1. Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa
HEALTH
aprile 2015 - N°6
in italia il 1° impianto di protesi di emibacino
in titanio con rivestimenti in tantalio.
Intervista esclusiva al Dottor Raimondo Piana.
Attenzione all’uso dei
dipositivi mobili
Il rilancio della sanità
integrativa
Ospedali classificati e
pubblici a confronto
Ridurre la caduta dei
capelli durante la
chemioterapia grazie
alla cuffia “Paxman”
bAMBINI
assistenza
sanità
salute e
innovazione
in esclusiva
2. Health Online
periodico bimestrale
di informazione sulla
Sanità Integrativa
Anno 2° - Aprile 2015 - N°6
Direttore responsabile
Ing. Roberto Anzanello
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Fabio Vitale
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N° 29 del 10 Marzo 2014
ImPaginazione e grafica
Giulia Riganelli
Tiratura 86.432 copie
Editoriale
a cura di Roberto Anzanello
Come è possibile approfondire anche in questo nostro
sesto numero di Health On Line abbiamo ormai una
forte consapevolezza che le evoluzioni tecnologiche
sono sempre più rapide e incisive ed il settore sanitario
è una delle frontiere avanzate di questa evoluzione.
Protesi in titanio, strumenti per diagnosi a distanza,
apparecchiature sempre più evolute, operazioni
chirurgiche estremamente complesse: nulla sembra
più impossibile tecnicamente in campo sanitario.
In un mondo che però si sviluppa fortemente da un
punto di vista tecnologico si continua ad osservare
la realtà ed ad organizzare l’operatività secondo i
consueti schemi, ormai obsoleti.
Ed in questo fatto risiede un grave errore di visione
strategica, errore che in campo sanitario comporta
costi elevati, disservizi, fallaci valutazioni.
Mi spiego con un esempio: se una qualsiasi
azienda di automazione sanitaria realizzasse una
apparecchiatura di nuova concezione per, ad
esempio, l’esame approfondito di una qualsiasi
patologia, sarebbe opportuno oltre che socialmente
corretto che tutti i cittadini che ne necessitassero
potessero usufruire della nuova strumentazione.
Questo fatto però comporterebbe che lo stato si
dotasse in una logica territoriale distribuita della
nuova apparecchiatura, il che vorrebbe dire che,
se fosse opportuno posizionarne una almeno per
provincia, lo stato dovrebbe acquisirne almeno un
centinaio con un investimento plurimilionario.
E non solo. Infatti si dovrebbero aggiungere a questo
investimento aziendale i costi di formazione del
personale sanitario utile a far funzionare la nuova
apparecchiatura, il costo dell’assistenza tecnica
per le riparazioni ed i controlli, i costi dei materiali
indispensabili al funzionamento, il costo degli spazi in
cui posizionare lo strumento.
Ma non solo. L’evoluzione tecnologica in corso
consente uno sviluppo tecnico costante che rende
obsoleto qualsiasi strumento in un lasso temporale
compreso tra i 3 ed i 5 anni, che significherebbe per
lo Stato dovere replicare l’investimento ed i costi
conseguenti circa ogni lustro.
E tutto questo magari per una sola patologia o per
una sola tipologia di esame diagnostico.
Questo breve e semplice esercizio matematico-
finanziario dimostra un fatto inconfutabile: oltre
all’invecchiamento della popolazione, oltre
all’ampliamento del diagnostica, oltre allo sviluppo
delle tecniche operatorie, anche l’evoluzione
tecnologica diviene un costo insopportabile in una
logica di stato assistenziale.
Quindi pensare che lo Stato possa coprire
integralmente i costi sanitari di una popolazione che
invecchia costantemente, di tecnologie sempre più
evolute, di personale medico sempre più aggiornato
è una strada che induce ad aspettative che non
potranno che essere disattese.
HEALTH
3. Ma allora tutto ciò significa che per qualcuno è
necessario ridurre le possibilità di cura od addirittura
rinunciarci?
Assolutamente no, anche questo sarebbe altrettanto
errato oltre che costituzionalmente incoerente e
socialmente ingiusto.
Semplicemente non dobbiamo più pensare al futuro
applicando le vecchie regole che prevedevano
che lo stato prelevasse dai redditi dei cittadini degli
importi da destinare alla copertura sanitaria per
renderla disponibile a tutti e gestisse direttamente la
diagnostica, la pratica e l’evoluzione delle cure.
In alternativa a questo modello in modo sempre più
continuo si discute su una soluzione che consenta la
privatizzazione di alcune e/o molte attività sanitarie.
Quindi è questa la soluzione?
Consentitemianchesuquestoaspettodiaveredeidubbi.
Sicuramente una gestione privatistica consentirebbe
maggiore efficienza, una forte riduzione degli
sprechi, un’ottimizzazione dei costi ma pone un limite
invalicabile: è possibile determinare il diritto alle cure
solo in una logica economica e di razionalizzazione?
Sicuramente no e ne è la dimostrazione la
sperequazione sociale sanitaria che si può osservare
in alcuni paesi che hanno già percorso questa strada
ove l’imprenditoria che gestisce privatamente le cure
sanitarie determina una discriminazione economica
in relazione al diritto alla salute.
Oppure è sufficiente pensare alle polizze assicurative
sanitarie, che gestiscono le necessità dei malati
fino a quando questi non sono un costo effettivo
determinato da un esborso per le cure superiore ai
premi incassati, e che, quindi, in questo caso molto
spesso “abbandonano” il malato.
Quindi se la soluzione di un’assistenza sanitaria
integralmente supportata dallo stato è impraticabile
e la soluzione alternativa di un’assistenza sanitaria
gestita privatisticamente è una strada socialmente
iniqua c’è una soluzione a questa problematica che
investe direttamente i diritti costituzionali di ognuno
di noi?
La soluzione c’è, anzi nel nostro paese che
sicuramente ha tanti difetti ma da un punto di
vista di visione sociale è sicuramente tutt’oggi
all’avanguardia, la soluzione è già stata ipotizzata,
impostata ed anche quasi integralmente
regolamentata.
La soluzione è quella della mutualità, diritto
incostituzionale inalienabile come disposto dai nostri
padri fondatori con una visione sociale persino
sorprendente.
Il percorso è quello fornito dalle cooperative sociali
che consentono in una logica mutualistica di fornire
servizi sanitari a costi ridotti con una diffusa presenza
territoriale in una logica di efficienze e risultato.
Se quell’apparecchiatura del nostro esempio iniziale
fosse acquisita dalle cooperative sociali presenti
su tutto il territorio nazionale, con investimenti che
non graverebbero sullo Stato, queste potrebbero
poi gestire coloro che ne hanno necessità a costi
convenzionati, come peraltro già fanno nel caso di
alcune forme di assistenza domiciliare, applicando
una gestione privatistica con un modello sociale
quale è appunto una cooperativa.
E tutto questo è già normato nel nostro ordinamento.
Ma allora i cittadini, anche se erogati dalle
cooperative sociali ed a costi convenzionati,
dovrebbero pagarsele di tasca propria quelle cure
di cui hanno diritto?
Sicuramente no, perché anche in questo caso la
soluzione già esiste ed è costituita dai Fondi Sanitari,
le Casse di Assistenza Sanitaria e le Società di Mutuo
Soccorso che il legislatore ha già previsto possano
fornire coperture sanitarie in una logica di mutualità
con anche dei coerenti vantaggi fiscali sia per le
imprese che per gli individui e che, ultimamente,
hanno visto ulteriormente rafforzata ed ampliata
la propria attività da un punto di vista giuridico e
legislativo, in coerenza con il diritto alla salute previsto
nella nostra Costituzione.
Quindi un cittadino può già oggi a costi basati sul
principio della mutualità acquisire una copertura
sanitaria per se e/o per i propri familiari tramite una
Società di Mutuo Soccorso, o, se appartenete a
determinatecategorieprofessionali,tramiteunFondo
Sanitario, od anche, se dipendente di un’azienda che
pensa alla salute dei propri dipendenti, tramite una
Cassa di Assistenza Sanitaria per vedersi rimborsare le
spese sanitarie sostenute.
Quindi un cittadino può già oggi gestire le proprie
cure in una logica privata (tempi rapidi, efficienza,
efficacia) con costi ridotti e queste strutture potrebbe
fornire servizi di livello adeguato utilizzando per
ricoveri, diagnostica ed assistenza , le cooperative
sociali che già operano, anche con strutture proprie.
Quindi un cittadino italiano già oggi può scegliere.
Certo è che questo percorso ormai legislativamente
consolidato e socialmente definito vede ancora tanti
detrattori, perché il corporativismo di parte finalizzato
a difendere l’interesse dichi desidererebbe non
modificare nulla è una costante nel nostro paese.
Ma per salvaguardare il diritto alla salute per tutti
è oggi importante far comprendere a chi desidera
mantenere lo status quo delle vecchie regole, che
il mondo cambia e le nuove tecnologie, anche e
soprattutto in campo sanitario, richiedono nuovi
modelli e nuove regole tralasciando i vecchi
corporativismi.
4. Sete o non sete, bevi 10
bicchieri d’acqua
Se fate fatica a bere
durante il giorno,
guardate il viso luminoso
e il fisico asciutto di
Bar Refaeli:
il suo segreto di bellezza
è bere tanta acqua.
Questo vi basterà a
convincervi che anche
voi potrete migliorare
il vostro aspetto con
un semplicissimo
accorgimento
“Donna moderna”
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sanguigno
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donare
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TUTTI
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TUTTI
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Crea un’atmosfera rilassante in camera tua. Se la
tua stanza è piena di fogli del lavoro, libri da
leggere, tabelle da rispettare e biancheria
sporca, sarà impossibile non pensare alle
cose che devi fare. Prenditi 15 minuti al giorno per
metterla in ordine e rendere così la tua camera da
letto un posto in cui non vedrai l’ora di rilassarti a fine
giornata.
“Huffington Post” - Ellen G. Goldman
Privilegiare prodotti integrali,
che contengono fibre. Queste
tipologie di alimenti presentano
un alto valore energetico e non
contengono elevate quantità di
grasso;
“ www.ilritrattodellasalute.org”
Soffrite di gastrite
acida?
Bevete il succo
di mezzo limone
al giorno diluito
con acqua.
Non fare esercizio
la sera. Faticare
aiuta il sonno, ma un
allenamento troppo
pesante la sera tardi
rischia di tenerti
sveglio. Tuttavia
una camminata
piacevole dopo
cena può essere
la giusta soluzione
per rilassare
corpo e mente.
“Huffington Post” -
Ellen G. Goldman
Meditare
migliora la
memoria e
l’apprendimento
e mantiene
giovani.
Health tips
Sapevi che...
5. ommar
18
22
27
Cancro al colon-retto: tutto quello che c’è
da sapere. L’importanza della prevenzione per
combattere la neoplasia
Tumore: la cuffia refrigerata “Paxman”
contrasta la caduta dei capelli causata
dagli effetti della chemioterapia
Sanità quanto mi costi? La realtà degli ospedali
classificati e le soluzioni a tariffe sociali
6
25
9
16
12
Bambini e salute:
attenzione all’uso eccessivo e prolungato dei
dispositivi mobili
La White Economy,
sviluppo o regresso?
Sanità integrativa:
scopriamo perché è necessaria
Assistenza alla salute: é ora di cambiare.
Con il rilancio della sanitá integrativa é possibile
impianto di protesi di emibacino in titanio con
rivestimenti in tantalio: l’Italia si aggiudica il primato in
campo internazionale.
Intervista esclusiva al Dott. Raimondo Piana
in esclusiva
10
Malati
“diversi”
6. 6
Bambini e salute:
attenzione all’uso
eccessivo e prolungato
dei dispositivi mobili
a cura di
Alessia Elem
Viviamo in un’epoca connessa 24 ore su 24, con
strumenti mobili di ultima generazione sempre a portata
di mano dei quali proprio non riusciamo a fare a meno.
La domanda è: quante volte vi è capitato di far
utilizzare, senza regole, questi dispositivi ai vostri figli
per comodità o per distrarli da capricci o dalla noia?
Lasciare i vostri figli in balia di questi strumenti è un
atteggiamento sbagliato e dannoso. Ad affermarlo è
una ricerca realizzata dalla Boston University School of
Medicine, che ha evidenziato che l’uso frequente dei
disposti mobili da parte dei bambini nei loro primi anni
di vita può danneggiare il loro sviluppo emotivo perché
riduce l’evoluzione delle competenze linguistiche e
sociali del bambino e sostituisce le interazioni umane
fondamentali per la crescita e la scoperta di ciò che li
circonda.Inoltreiricercatoriamericanihannodimostrato
che il touchscreen è uno strumento che porta ritardi
nell’apprendimento e i bambini al di sotto dei 30 mesi
di vita non imparano dalla televisione e dai videogiochi
quei comportamenti che invece apprenderebbero
nelle interazioni della vita reale.
Sulla base di questa analisi è stato calcolato che già
a 7 anni i bambini hanno trascorso un anno della
loro vita davanti a videogiochi e televisori, con una
dipendenza di almeno 6 ore giornaliere davanti agli
schermi e diverse conseguenze per la salute quali
obesità, colesterolo alto e ipertensione, disattenzione,
problemi di apprendimento, disturbi del sonno e
depressione.
Per evitare problemi di questo tipo occorre che i
genitori proibiscano o limitino l’utilizzo di smartphone
e tablet ai propri figli sin dai primi anni della loro vita.
Lasciareipiccoliinbaliadeidispositivicontouchscreen
potrebbe provocare addirittura ritardi nel linguaggio.
A rivelarlo è stato una ricerca condotta, un anno fa,
dai medici del Cohen Children Medical Center di New
York, i quali hanno esaminato i comportamenti di 65
coppie, con bambini di media sugli 11 mesi, molti dei
quali abituatu ad usare lo smartphone per mezz’ora al
giorno; dalla ricerca è emerso che le attività principali
per i piccoli erano “guardare show educativi” (30%),
usare app educazionali (26%), premere a caso lo
schermo (28%) e fare giochi non educativi (14%). Dalla
parte genitoriale il 60% si è detto convinto che l’uso
dei dispositivi, al posto di libri e giocattoli, produceva
un “beneficio nell’educazione” nei piccoli, ma i test
cognitivi hanno poi svelato che non c’era alcuna
differenza tra i bambini “tecnologici” e quelli che
invece non avevano utilizzato questi strumenti, anzi
nei piccoli che utilizzavano app non educative si è
notato un ritardo nello sviluppo del linguaggio.
Ma davvero c’è la convinzione che la tecnologia sia
in grado di incoraggiare l’apprendimento? E quanto
influisce sull’interazione con il genitore?
Health Online l’ha chiesto alla dottoressa Elisabetta
Scala, vice presidente del MOIGE, Movimento Italiano
Genitori Onlus.
Dottoressa Scala, perché c’è la tendenza per i piccoli
a sostituire con i dispositivi mobili i giochi tradizionali?
“I dispositivi tecnologici vengono probabilmente
considerati degli svaghi più silenziosi: il bambino
intento a toccare oggetti e a fare azioni interagendo
con un touchscreen è immerso nell’ambiente virtuale
ed estraniato dalla realtà, cosa che non accade
con i giochi tradizionali. Quasi tutti i dispositivi mobili
oggi permettono, inoltre, la visione di cartoni animati
e programmi per bambini che acquietano i piccoli
durante la visione”.
Qual è la responsabilità dei genitori in questo senso?
“I genitori devono sempre monitorare le attività dei figli
quando utilizzano i media digitali. Utilizzare smartphone
e tablet come baby-sitter a tempo non è la soluzione
giusta per aiutare nella crescita i nostri figli, soprattutto
7. 7
in età infantile. Se possibile privilegiamo sempre le
attività in compagnia e miglioriamo il nostro rapporto
con loro attraverso il gioco. Mamme e papà devono
sempre promuovere un uso moderato e consapevole
dei media digitali, preferendo alle attività solitarie, il
gusto dello stare insieme”.
C’è un’età giusta e un uso consapevole dei dispositivi?
Qual è il comportamento corretto che i genitori
dovrebbero adottare?
“I genitori devono essere i primi promotori dell’uso
responsabile delle nuove tecnologie, anche in
relazione all’età e alla attitudini dei figli. L’uso
consapevole di smartphone e tablet in età scolare
può rivelarsi un utile strumento per approfondire e
potenziare la didattica, ma non si può dire altrettanto
per i bambini al di sotto dei 30 mesi. La mancanza di
consapevolezza nell’uso di questi dispositivi, ne riduce
drasticamente il potenziale educativo ed espone i
piccolissimi ad una fruizione sbagliata, che i genitori
devono limitare il più possibile.”
Come Moige qual è il vostro consiglio?
Consigliamo ai genitori di apprezzare le potenzialità
dei giochi tradizionali, perché aiutano i bambini
a conoscere sempre meglio attraverso i 5 sensi.
Giocando, i piccoli prendono confidenza con la
spazialità e con il movimento imparando ad orientarsi
nel mondo che li circonda. Smartphone e tablet sono
strumenti dalle enormi potenzialità didattiche, che
possono essere sfruttate appieno, con il supporto attivo
di genitori e insegnanti, quando i bambini entreranno
nella fase dell’apprendimento scolare”.
Alla luce dei fatti sembra però che l’uso di questi
dispositivi sia quasi diventato indispensabile per i
bambini e la maggioranza dei genitori è convinta
che il loro figlio più è in grado di interagire con questi
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CASSA MUTUA
La forza di un sistema mutualistico è determinata dalla consapevolezza che la
contribuzione di ogni singolo Socio produrrà un vantaggio comune a tutti, senza
arricchire soggetti terzi che si limitano a calcolare il rischio e, di fatto, a scommettere
sulla nostra salute, peraltro a fine di lucro.
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8. 8
di interazione con i coetanei si riducono, diminuendo
così la possibilità di sperimentare e sviluppare abilità
sociali e di problem solving, come l’empatia, le
capacità di autoregolarsi che di solito si apprendono
durante il gioco di gruppo e il confronto tra bambini.”
C’è un’età giusta per far interagire i bambini con
questi dispositivi di ultima generazione?
“L’American Academy of Pediatrics non ne
raccomanda l’utilizzo al di sotto dei 2 anni, ma a livello
scientifico non ci sono ancora dati sufficienti che
ne dimostrino il rischio dal punto di vista cognitivo e
psicologico. Come tutti gli strumenti possono avere sia un
effetto positivo che negativo a seconda del loro utilizzo.
Di solito ai genitori viene raccomandato di usarli insieme
al bambino, di interagire e commentare il più possibile le
attività che stanno svolgendo per mediarne l’utilizzo.
Io all’interno dell’Unità Operativa Complessa di
Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù di Roma coordino un
equipe che si occupa della valutazione e terapia dei
bambini con disturbi di apprendimento, utilizzando
anche dispositivi di ultima generazione per favorire,
con la brain stimulation, abilità come la lettura in
bambini dislessici. Molti dispositivi mobili possono
quindi essere impiegati per la terapia di bambini con
difficoltà cognitive e risultare un valido strumento per
favorire le loro capacità”.
In conclusione, sì all’uso dei dispositivi mobili, ma con
moderazione, per un tempo limitato nell’arco della
giornata,eincompagniadeigenitorichecondividono
e spiegano ai figli i giochi interattivi ed educativi.
In questo articolo, Health Online come giornale di
riferimento per la Sanità Integrativa, ha voluto far
chiarezza sull’argomento, ascoltando due voci
autorevoli che quotidianamente lavorano al fianco
dei bambini e delle loro famiglie.
Non dimentichiamo che “La salute è il primo dovere
della vita”(O.W.) e salvaguardare quella dei più
piccoli è un dovere ancora più importante.
strumenti con facilità e dimestichezza e più viene
considerato un “piccolo genio”.
Per il Moige, che è un’organizzazione che agisce per la
tuteladeidirittideigenitoriedeiminoriinogniaspettodella
loro vita, sociale, economica, culturale e ambientale, è
un atteggiamento sbagliato quello di lasciare i figli alle
prese con smartphone e tablet senza dare delle regole
ed è necessario un uso responsabile dei dispositivi mobili
da parte dei genitori che deve essere correlato all’età
dei figli per aiutarli nelle loro fasi di crescita.
L’alternativa, quindi, potrebbe essere quella di
trovare delle applicazioni adatte ad ogni fascia di
età e utilizzarle insieme ai piccoli ma solo per poco
tempo nell’arco della giornata perché l’uso scorretto,
soprattutto da parte dei bebè, degli strumenti
elettronici potrebbe causare anche dei problemi allo
sviluppo dell’apprendimento e del linguaggio.
Per saperne di più, Health Online ha intervistato
la dottoressa Deny Menghini psicologa dell’ Unità
Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile
dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di
Roma diretta dal professor Stefano Vicari, la quale
ha spiegato quali sono i possibili rischi per la salute
dei bambini che utilizzano in modo frequente e
prolungato i dispositivi mobili che ormai sono diventati
parte integrante delle famiglie italiane.
“Il punto è proprio valutare per quanto tempo e in che
modo vengono utilizzati i dispositivi mobili - ha detto
la dottoressa Menghini - Lo smartphone di per sé è
uno strumento che può essere, a seconda di come e
quanto viene utilizzato, sia positivo che negativo. Gli
studi scientifici affermano che questi dispositivi devono
essere usati in maniera interattiva con i genitori perché
hanno delle potenzialità elevate di favorire abilità
cognitive, ma possono essere anche dannosi se il
bambino viene assorbito completamente da giochi
generici, riducendo i giochi con i coetanei, i contatti
con gli altri bambini e le attività di manipolazione.
Altra cosa invece è l’uso moderato, per alcuni minuti al
giorno,ededucativodiquestistrumentichepotrebbero
anche aiutare nello sviluppo di competenze come
il linguaggio, le abilità visuo-spaziali, l’attenzione e la
memoria, grazie a delle App di giochi creativi mirati
condivisi sempre con il genitore.”
Spesso ci capita di vedere dei bambini isolati dal
mondo circostante perché impegnati a giocare con
i cellulari dei genitori. L’uso frequente e prolungato
può portare a danni psicologici?
“Quando lo strumento mobile rientra nella routine
quotidiana e assorbe il bambino a lungo, le occasioni
9. 9
sono sì le lunghe attese, ma anche la qualità delle
prestazioni stesse, per cui l’assistenza integrativa si
prospetta sempre più come soluzione necessaria e
alternativa.
Le assicurazioni private offrono una pletora di
possibilità e prodotti validi per sopperire al bisogno
di un servizio adeguato, ma sono ancora legate a
criteri di selezione rigidi e a volte discriminatori per
gli assicurandi, oltre ad avere costi spesso proibitivi.
Meglio fanno le società di mutuo soccorso, come ad
esempio Mutua Basis Assistance (MBA), leader nel
settore delle mutue che cerca di attivare meccanismi
di sicurezza per ridurre i costi e migliorare i tempi di
accesso a prestazioni e servizi, incentrando il proprio
operato sulla prevenzione.
Peraltro, trattandosi di una mutua, non si parla
di assicurati ma di associati, non di premi ma di
contributi associativi, come tali detraibili dall’imposta
in base all’art 15 T.U.I.R. per i privati, deducibili per
i datori di lavoro che li versano a favore dei propri
dipendenti.
Il Sistema Sanitario Nazionale è oggi più che mai
instabile e distante da essere pilastro fondamentale,
come dovrebbe, del concetto di welfare: il debito è
passato rapidamente dai 70 miliardi nel 2000 agli oltre
112 nel 2012 e nonostante i continui interventi delle
singole regioni, questo dato è destinato a rimanere
invariato o ad aumentare ancora.
La spesa pro-capite per ogni cittadino è di 617 euro
annue, di cui solo 77 sostenute da assicurazioni o
casse private, inoltre sono a carico delle famiglie
quasi il 22% del totale delle spese relative all’alta
diagnostica ed il 57% delle visite specialistiche.
Il panorama globale italiano va oltremodo
peggiorando, con tagli nel settore sempre più
consistenti ed un’anzianità in forte crescita, seconda
in questa classifica solo alla Germania.
Il contesto appena delineato non lascia certo ben
sperare e gli italiani, consci e preoccupati dell’onere
economico che dovranno affrontare specialmente
in età avanzata, stanno perdendo fiducia verso il SSN
con non riesce più ad offrire un servizio adeguato: i
tempi medi di attesa per un intervento ortopedico
raggiungono i 2 anni e quasi la metà degli apparecchi
elettro-medicali hanno un’età media di 10 anni.
Unavalidasoluzioneèdatasicuramentedall’assistenza
sanitaria integrativa e gli italiani sembrano lentamente
prenderne coscienza, infatti sebbene solo il 17% di
essi ne usufruisca, secondo un’indagine condotta da
Eurisko in occasione dell’Osservatorio Assidim 2014,
quasi la metà la considera il benefit principale che
si possa ricevere in azienda ed in generale mette la
salute come priorità nella vita.
A dispetto della crisi economica, infatti, per un terzo
della popolazione deve sussistere la garanzia del
diritto alla cura, anche se le conoscenze specifiche
sull’argomento sono ancora labili e quasi metà
del campione intervistato non si rivolge al proprio
datore di lavoro per la sottoscrizione della copertura
integrativa.
Pur non essendo bocciato in toto, il Sistema Sanitario
Nazionale, presenta evidenti lacune rispetto alla
mole di lavoro e i principali motivi di insoddisfazione
Sanità integrativa:
scopriamo perché
è necessaria
a cura di
Alessandro Brigato
32%
15%
7%
46%
Preferenze Benefit Aziendali
Sanità integrativa
Buoni spesa
Auto
Convenzioni commerciali
10. 10
a cura di
Lucrezia Anzanello
Malattia non significa sempre un’alterazione dello
statuto di salute fisica del soggetto.
Spesso soggetti che ci appaiono fisicamente
“normali” e in possesso di buona salute, soffrono di
una diversa patologia.
Si tratta di disturbi di tipo mentale che colpiscono
la sfera affettiva, comportamentale e relazionale
di un soggetto con diversi gradi di importanza il cui
culmine massimo è rappresentato proprio dalla
malattia mentale.
La malattia mentale altro non è che una alterazione
psicologica della personalità del soggetto a cui non
viene garantito un normale sviluppo psichico.
I malati mentali sono, da sempre, ritenuti soggetti
pericolosi che, come tali, necessitano di essere
allontanati dalla normalità.
Una delle prime leggi italiane ad occuparsi della
questione delle malattie mentali è la Legge Giolitti
(Legge n. 36 del 14 febbraio 1904) laddove si ufficializza
la funzione di servizio pubblico della psichiatria e viene
sancito questo inossidabile legame tra la malattia
mentale e la pericolosità del soggetto.
La Legge Giolitti ha così legittimato l’istituzione di case
di cura comunemente denominate “manicomi” in cui
i soggetti affetti da una malattia mentale venivano
effettivamente rinchiusi e definitivamente allontanati
dalla normalità della vita quotidiana.
Nell’epoca fascista, i manicomi iniziarono ad assumere
sempre di più le sembianze di veri e propri ospedali
psichiatriciincui,moltospesso,imalatisonostaticostretti
a vivere in condizioni degradanti e ad subire trattamenti
curativi decisamente invasivi (si
pensi all’elettrostimolazione).
Cosa accadeva realmente
all’interno degli ospedali
psichiatrici, però, non era dato
saperlo.
L’opinione pubblica ha
iniziato ad interessarsi al tema
della malattia mentale ed alle
condizioni in cui si trovavano
i malati solamente negli anni
sessanta grazie all’opera di
Franco Basaglia.
Franco Basaglia credeva
fortemente nella necessità di
chiudere i manicomi ed arrivò
addirittura a fondare il partito
Psichiatria Democratica, il cui
documento programmatico si proponeva proprio
di portare avanti una battaglia contro i manicomi,
ritenuti luoghi dove “l’esclusione trova la sua
espressione paradigmatica più evidente e violenta,
rappresentando insieme la garanzia di concretezza al
riprodursi dei meccanismi di emarginazione sociale”.
A seguito dell’attività di Franco Basaglia, anche il
legislatore italiano ha iniziato a ritenere opportuno
intervenire sul tema. Dapprima, con la riforma
avviata dall’allora ministro della sanità Luigi Mariotti
e poi con la Legge Basaglia (Legge n. 180 del 13
maggio 1978).
La Legge Basaglia ha sostituito al trattamento
psichiatrico mediante ricovero in manicomio il cd.
TSO (trattamento sanitario obbligatorio).
La Legge prescrive che il TSO debba prestarsi in
condizioni di degenza ospedaliera (e quindi con il
ricovero del malato) solo qualora “esistano alterazioni
psichiche tali da richiedere urgenti interventi
terapeutici” e purché non vi siano le circostanze che
consentano l’adozione di “tempestive ed idonee
misure sanitarie extra ospedaliere”.
I malati mentali tornano così finalmente ad essere
considerati dei “semplici” malati e non, per citare
Basaglia, un “malato, povero, diseredato che privo
di forza contrattuale, cade definitivamente in balia
dell’istituto deputato a controllarlo”.
Dopo la Legge Basaglia, sul tema della sanità mentale
è intervenuto anche il primo Governo Berlusconi che,
tramite la Legge Finanziaria del 1994, ha decretato la
chiusura definitiva dei manicomi.
Malati “diversi”
11. 11
Ma dopo cosa è successo?
I manicomi esistenti sono stati principalmente sostituiti
da centri di salute mentali e strutture semiresidenziali
deputate alla cura delle malattie mentali e non solo.
Le Regioni hanno recentemente idealizzato appositi
programmi per la realizzazione di strutture extra
ospedaliere per il superamento degli ospedali
psichiatrici; programmi che sono specificatamente
approvati dal Ministero della Salute.
Di recente approvazione (28 gennaio
2015) è il programma della regione
Friuli Venezia Giulia che prevede la
realizzazione di due strutture sanitarie
di accoglienza e di una struttura
residenziale con la collaborazione
del Ministero dell’economia e delle
finanze.
La finalità del programma del Friuli
Venezia Giulia è quella di garantire
esperienze di trattamento assertivo
di comunità in un’ottica proattiva
di servizi tentando di rendere più
agevole il reinserimento nella società
dei soggetti precedentemente
ricoverati presso gli ospedali
psichiatrici.
Il tentativo è sicuramente ammirevole e la strada
intrapresa per il definitivo superamento degli
ospedali psichiatrici sembra essere quella corretta,
ma, affinché il cammino possa ritenersi davvero
concluso, all’appello mancano ancora i programmi
di Trentino Alto Adige, Veneto e Sicilia.
Coopsalute è una cooperativa di
servizi socio-educativi-assistenziali-
sanitari di qualità, direttamente a
casa o comunque sempre vicini alle
esigenze della persona, volti a fornire
una pronta risposta ai bisogni scaturiti
da particolari condizioni di disagio e
fragilità legati alla salute.
L’aumentato divario tra le risorse
disponibilielacrescitadellarichiestadi
prestazioni e trattamenti da parte dei
cittadini, ha ridimensionato la capacità
del servizio pubblico di rispondere
alle reali attese di benessere e salute
sociale.
Coopsalute ha l’obiettivo di colmare
tali lacune e ha come punto di forza
quello di avvalersi di una capillare
rete di professionisti del settore
e di disporre di una vasta gamma di
servizi, mediante la collaborazione
con Cooperative Sociali, Società di
Mutuo Soccorso, Casse di Assistenza
Sanitaria, Associazioni di Categoria,
Compagnie di Assicurazione.
Il primo network italiano dedicato all'assistenza
domiciliare e a tutti quei servizi pensati e
costruiti intorno alle esigenze dell'utente.
aderente A
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Coopsalute Soc. Coop.
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Centrale Cooperativa
(riservato agli Assistiti)
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info e ufficio convenzioni
12. 12
Oltre a sostenere il nostro corpo, le ossa sono un
indispensabile aiuto per la protezione degli organi
vitali, come il cranio per il cervello o lo sterno e la
gabbia toracica per cuore e polmoni.
L’osso nelle articolazioni è coperto dalla cartilagine,
tessuto altamente specializzato, liscio e con alta
capacità di resistere al carico, che ci permette di
compiere i movimenti articolari senza attrito.
Le ossa sono costituite da cellule vitali che lavorano
in un delicato equilibrio, quando il tessuto osseo
invecchia viene riassorbito dagli osteoclasti e le zone
di riassorbimento vengono, per così dire, sostituite
con osso nuovo grazie agli osteoblasti.
Da qualsiasi cellula di cui è costituito l’osso può
originare, purtroppo, un tumore. Tra quelli maligni il
più diffuso è sicuramente l’Osteosarcoma.
Si tratta di un tumore particolarmente aggressivo con
una rapida diffusione ematica e si manifesta in età
pediatrica e adolescenziale, soprattutto nella fase
di massimo sviluppo osseo. Le zone più colpite sono
femore e braccio, ma anche il bacino e l’anca. I
sintomi principali sono il dolore e il gonfiore con varie
gradazioni a seconda di dov’è localizzato il tumore e
dalla sua grandezza. Spesso purtroppo questi tumori
impianto di protesi di
emibacino in titanio con
rivestimenti in tantalio:
l’Italia si aggiudica il primato
in campo internazionale.
Intervista esclusiva al Dottor Raimondo Piana.
a cura di
Nicoletta Mele
vengono scoperti casualmente da indagini eseguite
per altri motivi, ad esempio una radiografia eseguita a
seguito di un banale trauma. Sintomi quali una perdita
improvvisa di peso o un affaticamento possono
essere dei campanelli di allarme che dovranno essere
accompagnati da una visita specialistica.
L’iter diagnostico per questo tipo di tumore dell’osso
di solito è il seguente: generalmente si parte da una
semplice radiografia della parte del corpo dolente
o tumefatta che già consente di capire molte
caratteristiche del tumore con diagnosi quasi certa.
Il secondo step diagnostico prevede l’utilizzo di
apparecchiature più sofisticate quali la scintigrafia
ossea,laTacolarisonanzamagnetica,chesicuramente
aiutano a classificare meglio il tumore e soprattutto a
rilevare la presenza di metastasi a distanza.
Ad ogni modo, nonostante l’accuratezza di tutti
questi esami, la biopsia ossea resta l’unico esame che
permette di dare la diagnosi certa sul tipo di tumore e
sul suo stadio di maturazione.
Qual è l’incidenza in Italia?
I dati a disposizione dichiarano che ogni anno in Italia
si verificano circa 350 nuovi casi di tumori primitivi
dell’osso con un’incidenza pari a circa 1 caso su 100
mila. La percentuale degli osteosarcomi si aggira
intorno al 20/25% di tutti i tumori maligni.
Negli ultimi anni questa patologia è quella che ha
di più tratto beneficio dai trattamenti integrati,
permettendo così una sopravvivenza da meno del
20% a più del 60%.
Essendo una patologia rara richiede un approccio
multidisciplinare con il coinvolgimento di diverse figure
di specialisti che operano presso i centri di eccellenza
oncologici, come ad esempio l’azienda ospedaliera
dell’Università della Città della Salute di Torino che in
questi giorni è stata al centro della cronaca perché
ha raggiunto un grande traguardo riuscendo in
un’impresa unica, la prima al mondo: l’impianto di
13. 13
una protesi di emibacino “custom made” (costruita su
misura) fatta di titanio e tantalio in grado di integrarsi e
fondersi molto bene con l’osso umano.
Il paziente, un giovane di 18 anni, da un anno affetto
da osteosarcoma al bacino e considerato da tutti
inoperabile. Nel pieno della sua giovinezza cercava
di combattere questo brutto male sottoponendosi a
cicli di chemioterapia, rispondendo anche piuttosto
bene a tale cura, presso il reparto di oncoemotologia
dell’ospedale Regina Margherita diretto dalla
dottoressa Franca Fagioli. La chemioterapia
sembrava essere l’unica soluzione. Fortunatamente
per non è stato così perché i chirurghi ortopedici
dell’ospedale Cto di Torino hanno chiesto la
collaborazione di un’equipe americana per la
costruzione di una protesi ricreata su misura per il
paziente, grazie all’ acquisizione delle immagini TAC.
Lastrutturautilizzataèintitanioconrivestimentiintantalio,
materiale che ha un’ottima capacità di integrarsi
solidamente con l’osso residuo del giovane paziente.
Il lungo e delicato intervento, primo e unico al mondo
nel suo genere, è durato 12 ore nel totale, compresa la
fase di preparazione, che ha visto la collaborazione di
diverse unità dell’ospedale Cto di Torino.
La prima fase, quella anestesiologica è stata seguita
dal dottor Maurizio Berardino, Direttore di Anestesia
e Rianimazione del centro. Successivamente il team
guidato dal dottor Raimondo Piana, Responsabile del
Reparto di Oncologia Ortopedica ha proceduto alla
rimozione dell’emibacino destro e dell’anca dove era
localizzato l’osteosarcoma e l’equipe del professor
Alessandro Massè, Direttore della Clinica Universitaria
Ortopedica ha disposto l’impianto della protesi.
A distanza di qualche giorno dall’intervento, il dottor
Piana, ha rilasciato a Mutua Basis Assistance, Società
di Mutuo Soccorso abbonata a Health Online,
un’intervista esclusiva per spiegare com’è nata l’idea
della protesi e la sua realizzazione. Dato l’interesse
dell’intervista, Mutua MBA concede la pubblicazione
della stessa in esclusiva e
per la prima volta, proprio
su Health Online:
“Innanzitutto ci tengo a
precisare che l’intervento
tecnicamente è durato
circa 7 ore - ha dichiarato
il dottor Piana - e non 12
come ho letto sui giornali,
le12oresonostateiltempo
totale dell’intervento che
comprende anche tutta la fase di preparazione. La
novità non è stata l’intervento in sé perché già in
passato abbiamo eseguito dei trapianti di emibacino
utilizzando le ossa di un donatore, ma la costruzione
di una protesi con rivestimenti in tantalio e lo studio
e il lavoro di squadra che ha coinvolto anche
ingegneri di una ditta americana che materialmente
hanno costruito la struttura. Ci siamo confrontati in
video conferenza per una valutazione più attenta
possibile nonostante la lontananza. Da parte nostra
abbiamo analizzato come resecare l’emibacino
malato attraverso la tac tridimensionale e abbiamo
poi inviato il progetto agli ingegneri americani che
si sono impegnati, seguendo le nostre indicazioni,
alla costruzione della protesi. Inoltre abbiamo fatto
rivestire tutti i punti di contatto della protesi con
l’osso ricevente con del tantalio in modo da poter
ottenere la migliore integrazione/fusione possibile.
Abbiamo calcolato precisamente dove far passare
le viti che solidarizzano la protesi con l’osso in modo
da dare il maggior supporto possibile al processo
biologico di integrazione. L’altra novità è stata
quella di far predisporre sulla protesi dei fori dedicati
dove abbiamo inserito i tendini dei muscoli che si
inseriscono nel bacino”.
In passato sono stati effettuati trapianti di bacino
utilizzando le ossa di banca, cioè di un donatore. La
novità e l’innovazione di questo intervento è stata
la costruzione di una protesi ad hoc. Ci spiega qual
è la differenza e quali sono i vantaggi delle leghe
utilizzate?
“Le ossa di banca del donatore non avranno mai
le dimensioni precise del ricevente, non essendo
vascolarizzate negli anni tendono a riassorbirsi, invece
queste leghe sono molto porose a maglie larghe e
si fondono nell’organismo come se fossero un osso
nuovo. L’innovazione di queste leghe sono il presente
e il futuro per la costruzione di protesi come quella
utilizzata da noi, quello su cui puntare è proprio lo
sviluppo dell’utilizzo del materiale perché, come
già spiegato, si fonde con l’osso umano. Noi non ci
fermiamo, andiamo avanti, per arrivare a raggiungere
altri risultati, tenendo sempre i piedi per terra per
evitare di creare false speranze.”
Dottor Piana, cosa ha provato in quei momenti?
“La sensazione che ho avuto è stata quella di avercela
fatta, grazie alla collaborazione di un grande gruppo
di lavoro che ha creduto fino in fondo nella riuscita
e dell’intervento. È stato un meraviglioso lavoro
di equipe, abbiamo anche utilizzato una tecnica
un’esclusiva
di Mutua basis assistance
14. 14
complicanze e il ragazzo già la mattina stessa
dell’intervento è stato estubato e svegliato. Tra
qualche giorno verrà dimesso e tornerà tra 40 giorni
per le prime valutazioni funzionali e verificheremo
come l’osso si è integrato nella protesi. La novità
è stata la tipologia dell’impianto e una chirurgia
eseguita da un team completo. Il mio consiglio è
quello di rivolgersi sempre a dei centri specializzati
che mettono a disposizione del paziente un’equipe.
Il risultato raggiunto è frutto di un lavoro che parte
da lontano. Questo tipo di chirurgia italiana è
un’eccellenza internazionale in campo oncologico,
è nata con il professor Rizzoli e grazie ai suoi
insegnamenti molti chirurghi italiani sono riusciti
a portare avanti una chirurgia oncologica di alta
rilevanza internazionale”.
L’intervento è riuscito non ha lasciato nessun deficit
e il ragazzo è stato salvato grazie ad un gran lavoro
di squadra da parte di tutta la Città della Salute di
Torino. L’auspicio è quello che il giovane, nel tempo,
abbia la possibilità di tornare ad una vita normale e
noi gli facciamo i migliori auguri.
innovativa per la riduzione del sanguinamento. La
cosa più importante in quei momenti era la stabilità
del paziente, siamo contenti di com’è andato
l’intervento e siamo ottimisti, ma solo tra 40 giorni
quando vedrò il ragazzo in piedi le saprò dire quali
sono stati i primi risultati. L’osteosarcoma è una
patologia molto grave e oggi con questo intervento
innovativo il giovane paziente tendenzialmente è
libero da malattie, non presenta lesioni, ma dovrà
fare controlli per almeno i prossimi 10 anni. Ci
auspichiamo che abbia una buona deambulazione
con il ritorno ad attività quotidiana normale, questa è
la nostra scommessa, qualsiasi ulteriore risultato è solo
a vantaggio del paziente”.
“Un gran lavoro di squadra” come ha voluto
sottolineare anche il Professor Alessandro Massè,
Direttore della Clinica Universitaria ortopedica CTO,
che ha collaborato alla riuscita dell’intervento.
“L’intervento fortunatamente non ha avuto intoppi
- ha detto il professor Massè - c’è stato un grande
lavoro di preparazione anestesiologica per ridurre
al minimo il sanguinamento. Ad oggi non ci sono
15. 15
Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia
Nessuna distinzione di età
Sussidi per Single o Nucleo famigliare
Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR)
Nessuna disdetta all’associato
Durata del rapporto associativo illimitata
Soci e non “numeri”
perché abbiamo scelto mba?
rimborso inteventi
home test
alta diagnostica
assistenza rimborso ticket
conservazione cellule staminali
visite specialistichesussidi per tutti check up
MBA si pone come “supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario
Nazionale.
L’innovazione dei Sussidi che mette a disposizione dei propri associati identifica da
sempre MBA come una vera “Sanità Integrativa” volta a migliorare la qualità di vita
degli aderenti.
Società Generale di Mutuo Soccorso Basis Assistance
Tel. +39 06 90198060 - Fax +39 06 61568364
www.mbamutua.org - info@mbamutua.org
16. 16
Assistenza alla salute:
è ora di cambiare.
Con il rilancio della sanità
integrativa é possibile.
a cura di
Alessia Elem
Negli ultimi anni, la crisi dello stato sociale e i tagli alla
spesa pubblica hanno provocato una diminuzione
degli investimenti destinati alla sanità pubblica,
generando così un’insufficienza di erogazione di
servizi e prestazioni per i cittadini.
Tra questi, in pole position, si collocano le lunghe e
innumerevoli liste di attesa per la prenotazione di
visite specialistiche e per interventi chirurgici.
Quanto tempo dobbiamo aspettare per una visita o
un intervento? Per un esame cardiologico, come eco-
cardiogramma ed elettro-cardiogramma, in media,
sono 9 mesi di attesa; si accorciano, ma di poco,
per la visita cardiologica: 7 mesi! La visita oculistica
è quella che ha tempi più rapidi, solo 5 mesi. Ma
questi tempi di accesso sono brevi se confrontati con
quelli per gli interventi chirurgici perché per operarsi
all’ernia discale o per una protesi al ginocchio, c’è
una “coda” di 2 anni.
Con oltre 24mila segnalazioni da parte dei cittadini,
la17esima edizione del Rapporto Pit Salute ha
evidenziato che è pari al 58,5% la percentuale di
cittadini che reclama questa mancanza, di questa
il 34,1% per esami diagnostici, il 31,4% per visite
specialistiche e il 27,1% per interventi chirurgici.
La conseguenza è la rinuncia a curarsi. Secondo
l’Ultimo Rapporto Annuale Istat, infatti, è il 32,4% a
desistere dalle cure mediche proprio a causa dei
difficili e prolungati tempi di accesso.
Non è tutto. A questo va aggiunto un altro fattore
importante:l’incremento della popolazione anziana.
In Italia, l’età media per gli uomini è di 79,6 e 84,4 per
le donne, siamo i secondi al mondo per longevità,
preceduti solo dal Giappone, mentre da un punto
di vista territoriale è il Nord la zona dove si registra il
maggior aumento dell’aspettativa di vita.
La popolazione anziana è quella più soggetta
ai problemi di salute, con una buona fascia di
ultrasettantacinquenni che soffre di patologie
croniche gravi, come diabete, tumori, Alzheimer e
demenza senile.
Ecco qualche dato. Sono il 36% gli uomini di età
compresatrai65ei69anniasoffrirediquestepatologie,
mentre gli ultra 75enni sono il 57%. Leggermente più
bassa è la percentuale delle donne per le stesse fasce
di età: oltre i 75 anni il 51% mentre tra i 65-69 anni è il
28%, un -8% rispetto agli uomini. (Fonte Istat).
L’aumento delle spese sanitarie con i costi dei
ticket, non più sostenibili per le tasche degli
italiani, rappresentano un altro problema da non
sottovalutare. Per il Rapporto Pit Salute, l’aumento
del ticket si attesta intorno al 31,4% rispetto al 10,3%
del 2012 e il 50,4% della popolazione si esime dal
controllo sanitario proprio per gli eccessivi costi.
Facciamo due conti.
Quanto ha speso, in un anno,una famiglia per le
cure mediche? La risposta l’ha fornita il Tribunale
per i diritti del malato che, esaminando le numerose
segnalazionideicittadini,haevidenziatounoscenario
di questo tipo: 650 euro sono serviti per l’acquisto
di farmaci indispensabili non rimborsati dal Sistema
Sanitario Nazionale, circa 900 euro per comprare
i parafarmaci, 1070 euro per visite mediche, circa
7400 euro per strutture residenziali o semi-residenziali,
573 euro per protesi, circa 750 euro per strumenti
medici monouso e 9.082 euro per eventuali badanti.
Cifre che fanno riflettere parecchio.
17. 17
Tutta questa situazione sta portando, da un lato, a
un forte distacco degli italiani dal Sistema Sanitario
Nazionale e, dall’altro, ancor peggio, alla rinuncia di
una buona fetta della collettività alle cure mediche,
non solo per le difficoltà di accesso, come già
spiegato, ma per evitare di arrivare alla fine del
mese con le tasche vuote. Se proprio non se ne può
fare a meno si chiede un prestito. Ammesso che sia
concesso. Altro discorso e altra nota dolente. Il 22,4%
fa ricorso alla rateizzazione per supportare le cure
mediche necessarie. (fonte Eurispes)
L’ultimo rapporto annuale Istat evidenzia, infatti,
che il 50,4% rinuncia alle cure sanitarie a causa
delle difficoltà economiche, fanno parte di questa
categoria visite, interventi chirurgici e acquisto
di farmaci. Dal punto di vista
territoriale è il Mezzogiorno ad
astenersi con circa il 15%.
Il nostro Sistema Sanitario, sta
soffrendoelodimostraancheuna
classifica europea presentata di
recente a Bruxelles dall’Indice
europeo Health Consumer
(EHCI,sorta nel 2006 a opera
del centro svedese HCP che
registra l’andamento sanitario
di 37 paesi europei sulla base di
dati rilasciati dai consumatori)
. L’Italia quest’anno si colloca
al 21° posto, perdendo una
posizione rispetto lo scorso anno.
Sul podio con la medaglia d’oro
si colloca l’Olanda, seguita dalla
Svizzera, dalla Norvegia, dalla
Finlandia e dalla Danimarca.
A questo punto sorgono
spontanee delle domande: come assicurare servizi
e prestazioni adeguate con prezzi accessibili a tutte
le fasce sociali? Come garantire a pazienti con
patologie gravi terapie e farmaci costosi? C’è un
modo efficace, efficiente e immediato per porre fine
a questa situazione arrivata al capolinea?
La risposta è: sì, grazie al rilancio della Sanità
Integrativa. Le Istituzioni stanno pensando di attuare
azioni risolutive prendendo in seria considerazione il
decollo, mai avvenuto,della Sanità Integrativa intesa
come valido supporto al Sistema Sanitario Nazionale.
Arriveranno a breve nuove terapie immunologiche e
farmaci efficaci nonsolo perl’epatite C ma ancheper
combattere malattie come il Parkinson e l’Alzheimer,
ma molto costosi.“Questo è il vero grande problema
di tutti i sistemi sanitari avanzati”, dichiara il Ministro
della Salute Beatrice Lorenzin nel corso di un’intervista
rilasciata al quotidiano “La Stampa” -“sono in arrivo
nuove e costose terapie immunologiche contro il
Parkinson e l’Alzheimer. Per questo abbiamo avviato
un confronto con i ministri europei, ma anche con
Usa e Canada. Serve un’alleanza per contrattare
al meglio i prezzi, pur remunerando gli investimenti
in ricerca. Nel frattempo ho avviato un tavolo per
il rilancio della sanità integrativa che non è mai
decollata. Se dobbiamo assicurare cure importanti
e costose a tutti qualcosa di meno essenziale potrà
essere sostenuto da questa terza gamba”.
Gli italiani stanno iniziando a virare verso questa
direzione affidandosi a Casse Sanitarie, Fondi Sanitari
Integrativi e Società di Mutuo Soccorso che offrono
un sostegno considerevole al cittadino in termini di
facilità di accesso alle prestazioni e ai servizi.
“Le società di Mutuo Soccorso hanno una dinamicità
di attività che li permette di essere presenti su tutto
il territorio nazionale” afferma Luciano Dragonetti,
consigliere di MBA e presidente di A.NA.PRO.M. “la
presenza è fondamentale – continua Dragonetti –
anche perché consente di essere sempre attenti alle
più importanti esigenze dell’associato. Fare mutualità
è anche vivere la comunità”.
18. 18
Cancro al colon-retto:
tutto quello che c’è da
sapere. L’importanza
della prevenzione per
combattere la neoplasia
a cura di
Nicoletta Mele
Il cancro al colon è uno dei tumori più diagnosticati
in tutto il mondo e nei Paesi occidentali rappresenta
il terzo tumore maligno per incidenza e mortalità,
dopo quello della mammella nella donna e quello
del polmone nell’uomo, escludendo i carcinomi della
cute. Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa
40.000 nuovi casi di neoplasie colon-rettali. Negli ultimi
anni grazie all’informazione e alla diagnosi precoce
si è avuta una diminuzione del tasso di mortalità.
Il cancro al colon si sviluppa nella zona dell’apparato
digerente, il colon retto, in un periodo di tempo che
va dai 10 a i 15 anni. È una neoplasia lenta, subdola
e silenziosa perché spesso ai sintomi viene data poca
importanza o confusi con altri tipo di malattie della
zona digerente e questo porta alla conseguenza di
una diagnosi tardiva.
È importante, soprattutto dopo i 50 anni (il rischio di
ammalarsi sotto i 40 anni è abbastanza raro, mentre
risulta essere più frequente dopo 50-55 anni fino ad
un livello elevato oltre i 60 anni) recarsi dal medico
o dallo specialista per un controllo approfondito
quando si notano problemi digestivi, presenza di
sangue nelle feci (questo sintomo spesso viene
erroneamente correlato alla presenza di emorroidi)
o calo dell’appetito e perdita di peso.
I fattori che determinano il cancro al colon sono: stili
di vita non corretti, diete ad alto contenuto calorico
e scarse di fibre vegetali, pochissima attività fisica,
oltre ai fattori genetici.
Anche le malattie infiammatorie del colon, come il
Morbo di Crohn e la retto-colite ulcerosa sono altri
fattori che determinano la malattia.
La neoplasia al colon retto è considerata ereditaria
per il 5-10% e si manifesta sotto forma di “poliposi
adenomatosa familiare del colon”. In questo caso il
rischio di sviluppare un tumore del colon aumenta di
2 o 3 volte per chi ha parenti di primo grado affetti da
cancro o da polipi del grosso intestino dopo i 50 anni.
Mentre quando si ha la presenza di uno o più familiari
di primo grado con cancro colorettale diagnosticato
prima dei 50 anni, il rischio è da 4 a 6 volte superiore
18
19. 19
di sviluppare una neoplasia. Quando si è di fronte
a situazioni di questo tipo è consigliabile effettuare
prima dei 50 anni l’esame della colonscopia per
verificare la presenza o meno di polipi, cioè lesioni
pre-tumorali di origine benigna che, se individuati
e rimossi, arrestano lo sviluppo del tumore. Nello
specifico, per i figli, il controllo deve iniziare ad
un’età pari a 10 anni in meno di quella che aveva il
genitore quando gli è stato diagnosticato il tumore,
ad esempio se il genitore ha scoperto la neoplasia al
colon all’età di 43 anni, il figlio dovrà iniziare gli esami
di screening a 33 anni.
E proprio per sensibilizzare e informare il più possibile
sulla prevenzione del cancro al colon-retto che
l’AMOC Onlus - Associazione Malati Oncologici
Colon-Retto, associazione di volontariato nata nel
2006, realizza delle campagne come quella “Io
non rischio contro il tumore al colon-retto scelgo la
prevenzione, non aspetto!” messa in campo all’inizio
dell’anno mediante l’affissione di cartelloni vicino
alle maggiori stazioni metropolitane della capitale.
Il presidente dell’Associazione, la signora Isabella
Francisetti si ritiene molto soddisfatta dei risultati
ottenuti con questa iniziativa.
“Ho ricevuto moltissime telefonate e richieste e siamo
contenti del successo perché le persone hanno
capito il messaggio di familiarità che abbiamo voluto
dare. Ad oggi abbiamo terminato le disponibilità,
ma già stiamo pensando di riproporre un’iniziativa di
questo tipo per la fine di quest’anno o per l’inizio del
prossimo.”
Ci può spiegare quale sono le finalità della Onlus e
quali sono le vostre attività?
“L’AMOC è una Onlus con finalità esclusivamente
di utilità sociale quali la prevenzione, l’informazione
e supporto morale a favore dei pazienti colpiti da
tumore del colon-retto e loro familiari. Sono diversi i
volontari dell’AMOC impegnati e presenti ogni giorno
presso il Day Hospital Oncologico dell’ Istituto dei
tumori Regina Elena di Roma, a sostegno dei pazienti
e delle loro famiglie mediante azioni di supporto
pratico e morale, inoltre forniscono informazioni di
tipo amministrativo per coloro che intendono usufruire
delle disposizioni di legge esistenti a favore dei pazienti
oncologici. Organizziamo incontri a tema tra i pazienti
affetti da neoplasie del colon-retto, i loro familiari e gli
oncologi per il trattamento di questa patologia”.
Essendo questo tipo di tumore silenzioso e subdolo,
la prevenzione assume un’importanza fondamentale
per diagnosticare in tempo la neoplasia.
È stimato, infatti, che nel 25% dei casi il cancro al
colon viene diagnosticato in fase avanzata, insieme
alla presenza dei sintomi come maggiore debolezza,
dolori addominali o nella regione del fegato, una
febbricola nelle ore pomeridiane o dimagramento,
che inducono il paziente a sottoporsi a degli
accertamenti specifici.
Quali sono i segnali da tenere in considerazione per
identificare in tempo il cancro al colon? Lo spiega il
dottor Oscar Berretto, Direttore della Rete Oncologica
Regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta.
“Le cause principali che determinano il tumore al
colon-retto per il 90% sono dovute all’ambiente
e in particolare all’educazione alimentare, la
restante percentuale riguarda i fattori genetici. E
l’individuazione tempestiva del tumore al colon-
retto dipende dalla sede dell’intestino nella quale
si sviluppa. Se è la parte sinistra, quella bassa
dell’intestino, ad essere coinvolta i primi sintomi
che fanno scattare i campanelli di allarme sono i
cambiamenti delle abitudini dell’intestino e perdite
di sangue rosso vivo nelle feci. Mentre se è la parte
destra ad essere colpita i segnali sono la perdita di
appetito e dimagrimento,anemia cronica dovuta
alla mancanza di ferro a causa delle emorragie
nascoste, ma frequenti, nelle feci.”
Quali sono i principali esami di screening?
“Sono la ricerca del sangue occulto nelle feci (Sof)
e la rettosigmoidoscopia,un esame che si esegue
mediante l’utilizzo di uno strumento che permette di
esplorare le pareti degli ultimi due tratti dell’intestino,
il sigma e il retto, dove si sviluppa un’alta percentuale
di polipi e che se colpiti dal tumore sono più
problematici da trattare. L’esame consente non solo
di una diagnosi precoce, ma anche di asportare
eventuali polipi in sede ambulatoriale senza dover
ricorrere all’intervento chirurgico, interrompendo
così la loro evoluzione verso il cancro. Per un esame
ancor più approfondito c’è la colonscopia che
permette di guardare dall’interno il retto, il sigma e il
colon con un sottile strumento flessibile di lunghezza
variabile contenente una piccola telecamera che
passa attraverso il canale anale e grazie al quale
è possibile con le pinze da biopsie l’esportazione di
polipi e accertare che sia neoplasia”.
Qual è la terapia che viene applicata una volta
diagnosticato il tumore?
“L’esportazione chirurgica”.
E proprio grazie da una parte ad una maggiore
attenzione nei confronti della prevenzione e dall’altra
20. 20
Qual è il suo messaggio?
“Innanzitutto adottare delle abitudini alimentari
adeguate con un maggior apporto di frutta e
verdura e meno consumi di carni rosse e zuccheri di
rapido assorbimento, fare attività fisica perché essere
sedentari non aiuta. E poi partecipare agli esami di
screening che sono molto efficienti ed efficaci per
combattere questo male”.
Lei è il direttore della Rete Oncologica delle Regioni
Piemonte e Valle D’Aosta, quali sono le caratteristiche
di questa struttura?
“È una struttura dettagliata, sorta nel 2000, la prima in
Italia. Sono 4 anni che è stato creato un dipartimento
funzionale interaziendale che mette in relazione tutti
gli ospedali per costruire insieme le strade migliori da
adottare controllando la qualità delle prestazioni”.
In generale, quindi, per combattere i tumori le due
azioni principali sono: la prevenzione primaria, cioè
attraverso un corretto stile di vita e quella secondaria
con la diagnosi preventiva. I test di screening
consentono di diagnosticare una determinata
neoplasia in fase iniziale, l’adesione è del tutto
volontaria e sostenuta sia al livello nazionale che
internazionale.
ad avere a disposizione degli strumenti efficaci in
grado di diagnosticare in tempo il tumore che oggi
il tasso di mortalità è diminuito?
“Sì, rispetto a 30 anni fa su 10 persone malate di
cancro al colon retto, solo 3 riuscivano sopravvivere,
negli ultimi 5 anni invece la sopravvivenza è
migliorata, su 10 persone ne guariscono in media
6. La sopravvivenza a 5 anni è aumentata con
un’attesa di circa il 60% questo dato positivo è
dovuto, appunto, ad una maggiore tempestività
nella diagnosi e ad una maggiore efficacia dei
trattamenti”.
Qual è, secondo lei, il grado di cognizione da parte
delle persone rispetto al tumore e, di conseguenza,
all’attività di prevenzione?
“Secondo me la consapevolezza oggi è abbastanza
importante grazie anche all’informazione, ma il
passaggio dal pensiero all’atto non è purtroppo così
immediato perché sottoporsi ad esami di screening
come la rettosigmoidoscopia o la colonscopia
spaventa e vengono vissuti come un’invasione. In
più c’è da considerare tutta la fase di preparazione
voltaallapuliziadell’intestino,tuttiquesticomponenti
non aiutano e molte persone denunciano infatti un
certo disagio e dei dolori, soprattutto con un colon
contorto e con curve molto strette.”
21. Questo, come abbiamo detto, negli anni ha
determinato un cambiamento nella storia naturale
dei tumori soprattutto quelli alla mammella, alla
cervice uterina e al colon retto.
In Italia i programmi di screening attivati da parte
delle Regioni prevedono l’esame del sangue occulto
nelle feci ogni due anni per le donne e gli uomini tra i
50 e i 54 anni e una colonscopia tra i 58 e i 60 anni da
ripetere dopo 10 anni.
Le misure di prevenzione sono state adottate dalla
Regione Piemonte, che a fine anno scorso ha
festeggiato i 10 anni dell’iniziativa Prevenzione Serena
che prevede l’invito a tutta la popolazione residente
ad effettuare una sigmoidoscopia all’età di 58 anni.
Il programma di screening ha permesso in questi
anni di diagnosticare 1460 tumori: nel 70% dei casi
si trattava di lesioni in stadio iniziale (stadi I e II), con
una sopravvivenza a 5 anni variabile tra il 95% e
l’85% e caratterizzate da una elevata probabilità di
guarigione, ed il trattamento ha potuto essere limitato
alla sola escissione endoscopica nel 13% dei casi.
Soprattutto, grazie all’asportazione endoscopica
delle lesioni che possono dare origine ad un tumore
(gli adenomi del grosso intestino), l’attività del
programma di sigmoidoscopia permetterà, su un arco
di 15 anni dall’avvio del programma, di prevenire
l’insorgenza di circa 1500 casi di cancro colorettale.
Il trend determina un consistente risparmio sui costi del
trattamento per questi tumori, stimabile, al netto dei
costi di funzionamento del programma di screening,
in più di 4.000.000 di euro.
Le 1500 persone che non si ammaleranno di tumore
del colon eviteranno inoltre i disturbi e le sofferenze
legati alla terapia che sarebbe stata necessaria se il
tumore si fosse manifestato.
Il programma piemontese si caratterizza anche per
l’elevata qualità dell’attività di ricerca.
In particolare negli ultimi anni è stato completato uno
studio multicentrico di valutazione della colonscopia
virtuale come test di screening primario, che ha
coinvolto i dipartimenti di Torino, Biella e Novara, e
sono stati avviati a Torino due studi di valutazione di
tecnologie innovative: la video capsula del colon
ed una tecnologia endoscopica che garantisce
una visualizzazione molto più completa e quindi,
potenzialmente, una maggiore accuratezza
dell’esame, rispetto agli endoscopi in uso.
Prevenire il cancro al colon è possibile e ognuno
di noi è chiamato a sottoporsi a tutte le misure di
prevenzione necessarie perché, purtroppo, siamo
una popolazione predisposta a svilupparlo.
Direzione
operativa ed
organizzazione
Back Office
Consulenza mirata
per costituzione
o restyling
societario
Assistenza soci
dedicata ad hoc
con numero verde e
personale dedicato
Health Service
Provider con 1560
strutture sanitarie
sul territorio
Marketing
e strategie di
comunicazione
ai soci
Organizzazione
di convegni
nazionali
di settore
Formazione
personale interno
ed incaricati
al contatto
con i soci
Social Media
Strategist per una
comunicazione
al passo con i tempi
Consulenza
per compliance
e policy interna
Consulenza
giuridica
e fiscale
Operation
per la gestione dei
regolamenti
applicativi
Assistenza,
realizzazione
piattaforme,
siti web ed
aree intranet
Dati, studi
e ricerche
sul mondo
della Sanità
Integrativa
Ansi, Associazione Nazionale Sanità Integrativa,
nasce dalla volontà di alcuni primari fondi sanitari
di creare non solo un’associazione di categoria
“indipendente”,maancheuninterlocutorequalificato
che si renda portavoce attivo tra Istituzioni, Sistema
Sanitario Nazionale e Fondi Sanitari Integrativi.
ANSI vuole diventare il soggetto capace di
tutelare, aggregare e sostenere le diverse forme
mutualistiche operanti in Italia, che garantiscono
la salute di circa ¼ della popolazione italiana.
“Auspichiamoilbenessereelasalutepertuttii
cittadini,comedirittofondamentaledell’uomo
epatrimoniosocialedellacollettività”
www.sanitaintegrativa.org
segreteria@sanitaintegrativa.com
22. 22
Tumore:
la cuffia refrigerata “Paxman”
contrasta la caduta dei capelli
causata dagli effetti della
chemioterapia
a cura di
Alessia Elem
Secondo l’Associazione Italiana per la Ricerca sul
Cancro (AIRC), si stima che in Italia, ogni giorno si
manifestano 1000 nuovi casi di cancro e in un anno ci
sono 366.000 nuove diagnosi di neoplasie, escludendo
quelle della cute, che colpiscono circa 196.000 (54%)
di uomini e circa 169.000 (46%) di donne.
I cinque tumori più frequenti, fra gli uomini sono: il
tumore della prostata (20%), il tumore del polmone
(15%), il tumore del colon-retto (14%), il tumore della
vescica(10%)equellodellostomaco(5%),traledonne,
invece il tumore della mammella ha un’incidenza
maggiore, pari al 29%, segue il tumore del colon-retto
con il 14%, il tumore del polmone (6%), il tumore del
corpo dell’utero (5%) e quello della tiroide (5%).
Tra gli strumenti a disposizione per combattere il
tumore, c’è la chemioterapia che si serve di farmaci
citotossici, tossici per le cellule, che hanno la capacità
di bloccare la divisione delle cellule in rapida
replicazione, senza però distinguere tra cellule sane e
cellule malate, motivo per il quale le chemioterapie
hanno effetti collaterali su tutti i tessuti a rapido
ricambio, come le mucose, i capelli e il sangue.
La caduta dei capelli, soprattutto per le donne,
rappresenta un problema che va ad aggiungersi ad
una difficile convivenza con la malattia.
Sotto il profilo psicologico e nelle relazioni sociali cambia
la vita delle persone colpite dal tumore, perché la
maggior parte tende a chiudersi nel proprio mondo del
quale, a volte, possono farne parte solo pochi intimi
tenendo nascosta, il più possibile, la malattia.
Ma l’inevitabile caduta dei capelli, dovuta proprio
agli effetti della chemioterapia, è una situazione che
difficilmente, soprattutto la donna riesce a tollerare
iniziando anche a preoccuparsi di avere puntati
addosso gli occhi degli altri perché “Ora la gente
saprà che sono malata”.
Per ridurre al minimo questo disagio, dovuto ad un
cambiamento fisico da parte del paziente, alcune
strutture ospedaliere italiane da qualche anno
utilizzano una cuffia refrigerata, dal nome Paxman,
una vera e propria innovazione in campo medico
considerata ad oggi, l’unico strumento in grado di
contrastare la caduta dei capelli.
Il sistema Paxman, ideato in Gran Bretagna, dalla
famiglia di imprenditori Paxman, dalla quale prende il
nome, consente di contrastare nel 50-70% la caduta dei
capelli dovuta all’uso di alcuni farmaci chemioterapici.
Da cosa nasce l’idea?
La storia degli imprenditori Paxman inizia negli anni ‘50,
con l’invenzione di un sistema di raffreddamento per la
birra. La produzione dell’azienda, però, è destinata a
mutare radicalmente. La moglie del figlio del fondatore,
infatti, si ammala di tumore al seno. E il consorte Glenn,
aiutato dal padre, decide di investire tutta la propria
conoscenza nel campo dei sistemi di raffreddamento
per plasmarli e renderli utili ai malati di tumore che
devono sottoporsi alla chemioterapia. Stando vicino
alla moglie, Glenn si rende ben presto conto di quanto
sia difficile accettare la perdita dei capelli durante i
trattamenti chemioterapici. Un dolore che lui vuole
riuscire a evitare a chi soffre già per una malattia così
grave. La moglie diventa la prima donna a sperimentare
la ‘cuffia’, anche se su di lei lo strumento, ancora
‘primitivo’, non sortisce l’effetto sperato. Dopo alcuni
mesi la malattia, inesorabilmente, strappa a Glenn
l’amore della moglie per la quale ha tanto lottato.
Ma, ormai, la famiglia ha segnato la propria storia.
Dopo diversi studi, nel 1997, Paxman produce il primo
prototipo ufficiale della ‘cuffia’ che viene installata
presso la Huddersfield Royal Infirmary. Oggi Paxman è
l’unico produttore di questo tipo di tecnologia.
Il sistema in Gran Bretagna è usato in più di mille
strutture. In Europa sono molte le strutture ospedaliere
che si avvalgono della cuffia, mentre attualmente in
Italia, il sistema è utilizzato oltre che dall’ospedale di
Carpi, prima struttura a livello nazionale per numero
di pazienti reclutati (88 donne e 1 uomo), da quello di
Avellino e di Parma.
La ‘cuffia’ refrigerata Paxman dal mese di maggio del
2013, è stata messa a disposizione dei pazienti del reparto
di Oncologia dell’Ospedale di Carpi,grazie al contributo
(30 mila euro) dell’Associazione Malati Oncologici (AMO).
Dopo aver visitato due strutture pubbliche inglesi,
24. 24
un messaggio di speranza alle donne che stanno
vivendo lo stesso dolore che ha vissuto lei.
“Certo non è come andare dal parrucchiere – ha
raccontato Bianca – perché si sente molto freddo e
si prova una forte sensazione di costrizione. Durante
le prime sedute guardavo continuamente l’orologio
e non riuscivo a fare niente. Era come se dicessi a me
stessa: concentrati, funzionerà meglio.
Per fortuna ho incontrato persone straordinarie,
che mi hanno seguito passo dopo passo. Infermiere
preparatissime,comeEmilia,cheognivoltasapevano
regalarmi un sorriso, una parola di incoraggiamento.
Guardando indietro, oggi, mi sembra di aver intrapreso
un percorso di miglioramento prima di tutto interiore. E
se potessi parlare con le persone che si trovano a dover
affrontare malattie come questa, mi piacerebbe
ricordare loro una frase che ha pronunciato di recente
Emma Bonino, dopo aver detto pubblicamente di
avere un tumore: io non sono la mia malattia.
Quando ho scoperto di essere malata volevo tenere
nascosta la mia condizione di salute per non far
soffrire le persone a me più vicine. Un attimo dopo,
però, ricordo di aver pensato: perderò i capelli
e così tutti verranno a sapere che ho un tumore.
Non sapevo dell’esistenza della cuffia, è stata mia
sorella a cercare su internet, dopo che le venne in
mente Caro Diario di Nanni Moretti, un film dove il
protagonista mette una cuffia da pallanuoto in
freezer prima di fare chemioterapia.
Per certi aspetti, se possibile ho vissuto peggio questo
problema che non dover affrontare il percorso di
cura. Potrebbe sembrare un aspetto secondario della
malattia, ma non perdere i capelli, soprattutto per una
donna, è un aiuto importante per continuare a vivere
‘fuori’. Ti senti meno malata e non hai continuamente
paura dello sguardo degli altri. Fortunatamente sono
guarita ed è tempo di guardare avanti”.
il “Christies Hospital” a Manchester e l’ospedale di
Huddesfield,simileperdimensioniaquellocarpigiano,
l’equipe della Medicina Oncologica del Ramazzini,
diretta da Fabrizio Artioli con il coordinamento
infermieristico di Angela Righi e in collaborazione
con l’Associazione Malati Oncologici (AMO), hanno
deciso di acquistare una ‘cuffia’ Paxman.
Come funziona questo strumento innovativo?
Health Online ha contattato la struttura ospedaliera
di Carpi la quale ha spiegato il funzionamento della
cuffia Paxman e informato sui risultati del loro primo
bilancio di attività a distanza di quasi 2 anni fornendo
anche la testimonianza di una paziente.
Ilprincipioconilqualelarefrigerazioneriduceglieffetti
della perdita dei capelli era noto, ma il problema
era il mantenimento delle basse temperature, risolto
da questo nuovo tipo di dispositivo, che riesce a
trattare 2 pazienti per volta, per un totale di 4 al
giorno, mantenendo una temperatura fissa di -4°C
generando così una sensibile riduzione del flusso di
sangue ai follicoli piliferi e salvaguardandoli dalla
distruzione. In questo modo, si riesce ad evitare nel
50-70% dei casi la perdita dei capelli dovuta all’uso
di alcuni farmaci chemioterapici.
In passato queste cuffie erano costituite da una
gelatina che veniva raffreddata nel freezer, ma una
volta indossata dalla paziente perdeva velocemente
il suo effetto refrigerante. Aver ideato uno strumento
di questo tipo è stato un valido aiuto perché permette
al di ridare fiducia ai pazienti e dare loro uno stimolo
positivo nei confronti della terapia.
Ad oggi, il Day Hospital dell’ospedale Ramazzini,
diretto da Fabrizio Artioli, ha deciso di concentrare
il suo utilizzo sui tumori alla mammella, sia maschile
che femminile, perché la maggior parte dei farmaci
alopecizzanti sono contenuti nei trattamenti
chemioterapici propri di questo carcinoma.
Finora sono 89 i pazienti ‘reclutati’per utilizzare la
cuffia. Dai dati raccolti finora, il ‘Ramazzini’ ha
ottenutorisultatinonsolosovrapponibilimaaddirittura
migliori di quelli riscontrati in altri ospedali europei
dove è in uso la strumentazione. La percentuale di
successo del trattamento oscilla tra il 55 e il 62% dei
casi. Non è previsto nessun limite di età, ma la media
dei pazienti finora reclutati è di 53 anni.
Una delle 88 donne reclutate per utilizzare la cuffia è
Bianca (nome di fantasia), un’insegnante d’inglese
in una scuola media di Modena, di 48 anni che a
gennaio ha terminato il ciclo di chemioterapia
dopo che le era stato diagnosticato un tumore al
seno. Oggi, Bianca, ha voluto raccontare la sua
storia proprio per far conoscere a più persone
possibili i benefici della cuffia Paxman e per lanciare
25. 25
La così chiamata White Economy, non è altro che
il quadro complessivo dell’economia della salute
e dell’assistenza, ovvero le attività connesse con la
salute e il benessere della persona.
Chiarito questo quesito interpretativo che spesso
genera nei lettori una lieve confusione che distoglie
il focus dall’argomento, possiamo analizzare
cosa e come questa economia sta crescendo o
regredendo nel nostro paese.
L’integrazione di questo importante aspetto, resta
ancora nel 2015 uno degli obbiettivi fondamentali
da raggiungere, attraversando percorsi diversi,
ma che conducono allo stesso comune punto di
arrivo, cioè rendere il welfare più accessibile a tutti
utilizzando strumenti integrativi, alleggerire il SSN,
accrescere l’occupazione e le imprese della white
economy con impatti positivi e produttivi sull’intero
sistema economico nazionale.
è ormai assodato che il sistema sanitario pubblico
è sinonimo di grandi e lunghissime attese a fronte
di un ticket più basso, ad esempio per una visita
oculistica pubblica si spendono 30 euro in ticket per
74 giorni di attesa, cioè due mesi e mezzo, mentre
nel privato pagando 98 euro, si aspettano solo 7
giorni. La stessa situazione di ripropone su molti altri
settori specifici come le per visite cardiologiche, 40
euro il ticket e 51 giorni di attesa mentre nel privato
abbiamo 107 euro con 7 giorni di attesa, lo stesso per
visite ortopediche, ginecologiche, accertamenti
diagnostici e riabilitazione. In sintesi per accorciare i
tempi di attesa bisogna pagare di più.
Questa situazione evidenzia una grande disparità
tra prezzi e tempi di attesa, discriminando
automaticamente coloro che possono permettersi
le cure privatamente e coloro che non potrebbero,
costringendo molte famiglie a fare sacrifici per
arrivare in tempo su una questione delicata come
la propria salute.
Purtroppo l’approccio degli Italiani agli strumenti
di sanità integrativa continua ad essere molto
freddo e distaccato, a causa delle difficoltà che
si incontrano nel comprendere come tali strumenti
funzionino e come possano portare dei vantaggi.
Questo tipo di considerazione rende sempre
più complesso il raggiungimento dell’obbiettivo
comune, cioè creare una più forte integrazione tra
il welfare pubblico e welfare privato che oggi risulta
essere una delle poche soluzioni a disposizione per
ampliare i livelli di accesso alle cure e sopperire alla
grande domanda rimasta inevasa.
Il fattore più ostativo in assoluto per un approccio
più aperto alla sanità integrativa è sicuramente
quello economico: il 40% di coloro che non hanno e
che vorrebbero una copertura sanitaria integrativa,
ritiene che sarebbe troppo oneroso rispetto al
proprio reddito. Inoltre se si escludono coloro che
non possono accedervi, ad esempio per limiti di età,
la seconda ragione del mancato utilizzo della sanità
integrativa è la mancanza di fiducia in tali strumenti.
Sfortunatamente la diffidenza, conoscenza limitata,
costi elevati quindi alimentano il distacco che
c’è tra gli strumenti a disposizione e la domanda
contenuta degli stessi, è evidente quindi la necessità
di migliorare la comunicazione al fine di consentire
a tutti di valutare la possibilità o meno di utilizzare
questi preziosi strumenti.
Anche la crisi economica del paese contribuisce
ad allontanare i cittadini dalle cure, ormai divenute
quasi un lusso, e tendenzialmente posticipate fino
al campanello di urgenza o alla stretta necessità,
in ogni caso ricorrendo al settore privato che
garantisce un servizio senza la condizione di
un’attesa toppo lunga.
Ecco dunque il quadro completo che prospetta
diversi e molteplici obbiettivi per l’imminente futuro.
Diffondere una cultura più consapevole del welfare
integrativo, rendere più conosciuti e accessibili tali
strumenti, agevolare i prezzi per da modo ad una
fascia sempre più grande di richiedenti di usufruire
dei servizi integrativi di qualità che il nostro paese
può mettere a disposizione.
La White Economy,
sviluppo o regresso?
a cura di
Manuela Fabbretti
26. 26
Chi è
I 3 pilastri della sanità
Struttura e servizi
Winsalute nasce dalla volontà di avviare un Service Provider indipendente sul
mercato dell’assistenza sanitaria integrativa, che potesse offrire i propri servizi nei
rami malattia e infortuni a tutti i clienti del Gruppo e a terzi nell’attività di gestione
di tutti gli adempimenti amministrativi e liquidativi.
Attualmente si attesta come un punto di riferimento nel panorama dei Servizi di
Assistenza volti al settore della Sanità Integrativa, gestisce oltre 280.000 sinistri
annui garantendo 1.440.000 assistenze annue.
GestioneCentrale salute Network
- 2 call center
- Servizio SMS
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www.winsalute.it
info@winsalute.it
800 598 291
Numero Verde
800 511 311
27. 27
Perché ogni volta che c’è la necessità di fare sacrifici
economici a causa dei tagli alle Regioni, il settore
sanitario è il primo ad essere colpito?
È una domanda che negli ultimi anni ci poniamo
spesso soprattutto perché a farne le spese è proprio
il diritto alla salute del cittadino.
A farci riflettere ancor di più sono i dati che
evidenziano una situazione non proprio florida per il
nostro Paese con la nuova legge di stabilità che ha
sancito tagli alle regioni per 4 miliardi di euro.
Il rapporto “Noi Italia” 2015 dell’ISTAT, offre una
fotografia di come stanno andando le cose.
La spesa sanitaria italiana dal 2010 al 2013 è calata
del 2,8%. Nel 2012 risultava essere poco meno di
2.500 euro procapite, inferiore a quella dei maggiori
paesi europei, ammontando a circa 111 miliardi di
euro pari al 7% del PIL. Sempre nel 2012 le famiglie
italiane hanno contribuito con le proprie tasche alla
spesa sanitaria con una quota pari al 20,8%, in calo di
più di 2 punti percentuali rispetto al 2001.
La spesa sanitaria delle famiglie era nell’ordine
dell’1,8% del PIL nazionale. Per quanto riguarda
l’offerta dei posti letto da parte delle strutture
ospedaliere l’Italia, nel 2011, con 3,4 posti ogni mille
abitanti, si collocava al 23° gradino della classifica.
L’offerta di questi dipendeva dalle scelte di politica
sanitaria e dalle caratteristiche del nostro sistema
sanitario. Insomma, un quadro questo che evidenzia
che con i tagli al bilancio della Sanità degli ultimi
anni, la situazione in Italia è diventata sempre più
precaria. Secondo le stime delle Regioni, nel 2012
sono mancati complessivamente 3 miliardi di euro e
nel 2013 ben 5 miliardi e mezzo.
È notizia recente, inoltre, la discussione sull’ennesima
riduzione di finanziamenti per una cifra di 2,450
a cura di
Nicoletta Mele Sanità quanto mi costi?
La realtà degli ospedali
classificati e le soluzioni
a tariffe sociali
27
28. 28
miliardi di euro. Per l’ISTAT ci sono 210.406 posti letto
(quelli pubblici e quelli privati accreditati), dato
compatibile, secondo il nuovo regolamento, con una
popolazione di 70 milioni di persone (superiore quindi
ai 60,783 milioni, ultimo dato disponibile dell’ISTAT).
E i nuovi standard messi a punto dal Governo,
prevedono che i posti ospedalieri non possano
superare il 3,7 per mille, di cui il 3 per mille per gli acuti
e lo 0,7 per la lungo-degenza e la riabilitazione.
Questo potrebbe comportare ticket più cari, tagli al
personale medico e infermieristico e alla spesa per
macchinari e un’ ulteriore riduzione dei posti letto. Le
conseguenze di un sistema sempre più costretto a
stringere la cinta, da Nord a Sud del Paese, porta a
situazioni nelle quali i medici e i direttori sanitari sono
chiamati a prendere decisioni importanti davanti a
eventi delicati e di grande responsabilità, proprio per
salvaguardare la salute del cittadino.
Un esempio è quello che si è verificato qualche mese
fa in un noto ospedale pediatrico di Milano che ha
visto i medici dover prendere una decisione difficile:
accettare o meno il ricovero di un bambino affetto
da una grave malattia che avrebbe comportato
una spesa pari a circa 50 mila euro nonostante il
budget fosse già in rosso di 100 mila euro.
I medici hanno deciso per “alzata di mano” a favore
del ricovero e il bambino è stato curato. Ma di fronte
a una situazione del genere sorge spontanea una
domanda: è possibile che un medico, che dovrebbe
soltanto applicare il codice deontologico debba
soffermarsi a riflettere se la struttura ospedaliera per
la quale lavora è in grado o no di sostenere le spese e
le cure necessarie per un ricovero? La risposta è NO!
Se ci spostiamo al Sud d’Italia ricordiamo un altro
caso, del quale si è discusso molto in questi giorni,
quello della morte in ambulanza di Nicole, neonata
di Catania, nata in una clinica privata che, a causa
di problemi ai polmoni, era diretta nell’ospedale di
Ragusa perché negli ospedali catanesi non si trovava
un posto di rianimazione neo-natale.
Tagli ai posti letto, appunto. Una sanità, quella
italiana, che da Nord a Sud è sempre più costretta a
stringere la cinta con conseguenze devastanti.
Per capire meglio l’attuale situazione in cui verte
la sanità e i “conti” che i direttori sanitari devono
fronteggiare ogni giorno, abbiamo incontrato il Dott.
Giovanni Roberti, Direttore Sanitario Aziendale degli
Ospedali Fatebenefratelli Provincia Romana.
Il dottor Roberti, opera nel settore da circa 35 anni
e dirige quattro strutture ospedaliere classificate,
una nel Lazio, due in Campania, una in Sicilia e una
struttura di riabilitazione e Alzheimer nel Lazio, presso
la città di Genzano di Roma.
Con lui abbiamo affrontato, innanzitutto, le differenze
tra il sistema sanitario pubblico e quello convenzionato
classificato,inparticolareconsiderandoledifferenzenella
modalità di finanziamento da parte della Regione, sulla
diversa incidenza dei tagli, e sui costi paradossalmente
differenti per erogare la stessa prestazione.
Dott. Roberti, gli ospedali Fatebenefratelli sono
ospedali classificati, mi spiega bene come funzionano
e come operate rispetto alle strutture pubbliche?
“Ospedale classificato significa equiparato, nel senso
che i requisiti strutturali e l’organizzazione delle attività
e servizi devono essere qualitativamente gli stessi
delle Strutture Pubbliche. Per poter erogare qualsiasi
prestazione, oltre alla struttura, occorre attenersi e
rispettare i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza
( L.E.A.) con cui il SSN assicura prestazioni e servizi a
tutti i cittadini indipendentemente dal reddito e luogo
di residenza esigendo o meno il pagamento di un
contributo meglio noto come ticket.
La prima differenza tra il classificato e la struttura
pubblica è il titolo di proprietà. I Fatebenefratelli sono
di proprietà di un Ordine Religioso, la Struttura pubblica
è dello Stato, ma entrambi hanno l’obbligo di erogare
i servizi sanitari qualitativamente idonei per il cittadino.
La seconda è il finanziamento: quello di un ospedale
convenzionato/classificato come quelli che
rappresento, è a tariffe predeterminate con tetto di
Budget definito. In pratica, le Regioni ci forniscono un
finanziamento sapendo già quanto spenderanno a
preventivo per i servizi richiesti.
Il Pubblico invece usufruisce di un finanziamento
“a bilancio” sostanzialmente quindi a consuntivo. Il
sistema tariffario è uguale per tutti (tutte le patologie
sono state raggruppate in circa 550 gruppi e per
ciascuno corrisponde una tariffa) con la differenza
che per i classificati vengono applicate in maniera
tassativa, (cioè in funzione di quello che facciamo
29. 29
rispettando i limiti di spesa imposti), mentre il pubblico
mantiene la possibilità di avere la flessibilità del tetto
usufruendo necessariamente di “ripiani” rispetto al
preventivato. Ad esempio, quest’anno nell’ospedale
di Roma San Pietro Fatebenefratelli abbiamo un
eccesso di produzione di 1 milione di euro che,
eccedendo il tetto prefissato, non sarà pagato
nonostante si siano comunque erogate le prestazioni
relative, molte di esse con accesso di P.S.”.
Quanto incide il taglio alla sanità per le strutture
come quelle gestite da lei, rispetto al pubblico? Siete
più sacrificati?
“Sì, e c’è un altro aspetto che non deve essere
sottovalutato: puà prevedersi che i tagli alle regioni
non saranno omogenei perché ci sono regioni come
il Trentino e il Veneto che sono in grado di lavorare
meglio anche nel pubblico. Quindi dove andranno ad
incidere le sforbiciate? In quelle realtà dove la spesa
Sanitaria è maggiore e per noi, Strutture classificate,
i tagli saranno maggiori rispetto al pubblico perché
insistenti in Regioni quali Lazio, Campania e Sicilia
dove l’efficienza del Sistema è più debole. Le strutture
classificate, ogni anno, percepiscono un finanziamento
ben determinato per effettuare un certo numero di
prestazioni altrettanto tariffate. Questo finanziamento,
per la “produzione” da ricovero , corrisponde a c.a. l’
80% del totale di Budget, mentre il restante è legato
ai servizi di pronto soccorso e alla attività della unità
di rianimazione. Risulta invece che il servizio pubblico,
indipendentemente dalla produzione può usufruire di
ripiani dal preventivato. Sostanzialmente per lo stesso
numero e tipo di prestazioni, nel pubblico si spende dal
20 al 30% in più che da noi, con minore possibilità di
controllo della spesa. Per le strutture classificate non può
esservi alcuni ripiano per via del tetto fisso” predefinito”.
Quindi lavorate allo stesso modo del pubblico, con gli
stessi standard di qualità, ma con risorse economiche
predefinite sempre di minore entità e con meno
personale?
“Sì, come ho detto prima, la struttura pubblica ha
costi maggiori rispetto alle Strutture Classificate, con
risorse vincolate e quindi “costrette” alla massima
efficienza. Ad esempio, sulla base dello stesso
numero di ricoveri corrispondente su base tariffaria
ad un costo X, i classificati con oculata gestione del
personale e con un budget a “preventivo” limitato
e certo, lavorano allo stesso modo del pubblico che
ha un budget a consuntivo e variabili del personale
meno controllate. Il costo della sanità con i nostri
ospedali ritengo sia pari al 50% di quella delle strutture
pubbliche, considerato che anche ristrutturazioni,
messe a norma e acquisizioni di tecnologie pesanti
sono a totale carico del Fatebenefratelli”.
E in che modo riuscite a far quadrare i conti?
“I ripetuti abbattimenti di Budget negli ultimi anni ci
hanno fatto necessariamente agire preventivamente
e sono ormai 15 anni che adottiamo questo sistema.
Esercitiamo un controllo minuzioso sulla spesa
(acquisti, consumi e personale) e attuiamo strategie
per raggiungere dei compromessi: una delle misure
è un relativo blocco del turnover, la rinegoziazione
dei contratti con i fornitori, l’attuazione di “acquisti
centralizzati” per le 5 Strutture, il contenimento
degli incentivi dello straordinario per il personale,
la sostituzione del personale con liberi professionisti.
Tutto questo ha portato conseguenze: il paziente si
troverà di fronte a liste di attesa più lunghe. Ma da
Gestore devo comunque cercare di compensare
la perdita economica dovuta ai tagli di budget
ai fini della sostenibilità aziendale e per questo
si è cercato di offrire i servizi, sia ambulatoriali
che di ricovero, attraverso una nuova offerta “a
pagamento”, con “tariffe sociali” le minori possibili
per il cittadino. Ovviamente usufruire di questi servizi
è a totale discrezione dell’utente e io Gestore devo
chiaramente documentarne il motivo.”
È per questo quindi che un utente, davanti a un
qualunque sportello del Cup, può scegliere se
usufruire di una prestazione erogata secondo le
regolamentazioni del SSN, cioè con impegnativa e
relativo pagamento del ticket, dove i tempi sono
medio-lunghi (per i tetti impartiti dalla Regione),
mentre pagando una “tariffa sociale”, credo pochi
euro in più del Ticket, il paziente ha la possibilità di
avere la stessa prestazione, con stessi mezzi e stessa
qualità, nel giro di solo qualche giorno? È così?
“Sì e non ho alternative, devo continuare a garantire il
servizio.Facciamounesempio:seinunannoabbiamo
a disposizione un Budget di finanziamento per la
radiologia (che per il sistema tariffario corrispondono
a 100 tac, 100 risonanze magnetiche, 100 eco) e
nel mese di marzo abbiamo terminato il budget, per
erogare il servizio al cittadino per i successivi 9 mesi
non possiamo fare altro che offrire questo altro servizio
con un pagamento leggermente superiore rispetto
a quello che si sarebbe pagato con il ticket. Quella
piccola cifra in più è costruita sulla base dei costi che
si hanno per sostenere l’erogazione del servizio (turni
di lavoro suppletivi, utilizzo dei macchinari,etc).
Il tutto nella speranza e nella informazione dell’utente.
Questo sistema è stato adottato a seguito dal taglio
del 7% del 2012” e degli ulteriori tagli di Budget negli
anni successivi”.
30. 30
Un altro aspetto che preoccupa il cittadino è la
progressiva diminuzione dei posti letto negli ospedali
coinciso con aumento del numero di accessi ai
pronto soccorso. Quanto influisce questo aspetto
all’interno delle vostre strutture e come reagite?
Negli ultimi anni quanti posti letto avete perso?
“Negli ultimi 2 anni, in tutte e cinque le strutture del
Fatebenefratelli Provincia Romana, abbiamo perso
oltre 120 posti letto destinati ai ricoveri acuti, sia pur con
parziale riconversione per ricoveri, riabilitazione, RSA,
Alzheimer. Al Buccheri La Ferla di Palermo ad esempio
è stata attivata la riconversione 3 anni fa realizzando
una Struttura Polispecialistica di eccellenza in tale
campo. Devo però precisare che la diminuzione dei
posti letto è comunque un dato relativo, nel senso che
se da un lato è cambiata la modalità dell’assistenza,
(oggi si resta in ospedale mediamente 5-8 giorni,
contro gli 8/10 di 10 anni fa), dall’altra risulta ancora
carente quella
rete territoriale
che permette la
rapida dimissione
del paziente e la
ricollocazione in
altre strutture post
acuzie.
Purtroppo è
visibile a tutti la
d r a m m a t i c a
realtà in cui
vertono oggi i
pronto soccorso
che sono
sempre affollati,
personalmente
non ho mai
assistito ad una situazione come quella che stiamo
vivendo oggi, correlata anche a questo squilibrio di
p.l..
La Regione Lazio, per far fronte a questa situazione
di emergenza, da dicembre a febbraio ha concesso
3 mesi di ulteriore budget alle case di cura private
(senza P.S.) per aprire nuovi posti letto, cosa che
invece non è stata concessa al Fatebenefratelli pur
avendo ricoveri maggiori rispetto al previsto proprio
perché sede di P.S..In questa fase di transizione
dovrebbe esserci maggiore cautela con la chiusura
di p.l. per acuti”.
Lei è il direttore sanitario aziendale della Provincia
Romana FBF che comprende, come abbiamo detto,
5 Strutture nel Lazio, Campania e Sicilia. Quali sono le
differenze? E quale presenta maggiori criticità?
“Nessunadifferenza,interminidirapportieaseconda
delle annate, andiamo meglio in una Regione
rispetto ad un’altra. A mio avviso non si comprende
appieno che trattasi di Strutture “non profit”, che
erogano un servizio pubblico e che costano alla
comunità di meno, per altro ad oggi le uniche
davvero controllate (e sanzionate) rispetto ai requisiti
sull’accreditamento e all’appropriatezza delle
prestazioni. Partecipiamo seriamente ai programmi
di revisione della Rete Ospedaliera Regionale come
dovuto, ma constatiamo il permanere di notevoli
discriminazioni rispetto ai restanti erogatori “pubblici”.
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in una
recente intervista rilasciata ad un quotidiano
nazionale ha dichiarato che ha avviato un tavolo
per il rilancio della Sanità Integrativa perché per
assicurare delle cure importanti e costose a tutta la
collettività, una parte potrebbe essere sostenuta da
questa terza gamba. Che ne pensa?
“Come le ho
detto prima,
noi per quanto
possibile, già dal
2012 cerchiamo
di compensare
i tagli attraverso
un’offertadirettaal
cittadino con delle
linee di attività
parallele che sono
a pagamento
adottando le
tariffe più basse
possibili”.
In un quadro
come questo dove, da una parte le strutture
pubbliche con servizi carenti ed erogazioni limitate
a causa dei crescenti e forti tagli economici, le
strutture classificate, anch’esse ancora più colpite
dalle sforbiciate delle Regioni, e dall’altra il cittadino
che sempre più spesso è costretto a scegliere altre
soluzioni per evitare sia lunghe liste di attesa che una
riduzione all’osso delle spese per malattie o interventi
chirurgici, il rilancio della Sanità Integrativa, con
le Società di Mutuo Soccorso, Casse di Assistenza
Sanitaria e Fondi Sanitari, senza scopo di lucro,
risulterebbe essere l’unica valida soluzione.
A differenza delle compagnie di assicurazione,
infatti, il sistema in cui opera il Mutuo Soccorso, è di
natura mutualistica, si rivolge a persone di ogni età,
professione indipendentemente dal loro stato di
salute o storia clinica e sono organizzazioni no profit
regolamentate dalla normativa che si fonda sulla
legge del 15 Aprile 1886 n°3818.
31. Museo del Mutuo Soccorso MBA
Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM)
Aperto dal lunedì al venerdì solo su appuntamento contattando il numero +39 331 6893067
Il Museo del Mutuo Soccorso di MBA è
il "forziere della storia della mutualità
italiana".
Al suo interno sono raccolti documenti,
medaglie, gagliardetti, vessilli, statuti,
regolamenti, cartoline di un pezzo
dell'Italia che va dal 1840 fino al periodo
fascista.
Il museo ripercorre i passi salienti di questi
ultimi 150 anni di storia sociale.
Tra i reperti più rari, documenti dove risulta
socio onorario Giuseppe Garibaldi, ma
anche statuti e regolamenti ante Regio
Decreto.
è presente all'interno anche il testo
integrale, originale del Regio Decreto n.
3818 del 15 aprile 1886, stampato dalla
regia tipografia, oltre a una bandiera di
Mutua emigrata con lo scudo Sabaudo
rovesciato in segno di protesta.
32. nel prossimo numero...
Benefici del pilates
...e tanto altro!
Intervista alla
Dottoressa Sonia D’Agostino,
Direttore Generale delle cliniche Paideia e Mater Dei di Roma
Tutto quello che c’è da sapere su questo particolare sistema di
allenamento utilizzato sempre più spesso nelle nostre palestre.
Hai qualcosa di interessante da raccontare e ti piacerebbe
collaborare attivamente alle prossime uscite di Health Online?
Collegati al sito www.healthonline.it e contattaci!
Un’interessante approfondimento sulla realtà delle cliniche private
attraverso una panoramica a 360° su servizi forniti, rapporto con i
pazienti e sulla collaborazione sempre più stretta
con le Società di Mutuo Soccorso.