Tesi liceale sull'esistenza, un percorso filosofico ed introspettivo per concepire meglio l'esistenza individuale e la sua fragilità, nonché la sua potenza.
La scheda del libro consigliato da Giuseppe Zollo: "Metamorfosi" di OvidioComplexity Institute
Scheda del libro consigliato da Giuseppe Zollo: "Metamorfosi" di Ovidio al Complexity Literacy Meeting organizzato dal Complexity Institute ad Abano Terme dal 18 al 20 novembre 2016
Tesi liceale sull'esistenza, un percorso filosofico ed introspettivo per concepire meglio l'esistenza individuale e la sua fragilità, nonché la sua potenza.
La scheda del libro consigliato da Giuseppe Zollo: "Metamorfosi" di OvidioComplexity Institute
Scheda del libro consigliato da Giuseppe Zollo: "Metamorfosi" di Ovidio al Complexity Literacy Meeting organizzato dal Complexity Institute ad Abano Terme dal 18 al 20 novembre 2016
Il treno e le sue interpretazioni:
- Arte: dalla pittura di denuncia sociale alla Metafisica;
- Letteratura inglese: l suo impatto ambientale ( “I like to see it lap the miles” di Emily Dickinson);
- Beni culturali: La stazione-museo d’Orsay, un nuovo punto di incontro;
- Storia: la varietà di funzioni del treno (da icona del progresso a mezzo di deportazione);
- Letteratura italiana: Il treno nell’immaginario letterario di Carducci e Pirandello;
- Filosofia: la fiducia nel progresso, il Positivismo
La sintesi della mia tesina per gli esami di Stato per il diploma di liceo classico.
Sviluppa il tema del progresso dell'uomo che nella storia è sfociato in regresso sia dal punto di vista sociale che culturale e scientifico.
Il treno e le sue interpretazioni:
- Arte: dalla pittura di denuncia sociale alla Metafisica;
- Letteratura inglese: l suo impatto ambientale ( “I like to see it lap the miles” di Emily Dickinson);
- Beni culturali: La stazione-museo d’Orsay, un nuovo punto di incontro;
- Storia: la varietà di funzioni del treno (da icona del progresso a mezzo di deportazione);
- Letteratura italiana: Il treno nell’immaginario letterario di Carducci e Pirandello;
- Filosofia: la fiducia nel progresso, il Positivismo
La sintesi della mia tesina per gli esami di Stato per il diploma di liceo classico.
Sviluppa il tema del progresso dell'uomo che nella storia è sfociato in regresso sia dal punto di vista sociale che culturale e scientifico.
La presentazione è una libera rielaborazione dei capitoli su Hegel dei testi di Brandolini,
Debernardi, Leggero, Simposio vol 2, Laterza e di Sacchetto, Desideri, Petterlini,
L'esperienza del pensiero vol 4, Loescher.
Ontologia dell’opera d’arte mah…essere per la salvezza dell’essere significa essere per la salvezza dell’arte? E l’opera d’arte aiuterà l’essere a salvarsi? Mah… solo l’opera d’arte ci può salvare? E solo l’arte salverà l’essere o il mito ontoteologico della salvezza della mondità? Solo l’arte ci potrà salvare? Solo il mito dell’opera d’arte può salvare il mito delle muse della poiesis o dell’ontopoiesis? Ma l’arte è anche la salvezza del musagete, quale essere divinità che si dà all’arte o dà all’arte la fondatezza del mito? O che disvela con l’arte l’ontologia ontopoietica dell’opera dell’esser-arte-nella mondità come nella mondanità, o esser-arte-per-la-morte dell’arte…  Già nelle origini della ermeneutica poetica la mimesis disvela la fondatezza della physis: aldilà della classicità simulativa, imitativa, clonante, tautologica, la mimesis quale apprensività attraverso lo sguardo, cattura con la vista, con gli occhi l’essere che si disvela nella sua physis. E’ l’esserci che com-prende contemplando l’eventuarsi della physis dell’essere, della natura dell’essere, dell’essere-nella-mondità. E’ la mimesis del disvelarsi dell’essere poetante…o l’ontologia dell’icona della physis quale ontologia dell’ikona dell’essere nel mondo. O l’ontologia della temporalità della physis che si disvela nel mondo quale spazialità immaginaria nella radura immaginaria ove s’eventua quale opera d’arte immaginaria… anzi l’ontologia fluttuante dell’essenza dell’essere poetante dà senso e dà alla luce la physis, non la imita o la modella o la ricorda, la divela quand’era abbandonata nell’oblio dalla fuga precipitosa degli dei epistemici, mitici, tecnici, ontoteologici quali il deus ex machina, la macchina poetica aristotelica. E’ indispensabile intraprendere gli studi e le ricerche dell’ontologia dell’opera d’arte, giacchè nel nuovo millennio tutte le configurazioni del sapere epistemico, ma anche le ontologie ermeneutiche, hanno evidenziato i propri confini aldiqua dell’essere-opera-d’arte, per concentrarsi solo sull’ontica, sulle entità narrate o sulle superentità ontoteologiche. L’epistemica dell’opera d’arte si è confinata nella sua ortogonalità calcolante, l’interpretanza ermeneutica ed intenzionale non si cura di offrire una fondatezza né alla nuova epistemica, né alla matesis virtuale, né alla physis immaginaria, né alla temporalità ontologica, men che mai dà fondamenta stabili alla struttura ontologica dell’opera d’arte. Solo il pensiero della disvelatezza resiste, o persiste nella sua re-esistenza, sostenuto dalla sua struttura ontologica fondata sull’essenza dell’essere-opera-d’arte-nel-mondo-per-la-morte. Ma la sua origine, o originalità o singolarità, non dispiega la sua pregnanza oltre la soglia del pensiero poetante che contempla poeticamente l’opera d’arte o la interpreta infinitamente nella temporalità kairos-logica più tosto che cronologica. Per raggiungere anche i sentieri interrotti della physis poetante dell’opera d’arte e quindi anche la fondatezza non tecnica della teknè, o il fondamento non epistemico dell’epistemica, la physis dell’opera d’arte si dovrà eventuare nella struttura ontologica dell’essere animati, aldilà dall’essere solo opera inanimata, per gettare le fondamenta nella radura, nel vuoto quantico epistemico, della topologia fluttuante dell’essere opera d’arte che si dà alla mondità per inter-essere o inter-esserci opera d’arte dell’essere animato che getta quale icona dell’essere-nel-mondo-della-morte-dell’arte. Può l’ontolgia dell’opera d’arte raccogliere gli eventi gettati nel sentiero dell’essere ed intraprendere la biforcazione dell’oltre che conduce alla radura, alla spazialità topologica sgombra dalle temporalità epistemiche o anche ermeneutiche, per approdare alla libera luce senza fondo, senz
Un excursus su decadentismo e simbolismo, con uno sguardo più aperto sulle realtà dell'epoca. Un powerpoint adatto allo studio e alla spiegazione dell'argomento in questione.
Ulixe. Il lungo cammino delle idee tra arte, scienza e filosofia.Fausto Intilla
Solo in tempi assai recenti (storia contemporanea) si è riscoperto — poiché già noto in tempi antichi, quando ogni ambito della sfera umana si inseriva in uno stesso disegno, percepito da tutti con un profondo “senso del divino”; ovvero prima dell’era cartesiana — il sublime nesso tra tutte le cose presenti nel grande regno della realtà, che ci consente di visualizzare meglio ogni sottile collegamento tra tutto ciò che siamo sempre stati abituati a scindere, a suddividere in compartimenti stagni, ai quali abbiamo dato il nome di Arte, Scienza e Filosofia. Il tentativo di quest’opera, è dunque quello di esporre alcuni punti di partenza dai quali, seguendo percorsi diversi, si arrivi a un unico obiettivo: intravedere l’immagine di una realtà unitaria, dove tutto il sapere e l’operato umano, rivelino (seppure in termini metafisici ed astratti) la loro sottile interdipendenza con la natura dei nostri stessi sensi (filtri irremovibili e dai benèfici risvolti di stampo darwiniano), istinti ed emozioni.
1. Ora che la rassegna testuale è compiuta, siamo in grado di riconoscere come fulcro possibile dei Canti Orfici
il “problema ermeneutico” dell’Io dinanzi all’Essere del mondo. Campana è un poeta ossessionato
dall’esistenza di tutte le cose: il vero “mistero” non è la morte ma la vita, non l’invisibile ma ciò che “è”, che
si vede e continua ad esserci e a vedersi, prescindendo dalla volontà di chi lo guarda. L’evidenza oggettiva e
incancellabile del reale è un’alterità che il soggetto è chiamato a fare propria. L’altro-da-sé, infatti, può
diventare una minaccia se non lo si “riduce” (adattandolo) alla propria misura. Dinanzi a qualcosa di esterno
e di estraneo la nostra mente raziocinante prova il bisogno insopprimibile di com-prendere, e subito
inavvertitamente comincia a “tradurre” l’oggetto sulla base di ciò che conosce, a tessergli intorno una
ragnatela bavosa di schemi, pregiudizi, stereotipi... in breve, facciamo dell’“altro” uno specchio di noi stessi,
un fantasma della nostra identità. È questo processo di riduzione dello sconosciuto al noto e del diverso
all’uguale che fonda e permette la “percezione”. La percezione è l’«interpretazione di un complesso di
sensazioni che rappresentano un determinato oggetto» (1), dunque è qualcosa in più della sensazione, dal
momento che «contiene sia la concezione dell’oggetto percepito, sia la convinzione immediata e irresistibile
dell’esistenza e della presenza dell’oggetto» (2).
La percezione è una sensazione oggettivata, riguarda la sfera semantica della ricezione dei dati della
coscienza. Se ciò è vero per ogni uomo, lo è ancor di più per l’uomo occidentale, la cui cultura si fonda
proprio sul “conferimento di senso”. Nei Canti Orfici, lo abbiamo visto, c’è in atto un continuo esercizio
della logificatio post factum. Campana (cioè l’Io poetico che lo rappresenta) è impegnato a leggere e a
tradurre per sé le caratteristiche qualitative e le relazioni ambientali degli oggetti, a decidere il senso dei
fenomeni (passati o presenti) del Mondo.
Va da sé che la lettura del libro del mondo fatta da un poeta sarà diversa (divergendo le motivazioni dello
sguardo e l’approccio mentale all’oggetto) rispetto a quella fatta da un biologo o da un fisico. La poesia
traccia ponti connettivi, lega universi distanti in reti di analogie, chiama a riposare in una intimità esterna ed
essenziale (il testo) svariati livelli del reale o del possibile. È una lettura organizzata secondo leggi
fantastiche, il cui risultato non chiede di (né può) esser sottoposto alle verifiche del Logos (giacché è il
Mytos che lo produce), a razionalistiche dimostrazioni di fondatezza: la poesia non è un’equazione o un
teorema. Tuttavia, in senso lato, sempre di “lettura”, di traduzione umana, si tratta. Poeta o scienziato, non
varia la situazione di base: da una parte l’uomo con il suo perenne “stare dinanzi” ai fenomeni, con il suo
apparato sensoriale e percettivo, con il suo bagaglio di cultura; dall’altra uno sconfinato e incolmabile
divario di alterità (il Mondo) da ridurre a possesso e conoscenza.
Lo sguardo di Campana, del poeta Campana, scorre sul mondo misurandone i fenomeni, ma non si
accontenta della traduzione. Ogni lettura del mondo è sempre “traduzione”, sempre ad ogni modo seconda e
infedele. Di ogni essere e di ogni accadimento riusciamo a cogliere soltanto l’epifenomeno, non il fenomeno
in sé, nella sua integra essenza, nella sua intraducibile diversità. Campana sembra accettare e accogliere il
fenomeno proprio per oltrepassarlo: in realtà non cerca un “al di là” del fenomeno stesso; vuole piuttosto
sfuggire all’inganno dell’epifenomeno, alla parzialità della traduzione. Un modo per allentare i vincoli
abituali della percezione (mandando in tilt i circuiti logici che la realizzano) può esser quello di estenderla a
dismisura: sia utilizzando il potere astrattivo del ricordo (la rêverie), sia scompigliandone liberamente i dati
in una rielaborazione fantastica (la voyance). In entrambi i casi si attua un processo di straniamento della
realtà che permette al poeta di eludere la tipica condizione esperienziale dell’uomo, di uscire dal “carcere”
che magari altri accetta senza problemi ma che a lui, spirito sensibile di poeta e nomade, procura tormento,
coscienza di prigionia, brama di libertà.
Fuggire dal tempo e dallo spazio: dai limiti del principium individuationis che inchioda l’uomo al
presente di un solo luogo, che lo costringe alla “rappresentazione” del mondo (avere ogni cosa a fronte,
esserne separati da questo stare a fronte), che lo esclude dal vero accesso all’intimità dei fenomeni. Ma
grazie alla poesia (noi lettori e il poeta che scrive) possiamo infrangere le barriere e abitare nell’essenza del
mondo, liberandoci dal ludibrio delle apparenze e dal peso della condizione umana. La poesia è sacra, dice
Bataille, perché ci proietta fuori di noi, laddove «la morte non è più l’opposto della vita» (3). Scrivere un
2. testo significa possedere un mondo. Leggere un testo significa misurarsi con ciò che esso è e dice,
riconoscersi nel mondo che propone, essere se stessi fuori di sé, trasformarsi, divenire altro. La finzione e
l’intreccio fantastico sono armi formidabili di cui l’arte si serve per liberarsi dallo scorrere fenomenico del
tempo e sconfiggere il “senso di realtà”. E questo vale tanto più per il cinema: non a caso, come nota
Fiorenza Ceragioli, Campana costruisce i Canti Orfici secondo un’ottica cinematografica (e si ricordi che il
titolo originario de La Notte era “Cinematografia sentimentale”).
Campana conosce tre gradi fondamentali di percezione.
Il primo è quello della normale sensorialità, in cui egli può esercitare le sue facoltà raziocinanti: scrive ciò
che vede e ne decide il senso. Funzionano solo gli occhi fisici collegati alla “ratio”, è chiuso e spento
l’occhio interiore: sullo “schermo” dell’opera scorrono solo le rappresentazioni del “visivo”, i fenomeni del
mondo nella loro apparenza consueta, normalmente tradotti da un soggetto che li percepisce.
Il secondo è agli antipodi del primo ed è quello della percezione extrasensoriale, che chiameremo
“rêverie completa”: il poeta si astrae del tutto dal cronotopo presente e si abbandona al flusso delle immagini
risorgenti dal passato della propria vita o della Storia, o dall’eterno del Mito. Gli occhi fisici sono disattivati,
funziona solo quello interiore: sullo “schermo” dell’opera scorrono solo le figure del “visionario”, i fenomeni
del mondo trasfigurati, alleggeriti di magica chiarezza oppure appesantiti di violenza d’incubo, comunque
deviati dall’apparenza normale.
Il terzo sta a metà fra gli altri due, ed è quello di una percezione mista, che chiameremo “ rêverie
imperfetta”: il poeta (perché non ha raggiunto la giusta disposizione d’animo oppure perché l’oggetto non era
abbastanza coinvolgente) non si concede del tutto all’astrazione: gli occhi fisici continuano a vedere ma
acquistano in parte la qualità dell’occhio interiore. In questo caso sullo “schermo” dell’opera scorrono le
rappresentazioni del “visivo” campaniano, cioè incendiate di ebbrezza: i fenomeni del mondo emettono un
alone fantastico, sono letti in chiave visionaria. La voyance è più vistosa e frequente in questo grado
intermedio, dove c’è contrasto diretto (e mistione spuria) fra “visivo” e “visionario”: pura visività e pura
visionarietà sono universi incontestati (anche alla “rêverie completa” dopo un po’ ci si abitua come a
dimensione affatto normale).
La disposizione campaniana nei confronti della realtà è dunque “visionaria”. Egli parte da un gusto visivo
di matrice naturalistica, ma sovraccarica ben presto di tensione le “rappresentazioni” oggettive del visibile,
fino ai limiti del visionario. La descrizione non fa quasi in tempo a rivelarsi che subito il poeta la
scompagina, la sproporziona, la cauterizza al calor bianco, la fa esplodere in timbri febbrili, la folgora in
lampi di luce metafisica, la inonda di magma viscerale, le inocula il virus della trascendenza. Gli oggetti
dello sguardo vengono allontanati dalla resa naturalistica, straniati, approfonditi, trascinati oltre i confini
dell’apparente.