“(...) Una frase ha spezzato l’anima di Giulio Mazzarino, arrogante controller di una multinazionale americana.
Non sono mai riuscito a ricostruire la sequenza degli eventi che mi hanno spinto in questa storia dall’inizio poco edificante. I miei ricordi si fermano al momento in cui siamo stati presentati (da quali amici, non saprei dire) davanti a un cocktail Negroni, in un locale di Brera. Mi sono ritrovato, ubriaco fradicio, nel suo letto.”
Dodici racconti ironici, divertenti, scritti con garbo. Protagoniste quasi assolute le donne, con il loro lavoro e i loro amori, sullo sfondo di una Milano che non si arrende. Imperdibile la prefazione della giornalista e scrittrice Laura de Laurentiis.
3. Tutti i diritti riservati
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inesattezze.
GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online
Viale Regina Margherita, 41 – Milano
1° edizione Giugno 2013
Progettazione grafica a cura di Claudia Pedretti
Fotografie di Frank Corto Maltese
4.
5.
6. A mia mamma Etta, a mia nonna Celestina,
alla mia bisnonna Carolina e alle mie antenate
che si perdono nella notte dei tempi
7.
8. MiaoMiao pag.1
Illicenziabile pag. 9
Il Piatto pag.17
La Signora Pasotti pag.25
Senza Tavor pag.31
Fuori Controllo pag.39
Change pag.47
Sacro e Profano pag.55
Distanze pag.63
Il Tossico pag.71
Nuovi Eroi pag.79
Nero pag.87
Tilde Dixit
Indice
14. Non sono bella. Piccola, grassottella, viso ba-
nale, capelli ricci, di quel riccio crespo e ruvido
che li rende praticamente ingestibili, passi per
il pettine, ma neppure le taumaturgiche dita di
Rolando riescono a districare la foresta amaz-
zonica che mi ritrovo sulla zucca. Un dramma
tricologico. Le chiome sono il mio cruccio, più
ci penso più capisco che l’unica soluzione sareb-
be quella di raparmi a zero. Con la testa liscia
come un uovo, potrei intraprendere la carriera
monastica ma, il mio carattere indulgente (nei
confronti di me stessa), rifugge come la peste,
le scelte che impongono sacrifici e drastiche ri-
nunce.
Non ci sono dubbi, sono quella che qualsiasi so-
ciologo attento, e sottolineo attento, inserirebbe
nella categoria “Scialbe senza speranza”. Il mio
guardaroba, un guazzabuglio demodé di gon-
ne e camicette in stile collegiale, tweed vecchia
Inghilterra per intenderci, certo non mi aiuta a
risplendere, ma sono pigra, detesto trascinarmi
da un negozio all’altro alla ricerca di vestitini,
cloni mal riusciti di quelli sfoggiati da indossa-
trici dal muso lungo sulle passerelle di Milano
moda.
Ho qualche specialità, no, mi sbaglio, una sola:
sono una vera, unica, autentica gattamorta. Una
di quelle femmine doc che hanno il potere di
mandare fuori di testa gli uomini, di farli im-
pazzire e strisciare ai propri piedi, con grande
invidia del restante universo femminile. Come
la gatta si finge addormentata per lasciare av-
vicinare il topolino e, quando il misero meno
se lo aspetta, gli sferra la zampata che lo impri-
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15. giona, così mi fingo placidamente immobile,
assente e accalappio il maschio senza che abbia
modo di fiutare in tempo il pericolo. Facile, in
apparenza. Chi crede che la gattamorta sia una
specie ormai estinta, come il bisonte ungherese,
spazzata dall’implacabile teoria evoluzionistica,
sostituita da bellone scollacciate madre natura
ama mantenere un certo equilibrio si sbaglia di
molto. Lo tsunami del femminismo negli anni
settanta, ci ha, effettivamente, travolto e deci-
mato, ma siamo sopravvissute, pochi esemplari,
come la foca monaca, e ognuna con un suo ter-
ritorio di caccia.
Essere una gattamorta non è semplice, non ci si
improvvisa. In parte è un dono di natura, una
piccola variazione casuale del DNA, in parte è
studio, applicazione, duro lavoro e rigorosa di-
sciplina. Nulla deve essere lasciato al caso, se
si vuole praticare quest’Arte raffinata, volta all’
esaltazione della più stucchevole femminilità:
sguardo mansueto, voce mielosa, frasi ammic-
canti, toni allusivi, nulla di esplicito insomma
nella comunicazione, anche quando il linguag-
gio è solo quello dei gesti. Da qui, l’imperativo
categorico di spostarsi nel mondo con passo fel-
pato, una grande fatica.
La nostra musa, il nostro nume tutelare, il no-
stro archetipo? Lei, ovviamente: Penny, meglio
conosciuta come Penelope, sposa di quell’Ulisse
che, da grande Uomo qual era, un giorno decise
di allontanarsi dal talamo nuziale per qualche
tempo, venti anni per la precisione, non disde-
gnando, durante l’assenza, di farsi distrarre dalle
libertine dell’epoca, alcune della quali anche sci-
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16. volose dalla vita in giù.
Penny si disperava, in apparenza, versava fiumi
di lacrime, ma senza per nulla vagheggiare l’i-
dea di rincorrere per l’Egeo lo sposo gaudente.
Esorcizzava il dolore dell’abbandono, giocando
alla gattamorta con 108 proci. Sicuramente, fa-
vorita da una bellezza strepitosa, le era toccato
sfoderare anche una determinazione e un’astu-
zia non comuni: circa undici decine di rudi pre-
tendenti, non sono uno scherzetto. Non è dato
da sapere se la fedeltà sia stata una sua dote pe-
culiare, come la tradizione racconta, le autenti-
che gattemorte, sul tema, sono tombe.
Grande Penny, ci manchi.
È grazie alla mia gattamortaggine che ho fatto
carriera in redazione. Con il mio cervello, quel-
lo di una capra, non ci sarei mai riuscita. Sono
l’amante del Capo ed eccomi qui, Art Director
della rivista femminile cult del momento, guru
di migliaia di donne giovani e non.
Le colleghe giornaliste mi detestano, sanno del-
la tresca e non me la perdonano. Perché sono
così acide con me? Sono donne intelligenti e
colte, scrivono articoli intriganti, colgono il lato
ironico della vita e lo fissano sulla carta con
una sequenza armoniosa di parole. Le invidio.
Il pensiero di digitare un sms mi provoca l’orti-
caria e attacchi di panico controllabili solo con
benzodiazepine sparate direttamente in vena (
ammesso che si possa ).
Qualche volta, lo confesso, le faccio innervosire
con commenti e richieste assolutamente inutili:
la fotografia è sottoesposta o sovraesposta, l’im-
magine è banale, voglio meno colore, più atmo-
sfera. Sono in grado di proseguire quasi all’infi-
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17. nito con le mie pretese. Non sono cattiva è che,
sul lavoro, mi annoio. In questi giorni in reda-
zione c’è una atmosfera strana, si respirano an-
goscia e nervosismo. Non potrebbe essere altri-
menti, è successo solo una settimana fa. Il Capo
era uscito dalla redazione molto compiaciuto
dei dati che aveva letto sul foglio contenuto
nella cartelletta azzurra. Me lo aveva raccontato
al telefono, gongolava. Era salito in macchina,
aveva fretta, lo aspettavano per il Consiglio di
Amministrazione ma, indifferente al trionfante
risultato dei test clinici, Atropo aveva deciso di
tagliare il filo e il cuore, ubbidiente, si era ferma-
to all’istante. Non aveva fatto in tempo neppure
a infilare la chiave nel cruscotto.
È un dolore grande per la redazione. Il Capo
era una persona deliziosa, conosceva il lavoro
e, dono raro, ascoltava i collaboratori, sempre
disponibile ad abbracciare nuove idee, mai ab-
barbicato alle proprie vedute.
Ora c’è il vuoto. Qualche lacrima scivola sulle
guance delle giornaliste: lo adoravano.
È arrivato Monsieur Jaques Berachà, il super
boss francese, ha partecipato al funerale senza
perdere neanche questa occasione per sottoli-
neare come il giornale sia un’unica grande fa-
miglia globalizzata e ora, dopo il rito dell’addio,
darà l’annuncio.
Il vuoto sarà colmato da Alessandro. Il nume-
ro due, con l’aplomb dei vincenti, s’installerà al
vertice della piramide gerarchica. Ho ascoltato
il bisbiglio delle giornaliste, stanno già pregu-
stando la mia fine, immaginano la imminente
retrocessione ad addetta alle fotocopie, i paria
di qualunque azienda. Senza la protezione del
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18. Capo, mi vedono trasferita nell’ultimo ufficio
del corridoio a languire tra risme di fogli bian-
chi e cumuli di carta stampata e impolverata. A
volte, mi domando come si possa essere così al-
locche. Non sanno che sono incinta.
Di Alessandro, ovviamente.
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21. GiveMeAChance
Editoria Online
Sorrisi in Punta di Coltello
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