Esame di Stato 2024 - Materiale conferenza online 09 aprile 2024
Quando il cibo racconta e giunge all'anima i b
1. 1
QUANDO IL CIBO RACCONTA…
E GIUNGE ALL’ANIMA
IC2MONTESARCHIOSCIENZA 2015
2. 2
Nell’Antico e nel Nuovo Testamento
la parola di Dio è il pane degli uomini.
Parola e cibo insieme, dunque:
il cibo, nutrimento del corpo, diviene
metafora vigorosa di Sapere e Verità
quale nutrimento dell’anima.
3. 3
Uno dei temi che maggiormente sta prendendo piede negli ultimi anni è quello
dell’alimentazione. Mangiare bene non è più una semplice indicazione salutare, ma è
anche un piacere da condividere e trasmettere. L’Expo 2015 è emblema di questa
nuova attenzione al cibo, diventato non più forma di sostentamento, ma elemento
centrale nella vita di tutti. Imparare a cucinare, studiare nuove ricette, informarsi su
tradizioni e simboli della cultura enogastronomica è ormai un piacere dedicato non
solo a chef ed esperti del settore, ma anche a semplici neo – appassionati. In
letteratura, molti autori hanno dedicato odi, scritti, romanzi a questa meravigliosa
arte culinaria, descrivendone cultura, sviluppo e aneddoti; tanti hanno affrontato
l’argomento con moltissimi testi, che vanno da trattati culinari a generi paraletterari
come i grandi ricettari, senza dimenticare i romanzi e i racconti dove la cucina ha un
ruolo chiave. Inoltre miti, leggende e fiabe legate al cibo portano con sé e
distinguono tra loro le tradizioni delle società occidentali e orientali, accomunate dal
posto di rilievo a esso dedicato. L’attività letteraria e gastronomica si
accompagnano nel corso di tutta la storia della letteratura. Emblematico è il caso di
Dante che nel suo Convivio paragona le quattordici canzoni ad altrettante vivande
e dove i commenti al testo sono paragonati al pane “sanza lo quale da loro non
potrebbe esser mangiata”.
Il cibo è bagaglio culturale delle civiltà e occupa un posto di rilievo anche nelle
produzioni artistiche. In epoca moderna l’accostamento della gastronomia a tutte le
altre espressioni artistiche, quali pittura, musica e architettura, viene affermato con
convinto vigore da gastronomi del calibro di Gualtiero Marchesi o di Pietro
Leemann . Scrive Marchesi “la cucina attenta, ponderata, colta, sa dialogare con
altre espressioni culturali perché è essa stessa cultura”.
4. 4
Quante se ne dicono: “Ma sarà vero?”; “Lo sapevi che…?”; “Ha mai sentito parlare
di …?”
E’ vero: se ne dicono tante e altrettante se ne scrivono, ma qualcosa di vero c’è.
Storie, aneddoti, leggende, appunto, alcune veramente sorprendenti.
Curiosità
Partiamo dalla Catalogna, magari, dove esiste un formaggio dall’odore
insopportabile ma dal sapore eccezionale, il “Tupi”. Il primo dubbio che lo riguarda
5. 5
è facilmente risolvibile. Immaginatevi un assedio, o una situazione di carestia: dopo
aver esaurito ogni scorta, come estrema risorsa qualcuno fu costretto a consumare
anche il formaggio “andato a male” avendo, in questo caso, la piacevole sorpresa di
scoprire che esso si era trasformato in qualcosa di estremamente appetibile. L’altro
mistero riveste il nome del formaggio stesso, “Tupi”, che sfugge a ogni etimologia.
Ebbene, provate a ipotizzare che il formaggio in questione fosse di origine greca;
sulla cassa che lo conteneva ci sarebbe stata la dicitura “Tiri” (formaggio, appunto),
scritta, naturalmente, nei caratteri di quella lingua. Per pura combinazione, le lettere
centrali somigliano alle nostre “u” e “p”, e la loro (errata) lettura potrebbe aver
generato un equivoco linguistico che perdura ancora ai giorni nostri.
Ad un’interpretazione sbagliata potrebbe essere dovuto anche il termine “BBQ”
(poi trasformato in “Barbecue”), che significa “alla griglia”, e sulla cui origine non è
mai stata fatta luce. In arabo, “alla griglia” si dice “Qabab” (o “Qebab”, o “Kabab”,
o “Kebab”): le differenze di trascrizione sono dovute al fatto che gli arabi non
indicano le vocali, e che la lettera “Kof” non è né una “k” né una “q”, ma una via di
mezzo tra le due. Scrivete “Qabab” alla “araba”, cioè senza vocali e da destra a
sinistra: otterrete le tre lettere BBQ, all’origine dell’enigma.
Dalla linguistica alla chimica: vi siete mai chiesti come si riesca a infilare la ciliegina e
il liquore in certi “boeri” industriali, sul tipo dei famosi “Mon Cheri”? Chi immagina
che liquore e ciliegia vengano sistemati in “gusci” vuoti, successivamente chiusi da
una sorta di coperchio di cioccolato, si sbaglia: il sistema sarebbe complicato, lento
e costoso; oltretutto (guardare per credere), i prodotti non presentano alcun segno
di saldatura. Le ciliegine sotto spirito vengono circondate da un blocchetto di pasta
di zucchero semisolido, trattato con particolari enzimi; i blocchetti – cui viene data la
forma desiderata – sono quindi immersi nella cioccolata fusa, che forma l’involucro
esterno. Una volta al chiuso e al buio, gli enzimi sciolgono lo zucchero, che assume
un po’ di alcol dalla ciliegina stessa, e il gioco è fatto.
A Proposito di...
6. 6
C’eravamo lasciati con la chimica: e allora perché, a questo punto, non occuparsi
anche di fisica? Anzi di un fisico, ad esser precisi:Alessandro Volta.
Sapevate che, oltre alla batteria, il grande scienziato comasco ha inventato anche
gli gnocchi di patate? Ai suoi tempi si scatenò un’ingiustificata campagna contro
questi tuberi, dovuta all’errata convinzione che le solanacee fossero velenose (lo
sono, come tutti i vegetali, ma esclusivamente in particolarissime circostanze).
Volta – già famoso e stimato – spezzò una lancia in favore dei coltivatori, spiegando
che non solo esse non erano pericolose ma, mescolate all’impasto, rendevano più
leggeri gli gnocchi, fino ad allora costituiti solo da farina di grano, come i “pisarei”
piacentini e i “malloreddus” sardi.
Potremmo da qui continuare con una nutrita raffica di “trivia”, che coinvolgono
storia, geografia, personaggi famosi: perché la zuppa inglese si chiama inglese
quando invece è bolognese? (perché alchermes e kummel le conferiscono i colori
rosso e azzurro della bandiera inglese); perché gli hot-dogs (“cani caldi)” si chiamano
così quando, grazie al cielo, non sono fatti di cane? (perché il termine è la contrazione
di “Hot-Dachshund-Dog Sausage”, ovvero “salsiccia calda a forma di bassotto”);
da dove nasce il nome delle deliziose “pesche Melba”? (dalla celebre soprano
australiana Nellie Melba).
Potrebbe sembrare addirittura tutto uno scherzo, se messa in questi termini.
Eppure, anche il Carnevale qualcosa c’entra. Coriandolo, infatti, come tutti
7. 7
sapete, è il nome di una pianta dai semi odorosi e commestibili, tradizionalmente usati
per confezionare dolci e liquori. Nella pasticceria medievale, il seme si rivestì di
zucchero e diventò coriandolo confetto (cioè confezionato). Col passar dei secoli,
confetto si trasformò da aggettivo in sostantivo e fu usato, in alternativa a
coriandolo, per designare il tutto. Verso la fine del Settecento qualche burlone,
invece dello zucchero, usò del gesso per far confetti o coriandoli fasulli da lanciare
a Carnevale. A metà dell’Ottocento l’antico nome coriandolo prevalse, ma le
autorità ne proibirono il lancio per ragioni di pubblica sicurezza. E un tal Mangilli,
originario di Crescenzago (Milano), inventò i coriandoli di carta in sostituzione di
quelli di gesso, che a loro volta avevano sostituito quelli di zucchero.
Gioco per gioco, allora, chi se la sentirebbe di azzardare una bella roulette russa a
tavola? Nulla di strano, che credete: anche i giapponesi la fanno. Grazie a un pesce,
il puffarolo o pesce rospo (fugu in giapponese e Arothron hispidus nel linguaggio
scientifico, perché quando è irritato si gonfia e si riempie di aculei). La carne cruda
di questo pesce, che misura intorno ai cinquanta centimetri di lunghezza, è
considerata talmente prelibata dai giapponesi che, pur di gustarla, sono disposti a
rischiare la vita. Il consumo del fugu è proibito dalla legge: infatti, ogni anno, decine
di persone muoiono avvelenate per causa sua. Tuttavia, in certi ristoranti, si trovano
cuochi esperti in grado di prepararlo a dovere, eliminandone tutte quelle parti
contenenti un veleno più potente del cianuro (uova, fegato, intestino, sangue). Ma
va detto che, sino alla fine del pasto, non si è mai sicuri se si uscirà dal ristorante in
piedi o distesi. Che cosa spinge a i giapponesi a desiderare così ardentemente il
fugu? La ghiottoneria o il sottile, masochistico piacere di scampare alla morte?
8. 8
La leggenda di San Girolamo
San Girolamo riporta meticolosamente la dieta del santo eremita Ilarione di Gaza,
che per tre anni si nutrì quotidianamente di circa mezzo chilo di lenticchie ammollate
nell’acqua fredda, e per altri tre anni di pane scondito con sale e acqua.
Da tale digiuno si rimise mangiando erbe di campo e radici crude, un etto e mezzo di
pane d’orzo e verdura poco cotta, senz’olio, per altri quattro anni. Ma sentendo che
i suoi occhi si annebbiavano e che tutto il corpo era roso da una terribile scabbia,
aggiunse olio al vitto precedente.
E così fece dai trent’anni fino ai sessantatre.
L’aggiunta del sano condimento non lo liberò da tormentose allucinazioni che,
secondo san Girolamo, si presentavano al pover’uomo nelle sembianze di donne
nude e pranzi succulenti.
Il comportamento di Ilarione non è un caso isolato nei primi secoli dell’epoca
cristiana, quando molti credenti si ritiravano in luoghi desertici per conquistare la
salvezza dell’anima attraverso le più atroci mortificazioni del corpo.
9. 3
Uno dei temi che maggiormente sta prendendo piede negli ultimi anni è quello
dell’alimentazione. Mangiare bene non è più una semplice indicazione salutare, ma è
anche un piacere da condividere e trasmettere. L’Expo 2015 è emblema di questa
nuova attenzione al cibo, diventato non più forma di sostentamento, ma elemento
centrale nella vita di tutti. Imparare a cucinare, studiare nuove ricette, informarsi su
tradizioni e simboli della cultura enogastronomica è ormai un piacere dedicato non
solo a chef ed esperti del settore, ma anche a semplici neo – appassionati. In
letteratura, molti autori hanno dedicato odi, scritti, romanzi a questa meravigliosa
arte culinaria, descrivendone cultura, sviluppo e aneddoti; tanti hanno affrontato
l’argomento con moltissimi testi, che vanno da trattati culinari a generi paraletterari
come i grandi ricettari, senza dimenticare i romanzi e i racconti dove la cucina ha un
ruolo chiave. Inoltre miti, leggende e fiabe legate al cibo portano con sé e
distinguono tra loro le tradizioni delle società occidentali e orientali, accomunate dal
posto di rilievo a esso dedicato. L’attività letteraria e gastronomica si
accompagnano nel corso di tutta la storia della letteratura. Emblematico è il caso di
Dante che nel suo Convivio paragona le quattordici canzoni ad altrettante vivande
e dove i commenti al testo sono paragonati al pane “sanza lo quale da loro non
potrebbe esser mangiata”.
Il cibo è bagaglio culturale delle civiltà e occupa un posto di rilievo anche nelle
produzioni artistiche. In epoca moderna l’accostamento della gastronomia a tutte le
altre espressioni artistiche, quali pittura, musica e architettura, viene affermato con
convinto vigore da gastronomi del calibro di Gualtiero Marchesi o di Pietro
Leemann . Scrive Marchesi “la cucina attenta, ponderata, colta, sa dialogare con
altre espressioni culturali perché è essa stessa cultura”.
10. 10
Si narra che alla vigilia di Natale, nella corte del Duca Ludovico il Moro, Signore
di Milano, si tenne un gran pranzo. Per quell’occasione il capo della cucina aveva
predisposto un dolce particolare, degno di chiudere con successo il fastoso
banchetto. Accortosi che il dolce era bruciato durante la cottura, il panico colse
l'intera cucina. Per rimediare alla mancanza, uno sguattero della cucina, detto Toni,
propose un dolce che aveva preparato per sé, usando degli ingredienti che aveva
trovato a disposizione tra gli avanzi della precedente preparazione. Il capo cuoco,
non avendo altro da scegliere, decise di rischiare il tutto per tutto, servendo l'unico
dolce che aveva a disposizione. Un "pane dolce" inconsueto fu presentato agli
invitati del Duca, profumato di frutta candita e burro, con una cupola ben brunita,
fu accolto da fragorosi applausi e in un istante, andò a ruba. Un coro di lodi si levò
unanime e gli ospiti chiesero al padrone di conoscere il nome e l’autore di questo
straordinario pane dolce. Toni si fece avanti dicendo di non avergli ancora dato
nessun nome. Il Duca allora lo battezzò con il nome del suo creatore e da quel
momento tutti mangiano e festeggiano con il "pan del Toni", ossia il panetto ormai
in tutto il mondo.
Un'abitudine chiamata Geofagia
11. 11
Da tempo si sapeva che alcune popolazioni primitive (di diverse zone geografiche)
integravano la loro dieta, povera di certi minerali, mangiando… terra.
Un’abitudine, chiamata geofagia, che l’uomo ha
probabilmente acquisito osservando il
comportamento animale. Lo studio del gorilla di
montagna ha rivelato che questa scimmia
antropoide del Congo, accanto alla normale
alimentazione vegetale, sgranocchia anche
determinate pietre; nello stesso modo si
comportano l’alce e il daino siberiano.
Vassilj Bgatov, direttore del centro di ricerca dell’Istituto di Geologia e
Mineralogia di Novosibirsk, ha studiato per anni questi casi di litofagia, scoprendo
che in alcune regioni della Siberia, oltre agli animali, anche gli uomini completano la
loro dieta con pietre “commestibili” (zooliti siberiani, montmorilloniti )
E questi cibi decisamente inconsueti non soltanto non provocano occlusioni
intestinali o appendiciti, ma, attraverso uno scambio di ioni, permettono
all’organismo di assorbire i minerali migliorando le proprie difese immunitarie. Con
piglio imprenditoriale, quindi, Bgatov ha deciso di sfruttare commercialmente i
risultati delle sue indagini, dopo aver scoperto che la litofagia è praticata anche in
certe zone dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe, così come lo è stata in Sardegna,
in età preistorica.
Ha quindi messo a punto un preparato (chiamato Litovit e venduto in barattoli
contenenti una mistura di sassi teneri, crusca di frumento e grano saraceno), che ha
ottenuto anche discreto successo.
La leggenda del mais bianco
12. 12
Molti anni fa nacque, a Pipiles un villaggio del Messico, in una notte di luna piena
la figlia del signore del villaggio: aveva bellissimi occhi neri e un radioso sorriso che
le illuminavano il volto. Crebbe molto bella tanto che tutti i principi dei villaggi vicini
la chiedevano in sposa, ma il padre non sapeva decidersi.
Alla fanciulla piaceva passeggiare nel bosco, ammirare le montagne e bagnarsi nel
fiume quando il sole era alto nel cielo. Uno giorno che proprio si trovava a fare il
bagno sentì una voce provenire dalla montagna che diceva -Fanciulla, fiore amato
dallo spirito del giorno, se mi vuoi conoscere segui le orme che troverai accanto alle
rocce-. La giovane, incuriosita, seguì le orme fino a una roccia dove si fermò a
riposarsi. E subito la voce -Fanciulla, fiore amato dallo spirito del giorno, segui le
orme fino a quando arriverai a una grotta-.
Si mise in cammino e trovò, seduto, un bellissimo giovane con un copricapo
tempestato di brillanti-Sono il signore di Murcielager le disse e se rimarrai con me,
avrai un figlio forte come la roccia e bello come questo bosco-. La fanciulla rimase
con il giovane e dopo un po’ di tempo partorì un bambino dal sorriso radioso e dai
denti candidi come quelli della mamma.
Nel frattempo però nel villaggio di Pipiles la gente soffriva la fame perché un grosso
animale aveva mangiato il cuore del mais che doveva servire per la semina.
Quando la giovane apprese della disgrazia si recò dal padre il quale, ritenendola
responsabile dell’accaduto, le ordinò –Vai e trova semi di mais affinché il nostro
popolo cessi di soffrire la fame-.
La figlia partì e camminò fino alla grotta del signore di Murcielager a cui raccontò
tutte le sue pene. L’uomo ascoltò e poi disse –Non disperare, domani torna al
villaggio e dì agli uomini di preparare i campi e, al momento della semina, strappati i
denti e seminali-.
La fanciulla, per amore del suo popolo, si sacrificò e tutti si misero al lavoro. Il tempo
passò e quando il mais cominciò a dare i suoi frutti, gli abitanti del villaggio
scoprirono con meraviglia che i grani della pannocchia erano bianchi e brillanti come
i denti della donna.
13. 13
Il mais bianco era il regalo fatto dagli dei alla gente di Pipiles in ricordo della giovane
che era stata disposta a strapparsi i denti per salvare il suo popolo.
In cucina con il Detective
14. 14
Delle abitudini alimentari di Auguste Dupin, il primo investigatore così come siamo
soliti immaginarlo, creato da Edgar Allan Poe nel 1841, sappiamo ben poco. Ma di
molti dei più famosi detective che l’hanno seguito si conoscono diversi costumi e
fobie, anche se solo tre di loro hanno il merito di aver dato vita a veri e propri ricettari
di cucina, oltre ad aver risolto casi impossibili: Nero Wolfe, Jules Maigret e Pepe
Carvalho.
Sedersi a tavola e assaporare i raffinatissimi
piatti preparati dal cuoco svizzero Fritz
Brenner, nel caso del grasso eroe di Rex
Stout; versarsi un bicchiere di Bordeaux
rosso e pregustarsi il sapore dell’arrosto
della signora Maigret, per il commissario
creato da Georges Simenon; e infine,
sbucciare le cipolle per cucinare chissà quale
complicato piatto della tradizione spagnola, per il sensuale personaggio ideato da
Manuel Vàzquez Montalbàn.
Sono tutte operazioni che, rispetto alla finalità dell’indagine, hanno una funzione
ben precisa e indispensabile: ritemprare la mente affaticata del detective mediante
il contatto con l’essenza delle cose (il sapore delle ostriche, del paté di campagna o
degli involtini di cavolo ripieni delle ostriche stesse).
Per Wolfe, Maigret e Carvalho, la tavola è il luogo in cui la passione investigativa
trova nuovo vigore, e il cibo per il corpo diventa anche quello per lo spirito.
15. 4
Quante se ne dicono: “Ma sarà vero?”; “Lo sapevi che…?”; “Ha mai sentito parlare
di …?”
E’ vero: se ne dicono tante e altrettante se ne scrivono, ma qualcosa di vero c’è.
Storie, aneddoti, leggende, appunto, alcune veramente sorprendenti.
Curiosità
Partiamo dalla Catalogna, magari, dove esiste un formaggio dall’odore
insopportabile ma dal sapore eccezionale, il “Tupi”. Il primo dubbio che lo riguarda
16. 16
La decorazione e la disposizione dei cibi erano curate in modo scenografico, quasi
a voler accontentare più la vista che il palato o, almeno, stuzzicare, insieme alla
curiosità, anche l’appetito. Si puntava a nascondere i cibi fino a creare un effetto
sorpresa: basti pensare al porcus troianos, un maiale arrostito dal cui ventre, aperto
in tavola, uscivano volatili di vari tipi, proprio come dal cavallo di Troia erano usciti
gli incursori greci.
Dal Medioevo fino a tutto il Seicento, continuò nella gastronomia principesca,
anche se in misura sempre meno marcata, il gusto per il pittoresco, per gli scherzi
culinari e per l’accumulo di sapori contrastanti ed eterogenei: vitelli, caprioli, cervi,
cinghiali, serviti interi e circondati da oche, pernici, galli cedroni, pavoni e cigni, tutti
rivestiti delle loro penne dopo la cottura.
E poi, frutta fresca all’inizio del pasto così come negli stufati di carne, salse
zuccherate, mescolanza di carne e pesce, grande uso di spezie, anche per
mascherare l’odore e il sapore di carni non sempre ben conservate.
Nel Settecento, si cominciò pian piano a mutare orientamento. In sintonia con le
idee illuministiche, che predicavano un approccio naturale e razionale ai vari
fenomeni, anche la gastronomia si propose di sviluppare i sapori e le proprietà
naturali di ciascun prodotto.
Ciò significò un ritorno alla semplicità, un uso più discreto di sale e di spezie, nonché
la valorizzazione delle erbe aromatiche. Ma fu solo nei primi decenni dell’Ottocento
che, grazie soprattutto all’opera di un cuoco francese, Antonin Carême, questa
nuova filosofia della cucina si affermò definitivamente.
Gli alimenti sulle navi
17. 17
Un tempo gli alimenti freschi, e in special modo la frutta, erano praticamente
inesistenti sulle navi: per questo, durante i lunghi viaggi attraverso l’Oceano, i
marinai restavano vittime di una malattia “professionale”, lo scorbuto, dovuta alla
carenza di vitamina C.
Quando si scoprì che bastavano poche gocce di
succo di limone o di arancia nella dieta quotidiana,
per cautelarsi, si era ormai nel Seicento: ma ci
volle ancora più di un secolo perché fosse
obbligatoria la distribuzione di succo di agrumi
sulle navi. Le poche verdure che s’imbarcavano,
invece, finivano presto, e quelle che non
terminavano marcivano nelle stive a causa dell’altissima umidità.
La carne salata poi, ammollata in acqua dolce, risultava quasi immangiabile,
addirittura così coriacea da essere a volte utilizzata per farne tabacchiere e ninnoli;
l’unica carne fresca, invero, era quella dei ratti, che venivano quindi pagati a caro
prezzo. Per non parlare delle gallette, il cui nome deriva dall’antico francese gal, che
significa ciottolo.
Questo impasto di farina di frumento e acqua, cotto in forno e poi messo ad
essiccare, diventava infatti duro come un sasso ed era quasi impossibile romperlo
sia con le mani che con i denti. Sembra però che le gallette restassero commestibili
per cinquant’anni… o forse anche di più: a giudicare da quelle rinvenute nel 1821
sull’isola di Candia (l’attuale Creta, un tempo posseduta dai veneziani e ceduta ai
turchi nel 1699), vecchie di quasi due secoli ma in ottimo stato di conservazione.
A dare un aiuto alle mandibole dei marinai, infatti, erano piccolissimi coleotteri, i
curculioni, che tracciavano un sistema di gallerie all’interno della galletta rendendola,
comunque, almeno frantumabile.
18. 18
Così nacque il cioccolato
Un'antica leggenda narra che ai tempi in cui in Messico dominava Quetzacoatl, il
dio fondatore della stirpe precolombiana, una bella principessa azteca, lasciata di
guardia al tesoro dello sposo mentre questi era in guerra, fu assalita dai nemici che
volevano costringerla a rivelare dove fosse il tesoro. La principessa preferì morire
piuttosto che rivelare il segreto. Dal suo sangue versato da questa fedele sposa
nacque la pianta del cacao. Da quel giorno si dice che questo frutto nasconde un
tesoro nei suoi semi, "..amari come le sofferenze dell'amore, forti come la virtù e rossi
come il sangue della principessa". Questo dono dal cielo fu interpretato dagli
Aztechi come un regalo del dio Quetzacoatl, un omaggio reso alla fedeltà della
principessa per il suo sposo.Gli Aztechi attribuivano, infatti, l'origine dell'albero del
cacao a Quetzacoatl "serpente piumato", il dio barbuto dal viso brutto e dalla testa
lunga, che regnava nel villaggio di Tolla, antica città tolteca.
Si diceva che possedeva tutte le ricchezze del mondo, in oro, in argento e in pietre
preziose, e anche un gran numero di alberi del cacao di cui aveva insegnato, ai suoi
vassalli, la cultura. Tutto andava per il meglio, ma venne il tempo in cui finì la fortuna
di Quetzacoatl. Tre stregoni, invidiosi della sua felicità e della sua ricchezza, si
scatenarono contro Quetzacoatl. Uno dei due, il mago Titlacauan prese le
sembianze di un vecchio decrepito che gli disse :<<Signore, ti porto una bevanda
che è buona e che inebria colui che la beve; Ti intenerirà il cuore, ti guarirà e ti farà
conoscere le strada del tuo prossimo viaggio nel paese in cui troverai la
giovinezza>>.Quetzacoalt bevve, s'inebriò e perse la testa. Bruciò tutte le sue case
d'argento e di conchiglie, e sotterrò i suoi tesori nella montagna e nel letto dei fiumi.
Trasformò gli alberi di cacao in un'altra specie che non dava frutti.
Partì per i paesi dove pensava di ritrovare la giovinezza, nella direzione del sole
levante, verso l'est. Si imbarcò coperto di piume, su di un vascello fatto di serpenti
intrecciati, promettendo al suo popolo di ritornare un giorno e riportare tutti i tesori
del paradiso.
19. 19
“Non mangerai di questa carne”!
L’ordine divino fu perentorio, e i figli d’Israele si astennero dai cibi che Dio aveva
loro vietato.
La proibizione concerneva tutti gli animali cosiddetti
“impuri”, cioè quelli che non hanno lo zoccolo e
l’unghia fessa e che non ruminano. Inoltre, erano
esclusi gli uccelli rapaci, i pesci senza pinne e squame,
i molluschi, i rettili, i crostacei e quasi tutti gli insetti.
Tradotto in termini culinari, ciò significava niente
maiali, conigli, lepri, anguille, seppie, polpi, scampi,
aragoste, granchi, ostriche…
La proibizione di mangiare carne di maiale è molto
diffusa, attualmente, in tutto il Medio Oriente e nei
paesi abitati da musulmani.
Da dove viene il pregiudizio contro la carne di porco?
Gli studiosi che cercano di rispondere agli interrogativi sui tabù alimentari si
ispirano a due orientamenti diversi: il primo insiste su motivi religiosi e ideologici, il
secondo su quelli economici e ambientali. In effetti, le tribù nomadi che praticavano
la pastorizia hanno sempre guardato con scarsa simpatia al maiale, il cui allevamento
non era adatto ad un ambiente dominato da steppe e deserti. Questo ha
probabilmente fatto sì che alla sporcizia dei porci – comunque non superiore a
quella di altri animali – venisse attribuito anche un valore morale, al punto che il suino
finì per essere considerato impuro, e il suo consumo condannato con divieto
religioso.
L’influenza esercitata tra il 1800 e il 1400 a.C. dai gruppi pastorali sulle
popolazioni cittadine, che già da alcuni millenni allevavano e mangiavano il maiale, ha
esteso gradualmente a tutta l’area medio-orientale il divieto di cibarsi della sua
carne. Qualcosa di più o meno analogo è successo alla vacca in India.
Nell’antica religione induista la società era divisa in caste, e quella sacerdotale dei
20. 20
brahamani non aveva il compito di proteggere le vacche, bensì di macellarle. Intorno
al 600 a.C, il livello di vita peggiorò a causa di guerre e carestie, ma anche per
l’aumento della popolazione e per la diminuzione del bestiame. E la gente divenne
sempre più ostile all’uccisione dei bovini, che tornavano utilissimi come fornitori di
latte e di sterco – utilizzato come letame e combustione – e come animali da tiro, sia
per il trasporto che per la coltivazione dei campi. Nello stesso periodo nacque il
buddismo, che vietava l’uccisione degli animali e predicava una dieta vegetariana in
nome della non-violenza. Poiché anche la popolazione induista si mostrò
sostanzialmente favorevole a questo atteggiamento, anche i brahamani lo
adottarono: finendo gradualmente per sacralizzare la vacca e vietarne la
macellazione.
A CURA DI:
Barbieri Cristian
D’Onofrio Pasquale
Simone Maione
Francesco Oliva
Vincenzo Sorice
21. 21
“Lo scrittore che non parla mai di mangiare, di appetito, di fame, di cibo,
di cuochi, di pranzi mi ispira diffidenza, come se mancasse di qualcosa di
essenziale”
(Albo Buzzi)
Il cibo, con le sue forme, le sue consistenze, i suoi profumi e le occasioni sociali che
crea, ha ispirato le penne di molti poeti. Il suo forte valore evocativo lo ha reso un
mezzo per parlare di emozioni, di situazioni, suggestioni e stati d’animo. Al nostro
gruppo è stato assegnato il compito di ricercare poesie che avessero come
argomento il cibo. La ricerca è stata svolta con grande senso di responsabilità, ma
22. 5
è facilmente risolvibile. Immaginatevi un assedio, o una situazione di carestia: dopo
aver esaurito ogni scorta, come estrema risorsa qualcuno fu costretto a consumare
anche il formaggio “andato a male” avendo, in questo caso, la piacevole sorpresa di
scoprire che esso si era trasformato in qualcosa di estremamente appetibile. L’altro
mistero riveste il nome del formaggio stesso, “Tupi”, che sfugge a ogni etimologia.
Ebbene, provate a ipotizzare che il formaggio in questione fosse di origine greca;
sulla cassa che lo conteneva ci sarebbe stata la dicitura “Tiri” (formaggio, appunto),
scritta, naturalmente, nei caratteri di quella lingua. Per pura combinazione, le lettere
centrali somigliano alle nostre “u” e “p”, e la loro (errata) lettura potrebbe aver
generato un equivoco linguistico che perdura ancora ai giorni nostri.
Ad un’interpretazione sbagliata potrebbe essere dovuto anche il termine “BBQ”
(poi trasformato in “Barbecue”), che significa “alla griglia”, e sulla cui origine non è
mai stata fatta luce. In arabo, “alla griglia” si dice “Qabab” (o “Qebab”, o “Kabab”,
o “Kebab”): le differenze di trascrizione sono dovute al fatto che gli arabi non
indicano le vocali, e che la lettera “Kof” non è né una “k” né una “q”, ma una via di
mezzo tra le due. Scrivete “Qabab” alla “araba”, cioè senza vocali e da destra a
sinistra: otterrete le tre lettere BBQ, all’origine dell’enigma.
Dalla linguistica alla chimica: vi siete mai chiesti come si riesca a infilare la ciliegina e
il liquore in certi “boeri” industriali, sul tipo dei famosi “Mon Cheri”? Chi immagina
che liquore e ciliegia vengano sistemati in “gusci” vuoti, successivamente chiusi da
una sorta di coperchio di cioccolato, si sbaglia: il sistema sarebbe complicato, lento
e costoso; oltretutto (guardare per credere), i prodotti non presentano alcun segno
di saldatura. Le ciliegine sotto spirito vengono circondate da un blocchetto di pasta
di zucchero semisolido, trattato con particolari enzimi; i blocchetti – cui viene data la
forma desiderata – sono quindi immersi nella cioccolata fusa, che forma l’involucro
esterno. Una volta al chiuso e al buio, gli enzimi sciolgono lo zucchero, che assume
un po’ di alcol dalla ciliegina stessa, e il gioco è fatto.
A Proposito di...
23. 23
epigramma per invitare un amico a una cena, modesta -dice lui - ma allietata dalla
musica dei flautisti come era costume allora nei banchetti pubblici e privati:
Se di cenare in casa malinconico
ti stringe il cuore,
vieni da me, Toranio.
La cena, chi lo nega, è povera,
ma il giovane Condielo,
né troppo sacre, né troppo profane
ariette eseguirà sopra il suo flauto...
Invece Lorenzo il Magnifico utilizza una sua poesiola, "La canzone dei confortini",
dedicata ai "bericuocoli" e ai "confortini", biscotti tipici toscani della sua epoca,
come il pretesto per filosofare sul tempo che passa e non ritorna:
Bericuocoli, donne e confortini
se ne volete i nostri son de' fini.
Non bisogna insegnar come si fanno:
ch'è tempo perso, e 'l tempo è pur gran danno:
e chi lo perde, come molte fanno
convien che faccia poi de' pentolini.
Giovanni Pascoli invece ha scritto una poesia- culinaria dedicandola a uno dei
24. 24
prodotti più tipici della sua terra romagnola: la piada che in Romagna è il pane
quotidiano.
E tu, Maria, con le tue mani blande
domi la pasta e poi l'allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande
come la luna; e sulle aperte mani
tu me l'arrechi, e me l'adagi molle
sul testo caldo, e quindi t'allontani.
Io, la giro, e le attizzo con le molle
il fuoco sotto, fin che stride invasa
dal calor mite e si rigonfia in bolle:
e l'odor del pane empie la casa.
Poi c'è lui, Gabriele D'Annunzio che era nato a Pescara e anche vivendo in altri
luoghi non dimenticava le buone cose della sua terra. E ne ricorda alcune persino
in versi; come questi, perfettamente "dannunziani", che utilizza per magnificare
l'ineguagliabile brodetto abruzzese appena piccante grazie al peperoncino, il
"diavoletto" lo chiamano in Abruzzo:
25. 25
Nel glauco mare che già amaro in sante
rampogne il Vate disse, nel sonante
mare che specchia Febo italo amante
divino ardente,
di tra i flutti prendemmo la silente
figliolanza del cefalo lucente,
il turgido merlango paziente...
Dai fiorenti
orti cogliemmo il timo, i rossardenti
diavoletti folli e le virenti
erbette fine.
Il fuoco lento infine alle terrine
porose demmo, e il canto alle marine
spiagge che vider navi anche col rostro.
Nessun brodetto mai eguaglia il nostro!
Insomma, come vedete la poesia può essere grande poesia persino descrivendo la
preparazione di un pane, come faceva il Pascoli o la zuppa di pesce come
D'Annunzio.
Ma non sempre i poeti creano delle vere poesie, a volte sono soltanto filastrocche
o sonetti comici o versi in libertà, tanto per divertirsi.
26. 26
Come ad esempio quelli dello scrittore Nico Orengo con questo suo "Epitaffio
per un gelato”:
Per un attimo
se ne sta impettito
poi si è squagliato!
Oppure Carlo Porta che così "canta" i "Tordi con la polenta":
Ed i tordi più di trenta
in lardosa maestà
stavan là sulla polenta
come turchi sul sofà!
E così il "serioso" Giacomo Leopardi in gioventù ha dedicato versi coltissimi contro
la minestra, che odiava.
E Guido Gozzano ha cantato le squisite "bignole" torinesi con versi deliziosi che
inneggiano "alle signore che le mangiano nelle pasticcerie".
27. 6
C’eravamo lasciati con la chimica: e allora perché, a questo punto, non occuparsi
anche di fisica? Anzi di un fisico, ad esser precisi:Alessandro Volta.
Sapevate che, oltre alla batteria, il grande scienziato comasco ha inventato anche
gli gnocchi di patate? Ai suoi tempi si scatenò un’ingiustificata campagna contro
questi tuberi, dovuta all’errata convinzione che le solanacee fossero velenose (lo
sono, come tutti i vegetali, ma esclusivamente in particolarissime circostanze).
Volta – già famoso e stimato – spezzò una lancia in favore dei coltivatori, spiegando
che non solo esse non erano pericolose ma, mescolate all’impasto, rendevano più
leggeri gli gnocchi, fino ad allora costituiti solo da farina di grano, come i “pisarei”
piacentini e i “malloreddus” sardi.
Potremmo da qui continuare con una nutrita raffica di “trivia”, che coinvolgono
storia, geografia, personaggi famosi: perché la zuppa inglese si chiama inglese
quando invece è bolognese? (perché alchermes e kummel le conferiscono i colori
rosso e azzurro della bandiera inglese); perché gli hot-dogs (“cani caldi)” si chiamano
così quando, grazie al cielo, non sono fatti di cane? (perché il termine è la contrazione
di “Hot-Dachshund-Dog Sausage”, ovvero “salsiccia calda a forma di bassotto”);
da dove nasce il nome delle deliziose “pesche Melba”? (dalla celebre soprano
australiana Nellie Melba).
Potrebbe sembrare addirittura tutto uno scherzo, se messa in questi termini.
Eppure, anche il Carnevale qualcosa c’entra. Coriandolo, infatti, come tutti
28. 28
“Pasta alla capricciosella” di Aldo Fabrizi
Provate a fa’ sto’ sugo, ch’è un poema:
piselli freschi, oppure surgelati,
calamaretti, funghi "cortivati",
così magnate senz’avè patema.
Pe’ fa’ li calamari c’è un sistema:
se metteno a pezzetti martajati
nell’ajo e l’ojo e bene rosolati,
so’ teneri che pareno ‘na crema.
Appresso svaporate un po’ de vino;
poi pommidoro, funghi e pisellini
insaporiti cor peperoncino.
Formaggio gnente, a la maniera antica,
fatece bavettine o spaghettini…
Bòn appetito e.. Dio ve benedica!
29. 29
“O’ RRAU’” di Eduardo De Filippo
'O rraù ca me piace a me
m' 'o ffaceva sulo mammà.
A che m'aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvàmell''a miezo st'uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avèssem' appiccecà?
Tu che dice? Chest'è rraù?
E io m'a 'o mmagno pè m' 'o mangià...
M' 'a faje dicere na parola?
Chesta è carne c' 'a pummarola
30. 30
Filastrocche del cibo
Frittelle
Vedo la luna, vedo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle. Vedo la tavola apparecchiata vedo Caino che fa la
frittata.
Zucca pelata
Zucca pelata ha fatto i tortelli e non ne ha dati ai suoi fratelli; i suoi fratelli han fatto la frittata e non l’hanno
data a Zucca pelata. Zucca pelata ha fatto i crostini e non ne ha dati ai suoi cugini; i suoi cugini han fatto il
torrone e a Zucca pelata nemmeno un boccone.
La pigrizia
La pigrizia andò al mercato ed un cavolo comprò; mezzogiorno era suonato quando a casa ritornò.
Prese l’acqua, accese il fuoco, si sedette, riposò, ed intanto, a poco a poco, anche il sole tramontò.
Così, persa ormai la lena, sola, al buio, ella restò ed a letto senza cena la meschina se ne andò.
Cavallino arrò arrò
Cavallino arrò arrò, piglia la biada che ti dò, piglia i ferri che ti metto, per andare a San Francesco. San
Francesco è sulla via per andare alla badia.
Alla badia ci sta un frate che prepara le frittate. Le frittate non son cotte mangeremo le ricotte, le ricotte son
salate, mangeremo le frittate.
Fragole e crema
Ricci bioncli e occhio bello, vuoi venire al mio castello?
Tu sarai la mia regina e mai più starai in cucina.
Avrai vesti ricamate e d’argento le posate; sulla fronte avrai un diadema, mangerai fragole e crema.
Il ciuco cocciuto
Un ciuco cocciuto col ciuffo sugli occhi rosicchia carciofi, spinaci e finocchi.
Tirando calcioni e muovendo gli orecchi divora lenticchie insieme a fichi secchi.
Da bere chinotto o aranciata; per dolce ciambelle e cioccolata.
Ma ecco si accorge che sta per scoppiare e scappa nel prato per poter brucare.
La spiga
Un giorno un chiccolino giocava a nascondino. Nessuno lo cercò e lui s’addormentò!
Dormì sotto la neve un sonno lungo e greve infine si svegliò e pianta diventò.
La pianta era sottile flessibile, gentile la spiga mise fuor d’un esile color.
Il sole la baciava il vento la cullava di chicchi allor s’empì pel pane d’ogni dì.
31. 31
Chiccolirio
Chiccolino dove stai?
Sotto terra, non lo sai?
E la sotto non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.
E se tanto crescerai, chiccolino che farai?
Una Spiga metterò tanti chicchi ti darò fresco pane diverrò.
Din don
Din don domani è festa si mangia la minestra, la minestra non mi piace, si mangia pane e brace, la brace è troppo
nera, si mangia pane e pera, la pera è troppo bianca, si mangia pane e panca, la panca è troppo dura si va a
letto addirittura.
Domani è festa
Domani è festa, si mangia la minestra, la minestra non è cotta, si mangia la ricotta, la ricotta non è fresca, si
mangia la ventresca, la ventresca è salata, si mangia l’insalata, l’insalata è senz’olio, chiamiamo Sor lmbroglio,
Sor lmbroglio è andato a messa con una principessa.
La Peppina
Uno, due, tre, la Peppinia fa il caffè, fa il caffè con la cioccolata, la Peppina è ammalata, ammalata di gran
dolore, va a chiamare il dottore, il dottore con le ciabatte, qui mi duole, qui mi batte qui mi sento una gran pena.
Sor dottor son senza cena.
La gallina sotto al muro
La gallina sotto al muro becca i! grano che è maturo becca qua, becca là quando è stanca se ne va.
Se ne va dalla Carmela in vià Mela ventitrè. La casetta di cartone, la scaletta di torrone, la padrona di
cioccolata, la servetta impepata.
Coccodè, coccodè, questa casa fa per me.
Il pane e il galletto
Chicchirichì canta il galletto questo pane è troppo secco non lo posso rosicchiare chicchirichì mi sento male.
Coccodè
Coccodè che c’è di nuovo?
La gallina ha fatto l’uovo e l’ha fatto piccolino, per donarlo a Serafino. Coccodè coccodè questo uovo è qui
per te!
Piccolo micino
Piccolo micino corri in quel buchino che c’è pane e formaggino. Un pò a lei, un pò a me, ogni cosa in bocca a te!
32. 32
Bolli, bolli
Bolli, bolli pentolino, fai la pappa al mio bambino; la rimescola la mamma mentre il bimbo fa la nanna. Fai la
nanna, gioia mia, o la pappa scappa via.
Guarda, guarda il can che scappa, che ha portato via la pappa, via la pappa al mio bambino per portarla al
cagnolino.
Cagnolin tutto Contento se la mangia in un momento se la mangia e fa bu, bu, e la pappa non c'è più.
Pim Pirulin
Pim Pirulin voleva mezza mela la sua mamma non l’aveva Pim Pirulin piangeva la sua mamma mezza matta gli tirò
una ciabatta.
A mezzanotte in punto passò un aeroplano e sotto c’era scritto “Pim Pirulin sta’ zitto!”
La coccinella
Coccinella, coccinella fammi una ciambella, fammela bella grande come quella di San Giovanni.
San Giovanni non la vuole, se la piglia San Nicola, San Nicola se la piglia per l’amore di sua figlia.
A CURA DI
Esposito Maria Pia
Giorio Alessia
Lacerra Francesca
Russo Giulia
33. 33
♣ Che il tuo cibo sia la tua unica medicina. (Ippocrate di Cos, Aforismi, V-IV
sec. )
♣ E' una superstizione insistere su una dieta particolare. Tutto alla fine è fatto
degli stessi atomi chimici. Ralph Waldo Emerson .
34. 7
sapete, è il nome di una pianta dai semi odorosi e commestibili, tradizionalmente usati
per confezionare dolci e liquori. Nella pasticceria medievale, il seme si rivestì di
zucchero e diventò coriandolo confetto (cioè confezionato). Col passar dei secoli,
confetto si trasformò da aggettivo in sostantivo e fu usato, in alternativa a
coriandolo, per designare il tutto. Verso la fine del Settecento qualche burlone,
invece dello zucchero, usò del gesso per far confetti o coriandoli fasulli da lanciare
a Carnevale. A metà dell’Ottocento l’antico nome coriandolo prevalse, ma le
autorità ne proibirono il lancio per ragioni di pubblica sicurezza. E un tal Mangilli,
originario di Crescenzago (Milano), inventò i coriandoli di carta in sostituzione di
quelli di gesso, che a loro volta avevano sostituito quelli di zucchero.
Gioco per gioco, allora, chi se la sentirebbe di azzardare una bella roulette russa a
tavola? Nulla di strano, che credete: anche i giapponesi la fanno. Grazie a un pesce,
il puffarolo o pesce rospo (fugu in giapponese e Arothron hispidus nel linguaggio
scientifico, perché quando è irritato si gonfia e si riempie di aculei). La carne cruda
di questo pesce, che misura intorno ai cinquanta centimetri di lunghezza, è
considerata talmente prelibata dai giapponesi che, pur di gustarla, sono disposti a
rischiare la vita. Il consumo del fugu è proibito dalla legge: infatti, ogni anno, decine
di persone muoiono avvelenate per causa sua. Tuttavia, in certi ristoranti, si trovano
cuochi esperti in grado di prepararlo a dovere, eliminandone tutte quelle parti
contenenti un veleno più potente del cianuro (uova, fegato, intestino, sangue). Ma
va detto che, sino alla fine del pasto, non si è mai sicuri se si uscirà dal ristorante in
piedi o distesi. Che cosa spinge a i giapponesi a desiderare così ardentemente il
fugu? La ghiottoneria o il sottile, masochistico piacere di scampare alla morte?
35. 35
♣ Anche la groviera ha i buchi e non si lamenta. TOTO'
♣ A volte è difficile fare la scelta giusta perché o sei roso dai morsi della
coscienza o da quelli della fame. TOTO'
♣ Mai che a un rinfresco dessero un piatto di spaghetti caldi! TOTO' (Il
Professore)
♣ Giura su qualcosa di più sacro del tuo onore: la tua fame. TOTO’
♣ Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance – TOTO’
♣ Fare una buona insalata vuol dire essere un diplomatico brillante, il problema
è identico in entrambi i casi: sapere esattamente quanto olio bisogna mettere
assieme all'aceto. OSCAR WILDE
♣ Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio
dormono la notte. OTTONE von BISMARCK
♣ La prima legge della dietetica: se ha un buon sapore, non è per te. ISAAC
ASIMOV.
36. 36
♣ Dio nonha fatto chel'acqua, ma l'uomohafatto il vino. VICTOR HUGO
♣ Il caffè dev’essere caldo come l’inferno, nero come il diavolo, puro come un
angelo e dolce come l’amore.
Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
♣ Tutti gli uomini sono dei mostri; non c'è altro da fare che cibarli bene: un
buon cuoco fa miracoli. OSCAR WILDE
WOODY ALLEN
Linda: "Ma tu ti cuoci solo cibi surgelati?”.
Woody Allen: “Cuocerli? E chi li cuoce? Io neanche li scongelo. Li succhio come
se fossero ghiaccioli!”.
♣ Ci sono tre cose che una donna è capace di fare con niente: un cappello,
un'insalata e una scenata. MARK TWAIN
37. 37
♣ Vino e musica furono sempre per me il miglior cavatappi. ANTON
CECHOV, Taccuini
♣ Gli inglesi non vivono che di roast beef e di budino, gli Olandesi di carne
cotta in forno, di patate e di formaggio, i Tedeschi di sauer - kraut e di
lardone affumicato, gli Spagnoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido, gli
Italiani di maccheroni. ALEXANDER DUMAS padre
♣ Chi non ama le donne il vino e il canto, è solo un matto e non un santo.
ARTHUR SCHOPENHAUER
♣ Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno
ingrassare. GEORGE BERNARD SHAW
♣ Non conosco nulla che vellichi così voluttuosamente lo stomaco e la testa
quanto i vapori di quei piatti saporiti che vanno ad accarezzare la mente
preparandola alla lussuria. DE SADE
38. 38
♣ A casa nostra, nel caffelatte non ci mettiamo niente: né il caffé, né il latte
(Totò in 'Miseria e nobiltà)
♣ Erano persone che non sapevano fare niente, tranne che mangiare.
Mangiavano da professionisti. TOTO’
♣ Si dice che l'appetito vien mangiando, ma in realta' viene a star digiuni. (Toto'
in "Toto' al Giro d'Italia")
♣ Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro.
EDUARDO DE FILIPPO (rivolto alla domestica in "Fantasmi a Roma")
♣ Tutta la storia umana attesta che la felicità dell’uomo, peccatore affamato,
da quando Eva mangiò il pomo, dipende molto dal pranzo (LORD
BYRON)
♣ Buona cucina e buon vino, è il paradiso sulla terra.
Enrico IV
39. 39
♣ ...ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo che sia salvo chi gli crede;
e credo nella torta e nel tortello:
l'uno è la madre, e l'altro è il figliuolo;
il vero paternostro è il fegatello...
(LUIGI PULCI - "Morgante")
♣ Mi preoccupo di essere a tavola in tredici... quando c'è da mangiare solo per
dodici. ACHILLE CAMPANILE
E quando addentate una mela,
ditele nel vostro cuore:
I tuoi semi vivranno nel mio corpo
E i tuoi germogli futuri
sbocceranno nel mio cuore,
La loro fragranza sarà il mio respiro,
E insieme gioiremo in tutte le stagioni.
KAHLIL GIBRAN
♣ E' una superstizione insistere su una dieta particolare. Tutto alla fine è fatto
degli stessi atomi chimici. Ralph Waldo Emerson
♣ A tavola perdonerei chiunque,
anche i miei
parenti.
OSCAR WILDE
40. 8
La leggenda di San Girolamo
San Girolamo riporta meticolosamente la dieta del santo eremita Ilarione di Gaza,
che per tre anni si nutrì quotidianamente di circa mezzo chilo di lenticchie ammollate
nell’acqua fredda, e per altri tre anni di pane scondito con sale e acqua.
Da tale digiuno si rimise mangiando erbe di campo e radici crude, un etto e mezzo di
pane d’orzo e verdura poco cotta, senz’olio, per altri quattro anni. Ma sentendo che
i suoi occhi si annebbiavano e che tutto il corpo era roso da una terribile scabbia,
aggiunse olio al vitto precedente.
E così fece dai trent’anni fino ai sessantatre.
L’aggiunta del sano condimento non lo liberò da tormentose allucinazioni che,
secondo san Girolamo, si presentavano al pover’uomo nelle sembianze di donne
nude e pranzi succulenti.
Il comportamento di Ilarione non è un caso isolato nei primi secoli dell’epoca
cristiana, quando molti credenti si ritiravano in luoghi desertici per conquistare la
salvezza dell’anima attraverso le più atroci mortificazioni del corpo.
42. 42
Il Cibo ha sempre avuto un posto e un ruolo ben precisi nell’arte, in quella Classica
e in quella Contemporanea, nelle scene religiose così come nelle nature morte, sullo
sfondo oppure in primissimo piano, accessorio o al contrario protagonista.
Nell’Arte Medievale e Moderna le vivande apparivano per ciò che erano, anche se
talvolta potevano avere dei significati nascosti, misteriosi o al contrario facilmente
riconoscibili; il Pane ad esempio rimandava all’Eucarestia, la Melagrana alla
Fedeltà Coniugale, la Mela Morsicata alla Caducità della Vita… Il primo a
stravolgere il senso e l’uso comune dei generi alimentari è stato senza dubbio
Arcimboldo che, già nel Cinquecento, si divertiva a realizzare curiosi Ritratti con
Frutta e Verdura, creando un divertissement unico per la corte asburgica.
Nell’Arte Contemporanea il cibo ha iniziato ad assumere un ruolo diverso e a
essere usato non più come tale, ma come qualcos’altro. Così il Busto di Donna,
retrospettiva di Salvador Dalì, ha come Copricapo una Baguette e come Capelli
delle Pannocchie, mentre René Magritte sconvolge tutte le nostre certezze
dicendoci che non sempre una Mela Disegnata è semplicemente una Mela (Ceci
n’est pas Une Pomme). Tra tutti i movimenti artistici, la Pop Art è di certo quello
che ha dedicato un posto di riguardo al Cibo; non esiste artista pop che non abbia
realizzato almeno un’opera il cui protagonista sia un alimento. Andy Warhol ha
creato una serie di litografie che hanno per soggetto alcuni Dolci più o meno
inventati, con fantasiose ricette per riprodurli. Il vero Gastronomo della Pop Art
rimane però Claes Oldenburg, con le sue Sculture Molli di vinile imbottito che
riproducono cibi di largo consumo, come gelati, hamburger, patatine fritte e torte.
Nemmeno l’Arte Povera poteva tralasciare il cibo, nella sua continua ricerca di
Materiali Fuori dalla Tradizione con cui creare opere d’arte inaspettate e ribaltare
la presunzione di eternità che l’arte porta insita in sé sin dall’inizio. Cosa c’è di più
deperibile di un Cespo di Insalata? Eppure Giovanni Anselmo ha pensato bene
di inserirla tra due blocchi di granito (un materiale al contrario solidissimo e
pressoché eterno), costringendo tutta la scultura alla precarietà e alla costante
43. 43
sostituzione di una sua parte fondamentale. Il belga Marcel Broodthaers invece ha
usato il cibo, in particolare un Piatto Tipico Nazionale, per ironizzare e prendere in
giro il proprio paese; le Cozze, vero simbolo del Belgio, emergono come una
colonna compatta da una comunissima casseruola da cucina, in un accostamento dal
sapore surrealista, così inaspettato eppure convincente. Anche frutta e verdure
non fanno magie solo in cucina, ma anche in campo artistico. Molti sono gli artisti
contemporanei che utilizzano questi alimenti per dar vita a opere singolari. Così
cetrioli, zucchine e pomodori diventano una macchina fotografica, peperoni e limoni
prendono le sembianze di una moto, pezzi di pane prendono anima!
Qui di seguito vogliamo riproporvi solo alcune delle innumerevoli forme artistiche
gastronomiche…
44. 44
Claes Oldenburg, Floor Cake, 1962, New York, MoMA
Salvador Dalì, Busto di donna retrospettiva, 1933, New York, MoMA
57. 57
E adesso, provate a guardare il cibo con gli stessi occhi
di prima…
A cura di
Barbieri Cristian
Falco Matteo
Ferraro Benedetta
Giorio Alessia
Musat Alin
Sorice Vincenzo
Totino Francesco
Vene Noemi
Votino Filomena
59. 9
Di questo eccessivo rigore ascetico, non del tutto in linea con lo spirito del Vangelo,
non c’è traccia nelle regole degli ordini monastici fioriti nell’Occidente cristiano.
Non sempre, però, questi precetti erano osservati fedelmente e con spirito di
sacrificio.
Poiché il digiuno permetteva di cibarsi di verdure, pesce, uova, latticini, ma
comportava l’astensione dalla carne, si accesero sottili dispute su ciò che si doveva
intendere per carne. Così, rane e castori furono equiparati ai pesci, e i feti di
coniglio, già apprezzate leccornie per i romani, furono considerati, al pari delle uova,
come “non carne”.
Anche certe anatre irlandesi che, secondo la leggenda, nascevano da tronchi
imputriditi, vennero considerati vegetali. Più tardi, anche i Gesuiti sostennero che il
cioccolato, in quanto prodotto vegetale, non rompeva il digiuno.
La leggenda del Panettone
60. 9
Di questo eccessivo rigore ascetico, non del tutto in linea con lo spirito del Vangelo,
non c’è traccia nelle regole degli ordini monastici fioriti nell’Occidente cristiano.
Non sempre, però, questi precetti erano osservati fedelmente e con spirito di
sacrificio.
Poiché il digiuno permetteva di cibarsi di verdure, pesce, uova, latticini, ma
comportava l’astensione dalla carne, si accesero sottili dispute su ciò che si doveva
intendere per carne. Così, rane e castori furono equiparati ai pesci, e i feti di
coniglio, già apprezzate leccornie per i romani, furono considerati, al pari delle uova,
come “non carne”.
Anche certe anatre irlandesi che, secondo la leggenda, nascevano da tronchi
imputriditi, vennero considerati vegetali. Più tardi, anche i Gesuiti sostennero che il
cioccolato, in quanto prodotto vegetale, non rompeva il digiuno.
La leggenda del Panettone