CON OCCHI DIVERSI - catechesi per candidati alla Cresima
Marini alessia 5_f
1. MARINI ALESSIA 5F
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LA DUPLICE NATURA DELLA LUCE: DAL DETERMINISMO CLASSICO AL VASTO
MONDO DELLA PROBABILITA’ QUANTISTICA
La meccanica quantistica è la teoria delle interazioni tra le particelle elementari. Essa è nata tra il
1923 e il 1927, con il contributo di diversi fisici. Inizialmente apparve in due formulazioni
apparentemente diverse: la meccanica delle matrici (Heisenberg, Born, Jordan) e la meccanica
ondulatoria (Schrödinger). Successivamente fu lo stesso Schrödinger a dimostrare l’equivalenza delle
due formulazioni. Alla base della meccanica ondulatoria si trova l’ipotesi di de Broglie (1924).
Per risolvere le difficoltà sorte nell’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, si era reso necessario
attribuire alla luce, e in generale a tutta la radiazione elettromagnetica, proprietà corpuscolari.
Tuttavia la luce si manifesta in molti casi anche come un’onda.
Nel 1924, il francese Louis de Broglie ebbe l’intuizione che la dualità onda-corpuscolo dovesse
riflettere una legge universale della fisica e riguardare anche le particelle. Applicando una sorta di
principio di simmetria, de Broglie fece un’ipotesi: se le radiazioni luminose, che presentano
palesemente un carattere ondulatorio, possono a volte comportarsi come corpuscoli, allora forse gli
elementi di materia, come elettroni o protoni, in determinate circostanze possono comportarsi come
onde. De Broglie ipotizzò che la lunghezza d’onda associata a una particella materiale dipendesse
dalla quantità di moto nella stessa forma; essendo p=mv, egli mise in relazione, tramite la costante di
Planck ( h= 6,626 ×10−34
𝐽 ∙ 𝑠), due grandezze caratteristiche dei corpuscoli (massa e velocità) con
una grandezza peculiare delle onde:
𝜆 =
ℎ
𝑚𝑣
Nel 1927 l’ipotesi di de Broglie venne confermata dai lavori di C.J. Davisson e L.H Germer negli
USA. Successivamente, per mettere in evidenza la duplice natura della luce e delle particelle
materiali, Richard Philips Feynman(1918-1988) suggerì di riconsiderare l’esperimento di Young. Si
trattava di inviare dei fasci luminosi attraverso una lastra su cui erano stati praticati dei fori di
larghezza comparabile alla lunghezza d'onda della luce in esame e di osservarne l'intensità su uno
schermo. Nel caso della teoria corpuscolare ci si aspetta che ogni singolo fotone passi attraverso una
sola fenditura e, dopo che un numero elevato di fotoni è stato inviato sullo schermo, si dovrebbero
osservare due zone molto luminose in corrispondenza della posizione delle due fenditure e null'altro.
Quello che è stato rivelato, in realtà, è un comportamento completamente differente, con varie zone
di ombra e luce sullo schermo; un tale comportamento, noto con il termine di interferenza luminosa,
è facilmente spiegabile con la teoria ondulatoria della luce, in base alla quale le onde “uscenti” dalle
fenditure interferiscono nello spazio al punto che, in alcune zone la luce complessiva “si somma” (ed
allora vediamo le frange luminose sullo schermo) mentre in altre “si sottrae”, (ed allora siamo in
presenza di zone di ombra). Da questo esperimento ne deriva, quindi, che il carattere ondulatorio è
una proprietà intrinseca della singola particella, poiché essa interagisce simultaneamente con
entrambe le fenditure, che in tal modo sono condotte a comportarsi come due sorgenti coerenti e nel
momento in cui si cerca di rilevare il percorso degli elettroni o dei fotoni, essi tornano a mostrare il
loro aspetto corpuscolare. Questi esperimenti rivelano che il modello di onda e il modello di particella
sono complementari, per cui se un esperimento permette di osservare un aspetto di un fenomeno
fisico, esso impedisce al tempo stesso di osservare l’aspetto complementare dello stesso fenomeno
(principio enunciato da Bohr).
L’ipotesi di de Broglie permette di definire un’entità, definita particella quantistica, che è possibile
rappresentare attraverso un pacchetto di onde, ovvero una sovrapposizione di onde armoniche.
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Tuttavia, la particella quantistica può percorrere stabilmente solo le orbite la cui circonferenza 2πr
contenga un numero intero di lunghezze d’onda di de Broglie λ, cioè tali che sia:
2𝜋𝑟
𝜆
= n (n=1,2,3, …)
Indicando con v il modulo della velocità dell’elettrone e utilizzando la relazione di de Broglie che
lega la lunghezza d’onda, la massa e la velocità, possiamo scrivere:
2𝜋𝑚𝑣𝑟
ℎ
= 𝑛 oppure mvr = n
ℎ
2𝜋
Questa equazione coincide con la quantizzazione del momento angolare, cioè con la condizione
imposta da Bohr nel quantizzare le orbite. La particella quantistica immaginata da de Broglie si rivela
quindi compatibile con il modello di Bohr: le orbite permesse all’elettrone atomico sono sedi di onde
stazionarie, che non si estinguono per interferenza distruttiva al passare del tempo.
Le idee di de Broglie sulla natura ondulatoria della materia acquistarono un soddisfacente formalismo
matematico nel 1926 per opera del viennese Erwin Schrödinger(1887-1961). Schrödinger sviluppò la
sua teoria, la meccanica ondulatoria, da un’equazione differenziale simile a quelle che descrivono la
propagazione delle onde meccaniche o elettromagnetiche. La sua equazione permette di calcolare la
distribuzione nello spazio e l’evolversi nel tempo di una particella o di un sistema di particelle
soggette a forze conservative, nel limite in cui gli effetti relativistici siano trascurabili. L’equazione
di Schrödinger ha come soluzione una funzione a valori complessi delle coordinate spaziali e
temporali della particella quantistica, che nota come funzione d’onda e generalmente indicata con il
simbolo 𝛹, contiene tutta l’informazione sull’evoluzione dell’onda particella nello spazio e nel
tempo. Per mettere in relazione la funzione d’onda con grandezze misurabili e stabilire una
connessione significativa tra meccanica ondulatoria e realtà sperimentale, il tedesco Max Born ricorse
al concetto di probabilità. Egli chiarì che la probabilità di trovare un corpuscolo in una regione di
volume ∆𝑉 contenente un punto di coordinate x,y e z e in un intervallo di tempo ∆𝑡 è direttamente
proporzionale a:
|𝛹(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)|2
∆𝑉 ∆𝑡
Il quadrato del modulo della funzione d’onda si definisce densità di probabilità, e indica una
probabilità per unità di volume e per unità di tempo. La meccanica quantistica rinuncia così al
determinismo della fisica classica e si limita a stabilire la probabilità con cui una particella si evolve
verso gli stati possibili. D’altra parte l’intervento di uno sperimentatore che effettui una misura, riduce
tutte le possibilità a una sola: il luogo in cui è stata effettivamente catturata. Si parla, in questo caso,
di collasso della funzione d’onda.
L’equazione di Schrödinger permette, inoltre, di determinare la forma degli orbitali elettronici che
contraddistinguono i diversi stati quantici di un atomo e i corrispettivi livelli di energia. Abbandonato
il concetto classico di traiettoria, gli stati quantici non sono più pensati come un insieme discreto di
orbite circolari definite, percorse da un elettrone puntiforme, ma sono caratterizzati da funzioni
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d’onda stazionarie che definiscono la probabilità per unità di volume di trovare l’elettrone in un
determinato punto intorno al nucleo. A ogni stato è dunque assegnata una distribuzione elettronica,
chiamata orbitale.
Seguendo i principi della meccanica quantistica e sfruttando le leggi della fisica quantistica, il
computer quantico (o computer quantistico) sfrutta dunque i qubit per eseguire calcoli complessi in
parallelo ad una velocità inimmaginabile rispetto ad un supercomputer di oggi. In particolare, i
quantum bit hanno alcune proprietà che derivano dalle leggi della fisica quantistica come:
• la sovrapposizione di stati (possono essere contemporaneamente 0 e 1) grazie alla quale si
possono fare calcoli paralleli anziché sequenziali come avviene oggi con la capacità
computazionale dei computer “tradizionali”. La sovrapposizione di stati, nella fisica
quantistica, rappresenta l’esistenza simultanea di tutti gli stati possibili di una particella o
un’entità fisica prima della sua misurazione (ciò significa prima che avvenga la misurazione,
gli stati dei qubit co-esistono e possono essere visti come una specie di “nuvola di
probabilità”). Solo con la misurazione è possibile definire in modo preciso la proprietà del
qubit;
• l’entanglement, cioè la correlazione che c’è tra un qubit ed un altro, aspetto molto importante
perché è da qui che deriva una forte accelerazione nel processo di calcolo grazie all’influenza
che un qubit può produrre su un altro anche se distante;
• l’interferenza quantistica, che è di fatto l’effetto del primo principio (la sovrapposizione
degli stati), permette di “controllare” la misurazione dei qubit basandosi sulla natura
ondulatoria delle particelle.
LIMITI
Le particelle sono instabili e
la loro misurazione è molto
complessa, a cui va aggiunto
il fatto che l’instabilità delle
particelle genera calore che,
ad oggi, può essere
controllato solo con avanzati
sistemi di raffreddamento per
portare i circuiti vicino al
cosiddetto zero assoluto
oppure utilizzando “ioni
intrappolati” o il
raffreddamento magnetico.
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Esercizio guidato: Un elettrone può muoversi avanti e indietro parallelamente allo spigolo di una
microscopica scatola, lungo 1,00 ×10−8
m. Dimostriamo che l’energia della particella può assumere
solo valori discreti e calcoliamo il più basso di tali valori.
ANALISI DELLA SITUAZIONE FISICA E SOLUZIONE
Indichiamo con L la lunghezza del segmento fra i cui estremi è confinato il moto unidimensionale
dell’elettrone. Poiché la particella non può fuoriuscire dal segmento (immaginiamo che le pareti della
scatola costituiscano barriere di potenziale infinitamente alte, tali da impedire l’effetto tunnel), la
probabilità che essa si trovi all’esterno è nulla. Ricordando che il modulo quadrato della funzione
d’onda 𝛹 esprime, in senso probabilistico, la distribuzione della particella nello spazio, possiamo
affermare che 𝛹 deve annullarsi agli estremi del segmento. Pertanto, in analogia con le onde
stazionarie che si stabiliscono su una corda con estremi fissi, le funzioni d’onda possibili sono quelle
la cui semilunghezza d’onda è contenuta un numero intero di volte nella lunghezza L del segmento.
Ciò vuol dire che la lunghezza d’onda di de Broglie λ dell’elettrone deve soddisfare la condizione:
L= n
𝜆
2
→ λ =
2𝐿
𝑛
(n=1,2,3,4, …)
Essendo anche, per definizione,
λ =
ℎ
𝑚 𝑒 𝑣
dove 𝑚 𝑒 è la massa dell’elettrone e v il modulo della sua velocità, vale l’equazione
ℎ
𝑚 𝑒 𝑣
=
2𝐿
𝑛
da cui v =
ℎ
2 𝐿 𝑚 𝑒
𝑛
Poiché dentro la scatola l’elettrone non è soggetto ad alcuna forza, la sua energia meccanica E è solo
cinetica:
E =
1
2
𝑚 𝑒 𝑣2
Sostituendo l’espressione di v, dipendente dal numero quantico n, si dimostra che l’energia
dell’elettrone nella scatola è quantizzata e si ricavano i livelli 𝐸 𝑛 =
ℎ2
8 𝑚 𝑒 𝐿2
𝑛2
.
La minima energia si ottiene dall’equazione scritta precedentemente ponendo n=1 (n=0
corrisponderebbe all’assenza della particella, cioè a una funzione d’onda nulla in tutti i punti dello
spazio):
𝐸1 =
ℎ2
8 𝑚 𝑒 𝐿2
= 6,03 × 10−22
J.
Il fatto che l’energia non possa annullarsi
indica che un elettrone chiuso in uno spazio
limitato non è mai rigorosamente in quiete.
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Per meglio comprendere il concetto di densità di probabilità del quadrato della funzione d’onda
precedentemente descritta, è necessario introdurre la definizione di distribuzione di probabilità e la
descrizione delle tre seguenti tipologie di densità di probabilità: binomiale, di Poisson e normale.
Sia X una variabile aleatoria che assume i valori 𝑥1, 𝑥2, 𝑥3,…, 𝑥 𝑛, con probabilità rispettive
𝑝1, 𝑝2, 𝑝3,…, 𝑝 𝑛; si definisce:
• distribuzione di probabilità (o densità) della variabile aleatoria X la funzione che associa a
ciascun 𝑥𝑖 la rispettiva probabilità 𝑝𝑖;
• media della variabile aleatoria X il numero: 𝜇 = 𝑥1 𝑝1 + …+ 𝑥 𝑛 𝑝 𝑛;
• varianza di X il numero: 𝜎2
= [𝑥1 − 𝜇]2
× 𝑝1 +…+ [𝑥 𝑛 − 𝜇]2
× 𝑝 𝑛;
• deviazione standard di X, la radice quadrata della varianza: 𝜎.
Si dice esperimento di Bernoulli un esperimento aleatorio che può avere solo due possibili esiti. La
probabilità p di successo si dice parametro dell’esperimento.
Si chiama processo di Bernoulli l’esperimento aleatorio consistente nella ripetizione di n prove di
Bernoulli identiche e indipendenti. La variabile aleatoria X che conta il numero complessivo di
successi ottenuti nelle n prove si dice binomiale di parametri n e p.
Sia X una variabile aleatoria binomiale di parametri n e p.
• la distribuzione di probabilità di X è data dalla formula:
p(X = k) = (
𝑛
𝑘
) 𝑝 𝑘
(1 − p) 𝑛−𝑘
con k=1,2,3, …,n
• la media sarà: E(x) = np
• la varianza sarà: V(x) = np(1 - p)
Una variabile aleatoria discreta X è detta di Poisson di parametri λ, con λ > 0, se la sua distribuzione
di probabilità è assegnata da:
p(X = k) = 𝑒−𝜆 𝜆 𝑘
𝑘!
con k=0,1,2,…
Sia X una variabile aleatoria di Poisson di parametro λ; allora sia la media che la varianza di X sono
uguali a λ: E(x) = λ V(x) = λ con λ = np
Una variabile aleatoria continua si dice avere distribuzione normale (o gaussiana) di parametri 𝜇 e
𝜎2
, con 𝜇 ∈ R e 𝜎 > 0, se la sua densità di probabilità è la funzione:
f(x) =
1
𝜎√2𝜋
𝑒
−
(𝑥− 𝜇)2
2𝜎2
La media e la varianza di una variabile aleatoria X normale di parametri 𝜇 e 𝜎2
sono espresse dalle
formule: E(x) = 𝜇 e V(x) = 𝜎2
𝜙(−𝑧) = 1 − 𝜙(𝑧) per ogni z > 0, con z =
𝑋− 𝜇
𝜎
.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:
A.Caforio, A. Ferilli-Fisica! Pensare l’Universo – Le Monnier
L.Sasso, C. Zanone- I colori della matematica -Dea
https://www.ai4business.it/intelligenza-artificiale/computer-quantistico/