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PER CHI RESTA
atto unico
3^A Servizi Culturali e dello Spettacolo
Istituto Professionale
“DOMENICO MODUGNO”
di Conversano
PERSONAGGI:
MARIO
ALESSANDRO
CICCIO
FELICETTA, moglie di Mario
GRETA, figlia di Alessandro
DEBORAH, figlia di Ciccio
Buio in scena. Un rumore forte e assordante, misto tra cigolio di ingranaggi in
movimento e uno sbattere ritmato di un martello su un’incudine. Una luce spot
dall’alto illumina, in maniera circoscritta, il centro della scena. Una cassetta della
posta, colorata di rosso acceso e lucido, spicca sul nero circostante. Alla base del palo
che la sostiene, un mucchio di foglie secche.
Dal buio appare una figura maschile in tuta da metalmeccanico, completamente
bianca, sia il volto e le mani che i vestiti. Ha nelle mani un foglio bianco e mentre lo
guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro della scena.
Il rumore di fondo sfuma leggermente.
MARIO: (voce fuori campo) Felicetta mia, me ne sono andato senza
averti dato un figlio, il nostro sogno. La vita è stata dura con noi, ma
nonostante tutto il nostro amore ci ha tenuto uniti, facendoci superare ogni
ostacolo. Insieme abbiamo lottato e gioito. Ti ricordi il nostro primo
incontro? Eravamo giovani e spensierati. Quel giorno eravamo in riva al
mare e il sole tramontava. Non essere triste per me, cercami nell’arancione
e nel viola del tramonto…. i tuoi colori preferiti. Ti chiedo solo una cosa:
Va via! Via da quella città, quella città coperta dal fumo e cercami in ogni
cielo azzurro, in ogni soffio di vento, in ogni respiro che potrai prendere a
pien polmoni senza averne paura.
Con tutto il mio amore
Mario
La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo
ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto
a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso
sostituito da un rumore tipico di cantiere edile con urla di operai, misti al battere dei
martelli dei carpentieri, impastatrice di cemento che aumenta lentamente di intensità,
diventando quasi assordante.
Dal buio appare una figura maschile in abbigliamento da operaio edile, anch’essa
completamente bianca, sia il volto e le mani che i vestiti. Anche lui ha nelle mani un
foglio bianco e mentre lo guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro della
scena.
Il rumore di fondo sfuma leggermente.
ALESSANDRO (voce fuori campo): Cari amori miei,
mentre mi accingo a intraprendere questo viaggio oltre il confine della
vita, vorrei che voi sappiate che vi amo con tutto il mio essere. Anche se
le mie parole non possono più raggiungervi, che il mio amore possa
avvolgervi come un abbraccio caldo e protettivo. Natalia, mia compagna
di vita, tu sei stata la mia luce nei momenti più bui, il mio sostegno in ogni
battaglia. Ti prego di continuare a irradiare il tuo amore nel mondo, così
come hai fatto con me e con le nostre bambine. Greta, Sofia, miei angeli
terreni, voi siete la mia ragione di vita, il mio orgoglio più grande. Spero
che il ricordo dei nostri momenti felici vi guidi attraverso le difficoltà della
vita, e che il vostro amore reciproco possa essere un faro nella tempesta.
Anche se il mio corpo non sarà più con voi fisicamente, il mio spirito sarà
sempre presente a vegliare su di voi con amore eterno. Che la vita vi riservi
solo dolci sorprese e che possiate trovare conforto nel ricordo dei momenti
felici che abbiamo condiviso.
Con tutto il mio amore infinito,
Vostro Alessandro.
La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo
ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto
a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso
sostituito dai rumori caratteristici di una cava e, quindi, degli escavatori e dei martelli
pneumatici, che aumenta lentamente di intensità, diventando assordante.
Dal buio appare una figura maschile in abbigliamento da operaio di una cava,
anch’esso completamente bianco, sia il volto e le mani che i vestiti. Anche lui ha nelle
mani un foglio bianco e mentre lo guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro
della scena.
Il rumore di fondo sfuma leggermente.
CICCIO (voce fuori campo): Mia dolce moglie, ti ho amato con tutto il
mio cuore ogni giorno della mia vita, il mio amore per te non morirà mai.
Sii forte e prenditi cura di te stessa e di Deborah. Spero che tu possa
trovare la forza per affrontare le prove della vita ogni giorno con coraggio
e dignità.
Deborah, mia amata figlia, non ho avuto abbastanza tempo per vederti
crescere e diventare la meravigliosa giovane donna che so che diventerai.
Ti prego di non sentirti mai sola, perché il mio spirito sarà sempre con te,
per proteggerti e guidarti lungo il cammino della vita.
Vi lascio con il mio amore eterno. Vi amo più di qualsiasi altra cosa al
mondo.
Ciccio
La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo
ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto
a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso
sostituito dal rumore di una forte tempesta di vento.
Le foglie alla base della cassetta delle lettere vengono spazzate via.
La scena torna al buio iniziale.
Una luce molto bassa ma uniforme illumina lo sfondo come un grande schermo
lasciando intravedere figure in silhouette, quasi in processione, che entrano in scena
e, come le figure precedenti, con un foglietto in mano, si avvicinano alla buca delle
lettere, lo ripiegano e lo inseriscono uscendo dal lato opposto.
In scena si diffonde un vocio indistinto di tante parole sussurrate che si
sovrappongono. Dopo un po’il vocio sfuma lentamente.
Silenzio.
Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, la sinistra del proscenio.
Appare una sedia. Vi è seduta una donna.
FELICETTA: Nella tessitura dei giorni, io sono Felicetta, la compagna
di un uomo che ha danzato con le fiamme e con il silenzio. Mario, il mio
amato Mario, un uomo di acciaio e di poesia, che ha solcato gli spazi tra
l'incudine e il martello, tra il luccichio della polvere e l'ombra della
malattia.
Quella fabbrica, con il suo rombo costante, era il palcoscenico dove si è
consumata la nostra vita. Mario, giovane e ardente, ha iniziato a lavorare
in quel posto a diciotto anni, seguendo le orme del padre. "Respiravo
merda," diceva, e io, nel profondo del mio cuore, odiavo quella fabbrica
con tutta me stessa. Perché ci ha portato via la nostra vita, ci ha strappato
la felicità.
Nel 2008, un carcinoma alla lingua ha rubato la voce di Mario. Lui, che
era stato un campione di karate, un uomo di forza e di coraggio, si è trovato
prigioniero in un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi. Eppure,
nonostante tutto, ha continuato a lottare, a sorridere, a sperare.
Io sono diventata la sua voce, il suo anello di congiunzione con il mondo
esterno. Ho parlato per lui, ho gridato la sua verità, ho pianto le sue
lacrime. Siamo stati una squadra, io e lui, uniti da un amore che ha sfidato
il tempo e le avversità.
Ogni giorno, ho visto Mario affrontare la sua battaglia con dignità e con
coraggio. Ogni giorno, ho visto la sua forza e la sua debolezza, la sua
rabbia e la sua speranza. E io, nel profondo del mio cuore, ho continuato
a chiedermi: “chi ci ridarà la nostra vita rubata, chi ci restituirà la nostra
felicità perduta?”
Oggi, Mario se n'è andato, lasciandomi sola con i miei ricordi e i miei
rimpianti. Ma la sua voce, la sua forza, il suo amore, continueranno a
vivere in me, a guidarmi lungo il cammino della vita.
Sono Felicetta, la compagna di un uomo che ha danzato con le fiamme e
con il silenzio, e la sua storia resterà incisa nel mio cuore per sempre.
La luce spot si spegne. In scena torna il buio
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Appare una sedia. Vi è seduta una ragazza.
GRETA: Papà... papà è sempre stato il nostro eroe.
Ricordo quella sera come se fosse ieri, quando l'ho visto per l'ultima volta.
Mi ha baciato velocemente, con il solito sorriso stanco sul viso. “La
prossima settimana sarò in ferie”, mi ha detto. Avrei voluto trascorrere
quei giorni insieme a lui, giocare, ridere, come facevamo sempre. Mai
avrei immaginato che, quello, sarebbe stato l’ultimo saluto, il suo ultimo
sorriso.
Quando il telefono ha squillato e la voce dall'altro capo ha detto che papà
aveva avuto un incidente, il mondo ha smesso di girare. È stato come se
tutto si fosse fermato, come se avessi perso il suolo sotto i piedi. Ho sentito
un nodo alla gola, le lacrime che bruciavano dietro gli occhi. “No, non può
essere vero”, mi sono ripetuta, come per convincermi che quello che stava
accadendo fosse solo un brutto sogno.
Ma non era un sogno. Era la realtà più crudele che potessi immaginare.
Mio padre, il mio eroe, stava lottando per la vita, e non c'era niente che
potessi fare per aiutarlo. Ho chiamato mio nonno, mio zio, ho cercato
disperatamente qualcuno che potesse darmi una spiegazione, una
speranza. Ma tutto ciò che ho ricevuto erano solo parole vuote, promesse
infrante.
Le giornate sono diventate un'agonia senza fine. Ho pregato ogni dio che
conoscevo, ho implorato che mio padre tornasse a casa sano e salvo. Ma
le notizie che arrivavano dall'ospedale erano sempre più oscure, sempre
più terribili. Ho sentito il peso del dolore stringermi il cuore, la paura che
mi avvolgeva come un mantello oscuro.
E poi quel giorno, quel maledetto giorno in cui siamo corsi in ospedale,
con la speranza che mio padre ce l'avesse fatta. Ma, quando sono entrata
nella sua stanza, ho capito che era finita. L'ho guardato, così fragile, così
inerme, e ho visto nei suoi occhi il riflesso della mia stessa disperazione.
Gli ho preso la mano, ho cercato di dirgli che tutto sarebbe andato bene,
che avremmo superato tutto insieme. Ma era troppo tardi. Papà se n'era
andato, lasciandoci soli, con il peso di una perdita che nessuno potrà mai
colmare.
E ora, mentre pronuncio queste parole, sento ancora il dolore bruciare
dentro di me e la mancanza di mio padre che mi attanaglia ogni giorno.
Ma so che devo andare avanti, per lui, per noi. E anche se il mondo intero
sembra averci voltato le spalle, io continuerò a ricordare papà come il mio
eroe, l'uomo che ha dato tutto per noi, fino all'ultimo respiro.
La luce spot si spegne. In scena torna il buio
Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, il centro del proscenio.
Appare una sedia. Vi è seduta una ragazza.
DEBORAH: Mi chiamo Deborah e sono qui davanti a voi per raccontarvi
la storia di mio padre, Ciro Moccia. Perché mio padre non è soltanto un
nome sulla cronaca dei giornali, un numero di una statistica di incidenti
sul lavoro, non è solo un altro fra i tanti, ma è mio padre, un uomo con
sogni, speranze e desideri. Lui da giovane voleva fare il calciatore, ma era
nato nel quartiere “Paolo VI” e se nasci lì non hai tempo di sognare, devi
lavorare per mantenerti e mantenere la tua famiglia. Così ha cominciato a
lavorare da piccolino nell’officina meccanica di Peppe, un amico di suo
padre, ed ha sempre lavorato fino ad arrivare all’ILVA, dove è diventato
manutentore meccanico, un posto di prestigio che lo rendeva orgoglioso.
Il suo capo cantiere diceva che era un lavoratore modello, sempre
disponibile. Era l’operaio, l’uomo che ha dato tutto per fabbrica, anche la
vita.
Quando sei morto, hai fatto un volo papà, sei precipitato da una
passerella…e io mi ricordo quand’ero bambina e mi facevi volare in alto,
mi sentivo leggera, libera e al sicuro fra le tue mani forti e protettive.
Mi chiedo chi sarà adesso il mio punto di riferimento, chi mi solleverà in
aria quando mi sentirò giù, chi mi farà sorridere nei momenti di tristezza.
Non voglio che la tua storia venga dimenticata, che il tuo sacrificio sia
vano. Nei nostri cuori il tuo nome rimarrà vivo e la tua voce, la voce di
milioni di lavoratori che hanno dato la vita per il lavoro, continuerà a
parlare attraverso di me.
La luce spot si spegne. In scena torna il buio.
DEBORAH: te lo prometto papà.
FELICETTA: te lo prometto Mario.
GRETA: te lo prometto papà.
Silenzio.
Nuovo rumore di una forte tempesta di vento.
Silenzio.
Riprendono, in contemporanea, i rumori assordanti di cigolio di ingranaggi in
movimento e uno sbattere ritmato di un martello su un’incudine, di cantiere edile con
urla di operai, misti al battere dei martelli dei carpentieri, impastatrice di cemento,
gru in movimento, di una cava e, quindi, degli escavatori e dei martelli pneumatici.

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  • 1. PER CHI RESTA atto unico 3^A Servizi Culturali e dello Spettacolo Istituto Professionale “DOMENICO MODUGNO” di Conversano
  • 2. PERSONAGGI: MARIO ALESSANDRO CICCIO FELICETTA, moglie di Mario GRETA, figlia di Alessandro DEBORAH, figlia di Ciccio
  • 3. Buio in scena. Un rumore forte e assordante, misto tra cigolio di ingranaggi in movimento e uno sbattere ritmato di un martello su un’incudine. Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, il centro della scena. Una cassetta della posta, colorata di rosso acceso e lucido, spicca sul nero circostante. Alla base del palo che la sostiene, un mucchio di foglie secche. Dal buio appare una figura maschile in tuta da metalmeccanico, completamente bianca, sia il volto e le mani che i vestiti. Ha nelle mani un foglio bianco e mentre lo guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro della scena. Il rumore di fondo sfuma leggermente. MARIO: (voce fuori campo) Felicetta mia, me ne sono andato senza averti dato un figlio, il nostro sogno. La vita è stata dura con noi, ma nonostante tutto il nostro amore ci ha tenuto uniti, facendoci superare ogni ostacolo. Insieme abbiamo lottato e gioito. Ti ricordi il nostro primo incontro? Eravamo giovani e spensierati. Quel giorno eravamo in riva al mare e il sole tramontava. Non essere triste per me, cercami nell’arancione e nel viola del tramonto…. i tuoi colori preferiti. Ti chiedo solo una cosa: Va via! Via da quella città, quella città coperta dal fumo e cercami in ogni cielo azzurro, in ogni soffio di vento, in ogni respiro che potrai prendere a pien polmoni senza averne paura. Con tutto il mio amore Mario La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso sostituito da un rumore tipico di cantiere edile con urla di operai, misti al battere dei martelli dei carpentieri, impastatrice di cemento che aumenta lentamente di intensità, diventando quasi assordante. Dal buio appare una figura maschile in abbigliamento da operaio edile, anch’essa completamente bianca, sia il volto e le mani che i vestiti. Anche lui ha nelle mani un foglio bianco e mentre lo guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro della scena. Il rumore di fondo sfuma leggermente.
  • 4. ALESSANDRO (voce fuori campo): Cari amori miei, mentre mi accingo a intraprendere questo viaggio oltre il confine della vita, vorrei che voi sappiate che vi amo con tutto il mio essere. Anche se le mie parole non possono più raggiungervi, che il mio amore possa avvolgervi come un abbraccio caldo e protettivo. Natalia, mia compagna di vita, tu sei stata la mia luce nei momenti più bui, il mio sostegno in ogni battaglia. Ti prego di continuare a irradiare il tuo amore nel mondo, così come hai fatto con me e con le nostre bambine. Greta, Sofia, miei angeli terreni, voi siete la mia ragione di vita, il mio orgoglio più grande. Spero che il ricordo dei nostri momenti felici vi guidi attraverso le difficoltà della vita, e che il vostro amore reciproco possa essere un faro nella tempesta. Anche se il mio corpo non sarà più con voi fisicamente, il mio spirito sarà sempre presente a vegliare su di voi con amore eterno. Che la vita vi riservi solo dolci sorprese e che possiate trovare conforto nel ricordo dei momenti felici che abbiamo condiviso. Con tutto il mio amore infinito, Vostro Alessandro. La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso sostituito dai rumori caratteristici di una cava e, quindi, degli escavatori e dei martelli pneumatici, che aumenta lentamente di intensità, diventando assordante. Dal buio appare una figura maschile in abbigliamento da operaio di una cava, anch’esso completamente bianco, sia il volto e le mani che i vestiti. Anche lui ha nelle mani un foglio bianco e mentre lo guarda nell’atto di leggerlo, avanza verso il centro della scena. Il rumore di fondo sfuma leggermente. CICCIO (voce fuori campo): Mia dolce moglie, ti ho amato con tutto il mio cuore ogni giorno della mia vita, il mio amore per te non morirà mai. Sii forte e prenditi cura di te stessa e di Deborah. Spero che tu possa trovare la forza per affrontare le prove della vita ogni giorno con coraggio e dignità. Deborah, mia amata figlia, non ho avuto abbastanza tempo per vederti crescere e diventare la meravigliosa giovane donna che so che diventerai.
  • 5. Ti prego di non sentirti mai sola, perché il mio spirito sarà sempre con te, per proteggerti e guidarti lungo il cammino della vita. Vi lascio con il mio amore eterno. Vi amo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ciccio La figura piega in due il foglio e lo imbuca nella cassetta rossa. Il rumore di fondo ridiventa assordante come l’inizio e la figura si dirige verso il lato della scena opposto a quello da dove era entrato. Il rumore di fondo sfuma lentamente verso il basso sostituito dal rumore di una forte tempesta di vento. Le foglie alla base della cassetta delle lettere vengono spazzate via. La scena torna al buio iniziale. Una luce molto bassa ma uniforme illumina lo sfondo come un grande schermo lasciando intravedere figure in silhouette, quasi in processione, che entrano in scena e, come le figure precedenti, con un foglietto in mano, si avvicinano alla buca delle lettere, lo ripiegano e lo inseriscono uscendo dal lato opposto. In scena si diffonde un vocio indistinto di tante parole sussurrate che si sovrappongono. Dopo un po’il vocio sfuma lentamente. Silenzio. Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, la sinistra del proscenio. Appare una sedia. Vi è seduta una donna. FELICETTA: Nella tessitura dei giorni, io sono Felicetta, la compagna di un uomo che ha danzato con le fiamme e con il silenzio. Mario, il mio amato Mario, un uomo di acciaio e di poesia, che ha solcato gli spazi tra l'incudine e il martello, tra il luccichio della polvere e l'ombra della malattia. Quella fabbrica, con il suo rombo costante, era il palcoscenico dove si è consumata la nostra vita. Mario, giovane e ardente, ha iniziato a lavorare in quel posto a diciotto anni, seguendo le orme del padre. "Respiravo merda," diceva, e io, nel profondo del mio cuore, odiavo quella fabbrica con tutta me stessa. Perché ci ha portato via la nostra vita, ci ha strappato la felicità.
  • 6. Nel 2008, un carcinoma alla lingua ha rubato la voce di Mario. Lui, che era stato un campione di karate, un uomo di forza e di coraggio, si è trovato prigioniero in un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi. Eppure, nonostante tutto, ha continuato a lottare, a sorridere, a sperare. Io sono diventata la sua voce, il suo anello di congiunzione con il mondo esterno. Ho parlato per lui, ho gridato la sua verità, ho pianto le sue lacrime. Siamo stati una squadra, io e lui, uniti da un amore che ha sfidato il tempo e le avversità. Ogni giorno, ho visto Mario affrontare la sua battaglia con dignità e con coraggio. Ogni giorno, ho visto la sua forza e la sua debolezza, la sua rabbia e la sua speranza. E io, nel profondo del mio cuore, ho continuato a chiedermi: “chi ci ridarà la nostra vita rubata, chi ci restituirà la nostra felicità perduta?” Oggi, Mario se n'è andato, lasciandomi sola con i miei ricordi e i miei rimpianti. Ma la sua voce, la sua forza, il suo amore, continueranno a vivere in me, a guidarmi lungo il cammino della vita. Sono Felicetta, la compagna di un uomo che ha danzato con le fiamme e con il silenzio, e la sua storia resterà incisa nel mio cuore per sempre. La luce spot si spegne. In scena torna il buio Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, la destra del proscenio. Appare una sedia. Vi è seduta una ragazza. GRETA: Papà... papà è sempre stato il nostro eroe. Ricordo quella sera come se fosse ieri, quando l'ho visto per l'ultima volta. Mi ha baciato velocemente, con il solito sorriso stanco sul viso. “La prossima settimana sarò in ferie”, mi ha detto. Avrei voluto trascorrere quei giorni insieme a lui, giocare, ridere, come facevamo sempre. Mai avrei immaginato che, quello, sarebbe stato l’ultimo saluto, il suo ultimo sorriso. Quando il telefono ha squillato e la voce dall'altro capo ha detto che papà aveva avuto un incidente, il mondo ha smesso di girare. È stato come se tutto si fosse fermato, come se avessi perso il suolo sotto i piedi. Ho sentito
  • 7. un nodo alla gola, le lacrime che bruciavano dietro gli occhi. “No, non può essere vero”, mi sono ripetuta, come per convincermi che quello che stava accadendo fosse solo un brutto sogno. Ma non era un sogno. Era la realtà più crudele che potessi immaginare. Mio padre, il mio eroe, stava lottando per la vita, e non c'era niente che potessi fare per aiutarlo. Ho chiamato mio nonno, mio zio, ho cercato disperatamente qualcuno che potesse darmi una spiegazione, una speranza. Ma tutto ciò che ho ricevuto erano solo parole vuote, promesse infrante. Le giornate sono diventate un'agonia senza fine. Ho pregato ogni dio che conoscevo, ho implorato che mio padre tornasse a casa sano e salvo. Ma le notizie che arrivavano dall'ospedale erano sempre più oscure, sempre più terribili. Ho sentito il peso del dolore stringermi il cuore, la paura che mi avvolgeva come un mantello oscuro. E poi quel giorno, quel maledetto giorno in cui siamo corsi in ospedale, con la speranza che mio padre ce l'avesse fatta. Ma, quando sono entrata nella sua stanza, ho capito che era finita. L'ho guardato, così fragile, così inerme, e ho visto nei suoi occhi il riflesso della mia stessa disperazione. Gli ho preso la mano, ho cercato di dirgli che tutto sarebbe andato bene, che avremmo superato tutto insieme. Ma era troppo tardi. Papà se n'era andato, lasciandoci soli, con il peso di una perdita che nessuno potrà mai colmare. E ora, mentre pronuncio queste parole, sento ancora il dolore bruciare dentro di me e la mancanza di mio padre che mi attanaglia ogni giorno. Ma so che devo andare avanti, per lui, per noi. E anche se il mondo intero sembra averci voltato le spalle, io continuerò a ricordare papà come il mio eroe, l'uomo che ha dato tutto per noi, fino all'ultimo respiro. La luce spot si spegne. In scena torna il buio Una luce spot dall’alto illumina, in maniera circoscritta, il centro del proscenio. Appare una sedia. Vi è seduta una ragazza. DEBORAH: Mi chiamo Deborah e sono qui davanti a voi per raccontarvi la storia di mio padre, Ciro Moccia. Perché mio padre non è soltanto un nome sulla cronaca dei giornali, un numero di una statistica di incidenti sul lavoro, non è solo un altro fra i tanti, ma è mio padre, un uomo con
  • 8. sogni, speranze e desideri. Lui da giovane voleva fare il calciatore, ma era nato nel quartiere “Paolo VI” e se nasci lì non hai tempo di sognare, devi lavorare per mantenerti e mantenere la tua famiglia. Così ha cominciato a lavorare da piccolino nell’officina meccanica di Peppe, un amico di suo padre, ed ha sempre lavorato fino ad arrivare all’ILVA, dove è diventato manutentore meccanico, un posto di prestigio che lo rendeva orgoglioso. Il suo capo cantiere diceva che era un lavoratore modello, sempre disponibile. Era l’operaio, l’uomo che ha dato tutto per fabbrica, anche la vita. Quando sei morto, hai fatto un volo papà, sei precipitato da una passerella…e io mi ricordo quand’ero bambina e mi facevi volare in alto, mi sentivo leggera, libera e al sicuro fra le tue mani forti e protettive. Mi chiedo chi sarà adesso il mio punto di riferimento, chi mi solleverà in aria quando mi sentirò giù, chi mi farà sorridere nei momenti di tristezza. Non voglio che la tua storia venga dimenticata, che il tuo sacrificio sia vano. Nei nostri cuori il tuo nome rimarrà vivo e la tua voce, la voce di milioni di lavoratori che hanno dato la vita per il lavoro, continuerà a parlare attraverso di me. La luce spot si spegne. In scena torna il buio. DEBORAH: te lo prometto papà. FELICETTA: te lo prometto Mario. GRETA: te lo prometto papà. Silenzio. Nuovo rumore di una forte tempesta di vento. Silenzio. Riprendono, in contemporanea, i rumori assordanti di cigolio di ingranaggi in movimento e uno sbattere ritmato di un martello su un’incudine, di cantiere edile con urla di operai, misti al battere dei martelli dei carpentieri, impastatrice di cemento, gru in movimento, di una cava e, quindi, degli escavatori e dei martelli pneumatici.