L\'Europa rimane al centro dei mercati, ed è giusto così. Ma il quadro non è così chiaro come si vorrebbe. Diversi analisti tendono a dire che se solo questo problema potesse essere risolto, allora tutto questo avrebbe fine. Purtroppo, non è solo un problema ma sono tre che devono essere risolti, e nessuno di loro è semplice.
L\'Europa rimane al centro dei mercati, ed è giusto così. Ma il quadro non è così chiaro come si vorrebbe. Diversi analisti tendono a dire che se solo questo problema potesse essere risolto, allora tutto questo avrebbe fine. Purtroppo, non è solo un problema ma sono tre che devono essere risolti, e nessuno di loro è semplice.
La necessità di fare un grosso cambiamentoHoro Capital
Il 5 marzo 2013 il Dow Jones Industrial Average ha stabilito un nuovo massimo storico, superando il precedente massimo pari a 14,165.50 che era stato raggiunto nell'ottobre del 2007. Solo il mercato azionario non sembra prendere atto che il mondo si trova oggi in una situazione ben diversa rispetto a 5 anni e mezzo fa. Molti investitori parlano di un mercato ribassista, ma intanto percorrono la strada rialzista. Questa apparente contraddizione è funzione della convinzione diffusa che la politica della banca centrale sia questa proveniente da Tokyo, Francoforte, Londra o Washington fornisce un efficace copertura alla volatilità consentendo così agli investitori di ignorare i problemi economici e finanziari sottostanti, che continuano intanto a cuocere a fuoco lento.
Nel 2012 giungerà alle sue massime conseguenze la crisi iniziata nel 2007 e che ora estende i suoi riflessi al debito sovrano europeo. Il ruolo delle banche, dei derivati finanziari, degli stati e degli organismo sovranazionali.
Standard & Poor's declassa l'Italia a BBB-. E' l'ultimo appello per un paese in evidente difficoltà economica, come dimostrano i dati reali e nonostante la riduzione dei tassi sui titoli di Stato italiani. Quello a cui stiamo assistendo nell'andamento dei BTP è solo un'enorme scommessa dei mercati finanziari sul tandem italiano "Renzi-Draghi".
Draghi si dichiara pronto a comprare i titoli di Stato, sostenendo così la speculazione e l'aspettativa di un imminente QE. Una speranza alimentata anche dall'inusuale silenzio dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.
Libertà e giustizia - Scuola di formazione politica Summer School di Reggio Calabria
"Il Mezzogiorno oltre il vincolo della criminalità organizzata - Sviluppo economico politiche pubbliche governance locale"
12-14 settembre 2008
Di Lorenzo Bordogna
Nell’ultimo ventennio la pubblica amministrazione è stata interessata da molteplici interventi riformatori. Come è stato rilevato da molti osservatori, forse si sarebbe dovuto dedicare meno sforzi a realizzare “meno stato” e più attenzione a rispondere alla domanda “quale stato”. Lo stesso processo di digitalizzazione dell’amministrazione, pensato da molti come il cavallo di Troia dell’innovazione, ha prodotto risultati differenti: accanto a soluzioni di eccellenza si sono registrati esiti negativi o irrilevanti. È apparso evidente che il cambiamento della Pubblica Amministrazione, come peraltro di altre organizzazioni, non è prevalentemente né processo normativo né un processo tecnologico. Come progettare il cambiamento della Pubblica Amministrazione? Immettere una leva di giovani qualificati che sopperisca ai deficit di organico e di competenze? Intervenire sull’organizzazione con un approccio consapevole della molteplicità delle variabili in gioco (cultura, meccanismi operativi, sistemi incentivanti, relazioni industriali, condivisione degli obiettivi) e dell’importanza della partecipazione dei lavoratori in termini di saperi e competenze?
Lorenzo Bordogna è Professore ordinario di Sociologia economica all’Università di Milano, dove presiede il Nucleo di Valutazione. Sui temi del lavoro pubblico ha collaborato con la Commissione Europea, la European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, l’ILO, l’Aran. Recenti pubblicazioni sono: Public Service Management and Employment Relations in Europe: Emerging from the Crisis, Routledge, Londra, 2016, con S. Bach e Italy: The Uncertainties of Endless Reform Routledge, Londra, 2016.
La necessità di fare un grosso cambiamentoHoro Capital
Il 5 marzo 2013 il Dow Jones Industrial Average ha stabilito un nuovo massimo storico, superando il precedente massimo pari a 14,165.50 che era stato raggiunto nell'ottobre del 2007. Solo il mercato azionario non sembra prendere atto che il mondo si trova oggi in una situazione ben diversa rispetto a 5 anni e mezzo fa. Molti investitori parlano di un mercato ribassista, ma intanto percorrono la strada rialzista. Questa apparente contraddizione è funzione della convinzione diffusa che la politica della banca centrale sia questa proveniente da Tokyo, Francoforte, Londra o Washington fornisce un efficace copertura alla volatilità consentendo così agli investitori di ignorare i problemi economici e finanziari sottostanti, che continuano intanto a cuocere a fuoco lento.
Nel 2012 giungerà alle sue massime conseguenze la crisi iniziata nel 2007 e che ora estende i suoi riflessi al debito sovrano europeo. Il ruolo delle banche, dei derivati finanziari, degli stati e degli organismo sovranazionali.
Standard & Poor's declassa l'Italia a BBB-. E' l'ultimo appello per un paese in evidente difficoltà economica, come dimostrano i dati reali e nonostante la riduzione dei tassi sui titoli di Stato italiani. Quello a cui stiamo assistendo nell'andamento dei BTP è solo un'enorme scommessa dei mercati finanziari sul tandem italiano "Renzi-Draghi".
Draghi si dichiara pronto a comprare i titoli di Stato, sostenendo così la speculazione e l'aspettativa di un imminente QE. Una speranza alimentata anche dall'inusuale silenzio dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.
Libertà e giustizia - Scuola di formazione politica Summer School di Reggio Calabria
"Il Mezzogiorno oltre il vincolo della criminalità organizzata - Sviluppo economico politiche pubbliche governance locale"
12-14 settembre 2008
Di Lorenzo Bordogna
Nell’ultimo ventennio la pubblica amministrazione è stata interessata da molteplici interventi riformatori. Come è stato rilevato da molti osservatori, forse si sarebbe dovuto dedicare meno sforzi a realizzare “meno stato” e più attenzione a rispondere alla domanda “quale stato”. Lo stesso processo di digitalizzazione dell’amministrazione, pensato da molti come il cavallo di Troia dell’innovazione, ha prodotto risultati differenti: accanto a soluzioni di eccellenza si sono registrati esiti negativi o irrilevanti. È apparso evidente che il cambiamento della Pubblica Amministrazione, come peraltro di altre organizzazioni, non è prevalentemente né processo normativo né un processo tecnologico. Come progettare il cambiamento della Pubblica Amministrazione? Immettere una leva di giovani qualificati che sopperisca ai deficit di organico e di competenze? Intervenire sull’organizzazione con un approccio consapevole della molteplicità delle variabili in gioco (cultura, meccanismi operativi, sistemi incentivanti, relazioni industriali, condivisione degli obiettivi) e dell’importanza della partecipazione dei lavoratori in termini di saperi e competenze?
Lorenzo Bordogna è Professore ordinario di Sociologia economica all’Università di Milano, dove presiede il Nucleo di Valutazione. Sui temi del lavoro pubblico ha collaborato con la Commissione Europea, la European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, l’ILO, l’Aran. Recenti pubblicazioni sono: Public Service Management and Employment Relations in Europe: Emerging from the Crisis, Routledge, Londra, 2016, con S. Bach e Italy: The Uncertainties of Endless Reform Routledge, Londra, 2016.
Presentation by Erika Bozzay, SIGMA, at the SIGMA regional conference on public procurement which took place in Beirut on 2-3 June 2015. Also available in Arabic.
Quale strada prenderemo? Se solo potessimo far aumentare le nostre via d\'uscita sui nostri problemi del debito sovrano. Ma la crescita del debito crea ancora più problemi se questi non vengono gestiti, rendendo ancora più difficile l\'affrontarli; ma tenendo il debito e il deficit sotto controllo di conseguenza si monitora anche il dolore che ne consegue.
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
1. Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
Debito pubblico in % del PIL
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e
Commissione UE
46
24 dicembre
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
Tra il 2007 e il 2013 il rapporto tra debito pubblico e PIL è aumentato in Italia di
trenta punti percentuali, la metà di quanto registrato sia in Giappone sia in Spagna.
Dal 2014 inizia il ventennio in cui l’Italia e gli altri paesi che hanno sottoscritto il Fiscal
Compact saranno chiamati a ridurre al 60 per cento il rapporto tra debito pubblico e
PIL. Si tratta di un impegno importante che potrà venire onorato solo a patto di
imboccare senza indugio la via di un rinnovato cammino di sviluppo, imperniato su
competitività e coesione e consapevole dei mutamenti strutturali dello scenario
globale.
La Russia chiude il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno della metà di
quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del biennio
2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più recenti riferimenti
congiunturali non sono incoraggianti. L’indebolimento recente della dinamica
economica ha una natura largamente strutturale. La crescita della domanda interna
sta saturando la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero.
Rispetto al 2011 l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel
frattempo consistente la fuga di capitali all’estero. Il sistema bancario si presenta
solido ma risente dell’attuale fase di evoluzione del sistema economico.
2. 24 dicembre 2013
Editoriale: Nel nuovo ventennio
Giovanni Ajassa 06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com
Debito pubblico in % del PIL
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati FMI e
Commissione UE
2014: insieme al nuovo anno, anche un nuovo ventennio. Il ventennio, per l’Italia e per
l’Europa della moneta unica, del rientro dei debiti pubblici eccessivi. Questo, infatti,
prevede il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e la Governance dell’Unione
economica e monetaria – il “Fiscal Compact” – sottoscritto dall’Italia come dalla
stragrande maggioranza dei partner comunitari a Bruxelles il 2 marzo del 2012.
Testualmente, l’articolo 4 del Fiscal Compact prescrive che “quando il rapporto tra il
debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di
riferimento del 60% (…), tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di
un ventesimo all’anno (…)”. Il dettato è chiaro come pure la sostanza. All’inizio del
2034 tutti i paesi dovranno avere un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al
60 per cento. La differenza tra il livello attuale del “ratio” e la soglia obiettivo dovrà
essere abbattuta al ritmo di una ventesima parte per ciascuno dei venti prossimi
esercizi.
Per l’Italia la differenza in questione è pari a 73 punti percentuali dell’odierno valore del
prodotto interno lordo. Per la media dell’Eurozona a 18 paesi l’eccesso da eliminare
ammonta esattamente alla metà di quello dell’Italia, ovvero a 36 punti di prodotto. Per
la Germania il sovraddebito si limita a venti punti percentuali di PIL. Per curiosità,
all’inizio del 2014 risultano anticipatamente in regola con l’articolo 4 del Fiscal Compact
solo cinque dei diciotto componenti la moneta unica. Parliamo di Estonia, Finlandia,
Lettonia, Lussemburgo e Slovacchia. Messi insieme questi paesi contano per meno del
cinque per cento dei 330 milioni di abitanti dell’eurozona. All’inizio del 2014, quindi, il
95 per cento dei cittadini, contribuenti ed elettori, della comune unione monetaria
dovrebbe guardare con qualche attenzione agli effetti che il soddisfacimento della “debt
2
3. 24 dicembre 2013
rule” del Fiscal Compact comporterà per le diverse economie europee nei prossimi
venti anni.
La regola del rientro del debito è figlia di una cultura importante, che da sempre
qualifica l’idea economica di Europa. È quella cultura della stabilità che affonda le
radici nella coscienza dei disastri prodotti dagli eccessi di moneta e di inflazione, dai
tempi di Weimar alle crisi petrolifere degli anni Settanta dello scorso secolo. Allo stesso
modo, la regola del debito è anche l’espressione di un elemento più contingente,
ovvero della ricerca di un target intermedio rispetto ad un obiettivo finale che continua
a rimanere piuttosto distante. Non accelerando sul fronte di un’unione fiscale e politica
a tutto tondo, il rientro dei ratios nazionali tra debito pubblico e PIL rappresenta, infatti,
una sorta di garanzia imposta per ridurre il rischio che i contribuenti di questo o quel
paese più virtuoso vengano chiamati a concorrere ad un eventuale “salvataggio” del
debito pubblico di uno o più paesi meno virtuosi. Non è un caso che la debt-rule e
l’intero costrutto del Fiscal Compact siano stati sottoscritti nel pieno della contingenza
della crisi dei rischi sovrani, in quella primavera del 2012 che precedette la svolta
impressa da Mario Draghi nell’estate dello stesso anno.
Una cultura antica. Una garanzia contingente. Comunque si intenda la matrice della
debt-rule, è impossibile negare che la praticabilità del rientro dei ratios dei debiti
pubblici dipenderà nei prossimi venti anni dal soddisfacimento di una condizione
assolutamente necessaria: il ritorno a buoni e sostenibili ritmi di crescita economica.
Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per gli altri paesi. A giustificare questo
punto sono una considerazione di scenario e un po’ di aritmetica finanziaria. Sul fronte
dello scenario, le prospettive sono quelle di una progressiva normalizzazione dei
mercati dopo la pluriennale bonanza monetaria dell’ultimo quinquennio. Il “tapering” è
appena iniziato negli USA. Così come in America, anche in Europa rendimenti e
spread sui titoli pubblici dovranno correggere gli eccessi degli anni passati: gli eccessi
al rialzo come pure quelli al ribasso.
In uno scenario di normalizzazione supponiamo che nei prossimi venti anni il costo
medio annuo del debito pubblico vada ad assestarsi su valori del quattro per cento in
Italia e del tre per cento in Germania. Tassi e oneri moderati, quindi, che però non
potranno sottrarsi al meccanismo moltiplicativo proprio della regola dell’interesse
composto. Quella regola elementare dell’aritmetica finanziaria la cui potenza sfugge
sovente a gran parte dell’opinione pubblica. E non solo.
Alla fine del 2013 il debito pubblico tedesco si colloca intorno ai 2.200 miliardi di euro.
Quello italiano oscilla sui 2.100 miliardi. A parità di ogni altra condizione, per il solo
operare dell’interesse composto, un rendimento/costo medio del 3 per cento annuo
porterà nel 2033 il debito pubblico tedesco ad avvicinarsi ai quattro trilioni di euro, e al
150 per cento dell’attuale PIL tedesco. Per l’Italia, con un rendimento/costo sul debito
pubblico del quattro per cento annuo e uno spread di un punto sui tedeschi, la
composizione degli interessi sull’arco di venti anni condurrà il debito pubblico nel 2033
ad oltre quattro trilioni e mezzo di euro e al 300 per cento del PIL italiano del 2013.
3
4. 24 dicembre 2013
Anche se i deficit pubblici si azzerano, i debiti pubblici aumentano per via della
capitalizzazione degli interessi pagati sui titoli emessi e sui prestiti contratti. L’effetto
della capitalizzazione sui rapporti tra debiti pubblici e PIL era poco visibile ai tempi
della scrittura del trattato di Maastricht, all’avvio degli anni Novanta dello scorso secolo.
Allora, come anche nella prima metà dell’ultimo ventennio, la crescita nominale del
prodotto dei paesi europei era un dato acquisito più o meno per tutti. Ci poteva essere
il paese che faceva più aumento dei prezzi che crescita reale e chi si muoveva
all’opposto. In un modo o nell’altro, comunque, c’era sempre un aumento del PIL
nominale che temperava l’effetto sul ratio di un incremento del debito pubblico.
Denominatore e numeratore avevano storie parallele anche se relativamente
indipendenti. Oggi non è più così.
Dopo sei anni di storia economica europea passati tra crisi, recessioni e fragili riprese,
il denominatore del rapporto tra debito pubblico e PIL non rappresenta più quel mero
fattore di standardizzazione che consente il confronto internazionale o intertemporale
tra i valori assunti dal debito delle pubbliche amministrazioni in questo o quel paese o
in questo o quel momento. Purtroppo, la crescita nominale del PIL non è più un dato
acquisito, una variabile esogena del sistema. Non lo è stata negli anni passati di
recessione. Non lo è oggi in uno scenario che ancora rilancia rischi di stagnazione se
non di deflazione.
Debito pubblico in % del PIL
Belgio
Italia
134
133
+30
115
-12
100
103
+16
-50
84
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Commissione
UE
Tra numeratore e denominatore del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno
lordo, tra austerity e crescita si è consolidato un legame biunivoco che mette in
discussione molte cose. Per ridurre il debito pubblico occorre crescere, ma la stessa
capacità di crescita risulta condizionata dagli interventi necessari per onorare gli
impegni di “deleveraging” sul montante del debito. Come dire, se ha senso ragionare
sulla riduzione del debito pubblico diviso il PIL, altrettanto logico potrebbe essere
assegnarsi un obiettivo di aumento del PIL raggiungibile per dato debito pubblico.
4
5. 24 dicembre 2013
Solo con il ritorno a buoni ritmi di crescita economica la regola del debito del Fiscal
Compact potrà essere soddisfatta. Questo vale in primo luogo per l’Italia, ma anche per
gli altri paesi e pure per la Germania. Alcune semplici simulazioni aritmetiche dicono
che per tornare entro il 2034 al di sotto del 60 per cento del rapporto tra debito pubblico
e PIL l’Italia avrà bisogno di un tasso reale di crescita dell’ordine del due per cento
medio annuo. Ed anche di un avanzo dei conti pubblici al netto degli interessi
mediamente pari a quattro punti percentuali di PIL all’anno. Il tutto, in Italia come nel
resto d’Europa, nell’ipotesi che i rischi di deflazione vengano efficacemente contrastati
e che la dinamica dei prezzi si muova in accordo con l’obiettivo di medio termine
professato dalla BCE di un’inflazione al due per cento.
È una strada molto stretta. Nei venti anni che abbiamo alle spalle il PIL italiano è
cresciuto mediamente di sei decimi di punto percentuale l’anno. Il deficit di sviluppo è
stata la causa principale dell’incremento del rapporto tra debito pubblico e PIL dal 115
per cento del 1993 al 133 per cento del 2013. Viceversa, negli stessi venti anni una
crescita media annua del 2,5 per cento ha consentito ad un paese come il Belgio di
abbattere il proprio rapporto tra debito pubblico e PIL dal 134 per cento del 1993 al 100
per cento del 2013.
Pensare di riuscire a crescere del due per cento l’anno per i prossimi venti anni
rappresenta oggi una grande sfida per l’Italia, ma anche per qualsiasi altro paese
europeo. Tanti sono i problemi e i condizionamenti che si intravedono, anche solo
guardando alla cornice globale dello sviluppo demografico, della rivoluzione digitale e
del cambiamento climatico. Imboccare con decisione la via di uno sviluppo sostenibile,
imperniato su lavoro, competitività e coesione, rappresenta però una priorità strategica
che è ineludibile per l’Europa oltre che per l’Italia. Lo è per il futuro nostro e dei nostri
figli e non solo perché ce lo imporrà la regola del debito del “fiscal compact” che potrà
essere aggiustata strada facendo. Magari cominciando con lo scorporare il cumulo
degli interessi dall’obiettivo di riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL da
realizzare entro il nuovo ventennio.
5
6. 24 dicembre 2013
Russia: un confronto tra presente e futuro
S. Carletti 06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com
La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5%, meno
della metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di
quello del biennio 2010-11 (+4,4%). Si ipotizza una ripresa nel 2014 ma i più
recenti riferimenti congiunturali non sono incoraggianti.
La produzione e l’esportazione di prodotti energetici restano la pietra angolare
dell’economia russa. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas
naturale, il terzo di petrolio, il sesto per il carbone.
L’indebolimento recente della dinamica economica ha una natura largamente
strutturale. La modesta crescita di un moderno ceto imprenditoriale industriale si
è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di fatto, quantitativamente e
qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi interamente quello
ereditato dal periodo sovietico. La crescita della domanda interna sta saturando
la capacità produttiva con evidenti riflessi sui conti con l’estero. Rispetto al 2011
l’avanzo delle partite correnti risulta quasi dimezzato. Continua nel frattempo
consistente la fuga di capitali all’estero.
Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile,
della contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Tra il
dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o
completato il loro ritiro. Se da un lato questi ritiri segnalano la difficoltà per
un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo mercato,
dall’altro lato si deve rilevare che la presenza straniera resta comunque
autorevole (nella graduatoria per dimensione sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi
e 5 dei primi 20).
I paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) sono spesso indicati come i nuovi centri
propulsivi dell’economia mondiale 1. Questa ipotesi interpretativa ha recentemente
subito un sostanziale indebolimento: la crescita stimata per il 2013 e quella prevista
per il prossimo anno è in tutti e quattro i casi ampiamente inferiore a quanto conseguito
nel lungo periodo; nel caso di Russia e Brasile è inferiore anche al ritmo medio di
sviluppo dell’economia mondiale.
Crescita economica dei paesi BRIC
(var. %)
1995-2012
2013
2014
Brasile
Russia
India
Cina
3,0
3,3
6,8
9,8
2,5
1,5
3,8
7,6
2,5
3,0
5,1
7,3
Mondo
3,6
2,9
3,6
Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati tratti da Fondo
Monetario Internazionale, World Economic Outlook, ottobre
2013.
1
Assumendo come riferimento la dimensione del Pil in dollari nel 2012, si tratta, rispettivamente, della
settima, sesta, terza e seconda economia mondiale.
6
7. 24 dicembre 2013
Russia: il momento congiunturale
La Russia si avvia a chiudere il 2013 con un tasso di crescita dell’1,5% 2, meno della
metà di quanto conseguito nell’anno precedente (+3,4%) e un terzo circa di quello del
biennio 2010-11 (+4,4%). Le principali istituzioni internazionali continuano ad
accreditare l’ipotesi di una ripresa nel 2014 3 ma i più recenti riferimenti congiunturali
non sono incoraggianti (+1,2% a/a nel secondo e nel terzo trimestre 2013).
A rendere ancora meno positivo questo quadro è la constatazione che la componente
più dinamica è quella dei consumi privati mentre gli investimenti si confermano deboli
da inizio 2012. Nei primi otto mesi del 2013 le vendite al dettaglio sono cresciute del
3,9% a/a, sostenute da un forte incremento dei salari (+5,5% a/a in termini reali) e da
un livello di disoccupazione particolarmente modesto (5,2% a luglio).
Gli spazi di intervento della politica monetaria sono limitati da un processo
inflazionistico che dopo aver sfiorato il 10% per lunga parte del 2011 si è
successivamente ridotto mantenendosi tuttavia su livelli elevati (6,3% nello scorso
ottobre, 6,8% nei primi 10 mesi del 2013). Per contenere la dinamica dei prezzi la
Banca Centrale mantiene elevato il tasso di riferimento a breve termine (CBR
refinancing rate), ora all’8,25%, livello da cui si è discostato poco negli ultimi tre anni.
Tra le positive novità del 2013 si deve segnalare la rilevante risalita (19 posizioni) nella
graduatoria Doing Business 4 redatta dalla Banca Mondiale e che sintetizza il corretto
ed efficiente funzionamento del sistema economico. Su 189 paesi considerati, la
Russia è al 92° posto, comunque meglio degli altri paesi BRIC.
Russia: una visione di medio-lungo termine
L’indebolimento della dinamica economica della Russia ha una natura largamente
strutturale. Negli ultimi 10-15 anni il governo ha indirizzato verso l’attività interna i
proventi tratti dalla vendita all’estero delle risorse energetiche, da un lato finanziando
grandi progetti infrastrutturali, dall’altro lato incrementando in misura rilevante salari e
pensioni (su una popolazione complessiva di 143 milioni, i dipendenti pubblici sono
circa 20 milioni, i pensionati circa 40 milioni). La crescita della domanda interna ha così
gradualmente saturato la capacità produttiva. La modesta crescita di un moderno ceto
imprenditoriale industriale si è tradotta in un debole flusso di investimenti privati: di
fatto, quantitativamente e qualitativamente l’apparato industriale in funzione è quasi
interamente quello ereditato dal periodo sovietico.
Negli ultimi anni questo modello di crescita ha cominciato a rivelarsi inadeguato sotto
molti profili, in primo luogo per quanto riguarda i conti con l’estero. Una parte crescente
della domanda è stata soddisfatta con beni prodotti altrove, sia per l’indisponibilità di
capacità produttiva sufficiente sia per la modesta qualità delle produzioni. Nel triennio
2011-13 la dinamica delle importazioni di merci e servizi è risultata in volume più
sostenuta di quella registrata dalle esportazioni, andamento che nel 2013 si è
combinato con un peggioramento delle ragioni di scambio. Il saldo delle partite correnti
si è così quasi dimezzato passando dai $97 mld del 2011 ai $54 stimati per l’anno in
corso. In rapporto al Pil l’attivo dei conti con l’estero è sceso dal 5,1% del 2011 a meno
del 3% nell’anno corrente.
2
La stima della Banca Mondiale si ferma all’1,3%.
Per quanto riguarda il 2014 l’Ocse (Economic Outlook, novembre 2013) è sensibilmente meno ottimista
(+2,3%) del Fondo Monetario (+3,0%).
4
Cfr. World Bank, Doing Business 2014. Understanding Regulations for Small and Medium-Size
Enterprises, novembre 2013.
3
7
8. 24 dicembre 2013
Al ridimensionamento dell’avanzo delle partite correnti si aggiunge il perdurare della
fuga di capitali: nei primi nove mesi del 2013 il deflusso netto di capitali è risultato pari
a $48 mld; se il fenomeno proseguisse a questo ritmo alla fine dell’anno si arriverebbe
intorno a $65 mld, un rilevante incremento rispetto al 2012 ($55 mld). Si tratta di cifre
importanti anche se inferiori a quelle registrate negli anni precedenti ($300 mld
complessivamente nel periodo 2008-11, con una punta di oltre $130 mld nel 2008). La
flat tax del 13% introdotta alcuni anni fa per favorire il flusso di rientro non sembra aver
avuto il successo sperato. A rendere sostenuto il fenomeno sono stati molti fattori tra i
quali l’incertezza determinata da alcune vicende interne e la mancanza di attraenti
opportunità di investimento. Un ruolo lo hanno anche giocato le incerte prospettive del
rublo: rispetto alla fine del 2011, la quotazione corrente è poco mutata rispetto al
dollaro, piuttosto debole invece nei confronti dell’euro; se ci si concentra sull’anno in
corso si rileva un indebolimento rispetto ad entrambe le valute.
Russia: avanzo delle partite correnti in % del Pil
12
10
8
6
4
2
0
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
Fonte: dati e previsioni Ocse
Alla fine del 2012 la Russia disponeva di riserve valutarie per circa $540 mld ed era al
contempo titolare di un debito estero di analogo ammontare. Sotto questo profilo il
Paese è ben lontano dalla fragilità finanziaria dei primi anni 2000 (debito estero/Pil oggi
intorno al 27% rispetto al 45% toccato nel 2003) ed è ancor più distante dalla
situazione di default dell’agosto 1998.
L’esportazione di risorse energetiche pietra angolare dell’economia russa
La pietra angolare dell’economia russa rimane la produzione e l’esportazione di
prodotti energetici. A livello mondiale la Russia è il secondo produttore di gas naturale,
il terzo di petrolio 5, il sesto per il carbone. In termini di capacità installata è anche un
operatore di grande rilievo per quanto riguarda l’energia idroelettrica e l’energia
nucleare.
Nello scorso mese di ottobre la produzione di petrolio (10,59 milioni di barili al giorno)
ha raggiunto il livello più alto dalla fine dello stato sovietico. Nella media del 2012 la
produzione si è attestata a 10,4 milioni, l’11% in meno dell’Arabia Saudita primo
produttore mondiale. Il 70% della produzione (7,2 milioni di barili al giorno) viene
5
L’80% delle esportazioni è costituito dalla Urals blend, una miscela delle principali varietà di petrolio
russo.
8
9. 24 dicembre 2013
esportato, principalmente (84%) verso paesi europei (Germania, Paesi Bassi e Polonia
soprattutto). Negli ultimi venti anni le esportazioni di petrolio sono cresciute in misura
rilevante (nel 1992 erano 3,4 milioni di barili al giorno, salite a 5 milioni nel 2002).
Il conseguimento in tempi non troppo lunghi di un significativo incremento della
produzione corrente è giudicato poco possibile. I principali campi di estrazioni sono
ancora quelli localizzati nella Siberia occidentale. Negli ultimi anni è stata avviato lo
sfruttamento di nuovi giacimenti (Sakhalin, Siberia Orientale, Russia Artica) ma il loro
contributo alla produzione totale è ancora limitato. In termini di riserve accertate la
Russia occupa una posizione intermedia (60-80 miliardi di barili) ben lontana dalla
maggior parte dei paesi mediorientali (o anche Canada e Venezuela) ma ben al di
sopra di Stati Uniti, Cina, Brasile, Messico, etc.
Al lato del petrolio una crescente importanza è stata acquisita dal gas naturale che
all’ultima rilevazione risultava estratto al ritmo di 2,02 miliardi di metri cubi al giorno,
destinati in gran parte all’esportazione. Tre quarti circa delle vendite all’estero sono
assorbite da paesi europei (tra essi anche l’Italia). Secondo l’autorevole Oil & Gas
Journal le riserve russe di gas sono un quarto circa di quelle censite a livello mondiale.
Gas e petrolio costituiscono poco meno di tre quarti delle esportazioni totali e
contribuiscono in maniera determinante (oltre il 50%) al finanziamento della spesa
pubblica. Secondo una recente elaborazione 6 il prezzo del petrolio che consente un
flusso di introiti tale da azzerare ceteris paribus il disavanzo della finanza pubblica è
passato dai $34 del 2007 agli oltre $100 per il prossimo futuro, un livello quest’ultimo
comparabile a quello attualmente prevalente. Le autorità russe manifestano ottimismo
ma lo sconvolgimento in atto nel mercato energetico mondiale (shale gas, shale oil,
nuovi giacimenti in Africa, etc), potrebbe spingere le quotazioni decisamente al
ribasso. A parità di ogni altra condizione, con il petrolio a $90 si dimezzerebbe il
surplus delle partite correnti, sempre in attivo dopo il 1997.
Si stanno, quindi, riducendo le possibilità che il modello economico e sociale russo
rimanga in equilibrio con quanto ricavato dalla vendita delle sue risorse energetiche.
Sullo sfondo di un presente ancora contraddistinto da evidente abbondanza si
cominciano a intravedere segnali di un futuro problematico. Il quasi dimezzamento del
tasso di crescita annuo assunto come riferimento fino al 2030 (dal 4,3% al 2,5%)
evidenzia che il problema comincia ad essere percepito dal governo in tutto il suo
rilievo. Al di là dei possibili interventi congiunturali, la Russia non può rinviare ancora a
lungo una significativa rimodulazione del suo sistema economico che ridimensioni la
sua forte dipendenza dalle vicende del mercato energetico mondiale. Oltre
all’attivazione di un imponente processo di investimento, si tratterà di adottare un
nuovo modello di ripartizione del reddito, con possibili ripercussioni anche in termini di
consenso.
Un sistema bancario solido ma in attesa di evoluzione
Il sistema bancario russo si presenta solido ma risente, spesso in modo visibile, della
contradditoria fase di evoluzione dell’intero sistema economico. Le istituzioni che lo
compongono sono oltre un migliaio, ma di esse appena 8 hanno un attivo di almeno
$20 mld. I primi quattro gruppi (Sberbank, VTB, Gazprombank, and Rosselkhozbank)
sono sotto controllo statale. La cessione nel 2012 del 7,6% di Sberbank ha comunque
lasciato allo stato la maggioranza assoluta di questa banca (50% + un voto);
Rosselkhozbank (Russian Agricultural Bank) dovrebbe essere completamente
6
Cfr. The Economist, The S word, 9 novembre 2013.
9
10. 24 dicembre 2013
privatizzata entro il 2016. La prima banca privata (Alfa Bank) si posiziona al quinto
posto per dimensione dell’attivo totale.
Il principale gruppo bancario nazionale (Sberbank) ha una rete di quasi 19mila sportelli,
attività totali per quasi $340 mld e si posiziona nel mondo intorno alla ventesima
posizione per capitalizzazione di mercato (è quotata anche a Londra). VTB, da parte
sua, deve una parte importante della sua recente crescita dimensionale (nel 2012
attività totali per $211 mld) all’acquisizione/salvataggio di Bank of Moscow.
Le banche estere operanti nel Paese sono quasi 80. Alla fine di maggio 2013 ad esse
andava attribuito il 22% circa dei prestiti retail e il 14% dei finanziamenti alle imprese.
Tra il dicembre 2010 e l’agosto 2012 nove gruppi bancari esteri hanno annunciato o
completato il loro ritiro, in genere sostituiti da operatori bancari già presenti in Russia
ma in due casi senza aver trovato acquirenti. Se da un lato questi ritiri segnalano la
difficoltà per un’istituzione finanziaria estera di operare con successo in questo
mercato, dall’altro lato si deve comunque rilevare che nella graduatoria per dimensione
sono stranieri 3 dei primi 10 gruppi e 5 dei primi 20.
La crisi finanziaria del 2008-09 ha coinvolto solo limitatamente il sistema bancario
russo poco esposto sul fronte internazionale e su quello dell’investment banking.
Quella fase di elevata instabilità ha comunque messo in evidenza la fragilità di
numerosi operatori e costretto le autorità ad interventi di sostegno (ricapitalizzazioni ed
erogazioni di prestiti) per poco meno di 2.000 miliardi di rubli (€45 mld). L’elevata
redditività (Roe del 16,1% a fine settembre 2013, 18,3% un anno prima) consente un
diffuso rafforzamento del patrimonio contabile. Tuttavia, nel 2012 tra le prime 100
banche 9 hanno chiuso in perdita.
Russia: la dinamica del credito a famiglie e imprese
(tasso di crescita a/a)
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
gen-11
lug-11
gen-12
Prestiti alle imprese
lug-12
gen-13
lug-13
Prestiti alle famiglie
Fonte: Ocse
Il credito bancario ha registrato negli ultimi anni un andamento particolarmente
sostenuto tanto dal lato delle famiglie quanto su quello delle imprese (in termini di
consistenze, i prestiti alle imprese sono oltre il doppio di quelli alle famiglie). In
entrambi i casi dal 2010 il tasso di crescita annuo non è mai sceso al di sotto della
doppia cifra (+44% e +27%, rispettivamente il livello massimo raggiunto). All’ultima
verifica (agosto 2013) i prestiti alle imprese risultavano in crescita a/a del 13%, quelli
10
11. 24 dicembre 2013
alle famiglie del 32,5%, con evidenti indicazioni di un rallentamento in atto (nella prima
parte del 2012, era ancora +25% a/a e +41% a/a, rispettivamente).
I prestiti alle famiglie costituiscono meno del 30% dei prestiti totali e nel loro ambito i
mutui per l’acquisto dell’abitazione ne rappresentano circa un quarto. In entrambi i casi
la Russia è piuttosto lontana dai paesi che ragionevolmente possono essere assunti
come riferimento: in Russia i prestiti alle famiglie rappresentano (2012) il 12,4% del Pil,
un livello che Romania e Bulgaria hanno raggiunto nel 2006; da parte loro i mutui sono
appena al disopra del 3% del Pil rispetto al 20% dell’Ungheria e al 19% della Croazia.
Diversamente da altri paesi della regione, tuttavia, in Russa sono trascurabili i prestiti
alle famiglie denominati in valuta estera (3% rispetto al circa 60% delle consistenze in
Ungheria o al 77% delle nuove erogazioni in Polonia). Dal lato delle imprese la quota
dei prestiti denominati in valuta è più elevata (20%).
Alla crescita dei prestiti ha corrisposto un andamento altrettanto sostenuto dei depositi
delle famiglie e delle imprese. In termini di consistenze, la quota delle prime è pari a
circa il 60%, quella delle seconde al 35%. L’incidenza dei depositi denominati in valuta
è diminuita in misura contenuta (dal quasi 30% a circa un quarto). L’andamento
declinante del rapporto prestiti/depositi (dal 122% a metà 2010 al 119% di fine
settembre 2013) segnala chiaramente che la crescita dei prestiti non ha trovato
resistenze dal lato della raccolta.
Come altre volte verificato, una crescita così sostenuta dei finanziamenti condiziona
negativamente la qualità complessiva del portafoglio prestiti (alla fine del settembre
scorso l’incidenza dei prestiti fortemente irregolari era pari al 6,6%). Il fenomeno si
manifesta con maggiore gravità nel campo del credito al consumo: nei primi nove mesi
del 2013, pur a fronte di una crescita delle consistenze del 36%, l’incidenza dei prestiti
irregolari è salita dal 5,9% al 7,7%. Altre circostanze rafforzano la percezione che in
questo campo la situazione sia molto tesa: il numero delle persone titolari di quattro o
più prestiti personali è raddoppiato in tempi molto ristretti; la principale banca del paese
sta rapidamente aumentando il tasso di rifiuto; etc.
La Russia partecipa all’attività del Comitato di Basilea. La piena applicazione delle
regole di Basilea 2 e Basilea 2.5 è traguardo molto vicino; decisamente in ritardo,
invece, è l’adozione della normativa Basilea 3 7. Per quanto riguarda quest’ultima la
Banca Centrale Russa ha pubblicato nel dicembre 2012 le necessarie disposizioni con
l’indicazione alle banche di procedere alla loro applicazione entro novembre 2013. Nel
luglio 2013 la stessa istituzione è però intervenuta sia spostando la scadenza a
gennaio 2014 sia riducendo il requisito minimo richiesto per il coefficiente core Tier 1
(dal 5,6% al 5%) e per quello Tier 1 totale (da 7,5% a 5,5% da incrementare a 6%
entro il 2015); il coefficiente patrimoniale minimo complessivo (Tier 1 + Tier 2), invece,
è stato confermato al 10%, al di sopra dell’8% stabilito nella normativa di Basilea.
Il rinvio e l’alleggerimento dei requisiti (comunque allineati o superiori a quelli
concordati a Basilea) segnalano qualche preoccupazione delle autorità per la tenuta di
7
Cfr. Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Rapporto ai leader del G20 sul monitoraggio
dell’attuazione delle riforme di Basilea 3, agosto 2013.
Le regole Basilea 2 (pubblicate nel 2004) hanno migliorato la misurazione del rischio di credito e introdotto
disposizioni relative al rischio operativo; le disposizioni di Basilea 2.5 modificano in profondità la
misurazione dei rischi relativi alle operazioni di cartolarizzazione e alle esposizioni collegate al portafoglio
di negoziazione; Basilea 3 fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali e introduce un nuovo schema
internazionale per la regolamentazione della liquidità. A partire dal vertice di Cannes (novembre 2011) i
leader del G20 hanno ripetutamente sollecitato le varie giurisdizioni a realizzare una piena e coerente
attuazione di Basilea 2 e Basilea 2.5 entro la fine del 2011 e di Basilea 3 a partire dal 2013 ed entro il 1°
gennaio 2019.
11
12. 24 dicembre 2013
una parte del sistema bancario. Secondo una stima della società di consulenza KPMG,
l’alleggerimento delle disposizioni annulla quasi completamente (in media) il
fabbisogno di patrimonio necessario alle prime 50 banche del paese per rispettare sin
dal 2015 i requisiti fissati dalla banca centrale.
12
13. 24 dicembre 2013
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial
Indice Vix
400
60
350
300
50
250
40
200
30
150
100
20
Index Itraxx EU Financial Sector
50
set-13
nov-13
lug-13
mag-13
gen-13
mar-13
set-12
nov-12
lug-12
mag-12
gen-12
mar-12
set-11
nov-11
lug-11
mag-11
gen-11
0
mar-11
set-13
nov-13
lug-13
mag-13
gen-13
mar-13
set-12
nov-12
lug-12
mag-12
gen-12
mar-12
set-11
nov-11
lug-11
mag-11
gen-11
10
mar-11
0
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio passano da 96 a 86 pb.
L’indice Vix nell’ultima settimana scende a
quota 14.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent
Prezzo dell’oro
(Usd per barile)
(Usd l’oncia)
2.000
130
1,5
1.900
125
1,45
1.800
1,4
1.700
120
115
1,35
110
1,3
105
1.500
1.400
nov-13
set-13
lug-13
mar-13
mag-13
nov-12
gen-13
set-12
lug-12
mar-12
mag-12
nov-11
gen-12
1.200
set-11
1,15
lug-11
90
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13
1,2
mar-11
Cambio euro/dollaro sc.ds.
mag-11
Brent scala sin.(in Usd)
1.300
gen-11
1,25
100
95
1.600
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ a 1,37. Il petrolio di qualità
Brent quota $112 al barile.
Il prezzo dell’oro rimane sotto i 1.300 dollari
l’oncia.
13
14. 24 dicembre 2013
Borsa italiana: indice Ftse Mib
Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)
24.000
1.400
22.000
1.200
1.000
20.000
800
18.000
600
400
16.000
0
12.000
gen-11 mag-11 set-11 gen-12 mag-12 set-12 gen-13 mag-13 set-13
gen-11
feb-11
mar-11
apr-11
mag-11
giu-11
lug-11
ago-11
set-11
ott-11
nov-11
dic-11
gen-12
feb-12
mar-12
apr-12
mag-12
giu-12
lug-12
ago-12
set-12
ott-12
nov-12
dic-12
gen-13
feb-13
mar-13
apr-13
mag-13
giu-13
lug-13
ago-13
set-13
ott-13
nov-13
dic-13
200
14.000
Italia
Spagna
Irlanda
Portogallo
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson
Reuters
Il Ftse Mib sale oltre quota 18.000.
I differenziali con il Bund sono pari a 438 pb
per il Portogallo, 156 pb per l’Irlanda, 227 pb
per la Spagna e 225 pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry
Euribor 3 mesi
(val. %)
12.000
6
10.000
5
8.000
4
set-13
set-12
gen-13
mag-13
set-11
gen-12
mag-12
set-10
gen-11
mag-11
set-09
gen-10
mag-10
set-08
gen-09
mag-09
0
set-07
1
0
gen-08
mag-08
2
2.000
set-06
4.000
gen-07
mag-07
3
gen-08
apr-08
lug-08
ott-08
gen-09
apr-09
lug-09
ott-09
gen-10
apr-10
lug-10
ott-10
gen-11
apr-11
lug-11
ott-11
gen-12
apr-12
lug-12
ott-12
gen-13
apr-13
lug-13
ott-13
6.000
Fonte: Thomson Reuters
Fonte: Thomson Reuters
L’indice Baltic Dry nell’ultima settimana sale
oltre quota 2.000.
L’euribor 3m resta stabile poco oltre 0,20%.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNLGruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.
14