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GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online
Viale Regina Margherita, 41 – Milano
1°edizione Marzo 2014
www.givemeachance.it
4. IndiceIndiceIndiceIndice
Il maestro inaspettatoIl maestro inaspettatoIl maestro inaspettatoIl maestro inaspettato............................................................... 5
La Perla ChidambaramLa Perla ChidambaramLa Perla ChidambaramLa Perla Chidambaram........................................................... 93
Raja e NatarajaRaja e NatarajaRaja e NatarajaRaja e Nataraja ..................................................................... 121
Le notti danzanti di ShivaLe notti danzanti di ShivaLe notti danzanti di ShivaLe notti danzanti di Shiva..................................................... 145
Cercando la DeaCercando la DeaCercando la DeaCercando la Dea.................................................................... 203
La rosa del BengalaLa rosa del BengalaLa rosa del BengalaLa rosa del Bengala.............................................................. 265
Amore fra Tempio e CorteAmore fra Tempio e CorteAmore fra Tempio e CorteAmore fra Tempio e Corte..................................................... 327
GlossarioGlossarioGlossarioGlossario................................................................................ 374
6. 5
Il maestro inaspettatoIl maestro inaspettatoIl maestro inaspettatoIl maestro inaspettato
A 26 anni, dopo aver spezzato un cuore mi ritrovo con un
cuore spezzato, il mio. In libreria a Milano, girovagando in
cerca di aiuto, vedo un ragazzo entrare di corsa, trepidan-
te. «E' arrivato?» «Là», indica la proprietaria laconica, uno
scatolone ancora pieno di libri tutti arancio. Il ragazzo si
tuffa ed esce entusiasta, la copia ben stretta in mano. But-
to l'occhio: "Bhagwan Shree Rajineesh, Il libro dei segreti."
Lo prendo senz'altro, e leggo. Scopro che non è amore
umano quello che cerco, piuttosto un amore mistico, l'a-
more di Dio! Nei mesi seguenti lavoro in più posti per
comprarmi un biglietto e partire per l'India, anzi, per Pune,
perché ho deciso che lui, Rajineesh, sa, e io ho bisogno di
incontrarlo. La sera in cui mi trovo in mano un'andata e ri-
torno validi un anno arriva il momento fatale. D'un tratto
Rajineesh, l'uomo eccezionale, scompare. In un attimo mi
rendo conto che non voglio andare proprio da nessuno,
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non voglio appartenere a una scuola, a un maestro, a
reggimenti spirituali. Ma allora perché dovrei andare in In-
dia? Se non vado a Pune non ho più un motivo per andar-
ci, e io non voglio più andare a Pune, che me ne faccio
ora di questo biglietto? Mi prende il panico, di partire sola,
di essere sola di cambiare sola - e insieme il desiderio, di
essere libera, di varcare la soglia, buttarmi dalla zattera,
perché ormai io devo andare, Pune o non Pune io devo
andare, e visto che ormai ho il biglietto andrò in In-
dia…senza sapere perché!
Non avendo più nessun motivo per essere in India, fin
dall'inizio mi lascio trascinare dalle circostanze. Sull'aereo
faccio amicizia con un gruppetto di ragazzi. Pernotterò
con loro a Bombay, poi si vedrà. L'impatto mi toglie il re-
spiro. E' sera, l'aria bollente, satura di tutti gli odori del
mondo. Primo, quello acre del disinfettante giallo sparso
un po' ovunque per terra, mescolato con ondate di incen-
so dolcissimo a sua volta amalgamato a spezie amare e
pungenti. Così ho sempre immaginato l'Oriente. Questo il
profumo, ne sono certa. Non so che avventure mi atten-
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dano. Nella notte, prima di dormire, mi aggiro sola per il
quartiere, gli occhi pieni di meraviglia. Se questa è l'India
non ci sono problemi, la conosco. Conosco questo calore
che abbraccia il corpo e fa diventare un piacere vagare
per le strade, luci, fioche ma piene di vitalità, piccole bot-
teghe ancora aperte; conosco le diverse fogge con cui si
vestono gli uomini, e il telo di Afrodite con cui si fasciano
le donne. In albergo non riesco a dormire. Parto con gli al-
tri alle quattro di mattina alla volta di Goa oppure, oppure
che? Dopo il primo sguardo fugace da uccello sull'lndia,
necessita tempo. Per ora meglio Goa. All'alba mi ritrovo in
viaggio sapendo bene quello che troverò, esattamente
quello che ho lasciato.
Preso il bus a una deliziosa fermata in mezzo al palmeto,
dalla spiaggia arrivo a Panjim, capitale di Goa. Le tante
chiese colpiscono, mi credevo molto più lontano. Esploro il
mercato. Lì sì, tutto mi è nuovo, nemmeno le verdure rico-
nosco. Un vecchio siede accanto a dei fogli su un tappeti-
no. Per guardare cosa vende mi accuccio. Sono disegni
per tatuaggi che incide lì per terra, nel bel mezzo del mer-
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cato. Così come mi è apparsa vedo una falce di luna cre-
scente, a forma di culla, e dentro la culla una stella. La in-
dico. «Dove?» chiede. «Qui, sul cuore», rispondo spo-
stando un poco la blusetta. Imbarazzato, con mano tremo-
lante inizia vicino al seno. Nel caldo atroce va lentissimo,
forse per finire prima fa un disegno molto piccolo. Per
giorni e giorni passerò il tempo a rimirarlo. Mi sembra di
avere un amuleto, una protezione celeste. «Ma sei mat-
ta?» esclamano i miei compagni «potevi prenderti il teta-
no!» Non ci avevo pensato neanche lontanamente. Con il
tempo poi dal petto sparirà la luna, sparirà la stella, rimar-
rà soltanto un indefinito tondo bluastro. Come un timbro
postale.
E' l'ultimo dell'anno, feste e party si accalcano lungo le
spiagge. Resto ad Anjuna con gli altri. Verso le undici di
sera mi unisco a una comitiva che sta andando alla spiag-
gia di Vagator, raccolta come piace a me. Anche qui pieno
di gente, danzo insieme ai tantissimi per tutta la notte, con
riposanti pause sui tappetini discreti e defilati degli indiani
venuti a vendere chai. All'alba mentre sorseggio l'ennesi-
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mo tè un ragazzo seduto accanto mi parla di un'altra
spiaggia più a nord, Arambol. Foreste, sabbia di conchi-
glie e un piccolo fresco lago accanto all'oceano. Meno fol-
la, niente mondanità. Un po' di acqua dolce è quello che ci
vuole.
Ad Arambol, sotto il banyan dalle lunghe radici, tristezza
infinita. Stamattina nulla ha senso. E i pidocchi sulla testa
ad appesantirmi il cervello. Chiaro l'andamento, stamattina
tristezza e pidocchi, che altro per colazione? Potesse Dio
abbracciarmi con queste lunghe, lunghe vegetali braccia,
davvero mi abbracciasse! La giungla splende attorno, poi
l'oceano, il lago, ma non li vivo. Non riesco a prendere il
sole in costume circondata da indiani che offrono servizi a
viziati figli dell'ovest e cibo, fiocchi di mais nel latte, mace-
donia. Sembra di essere in un club Mediterranée. Devo
andare via.
Alla stazione dei bus aspetto l'ispirazione, non sapendo
dove dirigermi, non ho nessuna fretta. Vedo tanti autobus
partire. Nel frattempo le donne che aspettano fanno il bu-
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cato nella room for women, cucinano il riso in un paiolo
appoggiato a un fuoco improvvisato, dormono distese qua
e là, i bambini al petto. Questa non è attesa, è vita, proprio
qui e ora. Alla fine ho scelto di salire su un autobus qual-
siasi, scelto perché era ancora vuoto, potevo sedermi da-
vanti e perdermi durante il viaggio a guardare fiumi, laghi,
genti. Chissà dov'ero quando sono scesa. Senza esitare
monto su un altro bus sapendo solo che andava un po' più
in là, giù, a sud. Mi sono ritrovata a Mangalore e questa
volta non avevo più voglia di autobus. Passo ai treni. Alla
stazione ne prendo uno, un' altra ispirazione, stupendo ri-
posare coricata. E poi il risveglio con i primi fuochi nei bo-
schi, le lanterne fra i coconuts trees, il sole riflesso nelle
lagune e nelle nebbioline invernali del Kerala. Mi sono
sentita appartenere a questa terra. Gli alberi, le capanne, i
fiori, la gioia inattesa provata a Cochin nel vedere i pesca-
tori con i cappelli di paglia cinesi, le imbarcazioni, le grandi
reti. All'ufficio turistico c'è uno spettacolo di kathakali, me
ne aveva accennato Francesco, un bravissimo disegnato-
re incontrato a Goa. In una capanna buia un personaggio
giganteggia sulla scena, il volto dipinto di verde, un'ampia
12. Il maestro inaspettato
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gonna bianca, un'alta corona di legno dorato sul capo. Al
suono profondo delle percussioni mostra la rabbia, l'amo-
re, la tristezza. Subito mi entusiasmo. Ero così gioiosa ma
i tamburi hanno smesso, tutto era finito. Come finito? Ho
ancora sete, il mio ombelico è vuoto. Questa, mi dicono, è
solo una dimostrazione, i veri spettacoli durano una intera
notte. Subito chiedo «stanotte non ce n'è?». Mi guardano
strabuzzando gli occhi. «Oh sì, ma lontano da qui, biso-
gna cambiare più mezzi, poi raggiungere il tempio nel bo-
sco.» Lascio le borse e parto. E' già buio quando l'autobus
mi accoglie. Sono in trance. Dopo un bel po' l'autista si
ferma in un qualche punto. Si volta verso di me: «Da qui in
poi dovrai prendere un taxi, bus non ce n'è più.» Il taxi
come sapesse aspetta solo me. Basta dire kathakali per
ottenere un ciondolìo del capo «sure!sure!» Dopo un altro
bel po' anche il taxi si ferma in un villaggio. L'autista mi di-
ce «ora dovrai cambiare, aspetta qui», e se ne va in quello
che a me sembra un buio nulla. Torna con un ragazzo, ha
con sè una bicicletta. «Sali, ti porto nel bosco.» Che felici-
tà, che allegria! Seduta sulla canna non so dove stiamo
andando, vedo solo che ci inoltriamo in una foresta più
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oscura della notte. Fermata la bicicletta, il ragazzo mi indi-
ca un palco illuminato da grandi lampade a olio in una ra-
dura. Compiaciuto dalla mia sorpresa, mi conduce a un
tavolino dove si affaccendano una decina di persone. Il
prezzo è di due rupie, per me, aggiungono, «offerta libe-
ra» così lascio qualcosa di più. Mi si porta quasi di peso in
mezzo a un gruppo di ragazzine. Sono proprio contenti, mi
hanno dato il posto giusto. Ma sedere accanto alla ragaz-
za ciarliera, un po' saccente, che comincia con un «your
qualification?» mi pesava. Anche per vestirmi più calda,
mi sono alzata. Ho disperso i tanti bambini che mi segui-
vano e mi sono cambiata nel bosco. Poi ho giocato un po'
con loro, non mi avevano persa di vista. Tornata infine al
palco mi sono trovata da sola il posto fra le donne, accan-
to a una vecchina più esile di me che mi guarda con sim-
patia. Lo spettacolo inizia. Non uno spettacolo, piuttosto
un rituale atavico, viscerale, a cui tornare come da una
madre selvaggia, che ti divora. Per la prima volta nella vita
riconosco qualcosa di profondamente mio, mi apro in un
parto al contrario. Qualcosa che nasce fuori e poi entra
nell'utero, fin sù nell'ombelico. Travolta dall'emozione de-
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vo distogliere lo sguardo, tornare spettatrice. Accendo un
bidie. La nonna, vedendomi fumare, mi passa un involto di
foglia ripiena di chissà cosa. Quando viene il singhiozzo
me lo fa sputare ridendo. Torno al rito che si svolge di
fronte al braciere d'ottone sempre acceso, al kathakali, a
cantori instancabili, a suonatori instancabili, ad attori in-
stancabili, appassionati sempre. Una notte a muovere
energia, a prenderla, a darla. E la gente! Stava lì tutta una
notte seduta in un bosco, su fogli di giornale, con acqua e
noccioline, a farsi raccontare fino all'alba una storia che
già sa, e poi via al lavoro. E gli attori! Volti completamente
dipinti di verde, nero, e rosso, bianco eppure liberi nell'e-
spressione viva, chiara, universale - gli occhi intensi di
rossa cornea. Corone di legno dorato, rotonde come
un'aureola, gigantesche gonne a pieghe bianche nascon-
dono la forma del corpo, trasportano nell'altrove. Strette
bluse di velluto ornate di bracciali, di collane, una sciarpi-
na bianca e due specchietti in fondo, usati ogni tanto per
mettersi a posto, prima di lanciarsi in una danza forsenna-
ta. I piedi appoggiati sul lato esterno battono il ritmo, l'allu-
ce alzato, facendo tintinnare i campanelli legati al ginoc-
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chio. Gli attori per un'intera notte danzano personaggi so-
prannaturali (sono sicura di questo) raccontando degli dèi.
Non capisco nulla, nulla di quello che succede, provo em-
patia per le straordinarie figure dal volto dipinto di verde e
tremenda avversione per quella in rosso, una specie di
barba bianca frastagliata, la fronte e gli occhi immersi nel
nero. Poi, ecco, in una scena si gioca a dadi. Personaggi
verdi, in piedi a semicerchio, assistono alla partita e il loro
volto luminoso diventa man mano così triste...Non resisto,
non posso sottrarmi, commossa piango. La bolla in cui vi-
vevo da mesi esplode al loro solo danzare. In questa terra
che già sentivo mia trovo qualcosa di sconvolgente, il cor-
po e la magia, la violenza, la gentilezza, l'anima. Mi sono
arresa. Mentre sto guardando l'azione sul palco, alle mie
spalle in un crescendo di tamburi parte un urlo formidabi-
le. Sobbalzo, lancio pure io un grido, mi giro spaventata,
tutti mi guardano e ridono. Sopra di me troneggia un per-
sonaggio terrificante con il volto da tigre da leone da stre-
gone, le fauci aperte, gli occhi iniettati di sangue. Credo
nella sua ferocia, la temo. « Che violenza!» penso. Come
non lo sapessi dalla piccola dimostrazione del Tourist Of-
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fice, già avevo sentito quanto il personaggio e il suo dan-
zare fossero arcaici, erotici, e istintivi. Ma quale presenza,
quale raffinatezza! Mentre il Leone infuriato si dirige verso
il palco per la scena finale, ancora impaurita già mi chiedo
non penserai di farlo? Capisco che ho deciso, studierò ka-
thakali.
Finito tutto. E' l'alba, la gente si alza, raduna le cose e ve-
loce se ne va. Resto lì seduta, come in ipnosi, sola, inca-
pace di muovermi. Poi mi dirigo alla teertha, l'acqua mi ri-
sveglierà. Un ragazzino si lava, canta. Lo riconosco, è il
gentile danzatore che mentre piangevo in una frazione di
secondo m'aveva sorriso dal palco. Si chiama Sathya. Mi
dice «ma a te piace tantissimo il kathakali, vieni a studiare
alla scuola, vieni con noi adesso». E io sicura «sì, prendo i
bagagli a Cochin e vi raggiungo». E la notte riparto col
boat, non sentendo più paura dell'acqua. Una vecchia fa
un cenno, stenditi vicino a me, qui è comodo (sempre al-
leate le donne anziane). In trance sogno fuochi palme
fiume tamburi e kathakali katakhali kathakali. A Quilon tro-
vo subito il bus. Per la prima volta vedo gli elefanti, per
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strada o sdraiati nei fiumi, lavati da ragazzini fra risate e
schizzi. Seduto accanto a me un venerando brahmino
racconta storie che purtroppo non capisco, ma a guardare
le sue espressioni, devono essere meravigliose. Apre un
libretto e con gli occhiali sul naso incomincia a leggere gli
inni cantandoli. Ai margini di un villaggio, Cheruthuruthy, il
bus si ferma, il controllore indica un palazzo con vicino un
tempio circolare: «Ecco la scuola, vai.» E io sono andata.
Con la Luna crescente distesa accanto a Venere, al cre-
puscolo, varco il cancello. Un ragazzo mi dirige al tempio,
«c'è spettacolo». Davvero? proprio stasera? Eccitata con
mille bambini intorno entro. Incredula sento parlare italia-
no. Italiani qui? Sì, la compagnia del Teatro Tascabile di
Bergamo per il debutto di un attore, Beppe, che da anni
studia kathakali. Avverrà fra poco. Assisto alla vestizione,
indossa per la prima volta la pesante corona di legno do-
rato. Guardandolo danzare l'offerta dell'inizio, mi sento di
nuovo immersa nella passione, di nuovo provo amore.
Dopo la rappresentazione, Beppe mi presenta il suo mae-
stro John, a cui subito chiedo «ma io posso fare la scuo-
la?» «Certo che puoi. L'accademia Kalamandalam è la
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migliore. Vai dal direttore domattina» «Ma ho visto che il
kathakali è danzato solo da maschi, e non sono nemmeno
indiana, mi accetterà?» «Chiedi che mi autorizzino, mi di-
ce con dolcezza, io non ho problemi né con le donne né
con gli stranieri.»
Cominciando una scuola di danza mai conosciuta con un
maestro dai grandi denti - il Kerala dai grandi sorrisi - en-
tro pian piano nella magia del creato. E' ancora buio
quando apro il cancello della scuola. L'albero di frangipa-
ne all'entrata mi accoglie con il suo profumo squisito, ma
la dimensione del sogno passa presto, non appena John
ci fa sedere e tenere gli occhi aperti con le dita muovendo
i globi di lato, in su, in giù, in cerchio, in diagonale, dise-
gnando numeri. Senza chiuderli mai, anche se lacrimano.
Ed è solo il primo esercizio con gli occhi assonnati all'alba.
Poi viene il corpo, piegamenti innaturali delle gambe e del-
le braccia, posture difficili da mantenere su un piede, fati-
cose rotazioni del busto. Chiedo a John che senso abbia-
no. «Nessuno», replica. Eva, con cui ho fatto lezione, mi
siede accanto durante la pausa, sui gradini del tempio.
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Viene dalla Polonia, studia all'accademia da anni, in prati-
ca vive qui. Sa che ho bisogno di capire. «E' vero, non
hanno senso, servono solo per farti trovare l'equilibrio, è
così difficile!» risponde. Questo mi basta per resistere.
Sono ospite a casa di Mà Cartiani, in attesa di un posto
tutto mio. Mattina inoltrata. Caldo, voci, brusii e un piccone
sulla strada, il treno, un campanello, un carro che passa,
un gallo, bambini alla scuola, un secchio che cade, il gallo
ancora, un clacson, tosse di bambino, Mà Cartiani che
parla, la muta alla finestra, il bus, un camion, «what is
your name?» ripetuto come un folle ritornello, un delirio.
Gli indiani non hanno un'anima individuale, le donne che
spostano le tende per guardarmi dalla finestra mi irritano.
In una stanza qui a fianco c'è una scuola di taglio e cucito,
le ragazze arrivano presto e lavorano tutto il giorno sulle
macchine, in un'altra stanza i bambini imparano i numeri
inglesi cantando. Voce solista femminile «one!» Coro mi-
sto «one!» Voce solista femminile «two!» Coro misto
«two!» Pure la muta nel cortile di fango sposta la terra in-
sieme a due ragazzini. Sono sempre tutti insieme. Per
questo naturale modo di vivere non sentono d'invaderti,
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piuttosto ti aggregano, ti danno il sari, ti tingono la fronte, ti
portano lo specchio e ridono. E sono contenta, ma vorrei
anche che andassero via. Sono forse egoista? Per loro è
naturale ogni minuto di ogni attimo di secondo essere con
gli altri, disponibili, anzi, la questione se esserlo o no
nemmeno si pone. Dov'è la solitudine ascetica dell'India?
Sulle montagne forse, coi sadhu che vivono a nord, fra
nevi e ghiacci. Certo non qui dove c'è sempre caldo, e
questo è qualcosa! Sensuali i corpi, liberi, le donne tutte
belle. E tanti, ma tanti bambini. In realtà sono loro ad ave-
re contatto con te straniero. Non il saggio vecchio Satur-
no, la giovinezza. E c'è la musica ora. Nel caldo penetran-
te del pomeriggio, una banda incredibile fuori dalla mia
porta. Trombe tamburi tamburelli flauti e un ritmo forsen-
nato che aumenta la sensazione di calura. Non mi affac-
cerò.
Oggi sul muro della mia stanza provvisoria ho iniziato a
dipingere con la tempera un danzatore kathakali, per la-
sciare un dono a Mà Cartiani. Al momento giusto mi ha
chiamata e dato un ottimo riso con pesce, e pappadam,
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mentre continuava silenziosa a lavorare in cucina. Avendo
con me anche il colore oro l'ho usato qua e là per i gioielli
e la corona. Aspetto che il sole inondi la stanza, poi la
chiamo. Sul muro bianco risplendeva il danzatore. Appena
visto, è corsa fuori e tornata con tutte le donne della casa,
che ridevano chissà perché, le mani davanti alla bocca.
Mà Cartiani mostrava orgogliosa la sfavillante opera.
Il nuovo posto: una camera che dà su una veranda di le-
gno al secondo piano, sotto il tetto. Una cucina e un gabi-
netto tutto per me in un ricco giardino tropicale, con ac-
canto la dimora padronale. Mancherà l'accudimento ma
troverò solitudine e pace. Mr Nair, il proprietario, vive nella
villa quasi sontuosa a due piani, più larga che alta. Fiori
rosa, manghi e palme circondano il pozzo, e una costru-
zione senza il tetto serve da doccia. Da una finestrella tiri
su l'acqua con il secchio e la butti nella grande tinozza di
terra rossa. Anche di notte se vuoi, fai uno splendido ba-
gno sotto la luna che argenta le foglie dei coconuts trees.
La signora Nair, viso largo, occhi cerchiati di nero, come
affumicati e forse è così, sta sempre a cuocere riso, baj e
22. Il maestro inaspettato
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sambar. Grossolana nel volto si dà una certa importanza,
come la casa del resto, sa l'inglese, si sente qualcuno.
Vanitose e pettegole le altre donne della famiglia piene di
intrighi. Giorni fa una è venuta di nascosto a chiedermi
soldi per chissà che bisogni. Praticamente non ho rappor-
to con loro. Questa è la borghesia, penso. Ieri hanno offer-
to un pranzo per festeggiare la nipotina, compiva ventotto
giorni. La sua prima luna, la cerimonia dei buchi alle orec-
chie e della cintura alla vita. Ottimo il pranzo, ricco di por-
tate. Tutti seduti in fila, per terra, le donne da una parte, gli
uomini dall'altra. Sulle foglie di coconuts davanti a noi met-
tevano salsine una via l'altra e riso e pappadam. Ma come
stavo meglio da Mà Cartiani, nessun protocollo.
Dall'altra parte della galassia ho una camera adorabile,
una panca, una stuoia e un materasso, una candela, un fi-
lo steso per i vestiti. Un altro mondo, e una difficile vita
quotidiana. La questione dell'acqua, non è sicura, devo
sempre bollirla e disinfettarla, non esistono fornelli ma sor-
te di camini dove accendere il fuoco e appoggiare paioli e
pentole. Oggi tutto bene, felicissima ho cotto le verdure
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aiutata dalla famiglia a fare il fuoco per il caffè e il chai,
posseggo un magnifico servizio in coccio per la zuppa e
anche l'acqua ha messo poco a bollire, magnifico! Ma il
problema sono io, pretendevo di fare una maionese all'olio
di cocco, ho toccato la corrente e per la scossa si sono
rotte le uova che tenevo in mano. Ora puzza dappertutto.
E ancora insisto. Comperata la legna, vorrei accendere il
fuoco in cucina e farmi un nescafè bello forte, ho lo zuc-
chero, il bicchiere, i biscotti, basta mettere sù l'acqua ed è
fatta, no? Lo farò ma sarà un disastro, lo so. Non credevo
così difficile occuparsi di mansioni quotidiane, dovrò impa-
rare anche quelle oltre i passi del kathakali. Due discipline
ogni giorno, sopravvivere e studiare dalle quattro del mat-
tino fino a sera. Nessuna full night da contemplare, nes-
suna mattina pigra. Man mano che procedono le lezioni
sento il corpo sciogliersi, comincio anche a capire. All'ini-
zio della Grande Notte, laggiù nel bosco, assistendo alla
scena della partita a dadi fra Pandava e Kaurava del Ma-
habharata, non avevo afferrato che il canto era la voce
dell'attore. Me lo rivelò l'apparizione di Hamsa, l'uccello
messaggero del principe Nala, vestito di giallo, un becco
24. Il maestro inaspettato
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di stoffa arancio. Dolce, armonioso al punto di farmi per-
cepire d'un tratto la sintonia. Che magnifica notte fu quel-
la!
Un sabato sera faticosissimo oggi, tutti sotto la finestra a
chiamarmi, «open the door!», ma non posso please non
posso, non ora. So che c'è spettacolo ma verrò dopo, con
calma, please. Anche il padre, il vecchio Nair, gli occhiali
sempre sulla punta del naso, «please come!» Impossibile
continuare così. Un mese qua perfetto, poi scaduto il visto
scappo. E' da ridere. La magia del kathakali si sta distrug-
gendo per i colpi della vita quotidiana, la preoccupazione
collettiva nei miei confronti, sola e lontana da casa. Che
desideri proprio questo non lo concepiscono. Ora mi han-
no lasciato perdere, posso dunque andare allo spettacolo.
Basta scendere in paese. «No problem.» Se chiedi ti di-
cono come arrivarci, ma è questo il problema. Ti rispon-
dono, quindi si sentono invitati con altri sedici a seguirti
ovunque vada, magari per sempre. E poi l'eccezione, la
Mà, che domattina, di domenica, m'insegnerà a cucinare il
pesce. Sempre discreta, risponde a una mia precisa ri-
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chiesta. Ad ogni modo uscita con calma la sera, ho rag-
giunto a piedi lo spettacolo. Ho rivisto Sathyavan, il giova-
ne che cantava alla teertha dopo la full night kathakali.
Danzava folk come nessuno, impersonava una fanciulla,
con il sari e una lunga capigliatura sciolta. Sensuale e in-
sieme candido, senza malizia. Guardandolo ho colto il fa-
scino dei ragazzini, sono qualcosa al di là, né sole né luna
eppure entrambi. Torniamo insieme per un tratto, poi ci
salutiamo. Proseguo da sola, ma ecco, un vecchio si af-
fianca con una lanterna, mi sgrida. «Sei matta, da sola nel
buio della notte. Non sai che a quest'ora ci sono in giro i
demoni, i rakshasa? Vuoi farti rapire?» Mi costringe a se-
guirlo, accompagnandomi fino al cancello, rimanendo lì
sotto finchè non mi affaccio dalla veranda e gli auguro la
buona notte.
L'India di Mà Cartiani ora. Ha lavorato così tanto per un ot-
timo pesce! La muta, vestita di rosso, quasi bella, per la
prima volta mi ha parlato. A casa c'è il nipotino, Vijayan
giocava con me mentre avrei voluto seguire la prepara-
zione del piatto. Poi sono passate tante donne, mi hanno
26. Il maestro inaspettato
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toccata come fossi la Madonna, invitata a casa loro, men-
tre saltellavo dietro alla Mà come un pagliaccio facendo
ridere. Cara dolce Cartiani, oggi ho realizzato il significato
delle sue parole, non erano più puri suoni. «Domenica,
niente lavoro.» Me l'ha fatto ripetere sei o sette volte. Ed è
stato magnifico capire. E' la loro vita, lei contenta, tutti feli-
ci che venisse la Monica. Mi hanno guardato mangiare so-
la, ridendo dei commenti facciali sulla bontà del piatto. Mà
annuiva soddisfatta. Dopo il pranzo guarda i miei occhi, da
notte scura. «Va' ora», mi spinge con un gesto,«va' a
dormire se sei stanca». Capisce le esigenze del corpo.
Come sono mansueti i loro occhi! Ti chiedono «what's
your name?» ma se fai un passo o un gesto verso di loro
si ritraggono o scappano. A volte la loro mitezza irrita,
m'indurisce. La mattina, un'intera scolaresca ha interrotto
la mia lezione, io offesa come una regina. Per loro dove-
vano fare un'esibizione due studenti di kathakali. Mi sono
trovata a guardare facce arrese, occhi vinti, con bruciante
ribellione. Quelle fragilità rispecchiano la mia. Quando me
la mostrano, non l'accetto, scaturisce un diavolo intolleran-
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te e un po' spietato. Cosa succederebbe se la mia debo-
lezza e presunta forza si opponessero fino a scoppiare in-
sieme? Potrò stare nel mezzo, a guardare la bufera? For-
se kathakali significa questo, trovare l'equilibrio per saltare
nella follia, un piede solo, ma saldo, attaccato al suolo.
Zampa. zampa! Il serpente però non ha zampe, e un po'
io lo sono.
Per la prima volta ho assistito a una lezione di Eva con il
suo maestro Shankaram. Alcune sere prima aveva danza-
to nei panni del possente Hanuman figlio del Vento, gene-
rale delle Scimmie e grande devoto di Rama. Truccato di
rosso, nero e bianco, il costume peloso, un bianco copri-
capo tondo, sedeva in meditazione nella foresta, imperso-
nata da un ragazzino in ginocchio con un grosso ramo di
foglie verdi in mano. Poi di colpo qualcosa lo disturba, le
sue reazioni irritate creano grande divertimento. Kathakali
comico, ragione in più per amarlo. Ora però mi ritrovo pi-
gra a innervosirmi, arrabbiarmi con John che ribatte «Non
devi pensare. E' il corpo che deve fare, se parti dal cervel-
lo l'impulso per arrivare al piede ci mette troppo tempo.
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Devi muovere subito il piede.» Così ogni giorno. Mi dico
ma sì, meglio smettere, poi mi ritrovo là ogni mattina alle
cinque. E John a dirmi «meglio che piangi, puoi anche ur-
lare se vuoi, quando è troppo, mai smettere» e resisto, il
mio corpo sia deciso potente e fermo. Voglio che ogni mio
gesto abbia la forza di essere un gesto. Un apprendistato
per prepararmi al tempo in cui bisognerà fare un gesto o
morire. Ma quante cose metti in questo kathakali!
Le mie povere gambe, massacrate dopo tanta immobilità
come pietre. La destra quasi non mi regge. Il sudore acido
di tensione. L'insolita sensazione di movimento all'interno
del corpo. Il sangue che scorre, dopo lungo ristagno in te-
sta. Una grande fatica. I mudra però sono una rivelazione,
primordiali. Gesti del primo uomo sulla terra, o del secon-
do, muto.
Oggi ho incontrato il mio amico Sathya. Veniva dai mil-
lenni portando in una grossa anfora l'acqua del pozzo. Ha
riso come sempre vedendomi, mi è venuto vicino, quando
gli ho toccato la mano non si è ritratto. Tenendomi le dita
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mi ha detto «partirò per le vacanze, and you will come in
my house!» Con che grazia si prendeva in giro, «kathakali
actor!» gonfiando il petto, il mento alto, e le mani atteggia-
te a mudra. Domani c'è la festa al tempio, lo vedrò? Fra
elefanti, ladri e santi ci sarà anche un angelo? Sicuramen-
te danzerà caratteri femminili, stri-vesham, nel ruolo di
splendide eroine. Che incanto!
Ho sbagliato come una principiante. Cosa credevo di fare
facendo? Il fare mi allontana. Poco prima la radio di mr
Nair trasmetteva un canto kathakali e l'ho riconosciuto, po-
tevo vedere gli attori e i loro movimenti. Ah guardare! Che
intensità assistere, sentire il mio ombelico. Ho bisogno,
assoluto bisogno, di uno spettacolo. Ce ne sarà uno mer-
coledì, voglio guardarlo, guardarlo e poi guardarlo, non
farlo. Ho bisogno, assoluto bisogno come dell'acqua del
fuoco dell'aria e della terra, di tutti i nutrimenti che mi dà.
Mi sono lasciata andare, ora c'è silenzio.
Pioggia. Ha fatto uscire gli scoiattoli, sono tutti in giro. Be-
nedetta pioggia scrosciante nel buio della mattinata, be-
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nedetta pioggia che ha lavato via la mia debolezza. L'ac-
qua qui fuori arrossa ancor più la terra, più verdi sono le
palme, arancione le pozze. La danza richiede l'intero tem-
po e ancora non è abbastanza. Qualcosa sì, ma non così
tanto, non così fisso. Ma John accetterebbe? Potersi alza-
re alle quattro, o altrimenti stare come un gatto fra le co-
perte a sentire l'acqua sul tetto, sulle piante, dentro il poz-
zo. Benedetta pioggia, ridà atmosfera, improvvisamente
insieme al calore del fuoco ho avuto voglia di freddo.
Sempre sole non è calore. Ma questo non è freddo, solo
un bel fresco che mi ridona interesse per la vita. Il viaggio
è sorpresa, non sapere che ci saranno body's exercises, e
cholippu, e mudra. Amo il kathakali ma non posso sce-
glierlo, non ora. Ho bisogno di altre esperienze che co-
mincino e finiscano lì. Come sono cambiata da quando,
appena arrivata, pensavo di stare per una vita. Torno a
essere nessuno con niente da fare.
E John ha detto va bene, solo al pomeriggio illaki aatam,
mudra e loro significati. Questi non voglio perderli. Lasce-
rò il resto, i piedi sono pieni di tagli, arranco zoppa al poz-
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zo, sulle scale, a scuola. Uscendo incontro il bellissimo
maestro di Eva, ride della mia andatura claudicante, mi
tocca la collana, i bracciali, il ciondolo, «forse una danza
più dolce, come la balinese, hai delle belle mani...»
Ero seduta nello studio fotografico di Shoranur. Indossavo
il mio primo sari, prestato dalla mamma del piccolo Vija-
yan, per le foto ricordo con Mà Cartiani. Valsalà e Ceci si
aggiungono, ne volevano anche loro una con me per il
chai shop. Dolce Cartiani, per l'occasione non si è messa
l'orologio, solo una catena d'oro in prestito. Divertite come
bambine che vestono la bambola mi avevano drappeggia-
to con grande allegria il sari intorno al corpo, ornato come
una principessa truccando la faccia con pesante kajal
dentro e anche intorno agli occhi. E io a dire «no, è trop-
po» e loro «it is beautiful», e io «ma non sono Indiana,
non ho capelli e occhi neri», e loro «yes, but it is beauti-
ful». Il fotografo aveva scelto un fondale di palme e ci
aveva immortalato le mani in grembo come da tradizione
in tutte le foto indiane. Inaspettato come sempre Sathya
passando mi vede, mi batte sulla spalla. Gli occhi compia-
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ciuti per come sono acconciata, poi mi dice «vieni stasera,
vieni a vedermi danzare» e la sera vado. Per l'occasione
di nuovo le mie amiche mi vestono con l'abito keralese, il
munde, composto da due teli bianchi bordati d'oro, uno
per avvolgere come una gonna, l'altro ripiegato con peri-
zia sopra il petto. Sembro una sposa. Non ancora soddi-
sfatte, aggiungono ai miei capelli castani una lunga treccia
nera, e ridendo mi lasciano andare. Sathya danza inter-
pretando una fanciulla, sotto la blusetta ha persino il seno,
e un gioiello alla narice destra. Quando alla fine si scatena
con un bastone infuocato nelle mani delicate, il pubblico si
entusiasma. Fantastico! Anche lui dopo lo spettacolo vuo-
le una foto con me, è il giorno delle foto ricordo.
Dopo lungo tempo immersa nello studio della danza o a
leggere libri e ascoltare racconti, torna una serata di ka-
thakali. Conclusione di una giornata folle. Al mattino, se-
guita una lezione di Eva con il suo maestro, ci eravamo
date appuntamento per raggiungere insieme il tempio in
cui avrebbero dato kathakali. Un tempio chissà dove e
questo era stato il mio primo sbaglio. Non sapevo nulla,
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avevo sentito nominare la città vicina, ma così, senza pre-
stare attenzione. Arrivata alla stazione penso di essere in
ritardo, che Eva sia già partita. Così salgo su un treno
che, a naso, mi sembra vada nella città supposta. Dopo
un'ora seduta in un treno immobile intravedo Eva salire su
un altro che parte subito. Come pazza, tre secondi prima
che si metta in moto, salto giù di corsa. Bisogna seguire
Eva. Gli indiani sapranno sicuramente dove va, sicura-
mente lo sanno, sanno sempre tutto. Infatti, dopo grandi
conciliaboli, mi indicano un bus che mi farà raggiungere il
treno, ma penso bene di sbagliare anche il bus. Da non
crederci. Ma dov'era la testa, era già ipnotizzata dai tam-
buri kathakali? Di nuovo mi aiutano, scendo, prendo il bus
giusto, arrivo a Coimbator (è il nome della città) incomin-
cio a calmarmi in un chai shop. Mi siedo, giro lo sguardo e
vedo entrare Eva! Così eccoci al tempio, e quando è co-
minciato il canto, incredibile coincidenza, mi sono trovata
di fronte alla scena della prima volta nella foresta, il giallo
becco di Hamsa, l'uccello messaggero d'amore, con il suo
vestito giallo oro e i lunghi capelli di rafia rossa. Quanto
tempo trascorso in mezzo! Avevo perso innocenza e stu-
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pore nella fatica dello studio, ora gustavo di nuovo il pia-
cere di guardare e quello che guardavo lo vedevo e lo ve-
devo ben eseguito. Riconoscevo i mudra, riconoscevo le
espressioni sui volti, i gesti forti e precisi che sapevo fati-
cosi, difficili. Il loro danzare era così emozionante. Al ritor-
no, tranquilla sul bus insieme a Eva e a tutta la troupe, mi
addormento senz'accorgermene. Al risveglio mi trovo ac-
canto all'anziano maestro che danzava Hamsa, buffo ora
con un fazzoletto bianco intorno alla testa, il naso legger-
mente all'insù. Sento la sua anima giovane e clownesca,
mi immagino danzare la principessa Damayanti accanto a
lui, giallo di allegria, e tenero quando, dopo la danza del
volo, si ferma e le piume del corpetto respirano forte forte.
La fatica dello studio certo è arida, ripetere e ripetere gli
stessi movimenti senza musica senza canto. Ma porte-
rebbe a danzare al suono delle meravigliose percussioni
del maddalamm, del chenda, magari accanto ad Hamsa.
E poi, il bello è che non è solo danza: è teatro. Non va
eseguita meccanicamente, devi essere nel movimento dei
sentimenti e delle emozioni. «Dove va la mano va lo
sguardo, dove va lo sguardo va la mente, dove va la men-
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te va il cuore, e nel cuore sorge il sentimento, rasa» recita
un famoso sloka dedicato all'arte. Gli dico che amo il ka-
thakali, che dovrò andarmene perché mi scade il visto ma
tornerò, quando riaprirà la scuola dopo i monsoni. Scuote
la testa con vigore «sure, sure!», ma nel momento in cui le
dico dubito delle mie parole. La vita mi farà tornare? O mi
porterà lontano, dopo mesi di altri incontri, chissà quali.
Non voglio pensarci ora, seduta accanto ad Hamsa. Sco-
perto il suo umorismo, scherzando insieme giochiamo,
Eva assiste. «Come mi ha sorpreso, mi dirà poi, il maestro
così burlone con te, come se foste amici.»
Da ore John e io aspettiamo nella sua casa che qualcuno
passi a prenderci per andare a un'altra full night kathakali.
Nessuno si presenta, sono sempre più nervosa, sempre
meno a posto con il sari nuovo che ormai ha cambiato la
perfetta forma che aveva sul corpo, e figuriamoci se sono
in grado di rimetterlo a posto. Così prima di diventare uno
sfacelo, saluto John, me ne vado a Shoranur per guardare
la gente che passa sorseggiando un ottimo caffè keralese.
Mi trovano lì Eva e Rajasekaran, meraviglioso danzatore
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di ruoli femminili, compresa la dolce principessa Dama-
yanti. Beviamo insieme, poi dice «devo andare, ho una full
night». «Davvero, dove?» Forse non tutto è perduto.
«Lontano, dopo Quilon.» Avrei voluto dire vengo anch'io
con voi, subito. Ma sto per partire e devo spedire un gros-
so pacco per viaggiare più leggera. Ah com'è difficile! Insi-
sto. «Dimmi dov'è, vi raggiungerò più tardi. Sarà complica-
to ma se voglio posso» Mi guarda incerto, «Forse puoi, se
Dio vuole.» Ed eccomi a preparare in gran fretta il pacco
indiano, dev'essere dentro un cartone, avvolto da una
garza a sua volta sigillata con la ceralacca. Un'impresa! E
poi al post office mi viene da piangere, non ho abbastanza
soldi per spedirlo, dovrò farlo domani. Così mi ritrovo ad
aspettare il treno con il pacco di quattro chili sotto il brac-
cio. Non c'è tempo non c'è tempo. Ce la farò ad arrivare
almeno per l'inizio? E dopo il treno, di corsa su un bus. E
presto comincio ad avere dubbi, perché ci mette troppo,
vedo scendere la notte, salire la luna. Ancora non era Qui-
lon, ancora una volta sbaglio direzione.
Mille anni ho vissuto su quel bus, impotente, io, che avevo
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India a passo di danza
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