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Il ring è onesto
Domenico Paris
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La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta
all’autorizzazione scritta da parte dell’editore.
La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore
e ha lo scopo di fornire informazioni che,
benché curate con scrupolosa attenzione, non possono
comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e
all’editore per eventuali inesattezze.
GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online
Viale Regina Margherita, 41 – Milano
1° edizione Marzo 2013
Cover Art: Valentina Mastrodicasa
Foto di quarta di copertina: Fabrizio Cerri
La storia raccontata in questo libro è frutto della fantasia dell’autore.
Pertanto, la presenza in qualità di personaggi di alcuni uomini
appartenenti al mondo del boxing italiano e internazionale deve
ritenersi funzionale allo svolgimento delle vicende narrate, ma
eventuali riferimenti a fatti realmente accaduti sono da considerarsi
puramente casuali.
Al Magister, Rino Tommasi,
per avermi fatto appassionare a questo sport
e per avermi indotto a “studiare”;
Alla memoria di Alexis Arguello (1952-2009).
E ad Aaron Pryor, fuoriclasse dentro e fuori dal ring.
Tutto cominciò dal vostro secondo incontro…
Alla memoria di Carmen Basilio (1927-2012),
indimenticabile campione
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L’offerta era arrivata proprio da lui, Klaus Peter Kohl, il boss della Universum
Box-Promotion, nonché numero uno del pugilato teutonico: ottantacinquemila
euro, quattro spese di viaggio e mezz’ora scarsa per decidere.
«Faxagli immediatamente di sì o ti uccido» intimai al mio manager.
«Sì, Remo, però si potrebbe cercare di spuntare qualcosina di più, se…».
«Spedisci subito quella risposta affermativa, altrimenti vengo sotto casa tua
con una spranga».
«MasitrattadiAkimHasan,Remo!Conidirittitelevisiviegliincassisipotrebbe
arrivare anche a novantacinque-centomila. Lasciami fare, basterà…».
«Adelmo, se non mandi subito la conferma che il tre settembre sarò lì a
Berlino, sei un uomo morto».
«E va bene, va bene! Dicevo solo che con un minimo di trattativa si poteva
spuntare qualche spicciolo in più, che cavolo! Lo sai quanti soldi fa Kohl con
le sue riunioni? A palate, maledizione. Si potrebbe riuscire facilmente a fargli
scucire…».
«Adelmo, mi sa che non ci siamo capiti: tu adesso finisci questa cazzo di
telefonata con me e mandi il fax con un “sì” scritto a caratteri cubitali. Io,
per ottantacinquemila euro, vado a combatterci nel salotto di casa sua con
Hasan».
«Remo, d’accordo l’entusiasmo e i soldi, ma guarda che Hasan è una bestia.
Cioè, non è che si va lì a fare sei o sette riprese morbide e ce ne andiamo
via senza un graffio. Cristo santo, picchia come un fabbro, quello! Trentuno
ko in trentaquattro match!».
«E neanche una sconfitta».
«E neanche una sconfitta, già. Guarda che hai due mesi per prepararti e non
lo so mica se ti basteranno a uscirne sano da quello lì».
«Sul ring ci sono salito sempre io, mi pare. E ci andrò anche stavolta,
tranquillo. Te lo ricordi cosa dicevi del match con Karmasimov, eh?».
«Ma Karmasimov è un ragazzino, questo è una bestia! L’hai beccato perché
ha voluto strafare, altrimenti avresti perso ai punti. E nettamente. Hasan è
un campione. Non sarà Pacquiao o Mayweather, ma non ci manca molto,
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secondo me. L’hai mai visto su Youtube che diavolo combina?».
«Oh sì, e neanche una volta sola».
«Destro, sinistro, come un treno. E poi fa un male boia. A Sam Langford
junior, quando gli ha tolto il titolo, ha fracassato tre costole».
«E amen! Tu firma quel maledetto contratto e non pensarci più».
«Remo, io sono il tuo manager, devo anche preoccuparmi della tua salute.
Cristo, quello ti…».
«Adelmooo! Dai quel cazzo di okay. Dai-quel-cazzo-di okay! Non c’è altro da
dire».
«Bah, fai un po’ come ti pare. Mando subito il fax, allora».
«Ecco, bravo. Ci sentiamo dopodomani per i dettagli».
«Okay, okay. Ciao».
«Ciao».
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UNO
Mi chiamo Remo Pariglia e mi piacerebbe dirvi che di lavoro faccio il pugile
professionista. In realtà in Italia di pugili professionisti non ne esistono. Anche
se sei bravo, qui puoi sperare al massimo di tirare a campare per qualche
anno, ma poi devi pensare a fare altro, se non vuoi morire di fame. Tolti Rosi,
PiccirilloelabuonanimadiGiovanniParisi,nessunoinItaliasièpotutodedicare
ai soli guantoni, in quest’ultimo quarto di secolo. Persino un fenomeno come
Stefanino Zoff s’è dovuto arrabattare a fare lavori saltuari! Cioè un campione
del mondo, uno che si è andato a prendere la cintura iridata dei pesi leggeri
nella terra dei mangiarane, facendo una faccia come un pallone a Lorcy! E
se i giudici non fossero stati i soliti corrotti, vai tranquillo che si era ripetuto
pure in Germania con Artur Grigorian. Ebbene, nonostante questo, anche
lui s’è dovuto inventare qualcosa durante e dopo la carriera per sfangarla,
altroché. E quel demente di Adelmo, neanche ci salisse lui sul ring, che ha
provato a cincischiare con ottantacinquemila euro in ballo! E chi sarà mai ‘sto
Hasan, Roberto Duran da giovane! Ma va’, che l’ho visto su Youtube cento
volte ed è il solito “dilettantone” che sfornano da quelle parti. Sì, d’accordo,
quasi un metro e ottanta d’altezza per sessantatré chili di peso; un allungo
pauroso; un fisico costruito come nella migliore tradizione germanica; e, sì,
diciamolo, un gancio destro che deve fare un male cane quando ti centra,
ma… Insomma, dai! C’ho quasi trentacinque anni e, contrariamente a molti
colleghi cagasotto che hanno i record taroccati e combattono sempre con
i soliti quattro immigrati scarsi, me li sono fatti i match in giro per il mondo,
io. Quarantanove, mica uno. Come il grande Rocky Marciano. E con uno
score decente, tutto sommato: trentasette vittorie, due pari, dieci sconfitte.
Venticinque successi prima del limite, pure. Sono stato campione italiano
dei superpiuma per sette anni e, se non mi fregavano il match in Danimarca,
avevo vinto anche l’europeo. Ma si sa, quando vai fuori, o riesci a metterlo
per terra l’idolo di casa, oppure non ti fanno tornare indietro con la cintura (e
così, nonostante avessi sconfitto Brensen di almeno quattro punti, m’avevano
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GiveMeAChance
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dato un pari scandaloso, che ladri). Però lì almeno pagano e sono match
veri, di fronte a migliaia di persone e con delle borse che valgono la pena.
E se ti riesce il colpaccio, come a me con quello stronzetto di Karmasimov,
ecco che all’improvviso si possono spalancare le porte dell’Olimpo e ti ritrovi
con la possibilità di metter su un bel gruzzoletto. M’aveva fatto vedere i sorci
verdi per nove riprese, il maledetto: colpi bassi, ditate, ganci sullo stop… E
naturalmente quel venduto che arbitrava neanche un richiamo ufficiale, non
sia mai! Tutto gli ha lasciato fare, persino un paio di capocciate di quelle
palesi, di quelle che, da sole, dovrebbero valere una squalifica in un incontro
regolare e degno di questo nome. Ah ah, chissà come gli sarà dispiaciuto,
al pezzo di merda, quando il russettino-mille scorrettezze l’ho centrato alla
decima con quel gancio sinistro a tutto braccio. Bam, è venuto giù secco.
Hai voglia a far trucchetti quando un guardia destra riesce a coglierti alla
punta del mento dopo il classico mezzo passo indietro! Gli ci son voluti trenta
secondi buoni per capire dove diavolo si trovava, mica no. Ed io mi son
riportato da quel posto schifo nel buco di culo della Russia, un po’ di dollari,
il titolo intercontinentale WBA dei leggeri e un posticino tra i primi quindici
del ranking mondiale. E quel coglione di Adelmo dai ad abbracciarmi, a
dire “bravo, bravo”. Non se lo ricordava che due riprese prima voleva far
gettare la spugna, la vecchia volpe dei miei stivali. “È troppo giovane, è
troppo veloce, è troppo protetto”… Poi, però, quando lo ha visto steso a
terra come uno stronzo di cane ha fatto presto a rimangiarsi tutto. Come
tutti, d’altronde. Come quei fottuti della stampa specializzata, una manica
di cialtroni rincoglioniti che stanno ancora lì a parlare di Arcari, Benvenuti e
Duilio Loi. Li vedi, trippe mosce a bordo ring, buoni solo a chiedere il sangue
insieme alle poche centinaia di zotici che puoi trovare nelle riunioni qui da
noi. Gente che non ha mai scavalcato le dodici corde e si sente in diritto
di farti la lezioncina, di dirti che la tua impostazione tecnica è carente per
puntare a certi livelli. Ma vaffanculo! Col cavolo che devono preoccuparsi di
mettere insieme pranzo e cena, loro! Quando arriva il ventisette, il giornale
o la televisione passa sul conto corrente una cospicua sacchetta di denari e
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vai a fare gli intenditori. C’hanno mica idea di cosa significhi star lì a pestarsi
con un altro uomo per sei, otto, dieci o dodici riprese. Tutte quelle botte che
a volte non basta una settimana per far passare il dolore. Solo Rino, cavolo,
soltanto il grande Rino Tommasi dovrebbero far parlare di pugilato in Italia,
altro che questa manica di cialtroni. Lui sì che ne sa qualcosa, che ha voce
in capitolo per azzardare un giudizio. Magari qualche volta toppa pure lui,
per carità. Di sicuro le mani di granito di Shannon o di Iriarte non gli hanno
fatto scricchiolare le ossa per lunghi, interminabili minuti come è successo
al sottoscritto. Però, almeno, quando lo senti disquisire si capisce al volo
che è una persona degna, preparata. E poi, se sono diventato un pugile, lo
devo proprio a lui, che tanti anni or sono fece vedere ne La Grande Boxe
il match di rivincita tra Aaron Pryor e Alexis Arguello, valido per il mondiale
dei superleggeri. Se chiudo gli occhi, riesco ancora oggi a ricordare quegli
incredibili scambi tra i due fuoriclasse prima del ko alla decima. Dovevo
compiere otto anni, ma già quella sera, seduto di fronte a un Voxson mezzo
scassato insieme a mio padre, sapevo che da grande sarei diventato un
pugile.
Tutta la brava trafila mi son fatto. In primis, dai canguri fino ai dilettanti prima
serie. Però si vedeva che con il pugilato in maglietta non ero tagliato. Troppo
tempo per carburare e un atteggiamento che mal si conciliava con le misere
tre riprese a disposizione. Poi, per fortuna, a ventuno anni sono passato
professionista e le cose sono andate subito meglio. Intanto perché finalmente
qualche soldino, per quanto misero, si è cominciato a vedere. E poi perché
sulla lunga distanza vado una meraviglia: infatti, quando gli incontri vanno
oltre la sesta ripresa, mi trasformo nel classico “demolitore”. Con un singolo
colpo (ad eccezione del benedetto match contro Karmasimov) non sono
capace a buttar giù uno, però dagli e dai, essendo anche un guardia destra
naturale e creando diversi grattacapi a chi ha un’impostazione pugilistica
classica, sono un asso a logorare gli avversari a furia di pugni e pugnetti.
Certo, non sono mancate le giornate storte in questi tre lustri. Né di dover
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GiveMeAChance
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assaggiare la stuoia per il conto totale di dieci più di una volta. Tre anni fa,
per esempio, contro quel randellatore terrificante di Francisco Hernandez.
M’avevano proposto seimila e cinquecento dollari per un dieci riprese nel
sottoclou di un mondiale dei pesi mosca a Città del Messico e, visto che
in quel periodo avevo appena perso l’impiego da imbianchino con il quale
mi mantenevo, non potevo certo dire di no. Senza contare che non avevo
mai varcato l’Oceano Atlantico e una capatina da quelle parti avevo tutta
l’intenzione di farla. Anche in quel caso, ovviamente, Adelmo aveva provato a
mandare tutto all’aria. E anche in quel caso ero dovuto arrivare alle minacce
fisiche per farlo accettare. Quanta scena del cavolo! ‘Sta storia dei manager
che sono come secondi padri… Ma di che! Tutte bugie, per come l’ho vissuta
io. L’importante è solo la loro percentuale sulla tua borsa, mica che il tipo
che hai di fronte ti riduca a brandelli. È ben per questo che ci tengono a
farti durare il più possibile. Meno rischi di essere pestato selvaggiamente,
ma anche maggiori opportunità di riciclarti due o tre volte l’anno come
collaudatore in giro per l’Europa: dovunque, infatti, sembrano esserci le
classiche grandi promesse che hanno bisogno di avversari qualificati per
salire nei ranking continentali e internazionali. Perfino in Portogallo m’è
toccato di andare, anche se quella volta gli ho giocato un tiretto niente male
agli organizzatori. Eh già, dalla quarta in poi l’ho sbudellato di ganci il loro
superpiuma rampante. Sei volte al tappeto l’ho spedito, prima che l’arbitro
si decidesse per il ko tecnico. Però, è stato un caso, perché, come dicevo
prima, quando vai fuori a guadagnarti la pagnotta non ti lasciano scendere
dal quadrato vittorioso. Puoi anche dominare tutte le riprese, ma se non
metti giù il raccomandato di turno, la vittoria in Italia non la riporti. E visto che
per combattere e guadagnare qualcosa che giustifichi le mazzate prese sei
costretto solitamente ad andare in Inghilterra, Francia e Germania, capirete
come la maggior parte delle mie sortite fuori dai nostri confini si sia risolta in
sconfitte più o meno decorose. Una cosa buona, comunque, è che quando
non eviti nessun avversario, gli organizzatori ti chiamano, perché sanno che
come collaudatore sei una garanzia e che il loro ragazzo, una volta che ti
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avrà battuto, avrà acquisito visibilità e magari scalato posizioni. A te, ad ogni
buon conto, rimane il nome e un po’ di spiccioli per tirare avanti qualche
mese senza avere l’assillo di un lavoro a tutti i costi. Tanto, quando son finiti
i soldi e di match in vista non ce n’è granché, fai presto a rituffarti in qualsiasi
cosa capiti.
Dalla mia, posso dire che, nonostante questo tipo di vita non riesca proprio
esaltante dopo un tot di anni, sono sempre riuscito a tirare avanti e a fornirmi
di un tetto sopra la testa. Sembra una cosa da nulla, ma vi assicuro che non
è poco quando nasci quarto e ultimo figlio di un padre spazzino che non ha
potuto darti granché per fare strada nel mondo. E poi, non per avallare certi
stereotipi che l’opinione pubblica ha dei pugili, ma sono sicuro che senza
la boxe presto o tardi avrei commesso sicuramente qualche stronzata nella
vita. Anche se da quasi dodici anni vivo ad Avezzano, nella Marsica, sono
originario di Pescara, quartiere Rancitelli, uno di quei posti che non ha proprio
niente da invidiare al Bronx. Droga, rapine, omicidi, violenze di tutti i tipi. Non
ci metti niente a ritrovarti nel giro sbagliato, soprattutto se non sei nessuno,
se non hai niente alle spalle. E non è per forza una questione di destino e
tutte quelle menate da libri o da cinema. È che a furia di star sempre con le
tasche vuote a cazzeggiare per il quartiere, può tranquillamente capitare che
un giorno tu abbia un colpo di testa e decida di trasformarti nell’ennesimo
fuorilegge di provincia, soltanto per provare come ci si sente. Ma a me,
rischiare di guardare anche solo per un giorno il sole dietro le sbarre, non
mi è mai sembrata una buona idea. I soldi son fatti apposta per incularti,
soprattutto quando sono troppi e non sono frutto della tua fatica. Vengono
e se ne vanno, come le rondini, con la differenza che una volta andati via
potrebbero non tornare mai più e lasciarti nella merda, altro che aspettare
primavera. No, meglio il giusto necessario, date retta. Meglio avere i sudori
freddi per racimolare i baiocchi per affitto e bollette ma alla fine farcela
sempre, piuttosto che assaggiare un quarto d’ora di gloria e poi passare il
resto della vita infognato sull’orlo di un precipizio.
Sì, lo so, sono un filosofo da quattro soldi e mi rendo perfettamente conto
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di non essere una persona affascinante con i miei due più due. Sarà forse
per questo che, a trentacinque anni, non ho ancora trovato un posto al sole
e son costretto a farmi menare in giro per l’Europa. Però, con i soldi della
prossima borsa, tolte le percentuali di Adelmo e Fernando (il mio allenatore),
dovrei arrivare giusto giusto alla cifra necessaria per rilevare il cinquanta per
cento di un bar in centro. Una roba sicura, un’attività avviata da anni per la
quale io e Maurizio, il mio prossimo socio, abbiamo già un bel po’ di idee. Il
vecchio padrone ha intenzione di mollare proprio alla fine di quest’estate e un
abboccamento quasi definitivo c’è già stato. Fino alla notizia del match con
Hasan ho dovuto cercare di prender tempo, di bleffare. Poi, quando Adelmo
m’ha detto che i contratti erano in viaggio, ho potuto finalmente dare la mia
disponibilità. Non vedo l’ora di metter nero su bianco. Mi ritiro a vita privata, a
fare caffè e mescere birre, sì sì. Altro che star lì a prendere sganassoni! Giuro
che il quattro settembre, a prescindere dal risultato del match, organizzo
un’arrostata con un po’ di amici e mi faccio venire la gotta a furia di buttar
giù carne alla brace. E poi, se le cose vanno come devono andare, nel giro
di qualche mese metto su famiglia con Sonia. Lei sono già due anni che
mi è sembrata intenzionata, soprattutto dopo che l’hanno passata a tempo
indeterminato nella fabbrica dove lavora. Ma io, senza un lavoro fisso e in
attesa di una chance per monetizzare ‘sti tre lustri di carriera, ho sempre fatto
finta di niente. Adesso invece ho fretta di concludere, di sistemarmi come si
deve e una volta per tutte. E pure di sfornare un pargolo, due. Sì, sento che
è arrivato il momento, altrimenti invecchierò male se continuerò ad aspettare
altro tempo. Invece, dopo aver incontrato Hasan, con una botta secca metto
ogni cosa al suo posto e di palestra e guantoni non vorrò più sentirne parlare.
Me li toglierò una volta per tutte e di sicuro non mi lascerò prendere da quella
stupida nostalgia che, dopo qualche anno dall’abbandono, porta certi pugili a
risalire sul quadrato per esporsi a delle figure indecorose. No, il tre settembre
sarà l’ultima stazione. Dopo, giù dal treno e mai più risalirci.
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DUE
Arrivo in palestra, la Warriors Avezzano 1984, la mattina alle nove. Ci siamo
solo io e Renzo, il custode del complesso sportivo (se così si può definire)
che sta ammonticchiando una catasta di pigne cadute dagli alberi intorno.
Fernando, il mio maestro, ha dei giri da sbrigare per una riunione in provincia
di Teramo della prossima settimana e non sarà qui prima di un paio d’ore.
Ne approfitto per fare un po’ di corsa in pineta. Con il peso sto più che bene,
sessantaquattro chili precisi ieri sera. Non sono uno di quei pugili che fa
impazzire manager e allenatori sbomballandosi di cibo (e magari di bicchieri
di festeggiamento) dopo un incontro per poi sudare quattordici camice nel
tentativo di rientrare nei limiti della sua categoria e onorare un contratto.
Non riesco a stare lontano dagli allenamenti per più di una settimana, io, e
di conseguenza non ingrasso mai. Ecco perché sono sempre pronto quando
arriva qualche chiamata, anche due settimane prima di un match (come è
capitato in Portogallo).
M’infilo tuta e scarpe da tennis e comincio il percorso. È una bella giornata
di fine giugno, con il cielo sereno e un sole poco invadente. Me ne vado
al piccolo trotto incrociando di tanto in tanto qualche podista del luogo o
qualche vecchietto che sta godendosi la passeggiata della mattina. Dopo una
mezz’oretta abbondante, mi concedo un po’ di stretching e qualche esercizio
di respirazione, prima di tornare in palestra. Naturalmente a quest’ora non
c’è nessuno ed è una goduria assurda poter disporre nella massima libertà
dell’impianto stereo che Fernando ha comprato per rallegrare l’ambiente. Tiro
fuori dal lettore cd un disco masterizzato di Tiziano Ferro che, non capisco
come, concilia gli allenamenti di quasi tutti i pugili della Warriors e dalla tasca
esterna della borsa prendo il cd originale di Let there be rock, degli ACDC.
Sparo il volume a oltre la metà della manopola, mi sfilo il pezzo di sopra
della tuta e comincio a fare un po’ di figure in solitaria davanti allo specchio.
Per molti ragazzi, questo menar colpi davanti alla propria immagine riflessa
sembra essere il massimo dei piaceri che il nostro sport può regalare. Te li
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GiveMeAChance
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vedi, tutti belli e bulli, mentre saettano al niente carrettate di destri e di sinistri
immaginando di scardassare un rivale immaginario che può essere un sacco
di patate di Lecce dei Marsi come Oscar De La Hoya. Quando c’è da fare i
pavoni, da contemplarsi mentre si gioca a fare i boxeur di gran classe, son
tutti pronti, felici. E già, facile lanciarsi nei pensieri più sfrenati di bravura
senza nessuno di fronte. Peccato, però, che dentro al ring c’è sempre un altro
uomo pronto ad aspettarti e a farti un culo così alla minima distrazione. Sarà
forse per questo motivo che non mi è mai piaciuto più di tanto starmene come
un sognatore di fronte allo specchio. Giusto il tempo necessario a vedere la
fluidità di certi movimenti di braccia e gambe e a controllare la correttezza
di certe traiettorie dei pugni. Poi, basta. Poi, è il momento delle cose un po’
più serie: infatti, mentre Malcom e Angus scaricano quintali di adrenalina
dalle casse, passo subito a fare un po’ di sacco, infilandomi i guanti da otto
once. Provo a figurarmi soprattutto eventuali situazioni statiche, di corpo a
corpo, in modo tale che la resistenza offerta dal sacco possa in qualche
modo aiutarmi nel lavoro coi ganci. E in quella serie di colpi che insisto
maggiormente, cercando di velocizzare quanto più mi riesce il passaggio jab
destro-gancio sinistro con il movimento verso il basso. Dopodiché comincio
a doppiare e poi a provare qualche tripletta sinistro-destro-sinistro sempre in
gancio. Quando sento che le braccia si stanno facendo un po’ pesanti, torno
a esercitarmi con il jab, stando ben attento a resistere quanto più tempo
possibile sulle punte. Faccio un costante movimento di avanti e indietro con
il corpo, perché starsene lì a sparare pugni piazzato con le suole a terra non
serve assolutamente a nulla. Soprattutto quando sai che dovrai affrontare
un tizio alto una dozzina di centimetri più di te. Già te lo figuri il leitmotiv
dell’incontro, con lui che si mette frontale e lancia tutti colpi di sbarramento e tu
che non ce la fai a raggiungerlo se non a prezzo di scoprirti. Invece, rendendo
le punte dei piedi dinamiche, hai la possibilità di giostrare meglio l’equilibrio
del corpo nell’avanzare e nel retrocedere e, conseguentemente, molta più
facilità di sottrarti ai colpi che arrivano da lontano. Dopo un po’, con il sudore
che comincia ad appiccicarmi la schiena, passo a fare un po’ di “peretta”
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(l’attrezzo a forma di pera altresì noto come Speedball). Parto piano perché
voglio durare il più possibile e fare in modo che il movimento delle braccia sia
bello fluido, veloce. Certo, dopo qualche minuto diventa una rottura di palle
e hai bisogno di mollare un paio di bei cazzottoni dritto per dritto per sfogarti.
Però è un esercizio utile, perché saper mulinare braccia e avambracci ti aiuta
a essere più reattivo e avere più forza quando sei nel corpo a corpo con
l’avversario. Quindi, decido di fare un po’ di “passeggiate” sul ring per vedere
come va con le articolazioni delle gambe. Giro torno-torno al quadrato una
decina di volte senza muovere i pugni, semplicemente spostandomi sul piede
destro e sinistro, simulando tutti i movimenti sul perimetro che mi vengono
in mente. Poi, gradualmente, comincio a far fischiare qualche jab nell’aria e
infine aggiungo i ganci, stando sempre ben attento ad eseguire il classico
mezzo passo indietro che mi permette di caricare e dare una traiettoria dal
basso verso l’alto. Addirittura, quando ho ripetuto tre volte questi passaggi,
provo ad azzardare anche qualche uppercut, anche se la speranza di
piazzarne uno fatto a mestiere con uno spilungone veloce come Hasan mi
sembra francamente difficile. In ogni caso, cerco sempre di seguire con la
coda dell’occhio l’esecuzione stilistica, stando attento alla posizione dei piedi
quando il colpo parte. Una cosa fondamentale, a maggior ragione per un
guardia destra, che, se fa male questo movimento, rischia di farsi incrociare
come il più sprovveduto dei dilettanti e di finire a culo per terra anche solo su
un semplice dritto portato come Dio comanda (figurarsi poi contro uno come
Hasan, che ha le leve lunghe e ci mette un attimo a sfruttare i buchi che lasci
nella guardia). Ripeto il girotondo senza pugni per un’altra decina di minuti e
poi mi fermo a respirare e a buttar giù un po’ d’acqua. Non sarebbe male farsi
subito un tre riprese di colpi appoggiati, ma, visto che fino a tardo pomeriggio
difficilmente troverò qualcuno, devo passare ad altro. E dunque provo un
po’ di schivate con il pallone elastico. Un colpo e via, un colpo e via. Cerco
di immaginarmi traiettorie abbastanza diagonali per replicare l’avanzare dei
pugni di un avversario che inizia la sua azione di attacco in posizione laterale
e con una lunga serie di jab di sbarramento. Il gioco di gambe, per essere
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GiveMeAChance
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il primo giorno di allenamento, mi sembra più che buono. Mi sento veloce,
per niente legato. Ma la cosa migliore è che sono tranquillo, pur essendo
consapevole che, da oggi fino al due settembre, dovrò ripetere ogni singolo
esercizio fino alla noia, cercando di capire cosa si può migliorare e se esiste
una serie di movimenti coordinati sui quali lavorare di più per impostare la
mia azione di attacco. Perché, per quanto voglia cercare di correre meno
rischi possibili, capisco senza bisogno che qualcuno me lo spieghi che se
nelle prime riprese rimarrò piantato nei pressi delle corde, quello troverà
subito il modo di tagliarmi la strada e di non farmi girare. E poi, giunto il
momento propizio, proverà a forzarmi la guardia o a provocare qualche mia
reazione che gli apra un pezzo di figura da colpire, magari doppiando.
Aldilà dell’allenamento, del coraggio e del’astuzia, per riuscire a resistere
a un caterpillar come Hasan, ci sarà bisogno di essere più scattanti di un
puma e di curare al meglio la scelta di tempo di ogni singolo spostamento di
braccia.
Vado a spegnere lo stereo e torno in pineta a fare una corsetta defatigante
e qualche esercizio di stretching, mentre quel cavernicolo sciroccato di Bon
Scott finisce di gracchiare per la seconda volta Whole Lotta Rosie.
Proprio mentre sto rientrando per andare sotto la doccia, da lontano vedo la
Punto color oro di Fernando imboccare il cancello che porta al vialetto della
palestra. Quando arrivo sulla soglia è lì ad aspettarmi.
«Remo, buongiorno!» mi dice con voce allegra e dandomi una pacca sulla
spalla.
«Buongiorno, Ferna’».
«Allora è arrivata la grande occasione, eh. Adelmo m’ha detto che hai
accettato».
«E certo, che dovevo fare? Un titolo mondiale, ottantacinquemila euro…».
«Naturalmente, giusto».
«Sei proprio sicuro?».
«Sì, perché? Che volevi fare? Dopo quasi quindici anni di professionismo
dovevi rinunciare al match più importante e alla borsa migliore della tua
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vita?».
«Per fortuna che almeno tu l’hai capito!».
«Scazzato con Adelmo, eh?».
«Beh, dimmi tu se di fronte ad un’occasione del genere, con una lista di
altri sfidanti pronti ad accettare alla mia minima esitazione, potevo non
incazzarmi».
«Eeeh, Adelmo è una vita che fa così. Tu sei giovane, ma io, tra una storia
e l’altra, sono quasi quarant’anni che ci lavoro insieme. Ed è sempre stata
la stessa storia. Pavido e calcolatore. Scaltro e opportunista. Secondo me,
dopo la vittoria con Karmasimov, si era già fatto un bel piano per sfruttarla
al massimo. Lo sai che c’ha discreti agganci in regione, no? Beh, secondo
me, stava pensando di farti fare l’Europeo in qualche comune dei dintorni
e, con il fatto che il figlio gli fa da prestanome in qualità di organizzatore,
di mettersi in tasca sia la sua percentuale, sia quella dell’organizzazione.
E poi, vinto o perso, ti avrebbe rimesso davanti a Karmasimov chiedendo
almeno trentamila euro di borsa. Insomma, a conti fatti -i suoi- ci avrebbe
guadagnato sicuramente di più».
«Cazzo, che tristezza dover combattere per questa gente qui. Ed è ancora
peggio, se penso che in Italia è forse il migliore sulla piazza. Sono una tribù
di avvoltoi e cagasotto».
«Bah, forse esageri con il fatto che siano dei veri e proprio avvoltoi, ma che
siano dei cagasotto è cosa certa. Comunque, quello che conta ora è che
i contratti siano in viaggio. Certo che Hasan… bella bestia, ragazzo mio!
Dovrai stare attentissimo sul ring».
«Lo so, lo so. Ma che ti devo dire? Io non ho paura. Ho combattuto dovunque,
conchiunque.PureMitchelleracampionedelmondo,eppureseaManchester
mi davano il pari non succedeva niente, mi pare».
«Sì, però Mitchell non è Hasan, Remo. Mitchell era un normale campione del
mondo dei superpiuma salito di categoria, mentre Hasan è un caterpillar con
un fisico da mediomassimo».
«Ferna’, io non ho paura lo stesso. Se riesco ad allenarmi bene, vado là e
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faccio tranquillamente il mio match. Magari non vincerò, ma sono sicuro che
posso finire in piedi e che, in ogni caso, non sarà una brutta figura. E poi,
cazzo, quei soldi me li sono proprio meritati! Sono quindici anni di boxe vera,
i miei, mica pagliacciate».
«Completamente d’accordo. Ma perché non entriamo? Ho una sorpresa per
te».
«Una sorpresa?».
«Sì, aspettami dentro che vado a prenderla in macchina».
Entro e dopo una manciata di secondi lo vedo infilarsi a stento nella porta
d’ingresso con due grandi cornici a giorno sotto un braccio e due tubi di
cartone sotto l’altro. Li appoggia al lato della scaletta che porta al ring e mi
sorride con uno sguardo sornione.
«Beh?».
«Eh eh, arrivate giusto ieri. Mi sono costicchiate un po’, questo sì, ma non
ho potuto resistere».
Toglie il tappo da uno dei due cilindri e con un gesto lento e accorto tira fuori
una stampa arrotolata.
«Indovina un po’?».
«E che ne so, Ferna’?».
«Et voilà!».
Appoggiando un estremo sotto il mento, spiega la stampa che, a occhio e
croce, sarà alta almeno un metro e venti. Non c’è bisogno che arrivi alla metà
per capire di cosa si tratta: è una foto storica del primo match per il titolo
mondiale dei pesi medi tra l’immenso Sugar Ray Robinson e uno dei miei
idoli assoluti, Carmen Basilio.
L’immagine l’ho già vista altre volte e ne ho anche appesa una copia su un
foglio A4 a una parete della mia stanza, ma vederla così, in questo formato
gigante, mi fa impazzire.
«Madonna, Ferna’! Ma dove diavolo l’hai trovata?»
«Eeeeh, al contrario di quel segaiolo di mio figlio, che su internet ci va solo
a vedere puttane e nerchiuti, io ci passo ore a scovare roba interessante. E
19
da un sito americano l’ho scovata e me la sono fatta spedire una decina di
giorni fa. Ma non è tutto, guarda che altro ho trovato».
Ripiega la prima stampa e me la passa, mentre toglie il tappo al secondo
cilindro e ripete l’operazione di srotolamento.
Stavolta, mentre l’immagine comincia a formarsi, non riesco a capire di cosa
si tratti. Vedo la faccia di un pugile di colore con lo sguardo truce che guarda
alla sua sinistra, ma, là dove ti aspetteresti il suo avversario, non si vede
ancora nulla. Un altro paio di girate e comincia a comporsi, in una “posa”
assurda, il volto e un pezzo di corpo del suo antagonista. Sembrerebbe messo
quasi per diagonale e, ad un ulteriore giro di mani di Fernando, riesco a
coglierne lo sguardo vitreo. È evidente che sta per cadere al tappeto, ma non
riesco a capire chi sia fino a quando, aiutandosi con le gambe per bloccarla
ai lati, Fernando non riesce a spiegare l’immagine nella sua interezza. Ora
lo riconosco.
«Mamma mia! Julian Jackson contro Herol Graham, campionato del mondo
dei pesi medi WBC!».
«Te lo ricordi quel ko?».
«Se me lo ricordo!Avrò avuto tredici anni, ma ce l’ho stampato qui nel cervello:
il missile di Jackson e Graham che un istante dopo cade giù e ci rimane quasi
cinque minuti. Uno dei ko più terrificanti nella storia del pugilato. E pure uno
dei più belli, secondo me».
«Già. Sarà per questo che mi è costato un bel pacchetto di euro, porco Giuda!
Però ne è valsa la pena, no? Guarda che qualità, che risoluzione perfetta.
Adesso, sai che facciamo? Togliamo quel poster del cazzo con Sylvester
Stallone e piazziamo queste due stampe di fronte al ring. Che ne dici?».
«Dico che lo facciamo subito. Aspetto anche a farmi la doccia».
Passiamo il successivo quarto d’ora ad armeggiare con le cornici, le foto
e i chiodi fino a quando, esattamente di fronte al ring, sparisce la faccia di
culo di Stallone e fanno la loro comparsa le gigantografie tratte da quei due
magici incontri.Alavoro finito, rimango a fissare qualche istante l’espressione
feroce di Carmen Basilio che centra Robinson con una sventola e poi vado
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negli spogliatoi.
Dopo una doccia veloce, esco con la borsa su una spalla e una bottiglia
d’acqua in mano. Fernando sta sistemando il sostegno di un angolo del ring,
cercando di tirarlo dentro.
«Ferna’, io vado. Sai se oggi pomeriggio passa qualcuno? Paolo, Alcide?».
«Paolo viene domani sera dopo il lavoro. Alcide, invece, dovresti trovarlo
verso le quattro e mezza».
«Bene, magari facciamo un tre riprese leggere tanto per, che ne dici?».
«Sì, chiediglielo, non dovrebbero esserci problemi. Se riesci a venire una
mezz’oretta prima, però, ti faccio fare un po’ di figure sul ring».
«Va bene. Alle quattro sono qui, allora. Ci vediamo dopo».
Faccio per andarmene, ma Fernando mi prende per un braccio.
«Remo, prima che vai, voglio dirti che per questo match cercherò di fare tutto
quello che posso, di allenarti al meglio. Scusa per stamattina, ma lì a Teramo
riesco a portare due ragazzi e sono soldini che…» imbarazzato.
«Non preoccuparti, Ferna’. Lo so che…».
«No, ascolta» appoggiandomi tutte e due le mani sulle spalle. «Ormai sono
dodici anni che ti alleno e sono stato al tuo angolo in ogni parte d’Europa…»
trattiene le parole, lanciandomi uno sguardo serio che non gli ho mai visto
prima. «Voglio che questa volta si riesca a fare tutto il meglio che si può. Va
bene tre riprese leggere di allenamento con Paolo oAlcide, ma, già tra quindici
giorni, vorrei che tu facessi un po’ di test con qualcuno più all’altezza».
Lo fisso interrogativo, mentre comincia a misurare a passi veloci un lato del
bordo ring.
«Se tu sei d’accordo, avevo pensato di fare un salto a Milano, diciamo al
massimo alla fine della terza settimana di luglio. C’è la possibilità di fare i guanti
per una decina di giorni con Salvatore Stozza, il campione intercontinentale
IBF dei superpiuma. È un discreto pugile, è imbattuto ed è alto quasi quanto
Hasan. Ovvio che stiamo parlando di due livelli diversi, ma possiamo fare un
buon lavoro, secondo me. Ci mettiamo con Youtube e studiamo per bene i
movimenti da fare sul ring. Stozza non è male neanche tecnicamente, quindi
21
possiamo tirarci fuori delle belle cose. Ho parlato con il suo manager appena
Adelmo m’ha detto che avevi accettato il match. Sapevo che Stozza il diciotto
di agosto c’ha la difesa del titolo a Cernusco sul Naviglio con un ugandese
naturalizzato in Svizzera. A lui farebbe comodo rifinire la preparazione con
uno come te, a noi fa comodo avere uno come lui per le sue caratteristiche
fisiche. Dunque, ho fatto uno più uno».
«Adelmo che ne pensa?».
«Adelmo! A lui cosa vuoi che gliene importi? Risparmia i soldi di uno sparring
partner perché sa che io e l’allenatore di Stozza siamo amici da una vita e
ci scambiamo il favore a vicenda. Quando non deve tirar fuori dal portafogli
suo, è tutto contento, Adelmo. Ci paga il biglietto del treno da Roma, un
rimborso di due-trecento euro per le spese e se la cava. Uno sparring partner
sicuro gli costava di più. Ne sarà entusiasta, fidati».
«Sei un grande, Ferna’» abbracciandolo. «Non ho parole, davvero».
«E non è tutto. Ancora non me l’ha confermato, ma forse per fine agosto
riesco a far venire qualche giorno ad Avezzano Jamil Tirkuk, te lo ricordi?».
«Come no, quel leggero turco che si è trasferito a Marsiglia e hanno fatto
perdere cinque anni fa con Iriarte per l’Europeo. Ancora combatte? Non lo
sapevo».
«Praticamente è agli sgoccioli, però per qualche buona borsa ancora si
riesce a farlo venire. E il ventotto di agosto l’hanno chiamato a Roma per
collaudare Jommi, un ragazzetto di Tor Bella Monaca che stanno cercando
di far salire. Quando l’ho saputo, mi sono messo in contatto via mail con il
suo manager per chiedergli se, con qualche spicciolo garantito, Tirkuk era
disponibile a venire tre giorni prima in Italia. Poi, ho contattato Renzoni,
l’organizzatore del match di Roma, e gli ho chiesto se per lui era un problema
che il ragazzo arrivasse qualche giorno prima in Italia per aiutarmi con te.
Ho dovuto insistere, perché aveva paura che, facendo i guanti a così poca
distanza dal match, potesse infortunarsi, ma poi, quando gli ho promesso
che avreste fatto solo figure e riprese leggere, ha accettato. Anche perché,
se m’avesse detto di no, col cazzo che a inizio ottobre gli porto Paolo e
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Alcide per la riunione al Pala Tiziano per la quale ha già beccato i contributi
dalla circoscrizione! Capisci? Ha promesso che offrirà un bello spettacolo e
ha bisogno di tenermisi buono, altrimenti contro i suoi ragazzi rimedia i soliti
scarsoni rumeni o tunisini e non ci fa certo una bella figura».
«Tu dici che con Tirkuk riesco a fare qualcosa di buono?».
«Io dico di sì. E sai perché? Perché, quando ancora erano tutti e due dilettanti,
Tirkuk e Hasan si sono incontrati in un torneo internazionale Germania-
Turchia. E lo sai chi ha vinto? ».
«No, non mi dire…».
«Già, ha vinto Tirkuk, ai punti. E non parliamo di un secolo fa. Sono passati
poco più di otto anni. Giusto un paio di mesi prima che entrambi passassero
professionisti. Tirkuk era una promessa, Remo. Ha vinto i primi quindici
match e con Iriarte non aveva certo perso a Madrid. È dopo quel match che
sono iniziati i problemi. Ho controllato su Boxrec. Le dodici sconfitte del suo
record sono tutte successive a quell’incontro. Non so se è stato quel verdetto
a buttarlo giù o cosa, ma ho saputo, sempre tramite Renzoni, che il ragazzo
si è fatto anche un annetto di gabbia e dopo che è uscito non è stato più
lo stesso. Il manager, che evidentemente gli vuole bene, gli ha trovato un
mezzo impiego nella ditta di costruzioni del fratello e lui, per ringraziarlo,
cerca di tenersi in una forma decente per andare ogni tanto in qualche angolo
d’Europa a collaudare qualcuno. In Italia, fino ad ora c’è stato due volte. La
prima, ha messo ko Bolucci a Mantova. La seconda, gliel’hanno data persa
contro Mantini, quello che hai battuto tre anni fa a Portici».
«Beh, se le cose stanno così, direi proprio che potrebbe essere utilissimo.
Cavolo, sei un grande, Ferna’! Come ci hai pensato a tutte queste cose in
un giorno e rotti, non lo so, ma grazie, grazie mille. Per fortuna che ci sei tu,
perché se era per Adelmo, mi mandava il solito sacco di merda che rimedia
lui a cinquanta euro al giorno».
«Remo, sarò sincero: io credo che sia molto difficile che tu ce la possa fare
contro Hasan. Quel che è certo, però, è che questo è l’incontro della tua
vita e tu sei stato uno dei migliori pugili e, probabilmente, il migliore ragazzo
23
che io abbia mai allenato. E sento il dovere di darti tutto quello che posso
per arrivare nelle condizioni migliori al match. Devi fare una grande figura
e combattere al top della forma. Poi, come va è un aspetto secondario, dal
mio punto di vista. Per me, il modo in cui hai saputo soffrire e mettere knock
out un talento come Karmasimov e il fatto che da anni non te la fai sotto
ad andare a sfidare chiunque in ogni angolo d’Europa, sono sufficienti per
meritare ogni attenzione possibile. Punto. Okay?».
«Okay, maestro» abbracciandolo. «Di nuovo, grazie. Davvero».
«Ci vediamo oggi pomeriggio, allora».
«Sì, a dopo».
«Ciao».
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Il ring è onesto

  • 1.
  • 2. Il ring è onesto Domenico Paris GiveMeAChance Editoria Online
  • 3. GiveMeAChance Editoria Online Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Marzo 2013 Cover Art: Valentina Mastrodicasa Foto di quarta di copertina: Fabrizio Cerri La storia raccontata in questo libro è frutto della fantasia dell’autore. Pertanto, la presenza in qualità di personaggi di alcuni uomini appartenenti al mondo del boxing italiano e internazionale deve ritenersi funzionale allo svolgimento delle vicende narrate, ma eventuali riferimenti a fatti realmente accaduti sono da considerarsi puramente casuali.
  • 4. Al Magister, Rino Tommasi, per avermi fatto appassionare a questo sport e per avermi indotto a “studiare”; Alla memoria di Alexis Arguello (1952-2009). E ad Aaron Pryor, fuoriclasse dentro e fuori dal ring. Tutto cominciò dal vostro secondo incontro… Alla memoria di Carmen Basilio (1927-2012), indimenticabile campione
  • 6. 5 L’offerta era arrivata proprio da lui, Klaus Peter Kohl, il boss della Universum Box-Promotion, nonché numero uno del pugilato teutonico: ottantacinquemila euro, quattro spese di viaggio e mezz’ora scarsa per decidere. «Faxagli immediatamente di sì o ti uccido» intimai al mio manager. «Sì, Remo, però si potrebbe cercare di spuntare qualcosina di più, se…». «Spedisci subito quella risposta affermativa, altrimenti vengo sotto casa tua con una spranga». «MasitrattadiAkimHasan,Remo!Conidirittitelevisiviegliincassisipotrebbe arrivare anche a novantacinque-centomila. Lasciami fare, basterà…». «Adelmo, se non mandi subito la conferma che il tre settembre sarò lì a Berlino, sei un uomo morto». «E va bene, va bene! Dicevo solo che con un minimo di trattativa si poteva spuntare qualche spicciolo in più, che cavolo! Lo sai quanti soldi fa Kohl con le sue riunioni? A palate, maledizione. Si potrebbe riuscire facilmente a fargli scucire…». «Adelmo, mi sa che non ci siamo capiti: tu adesso finisci questa cazzo di telefonata con me e mandi il fax con un “sì” scritto a caratteri cubitali. Io, per ottantacinquemila euro, vado a combatterci nel salotto di casa sua con Hasan». «Remo, d’accordo l’entusiasmo e i soldi, ma guarda che Hasan è una bestia. Cioè, non è che si va lì a fare sei o sette riprese morbide e ce ne andiamo via senza un graffio. Cristo santo, picchia come un fabbro, quello! Trentuno ko in trentaquattro match!». «E neanche una sconfitta». «E neanche una sconfitta, già. Guarda che hai due mesi per prepararti e non lo so mica se ti basteranno a uscirne sano da quello lì». «Sul ring ci sono salito sempre io, mi pare. E ci andrò anche stavolta, tranquillo. Te lo ricordi cosa dicevi del match con Karmasimov, eh?». «Ma Karmasimov è un ragazzino, questo è una bestia! L’hai beccato perché ha voluto strafare, altrimenti avresti perso ai punti. E nettamente. Hasan è un campione. Non sarà Pacquiao o Mayweather, ma non ci manca molto,
  • 7. 6 GiveMeAChance Editoria Online secondo me. L’hai mai visto su Youtube che diavolo combina?». «Oh sì, e neanche una volta sola». «Destro, sinistro, come un treno. E poi fa un male boia. A Sam Langford junior, quando gli ha tolto il titolo, ha fracassato tre costole». «E amen! Tu firma quel maledetto contratto e non pensarci più». «Remo, io sono il tuo manager, devo anche preoccuparmi della tua salute. Cristo, quello ti…». «Adelmooo! Dai quel cazzo di okay. Dai-quel-cazzo-di okay! Non c’è altro da dire». «Bah, fai un po’ come ti pare. Mando subito il fax, allora». «Ecco, bravo. Ci sentiamo dopodomani per i dettagli». «Okay, okay. Ciao». «Ciao».
  • 8. 7 UNO Mi chiamo Remo Pariglia e mi piacerebbe dirvi che di lavoro faccio il pugile professionista. In realtà in Italia di pugili professionisti non ne esistono. Anche se sei bravo, qui puoi sperare al massimo di tirare a campare per qualche anno, ma poi devi pensare a fare altro, se non vuoi morire di fame. Tolti Rosi, PiccirilloelabuonanimadiGiovanniParisi,nessunoinItaliasièpotutodedicare ai soli guantoni, in quest’ultimo quarto di secolo. Persino un fenomeno come Stefanino Zoff s’è dovuto arrabattare a fare lavori saltuari! Cioè un campione del mondo, uno che si è andato a prendere la cintura iridata dei pesi leggeri nella terra dei mangiarane, facendo una faccia come un pallone a Lorcy! E se i giudici non fossero stati i soliti corrotti, vai tranquillo che si era ripetuto pure in Germania con Artur Grigorian. Ebbene, nonostante questo, anche lui s’è dovuto inventare qualcosa durante e dopo la carriera per sfangarla, altroché. E quel demente di Adelmo, neanche ci salisse lui sul ring, che ha provato a cincischiare con ottantacinquemila euro in ballo! E chi sarà mai ‘sto Hasan, Roberto Duran da giovane! Ma va’, che l’ho visto su Youtube cento volte ed è il solito “dilettantone” che sfornano da quelle parti. Sì, d’accordo, quasi un metro e ottanta d’altezza per sessantatré chili di peso; un allungo pauroso; un fisico costruito come nella migliore tradizione germanica; e, sì, diciamolo, un gancio destro che deve fare un male cane quando ti centra, ma… Insomma, dai! C’ho quasi trentacinque anni e, contrariamente a molti colleghi cagasotto che hanno i record taroccati e combattono sempre con i soliti quattro immigrati scarsi, me li sono fatti i match in giro per il mondo, io. Quarantanove, mica uno. Come il grande Rocky Marciano. E con uno score decente, tutto sommato: trentasette vittorie, due pari, dieci sconfitte. Venticinque successi prima del limite, pure. Sono stato campione italiano dei superpiuma per sette anni e, se non mi fregavano il match in Danimarca, avevo vinto anche l’europeo. Ma si sa, quando vai fuori, o riesci a metterlo per terra l’idolo di casa, oppure non ti fanno tornare indietro con la cintura (e così, nonostante avessi sconfitto Brensen di almeno quattro punti, m’avevano
  • 9. 8 GiveMeAChance Editoria Online dato un pari scandaloso, che ladri). Però lì almeno pagano e sono match veri, di fronte a migliaia di persone e con delle borse che valgono la pena. E se ti riesce il colpaccio, come a me con quello stronzetto di Karmasimov, ecco che all’improvviso si possono spalancare le porte dell’Olimpo e ti ritrovi con la possibilità di metter su un bel gruzzoletto. M’aveva fatto vedere i sorci verdi per nove riprese, il maledetto: colpi bassi, ditate, ganci sullo stop… E naturalmente quel venduto che arbitrava neanche un richiamo ufficiale, non sia mai! Tutto gli ha lasciato fare, persino un paio di capocciate di quelle palesi, di quelle che, da sole, dovrebbero valere una squalifica in un incontro regolare e degno di questo nome. Ah ah, chissà come gli sarà dispiaciuto, al pezzo di merda, quando il russettino-mille scorrettezze l’ho centrato alla decima con quel gancio sinistro a tutto braccio. Bam, è venuto giù secco. Hai voglia a far trucchetti quando un guardia destra riesce a coglierti alla punta del mento dopo il classico mezzo passo indietro! Gli ci son voluti trenta secondi buoni per capire dove diavolo si trovava, mica no. Ed io mi son riportato da quel posto schifo nel buco di culo della Russia, un po’ di dollari, il titolo intercontinentale WBA dei leggeri e un posticino tra i primi quindici del ranking mondiale. E quel coglione di Adelmo dai ad abbracciarmi, a dire “bravo, bravo”. Non se lo ricordava che due riprese prima voleva far gettare la spugna, la vecchia volpe dei miei stivali. “È troppo giovane, è troppo veloce, è troppo protetto”… Poi, però, quando lo ha visto steso a terra come uno stronzo di cane ha fatto presto a rimangiarsi tutto. Come tutti, d’altronde. Come quei fottuti della stampa specializzata, una manica di cialtroni rincoglioniti che stanno ancora lì a parlare di Arcari, Benvenuti e Duilio Loi. Li vedi, trippe mosce a bordo ring, buoni solo a chiedere il sangue insieme alle poche centinaia di zotici che puoi trovare nelle riunioni qui da noi. Gente che non ha mai scavalcato le dodici corde e si sente in diritto di farti la lezioncina, di dirti che la tua impostazione tecnica è carente per puntare a certi livelli. Ma vaffanculo! Col cavolo che devono preoccuparsi di mettere insieme pranzo e cena, loro! Quando arriva il ventisette, il giornale o la televisione passa sul conto corrente una cospicua sacchetta di denari e
  • 10. 9 vai a fare gli intenditori. C’hanno mica idea di cosa significhi star lì a pestarsi con un altro uomo per sei, otto, dieci o dodici riprese. Tutte quelle botte che a volte non basta una settimana per far passare il dolore. Solo Rino, cavolo, soltanto il grande Rino Tommasi dovrebbero far parlare di pugilato in Italia, altro che questa manica di cialtroni. Lui sì che ne sa qualcosa, che ha voce in capitolo per azzardare un giudizio. Magari qualche volta toppa pure lui, per carità. Di sicuro le mani di granito di Shannon o di Iriarte non gli hanno fatto scricchiolare le ossa per lunghi, interminabili minuti come è successo al sottoscritto. Però, almeno, quando lo senti disquisire si capisce al volo che è una persona degna, preparata. E poi, se sono diventato un pugile, lo devo proprio a lui, che tanti anni or sono fece vedere ne La Grande Boxe il match di rivincita tra Aaron Pryor e Alexis Arguello, valido per il mondiale dei superleggeri. Se chiudo gli occhi, riesco ancora oggi a ricordare quegli incredibili scambi tra i due fuoriclasse prima del ko alla decima. Dovevo compiere otto anni, ma già quella sera, seduto di fronte a un Voxson mezzo scassato insieme a mio padre, sapevo che da grande sarei diventato un pugile. Tutta la brava trafila mi son fatto. In primis, dai canguri fino ai dilettanti prima serie. Però si vedeva che con il pugilato in maglietta non ero tagliato. Troppo tempo per carburare e un atteggiamento che mal si conciliava con le misere tre riprese a disposizione. Poi, per fortuna, a ventuno anni sono passato professionista e le cose sono andate subito meglio. Intanto perché finalmente qualche soldino, per quanto misero, si è cominciato a vedere. E poi perché sulla lunga distanza vado una meraviglia: infatti, quando gli incontri vanno oltre la sesta ripresa, mi trasformo nel classico “demolitore”. Con un singolo colpo (ad eccezione del benedetto match contro Karmasimov) non sono capace a buttar giù uno, però dagli e dai, essendo anche un guardia destra naturale e creando diversi grattacapi a chi ha un’impostazione pugilistica classica, sono un asso a logorare gli avversari a furia di pugni e pugnetti. Certo, non sono mancate le giornate storte in questi tre lustri. Né di dover
  • 11. 10 GiveMeAChance Editoria Online assaggiare la stuoia per il conto totale di dieci più di una volta. Tre anni fa, per esempio, contro quel randellatore terrificante di Francisco Hernandez. M’avevano proposto seimila e cinquecento dollari per un dieci riprese nel sottoclou di un mondiale dei pesi mosca a Città del Messico e, visto che in quel periodo avevo appena perso l’impiego da imbianchino con il quale mi mantenevo, non potevo certo dire di no. Senza contare che non avevo mai varcato l’Oceano Atlantico e una capatina da quelle parti avevo tutta l’intenzione di farla. Anche in quel caso, ovviamente, Adelmo aveva provato a mandare tutto all’aria. E anche in quel caso ero dovuto arrivare alle minacce fisiche per farlo accettare. Quanta scena del cavolo! ‘Sta storia dei manager che sono come secondi padri… Ma di che! Tutte bugie, per come l’ho vissuta io. L’importante è solo la loro percentuale sulla tua borsa, mica che il tipo che hai di fronte ti riduca a brandelli. È ben per questo che ci tengono a farti durare il più possibile. Meno rischi di essere pestato selvaggiamente, ma anche maggiori opportunità di riciclarti due o tre volte l’anno come collaudatore in giro per l’Europa: dovunque, infatti, sembrano esserci le classiche grandi promesse che hanno bisogno di avversari qualificati per salire nei ranking continentali e internazionali. Perfino in Portogallo m’è toccato di andare, anche se quella volta gli ho giocato un tiretto niente male agli organizzatori. Eh già, dalla quarta in poi l’ho sbudellato di ganci il loro superpiuma rampante. Sei volte al tappeto l’ho spedito, prima che l’arbitro si decidesse per il ko tecnico. Però, è stato un caso, perché, come dicevo prima, quando vai fuori a guadagnarti la pagnotta non ti lasciano scendere dal quadrato vittorioso. Puoi anche dominare tutte le riprese, ma se non metti giù il raccomandato di turno, la vittoria in Italia non la riporti. E visto che per combattere e guadagnare qualcosa che giustifichi le mazzate prese sei costretto solitamente ad andare in Inghilterra, Francia e Germania, capirete come la maggior parte delle mie sortite fuori dai nostri confini si sia risolta in sconfitte più o meno decorose. Una cosa buona, comunque, è che quando non eviti nessun avversario, gli organizzatori ti chiamano, perché sanno che come collaudatore sei una garanzia e che il loro ragazzo, una volta che ti
  • 12. 11 avrà battuto, avrà acquisito visibilità e magari scalato posizioni. A te, ad ogni buon conto, rimane il nome e un po’ di spiccioli per tirare avanti qualche mese senza avere l’assillo di un lavoro a tutti i costi. Tanto, quando son finiti i soldi e di match in vista non ce n’è granché, fai presto a rituffarti in qualsiasi cosa capiti. Dalla mia, posso dire che, nonostante questo tipo di vita non riesca proprio esaltante dopo un tot di anni, sono sempre riuscito a tirare avanti e a fornirmi di un tetto sopra la testa. Sembra una cosa da nulla, ma vi assicuro che non è poco quando nasci quarto e ultimo figlio di un padre spazzino che non ha potuto darti granché per fare strada nel mondo. E poi, non per avallare certi stereotipi che l’opinione pubblica ha dei pugili, ma sono sicuro che senza la boxe presto o tardi avrei commesso sicuramente qualche stronzata nella vita. Anche se da quasi dodici anni vivo ad Avezzano, nella Marsica, sono originario di Pescara, quartiere Rancitelli, uno di quei posti che non ha proprio niente da invidiare al Bronx. Droga, rapine, omicidi, violenze di tutti i tipi. Non ci metti niente a ritrovarti nel giro sbagliato, soprattutto se non sei nessuno, se non hai niente alle spalle. E non è per forza una questione di destino e tutte quelle menate da libri o da cinema. È che a furia di star sempre con le tasche vuote a cazzeggiare per il quartiere, può tranquillamente capitare che un giorno tu abbia un colpo di testa e decida di trasformarti nell’ennesimo fuorilegge di provincia, soltanto per provare come ci si sente. Ma a me, rischiare di guardare anche solo per un giorno il sole dietro le sbarre, non mi è mai sembrata una buona idea. I soldi son fatti apposta per incularti, soprattutto quando sono troppi e non sono frutto della tua fatica. Vengono e se ne vanno, come le rondini, con la differenza che una volta andati via potrebbero non tornare mai più e lasciarti nella merda, altro che aspettare primavera. No, meglio il giusto necessario, date retta. Meglio avere i sudori freddi per racimolare i baiocchi per affitto e bollette ma alla fine farcela sempre, piuttosto che assaggiare un quarto d’ora di gloria e poi passare il resto della vita infognato sull’orlo di un precipizio. Sì, lo so, sono un filosofo da quattro soldi e mi rendo perfettamente conto
  • 13. 12 GiveMeAChance Editoria Online di non essere una persona affascinante con i miei due più due. Sarà forse per questo che, a trentacinque anni, non ho ancora trovato un posto al sole e son costretto a farmi menare in giro per l’Europa. Però, con i soldi della prossima borsa, tolte le percentuali di Adelmo e Fernando (il mio allenatore), dovrei arrivare giusto giusto alla cifra necessaria per rilevare il cinquanta per cento di un bar in centro. Una roba sicura, un’attività avviata da anni per la quale io e Maurizio, il mio prossimo socio, abbiamo già un bel po’ di idee. Il vecchio padrone ha intenzione di mollare proprio alla fine di quest’estate e un abboccamento quasi definitivo c’è già stato. Fino alla notizia del match con Hasan ho dovuto cercare di prender tempo, di bleffare. Poi, quando Adelmo m’ha detto che i contratti erano in viaggio, ho potuto finalmente dare la mia disponibilità. Non vedo l’ora di metter nero su bianco. Mi ritiro a vita privata, a fare caffè e mescere birre, sì sì. Altro che star lì a prendere sganassoni! Giuro che il quattro settembre, a prescindere dal risultato del match, organizzo un’arrostata con un po’ di amici e mi faccio venire la gotta a furia di buttar giù carne alla brace. E poi, se le cose vanno come devono andare, nel giro di qualche mese metto su famiglia con Sonia. Lei sono già due anni che mi è sembrata intenzionata, soprattutto dopo che l’hanno passata a tempo indeterminato nella fabbrica dove lavora. Ma io, senza un lavoro fisso e in attesa di una chance per monetizzare ‘sti tre lustri di carriera, ho sempre fatto finta di niente. Adesso invece ho fretta di concludere, di sistemarmi come si deve e una volta per tutte. E pure di sfornare un pargolo, due. Sì, sento che è arrivato il momento, altrimenti invecchierò male se continuerò ad aspettare altro tempo. Invece, dopo aver incontrato Hasan, con una botta secca metto ogni cosa al suo posto e di palestra e guantoni non vorrò più sentirne parlare. Me li toglierò una volta per tutte e di sicuro non mi lascerò prendere da quella stupida nostalgia che, dopo qualche anno dall’abbandono, porta certi pugili a risalire sul quadrato per esporsi a delle figure indecorose. No, il tre settembre sarà l’ultima stazione. Dopo, giù dal treno e mai più risalirci.
  • 14. 13 DUE Arrivo in palestra, la Warriors Avezzano 1984, la mattina alle nove. Ci siamo solo io e Renzo, il custode del complesso sportivo (se così si può definire) che sta ammonticchiando una catasta di pigne cadute dagli alberi intorno. Fernando, il mio maestro, ha dei giri da sbrigare per una riunione in provincia di Teramo della prossima settimana e non sarà qui prima di un paio d’ore. Ne approfitto per fare un po’ di corsa in pineta. Con il peso sto più che bene, sessantaquattro chili precisi ieri sera. Non sono uno di quei pugili che fa impazzire manager e allenatori sbomballandosi di cibo (e magari di bicchieri di festeggiamento) dopo un incontro per poi sudare quattordici camice nel tentativo di rientrare nei limiti della sua categoria e onorare un contratto. Non riesco a stare lontano dagli allenamenti per più di una settimana, io, e di conseguenza non ingrasso mai. Ecco perché sono sempre pronto quando arriva qualche chiamata, anche due settimane prima di un match (come è capitato in Portogallo). M’infilo tuta e scarpe da tennis e comincio il percorso. È una bella giornata di fine giugno, con il cielo sereno e un sole poco invadente. Me ne vado al piccolo trotto incrociando di tanto in tanto qualche podista del luogo o qualche vecchietto che sta godendosi la passeggiata della mattina. Dopo una mezz’oretta abbondante, mi concedo un po’ di stretching e qualche esercizio di respirazione, prima di tornare in palestra. Naturalmente a quest’ora non c’è nessuno ed è una goduria assurda poter disporre nella massima libertà dell’impianto stereo che Fernando ha comprato per rallegrare l’ambiente. Tiro fuori dal lettore cd un disco masterizzato di Tiziano Ferro che, non capisco come, concilia gli allenamenti di quasi tutti i pugili della Warriors e dalla tasca esterna della borsa prendo il cd originale di Let there be rock, degli ACDC. Sparo il volume a oltre la metà della manopola, mi sfilo il pezzo di sopra della tuta e comincio a fare un po’ di figure in solitaria davanti allo specchio. Per molti ragazzi, questo menar colpi davanti alla propria immagine riflessa sembra essere il massimo dei piaceri che il nostro sport può regalare. Te li
  • 15. 14 GiveMeAChance Editoria Online vedi, tutti belli e bulli, mentre saettano al niente carrettate di destri e di sinistri immaginando di scardassare un rivale immaginario che può essere un sacco di patate di Lecce dei Marsi come Oscar De La Hoya. Quando c’è da fare i pavoni, da contemplarsi mentre si gioca a fare i boxeur di gran classe, son tutti pronti, felici. E già, facile lanciarsi nei pensieri più sfrenati di bravura senza nessuno di fronte. Peccato, però, che dentro al ring c’è sempre un altro uomo pronto ad aspettarti e a farti un culo così alla minima distrazione. Sarà forse per questo motivo che non mi è mai piaciuto più di tanto starmene come un sognatore di fronte allo specchio. Giusto il tempo necessario a vedere la fluidità di certi movimenti di braccia e gambe e a controllare la correttezza di certe traiettorie dei pugni. Poi, basta. Poi, è il momento delle cose un po’ più serie: infatti, mentre Malcom e Angus scaricano quintali di adrenalina dalle casse, passo subito a fare un po’ di sacco, infilandomi i guanti da otto once. Provo a figurarmi soprattutto eventuali situazioni statiche, di corpo a corpo, in modo tale che la resistenza offerta dal sacco possa in qualche modo aiutarmi nel lavoro coi ganci. E in quella serie di colpi che insisto maggiormente, cercando di velocizzare quanto più mi riesce il passaggio jab destro-gancio sinistro con il movimento verso il basso. Dopodiché comincio a doppiare e poi a provare qualche tripletta sinistro-destro-sinistro sempre in gancio. Quando sento che le braccia si stanno facendo un po’ pesanti, torno a esercitarmi con il jab, stando ben attento a resistere quanto più tempo possibile sulle punte. Faccio un costante movimento di avanti e indietro con il corpo, perché starsene lì a sparare pugni piazzato con le suole a terra non serve assolutamente a nulla. Soprattutto quando sai che dovrai affrontare un tizio alto una dozzina di centimetri più di te. Già te lo figuri il leitmotiv dell’incontro, con lui che si mette frontale e lancia tutti colpi di sbarramento e tu che non ce la fai a raggiungerlo se non a prezzo di scoprirti. Invece, rendendo le punte dei piedi dinamiche, hai la possibilità di giostrare meglio l’equilibrio del corpo nell’avanzare e nel retrocedere e, conseguentemente, molta più facilità di sottrarti ai colpi che arrivano da lontano. Dopo un po’, con il sudore che comincia ad appiccicarmi la schiena, passo a fare un po’ di “peretta”
  • 16. 15 (l’attrezzo a forma di pera altresì noto come Speedball). Parto piano perché voglio durare il più possibile e fare in modo che il movimento delle braccia sia bello fluido, veloce. Certo, dopo qualche minuto diventa una rottura di palle e hai bisogno di mollare un paio di bei cazzottoni dritto per dritto per sfogarti. Però è un esercizio utile, perché saper mulinare braccia e avambracci ti aiuta a essere più reattivo e avere più forza quando sei nel corpo a corpo con l’avversario. Quindi, decido di fare un po’ di “passeggiate” sul ring per vedere come va con le articolazioni delle gambe. Giro torno-torno al quadrato una decina di volte senza muovere i pugni, semplicemente spostandomi sul piede destro e sinistro, simulando tutti i movimenti sul perimetro che mi vengono in mente. Poi, gradualmente, comincio a far fischiare qualche jab nell’aria e infine aggiungo i ganci, stando sempre ben attento ad eseguire il classico mezzo passo indietro che mi permette di caricare e dare una traiettoria dal basso verso l’alto. Addirittura, quando ho ripetuto tre volte questi passaggi, provo ad azzardare anche qualche uppercut, anche se la speranza di piazzarne uno fatto a mestiere con uno spilungone veloce come Hasan mi sembra francamente difficile. In ogni caso, cerco sempre di seguire con la coda dell’occhio l’esecuzione stilistica, stando attento alla posizione dei piedi quando il colpo parte. Una cosa fondamentale, a maggior ragione per un guardia destra, che, se fa male questo movimento, rischia di farsi incrociare come il più sprovveduto dei dilettanti e di finire a culo per terra anche solo su un semplice dritto portato come Dio comanda (figurarsi poi contro uno come Hasan, che ha le leve lunghe e ci mette un attimo a sfruttare i buchi che lasci nella guardia). Ripeto il girotondo senza pugni per un’altra decina di minuti e poi mi fermo a respirare e a buttar giù un po’ d’acqua. Non sarebbe male farsi subito un tre riprese di colpi appoggiati, ma, visto che fino a tardo pomeriggio difficilmente troverò qualcuno, devo passare ad altro. E dunque provo un po’ di schivate con il pallone elastico. Un colpo e via, un colpo e via. Cerco di immaginarmi traiettorie abbastanza diagonali per replicare l’avanzare dei pugni di un avversario che inizia la sua azione di attacco in posizione laterale e con una lunga serie di jab di sbarramento. Il gioco di gambe, per essere
  • 17. 16 GiveMeAChance Editoria Online il primo giorno di allenamento, mi sembra più che buono. Mi sento veloce, per niente legato. Ma la cosa migliore è che sono tranquillo, pur essendo consapevole che, da oggi fino al due settembre, dovrò ripetere ogni singolo esercizio fino alla noia, cercando di capire cosa si può migliorare e se esiste una serie di movimenti coordinati sui quali lavorare di più per impostare la mia azione di attacco. Perché, per quanto voglia cercare di correre meno rischi possibili, capisco senza bisogno che qualcuno me lo spieghi che se nelle prime riprese rimarrò piantato nei pressi delle corde, quello troverà subito il modo di tagliarmi la strada e di non farmi girare. E poi, giunto il momento propizio, proverà a forzarmi la guardia o a provocare qualche mia reazione che gli apra un pezzo di figura da colpire, magari doppiando. Aldilà dell’allenamento, del coraggio e del’astuzia, per riuscire a resistere a un caterpillar come Hasan, ci sarà bisogno di essere più scattanti di un puma e di curare al meglio la scelta di tempo di ogni singolo spostamento di braccia. Vado a spegnere lo stereo e torno in pineta a fare una corsetta defatigante e qualche esercizio di stretching, mentre quel cavernicolo sciroccato di Bon Scott finisce di gracchiare per la seconda volta Whole Lotta Rosie. Proprio mentre sto rientrando per andare sotto la doccia, da lontano vedo la Punto color oro di Fernando imboccare il cancello che porta al vialetto della palestra. Quando arrivo sulla soglia è lì ad aspettarmi. «Remo, buongiorno!» mi dice con voce allegra e dandomi una pacca sulla spalla. «Buongiorno, Ferna’». «Allora è arrivata la grande occasione, eh. Adelmo m’ha detto che hai accettato». «E certo, che dovevo fare? Un titolo mondiale, ottantacinquemila euro…». «Naturalmente, giusto». «Sei proprio sicuro?». «Sì, perché? Che volevi fare? Dopo quasi quindici anni di professionismo dovevi rinunciare al match più importante e alla borsa migliore della tua
  • 18. 17 vita?». «Per fortuna che almeno tu l’hai capito!». «Scazzato con Adelmo, eh?». «Beh, dimmi tu se di fronte ad un’occasione del genere, con una lista di altri sfidanti pronti ad accettare alla mia minima esitazione, potevo non incazzarmi». «Eeeh, Adelmo è una vita che fa così. Tu sei giovane, ma io, tra una storia e l’altra, sono quasi quarant’anni che ci lavoro insieme. Ed è sempre stata la stessa storia. Pavido e calcolatore. Scaltro e opportunista. Secondo me, dopo la vittoria con Karmasimov, si era già fatto un bel piano per sfruttarla al massimo. Lo sai che c’ha discreti agganci in regione, no? Beh, secondo me, stava pensando di farti fare l’Europeo in qualche comune dei dintorni e, con il fatto che il figlio gli fa da prestanome in qualità di organizzatore, di mettersi in tasca sia la sua percentuale, sia quella dell’organizzazione. E poi, vinto o perso, ti avrebbe rimesso davanti a Karmasimov chiedendo almeno trentamila euro di borsa. Insomma, a conti fatti -i suoi- ci avrebbe guadagnato sicuramente di più». «Cazzo, che tristezza dover combattere per questa gente qui. Ed è ancora peggio, se penso che in Italia è forse il migliore sulla piazza. Sono una tribù di avvoltoi e cagasotto». «Bah, forse esageri con il fatto che siano dei veri e proprio avvoltoi, ma che siano dei cagasotto è cosa certa. Comunque, quello che conta ora è che i contratti siano in viaggio. Certo che Hasan… bella bestia, ragazzo mio! Dovrai stare attentissimo sul ring». «Lo so, lo so. Ma che ti devo dire? Io non ho paura. Ho combattuto dovunque, conchiunque.PureMitchelleracampionedelmondo,eppureseaManchester mi davano il pari non succedeva niente, mi pare». «Sì, però Mitchell non è Hasan, Remo. Mitchell era un normale campione del mondo dei superpiuma salito di categoria, mentre Hasan è un caterpillar con un fisico da mediomassimo». «Ferna’, io non ho paura lo stesso. Se riesco ad allenarmi bene, vado là e
  • 19. 18 GiveMeAChance Editoria Online faccio tranquillamente il mio match. Magari non vincerò, ma sono sicuro che posso finire in piedi e che, in ogni caso, non sarà una brutta figura. E poi, cazzo, quei soldi me li sono proprio meritati! Sono quindici anni di boxe vera, i miei, mica pagliacciate». «Completamente d’accordo. Ma perché non entriamo? Ho una sorpresa per te». «Una sorpresa?». «Sì, aspettami dentro che vado a prenderla in macchina». Entro e dopo una manciata di secondi lo vedo infilarsi a stento nella porta d’ingresso con due grandi cornici a giorno sotto un braccio e due tubi di cartone sotto l’altro. Li appoggia al lato della scaletta che porta al ring e mi sorride con uno sguardo sornione. «Beh?». «Eh eh, arrivate giusto ieri. Mi sono costicchiate un po’, questo sì, ma non ho potuto resistere». Toglie il tappo da uno dei due cilindri e con un gesto lento e accorto tira fuori una stampa arrotolata. «Indovina un po’?». «E che ne so, Ferna’?». «Et voilà!». Appoggiando un estremo sotto il mento, spiega la stampa che, a occhio e croce, sarà alta almeno un metro e venti. Non c’è bisogno che arrivi alla metà per capire di cosa si tratta: è una foto storica del primo match per il titolo mondiale dei pesi medi tra l’immenso Sugar Ray Robinson e uno dei miei idoli assoluti, Carmen Basilio. L’immagine l’ho già vista altre volte e ne ho anche appesa una copia su un foglio A4 a una parete della mia stanza, ma vederla così, in questo formato gigante, mi fa impazzire. «Madonna, Ferna’! Ma dove diavolo l’hai trovata?» «Eeeeh, al contrario di quel segaiolo di mio figlio, che su internet ci va solo a vedere puttane e nerchiuti, io ci passo ore a scovare roba interessante. E
  • 20. 19 da un sito americano l’ho scovata e me la sono fatta spedire una decina di giorni fa. Ma non è tutto, guarda che altro ho trovato». Ripiega la prima stampa e me la passa, mentre toglie il tappo al secondo cilindro e ripete l’operazione di srotolamento. Stavolta, mentre l’immagine comincia a formarsi, non riesco a capire di cosa si tratti. Vedo la faccia di un pugile di colore con lo sguardo truce che guarda alla sua sinistra, ma, là dove ti aspetteresti il suo avversario, non si vede ancora nulla. Un altro paio di girate e comincia a comporsi, in una “posa” assurda, il volto e un pezzo di corpo del suo antagonista. Sembrerebbe messo quasi per diagonale e, ad un ulteriore giro di mani di Fernando, riesco a coglierne lo sguardo vitreo. È evidente che sta per cadere al tappeto, ma non riesco a capire chi sia fino a quando, aiutandosi con le gambe per bloccarla ai lati, Fernando non riesce a spiegare l’immagine nella sua interezza. Ora lo riconosco. «Mamma mia! Julian Jackson contro Herol Graham, campionato del mondo dei pesi medi WBC!». «Te lo ricordi quel ko?». «Se me lo ricordo!Avrò avuto tredici anni, ma ce l’ho stampato qui nel cervello: il missile di Jackson e Graham che un istante dopo cade giù e ci rimane quasi cinque minuti. Uno dei ko più terrificanti nella storia del pugilato. E pure uno dei più belli, secondo me». «Già. Sarà per questo che mi è costato un bel pacchetto di euro, porco Giuda! Però ne è valsa la pena, no? Guarda che qualità, che risoluzione perfetta. Adesso, sai che facciamo? Togliamo quel poster del cazzo con Sylvester Stallone e piazziamo queste due stampe di fronte al ring. Che ne dici?». «Dico che lo facciamo subito. Aspetto anche a farmi la doccia». Passiamo il successivo quarto d’ora ad armeggiare con le cornici, le foto e i chiodi fino a quando, esattamente di fronte al ring, sparisce la faccia di culo di Stallone e fanno la loro comparsa le gigantografie tratte da quei due magici incontri.Alavoro finito, rimango a fissare qualche istante l’espressione feroce di Carmen Basilio che centra Robinson con una sventola e poi vado
  • 21. 20 GiveMeAChance Editoria Online negli spogliatoi. Dopo una doccia veloce, esco con la borsa su una spalla e una bottiglia d’acqua in mano. Fernando sta sistemando il sostegno di un angolo del ring, cercando di tirarlo dentro. «Ferna’, io vado. Sai se oggi pomeriggio passa qualcuno? Paolo, Alcide?». «Paolo viene domani sera dopo il lavoro. Alcide, invece, dovresti trovarlo verso le quattro e mezza». «Bene, magari facciamo un tre riprese leggere tanto per, che ne dici?». «Sì, chiediglielo, non dovrebbero esserci problemi. Se riesci a venire una mezz’oretta prima, però, ti faccio fare un po’ di figure sul ring». «Va bene. Alle quattro sono qui, allora. Ci vediamo dopo». Faccio per andarmene, ma Fernando mi prende per un braccio. «Remo, prima che vai, voglio dirti che per questo match cercherò di fare tutto quello che posso, di allenarti al meglio. Scusa per stamattina, ma lì a Teramo riesco a portare due ragazzi e sono soldini che…» imbarazzato. «Non preoccuparti, Ferna’. Lo so che…». «No, ascolta» appoggiandomi tutte e due le mani sulle spalle. «Ormai sono dodici anni che ti alleno e sono stato al tuo angolo in ogni parte d’Europa…» trattiene le parole, lanciandomi uno sguardo serio che non gli ho mai visto prima. «Voglio che questa volta si riesca a fare tutto il meglio che si può. Va bene tre riprese leggere di allenamento con Paolo oAlcide, ma, già tra quindici giorni, vorrei che tu facessi un po’ di test con qualcuno più all’altezza». Lo fisso interrogativo, mentre comincia a misurare a passi veloci un lato del bordo ring. «Se tu sei d’accordo, avevo pensato di fare un salto a Milano, diciamo al massimo alla fine della terza settimana di luglio. C’è la possibilità di fare i guanti per una decina di giorni con Salvatore Stozza, il campione intercontinentale IBF dei superpiuma. È un discreto pugile, è imbattuto ed è alto quasi quanto Hasan. Ovvio che stiamo parlando di due livelli diversi, ma possiamo fare un buon lavoro, secondo me. Ci mettiamo con Youtube e studiamo per bene i movimenti da fare sul ring. Stozza non è male neanche tecnicamente, quindi
  • 22. 21 possiamo tirarci fuori delle belle cose. Ho parlato con il suo manager appena Adelmo m’ha detto che avevi accettato il match. Sapevo che Stozza il diciotto di agosto c’ha la difesa del titolo a Cernusco sul Naviglio con un ugandese naturalizzato in Svizzera. A lui farebbe comodo rifinire la preparazione con uno come te, a noi fa comodo avere uno come lui per le sue caratteristiche fisiche. Dunque, ho fatto uno più uno». «Adelmo che ne pensa?». «Adelmo! A lui cosa vuoi che gliene importi? Risparmia i soldi di uno sparring partner perché sa che io e l’allenatore di Stozza siamo amici da una vita e ci scambiamo il favore a vicenda. Quando non deve tirar fuori dal portafogli suo, è tutto contento, Adelmo. Ci paga il biglietto del treno da Roma, un rimborso di due-trecento euro per le spese e se la cava. Uno sparring partner sicuro gli costava di più. Ne sarà entusiasta, fidati». «Sei un grande, Ferna’» abbracciandolo. «Non ho parole, davvero». «E non è tutto. Ancora non me l’ha confermato, ma forse per fine agosto riesco a far venire qualche giorno ad Avezzano Jamil Tirkuk, te lo ricordi?». «Come no, quel leggero turco che si è trasferito a Marsiglia e hanno fatto perdere cinque anni fa con Iriarte per l’Europeo. Ancora combatte? Non lo sapevo». «Praticamente è agli sgoccioli, però per qualche buona borsa ancora si riesce a farlo venire. E il ventotto di agosto l’hanno chiamato a Roma per collaudare Jommi, un ragazzetto di Tor Bella Monaca che stanno cercando di far salire. Quando l’ho saputo, mi sono messo in contatto via mail con il suo manager per chiedergli se, con qualche spicciolo garantito, Tirkuk era disponibile a venire tre giorni prima in Italia. Poi, ho contattato Renzoni, l’organizzatore del match di Roma, e gli ho chiesto se per lui era un problema che il ragazzo arrivasse qualche giorno prima in Italia per aiutarmi con te. Ho dovuto insistere, perché aveva paura che, facendo i guanti a così poca distanza dal match, potesse infortunarsi, ma poi, quando gli ho promesso che avreste fatto solo figure e riprese leggere, ha accettato. Anche perché, se m’avesse detto di no, col cazzo che a inizio ottobre gli porto Paolo e
  • 23. 22 GiveMeAChance Editoria Online Alcide per la riunione al Pala Tiziano per la quale ha già beccato i contributi dalla circoscrizione! Capisci? Ha promesso che offrirà un bello spettacolo e ha bisogno di tenermisi buono, altrimenti contro i suoi ragazzi rimedia i soliti scarsoni rumeni o tunisini e non ci fa certo una bella figura». «Tu dici che con Tirkuk riesco a fare qualcosa di buono?». «Io dico di sì. E sai perché? Perché, quando ancora erano tutti e due dilettanti, Tirkuk e Hasan si sono incontrati in un torneo internazionale Germania- Turchia. E lo sai chi ha vinto? ». «No, non mi dire…». «Già, ha vinto Tirkuk, ai punti. E non parliamo di un secolo fa. Sono passati poco più di otto anni. Giusto un paio di mesi prima che entrambi passassero professionisti. Tirkuk era una promessa, Remo. Ha vinto i primi quindici match e con Iriarte non aveva certo perso a Madrid. È dopo quel match che sono iniziati i problemi. Ho controllato su Boxrec. Le dodici sconfitte del suo record sono tutte successive a quell’incontro. Non so se è stato quel verdetto a buttarlo giù o cosa, ma ho saputo, sempre tramite Renzoni, che il ragazzo si è fatto anche un annetto di gabbia e dopo che è uscito non è stato più lo stesso. Il manager, che evidentemente gli vuole bene, gli ha trovato un mezzo impiego nella ditta di costruzioni del fratello e lui, per ringraziarlo, cerca di tenersi in una forma decente per andare ogni tanto in qualche angolo d’Europa a collaudare qualcuno. In Italia, fino ad ora c’è stato due volte. La prima, ha messo ko Bolucci a Mantova. La seconda, gliel’hanno data persa contro Mantini, quello che hai battuto tre anni fa a Portici». «Beh, se le cose stanno così, direi proprio che potrebbe essere utilissimo. Cavolo, sei un grande, Ferna’! Come ci hai pensato a tutte queste cose in un giorno e rotti, non lo so, ma grazie, grazie mille. Per fortuna che ci sei tu, perché se era per Adelmo, mi mandava il solito sacco di merda che rimedia lui a cinquanta euro al giorno». «Remo, sarò sincero: io credo che sia molto difficile che tu ce la possa fare contro Hasan. Quel che è certo, però, è che questo è l’incontro della tua vita e tu sei stato uno dei migliori pugili e, probabilmente, il migliore ragazzo
  • 24. 23 che io abbia mai allenato. E sento il dovere di darti tutto quello che posso per arrivare nelle condizioni migliori al match. Devi fare una grande figura e combattere al top della forma. Poi, come va è un aspetto secondario, dal mio punto di vista. Per me, il modo in cui hai saputo soffrire e mettere knock out un talento come Karmasimov e il fatto che da anni non te la fai sotto ad andare a sfidare chiunque in ogni angolo d’Europa, sono sufficienti per meritare ogni attenzione possibile. Punto. Okay?». «Okay, maestro» abbracciandolo. «Di nuovo, grazie. Davvero». «Ci vediamo oggi pomeriggio, allora». «Sì, a dopo». «Ciao».
  • 25. GiveMeAChance Editoria Online _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
  • 26. GiveMeAChance Editoria Online Il ring è onesto Grazie per aver letto questa parte di ebook gratuita! Puoi liberamente distribuirlo a tutte le persone a te vicine che ritieni possano essere interessate a questo argomento, purché senza modifiche ... … e se ti è piaciuto, acquista l’opera completa in formato eBook o cartaceo edita da GiveMeAChance s.r.l. - Editoria OnLine www.givemeachance.it Link all’opera: http://www.givemeachance.it/autori/domenico-paris/GMC- Domenico-Paris-il-ring-e-onesto.php