SdS - Scuola dello Sport, n° 116
ANNO EDIZIONE: 2018
GENERE: Rivista
CATEGORIE: Rivista SdS - Scuola dello Sport
PAGINE: 72
Gennaio/Marzo 2018
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Pagine da sds scuola dello sport 116
1. SDS-SCUOLADELLOSPORT/XXXVII/116
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Comincia col taekwondo (Fita) il nostro viaggio tra le (45) Federazioni Olimpiche
Italiane che fanno parte di diritto del Gran Consiglio del Coni e conquistano meda-
glie olimpiche. Andiamo alla scoperta di certezze, di ambizioni e di sogni di questo
sport di combattimento (che si disputa a pugni e calci anche in elevazione) a due
anni dal prossimo traguardo dell’Olimpiade di Tokio 2020. Su il sipario, quindi, sul
taekwondo (nato in Corea del Sud dov’è sport nazionale) che venne esportato a
Roma nel 1966 da uno dei dodici più stimati maestri coreani. Quel Park Sun Jae che,
caso unico (finora) di cittadino straniero acclamato Presidente federale e seduto di
diritto nel Consiglio Nazionale dello sport Olimpico italiano.
Inaspettatamente scomparso due anni fa Park Sun Jae, l’eredità è passata al segreta-
rio generale che ha affiancato il maestro-presidente dalla fondazione. È ora Angelo
Cito, brillante manager, che fa parte della pattuglia dei relativamente giovani presi-
denti del nostro sport.
Cito ha poco più di 50 anni. Tanti quanti il “taekwondo made in Italy”. E la sua elezio-
ne alla presidenza federale, come successore del suo mentore, ha riscosso un con-
senso quasi totale, facendo registrare il voto a favore del 98 per cento degli elettori.
Dimostrando la vastissima condivisione della scelta nel solco della continuità.
Seppure il presidente Cito fa parte (anche) di una certa élite di manager, vanta un
prestigioso master in management e marketing dello sport dalle aule dell’Università
Bocconi di Milano e una laurea in Coaching in Sport ottenuta presso la Newport
Research University.
L’universo non troppo antico del taekwondo a livello olimpico è intessuto di novità e
di successi già incorniciati in casa Fita. A cominciare dalla possibilità di supportare le
decisioni arbitrali con le immagini televisive. Riducendo drasticamente errori e omis-
sioni nel giudizio di gara. Quest’ultima apertura tecnologica, applicata a uno sport di
ceppo antico si lega con la disponibilità del taekwondo all’Esport, quelle gare di com-
battimento virtuale che affascinano molto i giovani della generazioni della
“Nintendo life” e sollevano qualche perplessità nella tradizione agonistica del “full-
contact“.
Ma il taekwondo in stile italiano è abituato a farsi notare e a tenere la scena. Inserita
nei programmi ufficiali dei Giochi Olimpici da 18 anni, la Fita ha già salito i gradini del
podio a cinque cerchi. Dimostrando una certa reattività agonistica, in una disciplina
lontana dalle tradizioni sportive nazionali.
Inserito nei programmi olimpici come sport dimostrativo solo a Seul 1988, dopo una
certa anticamera a causa dei dubbi, soprattutto europei, sul pericolo di monopolio
asiatico sul taekwondo, è stato incluso come sport ufficiale ai Giochi di Sidney 2000 e
riconosciuto anche negli sport del Commonwealth britannico.
Secondo i dati della World Taekwondo, la Federazione Internazionale annovera come
paesi affiliati ben 214 paesi dove il taekwondo è praticato con 70 milioni di sportivi
di tutti i livelli.
Da parte sua il taekwondo italiano è salito già tre volte sul podio olimpico e in rapida
successione: con la medaglia d’argento di Mauro Sarmiento a Pechino 2008 che ha
fatto il bis con la medaglia di bronzo a Londra 2012, gli stessi Giochi Olimpici che
hanno messo in bacheca il risultato più ambito: la medaglia d’oro di Carlo Molfetta.
Sarmiento e Molfetta fanno parte dei quadri tecnici federali. A fianco del Direttore
tecnico Claudio Nolano.
Vediamo se il presidente Angelo Cito, cofondatore della Federazione italiana (Fita)
rivela qualcosa di più delle aspettative del nostro taekwondo.
Grande attesa per Tokio 2020. La sua prima Olimpiade da presidente federale.
Che regalo vorrebbe?
“Vorrei che il regalo fossi io a farlo, a tutto il movimento sportivo italiano riuscendo a
conquistare con i nostri giovani atleti la difficilissima qualificazione ai giochi di Tokio.
Tutti quanti stiamo lavorando intensamente affinchè questo possa diventare non solo
una speranza, un impegno, ma qualcosa di concreto.”
Qual è la grande o piccola eredità coreana? E quanto si differenzia
il taekwondo italiano dal ceppo asiatico di questo sport?
“La Corea ha avuto storicamente il grande merito nel credere in quelle che erano le
grandi potenzialità dell’arte marziale del taekwondo e nel suo evolversi fino a diventare
uno sport a tutti gli effetti. Una volta che il taekwondo si è affermato come disciplina
olimpica era inevitabile che divenisse patrimonio di tutti e come in ogni processo di glo-
balizzazione, se così possiamo dire, ogni Paese può emergere e primeggiare solo se è in
grado di mettere in campo il meglio delle proprie competenze e professionalità e noi
italiani abbiamo molto da offrire da questo punto di vista.”
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federazioniIltaekwondoparlaitalianoGianniBondiniScuoladelloSport,ConiServizis.p.a.,Roma
IntervistediSimoneCorbettaScuoladelloSport,ConiServizis.p.a.,Roma
2. er vincere sul campo occorre creare una squadra anche fuori, con un team leader che possa ispirarsi sempre allo sport
per costruire la propria squadra. È importante puntare su un sistema che sappia valorizzare dirigenti e manager sportivi
preparati da un punto di vista tecnico (marketing, finanza, impiantistica, ecc.), ma ancor di più che sappiano costruire e fare
squadra tra di loro. Questo è ciò che rende vincente il modello anglosassone e le eccellenze internazionali. In Italia siamo bravi,
ma proprio perché siamo anche ambiziosi possiamo fare di più.
Dino Ruta
Head Sport Knowledge Center e Direttore FIFA Master,
SDA Bocconi School of Management
Lo sport e i team manageriali
Come la squadra “fuori dal campo” lavora per quella “in campo”
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FOTOARCHIVIOFIP
3. abbisogno energetico e nutrizionale non sono variabili statistiche. Di conseguenza, anche l’alimentazione deve essere
periodizzata a seconda del ciclo di allenamento. È inoltre necessario personalizzare i vari regimi alimentari,
poiché il fabbisogno energetico e nutrizionale è influenzato non solo da volume e intensità degli allenamenti, ma anche
da fattori quali la composizione corporea, lesioni intervenute o stress. A seconda delle diverse discipline sportive, infatti,
gli obiettivi nutrizionali da raggiungere sono diversi. Mentre per gli sport di resistenza si deve fare attenzione a non apportare
energia insufficiente, per gli sport che sollecitano la forza veloce spesso si registra una riduzione del grasso corporeo
durante la fase di preparazione alla competizione. In questo articolo esamineremo la correlazione tra appetito e assorbimento
dei nutrienti e come sia possibile, modificando l’alimentazione, diminuire la massa grassa senza dover soffrire la fame
né inficiare la prestazione.
Alexandra Schek
Gestione del peso nello sport agonistico
Teoria e pratica
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FOTOARCHIVIOFGI–FILIPPOTOMASI
4. Woo-Hwi Yang, Oliver Heine, Marijke Grau
Università dello sport “Deutsche Sporthochschule” Colonia
Riduzione di peso rapida
negli sport da combattimento
Metodi e fattori di rischio
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FOTOARCHIVIOFIJILKAM
5. articolo presenta il disegno e l’applicazione empirica del progetto “Sport 4 Work”, sviluppato con l’obiettivo di verificare
l’esistenza di una correlazione tra l’attività fisica praticata autonomamente dai dipendenti e le loro prestazioni al lavoro.
Recenti ricerche di mercato e la letteratura accademica esistente, infatti, hanno sottolineato la rilevanza del tema, mostrando
empiricamente come l’attività fisica abbia effetti positivi sui lavoratori, spingendo le aziende ad investire in “wellness program”
per incentivare la pratica sportiva. Ciò che mancava, tuttavia, era uno strumento unico per valutare simultaneamente l’impatto
di diverse forme di attività fisica sulle performance lavorative individuali, collettive ed “emozionali”, oltre all’inclusione, come
forma di prestazione al lavoro, di una misura oggettiva di produttività (come i risultati di vendita raggiunti annualmente).
Obiettivo dello studio è stato quello di compensare queste lacune nella letteratura, sviluppando un progetto originale chiamato
“Sport 4 Work”: partendo da un unico questionario onnicomprensivo, il progetto è stato disegnato in modo da raccogliere
informazioni riguardo alle attività fisiche praticate dai dipendenti ed ai loro risultati lavorativi individuali, collettivi ed emozionali.
Per ottenere le prime evidenze statistiche, il questionario è stato presentato ad un campione di 72 venditori all’interno
di un’azienda attiva nella produzione di attrezzature sportive, sviluppando per ogni forma di risultato aziendale
(variabile “dipendente”) un modello di regressione multipla: questo ha permesso di verificare quale forma di attività fisica
(variabile “indipendente”) avesse un effetto statisticamente significativo su ciascuna performance al lavoro.
L’analisi empirica ha dimostrato l’esistenza di una relazione rilevante sui risultati collettivi/di team (positivamente impattati
dall’attività fisica moderata e da bassi livelli di sedentarietà) e sui benefici “emozionali” (in quanto la partecipazione ad eventi
sportivi live tende a ridurre l’ansia al lavoro e ad accrescere la soddisfazione verso quest’ultimo); le correlazioni coi risultati
lavorativi individuali, invece, sono risultate più deboli. Il progetto è stato infine concluso con un sintetico piano d’azione,
finalizzato a proporre all’azienda analizzata linee di intervento specifiche secondo le conclusioni statistiche ottenute.
Simone Genna
Università Commerciale Luigi Bocconi
L’impatto dell’attività fisica sui risultati al lavoro
Disegno ed applicazione empirica del progetto “Sport 4 Work”
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6. autore parte dalla classificazione delle capacità motorie, dove colloca la flessibilità. La definizione della capacità
di flessibilità viene confrontata anche con le altre definizioni correnti. Viene analizzata l’importanza delle flessibilità
nella prestazione tenendo conto degli aspetti negativi in caso di una sua carenza o sviluppo non ottimale, vengono approfondite
anche le componenti della sua regolazione e i fattori che la limitano, sia strutturali che nervosi. Viene proposta una sintesi,
basata sull’analisi della letteratura più rilevante, dell’evoluzione delle tendenze, da quella iniziale fino all’avvento dello stretching
e le più interessanti revisioni critiche. Nella parte conclusiva vengono analizzate, in modo sintetico, le questioni legate all’età
e al genere, insieme alle indicazioni che riguardano la prevenzione degli infortuni, la qualità del recupero e la prestazione.
Alla fine si raccomanda di sviluppare la flessibilità non in modo unilaterale, ma in modo integrato in un programma di lavoro
a lungo termine, impedendone la regressione e mantenendo il giusto livello di sviluppo.
Renato Manno
Scuola dello Sport, Coni Servizi s.p.a., Roma
La mobilità articolare
Basi teoriche e metodologiche
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a qualche anno è diventato palese il riscontro che il livello motorio dei fanciulli italiani sia peggiorato.
Questa constatazione è innegabile ma sarebbe un errore collocare tale peggioramento anche sotto i livelli dei coetanei
europei. Oltre seicento fanciulli in età scolare (scuola primaria; 6-11 anni) sono stati liberamente coinvolti in questo studio per
verificare se il livello di performance fisica dei nostri giovani studenti sia realmente inferiore se paragonato a quello dei giovani
di altri Stati. I dati indicano, ovviamente, differenze significative tra livelli ottenuti dai maschi rispetto alle femmine
(soprattutto dopo i 10 anni) ma non permettono di rilevare gap importanti rispetto alle altre nazioni europee. Quindi se è vero
che i giovani stanno diventando sempre meno performanti rispetto a soli 10 anni fa, possiamo valutare di essere in un trend
comune che ingloba molti Paesi diversi per economia, sviluppo, territorio e tradizione. Questi dati impongono dunque
riflessioni sulle strategie di intervento per la diffusione delle diverse discipline sportive in ambito giovanile.
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Nicola Lovecchio Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano
Matteo Gerenzani Scuola di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano
Matteo Giuriato Dipartimento di Scienze Umane, Università degli Studi di Verona
Antonio La Torre Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano
Livello motorio durante la fanciullezza
Analisi e comparazione con dati europei
FOTO ARCHIVIO FIGC
8. SDS-SCUOLA DELLO SPORT 116
Questo articolo è basato in gran parte sugli studi di Jean Côté, psicologo dello sport che
insegna alla Queen’s University di Kingston, Ontario in Canada ed ha l’obiettivo di descrive-
re un modello di sviluppo per le attività sportive giovanili denominato Developmental
Model of Sport Participation (DMSP – Modello di Sviluppo della Partecipazione
Sportiva).
Tale modello mira a sviluppare i tre obiettivi individuati da Côté come fondamentali per
ogni programma di attività giovanile: la prestazione, la partecipazione e lo sviluppo perso-
nale, indicati dalla sigla 3P (in inglese, performance, participation e personal development).
Tali obiettivi sono quelli che molti sistemi relativi allo sport giovanile si prefissano. Infatti le
organizzazioni sportive dei diversi paesi cercano di strutturare lo sport in maniera tale da
favorire contemporaneamente il raggiungimento sia dell’eccellenza che di una maggiore
pratica sportiva. Per meglio illustrare questa sfida, occorre considerare la cosiddetta “prati-
ca deliberata”, cioè un’attività importante per il miglioramento della performance, ma
anche vissuta come meno divertente e meno motivante rispetto alle altre attività sportive,
come il gioco.
Quindi, le organizzazioni sportive spesso devono affrontare la sfida di decidere quali atti-
vità intendano enfatizzare (ad es. una specializzazione precoce diretta allo sviluppo del
talento o una diversificazione delle attività mirata ad incrementare la partecipazione alla
pratica sportiva).
RUBRICASDS-SCUOLADELLOSPORT/XXXVII/116
a cura di
Claudio Mantovani Scuola dello Sport, Coni Servizi s.p.a., Roma
Maria Luisa Madella Centro Documentazione Sportiva di Siracusa
La pratica sportiva nei giovani:
come conciliare prestazione,
partecipazione e sviluppo personale
Il modello DMSP
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FOTOARCHIVIOFIDAL–COLOMBO
9. e caratteristiche antropometriche di base (altezza, peso, BMI), sono state osservate tramite un’indagine conoscitiva
nella Scuola Primaria di cinque macroaree della Regione Basilicata. Lo studio ha coinvolto 69 classi della IV e 65 classi
della V ed è stato effettuato su un campione totale di 2431 alunni, di cui 1245 maschi e 1186 femmine, così rappresentati:
alunni delle IV classi n° 1285 di cui maschi 670 e femmine 615; alunni delle V classi n° 1146 di cui maschi 575 e femmine
571. L’analisi dei dati è stata fatta tenendo in considerazione le tabelle dell’International Obesity Task Force (IOTF) correlate alla
probabilità che un ragazzo (età media di 9,5 e di 10,5 anni) con un dato BMI, diventi un adulto soprappeso o obeso. Con questo
studio possiamo indicativamente sostenere che 5 maschi su 10 (47,9%) e 4 femmine su 10 (41,0%) hanno problemi di peso.
Tali dati denotano un’elevata casistica di superare i 25-30 kg/m2
e di essere soprobesi in età adulta. In Basilicata, l’analisi dei
dati orientativamente ci informa che su 110mila bambini circa 49mila presentano un quadro allarmante di soprobesità. La vera
arma è e rimane la prevenzione. Solo attraverso l’adozione di una profilassi adeguata, che conduce ad uno stile di vita attivo
mediante esercitazioni fisico-sportive mirate per fasce d’età, si snodano le tappe dell’intero processo per impedire l’insorgenza
o la riacutizzazione di questa pandemica malattia, che nel mondo ogni anno provoca la morte di circa 3,5 milioni di persone.
Vincenzo D’Onofrio
Scuola Regionale dello Sport del Coni di Basilicata, Scuola Nazionale Fijlkam
Simone Di Zio
Università degli studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara
Analisi del fattore predittivo:
monitoraggio del soprappeso nei ragazzi
delle classi IV e V della Scuola Primaria
Il caso della Regione Basilicata
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