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Oltre la notte
Racconto tratto da
Il sapore del pane
di Massimo Folador
Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA
Vorresti uscire nel buio ininterrotto della notte, ma non riesci, chiuso
come sei dentro un guscio fatto di mobili e di quadri, di qualche
carabattola sparsa sul pavimento e di una cucina perennemente in
disordine, rifugio divenuto luogo di pena, simulacro.
Chissà se dietro alle finestre è già estate, se il mondo sa di futuro e di
domani o si sta accartocciando ancora come quando l’hai lasciato. È
trascorso così tanto tempo che ricordi appena l’ultima estate giù al
mare, rallegrata dalle onde e dall’odore di pesce; la tua pelle era arsa di
sole e di sabbia e un’allegria contenuta ma sana ti costringeva ad aprire
gli occhi e a guardare lontano. Avevi un lavoro semplice ma capace di
farti sentire al centro del mondo, perché era il tuo lavoro. C’è chi ha
bisogno di tante suppellettili e di altrettante persone per sentirsi vivo, a
te invece bastava girovagare tra gli ombrelloni, giocherellare sulla
spiaggia con i bambini e chiacchierare a bassa voce con la gente, fare
cioè le piccole cose per cui eri stato assunto. Ti piaceva fare il bagnino
perché erano ore dense di una bellezza minuta, grazie alla quale la sera
avevi mille motivi per sentirti contento. Te ne rendevi conto quando
sprofondavi stanco nella tua poltrona preferita e restavi per ore a
osservare il tempo trascorrere sereno. Soltanto oggi puoi dire di aver
toccato con mano il nome vero di quella che allora chiamavi
stanchezza, ora che fatichi ad alzarti la mattina e la notte sembra
infinita e senza pudore.
Ti piacerebbe moltissimo se l’estate fosse ancora qui, a gironzolare in
punta di piedi dentro questa stanza, magari assieme a lei, sempre così
esuberante e scaltra, ma alla fine ficcata a forza dentro quattro mura
che sapevano soltanto di muffa e di anni.
La ricordi bene, appollaiata al sole come una sirena, di gran lunga la
donna più bella fra tutte le clienti dei bagni, tanto irraggiungibile da
sembrare persino diafana ed eppure capace di starti accanto ogni sera
fino alla chiusura della spiaggia e ogni notte fino al saluto dell’alba.
Giorni che sentivi fluire forti e pieni, ore dentro cui ogni istante pareva
disegnato ad arte e la vita un’immensa passione.
Invece sei qui, solo, a contare i giorni che mancano per arrivare a
niente, una conta al contrario, non più verso il desiderio ma a ritroso,
incontro al passato, segnando tacche scolpite dallo sconforto e dalla
rabbia. Un fare lento e accidioso perché così sono i giorni quando
mancano di speranza.
Quasi per scherzo chiudi gli occhi e riprovi a immaginare lo stesso
cielo e lo stesso mare di allora; è un gioco che hai già tentato cento
volte ma che immiserisce quando s’affaccia la tristezza a colorare le
giornate. Tutto diventa identico e monotono, un vero guaio; non
differiscono i profumi né le stagioni, sempre più austere e brevi e
neppure le illusioni sembrano arrovellarsi o i ricordi vagare distanti. Di
tanto in tanto indovini giusto qualche parola e una manciata di sorrisi
che s’aggrappano ostinati alla clessidra, stanno accucciati tra la sabbia
e il vetro, naufragando e attorcigliandosi quasi dovessero cascare da
un momento all’altro. Provocano, illudono e poi se ne vanno e basta un
attimo perché diventi difficile persino rintracciarli, persi lontano,
dietro alle colline. Così non ti resta altro da fare che riaprire gli occhi,
guardare in faccia lo sconforto e credere che affrontandolo di persona
incuta meno paura.
Sei rimasto da solo ad attendere non sai cosa e per questo è come se
non ci fossi; la tua sta diventando un’esistenza a metà o forse meno
ancora. Quando tiri sera al bar gli amici ti notano appena e solo rare
volte improvvisano un sorriso, di quelli tirati a dismisura e che pare si
spezzino non appena li lasci fuggire. C’è chi s’intristisce, ripensando ai
giorni andati, ma alla fine il ricordo si sovrappone a tutto, mitiga e
quando gli riesce, gioca persino a rimpiattino con le emozioni, cosicché
ogni dettaglio passa in secondo piano e svilisce adagio, camuffato dai
rimorsi.
Il bello di esistere a metà è che poca roba resta attaccata al rancore,
mentre il grosso sbriciola su e giù per la clessidra, una parte a caccia di
rimpianti, l’altra nel tentativo di piangersi addosso. Quello che rimane
assume le forme di un gioco e sembra meno ingombrante, nonostante
il passato sia quasi un macigno e offuschi ciò che potrebbe ancora
avvenire.
Da quando hai perso il lavoro fatichi più del solito a non sentirti solo,
come capita probabilmente a chiunque nella tua situazione. Talvolta
non ti resta che pensare a dove sarebbe bello fuggire, se in una piazza
deserta o in riva al mare, tra mille persone indifferenti o dentro a
quella solitudine perfetta che ogni tanto ti fa compagnia. Via da qui
comunque, dove non puoi che bisbigliare di niente, dove tutto è vero,
persino il suo contrario, i sapori sono soltanto un’accozzaglia di aro-
mi e i colori una tavolozza di chiazze smunte. Lontano da queste mura
ogni altro luogo sarebbe di sicuro più sgargiante e più intenso, le città
si riempirebbero di musica e rumori, vedresti donne alte come colonne,
con il seno prorompente e le labbra rosse capaci di baciare, femmine di
razza che asciugano gli sguardi non appena glieli getti addosso; infine
ci sarebbe il vino di marca e il pesce che ti piace tanto: aragoste,
molluschi, caviale.
Quando si è soli si è costretti a sognare, il primo antidoto alla
disperazione e un rimedio naturale contro l’insonnia. Quello che conta
è costruire i sogni un pezzo alla volta: uno oggi e uno domani, uno di
sera e l’altro di mattina. Bisogna tergiversare quanto basta su quelli più
attraenti, ma senza lasciarsi ammaliare; solo così i sogni resistono
all’usura del tempo e non cessano di illuminare chi a loro si avvicina.
Gli altri invece, quelli bistrattati o elevati al rango di certezza, durano
lo spazio di una notte e il più delle volte spariscono prima ancora che
diventi mattina.
Lei avrebbe dovuto farsi viva invece sei ancora solo; lo capisci dai
pensieri che rimbalzano senza sosta nella stanza e dalla bottiglia di
cognac ormai vuota, dai bicchieri sparsi dappertutto e dalla rabbia che
non accenna a diminuire. Finirai per certo ad aspettarla anche sta-
notte, come ieri, come ti accade da mesi oramai. Attenderai ancora,
fino all’alba, lei o il lavoro poco conta, in fondo sono facce della stessa
medaglia, giri di boa della medesima gara. Soltanto adesso ti rendi
conto di quanto si sorreggono a vicenda, ora che il lavoro è terminato
da un pezzo e ha trascinato nell’indifferenza tutto ciò che gli danzava
accanto.
Peccato però, perché ci sono mattine in cui senti la vita scorrerti
addosso come un tempo, momenti in cui è intrigante scrutare il cielo
mentre esplode di colori e provare la sensazione ineffabile di essere lo
spettatore non pagante di un privilegio. L’alba è come la vita: non si
cattura facilmente, ma dura abbastanza da poterti ricompensare, anche
quando hai ingolfato il letto di singhiozzi e tutto passa dalla testa,
fuorché la voglia di ricominciare.
Comunque sei solo, alba o non alba lei non arriverà neppure stanotte e
tu ti sei di nuovo illuso.
È vero, sembra che oggi faccia meno male: non senti il respiro affossato
dalla rabbia e neppure le forze sembrano ridotte al lumicino. Certo, ti
senti addosso lo sconforto di sempre che ti fa sprofondare come un
cuscino nella poltrona, ma è già un risultato grande rendersene conto,
così come è importante non farsi sopraffare dalla voglia di scappare.
Sono entrambe un buon inizio per guardare il mondo con occhi
diversi; quando c’è di mezzo una separazione non è cosa da poco
sapersi ritrovare, fosse tutto più semplice l’avrebbero chiamata in un
modo diverso, invece il nome pare tedesco e non lascia troppo spazio
alla speranza.
Certo, sarebbe bello poterla comunque rincontrare, magari nel pieno di
un tramonto, aggrappata a un pezzo di cielo rosso come un mantello o
la mattina presto, all’alba, quando la giornata vive di magia. Ti sembra
già di vederla con il volto sorridente, i capelli biondi arruffati sulle
spalle, il naso a punta e le gote rossicce e di ammirare i suoi vestiti,
specie i talleur amaranto, forse un poco più magra rispetto all’ultima
volta ma un pizzico appena, giusto quanto basta per sentirsi più bella.
Chissà se farà finta di non vederti e girerà le spalle come l’ultima volta
o se invece ti fisserà dall’alto del suo volto perfetto per dirti che il
tempo gioca a suo vantaggio. Con il passare degli anni la gente cambia,
c’è chi invecchia persino, specie quando ha trascorso troppi giorni ad
aspettare; non ti riconoscerà di sicuro o almeno farà finta, tanto un
uomo inghiottito in un tramonto spesso corre il rischio di apparire più
vecchio.
Peccato però non sia arrivata neppure stanotte e tu insista a guardare
la vita da dietro i vetri, a inseguire una storia che si ripete da troppo
tempo. Volevi lei e un lavoro simile a quello che hai fatto per anni, ma
l’attesa è stata vana e tu non puoi rimanere in eterno alla finestra ad
aspettare.
Oggi, al culmine di una corsa che sembra arrivata al capolinea, puoi
solo rimboccarti le maniche e provare a cambiare; questi mobili sono
troppo laccati e scuri per sopportarli ancora, troppo ingombranti. È
merce consunta di chi passa per le case a ritirare l’usato, mentre
sarebbe opportuno gettarlo e le rughe che intravedi nello specchio
sono troppo profonde, quasi volto d’altri, sindone. Basta, basta, basta;
è ora di tornare a guardare lontano, di lottare.
Ti allontani dalla finestra e vai verso la cucina a preparare l’ennesimo
caffè. È buffo, eppure ti viene quasi voglia di sorridere adesso, di
inventare un sorriso pieno di sarcasmo e di malinconia, ma pur sempre
allegro e sicuro. Capita quando si tocca il fondo e non resta altro di
meglio da fare, quando riprendi a credere che il destino non sia ciò che
scorre casualmente tra le pagine di un giornale e nemmeno cosa d’altri
su cui indugiare soltanto quando conviene. Ciò che accadrà domani è
un insieme di attimi e di fatti quotidiani, tanto minuscoli da sembrare
lontani, ma ora così enormi da apparire fin troppo vicini. Per questo
anche ripulire una spiaggia o giocare a biglie con dei bambini è
destino: è l’unico pezzo di vita su cui puoi contare, quello per il quale
oggi potresti provare nostalgia o domani rimorso.
Chissà lei cosa direbbe vedendoti sprofondato in una poltrona di finta
pelle, con lo sguardo perso e la bottiglia di cognac tra le mani;
sfoggerebbe di certo quello sguardo di commiserazione che non riesci
a sopportare, a labbra serrate, in grado di far tacere ogni parola e di
confondere la gioia con l’ironia. Adesso però tocca a te ridere a
squarciagola, a più non posso, come ti capitato di fare poco
ultimamente. No, non è l’effetto del cognac, è qualcosa di più bello e di
più grande; ridi perché non spetta ad altri l’ultima parola, perché alla
fine c’è pur sempre un desiderio da esaudire, perché esiste la pazienza,
la forza e la speranza. Ci sei tu che provi con tutte le forze a rialzarti
anche quando la memoria conduce al dolore e il presente allo
sconforto.
Per un attimo ti volti verso lo specchio e ti senti addirittura più bello; il
tuo volto sarà anche divenuto un nido di rughe e lo sguardo un
fremito irrequieto, però, forse, è tornato il momento di cantare, è
davvero il tempo di ricominciare.
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Askesis | "Oltre la notte" di Massimo Folador

  • 1. Oltre la notte Racconto tratto da Il sapore del pane di Massimo Folador Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA
  • 2. Vorresti uscire nel buio ininterrotto della notte, ma non riesci, chiuso come sei dentro un guscio fatto di mobili e di quadri, di qualche carabattola sparsa sul pavimento e di una cucina perennemente in disordine, rifugio divenuto luogo di pena, simulacro. Chissà se dietro alle finestre è già estate, se il mondo sa di futuro e di domani o si sta accartocciando ancora come quando l’hai lasciato. È trascorso così tanto tempo che ricordi appena l’ultima estate giù al mare, rallegrata dalle onde e dall’odore di pesce; la tua pelle era arsa di sole e di sabbia e un’allegria contenuta ma sana ti costringeva ad aprire gli occhi e a guardare lontano. Avevi un lavoro semplice ma capace di farti sentire al centro del mondo, perché era il tuo lavoro. C’è chi ha bisogno di tante suppellettili e di altrettante persone per sentirsi vivo, a te invece bastava girovagare tra gli ombrelloni, giocherellare sulla spiaggia con i bambini e chiacchierare a bassa voce con la gente, fare cioè le piccole cose per cui eri stato assunto. Ti piaceva fare il bagnino perché erano ore dense di una bellezza minuta, grazie alla quale la sera avevi mille motivi per sentirti contento. Te ne rendevi conto quando sprofondavi stanco nella tua poltrona preferita e restavi per ore a osservare il tempo trascorrere sereno. Soltanto oggi puoi dire di aver toccato con mano il nome vero di quella che allora chiamavi stanchezza, ora che fatichi ad alzarti la mattina e la notte sembra infinita e senza pudore. Ti piacerebbe moltissimo se l’estate fosse ancora qui, a gironzolare in punta di piedi dentro questa stanza, magari assieme a lei, sempre così esuberante e scaltra, ma alla fine ficcata a forza dentro quattro mura che sapevano soltanto di muffa e di anni.
  • 3. La ricordi bene, appollaiata al sole come una sirena, di gran lunga la donna più bella fra tutte le clienti dei bagni, tanto irraggiungibile da sembrare persino diafana ed eppure capace di starti accanto ogni sera fino alla chiusura della spiaggia e ogni notte fino al saluto dell’alba. Giorni che sentivi fluire forti e pieni, ore dentro cui ogni istante pareva disegnato ad arte e la vita un’immensa passione. Invece sei qui, solo, a contare i giorni che mancano per arrivare a niente, una conta al contrario, non più verso il desiderio ma a ritroso, incontro al passato, segnando tacche scolpite dallo sconforto e dalla rabbia. Un fare lento e accidioso perché così sono i giorni quando mancano di speranza. Quasi per scherzo chiudi gli occhi e riprovi a immaginare lo stesso cielo e lo stesso mare di allora; è un gioco che hai già tentato cento volte ma che immiserisce quando s’affaccia la tristezza a colorare le giornate. Tutto diventa identico e monotono, un vero guaio; non differiscono i profumi né le stagioni, sempre più austere e brevi e neppure le illusioni sembrano arrovellarsi o i ricordi vagare distanti. Di tanto in tanto indovini giusto qualche parola e una manciata di sorrisi che s’aggrappano ostinati alla clessidra, stanno accucciati tra la sabbia e il vetro, naufragando e attorcigliandosi quasi dovessero cascare da un momento all’altro. Provocano, illudono e poi se ne vanno e basta un attimo perché diventi difficile persino rintracciarli, persi lontano, dietro alle colline. Così non ti resta altro da fare che riaprire gli occhi, guardare in faccia lo sconforto e credere che affrontandolo di persona incuta meno paura.
  • 4. Sei rimasto da solo ad attendere non sai cosa e per questo è come se non ci fossi; la tua sta diventando un’esistenza a metà o forse meno ancora. Quando tiri sera al bar gli amici ti notano appena e solo rare volte improvvisano un sorriso, di quelli tirati a dismisura e che pare si spezzino non appena li lasci fuggire. C’è chi s’intristisce, ripensando ai giorni andati, ma alla fine il ricordo si sovrappone a tutto, mitiga e quando gli riesce, gioca persino a rimpiattino con le emozioni, cosicché ogni dettaglio passa in secondo piano e svilisce adagio, camuffato dai rimorsi. Il bello di esistere a metà è che poca roba resta attaccata al rancore, mentre il grosso sbriciola su e giù per la clessidra, una parte a caccia di rimpianti, l’altra nel tentativo di piangersi addosso. Quello che rimane assume le forme di un gioco e sembra meno ingombrante, nonostante il passato sia quasi un macigno e offuschi ciò che potrebbe ancora avvenire. Da quando hai perso il lavoro fatichi più del solito a non sentirti solo, come capita probabilmente a chiunque nella tua situazione. Talvolta non ti resta che pensare a dove sarebbe bello fuggire, se in una piazza deserta o in riva al mare, tra mille persone indifferenti o dentro a quella solitudine perfetta che ogni tanto ti fa compagnia. Via da qui comunque, dove non puoi che bisbigliare di niente, dove tutto è vero, persino il suo contrario, i sapori sono soltanto un’accozzaglia di aro- mi e i colori una tavolozza di chiazze smunte. Lontano da queste mura ogni altro luogo sarebbe di sicuro più sgargiante e più intenso, le città si riempirebbero di musica e rumori, vedresti donne alte come colonne, con il seno prorompente e le labbra rosse capaci di baciare, femmine di razza che asciugano gli sguardi non appena glieli getti addosso; infine ci sarebbe il vino di marca e il pesce che ti piace tanto: aragoste, molluschi, caviale.
  • 5. Quando si è soli si è costretti a sognare, il primo antidoto alla disperazione e un rimedio naturale contro l’insonnia. Quello che conta è costruire i sogni un pezzo alla volta: uno oggi e uno domani, uno di sera e l’altro di mattina. Bisogna tergiversare quanto basta su quelli più attraenti, ma senza lasciarsi ammaliare; solo così i sogni resistono all’usura del tempo e non cessano di illuminare chi a loro si avvicina. Gli altri invece, quelli bistrattati o elevati al rango di certezza, durano lo spazio di una notte e il più delle volte spariscono prima ancora che diventi mattina. Lei avrebbe dovuto farsi viva invece sei ancora solo; lo capisci dai pensieri che rimbalzano senza sosta nella stanza e dalla bottiglia di cognac ormai vuota, dai bicchieri sparsi dappertutto e dalla rabbia che non accenna a diminuire. Finirai per certo ad aspettarla anche sta- notte, come ieri, come ti accade da mesi oramai. Attenderai ancora, fino all’alba, lei o il lavoro poco conta, in fondo sono facce della stessa medaglia, giri di boa della medesima gara. Soltanto adesso ti rendi conto di quanto si sorreggono a vicenda, ora che il lavoro è terminato da un pezzo e ha trascinato nell’indifferenza tutto ciò che gli danzava accanto. Peccato però, perché ci sono mattine in cui senti la vita scorrerti addosso come un tempo, momenti in cui è intrigante scrutare il cielo mentre esplode di colori e provare la sensazione ineffabile di essere lo spettatore non pagante di un privilegio. L’alba è come la vita: non si cattura facilmente, ma dura abbastanza da poterti ricompensare, anche quando hai ingolfato il letto di singhiozzi e tutto passa dalla testa, fuorché la voglia di ricominciare. Comunque sei solo, alba o non alba lei non arriverà neppure stanotte e tu ti sei di nuovo illuso.
  • 6. È vero, sembra che oggi faccia meno male: non senti il respiro affossato dalla rabbia e neppure le forze sembrano ridotte al lumicino. Certo, ti senti addosso lo sconforto di sempre che ti fa sprofondare come un cuscino nella poltrona, ma è già un risultato grande rendersene conto, così come è importante non farsi sopraffare dalla voglia di scappare. Sono entrambe un buon inizio per guardare il mondo con occhi diversi; quando c’è di mezzo una separazione non è cosa da poco sapersi ritrovare, fosse tutto più semplice l’avrebbero chiamata in un modo diverso, invece il nome pare tedesco e non lascia troppo spazio alla speranza. Certo, sarebbe bello poterla comunque rincontrare, magari nel pieno di un tramonto, aggrappata a un pezzo di cielo rosso come un mantello o la mattina presto, all’alba, quando la giornata vive di magia. Ti sembra già di vederla con il volto sorridente, i capelli biondi arruffati sulle spalle, il naso a punta e le gote rossicce e di ammirare i suoi vestiti, specie i talleur amaranto, forse un poco più magra rispetto all’ultima volta ma un pizzico appena, giusto quanto basta per sentirsi più bella. Chissà se farà finta di non vederti e girerà le spalle come l’ultima volta o se invece ti fisserà dall’alto del suo volto perfetto per dirti che il tempo gioca a suo vantaggio. Con il passare degli anni la gente cambia, c’è chi invecchia persino, specie quando ha trascorso troppi giorni ad aspettare; non ti riconoscerà di sicuro o almeno farà finta, tanto un uomo inghiottito in un tramonto spesso corre il rischio di apparire più vecchio. Peccato però non sia arrivata neppure stanotte e tu insista a guardare la vita da dietro i vetri, a inseguire una storia che si ripete da troppo tempo. Volevi lei e un lavoro simile a quello che hai fatto per anni, ma l’attesa è stata vana e tu non puoi rimanere in eterno alla finestra ad aspettare.
  • 7. Oggi, al culmine di una corsa che sembra arrivata al capolinea, puoi solo rimboccarti le maniche e provare a cambiare; questi mobili sono troppo laccati e scuri per sopportarli ancora, troppo ingombranti. È merce consunta di chi passa per le case a ritirare l’usato, mentre sarebbe opportuno gettarlo e le rughe che intravedi nello specchio sono troppo profonde, quasi volto d’altri, sindone. Basta, basta, basta; è ora di tornare a guardare lontano, di lottare. Ti allontani dalla finestra e vai verso la cucina a preparare l’ennesimo caffè. È buffo, eppure ti viene quasi voglia di sorridere adesso, di inventare un sorriso pieno di sarcasmo e di malinconia, ma pur sempre allegro e sicuro. Capita quando si tocca il fondo e non resta altro di meglio da fare, quando riprendi a credere che il destino non sia ciò che scorre casualmente tra le pagine di un giornale e nemmeno cosa d’altri su cui indugiare soltanto quando conviene. Ciò che accadrà domani è un insieme di attimi e di fatti quotidiani, tanto minuscoli da sembrare lontani, ma ora così enormi da apparire fin troppo vicini. Per questo anche ripulire una spiaggia o giocare a biglie con dei bambini è destino: è l’unico pezzo di vita su cui puoi contare, quello per il quale oggi potresti provare nostalgia o domani rimorso. Chissà lei cosa direbbe vedendoti sprofondato in una poltrona di finta pelle, con lo sguardo perso e la bottiglia di cognac tra le mani; sfoggerebbe di certo quello sguardo di commiserazione che non riesci a sopportare, a labbra serrate, in grado di far tacere ogni parola e di confondere la gioia con l’ironia. Adesso però tocca a te ridere a squarciagola, a più non posso, come ti capitato di fare poco ultimamente. No, non è l’effetto del cognac, è qualcosa di più bello e di più grande; ridi perché non spetta ad altri l’ultima parola, perché alla fine c’è pur sempre un desiderio da esaudire, perché esiste la pazienza, la forza e la speranza. Ci sei tu che provi con tutte le forze a rialzarti anche quando la memoria conduce al dolore e il presente allo sconforto.
  • 8. Per un attimo ti volti verso lo specchio e ti senti addirittura più bello; il tuo volto sarà anche divenuto un nido di rughe e lo sguardo un fremito irrequieto, però, forse, è tornato il momento di cantare, è davvero il tempo di ricominciare.
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