco Luccica al buio, Giove è sotterrato.
  • 33. Gallo cedrone emblema della poesia Uccisione del gallo fine della poesia nella società contemporanea Prima strofa: fratellanza fra il gallo e il poeta Il gallo precipita nel fosso e così il poeta, che brucia di sofferenza Seconda strofa: il “singulto” è lo stesso del poeta che chiede aiuto. Meglio della morte nel fango sarebbe stata una morte eroica, volando nel vento: sacrificarsi per un ideale, opponendosi al fascismo,sarebbe stato meglio di piegarsi alla meschinità dell’epoca contemporanea, nel fango.
  • 34. Terza strofa: il poeta, completamente identificato con il gallo cedrone, tenta disperatamente di valicare il muro ma il volo è pesante e ci sono solo brandelli delle ali(del gallo e del poeta). Quarta strofa: il poeta rievoca le lotte, la vita vissuta. Ciò che rimane sono le uova fecondate da cui nascerà un nuovo urogallo. Quindi il poeta trasmette la speranza che la poesia possa sopravvivere. La funzione sociale della poesia non è nella sua capacità di elevarsi verso l’alto, di proporre grandi ideali, ma è nella sua capacità di vivere nel fango. Giove: la divinità pagana per eccellenza, assume un valore di eternità.
  • 35. La bufera Les princes n' ont point d' yeux pour voir ces grand' s merveilles, leurs mains ne servent plus qu' à nous persécuter Agrippa d'Aubignè (1552 -1630), À Dieu La bufera che sgronda sulle foglie dure della magnolia i lunghi tuoni marzolini e la grandine, (i suoni di cristallo nel tuo nido notturno ti sorprendono, dell'oro che s'è spento sui mogani, sul taglio dei libri rilegati, brucia ancora una grana di zucchero nel guscio delle tue palpebre)
  • 36. il lampo che candisce alberi e muro e li sorprende in quella eternità d'istante - marmo manna e distruzione - ch'entro te scolpita porti per tua condanna e che ti lega più che l'amore a me, strana sorella, - e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere dei tamburelli sulla fossa fuia, lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa... Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra la fronte dalla nube dei capelli, mi salutasti - per entrar nel buio.
  • 37. Analisi • Nella prima stesura(1941) l’epigrafe era: “Porque sabes que siempre te he querido” perché il regime fascista avrebbe censurato i versi del poeta protestante francese Agrippa D’Aubigné, che Montale aveva scelto alludendo alle dittature di Hitler e Mussolini • La bufera è la seconda guerra, con la sua distruzione, accostata alla bufera, con lampi, fulmini e grandine.
  • 38. La lunga parentesi dei versi 4-9 ripropone interno familiare oggetti(mogani, libri rilegati), “nido”, di chiara impronta pascoliana.
  • 39. I tre elementi dei v.12-13 sono correlativi oggettivi: marmo freddezza manna dolcezza distruzione ineluttabilità
  • 40. • Rapporto con Clizia: “strana sorella” • Elementi uditivi: sistri tamburelli fandango • Legami letterari: sistri(Pascoli) Fossa fuia (Dante) • Immagine della donna che saluta il poeta e se ne va per sempre.
  • 43. La visita di Hitler a Firenze Visita di Hitler in ItaLia il 9 maggio 1938. FIRENZE. RASSEGNA DEL COMUNE Anno VII, n. 6, Giugno 1938 IL SOGGIORNO IN ITALIA DI ADOLFO HITLER si è concluso fra grandiose manifestazioni a Firenze “Per la venuta del Fuhrer Firenze è apparsa sfolgorante di bellezza. Il sole aveva indorato l’incanto delle sue ridenti colline e la vetusta magnificenza dei suoi palazzi, dei suoi monumenti che costituiscono la testimonianza della sua gloria artistica: mai tante bandiere, mai tanti arazzi e damaschi preziosissimi, avevano adornato le finestre ed i balconi dei suoi antichi edifici. E gli addobbi non coprono, ma inquadrano ed esaltano quanto il genio ha creato nei secoli in una successione di pittoresche apparizioni, in un’apoteosi di colori. Le felici e geniali decorazioni – ideate e realizzate da un apposito ufficio comunale dei festeggiamenti – hanno trovato, secondo lo stesso concorde ed entusiastico giudizio delle personalità ospiti e della stampa italiana ed internazionale, completa armonia e perfetta ispirazione e fusione con l’architettura dei palazzi, con la struttura delle strade e con le linee dei monumenti.
  • 44. L’interno della Stazione preannunzia i motivi degli addobbi della città: bandiere bianco-gigliate e rosso-uncinate, fasci littori dorati e piante ornamentali, magnifiche azalee in tutte le sfumature dal bianco al rosso. Nel piazzale esterno della Stazione, di fronte all’uscita del padiglione reale, è stata eretta una grande esedra di verde con tre vasche, in mezzo alle quali sorgono le riproduzioni del Nettuno e delle sirene del Giambologna. Sul ripiano antistante, coperto di pratoline, è, al centro, il giglio fiorentino formato da primule rosse.
  • 45. L’esedra di verde, alta 15 metri, si prolunga di fronte al lato arrivi formando ampie anse equidistanti che accolgono otto fontane zampillanti, le quali, a loro volta, sovrastano una grandiosa tribuna a gradinate per la folla degli invitati alla cui base sono sedici leoni michelangioleschi.
  • 46. Entrando nella piazza dell’Unità, sul lato destro l’abside e la facciata trecentesche e l’agile campanile quattrocentesco di S. Maria Novella si mostrano nella loro mirabile nudità: sul fianco sinistro, dietro l’obelisco, che ricorda i caduti per la Patria, i palazzi sono adorni di labari bianco-gigliati, rosso-uncinati e nero-dorati, spioventi dai tetti fino a terra: le file delle finestre sono pavesate di bandiere. Via Panzani è trasformata in una meravigliosa galleria a grandi campate di stoffa bianca che portano impressi gigli rossi. Le campate salgono dai marciapiedi sino ai tetti, traversando le strade e ridiscendendo ai marciapiedi opposti.
  • 47. Ad ogni finestra sventolano insegne azzurre del Capo del Governo. Via Cerretani continua la galleria con grandi campate rosse recanti impresso l’emblema del Terzo Reich. In Piazza del Duomo le moli meravigliose di S. Maria del Fiore, della cupola del Brunellesco, del campanile di Giotto e del Battistero con le porte del Pisano e del Ghiberti, che furono dette del Paradiso, formano di per sé stesse una zona monumentale di incomparabile armonia. I palazzi circostanti, decorati di arazzi e gonfaloni bianchi gigliati in rosso, infondono al quadro di insieme una austerità solenne e mistica. Via Calzaiuoli è ammantata di bandiere bianco-rosso e di campate cilestrine, su ciascuna delle quali sono disegnati i simboli delle antiche corporazioni fiorentine..
  • 48. Via Speziali a bandiere rosse e bianche. In piazza Vittorio, cuore della città medioevale, ove si incrociavano le grandi arterie romane del cardo e del decumano, sono erette due immense tribune per il popolo. Sugli attici dei palazzi svettano selve di bandiere tricolori. Via Strozzi ha le campate in giallo-oro e festoni robbiani di verde e di frutta. Palazzo Strozzi, la massiccia costruzione cinquecentesca di Benedetto da Maiano, ha infisso nei suoi mirabili portabandiera di ferro battuto le bandiere degli antichi nobili casati e quelle delle arti. I palazzi di Via Tornabuoni si ammantano di antichissimi arazzi. Piazza S. Trinita ed il ponte omonimo dell’Ammannati sono trasformati in un delizioso giardino fiorito. I palazzi della Via Maggio, tra cui quello ove dimorò Bianca Cappello, sono addobbati con gli arazzi degli antichi rioni, con bandiere delle arti e con decorazioni robbiane…”. 1 Da: Firenze. Rassegna del Comune, Anno VII, n. 6, Giugno 1938, pp. 242-244
  • 49. E’ in questo clima che, per la visita del Fuhrer, Firenze, la città della cultura per eccellenza, mette in scena una rappresentazione folcloristica della sua storia proponendo un Medioevo romanticamente vissuto come archetipo delle virtù civili e un Rinascimento centro delle glorie cittadine. Medioevo e Rinascimento spezzati dai lampi vividi della modernità razionalista delle nuove architetture, ma il tutto unito a formare la “supremazia culturale” fiorentina. Un tripudio di colori e festoni fioriti in strade e palazzi ripuliti e riportati a nuovo, quinte di verde e schieramenti militari che occultano cantieri e brutture, devono rendere, insieme ai cortei dei figuranti dei giochi storici toscani, il mondo medioevale e la primogenitura culturale fiorentina, toscana ed italiana. Una voce discordante I quaderni dell’archivio della città di Firenze
  • 50. La Primavera della città in simbiosi con la primavera meteorologica si bea dei propri monumenti e delle proprie collezioni, si realizza una profusione di stendardi gigliati, ma si dimentica la lezione profonda della cultura umanistica e la centralità della dignità dell’uomo e della sua libera azione. L’allestimento del percorso serale verso il Teatro Comunale e le Cascine, cambia di tono e si trasforma nell’esaltazione della potenza militare italiana e dell’ospite germanico in un crescendo drammatico dai colori cupi e irreali in cui si moltiplicano svastiche, soldati, cannoni, torce e nomi fiammeggianti.
  • 51. La rappresentazione ha lo scopo preciso di impressionare il dittatore tedesco e decretare una sicura supremazia italiana: non è frutto di una improvvisazione, ma di una puntuale e precisa regia creata con l’istituzione di uno speciale Ufficio comunale destinato a curare l’immagine della città. Il “giubilo spontaneo” delle bandiere, dei drappi e delle scritte inneggianti i due dittatori è studiato e programmato nei minimi particolari. I condomini e le case poste lungo la ferrovia e i percorsi cittadini sono minuziosamente fotografati e rilevati. Vengono progettati gli addobbi, il numero e il tipo di bandiere (nessuna bandiera tedesca o svastica doveva comparire sugli edifici pubblici), i cartelli, nonché i restauri e gli occultamenti.
  • 52. I cartelli di saluto e di inneggiamento ai due dittatori erano dettagliatamente contati e bilanciati tra i due ed era disegnato il luogo dove apporli. Un intervento pubblico che sembra funzionare nella realizzazione della impeccabile ospitalità e nell’organizzazione delle masse di cittadini, ma che non riesce a colpire nel profondo l’animo pseudo artistico del Fuhrer che rimanda ogni manifestazione culturale a una primogenitura della mitica Atlantide germanica dalla quale viene fatta derivare dai nazisti la cultura greca e occidentale
  • 53. Il punto finale “der höhepunkt” del Viaggio in Italia del Cancelliere tedesco, unico luogo nel quale si ritrovano soli senza la subordinazione gerarchica del Duce alla Monarchia, vede il rovesciarsi dei ruoli e delle gerarchie tra i due dittatori: l’Italia si vede costretta ad accettare la supremazia militare e strategica tedesca e l’annessione dell’Austria quando, solo quattro anni prima spostava le truppe al Brennero a difesa dell’indipendenza austriaca. Il Cerimoniale della Presidenza del Consiglio aveva fatto si che il fitto programma impedisse colloqui approfonditi e risposte imbarazzanti, ma la commedia recitata nella giornata del 9 maggio 1938 abbandona i colori della primavera e gli echi grotteschi che ci ha fatto rivivere Chaplin nel Grande dittatore per divenire così il simbolo drammatico della nuova alleanza con il Reich tedesco e il punto di partenza di un nuovo ordine
  • 54. L’organizzazione della giornata della visita che voleva mettere in luce la supremazia della cultura italiana e fiorentino/toscana nella rievocazione forzatamente medioeval-romantica e il forte legame del Duce con le folle attraverso il tripudio offerto al passaggio delle autorità, si tinge di toni sempre più oscuri. La gioia del paesaggio e delle bellezze artistiche ripulite e lucidate a tappe forzate è pervaso dal problema della sicurezza: imponenti cordoni militari e di polizia fanno da sfondo. La paura di contestazioni fa arrivare persino a sostituire l’allestimento progettato, nel popolare quartiere di Santo Spirito, in piazza S. Felicita, con uno schieramento di soldati. Le preoccupazioni continuano per la serata al Teatro Comunale per l’opera del Maggio dove funzionari dell’Ovra, la polizia segreta, erano strategicamente disseminati in sala
  • 55. Una preoccupazione che unita a misure di polizia eccezionali contro i possibili oppositori, evitò in quegli anni di cosiddetto “consenso” manifestazioni eclatanti, ma non evitò l’ironia diffusa per l’evento. Le vignette ironiche sui lavori e le frettolose ripuliture, i rifacimenti delle strade e le coperture dei cantieri, delle case fatiscenti e dei numerosi pollai lungo la ferrovia, trovarono spazio persino su «La Nazione». Nella memoria popolare rimane forte la vetrina di un pasticcere, che davanti all’invito di onorare i due dittatori apponendo le loro foto in vetrina, le circonda di scatole di biscotti Fratelli Lazzaroni. La stessa ironia accoglie il Rinascimento di “cartapesta e gesso” che copiosamente aveva invaso le strade.
  • 56. Ma forse è proprio la conclusione della giornata del 9 maggio che con un transfert temporale fa presagire il dramma futuro: l’opera rappresentata al Maggio, il nuovo festival musicale fortemente voluto dal regime fascista e ideato dallo stesso Alessandro Pavolini, è il Simon Boccanegra di Verdi. La storia, dalla trama complessa e ricca di drammi di amore e di cospirazioni, con il testo di Antonio García Gutiérrez, ridotto in libretto da Francesco Maria Piave, poi da Giuseppe Montanelli e nella versione definitiva da Arrigo Boito, narra delle lotte e della crisi del potere della Genova trecentesca e si conclude con l’avvelenamento del “tiranno”, il doge, ed ex corsaro Simon Boccanegra. Una atmosfera triste, una tangibile sofferenza, pervadono il melodramma riscattato dal messaggio finale di pace, di giustizia e di amore per un futuro migliore. I quaderni dell’Archivio della città di Firenze n.1 Pubblicazione a cura della P.O. Archivi e collezioni librarie e storiche (servizio attività culturali ed eventi)
  • 57. La primavera hitleriana Né quella ch’a veder lo sol si gira… Dante (?) a Giovanni Quirini Folta la nuvola bianca delle falene impazzite turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette, stende a terra una coltre su cui scricchia come su zucchero il piede (l'estate imminente sprigiona ora il gelo notturno che capiva nelle cave segrete della stagione morta, negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
  • 58. Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito, si sono chiuse le vetrine, povere e inoffensive benché armate anch'esse di cannoni e giocattoli di guerra, ha sprangato il beccaio che infiorava di bacche il muso dei capretti uccisi, la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate, di larve sulle golene, e l'acqua seguita a rodere le sponde e più nessuno è incolpevole.
  • 59. Tutto per nulla, dunque? – e le candele romane, a san Giovanni, che sbiancavano lente l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii forti come un battesimo nella lugubre attesa dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi gli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire) e gli eliotropo nati dalle tue mani – tutto arso e succhiato da un polline che stride come il fuoco e ha punte di sinibbio…
  • 60. Oh la piagata primavera è pur festa se raggela in morte questa morte! Guarda ancora in alto, Clizia, è la tua sorte, tu che il non mutato amor mutata serbi fino a che il cieco sole in te porti si abbacini nell’Altro e si distrugga in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi che salutano i mostri nella sera della loro tregenda, si confondono già col suono che slegato dal cielo, scende, vince – col respiro di un’alba che domani per tutti si riaffacci, bianca ma senz’ali di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
  • 61. Analisi • Presenza di riferimenti biblici e cristiani: San Giovanni (v.21), i sette angeli di Tobia (v.26) che nella Bibbia hanno il compito di indicare a Dio i meriti degli uomini, l’Altro (v.36), il Lui(v.37). • Linguaggio elevato e raro: il sinibbio (v.30), abbacini (v.36), stillando (v.34). • Linguaggio della contemporaneità: alalà (v.9), croci a uncino (v.10). • Costruzione sintattica: in parte lunga e articolata(vv.20-30), in parte semplice e prosastica (vv.10-15) Montale riesce a variare linguaggio e situazioni, costruendo un testo di grandissima maestria e pregnanza visiva.
  • 62. • vv.1-7: immagine di morte. Hitler da poco è passato per le strade di Firenze addobbate a festa. Le falene si accostano ai lampioni e ne segue uno strato di insetti morti a terra su cui i fiorentini passano. Significato simbolico: i fiorentini ignari di cosa accadrà, calpestano le farfalle bianche, e, inconsapevolmente sono già complici del carnefice. • vv.8-19: Hitler (il “messo infernale”) arriva al Teatro Comunale (il “golfo mistico” ), dove, insieme a Mussolini, assistette ad uno spettacolo musicale. Viene salutato da soldati fascisti (gli “scherani”, in senso dispregiativo anche per sottolineare il ruolo subalterno del Fascismo nel confronti del Nazismo), con il grido tipico dei fascisti italiani (“eja eja alalà”). Tutti i fiorentini che accolgono festosamente Hitler non si rendono conto che, con il loro atteggiamento, favoriscono l’ascesa del dittatore e l’attuarsi della carneficina da lì a breve. Alcuni particolari, riferiti ad oggetti esposti nelle vetrine ( i “giocattoli di guerra” e le bacche nei musi dei capretti uccisi), rappresentano simbolicamente segnali sinistri di una tragedia imminente.
  • 63. • vv.20-30: data la vittoria del male, al poeta sembrano inutili quei momenti positivi vissuti insieme a Clizia e li rievoca per accenni(i fuochi d’artificio della festa di San Giovanni, l’addio dato alla donna). Ma come una luce di speranza il ricordo di una stella cadente che il poeta vide insieme a Clizia, rievocata nella tristezza presente di una primavera che non porta polline ma il freddo del sinibbio(un vento del Nord), come presagio di sventura.
  • 64. • vv.31-37 Ma la stessa morìa di farfalle, il freddo inusuale in primavere possono essere già il segnale della morte per le forze stesse del male che portano la morte. Quindi il ruolo di Clizia non è concluso come sembrava nella terza strofa: a Clizia spetta ora di riunirsi, con il proprio amore, all’amore universale di Dio, ripetendo in qualche modo la funzione sacrificale di Gesù, per la salvezza dell’intera umanità. Qui compare per la prima volta il nome di Clizia: il suo destino, per Montale, è quello di guardare in alto, verso il sole, come evoca il suo nome. Al verso 34 abbiamo il secondo verso che si ricollega a quello citato dal poeta in epigrafe. Clizia, la ninfa tramutata in girasole e unita per sempre all’amore di Apollo, allude alle trasformazioni storiche e personali di Irma Brandeis nel suo rapporto con Montale.
  • 65. • vv. 37-43:la conclusione, con i rintocchi delle campane, con l’alba “bianca ma senz’ali di raccapriccio”, esprimono una speranza di rinascita. Sono il segnale, non consueto in Montale, di speranza e ottimismo nel futuro della società.
  • 66. Colleghiamo due poeti sul tema della guerra……
  • 67. Trilussa • Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri] (Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950). • Poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco. • Linguaggio:dialettale ma non romanesco autentico. Si può definire un “dialetto borghese”, che ha il pregio di farsi capire da tutti, anche da chi non è di Roma. • Nella Ninna nanna de la guerra (scritta nel 1914) Trilussa denuncia la brutalità della guerra causata da due sovrani: • Gujermone: Guglielmo II, imperatore tedesco • Ceccopeppe: Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria • I due sovrani sono accomunati a Farfarello (uno dei diavoli danteschi), in quanto mandarono al macello i popoli europei nella prima guerra mondiale. • Trilussa denuncia gli interessi economici dell’industria dell’acciaio e della produzione di armi, che determinarono lo scoppio della guerra. • Con grande acume satirico, Trilussa dice che, alla fine della guerra, i sovrani nemici si stringeranno la mano alle spalle di quel popolo di ingenui e creduloni, che sarà stato risparmiato dalla carneficina.
  • 68.
  • 69. Ninna nanna de la guerra Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna: dormi, dormi, cocco bello, sennò chiamo Farfarello Farfarello e Gujermone che se mette a pecorone, Gujermone e Ceccopeppe che se regge co le zeppe, co le zeppe dun impero mezzo giallo e mezzo nero.
  • 70. Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno fra le spade e li fucili de li popoli civili Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna;
  • 71. che se scanna e che s'ammazza a vantaggio de la razza o a vantaggio d'una fede per un Dio che nun se vede, ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro. Ché quer covo dassassini che c'insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse.
  • 72. Fa la ninna, cocco bello, finché dura sto macello: fa la ninna, ché domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima boni amichi come prima. So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali.
  • 73. E riuniti fra de loro senza l'ombra d'un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quer popolo cojone risparmiato dar cannone!