Sceneggiatura in concorso nell'ambito del progetto:
"Dal palcoscenico alla realtà: @ scuola di prevenzione", ed. 2023/24, promosso da Inail Puglia e Regione Puglia
La seconda guerra mondiale per licei e scuole medie
14 Galileo Galilei Bitonto - Rosso latte.pdf
1. ROSSO LATTE
DI ACQUAFREDDA LETIZIA, ALLEGRETTI FLAVIO E BOUZAGHBA AMIR
SCENA 1- Rosso diffuso
SIGNOR L: leggendo un giornale Nessuno mi domandò nulla, non piovve alcun
cono di luce sulla mia testa, e sapete perché?
Nessuno era lì ad accusarmi, non vi erano testimoni. Forse qualcuno avrebbe puntato
il dito contro il mio nome. Ah no, l’hanno perso in fabbrica, lavorando per me. Forse
qualcuno avrebbe alzato la voce, entrando in aula e strillando a più non posso che con
tono canzonatorio e voce più acuta la responsabilità è tua e devi pagare! Ride di
gusto
Peccato che nessuno può sentire gli ululati di quei cani da lavoro, sono sotto terra,
forse sigillati dentro un loculo. E non ci penso neanche al loro nome durante una
messa, non mi presenterò di certo a nessun funerale: la luce di quei lumini mi punge
il naso, i loro occhi sui manifesti e sulle preci mi turbano… che avete da guardare?
Perché le fiaccole dei loro cortei sono rivolte verso il mio viso?! respiro pesante,
affanno
TRACCIA 1- NOTIZIARIO (notizie di morti sul lavoro, in un primo momento
si riescono a distinguere, poi si accavallano fino a creare un mormorio pesante.
Frase finale: “È l’ennesima morte bianca”)
Bianca… bianca! Ma certo, è incolore la morte, invisibile il colpevole. Cosa posso
aver fatto io? Sarà anche rosso il loro sangue, ma quella morte non ha pigmento.
Inattaccabile, non ho da difendere capi d’accusa io. E quando mi chiederanno di
mostrare i palmi, di alzare le mani in alto… se le guarda, sono sporche di rosso
io non avrò nulla da temere…
prende un fazzoletto di stoffa dal taschino della giacca e si pulisce le mani
In coro mi ripetete, anime misere, che il mio nome gronda di sangue, che la colpa è
mia…
mostra i palmi, ora puliti
ma signori, io le mani ce le ho pulite.
SCENA 2- Piazzato bianco
2. Entra in scena Tarak correndo
Tarak: affannato Oddio, che corsa che ho fatto. Ma cosa vorranno questi da me. Di
sabato. A quest’ora poi. Ma roba da matti. E sta anche piovendo.
Si accorge di L
Buongiorno! Mi scusi non l’avevo proprio vista. Ma non sa che giornata ho avuto
oggi. Ed è appena iniziata. Anche lei è stato convocato qui?
Signor L: No, io passavo di qui e ho pensato di fermarmi un po’.
Tarak: Ma ha fatto benissimo, non sa quanto sta piovendo fuori. Ma non pioveva
così tanto da anni. Non pioveva così tanto da… da quel giorno…
Signor L: che giorno?
Tarak: Dal giorno… si riprende Dal giorno in cui sono nato. Perché sa, io sono nato
ad Agosto, ma il giorno in cui sono nato c’è stato un acquazzone di quelli mai visti.
Pensi che mia madre stava per partorirmi sull’arca di Noè.
Signor L: Ah sì? Ne sei sicuro?
Tarak: Beh, in realtà c’è stato un altro giorno in cui ha piovuto così tanto…
C’è una ciotola di pittura rossa sul palco, il signor L si avvicina e si sporca le mani
mentre Tarak prova a spiegare
SCENA 3- Diffuso rosso
TRACCIA 2- Solitude
https://youtu.be/T-BF9HIKNXg?si=Yd2DOP0UJOVUVcfm
Il signor L si avvicina a Tarak e lo sbatte a terra, Tarak cerca di combatterlo ma ad
un certo punto perde le forze. I vestiti bianchi di Tarak ora sono sporchi di rosso.
Tarak si rialza e si mette al centro del palco
Tarak: Accarezzai mia madre prima di andare. Ho preso il mare in cerca di fortuna.
Portai con me una maglietta, un paio di pantaloni e il mio sogno di diventare un
grande medico. I miei occhi hanno visto tanto di quel dolore che avrei voluto tornare
lì, dove ho lasciato le mie radici, e curare gratuitamente chi ne aveva bisogno. Mi
sarebbe bastato. Arrivato in Italia capii da solo che dovevo accantonare il mio sogno
per trovare un lavoro stabile. Mi avrebbe permesso di mettere da parte qualche soldo
per andare a trovare la mia famiglia. Andai girando lo stivale facendo ogni tipo di
lavoro: raccoglievo pomodori, facevo le consegne per una macelleria e per un po’
feci il guardiano in un frantoio. Allora lavoravo a Genova e un mio amico mi disse
che sarebbe andato a lavorare in un cantiere a Firenze. La paga era decente e allora
mi convinsi ad andare con lui. La sera prima di partire vidi in televisione la notizia di
3. un ragazzo travolto da 14 quintali di mangime. Pochi giorni prima un uomo era stato
colpito da una lastra di cemento in un cantiere del bergamasco. Perde la vita chi
lavora da un anno e chi lavora da vent'anni, al Nord, al centro, al sud, in fabbrica, in
cantiere, nei campi, sui camion. A me non sarebbe successo. Non succede mai.
Pioveva, ma faceva caldo.
Arrivato in cantiere chiesi come funzionava per il contratto, la paga e i dispositivi di
sicurezza. Mi dissero che è preferibile avere le scarpe antinfortunistiche e per il
contratto “poi si pensa”. Più tardi uno dei 20 operai mi si avvicinò e mi salutò in
arabo. Mi spuntò un piccolo sorriso sul volto. Lui lavorava con il capocantiere da
molti anni e mi spiegò come funzionava. Per farsi assumere regolarmente nei cantieri
bisogna morire. Perché se un operaio in nero muore sulle impalcature, allora per
nascondere l'illecito lo si assume. Intimorito da quella pesante parola che
rimbombava nel mio petto, mi ricordai della graziosa parola che le si affianca in
questi casi: bianca. Da quel discorso che mi sembrò tanto surreale, iniziai a guardare
con sospetto l'espressione “morti bianche”, perché quel “bianco” toglie responsabilità
come fossero fatalità, ma non lo è. Non c'è fatalità, c'è colpa. C'è crimine. La salute e
la sicurezza sul lavoro vengono sempre considerate un costo, un problema, una spesa,
mai un investimento che si traduce in qualità del lavoro. Se c'è da investire, si investe
sul profitto, ma mai in prevenzione. Ecco che allora si tiene il macchinario vecchio,
anche se quello nuovo è più sicuro. Si taglia sulla formazione dei dipendenti, si
sacrifica la prevenzione in nome della velocità, che è denaro. Ne avevo avuto la
prova. Tutti quei paroloni che mi sembravano tanto lontani in tv, ora sono miei.
Pensate che a me piaccia lavorare così? Pensate che mi faccia comodo andare al
lavoro e non sapere se tornerò a casa? Ma si fa. La vita ti porta a farlo. O sopravvivi,
o muori. Camminavo su travi alte 10 metri, con addosso una maglia, un paio di jeans
e nemmeno più un sogno.
Pioveva, faceva caldo e quasi non si respirava
Dopo questo lavoro sarei tornato in Tunisia. Avrei scoperto che mia madre era morta.
Come unico erede avrei venduto la nostra casa. Con il ricavato avrei iniziato a
studiare. Forse sarei diventato un dottore. Avrei trovato un lavoro sicuro. Forse avrei
aiutato qualcuno. Forse mi sarei innamorato. Mi sarei sposato. Avrei avuto una
bambina, Faiza, come la nonna. Avrei cresciuto mia figlia, l’avrei portata al parco la
domenica, accudita di notte, vista crescere. Ma non posso. Una pioggia di tralicci e
cemento armato ha soffocato prima me e poi la mia vita. I miei sogni. Il mio futuro.
Ora ho un contratto. Solo che ho pagato con la vita qualcosa che avrei dovuto avere
senza pagare.
Intanto è entrato in scena Giulio
4. SCENA 4- Piazzato bianco
Giulio: Sei morto perché sei egoista.
Tarak: Come scusa?
Giulio: Se non fossi stato egoista, se avessi pensato agli altri, ai tuoi cari, a tua
madre, non saresti morto. Avresti semplicemente cercato un lavoro normale.
Tarak: E tu credi che io non abbia pensato a mia madre mentre accettavo quel
lavoro? È proprio per lei che l’ho fatto.
Giulio: E smettila di lamentarti. Non sei l’unico. Non lo sei e non lo sarai mai. Ogni
giorno si aggiungono nuovi nomi. E sai qual è il problema? La notorietà dopo essere
andati via. Non la notorietà in sé ma il motivo di essa. Non sei famoso per aver fatto
qualcosa. Sei famoso perché sei morto.
Tarak: Andare via…
Giulio: Andare via e forse lasciare qualcosa…
Tarak: …o qualcuno?
Giulio: Egoismo o altruismo? Un po’ entrambi. Il bene per me può essere un male
per l’altro e viceversa. Secondo te, in questi casi meglio essere egoisti o
altruisti?
Tarak: Se l’altruismo è un regalo dannoso meglio tenerlo per sé.
Giulio: E’ un’idea giusta lasciar perdere?
Tarak: Sicuramente è lecito pensarlo, ma se ogni persona che l’avesse pensato
l’avesse anche fatto non vivremmo nemmeno la metà di ciò che viviamo oggi.
Giulio: So che vivrei costantemente con il rammarico di aver fatto o no qualcosa. Ma
saranno problemi miei.
Tarak: I problemi rimangono tuoi finché non sono fotografabili da altri.
Giulio: Forse le fotografie mi serviranno.
Tarak: A volte sono l’unico metodo per vivere.
Giulio: O per farsi male…
Tarak: E se vivere male fosse l’unica soluzione per fare del bene? Si verrebbe
riconosciuti come martiri o come coglioni?
Giulio: Come martiri – coglioni! Ti sacrifichi per gli altri, ma per quale scopo?
Tarak: Per altruismo, aiutare, ma più egoisticamente per essere ricordati.
5. Giulio: E che ci si ricordi allora!
Tarak: E a che pro?
Giulio: Per l’altruismo.
Tarak: Spero che le persone imparino a fotografare allora.
Giulio: Lo spero anch’io. Così che ci si possa ricordare anche se non si è vicini.
Giulio prende una foto dalla tasca dei pantaloni
Tarak: Tu perché sei qui?
Giulio: Sono qui per lui. Fa un cenno con la testa al signor L che intanto si è seduto
e sta giocando con un accendino
Tarak: Per lui? Perché, chi è lui? E che c’entra con il nostro essere qui?
Giulio: È per colpa sua che siamo qui, non l’avevi capito? Indica gli abiti di Tarak,
macchiati di rosso
Tarak: Ma si questo è stato un piccolo incidente, ma tu sei pulito, perché sei qui?
Giulio: Io, io non lo so. Fino a ieri cercavo di insegnare a mia figlia a mangiare le
verdure. E ora sono qui.
Famiglia buona, casa buona, soldi il giusto. Per un motivo o per l'altro, mi ritrovai a
16 anni a lavorare in una fabbrica, senza sapere come ci fossi arrivato. Quella scura
realtà riusciva ad eliminare tutto ciò che fino ad allora aveva reso felice la mia vita.
Un altro battito di ciglia e mi ritrovai con una moglie, una bambina, tasse da versare e
un mutuo da pagare. Le fredde catene mi stringevano sempre di più, più forte.
Eccomi oggi, mi fanno male i polsi, le gambe, gli occhi bruciano. Mi alzavo, mi
sciacquavo il viso, guardavo di sfuggita allo specchio il mio volto prosciugato.
Accarezzavo mia moglie, davo un bacio a mia figlia e le promettevo che l’indomani
saremmo andati al parco, perché “oggi non posso proprio”. Lavoravo con roba
chimica. Facevamo il cemento-amianto, in pratica cemento compresso che contiene
delle fibre di amianto per rinforzarlo. Avevamo sempre le mascherine, quelle forti,
quelle che ti coprono quasi tutto il viso. Ogni giovedì ne arrivava una nuova scorta,
solo che questa volta non sarebbero arrivate. Sì è preferito investire su un nuovo
macchinario. Sai quanto tempo avremmo risparmiato? Il lavoro di tre giorni in uno. E
poi, passata questa settimana, il giovedì successivo avremmo avuto le nostre nuove
mascherine. Avrei solo dovuto usare la stessa mascherina per due settimane, una in
più all'uso consigliato. Non sarebbe successo niente. Torno a casa e mia figlia mi
salta addosso mentre ho ancora la tuta da lavoro. Arrivo in bagno e me la sfilo. La
sento stretta. Soffocante. La metto nel cestino. Poi l'avrebbe lavata mia moglie.
Queste giornate si ripetevano incessantemente. Da bambino ho sempre avuto paura
6. del futuro. Della quotidianità. Di fare qualcosa di noioso da grande. Di avere
rimpianti. Di stancarmi di vivere. Volevo fare tanto, vedere tanto. Queste
preoccupazioni non le ho più. Non ho un futuro. Mentre lavoro non mi è concesso di
vagare con la mente, se no mi ritrovo con un dito in meno. Un braccio in meno. Una
vita in meno. Era impossibile evadere. Mente e corpo dovevano essere lì. E quando
tornavo a casa, ero troppo stanco per fantasticare. Troppo stanco per portare mia
figlia al parco. Troppo stanco per rendere mia moglie speciale. Vedevo cadere come
birilli l'amore, l'amicizia, ogni rapporto. Fin quando non li vidi cadere veramente. Il
mostro che mi usò come casa, si insinuò tra le trecce di mia figlia, tra le labbra mia
moglie. Questo valgono tre giorni? Avrei preferito lavorare anni. Spaccarmi la
schiena. Tornare senza più le gambe, senza braccia. Ma non la mia famiglia. In fin
dei conti, sono morto con loro. Tutti e tre. Cancro ai polmoni. Ero vivo, ma già morto
a 16 anni.
Scena 5- Diffuso rosso
Traccia 3- When someday comes
https://youtu.be/AcxMGCdsblw?si=2gkAbLO0GGQFR2BY
Il signor L si avvicina a Giulio con le mani sporche. Tarak cerca di mettersi tra i
due, il signor L lo butta a terra. Poi si avvicina alle spalle di Giulio, gli mette le mani
intorno al collo e inizia a stringere. Giulio lascia cadere la fotografia. È una
fotografia della sua famiglia. Il signor L la raccoglie e la strappa. Prende una mano
di Giulio e gli mette la foto strappata in mano. Poi se ne va. Giulio cade in ginocchio.
Tarak cerca di consolarlo.
Traccia 4- Campanello
Giulio e Tarak si guardano confusi. Tarak si alza ed esce per andare ad aprire.
Tarak rientra con Oriana e Isaad. Oriana sta borbottando, Isaad cerca di calmarla
Oriana: SIAMO QUI FUORI DA ORE, È POSSIBILE CHE NESSUNO HA
SENTITO IL CAMPANELLO?
Scena 6- Piazzato bianco
Tarak: Signora veramente mi scusi, eravamo molto impegnati, non abbiamo sentito
niente glielo giuro.
Rientra il Signor L con una valigetta
Signor L: Abbiamo nuovi ospiti, che bello!
Giulio: Sei ancora qui? Pensavo che avessi finalmente deciso di utilizzare il tuo
vestito elegante per altro
7. Signor L: Ti credevo più intelligente di così. Non vi libererete mai di me, mai.
Oriana: Come siete noiosi. Ma dai toglietevi queste brutte facce tristi, se ci hanno
chiamato qui è per darci qualche bella notizia, no?
G: Beh, in realtà…
Oriana: Smettila. Comunque, voi da quanto siete qui?
Tarak: Non so, ormai ho perso la cognizione del tempo.
Oriana: Almeno vi hanno dato qualche informazione in più rispetto alla lettera?
Tarak: No
Oriana scoraggiata inizia a camminare in giro, gli altri iniziano a svolgere attività
diverse
Il signor L è seduto e legge il giornale, ad un certo punto lo chiude e lo sbatte sul
tavolino. Quando il signor L sbatte il giornale si spengono tutte le luci. Oriana grida.
Le luci si riaccendono e il signor L è accanto ad Oriana.
Signor L: Buongiorno
Oriana: Oddio buongiorno, mi scusi non l’avevo vista. Sa, è che ero presa dai miei
pensieri e poi c’è stato quel buio. E… e mi sono spaventata.
Signor L: Non preoccuparti, non sei l’unica ad aver paura del buio.
Oriana: Menomale, alla mia età avere paura del buio è un po’ imbarazzante. Anche
se, a dirla tutta, non è la mia paura più imbarazzante.
Signor L: Ah sì? E qual è?
Oriana: Beh… Io, io
Ho paura di tutto.
Ho paura del buio, dei ragni, delle altezze, degli spazi chiusi, della solitudine…
Le paure sono irrazionali, no? Non c’è motivo di aver paura di qualcosa, soprattutto
se non può ferirti.
Perché avere paura dei ragni? Sono dei poveri animali innocenti, che male fanno?
Perché avere paura del buio? Il buio è il niente, è assenza, è mancanza, è…
solitudine.
Forse ho paura perché…
Perché ero sola.
Ero sola… e poi è diventato tutto buio.
8. Lavoravo in fabbrica da anni.
Non ricordo neanche perché io lavorassi lì.
Io volevo fare l’attrice…
Quando ero piccola a Natale salivo sulla sedia, mettevo le mani dietro la schiena e
dondolando recitavo le poesie che mi insegnava la maestra Nicoletta. Guardavo la
mia famiglia e… notavo i loro sguardi vuoti, alcuni nascondevano il telefono sotto il
tavolo pensando che io non me ne accorgessi.
Poi scendevo dalla sedia e come per farsi perdonare gli ipocriti mi davano 5€.
Allora mi è venuta voglia di recitare davanti ad un pubblico, davanti a qualcuno che
mi ascoltava.
Iniziai un corso di recitazione. Ebbi il mio primo ruolo. Andai da mia madre per farle
ascoltare la mia parte, corsi da lei con il copione in mano, e lei… e lei non c’era.
Forse non voleva rovinarsi la sorpresa, voleva vedermi sul palco!
Poi, il grande giorno.
Entrai in scena, guardai la platea, cercai i miei genitori e… e non c’erano.
Non c’era nessuno per me. Ero sola.
Abbandonai il teatro. Abbandonai la scuola.
Mi buttai nel mondo del lavoro. Feci la commessa, la cameriera, la donna delle
pulizie.
Ma niente riusciva a riempire il vuoto.
E poi, ecco come ho iniziato a lavorare in fabbrica.
Un giorno, mentre cercavo l’ennesimo lavoro, trovai sul giornale l’annuncio
dell’apertura di una nuova fabbrica, una fabbrica tessile.
Ero giovane, il capo sosteneva che non avessi bisogno di un contratto o
dell’assicurazione.
E infatti non ne avevo bisogno, era facile usare la macchina. Bisognava soltanto
posizionare i rocchetti di filo nella cantra, azionare la macchina con una manovella e
girare fino a creare un’unica fascia.
E così per anni.
Ogni giorno.
Mettevo il rocchetto, giravo la manovella, prendevo la fascia.
9. Mi sono sposata.
Mettevo il rocchetto, giravo la manovella, prendevo la fascia.
Sono rimasta incinta.
Ma com’è possibile?
Non posso.
Non me lo posso permettere.
No, no, non posso.
Però.
Non sono più sola.
Anche incinta continuavo a mettere il rocchetto, girare la manovella e prendere la
fascia.
Partorisco ma non posso permettermi di andare in maternità, quindi appena uscita
dall’ospedale continuo a mettere il rocchetto, girare la manovella e prendere la fascia.
Mettere il rocchetto, girare la manovella e prendere la fascia.
Scena 7- Diffuso rosso
Mettere il rocchetto, girare la manovella e…
La manovella è bloccata.
Riprendo il rocchetto, lo controllo, lo rimetto nella cantra, giro la manovella e…
Ho la mano incastrata.
Tiro ma non succede niente. Anzi. Vengo trascinata sempre di più all’interno del
mostro.
Provo a gridare ma nessuno mi sente.
Non c’è nessuno.
Sono sola.
Ma io non voglio morire. Non così. Non ora.
Non voglio che mio figlio abbia paura di non trovare la sua mamma quando la cerca.
Quindi provo a lottare, cerco di uscire.
Ma gli ingranaggi sono più forti e io mi lascio andare.
10. Mi dispiace piccolo mio, non volevo che succedesse anche a te.
Il signor L, con le mani sporche, la tira per il braccio e la fa cadere a terra.. Il signor
L si alza e si siede.
Gli altri corrono subito ad aiutare Oriana, la fanno sedere e le danno un po’
d’acqua.
Giulio: Volevi diventare famosa come attrice, e invece sei diventata famosa perché
sei morta.
Tarak: È come hai detto tu, no? Il problema è la notorietà una volta andati via.
Oriana: Guarda i suoi vestiti macchiati, poi guarda quelli di G e C. È successo
anche a voi?
Giulio e Tarak annuiscono
Oriana: a Isaad e tu, perché sei qui?
Isaad fa spallucce
Giulio e Tarak aiutano Oriana a rialzarsi, torna quasi tutto alla normalità, ognuno
svolge un’attività diversa.
Tarak legge il giornale.
Oriana inizia a giocare a scacchi contro il signor L.
Scena 8- Piazzato bianco
Tarak: Avete letto? Pare che Kate Middleton abbia utilizzato una sua sosia per fare
un’apparizione in pubblico.
Giulio: Ma che stai facendo?
Tarak: Leggo il giornale. Non c’è molto da fare qui mentre aspettiamo Godot.
Giulio: Comunque di Kate Middleton a me non interessa.
Tarak: Ma dai devi pur avere un'opinione.
11. Giulio: Non ce l’ho, non mi interessa.
Iniziano a battibeccare, intanto Isaad inizia ad essere inquieto
Tarak: Ma che ti prende?
Isaad: Mi prende che sono stanco di questi giornali che continuano a dipingere
quadri di divisione costante. E in questo frastuono di verità contrastanti, si perdono le
sfumature, si perdono i dettagli. La gente si schiera l’una contro l’altra. E così, giorno
dopo giorno, la lotta si infiamma. Ogni articolo un’arma. Ma chi vince in questa
guerra di parole e pensieri? Vincono i giornali e i loro portafogli. E io sono stanco di
essere famoso solo perché sono morto. Io non sono solo questo.
Siamo morti, e l’unica cosa che riescono a dirci è che non siamo soli.
Non sei solo.
Eppure… quella mattina io ero solo.
Io ero sempre il primo. Il primo ad arrivare in cantiere. Il primo ad iniziare i lavori.
Ma non esiste la delizia senza la croce. Ero l’ultimo ad essere congedato. L’ultimo ad
essere pagato.
A me piaceva il cantiere.
Quando ero in Marocco, quando l’Italia era solo un sogno irraggiungibile, con i miei
amici mi intrufolai nel tendone di un circo, restai ammaliato dalle acrobazie dei
trapezisti, dai trucchi dei clown, dal coraggio dei domatori di leoni.
Ma i miei preferiti in assoluto furono gli equilibristi.
Mi affascinavano perché mi incuriosivano.
Come facevano a salire fino a lì? Come facevano a non cadere? Perché avevano
scelto proprio quel lavoro? Non avevano pensato a tutti i pericoli?
In quel momento decisi che io da grande avrei fatto l’equilibrista.
Appena tornato a casa iniziai ad allenarmi.
Al primo tentativo caddi miseramente. Ma un fallimento così frivolo non avrebbe di
certo scoraggiato il mio giovane animo.
Migliorai giorno dopo giorno. E quando finalmente perfezionai la mia tecnica decisi
che era il momento di lavorare.
Poi arrivò la guerra, e con lei arrivarono anche la miseria, la fame, la distruzione.
12. La chiusura dei cinema, dei teatri, dei circhi.
Scappammo in Italia.
Iniziai a cercare lavoro.
Mentre camminavo per le vie della città mi fermavo a guardare i cantieri, restavo
fermo qualche minuto, poi andavo via.
Un giorno, durante la mia giornaliera sessione di “build-watching” (come lo aveva
soprannominato uno dei miei pochi amici) uscì dal cantiere un uomo.
Pancia da birra, canotta bianca con macchie indefinite, gilet fluo, caschetto. Si,
insomma un classico uomo di queste zone.
Il losco figuro mi si avvicina e mi dice:
si avvicina il signor L, con caschetto e gilet
“Guagliò, avast a sta do, o tras o t n ve.”
Mi parve una proposta di lavoro accettabile.
Entrai nel cantiere e, finalmente, dopo anni di allenamento, diventai un equilibrista.
Più o meno.
I patti con il signor Michele erano chiari.
“Tu devi arrivare presto, te ne vai quando dico io e non parli se non te lo dico io.
La paga poi si vede, dipende da quanto sei bravo.”
Io ero bravo, forse il migliore, salivo sulle travi come se nulla fosse, correvo come
una gazzella tra le strette vie aeree del cantiere, portavo pesi come se stessi
sollevando piume.
Avrei potuto farlo anche ad occhi chiusi, anche su un piede solo.
Il signor Michele aveva riconosciuto il mio talento, per questo mi lasciava lì, solo,
prima che il sole nascesse, senza imbracatura perché “E a che ti serve, sei tanto
bravo e vuoi l’imbracatura”, al buio perché “Dici sempre che puoi farlo ad occhi
chiusi e ti lamenti del buio.”
Scena 9- Diffuso rosso
Mentre cadevo, mentre sentivo l’attrito dell’aria che mi frustava la schiena, ho
pensato al Marocco, al circo, agli allenamenti, a mia madre, al viaggio per arrivare in
Italia, ai miei amici, ai cantieri, al signor Michele che era stato così gentile a darmi un
lavoro e io l’ho ripagato così, cadendo, commettendo uno stupido errore da dilettanti.
13. E allora mi chiedo “Chissà se è successo ad altri”.
Forse sono solo.
Forse siamo tutti soli.
I cammina in piedi su due sedie una accanto all'altra, dopo aver detto “… e ti
lamenti del buio” il signor L lo spinge dalla sedia. Lasciandogli un’impronta rossa
sulla schiena.
Signor L: La Felicità ha camminato al tuo fianco;
ma la FATALITÀ non conosce tregua:
il verme è nel frutto, il risveglio nel sogno,
e il rimorso nell'amore; questa è la legge.
- La Felicità ha camminato al tuo fianco.
Traccia 5- Solas
https://youtu.be/ZT0aOrjIcVE?si=LCYh-XCH1A45TD9f
Tutti iniziano ad accerchiare il signor L
Giulio: Sei un padrone prepotente…
Oriana: Io mi sono sentita fragile, impotente…
Isaad: Ti sei sporcato le mani, e poi le hai nascoste
Tarak: Sei un codardo
Ad ogni frase i lavoratori danno una manata bianca al signor L, quando finiscono il
signor L grida
Signor L: BASTA!
I lavoratori cadono a terra.
Il signor L alza le mani, sono sporche di rosso e ride.
FINE