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La Teoria dei Vincoli
              (Theory of Constraints –
                                 TOC)
          Pubblicato su: “Sistemi & Impresa” -Edizioni Este – N°7 – Settembre 2002




La Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC) è un approccio alle scienze
dell ’ organizzazione tanto rivoluzionario, quanto efficace, che si basa sul
miglioramento continuo delle prestazioni aziendali e dei profitti ad esse legati
attraverso la gestione dinamica dei vincoli del sistema organizzativo. I principi della
TOC forniscono al management la possibilità di collegare le azioni locali alle
prestazioni globali del sistema, in altre parole permettono di definire con precisione
l ’ impatto delle decisioni manageriali sull ’ utile.
L ’ articolo presenta in modo sintetico l ’ ampio spettro di conoscenze legate alla
Theory of Constraints, sviluppatasi negli ultimi 20 anni sotto lo stimolo e la guida di
Eli Goldratt, che ha applicato il metodo scientifico alla disciplina manageriale
ottenendo risultati eccezionali in termini di miglioramento delle prestazioni aziendali
in centinaia di imprese in tutto il mondo.




© Filippo Pescara - IFP Ingegneria e
Management
1. Generalità

L’idea fondamentale nella Teoria dei Vincoli è che ogni sistema esistente in realtà (le
organizzazioni sono sistemi esistenti in realtà) deve avere almeno un vincolo che ne limita
le prestazioni. Se così non fosse, il sistema potrebbe produrre un’ammontare infinito di
output; nel caso di un’azienda un profitto infinito.
Dato che un vincolo è un fattore che limita la possibilità di perseguire maggiori profitti, i
managers che intendono migliorare le prestazioni aziendali devono gestire i vincoli.
I vincoli determinano l’output del sistema sia che siano gestiti, sia che non lo siano, quindi
esiste un solo modo per orientare il risultato aziendale: gestirli con attenzione e in modo
consapevole.

La Teoria dei Vincoli semplifica la gestione dei sistemi complessi attraverso la ricerca e la
successiva gestione di pochi punti chiave nel funzionamento dei processi (i vincoli),
responsabili delle prestazioni dell’intero sistema.

Ogni business può essere descritto in termini di sistema costituito da una sequenza di
processi interdipendenti finalizzati alla trasformazione di opportune risorse (input) in un
prodotto/servizio vendibile (output). Assimilando le prestazioni di tale sistema alla forza di
una catena, si intuisce che il modo più efficace per ottenere miglioramenti nelle prestazioni
prevede i passi seguenti:

•   Identificare l’anello più debole, in altre parole il vincolo. Ciò può non essere immediato,
    a causa del fatto che in molti contesti aziendali si cerca di risolvere i problemi dipendenti
    da una domanda di mercato che fluttua nel tempo e da variabilità nelle prestazioni delle
    risorse inserendo tra ogni fase del processo buffer di disaccoppiamento e protezione.
    Tali buffer di work in process nascondono i problemi, mascherano le interdipendenze e
    rendono più difficile l’identificazione del vincolo reale del sistema.
•   Non cercare di sottoporre il sistema a un carico troppo elevato. Se tale carico è
    superiore a quello sopportabile dall’anello più debole della catena, la catena si romperà.
•   Concentrare gli sforzi di miglioramento sull’anello più debole.
•   Se gli sforzi di miglioramento hanno successo l’anello più debole migliorerà in termini di
    prestazioni fino al punto in cui qualche altro anello diventerà il più debole. Ogni ulteriore
    sforzo teso al miglioramento del primo anello comporterà un’inutile dispendio di costi e
    risorse. La focalizzazione del miglioramento, per garantirne l’efficacia, dovrà orientarsi
    sul nuovo anello debole.

I principi della Teoria dei Vincoli forniscono quindi al management l’abilità di focalizzare il
miglioramento delle prestazioni nei punti in cui tali miglioramenti sono più efficaci in
relazione al miglioramento del sistema nel suo complesso.

L’analogia della catena è di importanza cruciale per comprendere la filosofia di base
sottesa alla TOC. I sistemi organizzativi infatti, così come gli anelli di una catena, sono
composti da processi ed eventi interdipendenti. In aggiunta al concetto di interdipendenza,
la teoria considera il fatto che i sistemi reali non sono governati da variabili deterministiche,
ma le variabili associate al funzionamento di qualsiasi processo sono soggette a fluttuazioni
statistiche.
Fluttuazioni statistiche associate a variabili tra loro dipendenti determinano il fatto che la
ricerca dell’ottimo di prestazione relativo a tutte le variabili locali non ottimizza le prestazioni
globali del sistema (per esempio la saturazione di una risorsa produttiva, al fine di ridurre il
costo unitario di prodotto, non comporta, se la risorsa non è un vincolo produttivo,
prestazioni migliorative per il sistema nel suo complesso, ma anzi danneggia le prestazioni


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Management
globali generando eccesso di WIP, allungando il lead time e sprecando capacità utile per la
soddisfazione della domanda che grava sul sistema).
Se tutti i componenti di un sistema realizzano singolarmente le prestazioni massime in
ottica locale, il sistema globalmente non realizzerà le sue massime prestazioni.

La maggior parte dei vincoli che limitano le prestazioni dei sistemi organizzativi sono
originati da politiche e meccanismi operativi sbagliati, non da vincoli fisici. Per
esemplificare, molti stabilimenti produttivi hanno mediocri prestazioni in termini di evasione
ordini alle date promesse. Ciò sembrerebbe imputabile a carenza di capacità produttiva per
la soddisfazione della domanda, e quindi a vincoli fisici di capacità (colli di bottiglia). Le
applicazioni della TOC hanno invece dimostrato in migliaia di contesti, e nei più disparati
settori industriali, che il 60-70% degli stabilimenti ha capacità in esubero rispetto alla
domanda che grava su di essi, ciò nonostante gli ordini non sono evasi in tempo e la
produzione è costantemente in ritardo. La causa di ciò (“core problem”) spesso risiede in
una erronea politica di misurazione e controllo economico che privilegia l’accorpamento
(“batching”) di ordini al fine di ridurre i tempi di set up e quindi i costi unitari, o di
meccanismi operativi di programmazione basati su previsioni spesso inaffidabili che
determinano anticipi nel lancio in produzione nell’illusoria speranza di “avvantaggiarsi” su
ciò che si presume debba essere prodotto. Effetti indesiderati indotti da tali politiche sono
lead times lunghi, basse rotazioni degli stock, eccessiva presenza di codici obsoleti, basso
livello di servizio, difficoltà nel controllo qualità, materiali mancanti, frustrazione nei
dipendenti, diminuzione del fatturato, ecc..
Tutti gli effetti indesiderati di cui sopra impattano in modo negativo sul profitto.

In generale i vincoli possono essere di tipo “fisico” (un collo di bottiglia produttivo, una
domanda di mercato inferiore alla capacità produttiva, una risorsa scarsa) o “di politica”
(politiche e procedure erronee).

I vincoli di tipo fisico sono relativamente facili da individuare e da gestire.
I vincoli di politica sono più subdoli, ma una volta individuati e gestiti rendono possibili
miglioramenti più significativi e su più vasta scala nelle prestazioni del sistema.




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Management
2. Le soluzioni generali e le tecniche di base

La TOC comprende tre gruppi principali di tecniche.

Il primo gruppo definisce l’infrastruttura metodologica entro la quale le soluzioni e gli
strumenti della teoria trovano fondamento: in particolare il ciclo di miglioramento continuo
focalizzato (“five focusing steps”) e il sistema di misurazione e controllo economico
finalizzato a orientare i comportamenti e le azioni (che hanno sempre natura locale) in
modo da massimizzare le prestazioni del sistema nel suo complesso (“throughput
accounting”).

Per migliorare le prestazioni di un sistema è necessario procedere nel seguente modo:

•   individuare il vincolo del sistema
•   sfruttare il vincolo del sistema
•   subordinare ogni azione a quanto definito in 1 e 2
•   migliorare le prestazioni del vincolo del sistema
•   se il vincolo è stato rimosso, tornare al punto 1. Porre attenzione a che i meccanismi
    operativi messi in atto nei passi 2 e 3 non diventino essi stessi un vincolo (di politica)

I passi precedenti (“five focusing steps”) costituiscono l’unico modo per rendere il
miglioramento delle prestazioni dell’organizzazione veloce ed efficace.

Se l’obiettivo è migliorare, è condizione necessaria dotarsi di riferimenti di misurazione per
quantificare i miglioramenti, e tali riferimenti devono essere utili principalmente a due cose:
• essere in grado di misurare il sistema nel suo complesso, di far cioè capire in che
   misura le direzioni di cambiamento sono coerenti con l’obiettivo finale (che per l’azienda
   è il profitto nel breve, medio e lungo periodo)
• costituire un riferimento costante e immediato per misurare in che modo le decisioni, a
   qualsiasi livello, e le azioni conseguenti, impattano sull’obiettivo finale e sono con esso
   coerenti

Tali riferimenti di misurazione costituiscono il nucleo del “throughput accounting”.
Le variabili economiche fondamentali sono:

Throughput (T)                       E’ il tasso al quale l’organizzazione genera “unità
                                     obiettivo” (nel caso di aziende industriali soldi
                                     attraverso le vendite)

Inventory (I)                        E’ il denaro immobilizzato nell’organizzazione, che può
                                     trasformarsi in throughput

Operating Expenses (OE)              E’ il denaro che l’organizzazione spende nel generare
                                     “unità obiettivo”




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Management
NET PROFIT = T – OE
ROI = (T - OE)/I

Per migliorare le prestazioni dell’organizzazione è evidente che si deve aumentare T,
diminuire I e diminuire OE, e in tal modo si definisce la chiave che lega le decisioni locali
alla prestazione dell’intero sistema. Quando si deve decidere una specifica azione, le
domande da porsi sono:

l’azione determinerà un aumento del throughput? Se sì, come?
l’azione determinerà una riduzione dell’inventory? Se sì, come?
l’azione determinerà una riduzione delle operating expenses? Se sì, come?

Il secondo gruppo (“constraint management tools” o ” tecniche per gestire i vincoli”)
comprende soluzioni generiche progettate per gestire vincoli interni che risiedono in
ambiente produttivo, nella distribuzione o nella progettazione e vincoli esterni relativi a
relazioni con i fornitori, con il mercato e con altri anelli della supply chain. Il vincolo che
limita le prestazioni dell’organizzazione può risiedere in qualsiasi funzione aziendale; le
soluzioni generiche di cui sopra si focalizzano sui processi gestiti da tali funzioni secondo lo
schema seguente:


PROCESSO                                           TECNICHE
Approvvigionamento                                 Costruzione di un accordo win win (“Un-
                                                   refusable Offer”)
                                                   Acquisizione del consenso e chiusura del
                                                   contratto (“TOC buy-in”)
Produzione                                         Pianificazione dei flussi sincronizzata ai vincoli
                                                   (“Drum-Buffer-Rope” -DBR)
                                                   Controllo e protezione dinamica dei flussi
                                                   (“Buffer Management”)
                                                   Analisi delle tipologie di routing finalizzata alla
                                                   sincronizzazione (“V-A-T Analysis”)
Logistica distributiva                             Tecnica “pull” per la catena distributiva
                                                   (“Replenishment”)
Progettazione e Ingegnerizzazione                  Pianificazione dei progetti in contesti “single
                                                   project” e “multi project” (“Critical Chain Single
                                                   Project e Multi Project”)
                                                   Controllo e protezione dei progetti in tempi,
                                                   costi e specifiche (“Buffer Management”)
Marketing                                          Costruzione di un’offerta win win al mercato
                                                   (“Un-refusable Offer”)
Vendite                                            Acquisizione di un ordine o chiusura di un
                                                   contratto (“TOC buy-in”)




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Management
Il terzo gruppo è costituito da un set di strumenti di problem solving (noti come “thinking
process tools” ) che opportunamente combinati permettono di individuare le soluzioni più
efficaci per l’organizzazione basate sull’individuazione del problema centrale (“core
problem”) che limita le prestazioni, sull’individuazione della soluzione al problema centrale e
sulla rigorosa pianificazione dei passi per l’implementazione della soluzione.
Tutti gli strumenti servono a rappresentare graficamente le connessioni logiche esistenti tra
eventi interdipendenti nei contesti organizzativi e sono basati sull’applicazione rigorosa
delle categorie logiche di causalità (se..allora..) e di necessità (affinché sia…si deve…)

In altre parole gli strumenti di cui sopra permettono di gestire le tre macrofasi del
miglioramento secondo lo schema seguente:


MACROFASE                                        STRUMENTI DEL “THINKING PROCESS”
                                                 /CATEGORIA LOGICA SOTTOSTANTE
Cosa cambiare (individuazione del “core Albero della realtà corrente (Current Reality
problem”)                                        Tree-CRT) / causalità
                                                 Nuvola di descrizione del conflitto (Generic
                                                 Cloud-GC) / necessità
In cosa cambiare (individuazione della direzione Nuvola di risoluzione del conflitto (Evaporating
di cambiamento o soluzione)                      Cloud-EC) / necessità
                                                 Albero della realtà futura (Future reality Tree-
                                                 FRT) / causalità
                                                 Risoluzione degli effetti indesiderati indotti
                                                 (Negative Branch Reservation-NBR) / causalità
Come implementare il cambiamento                 Albero dei prerequisiti (PreRequisite Tree-
                                                 PRT) / necessità
                                                 Albero di transizione (Transition Tree-TrT) /
                                                 causalità


Pur essendo possibile (e a volte molto efficace) impiegare in modo flessibile gli strumenti
del thinking process isolatamente, in dipendenza della situazione contingente e del
particolare problema analizzato, un’applicazione rigorosa del ciclo di miglioramento prevede
il loro utilizzo in sequenza secondo quanto descritto in seguito.

Poiché alla base della TOC c’è la convinzione che la gestione efficace delle organizzazioni
non può prescindere dalla visione totale e non parziale dei problemi e delle soluzioni, il
primo passo è finalizzato all’individuazione della causa comune responsabile degli effetti
indesiderati osservati nel sistema. Tale causa comune costituisce la radice dell’albero della
realtà corrente (CRT), e la costruzione di tale albero permette di legare la causa comune,
attraverso connessioni logiche, agli effetti indesiderati, che ne sono le foglie e
rappresentano una visione solo parziale del problema.

Il problema centrale (causa comune) spesso esiste perché alla base di esso c’è la ricerca
di un compromesso tra prerequisiti a condizioni necessarie per il perseguimento di un
obiettivo, e tali prerequisiti sono in conflitto tra loro. La nuvola di descrizione del conflitto
(GC) evidenzia quanto sopra esplicitando graficamente le connessioni tra obiettivi,
condizioni necessarie e prerequisiti (figura 1).




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Management
c ondiz ioni
                                                             prere quis it i
                                   ne c e s s a rie


     obie t t iv o c he può              B                        D
   e s s e re ra ggiunt o s e
  s ono v e re s ia B c he C


              A                                                       c onf lit t o



                                         C                      D'




                                                                         Figura 1


Quando prerequisiti a condizioni necessarie sono in contraddizione tra loro, il problema è
mal posto, cioè esistono, nella descrizione della catena di condizioni necessarie, delle
assunzioni implicite che devono per forza essere non vere. Una volta che tali assunzioni
sono individuate, è possibile intraprendere azioni risolutive che eliminano l’assunzione
implicita e di conseguenza il conflitto.

L’azione risolutiva deve attaccare l’assunzione erronea “rompendo” una delle catene di
condizioni necessarie in conflitto tra loro. In tal modo il conflitto “evapora” e il problema è
risolto.

Ciò è rappresentato graficamente attraverso la nuvola di risoluzione del conflitto (EC).
L’azione risolutiva che rende il conflitto non più valido dovrebbe eliminare il “core problem”,
o causa comune.

Prima però di implementare l’azione risolutiva, è necessario verificare l’impatto di questa
sulla situazione attuale descritta dal CRT. Inserendo l’azione risolutiva nell’albero di
connessioni logiche, si verifica se e come scompaiono gli effetti indesiderati, e se le
connessioni logiche portano a effetti desiderati. Tale albero, modificato dall’inserimento
dell’azione risolutiva, rappresenta la realtà futura (FRT).

Spesso le azioni risolutive inducono nel sistema effetti indesiderati indotti, la cui
rappresentazione in termini di connessioni logiche è evidente in alcuni rami del FRT. Tali
rami sono rappresentati da parti di alberi logici (NBR).
La focalizzazione sui rami NBR permette di inserire ulteriori azioni risolutive nella
concatenazione logica rappresentata dal FRT, “pulendo” così la soluzione.

Ora è il momento di progettare l’implementazione, esplicitando gli ostacoli che si
frappongono tra la situazione attuale e l’implementazione delle azioni risolutive. Ordinando
cronologicamente gli ostacoli da superare, si ottengono tutti gli obiettivi intermedi che è
necessario raggiungere per poter implementare le azioni risolutive. Ciò è graficamente
descritto dall’albero dei prerequisiti (PRT).



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Management
Il superamento di un ostacolo, infatti, pone il sistema in una nuova situazione, più vicina
all’obiettivo finale (l’implementazione dell’azione risolutiva), e ciò costituisce il passaggio
per un obiettivo intermedio. Individuando le azioni necessarie alla rimozione degli ostacoli,
e costruendo l’albero di connessioni logiche che lega dette azioni agli obiettivi intermedi, si
ottiene l’ albero di transizione (TrT), che rappresenta nei dettagli il piano di
implementazione della soluzione. La figura 2 presenta in modo schematico il processo
descritto sopra.




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Management
UDE


                                                                                                                                       UDE

            1.Current Reality Tree:
            Il conflitto principale è
            responsabile di tutti gli effetti                           UDE                         UDE
            indesiderati (UDEs)?
                        UDE                                                   UDE


        2.Generic Cloud:
        Qual è il conflitto principale                                               UDE
        responsabile di tutti gli effetti                                                                                     3.Evaporating Cloud:
        indesiderati (UDEs)?                                                                                                  Quali assuzioni implicite si
                                                                                                                              devono mettere in
                                                                                                                              discussione?
                                                                                Conflitto
                                                                                Principale


                                   Conflitto
            Obiettivo              Principale                                    Obiettivo



                                                                                                                                         Assunzioni/
                                                                                                                  Obiettivo                Azioni
                                                                                                                                         risolutive

       Obiettivo
                                                                         DE
        4.Future Reality Tree:                                                                 DE
        Riuscirà l’azione risolutiva a
        conseguire solo effetti desiderati
        (DEs) senza creare nuovi effetti                                        DE
        indesiderati (UDEs)?



           5.Prerequisite Tree:
           Che cosa ostacola la                                                                           Az. risol.
           realizzazione dell’azione
           risolutiva?
                                                                                             DE

                                                                                                                                                I .O
                                                                                                                                                        Azione
                   Azione                          Azione risol.
                                                         Az.                                                                                        del risolutore
                  risolutiva                      risolutiva
         Ost.                      Ost.                      Ost.

                                                                                                                                                Azione
                                                                                                                                                  del
                                                                               Azione         DE
                      I.O                 I.O            I.O                                                                                  risolutore
                                                                              risolutiva

                            Ost.                  Ost.                                                                           I.O
                                                                         6.Transition Tree:
                                                                         Quali meccanismi deve mettere
                            Ost.                                         in atto il risolutore per “attaccare”
                I.O                         I.O            I.O           effettivamente l’azione risolutiva?
I.O

                                          Fonte Avraham Goldratt Institute                                                              Figura 2
                                                                                                      Azione del
                             I.O
                                                                                                     risolutore
                                                                                                    (che affronta
                                                                                                     l’ostacolo)




                       © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e                                                                               pagina 8
                       Management


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       Fonte Avraham Goldratt Institute
                     I.O          I.O                                                                risolutore
obst                                                                                         (che affronta                                             Figura 2
                                                                                                l’ostacolo)
Le soluzioni generiche appartenenti al secondo gruppo derivano da una rigorosa
applicazione degli strumenti del terzo gruppo impiegati seguendo la sequenza
metodologica dei 5 passi di miglioramento focalizzato (“five focusing steps). Con tali
strumenti è possibile individuare soluzioni a problemi specifici in realtà differenziate, con la
possibilità di impiegare le soluzioni generiche appartenenti al secondo gruppo, la cui
efficacia è comprovata da migliaia di implementazioni in tutto il mondo.



3. Cenni alle soluzioni generiche “Drum Buffer Rope” e “Critical Chain”
Per esemplificare si dà ora cenno alla prima soluzione generale della TOC nata nella prima
metà degli anni 80: la tecnica “Drum-Buffer-Rope (DBR). I principi ispiratori sono i seguenti:

1      non si devono bilanciare le capacità, ma bilanciare i flussi
2      il livello di utilizzo di una risorsa che non costituisce vincolo è determinato da
       un’altra risorsa che costituisce vincolo
3      utilizzazione e attivazione di una risorsa non sono lo stesso concetto (le risorse
       attivate non necessariamente sono “utilizzate”, se l’attivazione non aumenta il
       throughput)
4      un’ora persa in un collo di bottiglia è un’ora persa dall’intero sistema
5      un’ora risparmiata in una risorsa non vincolante non serve a nulla
6      i colli di bottiglia regolano sia il throughput che l’inventory
7      i lotti di trasferimento non devono necessariamente uguagliare i lotti di produzione
8      I lotti di produzione non dovrebbero essere fissi
9      le priorità possono essere definite solo attraverso l’esame dei vincoli del sistema

In coerenza con tali principi si definiscono dei buffer a monte dei colli di bottiglia in modo da
garantire per essi un’alimentazione continua. Altri buffer vengono disposti in punti strategici
della fabbrica per garantire che il tempo lavorato dai colli di bottiglia non venga sprecato
(ad esempio per mancanza di componenti in punti di assemblaggio in cui devono
convergere lavorazioni effettuate dai colli di bottiglia). Il tasso di ripristino del buffer (drum)
è determinato dalla capacità di processare materiale del collo di bottiglia, e l’alimentazione
del sistema produttivo deve essere legata (rope) al consumo di materiale del buffer
immettendo nel sistema con tecnica pull solo le materie prime necessarie a mantenere il
livello desiderato del buffer stesso. Il dimensionamento del buffer deve tenere conto del
livello di affidabilità della catena produttiva a monte del collo
di bottiglia.




© Filippo Pescara - IFP Ingegneria e                                                     pagina 9
Management
La figura 3 presenta in modo schematico le logiche del Drum Buffer Rope.
                 Fasi del
                 Processo



                                             Direzione del Flusso




                                                Buffe r
                                             (Inventory)


                                                                      Collo di Bottiglia



                                                                 X




                                                                D rum
                                 R ope                     (Schedulazione
  Rilascio del              (Informazione)
   Materiale                                                 del Collo di
                                                              Bottiglia)


                                                                                           Figura 3



La soluzione generica per il project management (“Critical Chain”) applica gli stessi assunti
di base, con l’obiettivo di gestire contesti in cui:
• il livello di imprevedibilità è molto più alto che in ambiente produttivo (ogni progetto è
    unico)
• le risorse principali sono costituite da persone e non da macchine, e il fattore umano
    determina la durata delle attività svolte
• la gestione della capacità delle risorse umane è molto più difficile della gestione della
    capacità delle macchine

La vera sfida in questo caso è relativa al come proteggere i progetti dall’altissima
imprevedibilità. Così come in uno stabilimento produttivo le prestazioni del sistema
dipendono dal collo di bottiglia, in un progetto le prestazioni sono definite dal cammino
critico (“Critical Path”). Così come in produzione, la soluzione della TOC per il project
management considera (nella definizione dei reticoli di progetto) la capacità finita delle
risorse. Pertanto, la TOC introduce un’estensione necessaria al concetto di cammino
critico.
Il cammino critico, nelle tecniche reticolari tradizionali, è definito dalla sequenza di attività
che determina la durata del progetto, ma gli algoritmi di calcolo prevedono l’adozione della
logica della capacità infinita. Infatti per determinare il cammino critico si costruisce il
reticolo di progetto assumendo come vincolo di dipendenza tra attività solo il legame di
causalità (“path dependence”)




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Management
Esiste però un secondo tipo di dipendenza, non meno importante, che le tecniche
tradizionali (PERT, CPM) non considerano, se non in seguito alla costruzione del reticolo:
tale dipendenza dipende dai conflitti di assegnazione risorse (“resource dependence”).
Se si considerano entrambi i tipi di dipendenza si ottiene, come sopra accennato,
un’estensione del concetto di cammino critico, che nella TOC è definita catena critica
(“Critical Chain”). La catena critica è costituita dalle attività in sequenza che determinano la
reale durata del progetto, ed è ottenuta tenendo in conto la capacità finita delle risorse.

Così come in produzione è necessario proteggere il collo di bottiglia mediante un buffer di
alimentazione, nel project management occorre proteggere la durata del progetto
posizionando un buffer a valle della catena critica (“project buffer”). E’ inoltre necessario
proteggere la catena critica dagli eventi imprevedibili che possono accadere in attività che
fanno parte di rami secondari e che in qualche punto si integrano nella catena critica: ciò si
persegue attraverso l’inserimento di buffers alla fine delle attività dei rami secondari
(“feeding buffers”).

In figura 4 si presenta un tipico reticolo di progetto costruito secondo le logiche della catena
critica.




                                 FB       X


                                 FB       X




                    X                                FB                                  PB




                                 FB       X

                                                                                D a ta di comple ta me nto

                                 FB       X
                                                              X    a ttività a sse gna te a lla risorsa x

              C ritical cha in


                                                                                               Figura 4




Sia il project buffer che i feeding buffers sono quantità temporali di protezione da inserire
nella schedulazione delle attività, e hanno il compito, oltre che di proteggere la durata del
progetto, di evitare tre problemi connessi alla natura delle risorse coinvolte:


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Management
•   le risorse umane allocate su attività tendono a consumare tutto il tempo disponibile
    (“legge di Parkinson”)
•   le risorse umane iniziano le attività in ritardo, se pensano di avere esubero di tempo
    (“sindrome dello studente”)
•   le risorse umane tendono a sovrastimare le durate delle attività aggiungendovi margini
    di sicurezza (“safety”) che per i due problemi precedenti sono sistematicamente sprecati
    durante l’esecuzione.

Forzando una riduzione nella stima di attività (eliminando i margini di sicurezza) e
compensando tale riduzione con l’inserimento di buffers (contenenti i margini di sicurezza
precedentemente eliminati) alla fine della catena di attività dipendenti, si instaurano
meccanismi che orientano i comportamenti favorendo l’eliminazione dei problemi di cui
sopra. Con lo spostamento dei margini di sicurezza nei buffers, inoltre, ritardi e anticipi si
mediano. Al contrario, se le “safety” sono incorporate a livello di singola attività, per il primo
dei problemi sopra citati, si propagano solo i ritardi.

La più drammatica determinante del degrado sistematico nelle prestazioni dei progetti è la
non corretta gestione dei contesti “multiproject”, quelli in cui le stesse risorse sono
assegnate contemporaneamente allo sviluppo di più progetti.
Il continuo spostare risorse su attività relative a differenti progetti allunga inesorabilmente le
durate dei vari reticoli (“bad multitasking”) e introduce in tutti i progetti conflitti di
assegnazione risorse (“resource contention”).
Ancora una volta si ricorre al concetto di “drum”, sequenziando le attività della risorsa più
carica e sincronizzando i vari reticoli di progetto alla schedulazione di detta risorsa. La
sequenziazione dei reticoli così ottenuta (“staggering”) riduce al minimo i conflitti non solo
della risorsa più carica, ma di tutte le altre risorse assegnate ai progetti.




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Management
4. Conclusioni
Nata alla fine degli anni 70 come applicazione in ambito produttivo, la TOC è oggi una
teoria manageriale completa a beneficio di tutti gli anelli della supply chain, la cui efficacia è
comprovata da centinaia di casi di successo nel mondo nei più svariati settori industriali.

Aziende quali Boeing, General Motors, Ford, Procter, Rockwell, Philips, Alcan, Xerox,
Lucent, 3M, Caterpillar, Motorola e molte altre, adottano la teoria già da qualche anno.
Esperti di Theory of Constraints stanno lavorando in Toyota per ridefinire le politiche
produttive adattandole alle logiche del Drum Buffer Rope.

La conoscenza della TOC si sta diffondendo a un tasso elevato, l’efficacia delle sue
tecniche sta prepotentemente conquistando la ribalta negli ambienti industriali e accademici
di tutto il mondo, e le aziende italiane non possono permettersi di ignorare questa realtà.

In Italia la sua diffusione è ancora limitata, anche per la mancanza di pubblicazioni in lingua
italiana. L’articolo, necessariamente sintetico, presenta la teoria completa definendo un
contesto di riferimento per l’approfondimento dei singoli argomenti che dovrà per il
momento essere affrontato in lingua inglese.



5. Bibliografia

Cox, James F. III and Michael S. Spencer. The Constraints Management Handbook.
Boca Raton, FL: St. Lucie Press/APICS Series on Constraints Management: 1998.

Dettmer, William H. Goldratt ’ s Theory of Constraints: A Systems Approach to Continuos
Improvement. Milwaukee, WI: ASQC Press, 1997

Goldratt, Eliyahu M.The Haystack Syndrome: Sifting Information out of the Data Ocean.
Croton-on-Hudson, NY: The North River Press, 1990.

Goldratt, Eliyahu M. Theory of Constraints: What is This Thing Called the Theory of
Constraints and How Should It be Implemented? Croton-on-Hudson, NY: The North River
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Goldratt, Eliyahu M. Critical Chain. Great Barrington, MA: The North River Press, 1997.

Goldratt, Eliyahu M. & Jeff Cox.1992. The Goal, Second rev.ed. Croton-on-Hudson, NY:
The North River Press.

Goldratt, Eliyahu M. and Robert E. Fox. The Race. Croton-on-Hudson, NY: The North River
Press, 1986.

Noreen, Eric, Debra A. Smith, and James T. Mackey. The Theory of Constraints and its
Implications for Management Accounting, edited by Clare Barth. First Edition. Great
Barrington, MA: North River Press, 1995.




© Filippo Pescara - IFP Ingegneria e                                                   pagina 13
Management
Scheinkopf, Lisa. Thinking For Change: Putting the TOC Thinking Processes to Use. Boca
Raton, FL: St. Lucie Press/APICS Series on Constraints Management, 1999.

Schragenheim, Eli. 1999; Management Dilemmas: The Theory of Constraints Approach to
Problem Identification and Solutions. Boca Raton, FL: St. Lucie Press APICS Series on
Constraints Management, 1999.



Breve profilo dell’autore
Filippo Pescara, ingegnere, consulente di direzione nell’ambito di progetti di sviluppo
organizzativo e di miglioramento dei processi della supply chain, si occupa da anni di
Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC) applicandone le metodologie e i principi ai
suoi progetti di consulenza. È membro del Constraint Management Special Interest Group
dell’APICS ed è parte del network internazionale ad esso collegato. È stato formato dal
dottor Eli Goldratt (ideatore della teoria) ed è stato facilitatore del sito italiano del Goldratt
Satellite Program (corso erogato in diretta via satellite sui 6 continenti dal dottor Goldratt
nella primavera 1999). Fa inoltre parte, in qualità di “Toc Expert” del network internazionale
legato al GMG (Goldratt Marketing Group). Filippo Pescara è titolare della società di
consulenza di direzione IFP Ingegneria e Management.




© Filippo Pescara - IFP Ingegneria e                                                   pagina 14
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Toc Articolo

  • 1. La Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC) Pubblicato su: “Sistemi & Impresa” -Edizioni Este – N°7 – Settembre 2002 La Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC) è un approccio alle scienze dell ’ organizzazione tanto rivoluzionario, quanto efficace, che si basa sul miglioramento continuo delle prestazioni aziendali e dei profitti ad esse legati attraverso la gestione dinamica dei vincoli del sistema organizzativo. I principi della TOC forniscono al management la possibilità di collegare le azioni locali alle prestazioni globali del sistema, in altre parole permettono di definire con precisione l ’ impatto delle decisioni manageriali sull ’ utile. L ’ articolo presenta in modo sintetico l ’ ampio spettro di conoscenze legate alla Theory of Constraints, sviluppatasi negli ultimi 20 anni sotto lo stimolo e la guida di Eli Goldratt, che ha applicato il metodo scientifico alla disciplina manageriale ottenendo risultati eccezionali in termini di miglioramento delle prestazioni aziendali in centinaia di imprese in tutto il mondo. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e Management
  • 2.
  • 3. 1. Generalità L’idea fondamentale nella Teoria dei Vincoli è che ogni sistema esistente in realtà (le organizzazioni sono sistemi esistenti in realtà) deve avere almeno un vincolo che ne limita le prestazioni. Se così non fosse, il sistema potrebbe produrre un’ammontare infinito di output; nel caso di un’azienda un profitto infinito. Dato che un vincolo è un fattore che limita la possibilità di perseguire maggiori profitti, i managers che intendono migliorare le prestazioni aziendali devono gestire i vincoli. I vincoli determinano l’output del sistema sia che siano gestiti, sia che non lo siano, quindi esiste un solo modo per orientare il risultato aziendale: gestirli con attenzione e in modo consapevole. La Teoria dei Vincoli semplifica la gestione dei sistemi complessi attraverso la ricerca e la successiva gestione di pochi punti chiave nel funzionamento dei processi (i vincoli), responsabili delle prestazioni dell’intero sistema. Ogni business può essere descritto in termini di sistema costituito da una sequenza di processi interdipendenti finalizzati alla trasformazione di opportune risorse (input) in un prodotto/servizio vendibile (output). Assimilando le prestazioni di tale sistema alla forza di una catena, si intuisce che il modo più efficace per ottenere miglioramenti nelle prestazioni prevede i passi seguenti: • Identificare l’anello più debole, in altre parole il vincolo. Ciò può non essere immediato, a causa del fatto che in molti contesti aziendali si cerca di risolvere i problemi dipendenti da una domanda di mercato che fluttua nel tempo e da variabilità nelle prestazioni delle risorse inserendo tra ogni fase del processo buffer di disaccoppiamento e protezione. Tali buffer di work in process nascondono i problemi, mascherano le interdipendenze e rendono più difficile l’identificazione del vincolo reale del sistema. • Non cercare di sottoporre il sistema a un carico troppo elevato. Se tale carico è superiore a quello sopportabile dall’anello più debole della catena, la catena si romperà. • Concentrare gli sforzi di miglioramento sull’anello più debole. • Se gli sforzi di miglioramento hanno successo l’anello più debole migliorerà in termini di prestazioni fino al punto in cui qualche altro anello diventerà il più debole. Ogni ulteriore sforzo teso al miglioramento del primo anello comporterà un’inutile dispendio di costi e risorse. La focalizzazione del miglioramento, per garantirne l’efficacia, dovrà orientarsi sul nuovo anello debole. I principi della Teoria dei Vincoli forniscono quindi al management l’abilità di focalizzare il miglioramento delle prestazioni nei punti in cui tali miglioramenti sono più efficaci in relazione al miglioramento del sistema nel suo complesso. L’analogia della catena è di importanza cruciale per comprendere la filosofia di base sottesa alla TOC. I sistemi organizzativi infatti, così come gli anelli di una catena, sono composti da processi ed eventi interdipendenti. In aggiunta al concetto di interdipendenza, la teoria considera il fatto che i sistemi reali non sono governati da variabili deterministiche, ma le variabili associate al funzionamento di qualsiasi processo sono soggette a fluttuazioni statistiche. Fluttuazioni statistiche associate a variabili tra loro dipendenti determinano il fatto che la ricerca dell’ottimo di prestazione relativo a tutte le variabili locali non ottimizza le prestazioni globali del sistema (per esempio la saturazione di una risorsa produttiva, al fine di ridurre il costo unitario di prodotto, non comporta, se la risorsa non è un vincolo produttivo, prestazioni migliorative per il sistema nel suo complesso, ma anzi danneggia le prestazioni © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 1 Management
  • 4. globali generando eccesso di WIP, allungando il lead time e sprecando capacità utile per la soddisfazione della domanda che grava sul sistema). Se tutti i componenti di un sistema realizzano singolarmente le prestazioni massime in ottica locale, il sistema globalmente non realizzerà le sue massime prestazioni. La maggior parte dei vincoli che limitano le prestazioni dei sistemi organizzativi sono originati da politiche e meccanismi operativi sbagliati, non da vincoli fisici. Per esemplificare, molti stabilimenti produttivi hanno mediocri prestazioni in termini di evasione ordini alle date promesse. Ciò sembrerebbe imputabile a carenza di capacità produttiva per la soddisfazione della domanda, e quindi a vincoli fisici di capacità (colli di bottiglia). Le applicazioni della TOC hanno invece dimostrato in migliaia di contesti, e nei più disparati settori industriali, che il 60-70% degli stabilimenti ha capacità in esubero rispetto alla domanda che grava su di essi, ciò nonostante gli ordini non sono evasi in tempo e la produzione è costantemente in ritardo. La causa di ciò (“core problem”) spesso risiede in una erronea politica di misurazione e controllo economico che privilegia l’accorpamento (“batching”) di ordini al fine di ridurre i tempi di set up e quindi i costi unitari, o di meccanismi operativi di programmazione basati su previsioni spesso inaffidabili che determinano anticipi nel lancio in produzione nell’illusoria speranza di “avvantaggiarsi” su ciò che si presume debba essere prodotto. Effetti indesiderati indotti da tali politiche sono lead times lunghi, basse rotazioni degli stock, eccessiva presenza di codici obsoleti, basso livello di servizio, difficoltà nel controllo qualità, materiali mancanti, frustrazione nei dipendenti, diminuzione del fatturato, ecc.. Tutti gli effetti indesiderati di cui sopra impattano in modo negativo sul profitto. In generale i vincoli possono essere di tipo “fisico” (un collo di bottiglia produttivo, una domanda di mercato inferiore alla capacità produttiva, una risorsa scarsa) o “di politica” (politiche e procedure erronee). I vincoli di tipo fisico sono relativamente facili da individuare e da gestire. I vincoli di politica sono più subdoli, ma una volta individuati e gestiti rendono possibili miglioramenti più significativi e su più vasta scala nelle prestazioni del sistema. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 2 Management
  • 5. 2. Le soluzioni generali e le tecniche di base La TOC comprende tre gruppi principali di tecniche. Il primo gruppo definisce l’infrastruttura metodologica entro la quale le soluzioni e gli strumenti della teoria trovano fondamento: in particolare il ciclo di miglioramento continuo focalizzato (“five focusing steps”) e il sistema di misurazione e controllo economico finalizzato a orientare i comportamenti e le azioni (che hanno sempre natura locale) in modo da massimizzare le prestazioni del sistema nel suo complesso (“throughput accounting”). Per migliorare le prestazioni di un sistema è necessario procedere nel seguente modo: • individuare il vincolo del sistema • sfruttare il vincolo del sistema • subordinare ogni azione a quanto definito in 1 e 2 • migliorare le prestazioni del vincolo del sistema • se il vincolo è stato rimosso, tornare al punto 1. Porre attenzione a che i meccanismi operativi messi in atto nei passi 2 e 3 non diventino essi stessi un vincolo (di politica) I passi precedenti (“five focusing steps”) costituiscono l’unico modo per rendere il miglioramento delle prestazioni dell’organizzazione veloce ed efficace. Se l’obiettivo è migliorare, è condizione necessaria dotarsi di riferimenti di misurazione per quantificare i miglioramenti, e tali riferimenti devono essere utili principalmente a due cose: • essere in grado di misurare il sistema nel suo complesso, di far cioè capire in che misura le direzioni di cambiamento sono coerenti con l’obiettivo finale (che per l’azienda è il profitto nel breve, medio e lungo periodo) • costituire un riferimento costante e immediato per misurare in che modo le decisioni, a qualsiasi livello, e le azioni conseguenti, impattano sull’obiettivo finale e sono con esso coerenti Tali riferimenti di misurazione costituiscono il nucleo del “throughput accounting”. Le variabili economiche fondamentali sono: Throughput (T) E’ il tasso al quale l’organizzazione genera “unità obiettivo” (nel caso di aziende industriali soldi attraverso le vendite) Inventory (I) E’ il denaro immobilizzato nell’organizzazione, che può trasformarsi in throughput Operating Expenses (OE) E’ il denaro che l’organizzazione spende nel generare “unità obiettivo” © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 3 Management
  • 6. NET PROFIT = T – OE ROI = (T - OE)/I Per migliorare le prestazioni dell’organizzazione è evidente che si deve aumentare T, diminuire I e diminuire OE, e in tal modo si definisce la chiave che lega le decisioni locali alla prestazione dell’intero sistema. Quando si deve decidere una specifica azione, le domande da porsi sono: l’azione determinerà un aumento del throughput? Se sì, come? l’azione determinerà una riduzione dell’inventory? Se sì, come? l’azione determinerà una riduzione delle operating expenses? Se sì, come? Il secondo gruppo (“constraint management tools” o ” tecniche per gestire i vincoli”) comprende soluzioni generiche progettate per gestire vincoli interni che risiedono in ambiente produttivo, nella distribuzione o nella progettazione e vincoli esterni relativi a relazioni con i fornitori, con il mercato e con altri anelli della supply chain. Il vincolo che limita le prestazioni dell’organizzazione può risiedere in qualsiasi funzione aziendale; le soluzioni generiche di cui sopra si focalizzano sui processi gestiti da tali funzioni secondo lo schema seguente: PROCESSO TECNICHE Approvvigionamento Costruzione di un accordo win win (“Un- refusable Offer”) Acquisizione del consenso e chiusura del contratto (“TOC buy-in”) Produzione Pianificazione dei flussi sincronizzata ai vincoli (“Drum-Buffer-Rope” -DBR) Controllo e protezione dinamica dei flussi (“Buffer Management”) Analisi delle tipologie di routing finalizzata alla sincronizzazione (“V-A-T Analysis”) Logistica distributiva Tecnica “pull” per la catena distributiva (“Replenishment”) Progettazione e Ingegnerizzazione Pianificazione dei progetti in contesti “single project” e “multi project” (“Critical Chain Single Project e Multi Project”) Controllo e protezione dei progetti in tempi, costi e specifiche (“Buffer Management”) Marketing Costruzione di un’offerta win win al mercato (“Un-refusable Offer”) Vendite Acquisizione di un ordine o chiusura di un contratto (“TOC buy-in”) © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 4 Management
  • 7. Il terzo gruppo è costituito da un set di strumenti di problem solving (noti come “thinking process tools” ) che opportunamente combinati permettono di individuare le soluzioni più efficaci per l’organizzazione basate sull’individuazione del problema centrale (“core problem”) che limita le prestazioni, sull’individuazione della soluzione al problema centrale e sulla rigorosa pianificazione dei passi per l’implementazione della soluzione. Tutti gli strumenti servono a rappresentare graficamente le connessioni logiche esistenti tra eventi interdipendenti nei contesti organizzativi e sono basati sull’applicazione rigorosa delle categorie logiche di causalità (se..allora..) e di necessità (affinché sia…si deve…) In altre parole gli strumenti di cui sopra permettono di gestire le tre macrofasi del miglioramento secondo lo schema seguente: MACROFASE STRUMENTI DEL “THINKING PROCESS” /CATEGORIA LOGICA SOTTOSTANTE Cosa cambiare (individuazione del “core Albero della realtà corrente (Current Reality problem”) Tree-CRT) / causalità Nuvola di descrizione del conflitto (Generic Cloud-GC) / necessità In cosa cambiare (individuazione della direzione Nuvola di risoluzione del conflitto (Evaporating di cambiamento o soluzione) Cloud-EC) / necessità Albero della realtà futura (Future reality Tree- FRT) / causalità Risoluzione degli effetti indesiderati indotti (Negative Branch Reservation-NBR) / causalità Come implementare il cambiamento Albero dei prerequisiti (PreRequisite Tree- PRT) / necessità Albero di transizione (Transition Tree-TrT) / causalità Pur essendo possibile (e a volte molto efficace) impiegare in modo flessibile gli strumenti del thinking process isolatamente, in dipendenza della situazione contingente e del particolare problema analizzato, un’applicazione rigorosa del ciclo di miglioramento prevede il loro utilizzo in sequenza secondo quanto descritto in seguito. Poiché alla base della TOC c’è la convinzione che la gestione efficace delle organizzazioni non può prescindere dalla visione totale e non parziale dei problemi e delle soluzioni, il primo passo è finalizzato all’individuazione della causa comune responsabile degli effetti indesiderati osservati nel sistema. Tale causa comune costituisce la radice dell’albero della realtà corrente (CRT), e la costruzione di tale albero permette di legare la causa comune, attraverso connessioni logiche, agli effetti indesiderati, che ne sono le foglie e rappresentano una visione solo parziale del problema. Il problema centrale (causa comune) spesso esiste perché alla base di esso c’è la ricerca di un compromesso tra prerequisiti a condizioni necessarie per il perseguimento di un obiettivo, e tali prerequisiti sono in conflitto tra loro. La nuvola di descrizione del conflitto (GC) evidenzia quanto sopra esplicitando graficamente le connessioni tra obiettivi, condizioni necessarie e prerequisiti (figura 1). © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 5 Management
  • 8. c ondiz ioni prere quis it i ne c e s s a rie obie t t iv o c he può B D e s s e re ra ggiunt o s e s ono v e re s ia B c he C A c onf lit t o C D' Figura 1 Quando prerequisiti a condizioni necessarie sono in contraddizione tra loro, il problema è mal posto, cioè esistono, nella descrizione della catena di condizioni necessarie, delle assunzioni implicite che devono per forza essere non vere. Una volta che tali assunzioni sono individuate, è possibile intraprendere azioni risolutive che eliminano l’assunzione implicita e di conseguenza il conflitto. L’azione risolutiva deve attaccare l’assunzione erronea “rompendo” una delle catene di condizioni necessarie in conflitto tra loro. In tal modo il conflitto “evapora” e il problema è risolto. Ciò è rappresentato graficamente attraverso la nuvola di risoluzione del conflitto (EC). L’azione risolutiva che rende il conflitto non più valido dovrebbe eliminare il “core problem”, o causa comune. Prima però di implementare l’azione risolutiva, è necessario verificare l’impatto di questa sulla situazione attuale descritta dal CRT. Inserendo l’azione risolutiva nell’albero di connessioni logiche, si verifica se e come scompaiono gli effetti indesiderati, e se le connessioni logiche portano a effetti desiderati. Tale albero, modificato dall’inserimento dell’azione risolutiva, rappresenta la realtà futura (FRT). Spesso le azioni risolutive inducono nel sistema effetti indesiderati indotti, la cui rappresentazione in termini di connessioni logiche è evidente in alcuni rami del FRT. Tali rami sono rappresentati da parti di alberi logici (NBR). La focalizzazione sui rami NBR permette di inserire ulteriori azioni risolutive nella concatenazione logica rappresentata dal FRT, “pulendo” così la soluzione. Ora è il momento di progettare l’implementazione, esplicitando gli ostacoli che si frappongono tra la situazione attuale e l’implementazione delle azioni risolutive. Ordinando cronologicamente gli ostacoli da superare, si ottengono tutti gli obiettivi intermedi che è necessario raggiungere per poter implementare le azioni risolutive. Ciò è graficamente descritto dall’albero dei prerequisiti (PRT). © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 6 Management
  • 9. Il superamento di un ostacolo, infatti, pone il sistema in una nuova situazione, più vicina all’obiettivo finale (l’implementazione dell’azione risolutiva), e ciò costituisce il passaggio per un obiettivo intermedio. Individuando le azioni necessarie alla rimozione degli ostacoli, e costruendo l’albero di connessioni logiche che lega dette azioni agli obiettivi intermedi, si ottiene l’ albero di transizione (TrT), che rappresenta nei dettagli il piano di implementazione della soluzione. La figura 2 presenta in modo schematico il processo descritto sopra. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 7 Management
  • 10. UDE UDE 1.Current Reality Tree: Il conflitto principale è responsabile di tutti gli effetti UDE UDE indesiderati (UDEs)? UDE UDE 2.Generic Cloud: Qual è il conflitto principale UDE responsabile di tutti gli effetti 3.Evaporating Cloud: indesiderati (UDEs)? Quali assuzioni implicite si devono mettere in discussione? Conflitto Principale Conflitto Obiettivo Principale Obiettivo Assunzioni/ Obiettivo Azioni risolutive Obiettivo DE 4.Future Reality Tree: DE Riuscirà l’azione risolutiva a conseguire solo effetti desiderati (DEs) senza creare nuovi effetti DE indesiderati (UDEs)? 5.Prerequisite Tree: Che cosa ostacola la Az. risol. realizzazione dell’azione risolutiva? DE I .O Azione Azione Azione risol. Az. del risolutore risolutiva risolutiva Ost. Ost. Ost. Azione del Azione DE I.O I.O I.O risolutore risolutiva Ost. Ost. I.O 6.Transition Tree: Quali meccanismi deve mettere Ost. in atto il risolutore per “attaccare” I.O I.O I.O effettivamente l’azione risolutiva? I.O Fonte Avraham Goldratt Institute Figura 2 Azione del I.O risolutore (che affronta l’ostacolo) © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 8 Management Azione del Fonte Avraham Goldratt Institute I.O I.O risolutore obst (che affronta Figura 2 l’ostacolo)
  • 11. Le soluzioni generiche appartenenti al secondo gruppo derivano da una rigorosa applicazione degli strumenti del terzo gruppo impiegati seguendo la sequenza metodologica dei 5 passi di miglioramento focalizzato (“five focusing steps). Con tali strumenti è possibile individuare soluzioni a problemi specifici in realtà differenziate, con la possibilità di impiegare le soluzioni generiche appartenenti al secondo gruppo, la cui efficacia è comprovata da migliaia di implementazioni in tutto il mondo. 3. Cenni alle soluzioni generiche “Drum Buffer Rope” e “Critical Chain” Per esemplificare si dà ora cenno alla prima soluzione generale della TOC nata nella prima metà degli anni 80: la tecnica “Drum-Buffer-Rope (DBR). I principi ispiratori sono i seguenti: 1 non si devono bilanciare le capacità, ma bilanciare i flussi 2 il livello di utilizzo di una risorsa che non costituisce vincolo è determinato da un’altra risorsa che costituisce vincolo 3 utilizzazione e attivazione di una risorsa non sono lo stesso concetto (le risorse attivate non necessariamente sono “utilizzate”, se l’attivazione non aumenta il throughput) 4 un’ora persa in un collo di bottiglia è un’ora persa dall’intero sistema 5 un’ora risparmiata in una risorsa non vincolante non serve a nulla 6 i colli di bottiglia regolano sia il throughput che l’inventory 7 i lotti di trasferimento non devono necessariamente uguagliare i lotti di produzione 8 I lotti di produzione non dovrebbero essere fissi 9 le priorità possono essere definite solo attraverso l’esame dei vincoli del sistema In coerenza con tali principi si definiscono dei buffer a monte dei colli di bottiglia in modo da garantire per essi un’alimentazione continua. Altri buffer vengono disposti in punti strategici della fabbrica per garantire che il tempo lavorato dai colli di bottiglia non venga sprecato (ad esempio per mancanza di componenti in punti di assemblaggio in cui devono convergere lavorazioni effettuate dai colli di bottiglia). Il tasso di ripristino del buffer (drum) è determinato dalla capacità di processare materiale del collo di bottiglia, e l’alimentazione del sistema produttivo deve essere legata (rope) al consumo di materiale del buffer immettendo nel sistema con tecnica pull solo le materie prime necessarie a mantenere il livello desiderato del buffer stesso. Il dimensionamento del buffer deve tenere conto del livello di affidabilità della catena produttiva a monte del collo di bottiglia. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 9 Management
  • 12. La figura 3 presenta in modo schematico le logiche del Drum Buffer Rope. Fasi del Processo Direzione del Flusso Buffe r (Inventory) Collo di Bottiglia X D rum R ope (Schedulazione Rilascio del (Informazione) Materiale del Collo di Bottiglia) Figura 3 La soluzione generica per il project management (“Critical Chain”) applica gli stessi assunti di base, con l’obiettivo di gestire contesti in cui: • il livello di imprevedibilità è molto più alto che in ambiente produttivo (ogni progetto è unico) • le risorse principali sono costituite da persone e non da macchine, e il fattore umano determina la durata delle attività svolte • la gestione della capacità delle risorse umane è molto più difficile della gestione della capacità delle macchine La vera sfida in questo caso è relativa al come proteggere i progetti dall’altissima imprevedibilità. Così come in uno stabilimento produttivo le prestazioni del sistema dipendono dal collo di bottiglia, in un progetto le prestazioni sono definite dal cammino critico (“Critical Path”). Così come in produzione, la soluzione della TOC per il project management considera (nella definizione dei reticoli di progetto) la capacità finita delle risorse. Pertanto, la TOC introduce un’estensione necessaria al concetto di cammino critico. Il cammino critico, nelle tecniche reticolari tradizionali, è definito dalla sequenza di attività che determina la durata del progetto, ma gli algoritmi di calcolo prevedono l’adozione della logica della capacità infinita. Infatti per determinare il cammino critico si costruisce il reticolo di progetto assumendo come vincolo di dipendenza tra attività solo il legame di causalità (“path dependence”) © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 10 Management
  • 13. Esiste però un secondo tipo di dipendenza, non meno importante, che le tecniche tradizionali (PERT, CPM) non considerano, se non in seguito alla costruzione del reticolo: tale dipendenza dipende dai conflitti di assegnazione risorse (“resource dependence”). Se si considerano entrambi i tipi di dipendenza si ottiene, come sopra accennato, un’estensione del concetto di cammino critico, che nella TOC è definita catena critica (“Critical Chain”). La catena critica è costituita dalle attività in sequenza che determinano la reale durata del progetto, ed è ottenuta tenendo in conto la capacità finita delle risorse. Così come in produzione è necessario proteggere il collo di bottiglia mediante un buffer di alimentazione, nel project management occorre proteggere la durata del progetto posizionando un buffer a valle della catena critica (“project buffer”). E’ inoltre necessario proteggere la catena critica dagli eventi imprevedibili che possono accadere in attività che fanno parte di rami secondari e che in qualche punto si integrano nella catena critica: ciò si persegue attraverso l’inserimento di buffers alla fine delle attività dei rami secondari (“feeding buffers”). In figura 4 si presenta un tipico reticolo di progetto costruito secondo le logiche della catena critica. FB X FB X X FB PB FB X D a ta di comple ta me nto FB X X a ttività a sse gna te a lla risorsa x C ritical cha in Figura 4 Sia il project buffer che i feeding buffers sono quantità temporali di protezione da inserire nella schedulazione delle attività, e hanno il compito, oltre che di proteggere la durata del progetto, di evitare tre problemi connessi alla natura delle risorse coinvolte: © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 11 Management
  • 14. le risorse umane allocate su attività tendono a consumare tutto il tempo disponibile (“legge di Parkinson”) • le risorse umane iniziano le attività in ritardo, se pensano di avere esubero di tempo (“sindrome dello studente”) • le risorse umane tendono a sovrastimare le durate delle attività aggiungendovi margini di sicurezza (“safety”) che per i due problemi precedenti sono sistematicamente sprecati durante l’esecuzione. Forzando una riduzione nella stima di attività (eliminando i margini di sicurezza) e compensando tale riduzione con l’inserimento di buffers (contenenti i margini di sicurezza precedentemente eliminati) alla fine della catena di attività dipendenti, si instaurano meccanismi che orientano i comportamenti favorendo l’eliminazione dei problemi di cui sopra. Con lo spostamento dei margini di sicurezza nei buffers, inoltre, ritardi e anticipi si mediano. Al contrario, se le “safety” sono incorporate a livello di singola attività, per il primo dei problemi sopra citati, si propagano solo i ritardi. La più drammatica determinante del degrado sistematico nelle prestazioni dei progetti è la non corretta gestione dei contesti “multiproject”, quelli in cui le stesse risorse sono assegnate contemporaneamente allo sviluppo di più progetti. Il continuo spostare risorse su attività relative a differenti progetti allunga inesorabilmente le durate dei vari reticoli (“bad multitasking”) e introduce in tutti i progetti conflitti di assegnazione risorse (“resource contention”). Ancora una volta si ricorre al concetto di “drum”, sequenziando le attività della risorsa più carica e sincronizzando i vari reticoli di progetto alla schedulazione di detta risorsa. La sequenziazione dei reticoli così ottenuta (“staggering”) riduce al minimo i conflitti non solo della risorsa più carica, ma di tutte le altre risorse assegnate ai progetti. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 12 Management
  • 15. 4. Conclusioni Nata alla fine degli anni 70 come applicazione in ambito produttivo, la TOC è oggi una teoria manageriale completa a beneficio di tutti gli anelli della supply chain, la cui efficacia è comprovata da centinaia di casi di successo nel mondo nei più svariati settori industriali. Aziende quali Boeing, General Motors, Ford, Procter, Rockwell, Philips, Alcan, Xerox, Lucent, 3M, Caterpillar, Motorola e molte altre, adottano la teoria già da qualche anno. Esperti di Theory of Constraints stanno lavorando in Toyota per ridefinire le politiche produttive adattandole alle logiche del Drum Buffer Rope. La conoscenza della TOC si sta diffondendo a un tasso elevato, l’efficacia delle sue tecniche sta prepotentemente conquistando la ribalta negli ambienti industriali e accademici di tutto il mondo, e le aziende italiane non possono permettersi di ignorare questa realtà. In Italia la sua diffusione è ancora limitata, anche per la mancanza di pubblicazioni in lingua italiana. L’articolo, necessariamente sintetico, presenta la teoria completa definendo un contesto di riferimento per l’approfondimento dei singoli argomenti che dovrà per il momento essere affrontato in lingua inglese. 5. Bibliografia Cox, James F. III and Michael S. Spencer. The Constraints Management Handbook. Boca Raton, FL: St. Lucie Press/APICS Series on Constraints Management: 1998. Dettmer, William H. Goldratt ’ s Theory of Constraints: A Systems Approach to Continuos Improvement. Milwaukee, WI: ASQC Press, 1997 Goldratt, Eliyahu M.The Haystack Syndrome: Sifting Information out of the Data Ocean. Croton-on-Hudson, NY: The North River Press, 1990. Goldratt, Eliyahu M. Theory of Constraints: What is This Thing Called the Theory of Constraints and How Should It be Implemented? Croton-on-Hudson, NY: The North River Press, 1990. Goldratt, Eliyahu M. Critical Chain. Great Barrington, MA: The North River Press, 1997. Goldratt, Eliyahu M. & Jeff Cox.1992. The Goal, Second rev.ed. Croton-on-Hudson, NY: The North River Press. Goldratt, Eliyahu M. and Robert E. Fox. The Race. Croton-on-Hudson, NY: The North River Press, 1986. Noreen, Eric, Debra A. Smith, and James T. Mackey. The Theory of Constraints and its Implications for Management Accounting, edited by Clare Barth. First Edition. Great Barrington, MA: North River Press, 1995. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 13 Management
  • 16. Scheinkopf, Lisa. Thinking For Change: Putting the TOC Thinking Processes to Use. Boca Raton, FL: St. Lucie Press/APICS Series on Constraints Management, 1999. Schragenheim, Eli. 1999; Management Dilemmas: The Theory of Constraints Approach to Problem Identification and Solutions. Boca Raton, FL: St. Lucie Press APICS Series on Constraints Management, 1999. Breve profilo dell’autore Filippo Pescara, ingegnere, consulente di direzione nell’ambito di progetti di sviluppo organizzativo e di miglioramento dei processi della supply chain, si occupa da anni di Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints – TOC) applicandone le metodologie e i principi ai suoi progetti di consulenza. È membro del Constraint Management Special Interest Group dell’APICS ed è parte del network internazionale ad esso collegato. È stato formato dal dottor Eli Goldratt (ideatore della teoria) ed è stato facilitatore del sito italiano del Goldratt Satellite Program (corso erogato in diretta via satellite sui 6 continenti dal dottor Goldratt nella primavera 1999). Fa inoltre parte, in qualità di “Toc Expert” del network internazionale legato al GMG (Goldratt Marketing Group). Filippo Pescara è titolare della società di consulenza di direzione IFP Ingegneria e Management. © Filippo Pescara - IFP Ingegneria e pagina 14 Management