TIC, identità e narrazione: cosa succede a scuola?
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TIC, identità e narrazione: cosa succede a scuola?
Di Giorgio Jannis
Ecco lo schema classico di una storia: un Re promette metà del regno a chi gli
riporterà la figlia rapita da un Drago. L'Eroe parte, e probabilmente subirà una
prima sconfitta; ritiratosi depresso nel bosco, incontrerà una Strega che
inizialmente sembrerà nemica, ma una volta rotto un qualche incantesimo l'Eroe
riceverà da quest'ultima putacaso tre pietre magiche che lo aiuteranno a superare
la prova decisiva dello scontro con il Drago, e quindi diventerà Principe, con tanto di
nozze regali e happy ending.
Ognuno di noi è un Eroe: onorando un contratto con la Società, uccidendo il drago
dell'anarchia e dell'anomia, diventando cittadini con diritti&doveri, riceviamo in
cambio uno status sociale riconosciuto, l’accesso legittimo a fonti economiche in
cambio di prestazioni lavorative, la sicurezza di poter vivere e crescere dei figli in
un ambiente ripulito da passatori e tagliagole. Ma come Cittadini, dobbiam venir
educati a vivere in società, dobbiam superare dei riti di passaggio capaci di sancire
la nostra competenza.
Gli stati nazionali, da Napoleone in poi, hanno compreso l'importanza
dell’Educazione formale laica e hanno deputato la Scuola ad essere il Luogo ufficiale
dell'acculturazione dell'individuo, al fine di costruire funzionalisticamente un
Cittadino adeguato: bisogna conseguentemente qui intendere la Scuola come
l'Aiutante della nostra storia, colei che viene socialmente incaricata di fornire
competenze (cognitive e performative, saper-fare e poter-fare) all'Eroe.
Ma nel particolare, qual è il programma narrativo della Scuola? Leggendo a sua
volta l'Aiutante come un Eroe, vediamo come anch'essa abbia bisogno di acquisire
competenze specifiche per portare a termine il proprio compito educativo, abbia la
necessità per esempio di sorreggere le proprie scelte metodologiche e
contenutistiche sulla base di teorie pedagogiche aggiornate, nonché di trovarsi nelle
condizioni materiali (edifici scolastici adeguati, editoria specializzata, sussidi
didattici, organizzazione del tempo, risorse umane) per poter svolgere la propria
attività formativa in modo ottimale, al fine di ri-consegnare alla Società un
quattordicenne dalla personalità armonica, in grado di comprendere sé stesso e di
relazionarsi agli altri in modo eticamente responsabile, di rappresentare i fenomeni
e capire i processi del mondo naturale e costruito in cui vive, capace di operare
scelte autonome nel progettare il proprio futuro (obiettivi tratti dai testi ministeriali
di una qualsiasi riforma scolastica degli ultimi quindici anni).
A sua volta (questa storia è piena di streghe), la Tecnologia in classe rappresenta
appunto uno degli Aiutanti di cui la Scuola si avvale per rendere più efficace
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l'acculturazione degli alunni, sostenendo l'apprendimento con sussidi didattici
tecnologici quali innanzitutto la scrittura, e quindi i libri e le lavagne peraltro oggetti
ora interattivi e connessi, le mappe geografiche oggidì satellitari, i videoregistratori
e infine il computer connesso, quale strumento che racchiude in sé quasi tutte le
potenzialità del produrre e distribuire informazione in modo multimediale.
L'introduzione innovativa di strumenti tecnologici in classe non è un atteggiamento
tipico solo di questi ultimi anni: a partire dalla fine dell'Ottocento la pedagogia
comprende infatti l'importanza (senza dubbio su impulso di necessità legate al
mondo del lavoro) di provvedere ai discenti una formazione basata su attività
manipolatorie concrete da svolgere dentro aule/laboratori allestiti come officine
meccaniche oppure come atelier di tessitura, quale maggior garanzia per un
apprendimento significativo (learning by doing) di competenze professionali;
particolarmente interessante per i ragionamenti sulle Tecnologie dell’Informazione e
della Comunicazione risulta la posizione di Célestin Freinet, il quale nella prima
metà del Novecento introduce le macchine tipografiche a scuola, insieme a precise
indicazioni su come moltiplicare gli scambi a distanza con altre realtà scolastiche, in
una concezione comunitaria e collaborativa degli ambienti formativi.
Tuttavia, anche se la Scuola ha portato in classe le novità tecnologiche che il
Novecento ha via via sviluppato nel campo dei massmedia, quali la stampa e la
radio, il cinema e la televisione e infine il computer e Internet, in realtà non ha mai
saputo seriamente sollevare a dignità educativa una riflessione sulle implicazioni
psicologiche e sociologiche di questi strumenti di comunicazione, ponendo quindi
una seria Media Education al centro delle proprie attività didattiche.
La consapevolezza che molti valori esistenziali, molti atteggiamenti cognitivi
affettivi ed etici, la gran parte delle informazioni e delle opinioni pubbliche sul senso
della realtà sociale vengano oggi percepiti e vissuti in modo mediato (il gioco di
parole è notoriamente calzante), e che la nostra stessa identità personale e
pubblica sia in qualche modo continuamente negoziata e narrata nello scambio
relazionale che intratteniamo con gli altri, con gli oggetti culturali e con gli
strumenti grazie a cui questi oggetti giungono a noi, risulta ormai diffusa seppur in
modo “ingenuo” presso la maggior parte della popolazione; eppure la Scuola nulla
fa per fornire grammatiche di lettura e strumenti critici in grado di mostrare la non-
trasparenza dei media, il loro essere narrazioni potenzialmente manipolatorie, la
falsità del loro pretendersi semplice “finestra sul mondo”.
La Tecnologia è un valore antropologico, e i valori vivono e si maneggiano da
sempre attraverso le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione: da tutti
questi ragionamenti sul carattere formativo degli strumenti di comunicazione di
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massa dovrebbero “naturalmente” discendere dei percorsi di innovazione didattica
in grado di coinvolgere tanto il curricolo (quindi una riflessione sul ruolo odierno
delle discipline tradizionali alla luce delle potenzialità trasversali offerte dalle TIC,
nonché sulle nuove aree di sapere che costituiscono le “discipline di scopo”,
dall’ecologia alle trasformazioni sociali, dall’intercultura alla cittadinanza anche
digitale, dalla Cultura Tecnologica alla salute pubblica), quanto soprattutto la
formazione dei docenti.
Questi ultimi andrebbero rapidamente aggiornati dal punto di vista professionale
innanzitutto secondo una considerazione attuale della Società della Conoscenza nel
paradigma dell'Abitanza digitale e della Scuola Connessa, poi edotti sulle dimensioni
comunicative e relazionali degli ambienti di apprendimento sia in presenza sia a
distanza, visto che la sinonimia tra classe e aula comincia a perdere validità, e
infine resi consapevoli dei meccanismi psicologici di sintesi tra esperienza del
mondo e formazione dei concetti e delle idee, acquisendo stabilmente nella
didattica - proprio per ottimizzare l'insegnamento - l'utilizzo di competenze e
conoscenze apprese dagli allievi in àmbiti extrascolastici, ponendo l'accento sulla
transdisciplinarietà, comprendendo l'apprendimento significativo come
massimamente garantito dalla narrazione (osservazione, analisi, manipolazione,
problematizzazione, riprogettazione, allestimento discorsivo multimediale) che
l'allievo compie a sé stesso e agli altri delle nozioni apprese, nel ri-giocare la realtà,
ad esempio attraverso un uso intelligente dei blog scolastici.
Purché il blog di classe sia visto come pratica espressiva formativa relazionale e
quindi identitaria, Luogo dell'Abitare della scuola sul web, e non solo come un
sussidio didattico. Purché le TIC tutte e il web stesso siano percepiti e vissuti come
ambienti formativi, e non solo come strumento informatico. L'utilizzo stesso della
parola “informatica”, a meno che non si tratti effettivamente di scrivere codice in
linguaggi di programmazione come negli istituti tecnici, pone l'oggetto computer e il
web a scuola dentro una cornice interpretativa fuorviante. Nominare le attività con
il computer come informatica ha portato per lunghi anni, e tuttora accade, a
concepire l'informatica stessa come disciplina curricolare, cosicché oggi nelle scuole
medie dopo l'ora di italiano c'è l'ora di “informatica”, che poi consiste nell'andare in
laboratorio multimediale e usare programmi di videoscrittura o di presentazioni
(quasi sempre programmi commerciali, nonostante precise indicazioni ministeriali
per approcci OpenSource nelle Pubbliche Amministrazioni) oppure navigare un po' a
caso sulla Rete, disattendendo completamente la funzione trasversale delle
tecnologie TIC rispetto ai curricoli scolastici, nonché ignorando le tematiche etiche
soggiacenti ad una ormai impellente Educazione alla Cittadinanza digitale.
Cosa dicono attualmente le indicazioni del Ministero della Pubblica Istruzione
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riguardo le competenze sulle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione
che gli allievi dovrebbero possedere al termine della scuola di base? Secondo i
programmi d'aula, un quattordicenne “è in grado di usare le nuove tecnologie e i
linguaggi multimediali per sviluppare il proprio lavoro in più discipline, per
presentarne i risultati e anche per potenziare le proprie capacità comunicative.
Utilizza strumenti informatici e di comunicazione in situazioni significative di gioco e
di relazione con gli altri. È in grado di usare le nuove tecnologie e i linguaggi
multimediali per supportare il proprio lavoro, avanzare ipotesi e validarle, per
autovalutarsi e per presentare i risultati del lavoro. Ricerca informazioni e è in
grado di selezionarle e di sintetizzarle, sviluppa le proprie idee utilizzando le TIC e è
in grado di condividerle con gli altri. Conosce l’utilizzo della rete sia per la ricerca
che per lo scambio delle informazioni”.
Come si può vedere, nel contratto che la collettività mediante le indicazioni
ministeriali propone alla Scuola per educare le nuove generazioni, esistono chiari e
condivisibili riferimenti a degli obiettivi di qualità e di modernità; la però scuola
risulta inadeguata a portare a termine il proprio compito.
Vi è forse una mancanza di competenza performativa nella scuola, nel suo poter-
fare?
In Friuli Venezia Giulia, secondo statistiche disponibili sul sito dell'Ufficio Scolastico
Regionale, escluse le Scuole dell'Infanzia (dove i ragionamenti sul computer in
classe trovano altro significato) il 90% delle scuole è provvisto di un laboratorio
multimediale, e il 40% delle Primarie sono connesse in ADSL, il 60% delle scuole
medie, l'85% delle scuole superiori. Dal punto di vista della connettività, la
situazione non è rosea, e probabilmente in altre regioni italiane le statistiche sono
ancor meno confortanti, nonostante siano ormai passati dieci anni dai primi seri
piani nazionali di informatizzazione scolastica, sia dal punto di vista della dotazione
tecnologica sia da quello dell'aggiornamento professionale dei docenti.
Vi è forse una mancanza nel saper-fare? C'è forse in questa storia un problema di
competenze, qualche incantesimo o qualche antagonista che impedisce all'Eroe-
Scuola di comprendere la tecnologia TIC come Aiutante nel portare a compimento
la propria missione formativa? Se l'obiettivo è preparare i giovani ad essere
consapevolmente e responsabilmente Cittadini di un mondo tecnologico e
mediatico, perché la Scuola si avvale poco delle tecnologie TIC per il proprio
insegnamento, né pone riflessivamente attenzione a una lettura critica di quelle
stesse tecnologie (educazione ai media, non solo educazione con i media) grazie a
cui entriamo in contatto con il mondo, così determinanti nel forgiare la nostra
identità?
L'ostacolo principale potrebbe essere costituito dalla stessa mentalità con cui
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storicamente la Scuola pensa sé stessa, dal proprio de-finirsi e voler trarre identità
dall'essere autonoma, per non dire avulsa e anacronistica, rispetto alle novità della
società attuale e alla modernità costituita dal sistema mediatico, sia dal punto di
vista dei contenuti didattici e delle metodologie d'insegnamento, sia da quello della
propria organizzazione interna in quanto “meccanismo” sociale deputato
formalmente all'Educazione anche in termini di Cittadinanza delle nuove generazioni
“digitali”.
Tutto questo riguarda senza dubbio il cambiamento che la società tutta sta
intraprendendo, per tentativi ed errori, nell'adeguare le proprie strutture all'Epoca
della Cultura Digitale, e sappiamo come il cambiamento tanto negli individui tanto
nelle organizzazioni lavorative, percepito come minaccia, provochi ansia e
conseguenti resistenze e difese, come irrigidimento delle “posture esistenziali” e
delle identità storicamente consolidate.
Certo, sono le persone ad animare le istituzioni, e senza tema di smentita le
innovazioni tecnologiche oggi a Scuola sono quasi ovunque promosse da singoli
individui, “missionari” ed “evangelisti” (neanche le TIC fossero cosa spirituale o
metafisica, e non concreto ambiente di crescita e di relazione interumana) che
spesso lottano contro l'incomprensione e la sottovalutazione del loro lavoro da
parte dei colleghi e dell'istituzione scolastica. Ma se il senso del discorso e della
narrazione dell'attore Scuola rimane imprigionato dentro una falsa coscienza di sé e
del proprio ruolo sociale, se le rivoluzioni tecnologiche come la nascita della rete
Internet non vengono recepite e metabolizzate dalla Scuola con il giusto rilievo
antropologico rispetto alla portata del cambiamento sociale di cui sono foriere, gli
insegnanti e i dirigenti scolastici non troveranno certo fuori di sé le spinte al
cambiamento, né troveranno dentro di sé motivazioni valide per innescare
ammodernamenti nel fare scuola.
Come il posizionamento dentro l'adeguata cornice interpretativa - ambiente di
apprendimento, non solo strumento didattico - conferisce senso formativo
all'utilizzo di un laboratorio multimediale scolastico o al singolo computer nella
pratiche di insegnamento, a sua volta una concezione ampia e innovativa della
Scuola come Luogo educativo osmoticamente attraversato da flussi concreti di
persone e idee provenienti dalla società “esterna” e dal territorio potrà donarle
quelle competenze che le sono necessarie per onorare il contratto con la collettività,
conferendole al contempo in tal modo un sentimento identitario rinnovato e
commisurato al contesto della sua azione in quanto legittimo Attore sociale. Perché
l'identità è sempre somma olistica dell'Io e della circostanza che lo contiene, e il
mondo è cambiato.
2008