Allenamento sportivo, traumi e recupero funzionale. Sapersi muovere per mantenere e recuperare la migliore condizione
Alfio Cazzetta
http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/sapersi-muovere-per-mantenere-e-recuperare-la-migliore-condizione
pagine da manuale tecnico del pilates terza edizione.pdf
Pagine da cazzetta allenamento sportivo
1. FONTI STORICHE DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA
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Cenni storici
La conoscenza della storia dell’educazione fisica
svela le cause prime della grandezza e della decadenza dei popoli. Contemporaneamente ci si rende conto,
attraverso lo studio dello sport nell’antichità, di come,
pur cambiando i tempi, le problematiche negative siano sempre simili se non uguali, a quelle odierne. Ci si
rende anche conto di come le alterne vicende della storia, la cultura sociale dei diversi popoli, siano legate e
rappresentate dalle diverse espressioni dello sport, nel
divenire degli anni.
Fra i popoli antichi che praticavano l’esercizio
fisico, è possibile vedere che i soli Greci esercitavano il corpo, oltre che per fini bellici, per stabilire la
necessaria armonia tra le facoltà spirituali e fisiche.
Gli antichi Greci, illuminati dalla massima “Kolon Kai
Agaton”, seppero farne migliore strumento per il loro
perfezionamento spirituale, affinando il sentimento
dell’autodominio insieme con il senso della lealtà e
dell’onestà. Con quanto zelo si dedicasse la gioventù
ellenica agli esercizi del corpo, può essere desunto anche dalla maestosità degli edifici destinati agli esercizi
ginnici, che rivela con quale serietà o meglio religiosità, gli antichi Greci guardassero al fenomeno ginnico.
Il fanciullo greco veniva educato nella musica e nella
ginnastica che, secondo Platone ed Aristotele erano le
materie fondamentali.
“Io dirò che uno degli Dei abbia donato all’uomo due Arti:
la musica e la ginnastica, per educare la loro energia e la
loro sapienza e non solamente per l’interesse particolare
del corpo o della loro anima, ma tutti e due assieme, per
raggiungere così l’armonia perfetta”.
Le parole di Socrate testimoniano come il fanciullo
greco venisse educato in un tutto armonico, secondo un ideale di bellezza psico-fisica in forma perfettamente euritmica, volendosi, attraverso la perfezione
corporea, raggiungere la sanità dell’anima: ideale dello
stesso Aristotele che sosteneva essere di fondamentale interesse non creare degli atleti, ma l’armonia dell’uomo, perché l’anima non può essere completa senza
un corpo armonico.
Anche attraverso l’Iliade di Omero, possiamo vedere come fosse tenuto in considerazione l’addestramento
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del corpo, dal fatto che in ogni occasione, si allestivano
tornei in cui si cimentavano i più forti eroi, come in occasione della morte di Patroclo. Nessuna civiltà esercitò
un’influenza così profonda sull’evoluzione dell’umanità e nessuna seppe creare un metodo così completo
di educazione. Tale primato, i Greci lo raggiunsero con
costante studio dell’educazione della gioventù, con la
tecnica degli esercizi, con la magnificenza dei ginnasi,
nell’intento di rendere l’uomo più bello e più forte. L’importanza che davano i Greci alla ginnastica e all’educazione sistematica dei fanciulli, può desumersi da tutte
le creazioni di arte figurativa, dove si nota sempre il
ginnasiarca che assiste: sui vasi antichi che si davano
come premio nei giochi, su quelli che contenevano olio
per ungersi, sulle gemme, sulle tombe, appare il maestro avvolto nel mantello, con una lunga bacchetta nelle
mani che dirige l’esercizio. La ginnastica era un elemento essenziale nella vita del popolo greco e lo sviluppo
armonico del corpo umano rappresentò il coronamento
della sua grandezza nell’estetica, nell’arte, nella fisiologia. Esisteva però una differenza di impostazione tra le
due grandi città greche; a Sparta si curavano i giovani
solo dal punto di vista atletico e militare senza nessun
interesse individuale: è noto come venissero buttati dal
monte Taigeto i nati storpi o malaticci. Ad Atene, invece, l’esercizio fisico era indirizzato all’ideale di forza
fisica ed armonica, ma con finalità educativa.
Anche a Roma l’esercizio fisico ebbe grande importanza, però con motivi più spiccatamente militari ed igienici.
La vera scuola di ginnastica dei Romani, cominciava
col servizio militare e si compendiava negli esercizi del
Campo di Marte, dove i soldati venivano addestrati alle
più dure fatiche. La superiorità dei Romani consisteva
nella perseveranza e nel saper resistere alle fatiche. Che
l’educazione fisica non fosse esclusivamente militare, lo
possiamo vedere attraverso Cicerone che nel suo libro
“Degli Uffici” dice:
“Exercendum tamen corpus et ita efficiendum ut oboedire
consilio rationique possit in exercendis negotiis et in labore tolerando”.
D’altra parte le dure fatiche che sostenevano,
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2. 39
UNO SGUARDO DAL “PONTE”
La triade per lo sport:
famiglia - società - scuola
La buona riuscita di un atleta, la sua formazione, è
dovuta ad una miriade di fattori che confluiscono in modo
più o meno positivo nell’interezza della sua personalità (intendo sia della sfera fisica che della psichica). Fra
questi: l’ambiente familiare, sociale, scolastico, la motivazione propria e dei genitori, le proprie capacità motorie
ed infine la bravura e la motivazione del tecnico. Quando
un genitore troppo “esigente” si incontra con un tecnico
troppo spregiudicato, si forma una “miscela esplosiva”
che investe in modo diretto il giovane atleta, con conseguenze spesso pericolose per la sua integrità fisica e
psichica.
scelta della disciplina da far intraprendere al proprio figlio. Questa scelta dovrebbe rappresentare l’unione fra
l’esigenza motoria del bambino o del giovane ed il suo
appagamento interiore.
Purtroppo spesso si verifica che l’avviamento ad una
determinata disciplina sportiva, sia dettata da fattori diversi e poco costruttivi: la moda, la voglia di far frequentare un ambiente di un certo tipo, il desiderio da parte del
genitore di vedere appagate antiche frustrazioni personali
avute nella propria gioventù, o di vedere il proprio figlio
campione come lo è stato lui.
L’apporto del genitore, nella crescita atletica del giovane, è fondamentale, in quanto la collaborazione con
l’istruttore ne rende più facile il lavoro, quando questa
è incanalata nel giusto aspetto. Può essere oltremodo
negativo quando il genitore interferisce con l’obiettivo
dell’istruttore condizionando, in parte o in tutto, il suo
operato (il peggio si avrà quando ambedue i componenti
sono alla ricerca del risultato precoce). L’opera del genitore assume un aspetto determinante già nella delicata
Esistono vari tipi di genitore: chi non si fa mai vedere né in allenamento né in gara e che nemmeno si
conosce; chi viene al campo, anche se non sempre, ma
segue, s’informa del più e del meno, partecipa con il tecnico al miglior utilizzo del tempo del proprio ragazzo, non
interferisce ed interviene solo se vi è una necessità particolare; chi invece è sempre presente, assiste, entra in
campo, partecipa alla vita atletica del figlio stimolandolo
a fare sempre di più; chi addirittura pretende di entrare
nelle scelte tecnico-programmatiche e stimola il figlio ad
allenarsi sempre più forte, per ottenere i risultati, litiga
col tecnico se questi non è dello stesso intendimento,
rimprovera il figlio se questi non è stato all’altezza delle
proprie aspettative. È proprio il peggiore!!
Genitore
Tipo di genitore
La famiglia (il genitore)
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3. LE CAPACITÀ MOTORIE
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Schemi motori e abilità motorie
Col termine schema motorio, viene identificata una
struttura motoria relativamente semplice oppure abilità motorie ancora non apprese. Quando si parla di schemi motori
di base, ci si riferisce alla motricità che l’uomo ha utilizzato,
nel corso della sua evoluzione, per garantirsi la sopravvivenza. In definitiva, gli schemi motori di base sono trasmessi al
bambino geneticamente. I movimenti di base sono condizionati dalle caratteristiche anatomiche e fisiologiche, oltre
alle forze attive (muscoli) e passive (gravità, peso ecc) che
possono coinvolgere tutto il corpo o parte di esso (posture),
in forma semplice o complessa, in relazione allo spazio (piani, assi ecc) e al tempo (durata, frequenza...).
Dagli schemi motori di base (es: il correre), si passa
poi alle abilità motorie generali (es: saper correre), quindi
alle abilità motorie speciali (es: saper correre in funzione
di...). Le abilità motorie generali e speciali si apprendono.
Questo processo progressivo dell’apprendimento motorio
si sviluppa attraverso opportuni stimoli provenienti dall’ambiente, ma anche per un giusto processo di crescita
e maturazione, quindi con lo sviluppo e stabilizzazione
delle capacità motorie. Tutte le attività dell’Essere umano
si fondano su queste “strutture” che normalmente sono
suddivise in coordinative e condizionali. Le coordinative
dipendono da processi nervosi, le condizionali da processi energetici. In realtà è solo una suddivisione di comodo
per poter dare un volto a due espressioni che in effetti
sono un tutt’uno. Ambedue gli aspetti si fondono e l’incremento delle une permette il miglioramento delle altre,
e viceversa. Logicamente la percentuale di incremento
sarà differente secondo le esigenze individuali (per prima
cosa) e secondo le esigenze della disciplina.
Le capacità coordinative
Le capacità coordinative dipendono dal sistema senso motorio, quindi dagli analizzatori (cinestesico, vestibolare, ottico, tattile, dell’equilibrio, propriocettivo).
Le tappe dello sviluppo motorio sono:
➢ Coordinazione grezza (fino a 4 anni)
➢ Grossolana esecuzione (5/7 anni - vi è l’acquisizione
delle abilità motorie generali)
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➢ Coordinazione fine (8/10 anni)
➢ Disponibilità variabile (consolidamento della coordinazione - dagli 11 anni)
A parte una suddivisione in base all’evoluzione delle fasi di crescita e maturazione, anche se trattasi di un
atleta maturo, la fase di apprendimento di un nuovo movimento o di una nuova abilità rispecchia le stesse regole: i
tempi di apprendimento di questa fase sono certamente
molto più rapidi, in modo direttamente proporzionale al
bagaglio motorio immagazzinato negli anni evolutivi: la
prima fase è di tecnica grezza, che poi va diventando
sempre più precisa (tecnica fine), per raggiungere quindi
l’automatismo e la possibilità di variare anche i movimenti, per gestirli opportunamente.
Le capacità coordinative vengono di norma suddivise in generali e speciali. Le generali sono: apprendimento, controllo, adattamento e trasformazione.
L’apprendimento motorio è la fase di coordinazione
grezza (soluzione elementare del compito motorio).
Il controllo motorio è la fase di coordinazione fine,
cioè l’automatismo del gesto e consente di controllare
nello spazio e nel tempo il movimento da eseguire. Si
perfeziona attraverso le ripetizioni e dando stimoli via via
più difficili.
L’adattamento e trasformazione (o disponibilità variabile) è la capacità di adattare il movimento in itinere in
base alle esigenze dell’azione, dando (negli sport di squadra) la possibilità di poter allargare l’attenzione su altri
elementi, mentre si esegue un gesto tecnico.
Le capacità coordinative speciali sono una famiglia
numerosa e le suddivisioni possono essere differenti secondo gli autori: equilibrio, combinazione, orientamento,
ritmo, differenziazione spazio-temporale ed oculo-manuale, strutturazione spaziale, differenziazione dinamica, reazione, anticipazione, fantasia motoria.
Per poter riuscire ad eseguire i processi coordinativi,
è fondamentale innanzitutto l’acquisizione dello schema
corporeo, e cioè la conoscenza topografica dei vari elementi corporei, quindi l’apprendimento dell’unità corporea (posture, tono...).
Le capacità condizionali sono: forza, rapidità e resistenza. A questo punto si può dire che gli “ingredienti” di
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4. 143
I GRANDI DIBATTITI DELL’ALLENAMENTO
In questo capitolo non si vuole avere la pretesa di
dare delle nozioni di metodologia; sarebbe un’impresa
troppo grande, anche pretestuosa: vi sono ben più grandi personaggi che si sono cimentati nella problematica.
Bisogna sottolineare che sono moltissime le divergenze
fra gli studiosi e fra i tecnici. In metodologia 2 + 2 non fa
mai 4: tutti possono avere torto e tutti ragione; comunque
risulta attendibile quel metodo che non solo dà dei risultati, ma li da in tempo prolungato e senza lasciare una
scia di infortuni ed abbandoni precoci. In questo dilemma
di grandi dibattiti e grandi personaggi, purtroppo si inseriscono voci che ben poco hanno di grande e che non
fanno altro che inquinare la cultura e la vastità della metodologia dell’allenamento. Inoltre rientra anche la stessa
individualità dei soggetti che sfugge a volte alla razionalità di una metodologia che vorrebbe essere razionale.
Ci si interroga se sia giusto riversare tante attenzioni
agonistiche verso i bambini, che rischiano di dimenticare
le fasi di gioco che tante generazioni passate hanno formato. Ci si interroga se sia giusto trattare gli atleti come
numeri e non come persone. Ci si interroga perché sia
nato il caso Pistorius, al quale veniva impedita la partecipazione ai Giochi. Eminenti studiosi hanno lavorato per
dimostrare che egli con le protesi sarebbe stato avvantaggiato rispetto ai “normodotati”; ma se davvero fosse
stato un vantaggio, perché ad un superdotato come lui,
era invece aperta la partecipazione alle gare per disabili?
Saranno esaminati solo degli spaccati di metodologia, su argomenti che
hanno avuto (e continuano ad avere) un
ampio contraddittorio;
spesso derivati solo
per una cattiva interpretazione delle ricerche, effettuate da eminenti personalità, altre
volte perché le stesse
ricerche non sono molto attendibili, lasciando
spazio ad aspre critiche; altre volte ancora
perché la teoria risulta
poco applicabile alla
Pistorius
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pratica o perché al risultato di pochi corrisponde un’ecatombe di giovani che non hanno retto al tipo di allenamento somministrato. C’è da dire, comunque, che oggi non
vi sono più i grandi nomi del passato; quelli che davano
prima i risultati e poi ne teorizzavano i mezzi ed i metodi;
oggi si ama solo “pargoleggiare”, sostenendo le proprie
tesi con citazioni scientifiche (più o meno), ma senza un
vero riscontro di veri risultati. I risultati attendibili, però,
sono quelli che si misurano in metri e centimetri, o minuti, secondi e centesimi. Quelli che annoverano solo vittorie o sconfitte, come nei giochi sportivi, sono solo teorie
che possono rappresentare tutto ed il contrario di tutto.
In questo genere di sport chiunque può dire ciò che vuole,
poiché la verità, che di norma in metodologia è difficile da
confutare, nei giochi sportivi non esiste.
Specialisti allenatori (da Universo Atletica)
In questo capitolo, si vuole mettere in evidenza,
quanto una spregiudicata applicazione dei mezzi di
allenamento porti inevitabilmente ad infortuni più o
meno pericolosi.
La prestazione
L’allenamento è un processo di adattamento continuo e progressivo in cui gli stimoli si succedono (carico
esterno), nel tempo (nell’anno e negli anni), in modo progressivamente crescente, tarati alla capacità di risposta
dell’individuo (carico interno) dell’atleta. Esso non deve
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5. 261
I TRAUMI SPORTIVI
Oggi le degenerazioni della società, gli enormi interessi che ruotano attorno allo sport, stanno continuamente trasformando i valori, portandolo ad assumere un ruolo
molto lontano dagli obiettivi originari.
Lo sport come fattore a rischio
Perché oggigiorno è così ricorrente il numero degli
infortuni più o meno gravi che affliggono lo sport? Si potrebbe addebitare ciò al maggior numero di praticanti;
ma, in effetti, non è vero, o almeno in parte. Probabilmente la verità sta nel fatto che un grande numero di
praticanti si affacciano all’attività sportiva senza una guida, o senza le necessarie conoscenze, magari emulando
tale o tal’altro campione, nella ricerca continua di risultati
sempre migliori; oppure si affidano a tecnici privi delle
necessarie competenze (aspetto più diffuso di quanto si
sia portati a credere) o che non hanno molti scrupoli e
sullo spostamento verso un esasperato agonismo (sport
spettacolo), spesso non controllato nelle due fasce più a
rischio: quella dei giovanissimi e quella degli anziani.
Nell’affrontare la larga panoramica dell’infortunistica sportiva, sulle sue cause (palesi o recondite e sul
come fare ad evitarle o addirittura doverci “convivere”), occorre fare una distinzione fra i vari infortuni che
possono capitare e di cui spesso non ci si spiegano le
cause. Malgrado i grandi sforzi di alti luminari della medicina sportiva, molti problemi rimangono ancora misteriosi o quanto meno irrisolti e all’atleta non resta altro
che sottoporsi a continue cure che molte volte servono
come “effetto placebo” e vivere giornalmente sul “filo
del rasoio” con grande sconforto e notevoli sacrifici.
Fattori che predispongono
all’infortunio
- Predisposizione genetica
- Fattori socio-ambientali
- Calzature o equipaggiamenti non idonei
- Squilibri muscolari
- Mancato rispetto delle regole
- Carichi inadeguati
- Specializzazione precoce
- Cattiva alimentazione
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- Modelli inadeguati
- Cattive abitudini
Predisposizione genetica
Senza volersi addentrare in argomenti che riguardano il
campo medico, mi sento di affermare che parecchie volte la
causa di infortunio non dipende solo dal carico eccessivo di
lavoro, ma da “difetti” congeniti che rappresentano il fattore limitante del normale svolgimento di un’attività sportiva:
il classico anello debole della catena. In questo caso solo
la cautela, la prevenzione e la razionalità rappresentano gli
unici fattori che possono evitare o limitare i danni. Il carico
di lavoro in questo caso non fa altro che rendere precoce il
problema, evidenziandone la sintomatologia. È bene precisare che nel frequentare uno sport si deve scegliere l’indirizzo e cioè o un’attività generica che serva da mantenimento
per la propria salute, per il proprio benessere psico-fisico e
per combattere la sedentarietà, oppure dello sport agonistico in cui si ricerchi il meglio di se stessi.
Nel caso di una predisposizione genetica, non resta
altro che far buon viso e cattivo gioco. Si possono fare due
cose: la prima è quella di prevenire, cercando di rinforzare le parti ritenute carenti, la seconda è “convivere” con
il problema escogitando sistemi e sperimentando mezzi di
allenamento diversi che arricchiscono di esperienza chi li
pratica e che saranno di aiuto ad altri che avranno gli stessi
problemi. Come tecnico posso affermare che è più facile
far andare forte un campione che, al contrario, trovare gli
espedienti per far allenare chi presenta problemi limitanti
di vario genere. Il fattore limitante il più delle volte emerge
quando i carichi si fanno sensibilmente elevati. Come porvi
rimedio? Spesso il rimedio vero e proprio non c’è.
Nota - Il problema si collega con il rapporto fra tecnico ed
ambiente; rapporto a volte difficile, permeato da invidia,
con la quale spesso si coglie l’occasione per sminuire
l’operato del tecnico, addebitandogli la causa dell’infortunio. Credo che ciò sia comune in ogni ambiente, in modo
più o meno palese. Si coglie l’occasione per demolire la
figura di chi si mette in evidenza, perché è più facile demolire gli altri che confrontarsi e migliorarsi.
Anni fa Nunzio Giuffrida, un mio allievo mezzofondista di
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6. 344
CAPITOLO 6
Processi di infortunio e comportamenti dell’atleta e del tecnico
La maggior parte dei processi infortunistici dipendono
da fattori interni all’atleta.
FATTORI CHE SONO CAUSA DI INFORTUNI
(Heil, Zemper y Carter, 1993 – Popolazione 1600 sportivi)
2) L’età del soggetto
3) La mancanza di preparazione adeguata all’allenamento
4) L’assenza di veri piani di allenamento appropriati
5) Stato di affaticamento
6) Assenza di adeguati periodi di riposo
7) La mancanza di sostegno farmacologico (es: ferro,
potassio ecc)
8) Poca o eccessiva motivazione
9) Presenza di situazioni di stress
La presenza di situazioni stressanti aumenta il rischio
di traumi; infatti lo stress indebolisce il sistema immunitario dell’organismo. Non solo, ma a livello psicologico
possono provocare stati di deficit dell’attenzione, con abbassamento dell’attivazione.
11 %
13 %
48 %
STRATEGIE DEL TEAM TECNICO PER CONTROLLARE
POSSIBILI FONTI DI STRESS
28 %
1) 48,3 % degli infortuni dipendono da fattori intrinseci
all’atleta
2) 27,9 % sono causati in maniera più o meno diretta da
problemi esterni all’atleta
3) 12,7 % dipendono da comportamento inadeguato
(aggressivo, poco etico) di altri sportivi
4) 11,1 % dipendono da altri fattori
VARIABILI CHE POSSONO AUMENTARE IL RISCHIO
DI TRAUMI
1) Il decorso di passate lesioni
1) Aiutare gli atleti a fissare obiettivi reali
2) Definire i ruoli e spiegare lo scopo
3) Pianificare sedute d’allenamento che siano utili per
dominare lo stress, creando situazioni simili a quelle
della partita
4) Includere esercizi di rilassamento come parte finale
degli allenamenti
5) Sottolineare l’importanza dell’impegno personale e
non del risultato
6) Non esagerare l’importanza delle partite
7) Non far pesare il risultato negativo
8) Utilizzare commenti che servano per distinguere successo/fallimento sportivo
La situazione di fattori di stress, può aumentare la
vulnerabilità dell’atleta, rendere difficile il recupero,
rendere difficoltoso il rientro ed aumentare il rischio di
ricadute.
MODELLO DI STRESS E TRAUMA SPORTIVO
(Adattato da Anderson e Williams)
PERSONALITÀ
SITUAZIONI
POTENZIALMENTE
STRESSANTI
STORIA DI PROCESSI STRESSORI
PASSATI
RISPOSTA DI STRESS
MINACCIA ................ STATO ............. ATTENZIONE
PERCIPITA ............... D’ANSIA ................. ALLA
..................... ...... TENSIONE
.......................
..... MUSCOLARE
RISORSE PER FARE FRONTE
ALLO STRESS
TRAUMA
INTERVENTI PER SVILUPPARE ABILITÀ PSICOLOGICHE
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7. NUOVI ORIZZONTI NELL’ACQUA
Questo capitolo rappresenta il fulcro del presente lavoro, infatti la corsa in acqua, nei suoi vari aspetti e nelle
varie metodologie, è qui rappresentata nelle sue forme
più variegate, con l’esposizione delle sue forme iniziali e
delle progressive conquiste. Le nuove prospettive future,
potranno essere d’aiuto sia al tecnico che all’atleta che
avranno così nuove opportunità di gestione dell’allenamento, anche nei periodi meno favorevoli.
In effetti, quando si parla di lavoro in piscina per
un atleta non nuotatore, spesso ci si atteggia nella conoscenza della materia, ma in realtà, il più delle volte
si hanno delle idee errate sui suoi contenuti: si pensa
al nuoto o alla ginnastica in acqua. Dopo parecchi anni
dalla sua apparizione, la corsa in acqua, in pratica non è
molto conosciuta o comunque è poco praticata. E questo malgrado le pubblicazioni sul tema, anche se alcune
hanno anche poco di scientifico. Nella pratica sportiva,
non si vede una sufficiente applicazione di questo mezzo
di allenamento.
Sono già state presentate le cause che, di norma,
provocano gli infortuni. Ma è normale che si verifichi oggi,
un numero di infortuni così vasto? Non sembra giusto addebitare al sensibile aumento del numero dei praticanti
ma piuttosto ad un una maggiore “richiesta” prestativa e
ad un precoce, molto intenso ed indiscriminato uso delle
metodologie di allenamento, ed anche ad un uso improprio di attrezzi, mezzi, metodi e strategie: mancanza di
razionalità e moralità.
Sarebbe opportuno, con raziocinio, evitare di incorrere in infortuni più o meno gravi. Purtroppo non è sempre
possibile che questo si verifichi, anche perché, come si è
avuto modo di dire, a volte l’infortunio compare per fattori
congeniti, accelerati dall’attività sportiva. Un punto negativo deriva dal fatto che quasi mai l’istruttore riesce a seguire un atleta, dal debutto agli alti livelli; ciò è addirittura
impensabile negli sport di squadra. Di norma si verifica il
contrario, con cambiamenti, a volte frequenti, nella guida
metodologica e didattica, per cui gli errori dell’uno si riflettono sul lavoro dell’altro e spesso non è facile capire
la causa del problema e l’origine del male. Il corridore,
specie quello che affronta le lunghe distanze, “macina”
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una grande quantità di chilometri su strada o su terreno
sterrato o accidentato. Chi corre in pista non è indenne da
pericoli, perché le piste sintetiche provocano non pochi
problemi alle strutture degli atleti. Molto dipende anche
dalla tipologia del lavoro stesso e cioè dalla specificità
dello sport (tecnopatie). I costanti balzi del saltatore, le
variazioni di direzione, i salti, gli impatti dei giocatori di
basket, gli scontri che si verificano nel calcio, sono alla
base degli infortuni. I traumi dovuti a scontri, durante le
fasi di gioco, negli sport nei quali si ha il contatto con
l’avversario, non possono essere evitati, ma non sono
giustificabili quelli provenienti da eccessi di carico o da
metodologie inadatte e spregiudicate (come oggi si tende
a fare). Certamente non si può evitare che un cestista
non subisca traumi da impatto ma, attraverso situazioni
di lavoro differenziato, si potrebbe certamente ridurre il
traumatismo.
Nota - Purtroppo, come per la lotta al doping, anche la lotta all’infortunio sembra una guerra destinata a perdersi.
L’inizio precoce della specificità sportiva, i grandi carichi
di lavoro, portano a tutti quei processi degenerativi di cui
abbiamo parlato. Quando anche grandi personaggi di alta
qualità, di cui nutro una grandissima stima, affermano che
per diventare campioni bisogna iniziare in tenera età la
disciplina, non ho più parole che possano bastare. Sì! Può
essere anche vero che ciò accada spesso, ma cosa farà
la stragrande maggioranza dei giovani che, non riuscendo a sfondare, non farà più attività o dovrà smettere per
gravi infortuni?! Eppure tutto il mondo si scaglia (a parole)
contro chi, come in Cina, sfrutta i bambini, facendoli lavorare nelle fabbriche anche in tenera età. Ma ci siamo
mai chiesti a quante ore di allenamento sono costretti
dei bambini per diventare campioni nella ginnastica? Che
differenza c’è fra chi li sfrutta per lavorare nelle fabbriche e chi li sottopone a lunghissime ed estenuanti ore
di allenamento perché uno su diecimila possa ottenere il
successo? Lo stesso scoraggiamento lo si ha anche nei
confronti dell’alta specializzazione, quando non si rispetta
più la progressione e la costruzione attraverso il lavoro
generale, la creazione di una solida base, quando l’atleta
di sport di squadra è diventato solo un numero e cam-
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