1. AVREI DOVUTO
Non avevo avuto neanche il tempo di incassare lo stipendio che mi ero già fiondato
in agenzia viaggio ad organizzare quella vacanza che, a poco a poco, stava
prendendo forma. Erano stati anni duri, specie dopo la nascita della bambina che
aveva scombussolato la mia routine. Ma il peggio era passato: mia moglie aveva
trovato un nuovo equilibrio ed io avevo ottenuto una promozione che ci garantiva
maggiore stabilità economica.
La mia mansione principale era l’utilizzo del martello pneumatico adibito alla
perforazione della roccia e delle strutture in calcestruzzo. Era un lavoro pericoloso
che, tuttavia, svolgevo senza protezioni di sicurezza; il proprietario dell’azienda
ripeteva sempre: “Se le cose devono succedere, succedono comunque”, ed io,
ingenuo, concordavo con tali considerazioni. Bastava lavorare concentrati, “avere i
riflessi pronti”, evitare situazioni che potevano mettere a repentaglio la propria vita.
Noi operai facevamo di tutto per assecondare l’imprenditore. Terminare in fretta i
lavori di costruzione gli consentiva di ottenere maggiore credibilità ed essere così
contattato per progetti successivi. A me i soldi servivano: la stanza della bambina
non era ancora completamente arredata e avevamo intenzione di mettere alla luce
un altro figlio. Avevo da tempo pensato ad una vacanza che potesse allentare lo
stress accumulato negli anni ed aprire un nuovo, forse migliore, capitolo della nostra
vita.
Tuttavia il destino aveva progetti diversi in mente: lavoravo senza sosta da ore,
irritato dalle grida del mio superiore, preoccupato di non concludere i lavori di
costruzione entro i tempi previsti. Il martello pneumatico da tempo non rispondeva
ai miei comandi, richiedendo continui interventi manuali allo scopo di modificarne la
traiettoria. La perforazione della roccia stava incontrando numerose difficoltà,
legate anche al ritrovamento, durante gli scavi, di reperti archeologici che venivano
in parte distrutti nel corso della perforazione, in parte trafugati, per il mancato
coinvolgimento della Soprintendenza per i Beni Culturali.
Ero intenzionato a concludere il mio compito in tempo quando, improvvisamente, il
martello pneumatico si incastrò tra l’armatura in ferro ed il calcestruzzo. Cercai, con
tutta la forza, di svincolare la punta dello strumento e ci riuscii, ma, nel tornare
indietro, il martello mi fece perdere l’equilibrio: non avevo casco, caddi, sbattendo
violentemente la testa contro i tubi di rame che erano disordinatamente ammassati
a pochi passi da me, schiacciato dallo strumento ancora in funzione.
Sono morto sul colpo. Avrei dovuto avvertire il capo cantiere alla prima avvisaglia di
malfunzionamento, avrei dovuto indossare accessori consoni al mio impiego. Avrei
dovuto dare più valore alla mia vita. Non so se chiamarlo destino crudele, non so se
chiamarlo Dio malvagio. Tanto, il finale non cambia. Io sono morto.