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News 38/SA/2016
Lunedì, 19 Settembre 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.38 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 45 (7 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dall’Italia per migrazione di
melamina da piatti di plastica da Taiwan, con materie prime provenienti dalla Cina
e per aflatossine in pistacchi kernels provenienti dall’ Iran; notificati dalla Repubblica
Ceca per assenza di dichiarazione di conformità per ciotole e vassoi sushi melamina
provenienti dalla Cina; notificati da Malta per aflatossine in semi di arachidi dalla
Cina.
Allerta notificata dall’Italia per: mercurio in fette di verdesca (Prionace glauca)
provenienti dalla Spagna; Salmonella typhimurium monofasica nel riempimento
salsiccia cruda proveniente dall’ Italia.
Allerta notificati: dalla Germania per presenza di uovo in pasta organica integrale
proveniente dall’Austria e per migrazione of cadmio e cobalto da set in ceramica
proveniente dalla Cina, via Francia; dalla Slovenia per sostanze non autorizzate
sildenafil, il sildenafil tiono analogico ( thiodimethylsildenafil) e dimethylsildenafil in
integratore alimentare proveniente dalla Repubblica Ceca; dal Belgio per Listeria
monocytogenes in quinoa fresca con verdure proveniente dal Belgio; dall’Irlanda
per corpi estranei ( pezzi duri di colla ) in ceci secchi provenienti dalla Turchia, con
materie prime dalla Russia, via Regno Unito.
Nella lista delle informative notificate troviamo: notificata dall’Italia per conta
troppo alta di azoto basico volatile totale in anelli giganti refrigerati di calamari
provenienti dalla Spagna e per infestazione da parassiti con Anisakis di sgombro
atlantico refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Francia; notificata
dall’Italia per norovirus (GGII) in ostriche vive provenienti dalla Spagna; notificata
dalla Spagna per non autorizzato cibo nuovo foglie di Stevia e foglie di Stevia in
polvere provenienti dalla Spagna; notificata dal Regno Unito per aflatossine in
spezie fasika provenienti dall’Etiopia; notificata dall’Olanda per Salmonella in
prezzemolo fresco e foglie di betel provenienti dalla Malesia; dalla Francia per
mercurio in scorfano rosso refrigerato (Scorpaena scrofa) proveniente dalla Tunisia;
dall’Olanda per acido salicilico in carne di cavallo refrigerata proveniente dal
Brasile.
Fonte: rasff.eu
Frodi del pesce: 1 campione su 3 è diverso da quello descritto in etichetta. Il
pangasio spacciato come cernia, sogliola o altre 16 specie.
L’organizzazione ambientalista statunitense Oceana ha diffuso l’ultimo rapporto sulle
frodi nella commercializzazione del pesce, realizzato nell’ambito di una campagna
globale che sta conducendo dal 2011. Le notizie sono tutt’altro che buone.
Analizzando oltre 200 studi condotti in 55 Paesi del mondo si rileva che, in media, un
un terzo dei campioni ittici è fraudolento, nel senso che risulta essere una specie
diversa da quella descritta. Il fenomeno riguarda tutti i passaggi della filiera: dalla
prima lavorazione fino al supermercato, passando per i grossisti, i mercati, i ristoranti.
Nel 58% dei casi, inoltre, il pesce non regolare può rappresentare un pericolo per la
salute, perché contiene tossine o allergeni non analizzati né denunciati in etichetta
o sul menu.
Come sempre, la media nasconde situazioni molto diverse e in evoluzione, tra le
quali spiccano alcuni casi come quello italiano. In uno studio, ben l’82% degli oltre
200 campioni di cernia, pesce persico, e pesce spada analizzati indicava un pesce
diverso. Un altro esempio riguarda un’indagine condotta a Bruxelles, dove il 98% dei
69 piatti a base di tonno offerti dai ristoranti conteneva altre specie, o quello del
ristorante di Santa Monica, in California, che offriva sushi che in realtà era balena ad
alto pericolo di estinzione. C’è anche il caso brasiliano, dove il 55% dei campioni di
squalo era in realtà costituito da una specie di pesce sega anch’essa a rischio
estinzione. Negli Stati Uniti c’è un tasso molto elevato di frodi, superiore al 50%,
stando a una ricerca dell’Università di Chicago. In ogni caso dati analoghi sono stati
riscontrati in Germania e Gran Bretagna. Non è andata bene neppure al caviale:
dei 27 campioni controllati, ben 10 contenevano specie diverse da quelle
dichiarate, e tre non presentavano alcun tipo di DNA animale.
La lista dei pesci usati come succedanei vede in prima fila il pesce gatto asiatico,
meglio conosciuto come pangasio, e il nasello. Il pangasio viene venduto in modo
fraudolento in tutti i continenti con il nome di altre 18 specie. Di solito si tratta però di
pesce persico, cernia e sogliola (vedi grafico).
Il rapporto cita però un esempio virtuoso: quello dell’Unione Europea. Qui, grazie alle
norme sull’etichettatura e sulla tracciabilità, il numero di frodi è passato dal 23% del
2011 all’8% del 2015, e questo percorso, secondo Oceana, andrebbe seguito e
implementato. Non a caso il rapporto è stato reso pubblico pochi giorni prima di un
incontro mondiale che avrà luogo a Washington nei prossimi giorni, la Our Ocean
Conference, nella quale si discuterà anche di questi temi. Perché con le frodi tutti ci
rimettono: dai pescatori ai produttori, dai venditori ai consumatori. Senza
dimenticare il problema delle specie in via di estinzione. (Articolo di Agnese
Codignola)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Biossido di titanio: assolto. L’Efsa dà il via libera al colorante usato per dolci, creme,
caramelle e gomme da masticare. Solo lo 0,1% è assorbito dall’intestino.
Il biossido di titanio usato come colorante alimentare non costituisce un pericolo per
la salute, perché il suo assorbimento per via orale è bassissimo. Non ci sono prove
del fatto che aumenti il rischio di tumori né che sia nocivo per il feto, così come non
sembrano esserci in generale indizi di una sua tossicità. Per questo, anche se al
momento non è possibile indicarne dosi limite, è da considerarsi sicuro. Con
l’auspicio che vengano comunque condotti studi di buona qualità che permettano
di definire ogni aspetto, compreso qualunque effetto sull’apparato riproduttivo e,
alla fine, di stabilire le dosi massime consigliate per il consumo umano.
È molto chiaro il rapporto pubblicato dall’EFSA in merito all’E171, il biossido di titanio
(TiO2), colorante molto usato per conferire opacità e colore bianco agli alimenti. In
base ai pochi dati a oggi disponibili, infatti, nulla fa pensare che esso possa costituire
una minaccia per la salute, se assunto oralmente, attraverso il cibo. E il motivo
principale dell’assoluzione, pur in presenza di pochi studi, è il fatto che esso non
viene praticamente assorbito, e resta integro mentre passa attraverso tutto
l’apparato digerente, a parte un modesto 0,1% assorbito dall’intestino. Non
contano, in questo senso, le dimensioni delle particelle (oggi esiste anche in
formulazione “nano”). Tuttavia, sempre poiché gli studi non sono stati molto
numerosi, non è stato possibile definire la dose giornaliera accettabile o ADI
(Acceptable Daily Intake) stabilita per molti altri additivi.
Il pronunciamento dell’EFSA appartiene a una lunga serie di studi portati a termine
negli ultimi anni; l’agenzia ha ha voluto rivalutare numerosi additivi autorizzati in
Europa prima del 2009, anno in cui è stata introdotto l’obbligo, per chi chiede
un’autorizzazione all’uso di una sostanza di questo tipo, di produrre una serie di dati
volti a definirne le caratteristiche chimiche e a permettere di valutarne la tossicità; il
TiO2 è il numero 41 e l’ultimo dei coloranti utilizzati negli alimenti: ora il lavoro andrà
avanti su altri additivi alimentari utilizzati in Europa fino al 2020, anno indicato come
limite per la conclusione di queste ri-valutazioni, che in molti casi sono in realtà le
prime indagini approfondite mai condotte.
Per quanto riguarda i coloranti alimentari, nel 2009 è stata effettuata una prima
indagine su sei di essi, cui se ne è aggiunta una seconda nel 2012, che è stata quasi
esaustiva. Nel frattempo si è avuto il pronunciamento sull’aspartame (nel 2013) e
un’analisi dettagliata della maggior parte degli antiossidanti e dei conservanti.
Inoltre, nel 2012 sono state abbassate le dosi massime consentite di tre coloranti
alimentari: l’E104 (giallo di chinolina), l’E110 (giallo arancio) e l’E124 (rosso
cocciniglia): Prima del 2009, nel 2007, era stato deciso il ritiro dell’E128, un colorante
rosso molto usato e noto anche come Red 2G; ricerche successive hanno
confermato la pericolosità di questa sostanza. (Articolo di Agnese Codignola)
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Allergeni: perché anacardi, pinoli e cocco non sono segnalati? Risponde l’avvocato
Dario Dongo.
Stavo rileggendo l’elenco degli allergeni elencati nel Regolamento UE N.
1169/2011/Allegato II e… mi è saltato nuovamente all’occhio un particolare che mi
disturba e rischia, secondo me, di creare confusione all’esercente ma anche al
piccolo produttore meno esperto… Mi riferisco al punto 8 di suddetto Regolamento
al punto dove si parla della frutta a guscio.
8. Frutta a guscio, vale a dire: mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus
avellana), noci (Juglans regia), noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci di
pecan [Carya illinoinensis (Wangenh.) K. Koch], noci del Brasile (Bertholletia
excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci macadamia o noci del Queensland
(Macadamia ternifolia), e i loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la
fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola.
Pinoli e anacardi e cocco non sono forse anche loro da considerarsi frutta a guscio
a rischio? C’è qualche ragione per cui ne sono esclusi? Magari ci sono altri prodotti
che ora mi sfuggono o non conosco, ma… un elenco in questo caso o è esauriente
ed esaustivo o è pericoloso.
Monica
Abbiamo chiesto un parere all’avvocato Dario Dongo esperto di diritto alimentare
L’elenco degli ingredienti allergenici allegato al Regolamento (UE) n. 1169/11 ha
natura tassativa ed esaustiva. Vale a dire che l’obbligo di citazione specifica nelle
etichette degli alimenti riguarda esclusivamente le sostanze indicate. Tra queste
figurano gli anacardi – citati con la dicitura “noci di acagiù”, seguita dal nome della
pianta “anacardium occidentale” – ma non il cocco, né i pinoli (1).
Non è il caso di fare confusione: tutte le sostanze riconducibili a questo elenco,
laddove presenti anche solo in tracce o in forma derivata nell’alimento venduto o
somministrato devono venire indicate con il loro nome specifico
:- sull’etichetta (vedi articolo) nel caso di alimenti preimballati e preincartati
– sul cartello di vendita (vedi articolo), o nel registro degli ingredienti, qualora gli
alimenti siano venduti allo stato sfuso e/o somministrati al banco, o ancora
– sul menu, nell’ipotesi di servizio al tavolo come avviene nei ristoranti
L’informazione deve essere facilmente disponibile, chiara ed evidente (con un
rilievo grafico rispetto ad altri ingredienti del prodotto eventualmente citati). Non si
possono ammettere generalizzazioni – come “frutta con guscio”, in luogo della
doverosa specificazione della natura dei frutti – né il ricorso a espressioni come
“prodotto in uno stabilimento dove sono presenti/si utilizzano…” (2).
Le sostanze in grado di stimolare reazioni allergiche sono centinaia, basti pensare ad
alcuni frutti come fragole o kiwi, e tuttavia il legislatore europeo ha deciso di limitare
il dovere di informazione specifica a quelle di maggior rilievo dal punto di vista
epidemiologico. È in ogni caso raccomandabile a tutti gli operatori “from the farm
to the fork” di fare il possibile per garantire la massima trasparenza delle liste
ingredienti. Ma la strada da fare in Italia è ancora molta, vista la quasi totale
disapplicazione già delle regole in esame nei pubblici esercizi. (Articolo di Dario
Dongo)
(1) Gli elenchi degli allergeni soggetti a etichettatura specifica variano, nelle diverse aree del
pianeta, in relazione alla ricorrenza delle allergie alimentari ad alcune sostanze piuttosto che ad altre.
I pinoli ad esempio, rientrano nell’elenco degli allergeni vigente in Brasile ma non in altre Nazioni
(2) Per aggiornamenti sul cosiddetto PAL (Precautionary Allergen Labelling), si veda articolo.
Fonte: www.ilfattoalimentare.it
Come fare il pieno di antiossidanti senza spendere un centesimo.
Gli antiossidanti, di cui molti infarciscono i loro dotti discorsi quando parlano di
alimentazione, sono delle sostanze chimiche naturali, presenti in quantità più o
meno elevata in tutti gli alimenti. Spiegare in termini semplici di cosa siano è
piuttosto complicato. Cercando di semplificare al massimo come funzionano,
anche se i biochimici storceranno il naso per la scarsa scientificità di quello che sto
scrivendo, bisogna accennare al fatto che durante il metabolismo nel nostro
organismo si formano delle molecole che hanno dei “radicali liberi”. Si tratta di
molecole che possono attivare una serie di reazioni in grado di innescare dei
processi patologici.
Le sostanze “antiossidanti” hanno la capacità di neutralizzare i “radicali liberi” e di
conseguenza bloccare le reazioni potenzialmente pericolose cui abbiamo
accennato.
Assumere quantità importanti di antiossidanti può quindi contribuire a “saturare” i
“radicali liberi” e , probabilmente, a prevenire alcune malattie.
Sono antiossidanti alcune vitamine, gli antociani (che danno il colore alla frutta e
alla verdura), i tannini (che danno il sapore astringente), alcuni sali minerali (come il
selenio), gli acidi grassi insaturi, ecc.
Anche se sono presenti negli alimenti di origine animale, gli antiossidanti sono
abbondanti nei vegetali; sono quindi sorte delle leggende metropolitane da cui
alcuni hanno tratto vantaggi economici.
Il peperoncino è sicuramente una buona fonte di antiossidanti, ma per avere
qualche effetto positivo ne dovremmo mangiare diversi grammi, il che è
ovviamente improponibile. Altrettanto ricco di antiossidanti è il vino rosso, ma il
bicchiere che viene consigliato a tavola non ne contiene a sufficienza per avere un
effetto benefico. Bisognerebbe berne qualche litro e gli effetti collaterali causati
dall’alcol non sono certamente desiderabili.
Bisogna quindi cominciare a diffidare quando qualche cuoco, o anche autorevole
esperto, ci consiglia di aggiungere delle erbe aromatiche o qualche mini
ingrediente nella preparazione del cibo.
Bisogna anche diffidare di chi ci propone frutti esotici strani o integratori arricchiti
con gli stessi perché nessuno può garantire che siano realmente efficaci.
Allora cosa fare?
Il consiglio che viene dato, condiviso dai nutrizionisti, è quello di consumare frutta e
verdure fresche preferibilmente di stagione.
Approfittando della stagione estiva potrebbe essere utile pensare a un frutto molto
povero, ma di ottimo valore nutrizionale anche come fonte di antiossidanti.
Mi riferisco alle more di rovo che si trovano abbondanti ai bordi delle strade e in
campagna.
Si tratta di frutti con un contenuto di quasi il 90 % di acqua, circa il 5 % di zuccheri,
altrettanto di fibra grezza, pochissimi grassi (0,5 %) e, soprattutto preziose vitamine,
antiossidanti e sali minerali.
Mangiandole fresche, magari con l’aggiunta di succo di limone, consente di
sfruttarne a pieno il valore nutrizionale. Per ottenere gli stessi effetti si possono
conservare surgelandole; la tecnica è molto semplice: è sufficiente metterle nel
freezer disposte in uno strato. Una volta che si siano congelate (circa due–tre ore) si
mettono in un sacchetto. In questo modo rimangono separate tra loro e quando si
scongelano riacquistano il loro aspetto originale.
Esistono molte ricette per fare diversi dolci, gelati, succhi, marmellate, ecc.; la
qualità organolettica rimane inalterata e può anche migliorare; tuttavia bisogna
ricordare che il calore della cottura può ridurre il contenuto di qualcuno degli
antiossidanti.
In conclusione impariamo a mangiare la frutta (e la verdura) fresca magari di
stagione senza dimenticare che il nostro territorio è ricco di frutti spontanei, di
particolare valore nutrizionale e che, volendo, ci costano solo una salutare
passeggiata. (Dal blog di Agostino Macrì)
Fonte: www.sicurezzalimentare.it

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News SA 38 2016

  • 1. News 38/SA/2016 Lunedì, 19 Settembre 2016 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.38 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 45 (7 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dall’Italia per migrazione di melamina da piatti di plastica da Taiwan, con materie prime provenienti dalla Cina e per aflatossine in pistacchi kernels provenienti dall’ Iran; notificati dalla Repubblica Ceca per assenza di dichiarazione di conformità per ciotole e vassoi sushi melamina provenienti dalla Cina; notificati da Malta per aflatossine in semi di arachidi dalla Cina. Allerta notificata dall’Italia per: mercurio in fette di verdesca (Prionace glauca) provenienti dalla Spagna; Salmonella typhimurium monofasica nel riempimento salsiccia cruda proveniente dall’ Italia. Allerta notificati: dalla Germania per presenza di uovo in pasta organica integrale proveniente dall’Austria e per migrazione of cadmio e cobalto da set in ceramica proveniente dalla Cina, via Francia; dalla Slovenia per sostanze non autorizzate sildenafil, il sildenafil tiono analogico ( thiodimethylsildenafil) e dimethylsildenafil in integratore alimentare proveniente dalla Repubblica Ceca; dal Belgio per Listeria monocytogenes in quinoa fresca con verdure proveniente dal Belgio; dall’Irlanda per corpi estranei ( pezzi duri di colla ) in ceci secchi provenienti dalla Turchia, con materie prime dalla Russia, via Regno Unito. Nella lista delle informative notificate troviamo: notificata dall’Italia per conta troppo alta di azoto basico volatile totale in anelli giganti refrigerati di calamari provenienti dalla Spagna e per infestazione da parassiti con Anisakis di sgombro atlantico refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Francia; notificata dall’Italia per norovirus (GGII) in ostriche vive provenienti dalla Spagna; notificata dalla Spagna per non autorizzato cibo nuovo foglie di Stevia e foglie di Stevia in
  • 2. polvere provenienti dalla Spagna; notificata dal Regno Unito per aflatossine in spezie fasika provenienti dall’Etiopia; notificata dall’Olanda per Salmonella in prezzemolo fresco e foglie di betel provenienti dalla Malesia; dalla Francia per mercurio in scorfano rosso refrigerato (Scorpaena scrofa) proveniente dalla Tunisia; dall’Olanda per acido salicilico in carne di cavallo refrigerata proveniente dal Brasile. Fonte: rasff.eu Frodi del pesce: 1 campione su 3 è diverso da quello descritto in etichetta. Il pangasio spacciato come cernia, sogliola o altre 16 specie. L’organizzazione ambientalista statunitense Oceana ha diffuso l’ultimo rapporto sulle frodi nella commercializzazione del pesce, realizzato nell’ambito di una campagna globale che sta conducendo dal 2011. Le notizie sono tutt’altro che buone. Analizzando oltre 200 studi condotti in 55 Paesi del mondo si rileva che, in media, un un terzo dei campioni ittici è fraudolento, nel senso che risulta essere una specie diversa da quella descritta. Il fenomeno riguarda tutti i passaggi della filiera: dalla prima lavorazione fino al supermercato, passando per i grossisti, i mercati, i ristoranti. Nel 58% dei casi, inoltre, il pesce non regolare può rappresentare un pericolo per la salute, perché contiene tossine o allergeni non analizzati né denunciati in etichetta o sul menu. Come sempre, la media nasconde situazioni molto diverse e in evoluzione, tra le quali spiccano alcuni casi come quello italiano. In uno studio, ben l’82% degli oltre 200 campioni di cernia, pesce persico, e pesce spada analizzati indicava un pesce diverso. Un altro esempio riguarda un’indagine condotta a Bruxelles, dove il 98% dei 69 piatti a base di tonno offerti dai ristoranti conteneva altre specie, o quello del ristorante di Santa Monica, in California, che offriva sushi che in realtà era balena ad alto pericolo di estinzione. C’è anche il caso brasiliano, dove il 55% dei campioni di squalo era in realtà costituito da una specie di pesce sega anch’essa a rischio estinzione. Negli Stati Uniti c’è un tasso molto elevato di frodi, superiore al 50%, stando a una ricerca dell’Università di Chicago. In ogni caso dati analoghi sono stati riscontrati in Germania e Gran Bretagna. Non è andata bene neppure al caviale: dei 27 campioni controllati, ben 10 contenevano specie diverse da quelle dichiarate, e tre non presentavano alcun tipo di DNA animale. La lista dei pesci usati come succedanei vede in prima fila il pesce gatto asiatico, meglio conosciuto come pangasio, e il nasello. Il pangasio viene venduto in modo
  • 3. fraudolento in tutti i continenti con il nome di altre 18 specie. Di solito si tratta però di pesce persico, cernia e sogliola (vedi grafico). Il rapporto cita però un esempio virtuoso: quello dell’Unione Europea. Qui, grazie alle norme sull’etichettatura e sulla tracciabilità, il numero di frodi è passato dal 23% del 2011 all’8% del 2015, e questo percorso, secondo Oceana, andrebbe seguito e implementato. Non a caso il rapporto è stato reso pubblico pochi giorni prima di un incontro mondiale che avrà luogo a Washington nei prossimi giorni, la Our Ocean Conference, nella quale si discuterà anche di questi temi. Perché con le frodi tutti ci rimettono: dai pescatori ai produttori, dai venditori ai consumatori. Senza dimenticare il problema delle specie in via di estinzione. (Articolo di Agnese Codignola) Fonte: www.ilfattoalimentare.it
  • 4. Biossido di titanio: assolto. L’Efsa dà il via libera al colorante usato per dolci, creme, caramelle e gomme da masticare. Solo lo 0,1% è assorbito dall’intestino. Il biossido di titanio usato come colorante alimentare non costituisce un pericolo per la salute, perché il suo assorbimento per via orale è bassissimo. Non ci sono prove del fatto che aumenti il rischio di tumori né che sia nocivo per il feto, così come non sembrano esserci in generale indizi di una sua tossicità. Per questo, anche se al momento non è possibile indicarne dosi limite, è da considerarsi sicuro. Con l’auspicio che vengano comunque condotti studi di buona qualità che permettano di definire ogni aspetto, compreso qualunque effetto sull’apparato riproduttivo e, alla fine, di stabilire le dosi massime consigliate per il consumo umano. È molto chiaro il rapporto pubblicato dall’EFSA in merito all’E171, il biossido di titanio (TiO2), colorante molto usato per conferire opacità e colore bianco agli alimenti. In base ai pochi dati a oggi disponibili, infatti, nulla fa pensare che esso possa costituire una minaccia per la salute, se assunto oralmente, attraverso il cibo. E il motivo principale dell’assoluzione, pur in presenza di pochi studi, è il fatto che esso non viene praticamente assorbito, e resta integro mentre passa attraverso tutto l’apparato digerente, a parte un modesto 0,1% assorbito dall’intestino. Non contano, in questo senso, le dimensioni delle particelle (oggi esiste anche in formulazione “nano”). Tuttavia, sempre poiché gli studi non sono stati molto numerosi, non è stato possibile definire la dose giornaliera accettabile o ADI (Acceptable Daily Intake) stabilita per molti altri additivi. Il pronunciamento dell’EFSA appartiene a una lunga serie di studi portati a termine negli ultimi anni; l’agenzia ha ha voluto rivalutare numerosi additivi autorizzati in Europa prima del 2009, anno in cui è stata introdotto l’obbligo, per chi chiede un’autorizzazione all’uso di una sostanza di questo tipo, di produrre una serie di dati volti a definirne le caratteristiche chimiche e a permettere di valutarne la tossicità; il TiO2 è il numero 41 e l’ultimo dei coloranti utilizzati negli alimenti: ora il lavoro andrà avanti su altri additivi alimentari utilizzati in Europa fino al 2020, anno indicato come limite per la conclusione di queste ri-valutazioni, che in molti casi sono in realtà le prime indagini approfondite mai condotte. Per quanto riguarda i coloranti alimentari, nel 2009 è stata effettuata una prima indagine su sei di essi, cui se ne è aggiunta una seconda nel 2012, che è stata quasi esaustiva. Nel frattempo si è avuto il pronunciamento sull’aspartame (nel 2013) e
  • 5. un’analisi dettagliata della maggior parte degli antiossidanti e dei conservanti. Inoltre, nel 2012 sono state abbassate le dosi massime consentite di tre coloranti alimentari: l’E104 (giallo di chinolina), l’E110 (giallo arancio) e l’E124 (rosso cocciniglia): Prima del 2009, nel 2007, era stato deciso il ritiro dell’E128, un colorante rosso molto usato e noto anche come Red 2G; ricerche successive hanno confermato la pericolosità di questa sostanza. (Articolo di Agnese Codignola) Fonte: www.ilfattoalimentare.it Allergeni: perché anacardi, pinoli e cocco non sono segnalati? Risponde l’avvocato Dario Dongo. Stavo rileggendo l’elenco degli allergeni elencati nel Regolamento UE N. 1169/2011/Allegato II e… mi è saltato nuovamente all’occhio un particolare che mi disturba e rischia, secondo me, di creare confusione all’esercente ma anche al piccolo produttore meno esperto… Mi riferisco al punto 8 di suddetto Regolamento al punto dove si parla della frutta a guscio. 8. Frutta a guscio, vale a dire: mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci (Juglans regia), noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci di pecan [Carya illinoinensis (Wangenh.) K. Koch], noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci macadamia o noci del Queensland (Macadamia ternifolia), e i loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola. Pinoli e anacardi e cocco non sono forse anche loro da considerarsi frutta a guscio a rischio? C’è qualche ragione per cui ne sono esclusi? Magari ci sono altri prodotti che ora mi sfuggono o non conosco, ma… un elenco in questo caso o è esauriente ed esaustivo o è pericoloso. Monica Abbiamo chiesto un parere all’avvocato Dario Dongo esperto di diritto alimentare L’elenco degli ingredienti allergenici allegato al Regolamento (UE) n. 1169/11 ha natura tassativa ed esaustiva. Vale a dire che l’obbligo di citazione specifica nelle etichette degli alimenti riguarda esclusivamente le sostanze indicate. Tra queste figurano gli anacardi – citati con la dicitura “noci di acagiù”, seguita dal nome della pianta “anacardium occidentale” – ma non il cocco, né i pinoli (1). Non è il caso di fare confusione: tutte le sostanze riconducibili a questo elenco,
  • 6. laddove presenti anche solo in tracce o in forma derivata nell’alimento venduto o somministrato devono venire indicate con il loro nome specifico :- sull’etichetta (vedi articolo) nel caso di alimenti preimballati e preincartati – sul cartello di vendita (vedi articolo), o nel registro degli ingredienti, qualora gli alimenti siano venduti allo stato sfuso e/o somministrati al banco, o ancora – sul menu, nell’ipotesi di servizio al tavolo come avviene nei ristoranti L’informazione deve essere facilmente disponibile, chiara ed evidente (con un rilievo grafico rispetto ad altri ingredienti del prodotto eventualmente citati). Non si possono ammettere generalizzazioni – come “frutta con guscio”, in luogo della doverosa specificazione della natura dei frutti – né il ricorso a espressioni come “prodotto in uno stabilimento dove sono presenti/si utilizzano…” (2). Le sostanze in grado di stimolare reazioni allergiche sono centinaia, basti pensare ad alcuni frutti come fragole o kiwi, e tuttavia il legislatore europeo ha deciso di limitare il dovere di informazione specifica a quelle di maggior rilievo dal punto di vista epidemiologico. È in ogni caso raccomandabile a tutti gli operatori “from the farm to the fork” di fare il possibile per garantire la massima trasparenza delle liste ingredienti. Ma la strada da fare in Italia è ancora molta, vista la quasi totale disapplicazione già delle regole in esame nei pubblici esercizi. (Articolo di Dario Dongo) (1) Gli elenchi degli allergeni soggetti a etichettatura specifica variano, nelle diverse aree del pianeta, in relazione alla ricorrenza delle allergie alimentari ad alcune sostanze piuttosto che ad altre. I pinoli ad esempio, rientrano nell’elenco degli allergeni vigente in Brasile ma non in altre Nazioni (2) Per aggiornamenti sul cosiddetto PAL (Precautionary Allergen Labelling), si veda articolo. Fonte: www.ilfattoalimentare.it Come fare il pieno di antiossidanti senza spendere un centesimo. Gli antiossidanti, di cui molti infarciscono i loro dotti discorsi quando parlano di alimentazione, sono delle sostanze chimiche naturali, presenti in quantità più o meno elevata in tutti gli alimenti. Spiegare in termini semplici di cosa siano è piuttosto complicato. Cercando di semplificare al massimo come funzionano, anche se i biochimici storceranno il naso per la scarsa scientificità di quello che sto scrivendo, bisogna accennare al fatto che durante il metabolismo nel nostro organismo si formano delle molecole che hanno dei “radicali liberi”. Si tratta di molecole che possono attivare una serie di reazioni in grado di innescare dei
  • 7. processi patologici. Le sostanze “antiossidanti” hanno la capacità di neutralizzare i “radicali liberi” e di conseguenza bloccare le reazioni potenzialmente pericolose cui abbiamo accennato. Assumere quantità importanti di antiossidanti può quindi contribuire a “saturare” i “radicali liberi” e , probabilmente, a prevenire alcune malattie. Sono antiossidanti alcune vitamine, gli antociani (che danno il colore alla frutta e alla verdura), i tannini (che danno il sapore astringente), alcuni sali minerali (come il selenio), gli acidi grassi insaturi, ecc. Anche se sono presenti negli alimenti di origine animale, gli antiossidanti sono abbondanti nei vegetali; sono quindi sorte delle leggende metropolitane da cui alcuni hanno tratto vantaggi economici. Il peperoncino è sicuramente una buona fonte di antiossidanti, ma per avere qualche effetto positivo ne dovremmo mangiare diversi grammi, il che è ovviamente improponibile. Altrettanto ricco di antiossidanti è il vino rosso, ma il bicchiere che viene consigliato a tavola non ne contiene a sufficienza per avere un effetto benefico. Bisognerebbe berne qualche litro e gli effetti collaterali causati dall’alcol non sono certamente desiderabili. Bisogna quindi cominciare a diffidare quando qualche cuoco, o anche autorevole esperto, ci consiglia di aggiungere delle erbe aromatiche o qualche mini ingrediente nella preparazione del cibo. Bisogna anche diffidare di chi ci propone frutti esotici strani o integratori arricchiti con gli stessi perché nessuno può garantire che siano realmente efficaci. Allora cosa fare? Il consiglio che viene dato, condiviso dai nutrizionisti, è quello di consumare frutta e verdure fresche preferibilmente di stagione. Approfittando della stagione estiva potrebbe essere utile pensare a un frutto molto povero, ma di ottimo valore nutrizionale anche come fonte di antiossidanti. Mi riferisco alle more di rovo che si trovano abbondanti ai bordi delle strade e in campagna. Si tratta di frutti con un contenuto di quasi il 90 % di acqua, circa il 5 % di zuccheri, altrettanto di fibra grezza, pochissimi grassi (0,5 %) e, soprattutto preziose vitamine, antiossidanti e sali minerali. Mangiandole fresche, magari con l’aggiunta di succo di limone, consente di sfruttarne a pieno il valore nutrizionale. Per ottenere gli stessi effetti si possono conservare surgelandole; la tecnica è molto semplice: è sufficiente metterle nel freezer disposte in uno strato. Una volta che si siano congelate (circa due–tre ore) si
  • 8. mettono in un sacchetto. In questo modo rimangono separate tra loro e quando si scongelano riacquistano il loro aspetto originale. Esistono molte ricette per fare diversi dolci, gelati, succhi, marmellate, ecc.; la qualità organolettica rimane inalterata e può anche migliorare; tuttavia bisogna ricordare che il calore della cottura può ridurre il contenuto di qualcuno degli antiossidanti. In conclusione impariamo a mangiare la frutta (e la verdura) fresca magari di stagione senza dimenticare che il nostro territorio è ricco di frutti spontanei, di particolare valore nutrizionale e che, volendo, ci costano solo una salutare passeggiata. (Dal blog di Agostino Macrì) Fonte: www.sicurezzalimentare.it