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A coloro che amo. 
A tutti gli uomini 
che cercano, 
e cercano ancora...
Due parole di introduzione... 
INGENUITAS: 
“Condizione della persona nata libera. 
Nobiltà di sentire, lealtà, schiettezza, sincerità.” 
Calonghi-Georges, Dizionario della lingua latina. 
La scelta del titolo a esprimere la volontà di credere ancora nella 
libertà, nella nobiltà del sentire, nella sincerità. L’ingenuità non 
è un difetto, non è un dono. Può essere una volontà. Il desiderio 
di superare il vuoto paralizzante del dolore, della disillusione, 
della sofferenza, per credere ancora. La volontà di affacciarsi al 
mondo a scoprire paesaggi naturali e umani. Oltre le ferite, oltre 
gli inganni, oltre le amarezze, oltre il cinismo. L’ingenuità non è 
di chi non ha patito angoscia, tormento o delusione. E’ di chi li 
vuole superare alimentando uno sguardo colmo di meraviglia e 
di stupore. 
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La mia musica... 
Amo la vita 
nel confuso turbinio delle passioni, 
nella pace perfetta dell’Amore, 
nella corsa tutta umana del tempo. 
Amo la vita 
nella gioia liberata dalla danza, 
nell’aridità impietosa del dolore, 
nelle lucciole di maggio. 
Amo la vita 
nelle promesse dell’alba nascosta, 
nella frustrazione del ramo spezzato, 
negli occhi, attenti o distratti, degli altri. 
Oggi 
le mie radici 
si fanno più profonde 
a regalarmi
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ciò di cui ho bisogno. 
Sono grata. 
Come il vento 
che tutto abbraccia. 
6
7 
Tregua 
Dissolvermi, 
trasparente, 
nella luce, 
senza colore 
né corpo. 
Senza dolore. 
C’era una volta un bambino, era molto bello. Cercava la simme-tria 
e la perfezione dei suoi lineamenti in tutte le cose, in realtà 
ovunque voleva trovare sé stesso. 
Un giorno fu profondamente tradito dal suo migliore amico, o 
almeno così si sentiva lui. Soffrì molto e decise che non 
l’avrebbe più permesso. Così inibì ogni sua emozione, si rin-chiuse 
in sé stesso e coltivò l’indifferenza nei confronti di ciò 
che accadeva. Si permetteva di lasciarsi andare solo con gli ani-mali 
e la natura, perché lì ritrovava la sua purezza e non temeva 
di essere ferito.
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Un giorno, però, il suo cane Figaro morì. E ancora una volta sof-frì 
8 
intensamente. Decise quindi che non avrebbe più avuto cani, 
così da risparmiarsi quel dolore. E quando ripensava a Figaro 
che gli faceva le feste, che saltellando esplorava con lui il bosco, 
che gli leccava il viso, che lo aspettava al ritorno da scuola e lo 
seguiva ovunque, disprezzava quei ricordi e la sua debolezza, at-tribuendovi 
l’origine della sua sofferenza. 
Il suo aspetto mutò. I suoi lineamenti erano sempre perfetti, ma 
incolori, non comunicavano nulla. Il suo sorriso compariva solo 
di notte, mentre sognava del suo antico amico e del suo cane: 
non era ancora riuscito a controllare il mondo onirico. 
La sua maestra si accorse di ciò. Era una donna sulla sessantina, 
esperta di vita, di emozioni e di sentimenti, e pensava che il suo 
lavoro non fosse solo quello di impartire conoscenze, ma di fare 
in modo che i suoi studenti si ponessero delle domande e ragio-nassero 
con la loro testa. Così decise di evitare una paternale e 
un confronto a tu per tu col ragazzo, ma cercò un altro modo per 
stimolare le sue riflessioni. 
Un giorno lo chiamò dopo la scuola e gli chiese un grande favo-re. 
Avrebbe dovuto per un mese presentarsi a casa sua tutti i 
giorni alle cinque e portare il suo cane a fare una passeggiata,
Tregua 
perché lei ospitava un nipotino malato e non voleva fare manca-re 
a Blu, questo era il nome del cane, il momento più bello della 
giornata. Lesse negli occhi del bambino un entusiasmo subito 
frenato da una grande paura. Ma egli non ebbe il coraggio di di-re 
di no alla maestra, così accettò. 
Giorno dopo giorno si presentava a casa dell’insegnante alle 
cinque in punto a portar fuori Blu. Il cane era molto affettuoso e 
di buon carattere e gradiva molto quelle scorribande nel bosco. 
Già dalle quattro e mezza si metteva vicino alla porta ad aspetta-re 
il suo nuovo amico, come la maestra non mancò di fargli no-tare. 
Quello che all’inizio non era che un dovere per il bambino, di-venne 
il momento più felice della sua giornata: infatti arrivava 
sempre in ordine e serio e se ne tornava sudato e sorridente. 
Quando il mese fu trascorso, la maestra lo invitò a entrare e gli 
offrì un tè. Gli disse che il suo cane era molto contento di tra-scorrere 
quella mezzoretta con lui tutti i giorni, stava a lui sce-gliere 
se proseguire o no. 
Il bambino dopo una lunga pausa scoppiò a piangere. La donna 
stette in silenzio, gli porse un fazzoletto e lo invitò a far uscire 
senza fretta tutto il suo dolore. Lui la guardò stupito e si sentì li- 
9
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bero di continuare a singhiozzare in solitudine per altri dieci mi-nuti 
10 
nel salotto della donna. Quindi lei tornò e gli chiese perché 
avesse pianto. Egli spiegò che ripensava al suo cane morto e che 
non sapeva cosa fare, se continuare a portare a passeggio Blu e 
soffrire ancora come per il suo cane quando Blu non ci fosse più 
stato, o se smettere e soffrire lo stesso, perché quelle passeggiate 
erano la parte più bella della sua giornata. La maestra non lo sol-lecitò 
a scegliere l’una o l’altra cosa, ma gli domandò che diffe-renza 
ci fosse tra le due sofferenze. Il bambino ci pensò un po’, 
poi disse che una dipendeva da lui (non portare più a passeggio 
Blu), l’altra no (l’eventuale scomparsa di Blu). 
“Bravo! – disse la donna – Ma ce n’è un’altra!” 
Il bambino ci pensò a lungo. Quella maestra gli piaceva davve-ro, 
era severa, ma così gentile, lo faceva sentire speciale... sem-brava 
sempre vedere qualcosa di eccezionale dentro di lui... Per 
lei lui era in grado di rispondere e quindi... Finalmente disse: 
“Un dolore è causato da qualcosa che ho vissuto, tutti i momenti 
belli con Blu; l’altro da ciò che non vivrò: saprò che Blu sarà 
qua ad aspettarmi, ma io non verrò e continuerò a pensare a cosa 
avrei fatto con lui.” “Dunque – riassunse la maestra- un dolore 
deriva dalla gioia provata, l’altro dalla rinuncia a provare quella
Tregua 
gioia. È una scelta importante. Pensaci bene fino a domani, me 
lo dirai a scuola.” 
Il bambino ci rimase male, aveva sperato in qualche suggeri-mento. 
La maestra lo trattava da grande, sì, ma che fare? Ci pen-sò 
tutta la sera e tardò ad addormentarsi, ma il mattino successi-vo 
ebbe la risposta. 
Arrivò presto a scuola, la cercò con lo sguardo e le si avvicinò 
impaziente. Lei lo fissava amorevolmente. Le disse: “ Ho capito 
che il dolore non lo eviterò, posso solo scegliere quale dei due 
sarà, ma la gioia dipende da me. In un caso soffrirò perché avrò 
scelto la gioia, nell’altro perché ci avrò rinunciato. Allora è me-glio 
averla!” Il sorriso raggiante della maestra lo avvolse tutto e 
le sue parole lo inorgoglirono: “Sono molto fiera di te, hai impa-rato 
11 
la lezione più importante!”.
Orizzonti 
Avidamente, 
incessantemente 
cerchi 
una risposta. 
I tuoi occhi impazienti 
spogliano 
il tuo quotidiano. 
Le tue mani ansiose 
sono vuote 
di polvere. 
Il tuo corpo 
si fa gomitolo 
per scrutare la luce 
dentro di te. 
Una fiammella fragile 
abita il tuo animo 
e tu vivi 
12
Orizzonti 
13 
con la paura 
di un vento crudele 
che la uccida. 
Ma il lampo 
del fuoco 
ogni giorno 
fruga 
la tua realtà, 
dà risalto 
alla tua oscurità, incomprensibile, 
ti esorta 
a bere 
dell’orizzonte mutante 
in cui 
potresti 
tuffarti. 
La bella signora araba incedeva femminile e sicura, con occhi 
caldi che disegnavano secoli di donne, che brillavano di orienta-le 
saggezza e consapevolezza. Era diversa da tutte. Pareva di-
GiveMeAChance 
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stante dal mondo attorno a lei, eppure ogni volta che sorrideva si 
era certi ne cogliesse la magica essenza. 
Gambe lunghe, pronte a una corsa mai pronunciata. 
Capelli neri, promesse di timida sensualità, raccolti in una mor-bida 
14 
treccia: il suo viso non ne aveva bisogno. 
I suoi occhi partecipavano senza mai essere indiscreti: parevano 
abbozzare un sorriso e fuggire via, a toccare il lontano orizzonte. 
A metà tra due culture: vestiva all’europea e parlava arabo egi-ziano, 
incedeva come una modella e sorrideva di quella dolce 
femminilità che è solo orientale. Era la sintesi della donna di 
ogni cultura e tempo. Luminosa e forte, eppure chiedeva prote-zione. 
Bella, eppure desiderava la conferma sussurrata del suo 
uomo. Nobile, eppure palpitava di quell’aria così concreta che la 
circondava. 
Soprattutto era consapevole, ricca di quell’umanità schietta o so-fisticata, 
povera o sfarzosa, allegra o triste, che combatte o che 
si arrende, ma che ogni giorno si alza a vivere il mistero della 
vita, incomprensibile ma affascinante come gli uomini che lo 
danzano.
15 
Le due consuocere 
Donna, 
tu appartieni 
all’infinito: 
smettila 
di invocare 
una terra tua, 
consacrata 
dalla proprietà 
e dal limite, 
ma libera il tuo volo, 
a saziare la fame 
di paesaggi 
e di amore 
senza confini. 
Le due consuocere erano in vacanza insieme: entrambe amavano 
quella meravigliosa villa nascosta tra il verde, arrampicata sulla
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collina a prendersi tutta la luce specchiata dal golfo del Tigullio, 
i ritmi imposti dalla gestione delle suore, la preghiera comune, 
le passeggiate, l’ottimo vitto e la quiete “santa” di quel Paradiso. 
Avevano la stessa età, ma non potevano essere più diverse, an-che 
16 
nell’aspetto. 
L’una era sottile e fragile, l’altra pienotta e stabile; la prima si 
lamentava dei suoi pochi capelli, la seconda ne aveva una selva; 
l’una coltivava il dubbio, su cui ragionava a lungo e, dopo ap-profondite 
analisi, lo vinceva con l’introspezione e la preghiera, 
l’altra coltivava l’azione e sembrava la decisione incarnata, ma 
esprimeva insicurezze e sofferenze solo al cospetto del suo 
Creatore, compagno inseparabile di tutte e due, come i loro oc-chi 
color corteccia. 
Margherita veniva da un’ottima famiglia, aveva ricevuto 
un’eccellente educazione e si era sempre mostrata riservata, acu-ta 
e timida, messa un poco in ombra dalla bellezza folgorante e 
dalla personalità forte della madre. Il suo papà la definiva la mia 
poetessa, per la sua capacità di dar forma a pensieri ed emozioni 
con le parole scritte. Era sbocciata, come primula alla scomparsa 
dell’ultima neve, quando si era innamorata e poi sposata. Era 
una donna molto sensibile e intelligente, che sapeva vedere oltre
Le due consuocere 
le regole imposte dalla sua educazione, perché spesso leggeva 
direttamente nel cuore delle persone. Odiava l’ostentazione, il 
suo vestire era sobrio ed essenziale e adorava la lettura. Si cre-deva 
più fragile di quanto non fosse: la sua vita testimoniava la 
sua eccezionale forza d’animo. Quel marito meraviglioso, che le 
aveva dato tre figli, era prematuramente morto dopo soli otto 
anni di matrimonio. Anche la sua fine avevano affrontato fianco 
a fianco, lui era medico ed era consapevole di quello cui stava 
andando incontro: uniti dall’amore reciproco e dai loro luminosi 
ideali, avevano percorso stretti stretti quell’ultimo tratto di stra-da 
concesso loro insieme. Lei aveva scritto di quegli ultimi gior-ni 
e i pochi che avevano letto quelle pagine avevano pianto di 
commozione di fronte a tanto amore, coraggio e grandezza 
d’animo. Ma poi si era trovata sola con i tre bambini. E la guer-ra. 
E i problemi della vita. Ma era riuscita a crescere i suoi figli 
prima e i suoi nipoti dopo rendendo presente tra loro la figura 
del padre e del nonno, tanto egli respirava ancora nelle sue fibre 
e viveva nel suo animo. Talora era severa, ma era capace di stu-pire 
e di disorientare con i suoi inaspettati guizzi di ironia. Da 
nonna si era addolcita, pur mantenendo un certo rigore (“Il gela-to 
non si lecca!” “Ma nonna, è un cono, come faccio?”), e deli- 
17
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ziava i nipoti con i suoi racconti di gioventù o di vita in collegio, 
ma la cosa che si imprimeva nei loro corpi erano i suoi abbracci: 
così esile rivelava una forza nello stringerli da lasciare per sem-pre 
18 
la sua impronta in loro. 
Brigida invece veniva da un’austera famiglia agricola, aveva po-tuto 
frequentare solo le scuole elementari e aveva sempre con-tribuito 
al lavoro domestico. Pur avendo un grande senso del 
dovere, aveva commesso qualche piccola trasgressione alla se-verità 
imperante e negli occhi le brillava allegra e benevola ma-lizia. 
Essendo avida di conoscenza e di sapere, aveva letto molto 
e aveva sempre cercato di imparare da chi ne sapeva più di lei, 
tant’è che le dicevano che scriveva molto bene, seppur con qual-che 
errore. Andare a vivere in città, con tutte le sue offerte cultu-rali 
e non, l’aveva aiutata. Anche da anziana era sempre aggior-nata 
sulle ultime scoperte e invenzioni. Amava essere in ordine, 
adorava i cappelli e ci teneva al decoro. Era molto generosa ed 
era una donna d’azione: dove c’era bisogno era sempre presente. 
Era riuscita a evitare che fossero i suoi genitori a sceglierle il 
marito: si era sposata tardi per l’epoca, ma per amore. Il marito 
era il suo opposto, troppo esuberante a volte, ma si compensa-vano 
benissimo. Era una donna intelligente che aveva saputo
Le due consuocere 
colmare la sua scarsa istruzione con il suo acuto interesse per ciò 
che la circondava, con l’osservazione e con la forza che le deri-vava 
dall’aver combattuto tante battaglie e superato mille diffi-coltà. 
Si sapeva anche godere la vita: che fosse un dolce, 
un’amica, un nipote o un buon libro. Il Buon Dio, come definiva 
lei quell’ideale puro e cristallino che le brillava nell’animo, le 
aveva dato il dono di una creativa immaginazione, che nella sua 
vita l’aveva molto aiutata. All’occorrenza rivelava anche una 
certa furbizia, che era capacità di uscire dai guai, mai inganno 
del prossimo. Nella sua giovinezza aveva avuto diversi problemi 
di salute, a conferma della sua celata sensibilità, spazzati via da 
una vecchiaia in cui mostrava una salute di ferro, sintomo del 
suo conquistato equilibrio e della sua autentica serenità. 
A vederle passeggiare a braccetto nel parco di Villa Caterina 
non si indovinavano tutte queste differenze, si coglievano solo le 
loro affinità e la loro complementarietà. 
Ma non era sempre stato così... 
Amelia si stava preparando per uscire. I tacchi la slanciavano, 
anche se non erano le caviglie il suo punto di forza, ma piuttosto 
la regolarità dei suoi lineamenti, l’armonia dei suoi movimenti e 
l’espressività travolgente delle sue “facce” e dei suoi gesti. Il co- 
19
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lore dei suoi occhi, diversi nella loro pigmentazione, era raro e 
prezioso, ma svelato a pochi: portava sempre gli occhiali da sole 
a nascondere la sua eterocromia, oggetto di troppa curiosità e 
collegabile alla sua malattia. Eppure quel grigio e quel verde 
erano valorizzati dai morbidi capelli castani, che arrivavano alle 
spalle, e dalle scure sopracciglia ad ala di gabbiano. La figura 
era snella, ma non asciutta, l’altezza nella media, braccia e gam-be 
20 
piuttosto lunghe. 
I gravi problemi di salute ne avevano fatto una ragazza protetta e 
viziata. Abituata a essere al centro dell’attenzione. E certamente 
aveva i numeri per starci. Vivace ed entusiasta, decisa, allegra e 
piena di vita. Ma umorale. Bastava un niente a farla sentire feri-ta, 
tradita, delusa. Imprevedibilmente. E allora compariva l’altra 
faccia di Amelia. Quella della vittima sofferente. Abile manipo-latrice 
delle emozioni e reazioni altrui. Poteva invitare a casa un 
barbone che la inteneriva e occuparsi affettuosamente di lui, 
come far leva sul senso di colpa dei genitori, che irrazionalmen-te 
si pensavano responsabili delle gravi difficoltà che lei aveva 
incontrato nel suo percorso, per ottenere da loro ciò che voleva. 
Era difficile da conoscere.
Le due consuocere 
Quella sera avrebbe dovuto incontrare le sue amiche. Una di lo-ro, 
poi, le avrebbe presentato un ragazzo, a suo parere, perfetto 
per lei. Non ci credeva molto, ma perché no? Si sarebbero diver-tite 
e sarebbe stata in compagnia, lei che, da figlia unica, era fe-lice 
ogni volta che una zia, un cugino o un amico veniva a casa a 
trovarli. 
Un ultimo tocco di rossetto ed era pronta. 
Si doveva trovare in piazza del Duomo per un aperitivo da Zuc-ca. 
Poi cena. Fu la prima ad arrivare. Scorse Cristina in lonta-nanza, 
con lei un ragazzo. Lo osservò con calma prima di sbrac-ciarsi 
a salutare. Non molto alto, piuttosto snello. Fine, decisa-mente 
fine. Portava gli occhiali. Richiamò la loro attenzione. 
Dopo le presentazioni, arrivarono Giulio e Paola, per ultima 
Francesca. Come sempre chiacchierarono allegramente e si pre-sero 
affettuosamente in giro. Il ragazzo, che si chiamava Luca, 
piacque molto ad Amelia e la cosa le parve reciproca, quando, 
salutandola, le chiese il suo numero di telefono. 
Uscirono insieme per un mese. Erano fortemente attratti l’uno 
dall’altra, parlavano di tutto e godevano della reciproca compa-gnia. 
Non si salutavano mai senza aver prima fissato l’incontro 
21
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successivo. Si erano abbandonati a quell’amore con un ardore 
totalizzante, infantile. 
I guai incominciarono quando Luca presentò Amelia a sua sorel-la. 
22 
Egli apparteneva a una famiglia di tradizione, la cui “custo-de” 
era appunto la sorella Cornelia. Non che non avesse grandi 
pregi: generosa, molto sensibile a volte, interessante conversa-trice, 
colta, o forse erudita, elegante. Allora, però, fece un grave 
errore: giudicò Amelia dalle apparenze e da ciò che aveva sapu-to 
della sua famiglia. Il suo ambiente di provenienza è troppo 
diverso dal nostro, queste le sue parole a Luca. Quindi elencò 
una serie di frasi e comportamenti sbagliati che la ragazza di na-tali 
troppo modesti aveva evidenziato in quella visita a casa sua, 
infine riferì tutto alla madre con una tale forza persuasiva, che 
Demostene ne avrebbe provato invidia! Amelia era bollata. Sen-za 
essere stata conosciuta. Certo non era una donna semplice, 
era certamente problematica, ma avrebbe avuto diritto a una 
chance, come tutti. Chance che Luca le negò. Infatti, influenzato 
dalla sua famiglia, le propose di restare amici, un classico. Inuti-le 
precisare che Amelia rifiutò. Tornò a casa, singhiozzò dispe-ratamente 
nella vasca, scaldata da un bagno solo sulla pelle ri-storatore, 
e si impose di non pensarci più: il suo pregio e al con-
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Ingenuitas

  • 1.
  • 2. GiveMeAChance Editoria Online Ingenuitas Lisa Maria Nicòli www.givemeachance.it
  • 3. GiveMeAChance Editoria Online Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Settembre 2014 www.givemeachance.it
  • 4. A coloro che amo. A tutti gli uomini che cercano, e cercano ancora...
  • 5. Due parole di introduzione... INGENUITAS: “Condizione della persona nata libera. Nobiltà di sentire, lealtà, schiettezza, sincerità.” Calonghi-Georges, Dizionario della lingua latina. La scelta del titolo a esprimere la volontà di credere ancora nella libertà, nella nobiltà del sentire, nella sincerità. L’ingenuità non è un difetto, non è un dono. Può essere una volontà. Il desiderio di superare il vuoto paralizzante del dolore, della disillusione, della sofferenza, per credere ancora. La volontà di affacciarsi al mondo a scoprire paesaggi naturali e umani. Oltre le ferite, oltre gli inganni, oltre le amarezze, oltre il cinismo. L’ingenuità non è di chi non ha patito angoscia, tormento o delusione. E’ di chi li vuole superare alimentando uno sguardo colmo di meraviglia e di stupore. 4
  • 6. 5 La mia musica... Amo la vita nel confuso turbinio delle passioni, nella pace perfetta dell’Amore, nella corsa tutta umana del tempo. Amo la vita nella gioia liberata dalla danza, nell’aridità impietosa del dolore, nelle lucciole di maggio. Amo la vita nelle promesse dell’alba nascosta, nella frustrazione del ramo spezzato, negli occhi, attenti o distratti, degli altri. Oggi le mie radici si fanno più profonde a regalarmi
  • 7. GiveMeAChance Editoria Online ciò di cui ho bisogno. Sono grata. Come il vento che tutto abbraccia. 6
  • 8. 7 Tregua Dissolvermi, trasparente, nella luce, senza colore né corpo. Senza dolore. C’era una volta un bambino, era molto bello. Cercava la simme-tria e la perfezione dei suoi lineamenti in tutte le cose, in realtà ovunque voleva trovare sé stesso. Un giorno fu profondamente tradito dal suo migliore amico, o almeno così si sentiva lui. Soffrì molto e decise che non l’avrebbe più permesso. Così inibì ogni sua emozione, si rin-chiuse in sé stesso e coltivò l’indifferenza nei confronti di ciò che accadeva. Si permetteva di lasciarsi andare solo con gli ani-mali e la natura, perché lì ritrovava la sua purezza e non temeva di essere ferito.
  • 9. GiveMeAChance Editoria Online Un giorno, però, il suo cane Figaro morì. E ancora una volta sof-frì 8 intensamente. Decise quindi che non avrebbe più avuto cani, così da risparmiarsi quel dolore. E quando ripensava a Figaro che gli faceva le feste, che saltellando esplorava con lui il bosco, che gli leccava il viso, che lo aspettava al ritorno da scuola e lo seguiva ovunque, disprezzava quei ricordi e la sua debolezza, at-tribuendovi l’origine della sua sofferenza. Il suo aspetto mutò. I suoi lineamenti erano sempre perfetti, ma incolori, non comunicavano nulla. Il suo sorriso compariva solo di notte, mentre sognava del suo antico amico e del suo cane: non era ancora riuscito a controllare il mondo onirico. La sua maestra si accorse di ciò. Era una donna sulla sessantina, esperta di vita, di emozioni e di sentimenti, e pensava che il suo lavoro non fosse solo quello di impartire conoscenze, ma di fare in modo che i suoi studenti si ponessero delle domande e ragio-nassero con la loro testa. Così decise di evitare una paternale e un confronto a tu per tu col ragazzo, ma cercò un altro modo per stimolare le sue riflessioni. Un giorno lo chiamò dopo la scuola e gli chiese un grande favo-re. Avrebbe dovuto per un mese presentarsi a casa sua tutti i giorni alle cinque e portare il suo cane a fare una passeggiata,
  • 10. Tregua perché lei ospitava un nipotino malato e non voleva fare manca-re a Blu, questo era il nome del cane, il momento più bello della giornata. Lesse negli occhi del bambino un entusiasmo subito frenato da una grande paura. Ma egli non ebbe il coraggio di di-re di no alla maestra, così accettò. Giorno dopo giorno si presentava a casa dell’insegnante alle cinque in punto a portar fuori Blu. Il cane era molto affettuoso e di buon carattere e gradiva molto quelle scorribande nel bosco. Già dalle quattro e mezza si metteva vicino alla porta ad aspetta-re il suo nuovo amico, come la maestra non mancò di fargli no-tare. Quello che all’inizio non era che un dovere per il bambino, di-venne il momento più felice della sua giornata: infatti arrivava sempre in ordine e serio e se ne tornava sudato e sorridente. Quando il mese fu trascorso, la maestra lo invitò a entrare e gli offrì un tè. Gli disse che il suo cane era molto contento di tra-scorrere quella mezzoretta con lui tutti i giorni, stava a lui sce-gliere se proseguire o no. Il bambino dopo una lunga pausa scoppiò a piangere. La donna stette in silenzio, gli porse un fazzoletto e lo invitò a far uscire senza fretta tutto il suo dolore. Lui la guardò stupito e si sentì li- 9
  • 11. GiveMeAChance Editoria Online bero di continuare a singhiozzare in solitudine per altri dieci mi-nuti 10 nel salotto della donna. Quindi lei tornò e gli chiese perché avesse pianto. Egli spiegò che ripensava al suo cane morto e che non sapeva cosa fare, se continuare a portare a passeggio Blu e soffrire ancora come per il suo cane quando Blu non ci fosse più stato, o se smettere e soffrire lo stesso, perché quelle passeggiate erano la parte più bella della sua giornata. La maestra non lo sol-lecitò a scegliere l’una o l’altra cosa, ma gli domandò che diffe-renza ci fosse tra le due sofferenze. Il bambino ci pensò un po’, poi disse che una dipendeva da lui (non portare più a passeggio Blu), l’altra no (l’eventuale scomparsa di Blu). “Bravo! – disse la donna – Ma ce n’è un’altra!” Il bambino ci pensò a lungo. Quella maestra gli piaceva davve-ro, era severa, ma così gentile, lo faceva sentire speciale... sem-brava sempre vedere qualcosa di eccezionale dentro di lui... Per lei lui era in grado di rispondere e quindi... Finalmente disse: “Un dolore è causato da qualcosa che ho vissuto, tutti i momenti belli con Blu; l’altro da ciò che non vivrò: saprò che Blu sarà qua ad aspettarmi, ma io non verrò e continuerò a pensare a cosa avrei fatto con lui.” “Dunque – riassunse la maestra- un dolore deriva dalla gioia provata, l’altro dalla rinuncia a provare quella
  • 12. Tregua gioia. È una scelta importante. Pensaci bene fino a domani, me lo dirai a scuola.” Il bambino ci rimase male, aveva sperato in qualche suggeri-mento. La maestra lo trattava da grande, sì, ma che fare? Ci pen-sò tutta la sera e tardò ad addormentarsi, ma il mattino successi-vo ebbe la risposta. Arrivò presto a scuola, la cercò con lo sguardo e le si avvicinò impaziente. Lei lo fissava amorevolmente. Le disse: “ Ho capito che il dolore non lo eviterò, posso solo scegliere quale dei due sarà, ma la gioia dipende da me. In un caso soffrirò perché avrò scelto la gioia, nell’altro perché ci avrò rinunciato. Allora è me-glio averla!” Il sorriso raggiante della maestra lo avvolse tutto e le sue parole lo inorgoglirono: “Sono molto fiera di te, hai impa-rato 11 la lezione più importante!”.
  • 13. Orizzonti Avidamente, incessantemente cerchi una risposta. I tuoi occhi impazienti spogliano il tuo quotidiano. Le tue mani ansiose sono vuote di polvere. Il tuo corpo si fa gomitolo per scrutare la luce dentro di te. Una fiammella fragile abita il tuo animo e tu vivi 12
  • 14. Orizzonti 13 con la paura di un vento crudele che la uccida. Ma il lampo del fuoco ogni giorno fruga la tua realtà, dà risalto alla tua oscurità, incomprensibile, ti esorta a bere dell’orizzonte mutante in cui potresti tuffarti. La bella signora araba incedeva femminile e sicura, con occhi caldi che disegnavano secoli di donne, che brillavano di orienta-le saggezza e consapevolezza. Era diversa da tutte. Pareva di-
  • 15. GiveMeAChance Editoria Online stante dal mondo attorno a lei, eppure ogni volta che sorrideva si era certi ne cogliesse la magica essenza. Gambe lunghe, pronte a una corsa mai pronunciata. Capelli neri, promesse di timida sensualità, raccolti in una mor-bida 14 treccia: il suo viso non ne aveva bisogno. I suoi occhi partecipavano senza mai essere indiscreti: parevano abbozzare un sorriso e fuggire via, a toccare il lontano orizzonte. A metà tra due culture: vestiva all’europea e parlava arabo egi-ziano, incedeva come una modella e sorrideva di quella dolce femminilità che è solo orientale. Era la sintesi della donna di ogni cultura e tempo. Luminosa e forte, eppure chiedeva prote-zione. Bella, eppure desiderava la conferma sussurrata del suo uomo. Nobile, eppure palpitava di quell’aria così concreta che la circondava. Soprattutto era consapevole, ricca di quell’umanità schietta o so-fisticata, povera o sfarzosa, allegra o triste, che combatte o che si arrende, ma che ogni giorno si alza a vivere il mistero della vita, incomprensibile ma affascinante come gli uomini che lo danzano.
  • 16. 15 Le due consuocere Donna, tu appartieni all’infinito: smettila di invocare una terra tua, consacrata dalla proprietà e dal limite, ma libera il tuo volo, a saziare la fame di paesaggi e di amore senza confini. Le due consuocere erano in vacanza insieme: entrambe amavano quella meravigliosa villa nascosta tra il verde, arrampicata sulla
  • 17. GiveMeAChance Editoria Online collina a prendersi tutta la luce specchiata dal golfo del Tigullio, i ritmi imposti dalla gestione delle suore, la preghiera comune, le passeggiate, l’ottimo vitto e la quiete “santa” di quel Paradiso. Avevano la stessa età, ma non potevano essere più diverse, an-che 16 nell’aspetto. L’una era sottile e fragile, l’altra pienotta e stabile; la prima si lamentava dei suoi pochi capelli, la seconda ne aveva una selva; l’una coltivava il dubbio, su cui ragionava a lungo e, dopo ap-profondite analisi, lo vinceva con l’introspezione e la preghiera, l’altra coltivava l’azione e sembrava la decisione incarnata, ma esprimeva insicurezze e sofferenze solo al cospetto del suo Creatore, compagno inseparabile di tutte e due, come i loro oc-chi color corteccia. Margherita veniva da un’ottima famiglia, aveva ricevuto un’eccellente educazione e si era sempre mostrata riservata, acu-ta e timida, messa un poco in ombra dalla bellezza folgorante e dalla personalità forte della madre. Il suo papà la definiva la mia poetessa, per la sua capacità di dar forma a pensieri ed emozioni con le parole scritte. Era sbocciata, come primula alla scomparsa dell’ultima neve, quando si era innamorata e poi sposata. Era una donna molto sensibile e intelligente, che sapeva vedere oltre
  • 18. Le due consuocere le regole imposte dalla sua educazione, perché spesso leggeva direttamente nel cuore delle persone. Odiava l’ostentazione, il suo vestire era sobrio ed essenziale e adorava la lettura. Si cre-deva più fragile di quanto non fosse: la sua vita testimoniava la sua eccezionale forza d’animo. Quel marito meraviglioso, che le aveva dato tre figli, era prematuramente morto dopo soli otto anni di matrimonio. Anche la sua fine avevano affrontato fianco a fianco, lui era medico ed era consapevole di quello cui stava andando incontro: uniti dall’amore reciproco e dai loro luminosi ideali, avevano percorso stretti stretti quell’ultimo tratto di stra-da concesso loro insieme. Lei aveva scritto di quegli ultimi gior-ni e i pochi che avevano letto quelle pagine avevano pianto di commozione di fronte a tanto amore, coraggio e grandezza d’animo. Ma poi si era trovata sola con i tre bambini. E la guer-ra. E i problemi della vita. Ma era riuscita a crescere i suoi figli prima e i suoi nipoti dopo rendendo presente tra loro la figura del padre e del nonno, tanto egli respirava ancora nelle sue fibre e viveva nel suo animo. Talora era severa, ma era capace di stu-pire e di disorientare con i suoi inaspettati guizzi di ironia. Da nonna si era addolcita, pur mantenendo un certo rigore (“Il gela-to non si lecca!” “Ma nonna, è un cono, come faccio?”), e deli- 17
  • 19. GiveMeAChance Editoria Online ziava i nipoti con i suoi racconti di gioventù o di vita in collegio, ma la cosa che si imprimeva nei loro corpi erano i suoi abbracci: così esile rivelava una forza nello stringerli da lasciare per sem-pre 18 la sua impronta in loro. Brigida invece veniva da un’austera famiglia agricola, aveva po-tuto frequentare solo le scuole elementari e aveva sempre con-tribuito al lavoro domestico. Pur avendo un grande senso del dovere, aveva commesso qualche piccola trasgressione alla se-verità imperante e negli occhi le brillava allegra e benevola ma-lizia. Essendo avida di conoscenza e di sapere, aveva letto molto e aveva sempre cercato di imparare da chi ne sapeva più di lei, tant’è che le dicevano che scriveva molto bene, seppur con qual-che errore. Andare a vivere in città, con tutte le sue offerte cultu-rali e non, l’aveva aiutata. Anche da anziana era sempre aggior-nata sulle ultime scoperte e invenzioni. Amava essere in ordine, adorava i cappelli e ci teneva al decoro. Era molto generosa ed era una donna d’azione: dove c’era bisogno era sempre presente. Era riuscita a evitare che fossero i suoi genitori a sceglierle il marito: si era sposata tardi per l’epoca, ma per amore. Il marito era il suo opposto, troppo esuberante a volte, ma si compensa-vano benissimo. Era una donna intelligente che aveva saputo
  • 20. Le due consuocere colmare la sua scarsa istruzione con il suo acuto interesse per ciò che la circondava, con l’osservazione e con la forza che le deri-vava dall’aver combattuto tante battaglie e superato mille diffi-coltà. Si sapeva anche godere la vita: che fosse un dolce, un’amica, un nipote o un buon libro. Il Buon Dio, come definiva lei quell’ideale puro e cristallino che le brillava nell’animo, le aveva dato il dono di una creativa immaginazione, che nella sua vita l’aveva molto aiutata. All’occorrenza rivelava anche una certa furbizia, che era capacità di uscire dai guai, mai inganno del prossimo. Nella sua giovinezza aveva avuto diversi problemi di salute, a conferma della sua celata sensibilità, spazzati via da una vecchiaia in cui mostrava una salute di ferro, sintomo del suo conquistato equilibrio e della sua autentica serenità. A vederle passeggiare a braccetto nel parco di Villa Caterina non si indovinavano tutte queste differenze, si coglievano solo le loro affinità e la loro complementarietà. Ma non era sempre stato così... Amelia si stava preparando per uscire. I tacchi la slanciavano, anche se non erano le caviglie il suo punto di forza, ma piuttosto la regolarità dei suoi lineamenti, l’armonia dei suoi movimenti e l’espressività travolgente delle sue “facce” e dei suoi gesti. Il co- 19
  • 21. GiveMeAChance Editoria Online lore dei suoi occhi, diversi nella loro pigmentazione, era raro e prezioso, ma svelato a pochi: portava sempre gli occhiali da sole a nascondere la sua eterocromia, oggetto di troppa curiosità e collegabile alla sua malattia. Eppure quel grigio e quel verde erano valorizzati dai morbidi capelli castani, che arrivavano alle spalle, e dalle scure sopracciglia ad ala di gabbiano. La figura era snella, ma non asciutta, l’altezza nella media, braccia e gam-be 20 piuttosto lunghe. I gravi problemi di salute ne avevano fatto una ragazza protetta e viziata. Abituata a essere al centro dell’attenzione. E certamente aveva i numeri per starci. Vivace ed entusiasta, decisa, allegra e piena di vita. Ma umorale. Bastava un niente a farla sentire feri-ta, tradita, delusa. Imprevedibilmente. E allora compariva l’altra faccia di Amelia. Quella della vittima sofferente. Abile manipo-latrice delle emozioni e reazioni altrui. Poteva invitare a casa un barbone che la inteneriva e occuparsi affettuosamente di lui, come far leva sul senso di colpa dei genitori, che irrazionalmen-te si pensavano responsabili delle gravi difficoltà che lei aveva incontrato nel suo percorso, per ottenere da loro ciò che voleva. Era difficile da conoscere.
  • 22. Le due consuocere Quella sera avrebbe dovuto incontrare le sue amiche. Una di lo-ro, poi, le avrebbe presentato un ragazzo, a suo parere, perfetto per lei. Non ci credeva molto, ma perché no? Si sarebbero diver-tite e sarebbe stata in compagnia, lei che, da figlia unica, era fe-lice ogni volta che una zia, un cugino o un amico veniva a casa a trovarli. Un ultimo tocco di rossetto ed era pronta. Si doveva trovare in piazza del Duomo per un aperitivo da Zuc-ca. Poi cena. Fu la prima ad arrivare. Scorse Cristina in lonta-nanza, con lei un ragazzo. Lo osservò con calma prima di sbrac-ciarsi a salutare. Non molto alto, piuttosto snello. Fine, decisa-mente fine. Portava gli occhiali. Richiamò la loro attenzione. Dopo le presentazioni, arrivarono Giulio e Paola, per ultima Francesca. Come sempre chiacchierarono allegramente e si pre-sero affettuosamente in giro. Il ragazzo, che si chiamava Luca, piacque molto ad Amelia e la cosa le parve reciproca, quando, salutandola, le chiese il suo numero di telefono. Uscirono insieme per un mese. Erano fortemente attratti l’uno dall’altra, parlavano di tutto e godevano della reciproca compa-gnia. Non si salutavano mai senza aver prima fissato l’incontro 21
  • 23. GiveMeAChance Editoria Online successivo. Si erano abbandonati a quell’amore con un ardore totalizzante, infantile. I guai incominciarono quando Luca presentò Amelia a sua sorel-la. 22 Egli apparteneva a una famiglia di tradizione, la cui “custo-de” era appunto la sorella Cornelia. Non che non avesse grandi pregi: generosa, molto sensibile a volte, interessante conversa-trice, colta, o forse erudita, elegante. Allora, però, fece un grave errore: giudicò Amelia dalle apparenze e da ciò che aveva sapu-to della sua famiglia. Il suo ambiente di provenienza è troppo diverso dal nostro, queste le sue parole a Luca. Quindi elencò una serie di frasi e comportamenti sbagliati che la ragazza di na-tali troppo modesti aveva evidenziato in quella visita a casa sua, infine riferì tutto alla madre con una tale forza persuasiva, che Demostene ne avrebbe provato invidia! Amelia era bollata. Sen-za essere stata conosciuta. Certo non era una donna semplice, era certamente problematica, ma avrebbe avuto diritto a una chance, come tutti. Chance che Luca le negò. Infatti, influenzato dalla sua famiglia, le propose di restare amici, un classico. Inuti-le precisare che Amelia rifiutò. Tornò a casa, singhiozzò dispe-ratamente nella vasca, scaldata da un bagno solo sulla pelle ri-storatore, e si impose di non pensarci più: il suo pregio e al con-
  • 24. GiveMeAChance Editoria Online _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
  • 25. GiveMeAChance Editoria Online Ingenuitas Grazie per aver letto questa parte di ebook gratuita! Puoi liberamente distribuirlo a tutte le persone a te vicine che ritieni possano essere interessate a questo argomento, purché senza modifiche ... … e se ti è piaciuto, acquista l’opera completa in formato eBook o cartaceo edita da GiveMeAChance s.r.l. - Editoria OnLine www.givemeachance.it Link all’opera: http://www.givemeachance.it/autori/lisa-maria-nicoli/GMC-lisa-maria- nicoli-ingenuitas.php