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News 06/A/2016
Lunedì, 08 Febbraio 2016
Mobilità sostenibile e alternativa: in arrivo 53 milioni di euro
Il Ministro dell’Ambiente a Comuni e Regioni: ‘a breve le regole per accedere ai
Fondi’.
Definire in breve tempo le regole per accedere al Fondo da 35 milioni di euro per
la mobilità sostenibile e predisporre il decreto attuativo che dia dà vita al Fondo per
la promozione di sistemi di mobilità alternativa, che potrà contare su 18 milioni di
euro.
Sono gli impegni presi da Ministero dell’Ambiente, Comuni e Regioni con il Protocollo
firmato il 30 dicembre 2015 e confermati martedì scorso nella riunione del Comitato
di Coordinamento ambientale delle Regioni e delle Città metropolitane insediatosi
al Ministero dell’Ambiente, sotto la presidenza del ministro Gianluca Galletti, con la
partecipazione di rappresentanti di Regioni, Comuni, Anci, Conferenza delle Regioni
e Protezione Civile.
Il Fondo da 35 milioni di euro per la mobilità sostenibile - ricorda l'Anci in una nota - è
quello istituito dall’art. 5 del Collegato Ambientale, entrato in vigore pochi giorni fa,
mentre il Fondo per la promozione di sistemi di mobilità alternativa ha una dotazione
finanziaria di 12 milioni di euro, a cui sono stati affiancati ulteriori 6 milioni, subito
disponibili per interventi di mobilità sostenibile, derivanti dai proventi delle aste di
CO2.
“L’incontro - spiega l’Anci - è servito a fare il punto sull’avanzamento del Protocollo,
nonchè per dare vita ad un Tavolo di raccordo istituzionale permanente e non
soltanto limitato all’emergenza ‘polveri sottili’ in molte Città italiane”.
Durante la riunione, il ministro Galletti ha annunciato uno stanziamento di 50 milioni
di euro per la mobilità sostenibile destinate alle colonnine di ricarica elettrica, a
valere sul Fondo Kyoto, e la riapertura del Bando per i residui 250 milioni di
euro sull’efficienza energetica delle scuole, anticipata qualche giorno fa dal
Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, Silvia Velo.
A guidare la delegazione dell’Anci c’erano Enzo Lavolta, assessore all’Ambiente ed
alla Qualità dell’aria di Torino, in rappresentanza del presidente Anci Piero
Fassino,Anna Scavuzzo Consigliera Delegata all’Ambiente del Comune di Milano, il
segretario generale ed il vice segretario di Anci, Veronica Nicotra ed Antonella
Galdi.
Lavolta ha dato atto al ministro Galletti dell’importanza dell’attivazione del tavolo
“che contribuisce a creare una regia unica, su temi tecnici oltre che politici, tra
Regioni e Comuni in merito alle misure anti smog”. L’assessore ha comunque
sollecitato, a nome dell’associazione, “maggiore chiarezza sui criteri che
sovrintendono alla divisione del Fondo sulla mobilità alternativa, che hanno il merito
di muoversi verso interventi ambientali condivisi e non coercitivi nei confronti dei
cittadini”.
Lavolta, rifacendosi anche ai contenuti del Protocollo firmato a dicembre, ha
ribadito la necessità che “si costituisca un coordinamento tra tutti i Comuni, non
soltanto padani, interessati allo sforamento dei limiti di Pm10, con un focus dedicato
alle loro problematiche”.
Infine, il rappresentante dell’Anci ha auspicato che si sviluppi una regia unica su
tutte le opportunità di finanziamento in materia energetico-ambientale, un
raccordo costante e una proficua collaborazione che garantisca efficacia, celerità
di attuazione e risorse certe per i Comuni. “Mi riferisco in modo particolare al PON
Metro che sostiene anche progetti antismog. L’importante è - ha concluso Lavolta -
definire le priorità di intervento in modo tale che questi interventi siano
complementari rispetto agli altri”. (Articolo di Rossella Calabrese)
Fonte: edilportale.com
La responsabilità del proprietario terriero in caso di abbandono rifiuti commesso da
terzi.
Il proprietario del terreno dove i rifiuti sono stati abbandonati illecitamente da atri
non può essere accusato dei reati dì realizzazione e gestione di discarica non
autorizzata, per la sola ragione della sua qualifica, e non può esserlo neanche nel
caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi, perché tale responsabilità
esiste solo in presenza di un “obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo”.
Lo afferma la Corte di Cassazione penale – con sentenza numero 1158 – in
riferimento alla scelta del Tribunale di Roma rispetto al sequestro preventivo di un
terreno a Velletri.
Il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame del provvedimento di
sequestro preventivo del terreno sul quale insiste un fabbricato nel quale sono stati
depositati rifiuti diversi, pericolosi e non pericolosi. Secondo il Tribunale il proprietario
avrebbe omesso di svolgere i doverosi controlli per evitare che si realizzasse il
deposito dei rifiuti creato da una terza persona. Persona che ha la disposizione del
fabbricato se pur senza un titolo.
Secondo la Corte, però il Tribunale di Roma erra nell’attribuire a carico del
proprietario, in quanto proprietaria del fabbricato e del terreno una posizione
definita di responsabilità rispetto alla condotta criminosa anche nel caso in cui non
si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi. Tale responsabilità sussiste solo in presenza di
un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo. Un obbligo che potrebbe verificarsi
solo nell’ipotesi, in cui il proprietario abbia compiuto autonomi atti di gestione o di
movimentazione dei rifiuti.
Quindi, in assenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento e in assenza di prova
in ordine alla sua cooperazione nella determinazione dello stesso nessuna
responsabilità può essere attribuita al titolare del terreno che ometta di vigilare sulle
condotte, tanto più se abusive dal punto di vista civilistico, di chi, in assenza di un
valido titolo ovvero sulla base di un titolo finalizzato ad un uso non illecito della cosa,
abbia la materiale disponibilità del terreno. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte:greenreport.it
Malfunzionamenti negli impianti a biogas? Può arrivare la sanzione.
Nei casi di mal funzionamento di un impianto di biogas, la tracimazione degli effluvi
zootecnici dalle vasche e la conseguente contaminazione del pozzo vicino può
essere sanzionata penalmente. Lo afferma la Corte di Cassazione penale (con
sentenza n.3874) in relazione alla condanna inflitta dal Tribunale di Urbino ai titolari
di una azienda agricola.
Questi sono stati ritenuti colpevoli del reato di “attività di gestione di rifiuti non
autorizzata” (ai sensi dell’art. 256, comma 1, lett. a), dlgs 152/2006) e condannati
pagamento di una ammenda di 2.600 euro ciascuno, oltre al risarcimento del
danno. Perché hanno effettuato lo smaltimento di rifiuti liquidi sul suolo, nelle acque
superficiali ed in quelle sotterranee senza autorizzazione.
Però, secondo i titolari non si tratterebbe di smaltimento rifiuti ma soltanto di mal
funzionamento dell’impianto di biogas presente nell’azienda, unica causa del
fenomeno inquinante.
Tali doglianze non sono state accolte dalla Corte, che anzi ricorda le dichiarazioni
del Tribunale.
Il Giudice ha in primo luogo rilevato che, nel corso di due sopralluoghi era stata
riscontrata la percolazione di sostanze fluide derivanti dallo stoccaggio di scarti
vegetali (destinati all’impianto biogas) e da reflui zootecnici provenienti dalle stalle
(allevamento di bovini e suini).
La sentenza ha poi precisato che la stalla dei suini evidenziava quasi un buco nella
parete di collegamento con l’esterno, con conseguente fuoriuscita di liquami. Tanto
che anche la contaminazione del pozzo di un vicino poteva ricondursi con sicurezza
a tali sversamenti, come risultante dalle analisi chimiche compiute. Da ultimo, il
Tribunale di Urbino ha preso in considerazione la deduzione difensiva in punto di
precipitazioni atmosferiche, ma ne ha negato il rilievo proprio alla luce della
complessità della vicenda e del tempo occorrente a chiuderla, sì da evidenziare
che il cattivo funzionamento dell’impianto a biogas non poteva dipendere dalle
precipitazioni più o meno abbondanti nel periodo.
I liquami costituiti dalle deiezioni animali per le loro qualità e quantità possono
rappresentare un pericolo per l’ambiente e per la salute delle persone. Il pericolo
può derivare dallo svolgimento dell’attività zootecnica, per questo richiede la
predisposizione di ogni necessario accorgimento volta a evitare sversamenti, anche
accidentali, dei liquami prodotti.
Ne consegue che la necessità di adottare tutte le misure preventive, tecniche e
organizzative, volte a evitare simili eventi esclude che, per esempio, la fuoriuscita
degli effluvi e lo sversamento dei liquidi sul terreno possa costituire un evento
imprevedibile determinato da caso fortuito. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte:greenreport.it
Entra in vigore il Collegato ambientale: cosa cambia per i dragaggi nei Sin
Dal 2 Febbraio la normativa sulla gestione del materiale di dragaggio dei siti di
bonifica di interesse nazionale (Sin) cambia. È entrato in vigore il Collegato
ambientale o meglio la legge “Disposizioni in materia ambientale per promuovere
misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”
(la numero 221 del 2015, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 18 gennaio 2016).
L’articolo 78 della legge modifica le norme relative all’utilizzo dei materiali derivanti
dalle attività di dragaggio di aree portuali e marino-costiere poste in Sin contenute
nella legge del 1994 (la numero 84). In particolare modifica il novero dei possibili
utilizzi, le caratteristiche delle strutture di destinazione e disciplina le modalità tramite
le quali è possibile giungere all’esclusione, dal perimetro del Sin, delle aree
interessate dai dragaggi.
La prima novità riguarda le casse di colmata, le vasche di raccolta, e le strutture di
contenimento o di conterminazione destinate alla raccolta di fanghi che risultano
non pericolosi all’origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla
rimozione degli inquinanti (a esclusione quindi dei processi finalizzati alla
immobilizzazione degli inquinanti stessi quali solidificazione e stabilizzazione). Tali
strutture dovranno essere realizzate con l’applicazione delle migliori tecniche
disponibili (Mtd) e in linea con i criteri di progettazione formulati da accreditati
standard tecnici internazionali. Inoltre dovranno avere caratteristiche tali da
garantire l’assenza di rischi per la salute e per l’ambiente. Si fa particolare riferimento
al vincolo di non peggiorare lo stato di qualità delle matrici ambientali, suolo,
sottosuolo, acque sotterranee, acque superficiali, acque marine e di transizione, e di
non pregiudicare il conseguimento degli obiettivi di qualità delle stesse.
Dunque con il Collegato i criteri di costruzione delle casse di colmata, vasche di
raccolta, o di contenimento o di conterminazione sono semplificati: non è più
richiesto un sistema di impermeabilizzazione “naturale o artificiale o completato
artificialmente al perimetro e sul fondo in grado di assicurare requisiti di permeabilità
equivalenti a quelli di uno strato di materiale naturale dello spessore di 1 metro con
K minore o uguale a 1,0 x 10 – 9 m/s”. I criteri da seguire adesso sono i criteri di
progettazione formulati da accreditati standard tecnici internazionali.
Un’altra novità, invece, interessa la destinazione dei fanghi che risultano
caratterizzati da concentrazioni degli inquinanti al di sotto dei valori di riferimento
specifici definiti in conformità ai criteri approvati dal Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare. In questo caso l’area o le aree interessate potranno
essere escluse dal perimetro del Sin, previo parere favorevole della conferenza di
servizi. In precedenza l’area interessata veniva restituita agli usi legittimi sempre
previo parere favorevole della conferenza di servizi.
Per il resto la destinazione dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio di aree
portuali e marino-costiere poste in Sin, rimane la stessa prevista dalla legge del 1994
e successive modifiche.
Quindi su autorizzazione dell’autorità competente per la bonifica, potranno essere
immessi o refluiti nei corpi idrici dai quali provengono, oppure potranno essere
utilizzati per il rifacimento degli arenili, per formare terreni costieri o per migliorare lo
stato dei fondali attraverso attività di capping.
Tutto questo potrà avvenire quando i materiali non sono contaminati, hanno
caratteristiche analoghe al sito di prelievo e idonee rispetto a quello di destinazione.
Invece se i fanghi non sono contaminati ma presentano, all’origine o a seguito di
trattamenti aventi esclusivamente lo scopo della desalinizzazione ovvero della
rimozione degli inquinanti, in funzione della destinazione d’uso e qualora risultino
conformi al test di cessione potranno essere utilizzati a terra.
Però, nel caso in cui fossero destinati a impiego in aree con falda naturalmente
salinizzata, i materiali da collocare possono avere un livello di concentrazione di
solfati e di cloruri nell’eluato superiore a quelli fissati dal Ministero dell’Ambiente a
condizione che, su conforme parere dell’Arpa territorialmente competente, sia
prevenuta qualsiasi modificazione delle caratteristiche. (Articolo di Eleonora
Santucci)
Fonte:greenreport.it
Ambiente in genere. Accesso alle informazioni ambientali e obblighi del richiedente.
TAR Campania (NA) Sez. VI sent. 188 del 14 gennaio 2016
Ambiente in genere. Accesso alle informazioni ambientali e obblighi del richiedente
L'istanza di accesso, pur se astrattamente riguardante un'informazione ambientale,
non esime il richiedente dal dimostrare che l'interesse che intende far valere è un
interesse ambientale, come qualificato dal d. lgs. n. 195 del 2005, ed è volto quindi
alla tutela dell'integrità della matrice ambientale, non potendo l'ordinamento
ammettere che di un diritto nato con specifiche determinate finalità si faccia uso
per scopi diversi ad esempio per ragioni patrimoniali
Fonte:lexambiente.com
Rifiuti. Trasporto e traffico illecito.
Cass. Sez. III n. 1619 del 18 gennaio 2016 (Ud 30 set 2015)
Pres. Squassoni Est. Aceto Ric. Ragozzino
Il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti si configura anche in presenza di una
condotta occasionale, in ciò differenziandosi dall'art. 260. d.lgs. n. 152 del 2006, cit.
che sanziona la continuità della attività illecita.
Fonte:lexambiente.com
DDL Green Economy: agevolazioni ed incentivi alle imprese.
ll DDL Green Economy, conosciuto come “Collegato ambientale”, è stato
definitivamente approvato dalla Camera dei Deputati il 22 dicembre 2015. Esso
prevede interventi in diversi ambiti ambientali, dalla valutazione dell’impatto
ambientale alla gestione dei rifiuti, dall’energia agli acquisiti verdi, dalle bonifiche
alla mobilità sostenibile, fino alla difesa del suolo e delle risorse idriche.
Un intervento ampio ed innovativo che consente anche di accedere ad una serie
di incentivi assai interessanti per le aziende. In particolare:
l’Art. 16: prevede una riduzione dell’importo delle garanzie previste a corredo
dell’offerta nei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture:
1.per una quota che va dal 30% al 20% nel caso di aziende in possesso di specifiche
registrazioni o certificazioni ambientali quali l'EMAS, la certificazione ISO
14001 oppure il marchio Ecolabel;
2.per una quota del 15% nel caso di aziende che abbiano sviluppato un inventario
delle emissioni di gas ad effetto serra in accordo alla ISO 14064-1 o un’impronta
climatica di prodotto ai sensi della specifica ISO/TS 14067.
Analogamente, tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa si inseriscono tra gli altri:
2.il possesso di un marchio Ecolabel in relazione ai beni o servizi oggetto del
contratto;
3.la compensazione delle emissioni di gas serra associate alla attività dell’azienda e
calcolate in accordo alle norme ISO.
l’Art 17: prevede che aziende in possesso di certificazione ambientale ISO 14001,
di registrazione EMAS, di certificazione ISO 50001, o che possiedano, per un proprio
prodotto o servizio, il marchio Ecolabel, abbiano titolo
preferenziale nell’assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia
ambientale;
l’Art. 18: indica come applicare “i criteri ambientali minimi (CAM)” negli appalti
pubblici per le forniture e negli affidamenti dei servizi nell’ambito del PANGPP;
l’Art. 43: dispone in materia di rifiuti elettrici ed elettronici RAEE;
l’Art. 56: istituisce un credito di imposta per gli anni 2017/2019 per le imprese che
durante il 2016 effettueranno interventi di bonifica dell’amianto (di importo non
inferiore a 20.000 euro).
Fonte:tuv.it
Green Economy e rifiuti pericolosi, semplificazione ad hoc in vigore.
(Articolo di Alessandro Geremei)
Fonte: reteambiente.it
Acque meteoriche: la loro gestione nei siti industriali
Le gestione delle acque reflue meteoriche di dilavamento che interessano superfici
ad uso industriale: gli interventi richiesti alle aziende e la normativa di riferimento.
La crescente urbanizzazione e la sempre maggiore impermeabilizzazione dei suoli
ad essa legata, hanno conferito alle acque meteoriche un ruolo di sempre
maggiore peso nell'ambito della gestione delle acque reflue.
Le caratteristiche macroscopiche dei processi naturali che governano lo
scorrimento e l’infiltrazione delle acque meteoriche fanno si che il volume di acqua
fornito dalle precipitazioni possa essere suddiviso in tre componenti:
· Deflusso superficiale;
· Infiltrazione (deflusso profondo - Falda);
· Evapotraspirazione (da suolo e vegetazione).
L’entità di queste componenti dipende principalmente da fattori geografici,
morfologici e geologi locali; in contesti naturali il deflusso superficiale è molto
variabile, tipicamente attorno al 20%-60% del volume totale di precipitazione mentre
in contesti urbani la percentuale può arrivare anche a valori prossimi al 90%. Inoltre
in ambito urbano, in presenza soprattutto di elevata impermeabilizzazione dei suoli, il
deflusso superficiale, oltre ad essere maggiore in termini di volume di acqua, è
anche molto più rapido.
Il deflusso superficiale costituisce quindi una rilevante sollecitazione per i sistemi di
raccolta delle acque reflue in ambiti urbani soprattutto in occasione di eventi
meteorici estremi, peraltro sempre più frequenti nel corso degli ultimi anni, che
generano portate di deflusso molto maggiori rispetto alla capacità di trattamento
dei sistemi fognari esistenti. Oltre a problemi dimensionali (elevati volumi di acque
da gestire e trattare) scaturiscono anche problemi di natura tecnica in quanto ai
depuratori confluiscono volumi sempre maggiori di acqua con basso carico
organico che interferisce con i processi di depurazione biologica, utili alla depurazione
delle acque reflue civili/domestiche (acque nere e grigie).
Per questo motivo, nell’ambito del rilascio delle Autorizzazioni allo scarico di acque
reflue industriali, gli Enti Gestori dei sistemi di depurazione prescrivono ai titolari degli
scarichi (nella fattispecie le realtà industriali/artigianali titolari di scarichi industriali in
pubblica fognatura) la realizzazione di interventi volti alla riduzione dei volumi di
acque reflue meteoriche (quindi il volume di deflusso superficiale) che confluisce
nelle reti di raccolta (sistema fognario) e quindi agli impianti di depurazione; tali
interventi possono essere identificati in:
· Riduzione della superficie impermeabilizzata (definita anche come “superficie
scolante”) incrementando le superfici a verde a scapito, se possibile, di superfici
impermeabilizzate e non più in uso o utilizzate saltuariamente solamente per il
transito di automezzi;
· Scelta di recettori finali alternativi (suolo/sottosuolo, corpi idrici superficiali): In
questo caso si tratterebbe di collettare le tubazioni di raccolta delle acque
meteoriche (reti pluviali, reti di piazzale e relative caditoie) a pozzi perdenti, trincee
drenanti, canali di sub-irrigazione, fiumi, rogge, canali o altri elementi facenti parte
del reticolo idrico minore).
Entrambe le soluzioni citate comportano di conseguenza un convogliamento diretto
o indiretto di volumi di acque in altri corpi recettori (acque sotterranee e corpi idrici
superficiali quali fiumi e, in ultima analisi, laghi e mari nei quali essi sfociano).
Subentra a questo punto l’aspetto legato alla qualità delle acque gestite in quanto
in grado, a loro volta, di influire sulla qualità delle acque dei recettori finali.
Considerato che le acque meteoriche, prima di entrare in contatto con superfici
scolanti (tetti e coperture in genere, piazzali impermeabilizzati) e con quanto su di
esse presente (camini per espulsione di reflui gassosi, materie prime, depositi, veicoli
ecc), sono da considerarsi come non inquinate (considerando come trascurabile o
comunque meno rilevante il contributo fornito dagli inquinanti presenti in
atmosfera), la loro potenziale contaminazione dipende dall’attività di dilavamento
esercitata dalle acque sugli elementi sopra citati e dalle caratteristiche dei
medesimi; la definizione corretta diventa quindi quella di acque meteoriche di
dilavamento (medesimo approccio della normativa vigente, come vedremo in
seguito).
In generale, le acque reflue meteoriche di dilavamento che interessano superfici ad
uso industriale, sulla base della loro qualità potrebbero essere suddivise in:
1. Acque meteoriche non inquinate: Acque che dilavano tetti di edifici adibiti ad
uso uffici e/o magazzini privi di camini dedicati all’espulsione di reflui gassosi,
parcheggi interni ad uso del personale;
2. Acque meteoriche moderatamente inquinate: Acque che dilavano tetti di
reparti produttivi con presenza di camini dedicati all’espulsione di reflui gassosi, aree
interne dedicate ad intenso flusso di automezzi (per conferimento materie prime,
allontanamento rifiuti ecc)
3. Acque meteoriche inquinate: Acque che dilavano aree scoperte dedicate al
travaso di sostanze chimiche, zone di carico/scarico di materie prime, piazzali di
lavaggio, aree dedicate alla manutenzione di veicoli, aree di deposito di rifiuti o di
rottami.
A pari condizioni si possono comunque definire come maggiormente inquinate le
prime acque meteoriche (cosiddette acque di prima pioggia) rispetto a quelle che
seguono (acque di seconda pioggia) per il fatto che i potenziali inquinanti presenti
sulle superfici sono dilavati dalle prime acque che rappresentano l’evento
meteorico mentre le successiva acque meteoriche, fatti salvi alcuni casi specifici, si
considerano comunque come non inquinate.
Analizzando quanto descritto sopra, si evince come il tutto possa essere considerato
come piuttosto aleatorio (grado di inquinamento delle acque meteoriche, quali
superfici debbano essere considerate nelle valutazioni ecc) e risulta quindi
necessario trovare dei riferimenti normativi specifici che possano indirizzare i gestori
di stabilimenti produttivi (industriali, artigianali) nella gestione delle acque reflue
meteoriche dilavanti le proprie superfici.
Il principale atto normativo in materia di gestione e smaltimento di acque reflue è,
come per numerosi altri aspetti ambientali, il D.Lgs.152/2006 (Testo unico
Ambientale).
In particolare la disciplina delle acque è trattata alla Sezione II della Parte Terza; Qui,
all’articolo 74 sono definite le varie tipologie di acque reflue:
· Acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo
residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da
attività domestiche;
· Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od
impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle
acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;
· Acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue
domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento
convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;
Come si evince, nell’insieme delle definizioni di cui all’articolo 74 non vi è una
precisa definizione delle acque meteoriche, che sono invece richiamate all’articolo
113, dedicato alle “Acque meteoriche di dilavamento” e alle “Acque di prima
pioggia” dove si specifica quanto segue:
A. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere
del Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio disciplinano le forme di controllo
degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate [1] ed i casi in cui richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di
dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a
particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione;
B. Le Regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di
prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e
opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari casi nelle quali, in
relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili
scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il
raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici;
C. E' comunque vietato lo scarico di acque meteoriche nelle acque sotterranee;
D. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 (Punto A)non sono
soggette a vincoli o prescrizioni.
L’articolo 113 restringe quindi il campo di interesse alle “acque meteoriche di
dilavamento”, ossia acque meteoriche che dopo aver dilavato superfici (coperte o
impermeabilizzate) si riversano in differenti corpi recettori (escluse le acque
sotterranee).
La normativa nazionale demanda quindi alle singole Regioni, la regolamentazione
specifica delle acque meteoriche di dilavamento, con specifico riferimento alla
“regolamentazione delle forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di
dilavamento provenienti da reti fognarie separate” e, ove le immissioni siano
“effettuate tramite altre condotte separate”, la possibilità di sottoporle “a particolari
prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione”.
Lo stesso articolo 113 riporta, in progressione, la previsione che “Le regioni
disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e
di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in
impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività
svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze
pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi
di qualità dei corpi idrici”.
Per l’analisi del concetto di “acque di prima pioggia” si deve quindi fare riferimento
alla normativa Regionale e peraltro, la prima legge che aveva affrontato affronta
l'argomento delle acque meteoriche in modo esplicito fu la Legge Regionale della
Lombardia n°62 del 27 maggio 1985, relativa alla "Normativa sugli insediamenti civili
delle pubbliche fognature e tutela delle acque sotterranee dell'inquinamento",
dove per la prima volta comparve la definizione di "acque di prima pioggia".
Sempre con riferimento alla Regione Lombardia, il Regolamento Regionale n°4 del
24 marzo 2006 disciplina in modo specifico e dettagliato la gestione delle acque
meteoriche di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne. Tale Regolamento
ribadisce e definisce:
· Evento meteorico: una o più precipitazioni atmosferiche, anche tra loro
temporalmente distanziate, di altezza complessiva di almeno 5 mm, che si verifichi o
che si susseguano a distanza di almeno 96 ore da un analogo precedente evento;
· Acque meteoriche di dilavamento: la parte delle acque di una precipitazione
atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti;
· Acque di prima pioggia: quelle corrispondenti, nella prima parte di ogni
evento meteorico, ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita
sull’intera superficie scolante servita dalla rete di raccolta delle acque meteoriche;
· Acque di seconda pioggia: la parte delle acque meteoriche di dilavamento
eccedente le acque di prima pioggia.
· Superficie scolante: ’insieme di strade, cortili, piazzali, aree di carico e scarico e
di ogni altra analoga superficie scoperta [2], alle quali si applicano le disposizioni
sullo smaltimento delle acque meteoriche di cui al presente Regolamento;
Il Regolamento prevede in modo esplicito la separazione, l’intercettazione ed il
trattamento di una parte rilevante delle acque meteoriche provenienti dal
dilavamento di superfici pavimentate (definite come superfici scolanti) a rischio di
inquinamento, definite appunto acque di prima pioggia. Questo volume
d'acqua [3] è considerato quello con il più alto carico inquinante e quindi necessita
di essere raccolto in apposite vasche e trattato in modo adeguato prima di essere
inviato al corpo recettore (qualunque esso sia). Numerose altre Regioni hanno
provveduto ad emanare regolamenti specifici, in accordo a quanto previsto in
materia, prendendo spunto da quanto normato in Regione Lombardia.
Oltre alla definizione puntuale degli elementi utili alla quantificazione delle acque
meteoriche di prima pioggia, il Regolamento Regionale Lombardo, e
analogamente gli atti delle altre Regioni, ove disponibili, ha definito quali superfici
debbano essere considerate affinché le acque che su di esse cadono debbano
essere assoggettate alla separazione tra acque di prima e seconda pioggia
(fissando un criterio quantitativo e uno qualitativo: estensione e tipologia di attività
condotta sulle superfici interessate):
Superfici scolanti di estensione superiore a 2.000 mq, calcolata escludendo le
coperture e le aree a verde, costituenti pertinenze di edifici ed installazioni in cui si
svolgono le seguenti attività:
1) industria petrolifera;
2) industrie chimiche;
3) trattamento e rivestimento dei metalli (es. galvanica);
4) concia e tintura delle pelli e del cuoio;
5) produzione della pasta carta, della carta e del cartone;
6) produzione di pneumatici;
7) aziende tessili che eseguono stampa, tintura e finissaggio di fibre tessili;
8) produzione di calcestruzzo;
9) aree intermodali;
10) autofficine;
11) carrozzerie;
b) Superfici scolanti costituenti pertinenza di edifici ed installazioni in cui sono svolte
le attività di deposito di rifiuti, centro di raccolta e/o trasformazione degli stessi,
deposito di rottami e deposito di veicoli destinati alla demolizione;
c) Superfici scolanti destinate al carico e alla distribuzione dei carburanti ed
operazioni connesse e complementari nei punti di vendita delle stazioni di servizio
per autoveicoli;
d) Superfici scolanti specificamente o anche saltuariamente destinate al deposito,
al carico, allo scarico, al travaso e alla movimentazione in genere delle sostanze di
cui alle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5 al D.Lgs. 152/1999 (ora abrogato dal D.Lgs.
152/06) (ad esempio: metalli pesanti, solventi organici aromatici ecc).
Analogamente alle acque meteoriche di prima pioggia, alcune Regioni (tra le quali
la Regione Lombardia) hanno deciso di regolamentare anche le acque meteoriche
di seconda pioggia. Il medesimo Regolamento Regionale prevede infatti che la
formazione, il coinvolgimento, la separazione, la raccolta, il trattamento e lo scarico
delle acque di seconda pioggia siano soggetti alle medesime disposizione qualora
provengano dalle superfici scolanti associate alle attività di cui ai punti da 1 a 11 e
alle attività di gestione dei rifiuti, ma solamente qualora l’Autorità competente accerti
“l’inquinamento di tali acque da sostanze asportate o in soluzione, derivante dal
percolamento delle acque meteoriche tra materie prime, prodotti intermedi e finiti,
sottoprodotti, rifiuti o quant’altro accatastato o depositato sulle superfici stesse”. Il
volume esatto di acqua di seconda pioggia da assoggettare a trattamento è
definita dall’Autorità competente a seconda dei casi specifici.
Quindi, se non diversamente disciplinate (ossia quando le superfici scolanti non
rientrano nel campo di assoggettabilità dei vari Atti normativi Regionali [4], le acque
di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne non necessitano di autorizzazione
specifica allo scarico e possono essere scaricate in qualsiasi corpo recettore,
preferibilmente in corpo idrico superficiale o nel suolo/sottosuolo, previa verifica
delle caratteristiche geologiche (sufficiente permeabilità) unitamente alle restanti
acque meteoriche di dilavamento, al fine di non gravare sugli impianti di
depurazione consortili.
Nel caso di complessi produttivi esistenti, e spesso piuttosto datati, la maggior parte
delle reti di raccolta delle acque meteoriche di dilavamento convoglia i reflui
direttamente in fognatura e risulta quindi economicamente poso sostenibili la
creazione di reti dir accolta separate.
Attente valutazioni delle reti di raccolta, dove disponibili, consentirebbero
comunque una riduzione parziale dei volumi di acque meteoriche di dilavamento
convogliate in fognatura, mediante intercettazione di reti pluviali e realizzazione di
pozzi perdenti o di tratte di condotte in subirrigazione (in presenza, ad esempio, di
aree verdi quali aiuole).
Qualora invece le superfici scolanti dovessero essere assoggettate ai vari
Regolamenti Regionali, le acque meteoriche di dilavamento saranno soggette alla
separazione delle acque meteoriche di prima pioggia, alla loro raccolta separata in
idonee vasche (dette anche vasche di prima pioggia) e quindi convogliate ai
recettori finali. Diversamente dalle acque meteoriche, il recettore finale dovrebbe
preferibilmente essere la fognatura in quanto a valle di questa sono comunque
presenti ulteriori presidi depurativi (depuratori) e, in assenza di essa, (ad esempio nel
caso di insediamenti isolati) il suolo o eventualmente il corpo idrico superficiale. Lo
scarico delle acque di prima pioggia soggette alla separazione dalle specifiche
norma regionali, necessita sempre di Autorizzazione specifica (rilasciata dagli Uffici
d’Ambito, previo parere tecnico degli Enti gestori nel caso di scarico in fognatura,
oppure dalla Provincia nel caso di scarico sul suolo o in corpo idrico).
Di seguito si riporta uno Schema di flusso riepilogativo:
(Articolo di Amedeo Arosio)
Fonte:puntosicuro.it

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  • 1. News 06/A/2016 Lunedì, 08 Febbraio 2016 Mobilità sostenibile e alternativa: in arrivo 53 milioni di euro Il Ministro dell’Ambiente a Comuni e Regioni: ‘a breve le regole per accedere ai Fondi’. Definire in breve tempo le regole per accedere al Fondo da 35 milioni di euro per la mobilità sostenibile e predisporre il decreto attuativo che dia dà vita al Fondo per la promozione di sistemi di mobilità alternativa, che potrà contare su 18 milioni di euro. Sono gli impegni presi da Ministero dell’Ambiente, Comuni e Regioni con il Protocollo firmato il 30 dicembre 2015 e confermati martedì scorso nella riunione del Comitato di Coordinamento ambientale delle Regioni e delle Città metropolitane insediatosi al Ministero dell’Ambiente, sotto la presidenza del ministro Gianluca Galletti, con la partecipazione di rappresentanti di Regioni, Comuni, Anci, Conferenza delle Regioni e Protezione Civile. Il Fondo da 35 milioni di euro per la mobilità sostenibile - ricorda l'Anci in una nota - è quello istituito dall’art. 5 del Collegato Ambientale, entrato in vigore pochi giorni fa, mentre il Fondo per la promozione di sistemi di mobilità alternativa ha una dotazione finanziaria di 12 milioni di euro, a cui sono stati affiancati ulteriori 6 milioni, subito disponibili per interventi di mobilità sostenibile, derivanti dai proventi delle aste di CO2. “L’incontro - spiega l’Anci - è servito a fare il punto sull’avanzamento del Protocollo, nonchè per dare vita ad un Tavolo di raccordo istituzionale permanente e non soltanto limitato all’emergenza ‘polveri sottili’ in molte Città italiane”. Durante la riunione, il ministro Galletti ha annunciato uno stanziamento di 50 milioni di euro per la mobilità sostenibile destinate alle colonnine di ricarica elettrica, a valere sul Fondo Kyoto, e la riapertura del Bando per i residui 250 milioni di euro sull’efficienza energetica delle scuole, anticipata qualche giorno fa dal
  • 2. Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, Silvia Velo. A guidare la delegazione dell’Anci c’erano Enzo Lavolta, assessore all’Ambiente ed alla Qualità dell’aria di Torino, in rappresentanza del presidente Anci Piero Fassino,Anna Scavuzzo Consigliera Delegata all’Ambiente del Comune di Milano, il segretario generale ed il vice segretario di Anci, Veronica Nicotra ed Antonella Galdi. Lavolta ha dato atto al ministro Galletti dell’importanza dell’attivazione del tavolo “che contribuisce a creare una regia unica, su temi tecnici oltre che politici, tra Regioni e Comuni in merito alle misure anti smog”. L’assessore ha comunque sollecitato, a nome dell’associazione, “maggiore chiarezza sui criteri che sovrintendono alla divisione del Fondo sulla mobilità alternativa, che hanno il merito di muoversi verso interventi ambientali condivisi e non coercitivi nei confronti dei cittadini”. Lavolta, rifacendosi anche ai contenuti del Protocollo firmato a dicembre, ha ribadito la necessità che “si costituisca un coordinamento tra tutti i Comuni, non soltanto padani, interessati allo sforamento dei limiti di Pm10, con un focus dedicato alle loro problematiche”. Infine, il rappresentante dell’Anci ha auspicato che si sviluppi una regia unica su tutte le opportunità di finanziamento in materia energetico-ambientale, un raccordo costante e una proficua collaborazione che garantisca efficacia, celerità di attuazione e risorse certe per i Comuni. “Mi riferisco in modo particolare al PON Metro che sostiene anche progetti antismog. L’importante è - ha concluso Lavolta - definire le priorità di intervento in modo tale che questi interventi siano complementari rispetto agli altri”. (Articolo di Rossella Calabrese) Fonte: edilportale.com La responsabilità del proprietario terriero in caso di abbandono rifiuti commesso da terzi. Il proprietario del terreno dove i rifiuti sono stati abbandonati illecitamente da atri non può essere accusato dei reati dì realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, per la sola ragione della sua qualifica, e non può esserlo neanche nel
  • 3. caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi, perché tale responsabilità esiste solo in presenza di un “obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo”. Lo afferma la Corte di Cassazione penale – con sentenza numero 1158 – in riferimento alla scelta del Tribunale di Roma rispetto al sequestro preventivo di un terreno a Velletri. Il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro preventivo del terreno sul quale insiste un fabbricato nel quale sono stati depositati rifiuti diversi, pericolosi e non pericolosi. Secondo il Tribunale il proprietario avrebbe omesso di svolgere i doverosi controlli per evitare che si realizzasse il deposito dei rifiuti creato da una terza persona. Persona che ha la disposizione del fabbricato se pur senza un titolo. Secondo la Corte, però il Tribunale di Roma erra nell’attribuire a carico del proprietario, in quanto proprietaria del fabbricato e del terreno una posizione definita di responsabilità rispetto alla condotta criminosa anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti stessi. Tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo. Un obbligo che potrebbe verificarsi solo nell’ipotesi, in cui il proprietario abbia compiuto autonomi atti di gestione o di movimentazione dei rifiuti. Quindi, in assenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento e in assenza di prova in ordine alla sua cooperazione nella determinazione dello stesso nessuna responsabilità può essere attribuita al titolare del terreno che ometta di vigilare sulle condotte, tanto più se abusive dal punto di vista civilistico, di chi, in assenza di un valido titolo ovvero sulla base di un titolo finalizzato ad un uso non illecito della cosa, abbia la materiale disponibilità del terreno. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte:greenreport.it Malfunzionamenti negli impianti a biogas? Può arrivare la sanzione. Nei casi di mal funzionamento di un impianto di biogas, la tracimazione degli effluvi zootecnici dalle vasche e la conseguente contaminazione del pozzo vicino può essere sanzionata penalmente. Lo afferma la Corte di Cassazione penale (con sentenza n.3874) in relazione alla condanna inflitta dal Tribunale di Urbino ai titolari di una azienda agricola. Questi sono stati ritenuti colpevoli del reato di “attività di gestione di rifiuti non autorizzata” (ai sensi dell’art. 256, comma 1, lett. a), dlgs 152/2006) e condannati
  • 4. pagamento di una ammenda di 2.600 euro ciascuno, oltre al risarcimento del danno. Perché hanno effettuato lo smaltimento di rifiuti liquidi sul suolo, nelle acque superficiali ed in quelle sotterranee senza autorizzazione. Però, secondo i titolari non si tratterebbe di smaltimento rifiuti ma soltanto di mal funzionamento dell’impianto di biogas presente nell’azienda, unica causa del fenomeno inquinante. Tali doglianze non sono state accolte dalla Corte, che anzi ricorda le dichiarazioni del Tribunale. Il Giudice ha in primo luogo rilevato che, nel corso di due sopralluoghi era stata riscontrata la percolazione di sostanze fluide derivanti dallo stoccaggio di scarti vegetali (destinati all’impianto biogas) e da reflui zootecnici provenienti dalle stalle (allevamento di bovini e suini). La sentenza ha poi precisato che la stalla dei suini evidenziava quasi un buco nella parete di collegamento con l’esterno, con conseguente fuoriuscita di liquami. Tanto che anche la contaminazione del pozzo di un vicino poteva ricondursi con sicurezza a tali sversamenti, come risultante dalle analisi chimiche compiute. Da ultimo, il Tribunale di Urbino ha preso in considerazione la deduzione difensiva in punto di precipitazioni atmosferiche, ma ne ha negato il rilievo proprio alla luce della complessità della vicenda e del tempo occorrente a chiuderla, sì da evidenziare che il cattivo funzionamento dell’impianto a biogas non poteva dipendere dalle precipitazioni più o meno abbondanti nel periodo. I liquami costituiti dalle deiezioni animali per le loro qualità e quantità possono rappresentare un pericolo per l’ambiente e per la salute delle persone. Il pericolo può derivare dallo svolgimento dell’attività zootecnica, per questo richiede la predisposizione di ogni necessario accorgimento volta a evitare sversamenti, anche accidentali, dei liquami prodotti. Ne consegue che la necessità di adottare tutte le misure preventive, tecniche e organizzative, volte a evitare simili eventi esclude che, per esempio, la fuoriuscita degli effluvi e lo sversamento dei liquidi sul terreno possa costituire un evento imprevedibile determinato da caso fortuito. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte:greenreport.it Entra in vigore il Collegato ambientale: cosa cambia per i dragaggi nei Sin Dal 2 Febbraio la normativa sulla gestione del materiale di dragaggio dei siti di bonifica di interesse nazionale (Sin) cambia. È entrato in vigore il Collegato
  • 5. ambientale o meglio la legge “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” (la numero 221 del 2015, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 18 gennaio 2016). L’articolo 78 della legge modifica le norme relative all’utilizzo dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio di aree portuali e marino-costiere poste in Sin contenute nella legge del 1994 (la numero 84). In particolare modifica il novero dei possibili utilizzi, le caratteristiche delle strutture di destinazione e disciplina le modalità tramite le quali è possibile giungere all’esclusione, dal perimetro del Sin, delle aree interessate dai dragaggi. La prima novità riguarda le casse di colmata, le vasche di raccolta, e le strutture di contenimento o di conterminazione destinate alla raccolta di fanghi che risultano non pericolosi all’origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti (a esclusione quindi dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi quali solidificazione e stabilizzazione). Tali strutture dovranno essere realizzate con l’applicazione delle migliori tecniche disponibili (Mtd) e in linea con i criteri di progettazione formulati da accreditati standard tecnici internazionali. Inoltre dovranno avere caratteristiche tali da garantire l’assenza di rischi per la salute e per l’ambiente. Si fa particolare riferimento al vincolo di non peggiorare lo stato di qualità delle matrici ambientali, suolo, sottosuolo, acque sotterranee, acque superficiali, acque marine e di transizione, e di non pregiudicare il conseguimento degli obiettivi di qualità delle stesse. Dunque con il Collegato i criteri di costruzione delle casse di colmata, vasche di raccolta, o di contenimento o di conterminazione sono semplificati: non è più richiesto un sistema di impermeabilizzazione “naturale o artificiale o completato artificialmente al perimetro e sul fondo in grado di assicurare requisiti di permeabilità equivalenti a quelli di uno strato di materiale naturale dello spessore di 1 metro con K minore o uguale a 1,0 x 10 – 9 m/s”. I criteri da seguire adesso sono i criteri di progettazione formulati da accreditati standard tecnici internazionali. Un’altra novità, invece, interessa la destinazione dei fanghi che risultano caratterizzati da concentrazioni degli inquinanti al di sotto dei valori di riferimento specifici definiti in conformità ai criteri approvati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. In questo caso l’area o le aree interessate potranno essere escluse dal perimetro del Sin, previo parere favorevole della conferenza di servizi. In precedenza l’area interessata veniva restituita agli usi legittimi sempre previo parere favorevole della conferenza di servizi. Per il resto la destinazione dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio di aree portuali e marino-costiere poste in Sin, rimane la stessa prevista dalla legge del 1994
  • 6. e successive modifiche. Quindi su autorizzazione dell’autorità competente per la bonifica, potranno essere immessi o refluiti nei corpi idrici dai quali provengono, oppure potranno essere utilizzati per il rifacimento degli arenili, per formare terreni costieri o per migliorare lo stato dei fondali attraverso attività di capping. Tutto questo potrà avvenire quando i materiali non sono contaminati, hanno caratteristiche analoghe al sito di prelievo e idonee rispetto a quello di destinazione. Invece se i fanghi non sono contaminati ma presentano, all’origine o a seguito di trattamenti aventi esclusivamente lo scopo della desalinizzazione ovvero della rimozione degli inquinanti, in funzione della destinazione d’uso e qualora risultino conformi al test di cessione potranno essere utilizzati a terra. Però, nel caso in cui fossero destinati a impiego in aree con falda naturalmente salinizzata, i materiali da collocare possono avere un livello di concentrazione di solfati e di cloruri nell’eluato superiore a quelli fissati dal Ministero dell’Ambiente a condizione che, su conforme parere dell’Arpa territorialmente competente, sia prevenuta qualsiasi modificazione delle caratteristiche. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte:greenreport.it Ambiente in genere. Accesso alle informazioni ambientali e obblighi del richiedente. TAR Campania (NA) Sez. VI sent. 188 del 14 gennaio 2016 Ambiente in genere. Accesso alle informazioni ambientali e obblighi del richiedente L'istanza di accesso, pur se astrattamente riguardante un'informazione ambientale, non esime il richiedente dal dimostrare che l'interesse che intende far valere è un interesse ambientale, come qualificato dal d. lgs. n. 195 del 2005, ed è volto quindi alla tutela dell'integrità della matrice ambientale, non potendo l'ordinamento ammettere che di un diritto nato con specifiche determinate finalità si faccia uso per scopi diversi ad esempio per ragioni patrimoniali Fonte:lexambiente.com
  • 7. Rifiuti. Trasporto e traffico illecito. Cass. Sez. III n. 1619 del 18 gennaio 2016 (Ud 30 set 2015) Pres. Squassoni Est. Aceto Ric. Ragozzino Il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti si configura anche in presenza di una condotta occasionale, in ciò differenziandosi dall'art. 260. d.lgs. n. 152 del 2006, cit. che sanziona la continuità della attività illecita. Fonte:lexambiente.com DDL Green Economy: agevolazioni ed incentivi alle imprese. ll DDL Green Economy, conosciuto come “Collegato ambientale”, è stato definitivamente approvato dalla Camera dei Deputati il 22 dicembre 2015. Esso prevede interventi in diversi ambiti ambientali, dalla valutazione dell’impatto ambientale alla gestione dei rifiuti, dall’energia agli acquisiti verdi, dalle bonifiche alla mobilità sostenibile, fino alla difesa del suolo e delle risorse idriche. Un intervento ampio ed innovativo che consente anche di accedere ad una serie di incentivi assai interessanti per le aziende. In particolare: l’Art. 16: prevede una riduzione dell’importo delle garanzie previste a corredo dell’offerta nei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture: 1.per una quota che va dal 30% al 20% nel caso di aziende in possesso di specifiche registrazioni o certificazioni ambientali quali l'EMAS, la certificazione ISO 14001 oppure il marchio Ecolabel; 2.per una quota del 15% nel caso di aziende che abbiano sviluppato un inventario delle emissioni di gas ad effetto serra in accordo alla ISO 14064-1 o un’impronta climatica di prodotto ai sensi della specifica ISO/TS 14067. Analogamente, tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa si inseriscono tra gli altri: 2.il possesso di un marchio Ecolabel in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto; 3.la compensazione delle emissioni di gas serra associate alla attività dell’azienda e calcolate in accordo alle norme ISO. l’Art 17: prevede che aziende in possesso di certificazione ambientale ISO 14001, di registrazione EMAS, di certificazione ISO 50001, o che possiedano, per un proprio
  • 8. prodotto o servizio, il marchio Ecolabel, abbiano titolo preferenziale nell’assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in materia ambientale; l’Art. 18: indica come applicare “i criteri ambientali minimi (CAM)” negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti dei servizi nell’ambito del PANGPP; l’Art. 43: dispone in materia di rifiuti elettrici ed elettronici RAEE; l’Art. 56: istituisce un credito di imposta per gli anni 2017/2019 per le imprese che durante il 2016 effettueranno interventi di bonifica dell’amianto (di importo non inferiore a 20.000 euro). Fonte:tuv.it Green Economy e rifiuti pericolosi, semplificazione ad hoc in vigore. (Articolo di Alessandro Geremei) Fonte: reteambiente.it
  • 9. Acque meteoriche: la loro gestione nei siti industriali Le gestione delle acque reflue meteoriche di dilavamento che interessano superfici ad uso industriale: gli interventi richiesti alle aziende e la normativa di riferimento. La crescente urbanizzazione e la sempre maggiore impermeabilizzazione dei suoli ad essa legata, hanno conferito alle acque meteoriche un ruolo di sempre maggiore peso nell'ambito della gestione delle acque reflue. Le caratteristiche macroscopiche dei processi naturali che governano lo scorrimento e l’infiltrazione delle acque meteoriche fanno si che il volume di acqua fornito dalle precipitazioni possa essere suddiviso in tre componenti: · Deflusso superficiale; · Infiltrazione (deflusso profondo - Falda); · Evapotraspirazione (da suolo e vegetazione). L’entità di queste componenti dipende principalmente da fattori geografici, morfologici e geologi locali; in contesti naturali il deflusso superficiale è molto variabile, tipicamente attorno al 20%-60% del volume totale di precipitazione mentre in contesti urbani la percentuale può arrivare anche a valori prossimi al 90%. Inoltre in ambito urbano, in presenza soprattutto di elevata impermeabilizzazione dei suoli, il deflusso superficiale, oltre ad essere maggiore in termini di volume di acqua, è anche molto più rapido. Il deflusso superficiale costituisce quindi una rilevante sollecitazione per i sistemi di raccolta delle acque reflue in ambiti urbani soprattutto in occasione di eventi meteorici estremi, peraltro sempre più frequenti nel corso degli ultimi anni, che generano portate di deflusso molto maggiori rispetto alla capacità di trattamento dei sistemi fognari esistenti. Oltre a problemi dimensionali (elevati volumi di acque da gestire e trattare) scaturiscono anche problemi di natura tecnica in quanto ai depuratori confluiscono volumi sempre maggiori di acqua con basso carico organico che interferisce con i processi di depurazione biologica, utili alla depurazione delle acque reflue civili/domestiche (acque nere e grigie). Per questo motivo, nell’ambito del rilascio delle Autorizzazioni allo scarico di acque reflue industriali, gli Enti Gestori dei sistemi di depurazione prescrivono ai titolari degli scarichi (nella fattispecie le realtà industriali/artigianali titolari di scarichi industriali in pubblica fognatura) la realizzazione di interventi volti alla riduzione dei volumi di
  • 10. acque reflue meteoriche (quindi il volume di deflusso superficiale) che confluisce nelle reti di raccolta (sistema fognario) e quindi agli impianti di depurazione; tali interventi possono essere identificati in: · Riduzione della superficie impermeabilizzata (definita anche come “superficie scolante”) incrementando le superfici a verde a scapito, se possibile, di superfici impermeabilizzate e non più in uso o utilizzate saltuariamente solamente per il transito di automezzi; · Scelta di recettori finali alternativi (suolo/sottosuolo, corpi idrici superficiali): In questo caso si tratterebbe di collettare le tubazioni di raccolta delle acque meteoriche (reti pluviali, reti di piazzale e relative caditoie) a pozzi perdenti, trincee drenanti, canali di sub-irrigazione, fiumi, rogge, canali o altri elementi facenti parte del reticolo idrico minore). Entrambe le soluzioni citate comportano di conseguenza un convogliamento diretto o indiretto di volumi di acque in altri corpi recettori (acque sotterranee e corpi idrici superficiali quali fiumi e, in ultima analisi, laghi e mari nei quali essi sfociano). Subentra a questo punto l’aspetto legato alla qualità delle acque gestite in quanto in grado, a loro volta, di influire sulla qualità delle acque dei recettori finali. Considerato che le acque meteoriche, prima di entrare in contatto con superfici scolanti (tetti e coperture in genere, piazzali impermeabilizzati) e con quanto su di esse presente (camini per espulsione di reflui gassosi, materie prime, depositi, veicoli ecc), sono da considerarsi come non inquinate (considerando come trascurabile o comunque meno rilevante il contributo fornito dagli inquinanti presenti in atmosfera), la loro potenziale contaminazione dipende dall’attività di dilavamento esercitata dalle acque sugli elementi sopra citati e dalle caratteristiche dei medesimi; la definizione corretta diventa quindi quella di acque meteoriche di dilavamento (medesimo approccio della normativa vigente, come vedremo in seguito). In generale, le acque reflue meteoriche di dilavamento che interessano superfici ad uso industriale, sulla base della loro qualità potrebbero essere suddivise in: 1. Acque meteoriche non inquinate: Acque che dilavano tetti di edifici adibiti ad uso uffici e/o magazzini privi di camini dedicati all’espulsione di reflui gassosi, parcheggi interni ad uso del personale;
  • 11. 2. Acque meteoriche moderatamente inquinate: Acque che dilavano tetti di reparti produttivi con presenza di camini dedicati all’espulsione di reflui gassosi, aree interne dedicate ad intenso flusso di automezzi (per conferimento materie prime, allontanamento rifiuti ecc) 3. Acque meteoriche inquinate: Acque che dilavano aree scoperte dedicate al travaso di sostanze chimiche, zone di carico/scarico di materie prime, piazzali di lavaggio, aree dedicate alla manutenzione di veicoli, aree di deposito di rifiuti o di rottami. A pari condizioni si possono comunque definire come maggiormente inquinate le prime acque meteoriche (cosiddette acque di prima pioggia) rispetto a quelle che seguono (acque di seconda pioggia) per il fatto che i potenziali inquinanti presenti sulle superfici sono dilavati dalle prime acque che rappresentano l’evento meteorico mentre le successiva acque meteoriche, fatti salvi alcuni casi specifici, si considerano comunque come non inquinate. Analizzando quanto descritto sopra, si evince come il tutto possa essere considerato come piuttosto aleatorio (grado di inquinamento delle acque meteoriche, quali superfici debbano essere considerate nelle valutazioni ecc) e risulta quindi necessario trovare dei riferimenti normativi specifici che possano indirizzare i gestori di stabilimenti produttivi (industriali, artigianali) nella gestione delle acque reflue meteoriche dilavanti le proprie superfici. Il principale atto normativo in materia di gestione e smaltimento di acque reflue è, come per numerosi altri aspetti ambientali, il D.Lgs.152/2006 (Testo unico Ambientale). In particolare la disciplina delle acque è trattata alla Sezione II della Parte Terza; Qui, all’articolo 74 sono definite le varie tipologie di acque reflue: · Acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche; · Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;
  • 12. · Acque reflue urbane: acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato; Come si evince, nell’insieme delle definizioni di cui all’articolo 74 non vi è una precisa definizione delle acque meteoriche, che sono invece richiamate all’articolo 113, dedicato alle “Acque meteoriche di dilavamento” e alle “Acque di prima pioggia” dove si specifica quanto segue: A. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere del Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio disciplinano le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate [1] ed i casi in cui richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione; B. Le Regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari casi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici; C. E' comunque vietato lo scarico di acque meteoriche nelle acque sotterranee; D. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 (Punto A)non sono soggette a vincoli o prescrizioni. L’articolo 113 restringe quindi il campo di interesse alle “acque meteoriche di dilavamento”, ossia acque meteoriche che dopo aver dilavato superfici (coperte o impermeabilizzate) si riversano in differenti corpi recettori (escluse le acque sotterranee). La normativa nazionale demanda quindi alle singole Regioni, la regolamentazione specifica delle acque meteoriche di dilavamento, con specifico riferimento alla “regolamentazione delle forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate” e, ove le immissioni siano “effettuate tramite altre condotte separate”, la possibilità di sottoporle “a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione”.
  • 13. Lo stesso articolo 113 riporta, in progressione, la previsione che “Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici”. Per l’analisi del concetto di “acque di prima pioggia” si deve quindi fare riferimento alla normativa Regionale e peraltro, la prima legge che aveva affrontato affronta l'argomento delle acque meteoriche in modo esplicito fu la Legge Regionale della Lombardia n°62 del 27 maggio 1985, relativa alla "Normativa sugli insediamenti civili delle pubbliche fognature e tutela delle acque sotterranee dell'inquinamento", dove per la prima volta comparve la definizione di "acque di prima pioggia". Sempre con riferimento alla Regione Lombardia, il Regolamento Regionale n°4 del 24 marzo 2006 disciplina in modo specifico e dettagliato la gestione delle acque meteoriche di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne. Tale Regolamento ribadisce e definisce: · Evento meteorico: una o più precipitazioni atmosferiche, anche tra loro temporalmente distanziate, di altezza complessiva di almeno 5 mm, che si verifichi o che si susseguano a distanza di almeno 96 ore da un analogo precedente evento; · Acque meteoriche di dilavamento: la parte delle acque di una precipitazione atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti; · Acque di prima pioggia: quelle corrispondenti, nella prima parte di ogni evento meteorico, ad una precipitazione di 5 mm uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di raccolta delle acque meteoriche; · Acque di seconda pioggia: la parte delle acque meteoriche di dilavamento eccedente le acque di prima pioggia. · Superficie scolante: ’insieme di strade, cortili, piazzali, aree di carico e scarico e di ogni altra analoga superficie scoperta [2], alle quali si applicano le disposizioni sullo smaltimento delle acque meteoriche di cui al presente Regolamento; Il Regolamento prevede in modo esplicito la separazione, l’intercettazione ed il trattamento di una parte rilevante delle acque meteoriche provenienti dal dilavamento di superfici pavimentate (definite come superfici scolanti) a rischio di inquinamento, definite appunto acque di prima pioggia. Questo volume
  • 14. d'acqua [3] è considerato quello con il più alto carico inquinante e quindi necessita di essere raccolto in apposite vasche e trattato in modo adeguato prima di essere inviato al corpo recettore (qualunque esso sia). Numerose altre Regioni hanno provveduto ad emanare regolamenti specifici, in accordo a quanto previsto in materia, prendendo spunto da quanto normato in Regione Lombardia. Oltre alla definizione puntuale degli elementi utili alla quantificazione delle acque meteoriche di prima pioggia, il Regolamento Regionale Lombardo, e analogamente gli atti delle altre Regioni, ove disponibili, ha definito quali superfici debbano essere considerate affinché le acque che su di esse cadono debbano essere assoggettate alla separazione tra acque di prima e seconda pioggia (fissando un criterio quantitativo e uno qualitativo: estensione e tipologia di attività condotta sulle superfici interessate): Superfici scolanti di estensione superiore a 2.000 mq, calcolata escludendo le coperture e le aree a verde, costituenti pertinenze di edifici ed installazioni in cui si svolgono le seguenti attività: 1) industria petrolifera; 2) industrie chimiche; 3) trattamento e rivestimento dei metalli (es. galvanica); 4) concia e tintura delle pelli e del cuoio; 5) produzione della pasta carta, della carta e del cartone; 6) produzione di pneumatici; 7) aziende tessili che eseguono stampa, tintura e finissaggio di fibre tessili; 8) produzione di calcestruzzo; 9) aree intermodali; 10) autofficine; 11) carrozzerie; b) Superfici scolanti costituenti pertinenza di edifici ed installazioni in cui sono svolte le attività di deposito di rifiuti, centro di raccolta e/o trasformazione degli stessi, deposito di rottami e deposito di veicoli destinati alla demolizione; c) Superfici scolanti destinate al carico e alla distribuzione dei carburanti ed operazioni connesse e complementari nei punti di vendita delle stazioni di servizio per autoveicoli; d) Superfici scolanti specificamente o anche saltuariamente destinate al deposito, al carico, allo scarico, al travaso e alla movimentazione in genere delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5 al D.Lgs. 152/1999 (ora abrogato dal D.Lgs. 152/06) (ad esempio: metalli pesanti, solventi organici aromatici ecc).
  • 15. Analogamente alle acque meteoriche di prima pioggia, alcune Regioni (tra le quali la Regione Lombardia) hanno deciso di regolamentare anche le acque meteoriche di seconda pioggia. Il medesimo Regolamento Regionale prevede infatti che la formazione, il coinvolgimento, la separazione, la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque di seconda pioggia siano soggetti alle medesime disposizione qualora provengano dalle superfici scolanti associate alle attività di cui ai punti da 1 a 11 e alle attività di gestione dei rifiuti, ma solamente qualora l’Autorità competente accerti “l’inquinamento di tali acque da sostanze asportate o in soluzione, derivante dal percolamento delle acque meteoriche tra materie prime, prodotti intermedi e finiti, sottoprodotti, rifiuti o quant’altro accatastato o depositato sulle superfici stesse”. Il volume esatto di acqua di seconda pioggia da assoggettare a trattamento è definita dall’Autorità competente a seconda dei casi specifici. Quindi, se non diversamente disciplinate (ossia quando le superfici scolanti non rientrano nel campo di assoggettabilità dei vari Atti normativi Regionali [4], le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne non necessitano di autorizzazione specifica allo scarico e possono essere scaricate in qualsiasi corpo recettore, preferibilmente in corpo idrico superficiale o nel suolo/sottosuolo, previa verifica delle caratteristiche geologiche (sufficiente permeabilità) unitamente alle restanti acque meteoriche di dilavamento, al fine di non gravare sugli impianti di depurazione consortili. Nel caso di complessi produttivi esistenti, e spesso piuttosto datati, la maggior parte delle reti di raccolta delle acque meteoriche di dilavamento convoglia i reflui direttamente in fognatura e risulta quindi economicamente poso sostenibili la creazione di reti dir accolta separate. Attente valutazioni delle reti di raccolta, dove disponibili, consentirebbero comunque una riduzione parziale dei volumi di acque meteoriche di dilavamento convogliate in fognatura, mediante intercettazione di reti pluviali e realizzazione di pozzi perdenti o di tratte di condotte in subirrigazione (in presenza, ad esempio, di aree verdi quali aiuole). Qualora invece le superfici scolanti dovessero essere assoggettate ai vari Regolamenti Regionali, le acque meteoriche di dilavamento saranno soggette alla separazione delle acque meteoriche di prima pioggia, alla loro raccolta separata in idonee vasche (dette anche vasche di prima pioggia) e quindi convogliate ai
  • 16. recettori finali. Diversamente dalle acque meteoriche, il recettore finale dovrebbe preferibilmente essere la fognatura in quanto a valle di questa sono comunque presenti ulteriori presidi depurativi (depuratori) e, in assenza di essa, (ad esempio nel caso di insediamenti isolati) il suolo o eventualmente il corpo idrico superficiale. Lo scarico delle acque di prima pioggia soggette alla separazione dalle specifiche norma regionali, necessita sempre di Autorizzazione specifica (rilasciata dagli Uffici d’Ambito, previo parere tecnico degli Enti gestori nel caso di scarico in fognatura, oppure dalla Provincia nel caso di scarico sul suolo o in corpo idrico). Di seguito si riporta uno Schema di flusso riepilogativo:
  • 17. (Articolo di Amedeo Arosio) Fonte:puntosicuro.it