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News 17/SA/2016
Lunedì, 25 aprile 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.16 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 68 ( 8 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
Tra i casi di allerta l'Italia segnala: presenza di mercurio in pesce spada decongelato
proveniente dalla Spagna; Salmonella Saprha in pepe nero macinato proveniente
dall'Italia; aflatossine nel siero dolce, senza lisozima da Italia .
Tra i casi di respingimenti alle frontiere:propargite (sostanza non autorizzata) in
fagiolini freschi provenienti dall'Egitto; migrazione di cromo in coltelli in acciaio
provenienti dalla Cina; ometoato e il dimetoato in fagioli freschi provenienti dalla
Repubblica Dominicana .
Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un
intervento urgente troviamo: aflatossine in latte mescolato proveniente dall'Italia;
solfiti non dichiarati in gamberetti rosa congelati dalla Turchia.
Tre le segnalazioni di esportazioni italiane in altri paesi : la Finlandia segnala la
presenza di Salmonella Senftemberg in torte contenenti colza biologica dall'Italia ; la
Germania segnala frammenti di vetro in salsa per pasta dall'Italia la Francia segnala
Listeria monocytogenes in filetti di maiale secche provenienti da Italia .
Fonte: rasff.eu
Polli e farmaci: aumenta l’antibiotico-resistenza. Uno scenario allarmante anche per
gli esseri umani.
La crescente presenza di batteri antibiotico-resistenti, dovuta all’uso eccessivo e
improprio di farmaci, è forse il principale problema degli allevamenti intensivi di
animali da reddito soprattutto nel settore dei polli da carne. La questione è legata ai
metodi di allevamento e alla qualità della vita degli animali, come evidenzia il
recente report del Ministero della salute sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti
negli avicoli. Il documento rivela la presenza di livelli preoccupanti di antibiotico-
resistenza nei polli. Si tratta di un dossier diffuso dall’associazione Compassion in
Word Farming CIWF, che chiede al Ministro – anche attraverso una petizione
popolare – di proporre un piano obbligatorio per ridurre il consumo di antibiotici, con
obiettivi e scadenze precisi, analogamente a quanto è stato fatto in altri paesi, in
modo da abolire ”l’uso sistematico e profilattico” di questi farmaci.
Quello dell’antibiotico resistenza (fenomeno chiamato così perché alcuni batteri
patogeni sviluppano una resistenza agli antibiotici impiegati per curare le malattie
dell’uomo), è un problema che non riguarda solo i farmaci veterinari visti gli evidenti
risvolti sulla nostra salute. In Italia, secondo dati della SIMIT (Società Italiana di
Malattie Infettive e Tropicali), ogni anno muoiono a causa dell’antibiotico resistenza
fra 5 e 7 mila persone, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro. Il rischio è
che la diffusione dell’antibiotico resistenza in campo veterinario, oltre a rendere più
difficile il controllo delle malattie infettive negli animali di allevamento, aumenti il
rischio che batteri antibiotico-resistenti siano trasferiti direttamente o indirettamente
all’uomo.
L’origine di molti problemi attuali risale dagli anni ‘50, quando negli allevamenti
intensivi venivano somministrati agli animali in modo sistematico piccole dosi di
antibiotici nei mangimi come promotori della crescita (per prevenire patologie
intestinali e altri problemi sanitari in grado di rallentare l’incremento di peso dei polli).
Questa pratica è stata vietata in Europa solo nel 2006. Oggi i motivi il trattamento a
base di antibiotici può essere fatto solo in tre casi. Il caso più diffuso è quello
collegato a ragioni terapeutiche (curare un singolo animale o un gruppo colpiti da
una malattia infettiva). Ci sono pure i trattamenti per metafilassi, ovvero la
somministrazione ad animali sani che potrebbero essersi infettati a contatto con
soggetti malati: in questo caso l’antibiotico serve per prevenire un’ulteriore
diffusione della malattia, la cui presenza deve comunque essere accertata. Il terzo
caso riguarda la profilassi a scopo preventivo, cioè la somministrazione ad animali
sani per prevenire infezioni: una pratica considerata accettabile quando il rischio di
contagio è elevato e l’infezione grave. La profilassi, nonostante i numerosi controlli
veterinari e il costo dei trattamenti, è comunque un modo per aprire la porta all’uso
improprio e illecito dei farmaci.
Il problema ci riguarda da vicino, visto che dai pochi dati disponibili – come il primo
rapporto congiunto ECDC/EFSA/EMA diffuso nel 2015 – l’Italia si distingue come il
paese europeo con il più alto consumo di antibiotici negli allevamenti degli animali
da reddito. Secondo i dati ministeriali molti dei ceppi di batteri individuati sui
campioni esaminati come ad esempio Escherichia coli, Campylobacter spp. e
Salmonella spp. responsabili di infezioni anche gravi – hanno sviluppato resistenza
nei confronti degli antibiotici più comuni. Più precisamente il 90% dei ceppi di
Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni mentre il 5% ha
mostrato resistenza a più antibiotici. Nel caso di Salmonella spp., l’83% dei ceppi
isolati ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni, l’82% alle tetracicline (la classe di
antimicrobici più venduta in Italia), più del 3% alle cefalosporine di 3° e 4°
generazione, mentre il 78% mostra una resistenza multipla. Per Escherichia coli la
resistenza ai fluorochinoloni è presente nel 67% dei campioni, quella alle
cefalosporine di 3° e 4° generazione nel 6,47%. Inoltre l’80% circa ha mostrato una
resistenza multipla.
Infine, per i campioni di Escherichia coli produttori di ESBL o AmpC o carbapenemasi
– enzimi che conferiscono resistenza a farmaci importanti per l’uomo – il 95% ha
mostrato resistenza multipla. A rafforzare questi dati, arriva una ricerca dell’Istituto
zooprofilattico del Veneto, che riguarda ceppi batterici produttori di beta-lattamasi
a spettro esteso (ESBL): anche in questo caso, tutti i ceppi di Escherichia coli
analizzati presentano elevati livelli di resistenza per la maggior parte degli antibiotici
testati.
Altrettanto allarmanti i dati presenti nel Piano nazionale per l’uso responsabile del
farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico resistenza in avicoltura, elaborato
dal Ministero della salute insieme alla Società Italiana di patologia Aviare e
all’associazione UNA Italia. Il documento evidenzia che il consumo di antibiotici
destinati agli allevamenti in Italia di antibiotici di particolare importanza terapeutica
risulta decisamente superiore rispetto alla media europea (+136,8%). Secondo la
Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani (FNOVI) “i risultati rappresentano
una situazione alquanto allarmante soprattutto per alcuni antimicrobici quali
tetracicline, sulfamidici, amminopenicilline e chinolonici”.
Il piano ministeriale per gli avicoli, reperibile presso il sito del Sistema Informativo per
l’Epidemiologia Veterinaria, oltre a prevedere un sistema di monitoraggio sull’uso
degli antibiotici, mette l’accento sulla necessità di ridurre il ricorso alle metafilassi e
rinunciare alla profilassi, ed evitare per quanto possibile il ricorso agli antibiotici più
utilizzati per gli umani e in particolare fluorochinoloni, macrolidi e polimixine. Si tratta
di un’iniziativa importante, visto che per un’efficace lotta all’antibiotico-resistenza è
indispensabile disporre di dati precisi sull’impiego di questi medicinali negli
allevamenti. L’efficacia dell’iniziativa ha il grosso limite di prevedere l’adesione al
sistema di controlli su base volontaria, così come sono volontarie le iniziative per
promuovere la ricetta elettronica adottata da alcune regioni. A oggi, nonostante la
richiesta di associazioni come il CIWF, non è possibile sapere quante e quali aziende
abbiano aderito all’iniziativa. (Articolo di Paola Emila Cicerone)
Fonte: ilfattoalimentare.it
Glifosato, il diserbante che ha messo in allarme l’Europa.
In questi giorni si parla tanto di glifosato, un erbicida a basso costo che viene
utilizzato per eliminare la piante infestanti. Una sostanza al centro della cronaca per
i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente.
Secondo lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro – Organismo
dell’OMS), il glisofato è risultato «probabile causa di tumori» in quanto in grado di
danneggiare il DNA.
Parere più cauto è stato dato dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare), la quale ritiene il glifosato «probabilmente non cancerogeno». E’ il caso
dunque di fare un po’ di chiarezza su questo tanto discusso erbicida.La licenza UE
per l’uso di glisofato è stata concessa per 7 anni, anzichè per 15 come
richiesto. Niente abolizione però da parte dell’Europarlamento. La Francia, notizia di
qualche giorno fa, ha messo al bando il glifosato, ritenuto dannoso per la salute
umana.
Ecco l’analisi del biologo Luciano Atzori, esperto di sicurezza alimentare e tutela
della salute.
1) Che cos’è il «glifosato»?Il glifosato è un erbicida a largo spettro d’azione, attivo sia
sulle infestanti annuali sia su quelle perenni (sia sulla parte aerea cioè sul fusto e sulle
foglie sia su quella ipogea cioè nelle radici), che inibisce uno specifico enzima nei
vegetali, indispensabile per la sintesi degli aminoacidi aromatici. Questo erbicida
viene utilizzato con successo per eliminare le piante infestanti, spesso molto
persistenti, in quanto entrano in competizione con le piante coltivate per acqua,
nutrienti, luce e superficie. E’ in grado di devitalizzare anche gli organi di
conservazione ipogea delle erbe infestanti, come rizomi, fittoni carnosi ecc., che in
nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati.
2) Perché si è iniziato a parlarne?Il glifosato è stato sintetizzato per la prima volta nel
1950 dal chimico svizzero Henri Martin, ma è stato commercializzato come
diserbante (cioè erbicida) nel 1974 dalla Monsanto con il nome commerciale di
Roundup®. Attualmente il brevetto è scaduto quindi sono molte le aziende che lo
sintetizzano, nella sola Europa è prodotto da circa 14 aziende ed è presente in oltre
750 diserbanti. Per anni il glifosato è stato considerato innocuo, però ultimamente
questa considerazione è stata ampiamente rivisitata, infatti, pare che permane
nelle acque superficiali (laghi e fiumi) e sotterranee (acque di falda) oppure si
evolve nel suo principale metabolita (Ampa) di cui si sa ancora poco. Ad ogni
modo si ritiene che il glifosato crei inquinamento ambientale (soprattutto delle
acque), riduca la biodiversità e che possa arrivare negli alimenti infatti sue tracce
sono state trovate nel sangue di persone che non sono mai venute a contatto
diretto con l’erbicida. E che possa dunque essere anche un reale pericolo per la
salute umana.
3) Come si usa?Il glifosato viene venduto sottoforma di liquido pronto per l’uso. Si
può dunque spruzzare direttamente sulle piante infettanti o sui terreni, in maniera
semplice e diretta. Si trova sul mercato anche in forma solubile da sciogliere
nell’acqua. L’assorbimento del prodotto avviene in 5-6 ore, e il disseccamento della
vegetazione è visibile in genere dopo 10-12 giorni.
4) Con cosa potrebbe essere sostituito?La rimozione manuale o meccanica delle
piante infestanti è il metodo più sicuro sia per la salute umana sia per l’ambiente.
Ma anche il più lungo e più costoso. Motivo per cui ci si affida agli erbicidi, che
svolgono una operazione molto più veloce a costi bassi. In alternativa al glifosato si
potrebbero usare altri fitofarmaci specifici per le singole colture. Il problema è che
sul mercato ce ne sono anche di più pericolosi e inquinanti del glifosato, quindi non
si risolverebbe il problema.
5) Quali patologie può causare?Secondo lo IARC (Agenzia Internazionale per la
Ricerca sul Cancro – organismo dell’OMS), dopo un’attenta esamina della
letteratura scientifica mondiale, il glifosato è risultato «probabile causa di tumori» in
quanto in grado di danneggiare il DNA. A riprova di ciò vi sono soprattutto alcuni
studi sui topi che hanno dimostrato che il glifosato è in grado di causare tumori nei
reni e nel tessuto connettivo. Parere più cauto è stato dato dall’EFSA (Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare) la quale ritiene il glifosato «probabilmente non
cancerogeno». L’autorizzazione dell’UE all’uso del glifosato scade a fine giugno 2016
e visti i controversi pareri scientifici, la crescente paura della popolazione e la forte
pressione mediatica degli ultimi mesi per questo erbicida si prevede un iter
sicuramente molto in salita e dall’incerto risultato. Ne è dimostrazione la recente
decisione dell’Europarlamento che ha votato (con 374 voti a favore, 225 contrari e
104 astensioni) una risoluzione attraverso la quale si chiede alla Commissione
europea di rinnovare l’autorizzazione all’uso del glifosato per soli 7 anni invece dei 15
previsti.
6) Chi ne fa più uso (regioni/ stati) ?I più grandi utilizzatori di glifosato sono gli Stati
Uniti, l’Argentina, il Brasile, il Sudafrica e la Cina.
7) Perché la Francia lo ha messo al bando?La Francia ha deciso di mettere al
bando il glifosato. Lo aveva annunciato due mesi fa il ministro dell’Ecologia
Ségolène Royal. La manovra riguarda quei prodotti che contengono glifosato
associato ad altri ingredienti in un mix che è considerato pericoloso per la nostra
salute. L’ANSES (Agenzia francese per l’ambiente, il cibo e la salute) ha inviato una
lettera alle aziende per informarle della propria intenzione di ritirare l’autorizzazione
alla produzione e alla vendita di erbicidi che contengano glifosato abbinato
all’ingrediente «tallow amine» (ammina di sego). Questa tipologia di erbicidi
comprende il Roundup di Monsanto. E proprio Monsanto ha confermato di essere
una delle aziende che verranno colpite dalla decisione della Francia di mettere al
bando gli erbicidi che contengono il glifosato in abbinamento all’ammina di sego.
8) I benefici nel suo utilizzo?Il glifosato è l’erbicida più efficace e usato al mondo.
Mentre in passato la lotta alle infestanti era effettuata attraverso azioni fisiche e con
la rotazione delle colture attualmente, soprattutto nell’agricoltura intensiva, si
preferisce controllare le piante infestanti attraverso l’uso di sostanze chimiche
(erbicidi) in quanto, anche se possono dare vari inconvenienti (formazione
spontanea di piante infestanti erbicida-tolleranti, inquinamento ambientale,
danneggiamento delle piante coltivate, ecc.), permettono di ridurre i costi
agronomici. Dimostrazione di ciò sono gli oltre due mila agrofarmaci contenenti
glifosato regolarmente registrati nell’UE.
9) Quali altri pericoli nel settore agricolo?Il vero problema che emerge dal caso del
glifosato è che ormai l’agricoltura intensiva, tutta atta alla massimizzazione della
produzione (ottenimento dell’iperproduzione con l’obiettivo di ridurre i costi e di
migliorare i sempre più ridotti guadagni), non è più sostenibile. Se il glifosato in
Europa dovesse essere proibito, non si risolverebbe di certo il problema
dell’inquinamento ambientale da fitofarmaci e da concimi di sintesi e tanto meno la
presenza di tracce di pericolose sostanze chimiche negli alimenti in quanto
verrebbero usati, come già si fa, altri agrofarmaci (erbicidi, acaricidi, insetticidi,
nematocidi, fungicidi, limacidi) in alcuni casi molto più pericolosi del glifosato.
Insomma, proibire il glifosato creerebbe sicuramente rassicurazione nella
popolazione, sarebbe l’applicazione pratica del «principio di precauzione» in attesa
che si colmi la gravosa incertezza scientifica che regna sui rischi per la salute del
glifosato, ma non cambierebbe il sistema agricolo europeo. In definitiva, anche se il
glifosato dovesse essere vietato, la questione salute e in e inquinamento da
agricoltura sarebbe ancora aperta. (Articolo di Luciano O. Atzori)
Fonte: lastampa.it
Cocktail. Il piacere del gusto
Sono sicuri i cocktails che beviamo o corriamo alcuni rischi? Cocktail, una bevanda
molto strana, dal fascino e mistero, che seduce, inebria, rilassa e che mette di
buonumore. Ci sarebbero molte notizie da conoscere, per capire meglio quella
straordinaria “cosa” che chiamiamo cocktail. Anzi, queste informazioni sono tali e
tante che, a impegnarsi nello studio per conoscerle tutte, forse non resterebbe più
tempo per berne nemmeno un bicchiere di questa straordinaria bevanda. Cosa c’è
di meglio di un bel cocktail ghiacciato per rinfrescarsi durante il caldo torrido?
Ma sono sicuri i cocktails che beviamo o corriamo alcuni rischi? Come per tutti gli
alimenti, anche per i cocktails se non si rispettano le normali prassi igieniche nella
preparazione e nell’igiene del personale ci possono essere rischi per la salute dovuti
a contaminazioni.
Ghiaccio. Uno degli ingredienti più usato per la preparazione dei cocktails è il
ghiaccio. La qualità del ghiaccio che beviamo è molto importante per la salute sia
di chi lo produce, che di chi lo consuma. Con il congelamento non si ha garanzia di
inattivazione di eventuali patogeni responsabili di malattie presenti nell’acqua, ma
solo una loro attenuazione e il rischio di contaminazione è elevatissimo sia durante la
produzione che nella conservazione. Bar, discoteche, pub, ristoranti producono
ghiaccio con appositi macchinari, ma spesso a causa della cattiva manutenzione e
pulizia, il ghiaccio prodotto non è adatto per uso alimentare. Uno degli errori più
frequenti per chi produce il ghiaccio con queste macchine è quello di non utilizzare
la palettina apposita per servirsi del ghiaccio utilizzando contenitori approssimati che
non sono deposti nell’apposito alloggiamento dopo l’uso, ma lasciati in giro su
ripiani vari con il risultato di aumentare le possibilità di contaminazioni. Perciò, le
buone prassi igieniche sin dalla fase di produzione sino alla somministrazione sono
fondamentali. Durante la preparazione dei cocktails, bisogna fare molta attenzione
e osservare alcune regole fondamentali per evitare contaminazioni: mai toccare il
ghiaccio con le mani o con il bicchiere tumbler (questa è una pratica molto
utilizzata), la parte esterna viene sempre toccata con le mani, ma servirsi sempre di
una pinza o dell’apposito cucchiaio forato. Stesso discorso vale per tutti gli attrezzi
che si utilizzano, tipo i rompighiaccio e i contenitori dove il ghiaccio viene
conservato. Spesso le vaschette utilizzate sono aperte o peggio sono le stesse dove
prima si trovavano le bottiglie di liquori e altre bevande o addirittura sono conservati
in bustoni di plastica come quelli per la spazzatura non idonei alla conservazione
degli alimenti. Ovviamente questi errori vanno evitati a garanzia della sicurezza del
prodotto. Per la qualità dell’acqua utilizzata è opportuno attenersi alla regola di
effettuare i dovuti controlli se si usa l’acqua di rete, così come porre molte
attenzione ad eventuali contaminazioni crociate e successive.
Altri ingredienti molto utilizzati nella composizione dei cocktails
Altri ingredienti molto utilizzati nella composizione dei cocktails, sono la frutta e/o la
verdura che deve essere ben lavata. La frutta se servita con la buccia, la scarsa
igiene del personale e delle attrezzature, l’utilizzo dello stesso coltello per tagliare
alimenti crudi, possono determinare durante le fasi di preparazione dei cocktails
contaminazioni sia di tipo microbiologico che chimico. Basti pensare che dati
ufficiali forniti dall’EFSA tra la frutta e verdura in cui sono stati trovati maggiori tracce
di residui di pesticidi interferenti spiccano pomodori, cetrioli, mele, pesche, e fragole
che sono tra quelli maggiormente utilizzati nella preparazione di cocktails. Ma
preparare un cocktail sicuro con tutte le dovute attenzioni alle norme igieniche non
basta. Ci sono altri pericoli in agguato. Oltre agli ingredienti utilizzati per la
preparazione dei cocktails, bisogna prestare molta attenzione anche alla qualità
igienica degli stuzzichini (olive, tarallini, patatine, arachidi, noccioline, etc.) che sono
serviti per accompagnare la bevanda. Di sovente ci si imbatte in “Happy Hour” (la
moda del momento di servire aperitivi), dove gli stuzzichini sono serviti sfusi in ciotole
sul bancone del bar, dove i clienti si servono con le proprie mani o nella migliore
delle ipotesi, con un cucchiaio che viene spostato da una ciotola all’altra. La cosa si
complica, se oltre agli stuzzichini il buffet si arricchisce di tartine, pizzette, briochine
dolci e salate, alimenti che in alcuni casi sono anche farciti con creme e salse varie
(maionese, etc), prodotti di gastronomia (insalate russa, capricciosa), alimenti a
base di carne o pesce o uova, alimenti crudi mescolati con alimenti cotti in unico
piatto. Tutti questi alimenti elencati, necessitano di diverse temperature di
conservazione, la cosa più corretta sarebbe allestire dei buffet a temperatura
controllata. Per i piatti caldi la temperatura di esposizione deve essere maggiore di
+60°C, per insalate e verdure sui +10°C, per cibi cotti serviti freddi sotto i +10°C e per
alimenti crudi a +4°C. Invece, spessissimo questi alimenti di accompagnamento ai
cocktails, sono serviti a temperatura ambiente per diverse ore, senza adeguata
copertura e senza o pochi utensili. Non rispettare le temperature, espone i prodotti
alimentari ad una graduale e pericolosa moltiplicazione batterica che potrebbe
determinarne il deterioramento o peggio essere causa di una tossinfezione del
consumatore. Maggiore è il tempo di esposizione a T° ambiente, maggiore è il
rischio. Spesso, questi sono alimenti frequentemente ricchi di microrganismi,
apportati dalle materie prime e dalla preparazione fatta spesso in situazioni
ambientali disagevoli e in condizioni igieniche precarie (mancanza di spazio,
mescolanza di ingredienti crudi e cotti, manipolazione). Le insalate russe, le insalate
capricciose, le salse a base di uova, il vitello tonnato contengono una lista di
microrganismi fin troppo lunga da riportare. Certamente, stafilococchi, clostridi,
salmonelle, listerie e Campylobacter vi primeggiano. Tali condizioni possono
provocare intossicazioni ed infezioni alimentari anche gravi responsabili di Malattie
Trasmesse da Alimenti (MTA). Molti dei locali, specialmente bar, o piccoli chioschetti
di strada, dove sono somministrati i cocktails accompagnati da buffet con alimenti
vari, sono privi di veri e propri locali tipo cucine e gli alimenti sono preparati e
manipolati sui banconi di lavoro e da personale poco esperto nella preparazione.
L’attenzione anche agli spazi di lavoro è fondamentale. Questi devono essere
sufficienti a garantire che durante le varie fasi di lavorazioni non si verifichino
contaminazioni crociate e devono rispettare la normativa prevista sull’igiene degli
ambienti di lavoro. In ogni caso, la superficie va valutata in funzione del numero
degli addetti, dell’ingombro delle attrezzature utilizzate, della qualità e della
quantità delle lavorazioni e delle caratteristiche delle preparazioni. Alcune regole
molto semplici da adottare a tutela della sicurezza degli operatori e dei consumatori
nella preparazione di cocktails sono: la presenza almeno di una zona attrezzata del
banco o del retrobanco adeguatamente protetta sul lato clienti, dedicata alle
operazioni di preparazione e dotata di specifico lavello. Per la
venditasomministrazione di stuzzichini, antipasti, ed altre preparazioni alimentari di
accompagnamento ai cocktails, i prodotti alimentari dovranno essere serviti solo al
momento dell’ordinazione da parte del cliente. Sia gli ingredienti utilizzati per la
preparazione dei cocktails che gli alimenti serviti come accompagnamento,
dovranno essere conservati in vetrine o reparti con le opportune protezioni nei
confronti delle contaminazioni esterne ed accidentali; inoltre gli alimenti deperibili
dovranno essere mantenuti nel rispetto delle temperature richieste. Dovrà essere
prevista una zona attrezzata e protetta dedicata alle connesse attività di
porzionatura, preparazione e manipolazione. Il lavaggio di frutta e/o verdura da
utilizzare per la preparazione deve essere eseguito in apposita vasca
convenientemente dimensionata, preferibilmente dotata di rubinetteria a comando
non manuale. Perciò, quando vi recate in bar per degustare un cocktail verificate
che il personale addetto alla preparazione segua le norme igieniche previste e che
la preparazione e la somministrazione delle bevande e alimenti avvenga con
l’osservanza della buone prassi igieniche. Verificate che le condizione igieniche e di
manutenzione del locale (soffitti, pavimenti, arredi e infissi del locale, servizi igienici,
ecc.). La presenza di ragnatele o di polvere sulle mensole, la pulizia dei pavimenti, la
collocazione dei rifiuti, la presenza di sapone e salviette nei servizi igienici, ecc.). Il
grado d’Igiene personale del pizzaiolo/cuoco, il quale deve avere le unghie corte,
non deve portare anelli e bracciali, deve indossare una divisa chiara e pulita
(maglia e pantalone), un grembiule monouso e un copricapo che raccolga tutta la
capigliatura, vista la carica batterica elevata dei capelli; il grado d’Igiene personale
dei camerieri, i quali devono avere l’abbigliamento da lavoro pulito e ordinato.
Occhio alle calorie ed al contenuto alcolico
Long, short oppure hot drink, non importa, l’importante è che la sete si plachi. Al bar,
in discoteca e anche a casa, ogni luogo è quello giusto per gustare un buon
cocktail, ma attenzione, bisogna bere con moderazione e stare attenti alle calorie.
Bisogna conoscere il valore calorico della bevanda che stiamo gustando e bisogna
sommare le calorie della bevanda a quelle del cibo assunto. Tenere conto della
differenza tra una bevanda alcolica ed una analcolica (per esempio con frutta,
zucchero, oltre in alcuni casi anche la presenza di additivi vari tra cui coloranti,
aromi artificiali, dolcificanti), sia in termini calorici, che di alcool assunto che dipende
dal mix di alcolici usato nella preparazione del cocktail. Tra i Cocktails più calorici
spicca il Long Island con 720 calorie, Margarita e e Pina Colada circa 650. Tra i
meno calorici il Mojito con circa 195 calorie, la Tequila sunrise con circa 190, la
Sangria con circa 173, il Bloody Mary con circa 123 e il Gin Tonic con circa 112
calorie. È opportuno ricordare che: a) La dose quotidiana di alcol che una persona
in buona salute può concedersi senza incorrere in gravi danni non può essere
stabilita da rigide norme, poiché le variabili individuali sono davvero tante: quella
che è considerata una dose moderata per un individuo può essere eccessiva
invece per un altro. Un consumo moderato può essere indicato entro il limite di 2-3
U.A. al giorno (pari a circa 2-3 bicchieri di vino) per l’uomo e di 1-2 U.A. per la
donna. Tale quantità, da assumersi durante i pasti, deve essere intesa come limite
massimo oltre il quale gli effetti negativi cominciano a prevalere su quelli positivi; b)
nei casi in cui non si consumi solo vino, bisogna imparare a tener conto di tutte le
occasioni di ingestione di altre bevande alcoliche che si presentano nel corso della
giornata (birra, aperitivi, digestivi e superalcolici nelle varie forme) e calcolare il
numero di U.A. introdotte; c) bisogna fare in modo che non siano superate le
capacità del fegato di metabolizzare l’alcol; d) bere con moderazione, quindi,
certamente significa bere poco, ma anche evitare di bere in maniera troppo
ravvicinata, così da permettere al nostro organismo di smaltire meglio l’etanolo; e)
le bevande alcoliche ad alta gradazione (grappa, whisky, vodka, ecc.), che, per
caratteristiche e consuetudini, vengono assunte fuori pasto, devono essere
considerate con la massima attenzione oppure evitate del tutto, specialmente se a
stomaco vuoto; f) bisogna anche evitare di consumare bevande alcoliche in
maniera concentrata nel fine settimana, abitudine invece diffusa in molti Paesi
occidentali; g) bisogna inoltre usare particolare cautela in certe ben identificate fasi
della vita e in certi gruppi di popolazione a rischio. Nell’infanzia e nell’adolescenza
occorre evitare del tutto l’uso di bevande alcoliche, sia per una non perfetta
capacità di trasformare l’alcol, sia per il fatto che più precoce è il primo contatto
con l’alcol, maggiore è il rischio di abuso. Le donne in gravidanza e in allattamento
dovrebbero astenersi completamente dal consumo di alcolici, o comunque
diminuire drasticamente le dosi (1 U.A. una volta o al massimo due volte la
settimana). L’alcol infatti si distribuisce in tutti i fluidi e le secrezioni e quindi arriva al
feto, attraversando la barriera placentare, e al bambino, tramite il latte, rischiando
di provocare seri danni. Nell’anziano l’efficienza dei sistemi di metabolizzazione
dell’etanolo diminuisce in maniera rilevante e il contenuto totale di acqua corporea
è più basso; è perciò consigliabile limitare il consumo di alcolici ad 1 U.A. al giorno;
h) estrema attenzione deve essere posta al problema delle interazioni tra alcol e
farmaci. Chi segue una qualsiasi terapia farmacologia deve consigliarsi con il
proprio medico curante sull’opportunità di bere alcolici. Identica attenzione deve
essere rivolta anche ai comuni farmaci da banco, per molti dei quali è da suggerire
l’astensione dal consumo concomitante degli stessi. (Articolo di Elvira Tarsitano)
Fonte: alimentiesicurezza.it

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  • 1. News 17/SA/2016 Lunedì, 25 aprile 2016 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.16 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 68 ( 8 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i casi di allerta l'Italia segnala: presenza di mercurio in pesce spada decongelato proveniente dalla Spagna; Salmonella Saprha in pepe nero macinato proveniente dall'Italia; aflatossine nel siero dolce, senza lisozima da Italia . Tra i casi di respingimenti alle frontiere:propargite (sostanza non autorizzata) in fagiolini freschi provenienti dall'Egitto; migrazione di cromo in coltelli in acciaio provenienti dalla Cina; ometoato e il dimetoato in fagioli freschi provenienti dalla Repubblica Dominicana . Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un intervento urgente troviamo: aflatossine in latte mescolato proveniente dall'Italia; solfiti non dichiarati in gamberetti rosa congelati dalla Turchia. Tre le segnalazioni di esportazioni italiane in altri paesi : la Finlandia segnala la presenza di Salmonella Senftemberg in torte contenenti colza biologica dall'Italia ; la Germania segnala frammenti di vetro in salsa per pasta dall'Italia la Francia segnala Listeria monocytogenes in filetti di maiale secche provenienti da Italia . Fonte: rasff.eu Polli e farmaci: aumenta l’antibiotico-resistenza. Uno scenario allarmante anche per gli esseri umani. La crescente presenza di batteri antibiotico-resistenti, dovuta all’uso eccessivo e improprio di farmaci, è forse il principale problema degli allevamenti intensivi di animali da reddito soprattutto nel settore dei polli da carne. La questione è legata ai metodi di allevamento e alla qualità della vita degli animali, come evidenzia il recente report del Ministero della salute sulla presenza di batteri antibiotico-resistenti negli avicoli. Il documento rivela la presenza di livelli preoccupanti di antibiotico- resistenza nei polli. Si tratta di un dossier diffuso dall’associazione Compassion in Word Farming CIWF, che chiede al Ministro – anche attraverso una petizione
  • 2. popolare – di proporre un piano obbligatorio per ridurre il consumo di antibiotici, con obiettivi e scadenze precisi, analogamente a quanto è stato fatto in altri paesi, in modo da abolire ”l’uso sistematico e profilattico” di questi farmaci. Quello dell’antibiotico resistenza (fenomeno chiamato così perché alcuni batteri patogeni sviluppano una resistenza agli antibiotici impiegati per curare le malattie dell’uomo), è un problema che non riguarda solo i farmaci veterinari visti gli evidenti risvolti sulla nostra salute. In Italia, secondo dati della SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), ogni anno muoiono a causa dell’antibiotico resistenza fra 5 e 7 mila persone, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro. Il rischio è che la diffusione dell’antibiotico resistenza in campo veterinario, oltre a rendere più difficile il controllo delle malattie infettive negli animali di allevamento, aumenti il rischio che batteri antibiotico-resistenti siano trasferiti direttamente o indirettamente all’uomo. L’origine di molti problemi attuali risale dagli anni ‘50, quando negli allevamenti intensivi venivano somministrati agli animali in modo sistematico piccole dosi di antibiotici nei mangimi come promotori della crescita (per prevenire patologie intestinali e altri problemi sanitari in grado di rallentare l’incremento di peso dei polli). Questa pratica è stata vietata in Europa solo nel 2006. Oggi i motivi il trattamento a base di antibiotici può essere fatto solo in tre casi. Il caso più diffuso è quello collegato a ragioni terapeutiche (curare un singolo animale o un gruppo colpiti da una malattia infettiva). Ci sono pure i trattamenti per metafilassi, ovvero la somministrazione ad animali sani che potrebbero essersi infettati a contatto con soggetti malati: in questo caso l’antibiotico serve per prevenire un’ulteriore diffusione della malattia, la cui presenza deve comunque essere accertata. Il terzo caso riguarda la profilassi a scopo preventivo, cioè la somministrazione ad animali sani per prevenire infezioni: una pratica considerata accettabile quando il rischio di contagio è elevato e l’infezione grave. La profilassi, nonostante i numerosi controlli veterinari e il costo dei trattamenti, è comunque un modo per aprire la porta all’uso improprio e illecito dei farmaci. Il problema ci riguarda da vicino, visto che dai pochi dati disponibili – come il primo rapporto congiunto ECDC/EFSA/EMA diffuso nel 2015 – l’Italia si distingue come il paese europeo con il più alto consumo di antibiotici negli allevamenti degli animali da reddito. Secondo i dati ministeriali molti dei ceppi di batteri individuati sui campioni esaminati come ad esempio Escherichia coli, Campylobacter spp. e Salmonella spp. responsabili di infezioni anche gravi – hanno sviluppato resistenza nei confronti degli antibiotici più comuni. Più precisamente il 90% dei ceppi di Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni mentre il 5% ha
  • 3. mostrato resistenza a più antibiotici. Nel caso di Salmonella spp., l’83% dei ceppi isolati ha mostrato resistenza ai fluorochinoloni, l’82% alle tetracicline (la classe di antimicrobici più venduta in Italia), più del 3% alle cefalosporine di 3° e 4° generazione, mentre il 78% mostra una resistenza multipla. Per Escherichia coli la resistenza ai fluorochinoloni è presente nel 67% dei campioni, quella alle cefalosporine di 3° e 4° generazione nel 6,47%. Inoltre l’80% circa ha mostrato una resistenza multipla. Infine, per i campioni di Escherichia coli produttori di ESBL o AmpC o carbapenemasi – enzimi che conferiscono resistenza a farmaci importanti per l’uomo – il 95% ha mostrato resistenza multipla. A rafforzare questi dati, arriva una ricerca dell’Istituto zooprofilattico del Veneto, che riguarda ceppi batterici produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL): anche in questo caso, tutti i ceppi di Escherichia coli analizzati presentano elevati livelli di resistenza per la maggior parte degli antibiotici testati. Altrettanto allarmanti i dati presenti nel Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico resistenza in avicoltura, elaborato dal Ministero della salute insieme alla Società Italiana di patologia Aviare e all’associazione UNA Italia. Il documento evidenzia che il consumo di antibiotici destinati agli allevamenti in Italia di antibiotici di particolare importanza terapeutica risulta decisamente superiore rispetto alla media europea (+136,8%). Secondo la Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani (FNOVI) “i risultati rappresentano una situazione alquanto allarmante soprattutto per alcuni antimicrobici quali tetracicline, sulfamidici, amminopenicilline e chinolonici”. Il piano ministeriale per gli avicoli, reperibile presso il sito del Sistema Informativo per l’Epidemiologia Veterinaria, oltre a prevedere un sistema di monitoraggio sull’uso degli antibiotici, mette l’accento sulla necessità di ridurre il ricorso alle metafilassi e rinunciare alla profilassi, ed evitare per quanto possibile il ricorso agli antibiotici più utilizzati per gli umani e in particolare fluorochinoloni, macrolidi e polimixine. Si tratta di un’iniziativa importante, visto che per un’efficace lotta all’antibiotico-resistenza è indispensabile disporre di dati precisi sull’impiego di questi medicinali negli allevamenti. L’efficacia dell’iniziativa ha il grosso limite di prevedere l’adesione al sistema di controlli su base volontaria, così come sono volontarie le iniziative per promuovere la ricetta elettronica adottata da alcune regioni. A oggi, nonostante la richiesta di associazioni come il CIWF, non è possibile sapere quante e quali aziende abbiano aderito all’iniziativa. (Articolo di Paola Emila Cicerone) Fonte: ilfattoalimentare.it
  • 4. Glifosato, il diserbante che ha messo in allarme l’Europa. In questi giorni si parla tanto di glifosato, un erbicida a basso costo che viene utilizzato per eliminare la piante infestanti. Una sostanza al centro della cronaca per i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente. Secondo lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro – Organismo dell’OMS), il glisofato è risultato «probabile causa di tumori» in quanto in grado di danneggiare il DNA. Parere più cauto è stato dato dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), la quale ritiene il glifosato «probabilmente non cancerogeno». E’ il caso dunque di fare un po’ di chiarezza su questo tanto discusso erbicida.La licenza UE per l’uso di glisofato è stata concessa per 7 anni, anzichè per 15 come richiesto. Niente abolizione però da parte dell’Europarlamento. La Francia, notizia di qualche giorno fa, ha messo al bando il glifosato, ritenuto dannoso per la salute umana. Ecco l’analisi del biologo Luciano Atzori, esperto di sicurezza alimentare e tutela della salute. 1) Che cos’è il «glifosato»?Il glifosato è un erbicida a largo spettro d’azione, attivo sia sulle infestanti annuali sia su quelle perenni (sia sulla parte aerea cioè sul fusto e sulle foglie sia su quella ipogea cioè nelle radici), che inibisce uno specifico enzima nei vegetali, indispensabile per la sintesi degli aminoacidi aromatici. Questo erbicida viene utilizzato con successo per eliminare le piante infestanti, spesso molto persistenti, in quanto entrano in competizione con le piante coltivate per acqua, nutrienti, luce e superficie. E’ in grado di devitalizzare anche gli organi di conservazione ipogea delle erbe infestanti, come rizomi, fittoni carnosi ecc., che in nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati. 2) Perché si è iniziato a parlarne?Il glifosato è stato sintetizzato per la prima volta nel 1950 dal chimico svizzero Henri Martin, ma è stato commercializzato come diserbante (cioè erbicida) nel 1974 dalla Monsanto con il nome commerciale di Roundup®. Attualmente il brevetto è scaduto quindi sono molte le aziende che lo sintetizzano, nella sola Europa è prodotto da circa 14 aziende ed è presente in oltre 750 diserbanti. Per anni il glifosato è stato considerato innocuo, però ultimamente questa considerazione è stata ampiamente rivisitata, infatti, pare che permane nelle acque superficiali (laghi e fiumi) e sotterranee (acque di falda) oppure si evolve nel suo principale metabolita (Ampa) di cui si sa ancora poco. Ad ogni modo si ritiene che il glifosato crei inquinamento ambientale (soprattutto delle acque), riduca la biodiversità e che possa arrivare negli alimenti infatti sue tracce
  • 5. sono state trovate nel sangue di persone che non sono mai venute a contatto diretto con l’erbicida. E che possa dunque essere anche un reale pericolo per la salute umana. 3) Come si usa?Il glifosato viene venduto sottoforma di liquido pronto per l’uso. Si può dunque spruzzare direttamente sulle piante infettanti o sui terreni, in maniera semplice e diretta. Si trova sul mercato anche in forma solubile da sciogliere nell’acqua. L’assorbimento del prodotto avviene in 5-6 ore, e il disseccamento della vegetazione è visibile in genere dopo 10-12 giorni. 4) Con cosa potrebbe essere sostituito?La rimozione manuale o meccanica delle piante infestanti è il metodo più sicuro sia per la salute umana sia per l’ambiente. Ma anche il più lungo e più costoso. Motivo per cui ci si affida agli erbicidi, che svolgono una operazione molto più veloce a costi bassi. In alternativa al glifosato si potrebbero usare altri fitofarmaci specifici per le singole colture. Il problema è che sul mercato ce ne sono anche di più pericolosi e inquinanti del glifosato, quindi non si risolverebbe il problema. 5) Quali patologie può causare?Secondo lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro – organismo dell’OMS), dopo un’attenta esamina della letteratura scientifica mondiale, il glifosato è risultato «probabile causa di tumori» in quanto in grado di danneggiare il DNA. A riprova di ciò vi sono soprattutto alcuni studi sui topi che hanno dimostrato che il glifosato è in grado di causare tumori nei reni e nel tessuto connettivo. Parere più cauto è stato dato dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) la quale ritiene il glifosato «probabilmente non cancerogeno». L’autorizzazione dell’UE all’uso del glifosato scade a fine giugno 2016 e visti i controversi pareri scientifici, la crescente paura della popolazione e la forte pressione mediatica degli ultimi mesi per questo erbicida si prevede un iter sicuramente molto in salita e dall’incerto risultato. Ne è dimostrazione la recente decisione dell’Europarlamento che ha votato (con 374 voti a favore, 225 contrari e 104 astensioni) una risoluzione attraverso la quale si chiede alla Commissione europea di rinnovare l’autorizzazione all’uso del glifosato per soli 7 anni invece dei 15 previsti. 6) Chi ne fa più uso (regioni/ stati) ?I più grandi utilizzatori di glifosato sono gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile, il Sudafrica e la Cina. 7) Perché la Francia lo ha messo al bando?La Francia ha deciso di mettere al bando il glifosato. Lo aveva annunciato due mesi fa il ministro dell’Ecologia Ségolène Royal. La manovra riguarda quei prodotti che contengono glifosato associato ad altri ingredienti in un mix che è considerato pericoloso per la nostra salute. L’ANSES (Agenzia francese per l’ambiente, il cibo e la salute) ha inviato una
  • 6. lettera alle aziende per informarle della propria intenzione di ritirare l’autorizzazione alla produzione e alla vendita di erbicidi che contengano glifosato abbinato all’ingrediente «tallow amine» (ammina di sego). Questa tipologia di erbicidi comprende il Roundup di Monsanto. E proprio Monsanto ha confermato di essere una delle aziende che verranno colpite dalla decisione della Francia di mettere al bando gli erbicidi che contengono il glifosato in abbinamento all’ammina di sego. 8) I benefici nel suo utilizzo?Il glifosato è l’erbicida più efficace e usato al mondo. Mentre in passato la lotta alle infestanti era effettuata attraverso azioni fisiche e con la rotazione delle colture attualmente, soprattutto nell’agricoltura intensiva, si preferisce controllare le piante infestanti attraverso l’uso di sostanze chimiche (erbicidi) in quanto, anche se possono dare vari inconvenienti (formazione spontanea di piante infestanti erbicida-tolleranti, inquinamento ambientale, danneggiamento delle piante coltivate, ecc.), permettono di ridurre i costi agronomici. Dimostrazione di ciò sono gli oltre due mila agrofarmaci contenenti glifosato regolarmente registrati nell’UE. 9) Quali altri pericoli nel settore agricolo?Il vero problema che emerge dal caso del glifosato è che ormai l’agricoltura intensiva, tutta atta alla massimizzazione della produzione (ottenimento dell’iperproduzione con l’obiettivo di ridurre i costi e di migliorare i sempre più ridotti guadagni), non è più sostenibile. Se il glifosato in Europa dovesse essere proibito, non si risolverebbe di certo il problema dell’inquinamento ambientale da fitofarmaci e da concimi di sintesi e tanto meno la presenza di tracce di pericolose sostanze chimiche negli alimenti in quanto verrebbero usati, come già si fa, altri agrofarmaci (erbicidi, acaricidi, insetticidi, nematocidi, fungicidi, limacidi) in alcuni casi molto più pericolosi del glifosato. Insomma, proibire il glifosato creerebbe sicuramente rassicurazione nella popolazione, sarebbe l’applicazione pratica del «principio di precauzione» in attesa che si colmi la gravosa incertezza scientifica che regna sui rischi per la salute del glifosato, ma non cambierebbe il sistema agricolo europeo. In definitiva, anche se il glifosato dovesse essere vietato, la questione salute e in e inquinamento da agricoltura sarebbe ancora aperta. (Articolo di Luciano O. Atzori) Fonte: lastampa.it Cocktail. Il piacere del gusto Sono sicuri i cocktails che beviamo o corriamo alcuni rischi? Cocktail, una bevanda molto strana, dal fascino e mistero, che seduce, inebria, rilassa e che mette di buonumore. Ci sarebbero molte notizie da conoscere, per capire meglio quella
  • 7. straordinaria “cosa” che chiamiamo cocktail. Anzi, queste informazioni sono tali e tante che, a impegnarsi nello studio per conoscerle tutte, forse non resterebbe più tempo per berne nemmeno un bicchiere di questa straordinaria bevanda. Cosa c’è di meglio di un bel cocktail ghiacciato per rinfrescarsi durante il caldo torrido? Ma sono sicuri i cocktails che beviamo o corriamo alcuni rischi? Come per tutti gli alimenti, anche per i cocktails se non si rispettano le normali prassi igieniche nella preparazione e nell’igiene del personale ci possono essere rischi per la salute dovuti a contaminazioni. Ghiaccio. Uno degli ingredienti più usato per la preparazione dei cocktails è il ghiaccio. La qualità del ghiaccio che beviamo è molto importante per la salute sia di chi lo produce, che di chi lo consuma. Con il congelamento non si ha garanzia di inattivazione di eventuali patogeni responsabili di malattie presenti nell’acqua, ma solo una loro attenuazione e il rischio di contaminazione è elevatissimo sia durante la produzione che nella conservazione. Bar, discoteche, pub, ristoranti producono ghiaccio con appositi macchinari, ma spesso a causa della cattiva manutenzione e pulizia, il ghiaccio prodotto non è adatto per uso alimentare. Uno degli errori più frequenti per chi produce il ghiaccio con queste macchine è quello di non utilizzare la palettina apposita per servirsi del ghiaccio utilizzando contenitori approssimati che non sono deposti nell’apposito alloggiamento dopo l’uso, ma lasciati in giro su ripiani vari con il risultato di aumentare le possibilità di contaminazioni. Perciò, le buone prassi igieniche sin dalla fase di produzione sino alla somministrazione sono fondamentali. Durante la preparazione dei cocktails, bisogna fare molta attenzione e osservare alcune regole fondamentali per evitare contaminazioni: mai toccare il ghiaccio con le mani o con il bicchiere tumbler (questa è una pratica molto utilizzata), la parte esterna viene sempre toccata con le mani, ma servirsi sempre di una pinza o dell’apposito cucchiaio forato. Stesso discorso vale per tutti gli attrezzi che si utilizzano, tipo i rompighiaccio e i contenitori dove il ghiaccio viene conservato. Spesso le vaschette utilizzate sono aperte o peggio sono le stesse dove prima si trovavano le bottiglie di liquori e altre bevande o addirittura sono conservati in bustoni di plastica come quelli per la spazzatura non idonei alla conservazione degli alimenti. Ovviamente questi errori vanno evitati a garanzia della sicurezza del prodotto. Per la qualità dell’acqua utilizzata è opportuno attenersi alla regola di effettuare i dovuti controlli se si usa l’acqua di rete, così come porre molte attenzione ad eventuali contaminazioni crociate e successive. Altri ingredienti molto utilizzati nella composizione dei cocktails Altri ingredienti molto utilizzati nella composizione dei cocktails, sono la frutta e/o la verdura che deve essere ben lavata. La frutta se servita con la buccia, la scarsa
  • 8. igiene del personale e delle attrezzature, l’utilizzo dello stesso coltello per tagliare alimenti crudi, possono determinare durante le fasi di preparazione dei cocktails contaminazioni sia di tipo microbiologico che chimico. Basti pensare che dati ufficiali forniti dall’EFSA tra la frutta e verdura in cui sono stati trovati maggiori tracce di residui di pesticidi interferenti spiccano pomodori, cetrioli, mele, pesche, e fragole che sono tra quelli maggiormente utilizzati nella preparazione di cocktails. Ma preparare un cocktail sicuro con tutte le dovute attenzioni alle norme igieniche non basta. Ci sono altri pericoli in agguato. Oltre agli ingredienti utilizzati per la preparazione dei cocktails, bisogna prestare molta attenzione anche alla qualità igienica degli stuzzichini (olive, tarallini, patatine, arachidi, noccioline, etc.) che sono serviti per accompagnare la bevanda. Di sovente ci si imbatte in “Happy Hour” (la moda del momento di servire aperitivi), dove gli stuzzichini sono serviti sfusi in ciotole sul bancone del bar, dove i clienti si servono con le proprie mani o nella migliore delle ipotesi, con un cucchiaio che viene spostato da una ciotola all’altra. La cosa si complica, se oltre agli stuzzichini il buffet si arricchisce di tartine, pizzette, briochine dolci e salate, alimenti che in alcuni casi sono anche farciti con creme e salse varie (maionese, etc), prodotti di gastronomia (insalate russa, capricciosa), alimenti a base di carne o pesce o uova, alimenti crudi mescolati con alimenti cotti in unico piatto. Tutti questi alimenti elencati, necessitano di diverse temperature di conservazione, la cosa più corretta sarebbe allestire dei buffet a temperatura controllata. Per i piatti caldi la temperatura di esposizione deve essere maggiore di +60°C, per insalate e verdure sui +10°C, per cibi cotti serviti freddi sotto i +10°C e per alimenti crudi a +4°C. Invece, spessissimo questi alimenti di accompagnamento ai cocktails, sono serviti a temperatura ambiente per diverse ore, senza adeguata copertura e senza o pochi utensili. Non rispettare le temperature, espone i prodotti alimentari ad una graduale e pericolosa moltiplicazione batterica che potrebbe determinarne il deterioramento o peggio essere causa di una tossinfezione del consumatore. Maggiore è il tempo di esposizione a T° ambiente, maggiore è il rischio. Spesso, questi sono alimenti frequentemente ricchi di microrganismi, apportati dalle materie prime e dalla preparazione fatta spesso in situazioni ambientali disagevoli e in condizioni igieniche precarie (mancanza di spazio, mescolanza di ingredienti crudi e cotti, manipolazione). Le insalate russe, le insalate capricciose, le salse a base di uova, il vitello tonnato contengono una lista di microrganismi fin troppo lunga da riportare. Certamente, stafilococchi, clostridi, salmonelle, listerie e Campylobacter vi primeggiano. Tali condizioni possono provocare intossicazioni ed infezioni alimentari anche gravi responsabili di Malattie Trasmesse da Alimenti (MTA). Molti dei locali, specialmente bar, o piccoli chioschetti
  • 9. di strada, dove sono somministrati i cocktails accompagnati da buffet con alimenti vari, sono privi di veri e propri locali tipo cucine e gli alimenti sono preparati e manipolati sui banconi di lavoro e da personale poco esperto nella preparazione. L’attenzione anche agli spazi di lavoro è fondamentale. Questi devono essere sufficienti a garantire che durante le varie fasi di lavorazioni non si verifichino contaminazioni crociate e devono rispettare la normativa prevista sull’igiene degli ambienti di lavoro. In ogni caso, la superficie va valutata in funzione del numero degli addetti, dell’ingombro delle attrezzature utilizzate, della qualità e della quantità delle lavorazioni e delle caratteristiche delle preparazioni. Alcune regole molto semplici da adottare a tutela della sicurezza degli operatori e dei consumatori nella preparazione di cocktails sono: la presenza almeno di una zona attrezzata del banco o del retrobanco adeguatamente protetta sul lato clienti, dedicata alle operazioni di preparazione e dotata di specifico lavello. Per la venditasomministrazione di stuzzichini, antipasti, ed altre preparazioni alimentari di accompagnamento ai cocktails, i prodotti alimentari dovranno essere serviti solo al momento dell’ordinazione da parte del cliente. Sia gli ingredienti utilizzati per la preparazione dei cocktails che gli alimenti serviti come accompagnamento, dovranno essere conservati in vetrine o reparti con le opportune protezioni nei confronti delle contaminazioni esterne ed accidentali; inoltre gli alimenti deperibili dovranno essere mantenuti nel rispetto delle temperature richieste. Dovrà essere prevista una zona attrezzata e protetta dedicata alle connesse attività di porzionatura, preparazione e manipolazione. Il lavaggio di frutta e/o verdura da utilizzare per la preparazione deve essere eseguito in apposita vasca convenientemente dimensionata, preferibilmente dotata di rubinetteria a comando non manuale. Perciò, quando vi recate in bar per degustare un cocktail verificate che il personale addetto alla preparazione segua le norme igieniche previste e che la preparazione e la somministrazione delle bevande e alimenti avvenga con l’osservanza della buone prassi igieniche. Verificate che le condizione igieniche e di manutenzione del locale (soffitti, pavimenti, arredi e infissi del locale, servizi igienici, ecc.). La presenza di ragnatele o di polvere sulle mensole, la pulizia dei pavimenti, la collocazione dei rifiuti, la presenza di sapone e salviette nei servizi igienici, ecc.). Il grado d’Igiene personale del pizzaiolo/cuoco, il quale deve avere le unghie corte, non deve portare anelli e bracciali, deve indossare una divisa chiara e pulita (maglia e pantalone), un grembiule monouso e un copricapo che raccolga tutta la capigliatura, vista la carica batterica elevata dei capelli; il grado d’Igiene personale dei camerieri, i quali devono avere l’abbigliamento da lavoro pulito e ordinato.
  • 10. Occhio alle calorie ed al contenuto alcolico Long, short oppure hot drink, non importa, l’importante è che la sete si plachi. Al bar, in discoteca e anche a casa, ogni luogo è quello giusto per gustare un buon cocktail, ma attenzione, bisogna bere con moderazione e stare attenti alle calorie. Bisogna conoscere il valore calorico della bevanda che stiamo gustando e bisogna sommare le calorie della bevanda a quelle del cibo assunto. Tenere conto della differenza tra una bevanda alcolica ed una analcolica (per esempio con frutta, zucchero, oltre in alcuni casi anche la presenza di additivi vari tra cui coloranti, aromi artificiali, dolcificanti), sia in termini calorici, che di alcool assunto che dipende dal mix di alcolici usato nella preparazione del cocktail. Tra i Cocktails più calorici spicca il Long Island con 720 calorie, Margarita e e Pina Colada circa 650. Tra i meno calorici il Mojito con circa 195 calorie, la Tequila sunrise con circa 190, la Sangria con circa 173, il Bloody Mary con circa 123 e il Gin Tonic con circa 112 calorie. È opportuno ricordare che: a) La dose quotidiana di alcol che una persona in buona salute può concedersi senza incorrere in gravi danni non può essere stabilita da rigide norme, poiché le variabili individuali sono davvero tante: quella che è considerata una dose moderata per un individuo può essere eccessiva invece per un altro. Un consumo moderato può essere indicato entro il limite di 2-3 U.A. al giorno (pari a circa 2-3 bicchieri di vino) per l’uomo e di 1-2 U.A. per la donna. Tale quantità, da assumersi durante i pasti, deve essere intesa come limite massimo oltre il quale gli effetti negativi cominciano a prevalere su quelli positivi; b) nei casi in cui non si consumi solo vino, bisogna imparare a tener conto di tutte le occasioni di ingestione di altre bevande alcoliche che si presentano nel corso della giornata (birra, aperitivi, digestivi e superalcolici nelle varie forme) e calcolare il numero di U.A. introdotte; c) bisogna fare in modo che non siano superate le capacità del fegato di metabolizzare l’alcol; d) bere con moderazione, quindi, certamente significa bere poco, ma anche evitare di bere in maniera troppo ravvicinata, così da permettere al nostro organismo di smaltire meglio l’etanolo; e) le bevande alcoliche ad alta gradazione (grappa, whisky, vodka, ecc.), che, per caratteristiche e consuetudini, vengono assunte fuori pasto, devono essere considerate con la massima attenzione oppure evitate del tutto, specialmente se a stomaco vuoto; f) bisogna anche evitare di consumare bevande alcoliche in maniera concentrata nel fine settimana, abitudine invece diffusa in molti Paesi occidentali; g) bisogna inoltre usare particolare cautela in certe ben identificate fasi della vita e in certi gruppi di popolazione a rischio. Nell’infanzia e nell’adolescenza occorre evitare del tutto l’uso di bevande alcoliche, sia per una non perfetta capacità di trasformare l’alcol, sia per il fatto che più precoce è il primo contatto
  • 11. con l’alcol, maggiore è il rischio di abuso. Le donne in gravidanza e in allattamento dovrebbero astenersi completamente dal consumo di alcolici, o comunque diminuire drasticamente le dosi (1 U.A. una volta o al massimo due volte la settimana). L’alcol infatti si distribuisce in tutti i fluidi e le secrezioni e quindi arriva al feto, attraversando la barriera placentare, e al bambino, tramite il latte, rischiando di provocare seri danni. Nell’anziano l’efficienza dei sistemi di metabolizzazione dell’etanolo diminuisce in maniera rilevante e il contenuto totale di acqua corporea è più basso; è perciò consigliabile limitare il consumo di alcolici ad 1 U.A. al giorno; h) estrema attenzione deve essere posta al problema delle interazioni tra alcol e farmaci. Chi segue una qualsiasi terapia farmacologia deve consigliarsi con il proprio medico curante sull’opportunità di bere alcolici. Identica attenzione deve essere rivolta anche ai comuni farmaci da banco, per molti dei quali è da suggerire l’astensione dal consumo concomitante degli stessi. (Articolo di Elvira Tarsitano) Fonte: alimentiesicurezza.it