Racconti: Caporalato un male da estirpare - De Sanctis Manduria
1. Caporalato: un male da estirpare
Mohamed aveva trascorso tutta la sua vita tra i campi, combattendo la fame e la povertà in
una delle zone più desolate dell’intero continente africano, il Sudan. Proprio lì viveva con la
sua famiglia da tantissimi anni ma da qualche settimana balenava nella sua mente la
decisione di abbondare l’adorata terra natìa in cerca di un futuro migliore, da poter riservare
e assicurare alla propria famiglia. Diversi suoi amici erano fuggiti dal Sudan, mesi addietro,
in cerca di fortuna in Europa e Mohamed voleva seguire le loro stesse orme.
Raggiunte le coste libiche, affidò la propria vita ad uno dei cosiddetti “traghettatori di vite
umane”, pur di ottenere un viaggio verso l’Occidente.
Quella traversata dalla durata di pochi giorni gli apparve infinita, condividendo quel misero
posto su un’imbarcazione tutt’altro che sicura con altre centinaia di persone, tutte lì mosse
dallo stesso obiettivo di miglioramento sociale.
Mohamed, in quella fatidica circostanza, ebbe l’occasione di pensare a quanto avesse fatto
di costruttivo nella sua vita, cominciando a nutrire infondati dubbi sulla sua decisione di
lasciare il Sudan. In fondo si trattava di dubbi, o meglio di paure, riguardo il futuro ancora
sconosciuto. Ma ora aveva l’occasione della sua vita. Ora.
Appena raggiunte le coste leccesi, trovò impiego come bracciante in una masseria in
campagna e, inizialmente, tale lavoro gli apparve come un vero e proprio miracolo.
I suoi datori di lavoro gli fecero subito visitare la struttura, appena ristrutturata, immersa tra
decine e decine di alberi d’ulivo, maestosi nella loro grandezza, introducendolo alle
mansioni più elementari. Dalla terrazza della masseria era facilmente visibile il mare,
limpido e cristallino, distante pochi chilometri, su cui si specchiava l’accecante sole estivo.
La mattina seguente conobbe i suoi colleghi di lavoro, tutti sulla quarantina, dai volti
sciupati e malinconici come a preannunciargli la difficoltà della loro condizione lavorativa.
Arrivò, così, per Mohamed il primo giorno di lavoro: il caldo estivo e soprattutto
l’adrenalina che aveva in circolo, lo indussero a togliersi la maglietta che aveva addosso,
iniziando ad arare la terra lontano dall’ombra degli ulivi. Il sudore tratteggiava la sua fronte,
divenuta di color rosso fuoco per lo sforzo immane.
Il lavoro agricolo sottraeva tutta l’energia possibile ai già stravolti contadini, che non
potevano contare su nessuna forma di tutela sociale, dal momento che non vi era nessun
contratto lavorativo in grado di tutelare la loro condizione.
A questa difficilissima situazione si aggiungeva, inoltre, la severità dei datori di lavoro che
controllavano qualsiasi loro azione: chiunque si fosse ribellato, forse, non avrebbe più
lasciato quella terra.
Il suo fragile corpo cominciava a mostrare i primi segni di cedimento; d’altronde Mohamed
non si era mai sottoposto ad una visita medica di medicina del lavoro e, pertanto, non era
ben consapevole dei rischi che stava correndo. Ma doveva farcela a tutti i costi: cercava il
riscatto personale, oltre che per la terra natìa, il Sudan.
2. Ma quel sogno fu infranto durante un’assolata mattinata di agosto, quando la vita di
Mohamed fu stroncata da un infarto, mentre raccoglieva pomodori, sotto il sole dell’ora di
punta, quello delle 13.
Quando giunsero i soccorritori lo trovarono accasciato al suolo, con la zappa che aveva
rappresentato l’elemento del suo prossimo riscatto sociale, adagiata sulle spalle, e sullo
sfondo, un mare meno splendente del solito.