3. VITA DELL'AUTORE
Georg Flegel, pittore e
acquarellista tedesco, nasce a
Olomouc in Moravia (oggi
Repubblica Ceca) nel maggio
del 1566 e muore a Francoforte
sul Meno il 23 Marzo 1638.
Figlio di un calzolaio, si hanno
tracce della sua opera
giovanile nella bottega del
pittore olandese Lucas van
Valckenborch a Linz in Austria.
Georg Flegel inizia a dipingere
in un'epoca in cui l'immagine di
oggetti erano solo il contorno a
Ritratti di persone: il termine
"Natura Morta", "Stilleben" in
tedesco, "Still Live" in inglese,
nasce proprio con il lavoro di
4. Infatti il suo compito nella bottega
in cui era apprendista pittore
era di inserire frutti, ortaggi e
fiori in tele di grandi dimensioni
raffiguranti commensali intorno
a tavole imbandite, oppure in
scene di mercato o di giardini.
La bottega nel 1593 produceva
molte opere in forma quasi
artigianale ed ogni lavorante era
specializzato nel dipingere un
determinato soggetto ed ad ogni
quadro, specialmente di grande
dimensione, partecipavano più
artisti.
Georg Flegel con la moglie
Briget ed il figlio Martin, segue
van Valckenborch quando questi
si sposta da Linz nella più
grande città di Francoforte sul
5. LE OPERE
Le sue opere riguardavano esclusivamente composizioni di fiori, cibi, dolci,
deschi ricchi di cristalli e con la presenza di uccelli e farfalle che furono poi
definite "Nature morte", diventando per gli esperti d'arte, "il primo pittore
tedesco di Nature morte e un pittore di massima importanza sulla scena
europea.
Influenzato dalla pittura fiamminga, Georg Flegel sviluppò uno stile molto
personale: la sua pittura si distingue per l'alta qualità e l'inventiva nella
composizione.
Georg Flegel ebbe sette figli, di cui due proseguirono la sua opera, ma
purtroppo, a quel tempo quel tipo di pittura era considerata di serie B, come
arte da consumo, come arte popolare e le opere non godettero di alcuna
protezione e vennero nel tempo consumate, nel vero e proprio significato del
termine.
E' noto che nella prima metà del XVII secolo, per esempio nel periodo della
"tulipomania" nei Paesi Bassi, opere di questo tipo erano così abbondanti che
in ogni locanda o cantina le pareti erano letteralmente tappezzate con quadri
di dimensioni relativamente piccole con cui frequentemente i clienti avevano
pagato le bevande.
6. L'OPERA VISTA DA VICINO
natura morta con cervo volante e pesce
Evidentemente venne realizzata
con l’uso delle lenti o di uno
specchio. Su di una tavola
ricca, più per la qualità del
bicchiere di cristallo e del
contenitore di vino o di birra
che per le pietanze: pane,
aringa e cipollotti , un cervo
volante si dirige verso il pesce,
con intento distruttore. Con le
pinze possenti, lascia
intendere il pittore, il
coleottero riuscirà a divorare il
banchetto e soprattutto ad
avventarsi sull’aringa.
Il vino, il pane, rappresentano
l’eucaristia, e il pesce, è
simbolo di Gesù.
7. IL CERVO VOLANTE
L’appartenenza del cervo volante al mondo
dell’oltretomba satanico era testimoniato
dalla convinzione dei popoli del Nord che il
coleottero avesse il potere di diffondere gli
incendi boschivi. Ciò sarebbe stato favorito,
appunto, dalle ampie mandibole, che
somigliano alle pinze utilizzate per il
focolare.
Altri animali entrano in scena nell’ambito di
questo genere pittorico: troviamo topi che
divorano biscotti, lombrichi, mosche che
depongono uova che si trasformeranno in
larve demolitrici o pappagalli affamati che
attingono alla tavola, rovesciando brocche e
bicchieri.
Il pesce è minacciato da un cervo volante,
chiamato anche scarabeo del diavolo per la
sua leggendaria facoltà di spostare, con le
chele, tizzoni ardenti con i quali provocare
incendi e seminare morte e distruzione.
8. La sua forma, che nella parte
anteriore e nell’articolazione
delle zampe mostra un infinito
numero di angoli acuti, rinvia
alla morfologia dei piccoli
demoni volatili che, a partire
dall’epoca ellenistica, nel corso
della quale avevano la semplice
funzione di rappresentare
l’anima.
Il nero ferrigno della dura livrea
che il maschio di questo
coleottero, il quale dispone, a
differenza della femmina, di
ampie e inquietanti mandibole fu
osservato con grande
preoccupazione negli anni in cui
la nera presenza del Maligno
pareva così diffusa da inquinare
ogni porzione del mondo.
10. INFORMAZIONI GENERALI
La Bottega del macellaio è un'opera di Annibale
Carracci e risale al 1585 e ora si trova ad Oxford.
Il dipinto è conosciuto anche come Grande macelleria
per distinguerlo dalla tela di formato molto più piccolo
(Piccola macelleria), dipinta da Annibale all’incirca
nello stesso periodo.
11. RIFERIMENTO ICONOGRAFICO
L’assonanza tra alcune figure della
Macelleria di Annibale e quelle delle
scene dedicate a Noè da Michelangelo e
Raffaello è evidente:
macellaio in ginocchiomacellaio in ginocchio, al centro
della composizione, che si accinge a
sgozzare un capretto: ripresa della
figura raffaellescafigura raffaellesca che sta compiendo la
medesima azione.
macellaio in piedi al centromacellaio in piedi al centro, davanti
al banco: ha una posizione simile a
quella di NoèNoè, dietro l’altare,
nell’affresco di Michelangelo.
Scene dedicate a NoèScene dedicate a Noè
La bottega del macellaioLa bottega del macellaio
12. DESCRIZIONE
Nella tela non si nota la complicità tra i lavoratori. Annibale descrive, però,
con assoluta chiarezza e spregiudicata verosimiglianza, le attività che si
svolgono in una macelleria. I macellai infatti non hanno nulla di volgare,
anche se in quei tempi il loro lavoro era considerato spregevole.
Annibale ha dato vita ad una rappresentazione obbiettiva e realistica:
- in primo piano in basso è raffigurato il macellaio che sta per
tagliare la testa ad un capretto .
- vicino a lui vi è un altro personaggio che cerca
faticosamente di appendere un vitello ad un gancio: la torsione del corpo e
della testa sottolineano lo sforzo che sta compiendo.
- al centro un altro dei macellai
all’opera dispone ordinatamente le bistecche di vitello sul banco.
- completa il gruppo dei
titolari della bottega quello con un grembiule bianco, che regge la strumento
con cui pesa la carne.
13. Nella composizione sono presenti anche una vecchiavecchia e
una guardia svizzeraguardia svizzera. A differenza di quanto non sia per i
macellai al lavoro, in queste figure sembra cogliersi un
elemento grottesco. Non è chiaro quale sia la funzione di
questi personaggi, e in particolare dell’alabardiere, che è
dentro la bottega. Una spiegazione proposta è che la
presenza dei due alluda satiricamente alla severa
proibizione, imposta a Bologna dal cardinale GabrieleGabriele
PaleottiPaleotti, di consumare carne durante la quaresima.
La vecchiavecchia cliente sarebbe lì in quanto gli anziani
erano esentati dal divieto, mentre la guardiaguardia vigila sul
rispetto della prescrizione del Paleotti.
14. Anche sul piano compositivo la Grande macelleria ha
degli importanti elementi di originalità: i bottegai
all’opera sono raffigurati a figura intera e sono disposti
ordinatamente nell’ampio spazio della bottega.
Molte sono state le interpretazioni proposte sulla tela,
un'ipotesi particolarmente suggestiva è che i macellai
all'opera nella bottega siano in realtà i tre Carracci (aiutati
da un garzone), nella cui famiglia di provenienza la
professione del beccaio era praticata.
17. Seduto a tavola, un uomo consuma il pasto: una
scodella di fagioli, pane, vino e poco altro. Lo sguardo
lanciato oltre il dipinto, mentre la mano stringe la
pagnotta come per difenderla, sorveglia diffidente
l'osservatore.
La luce argentata, settentrionale,
che entra dalla finestra parla di terreni pesanti, vapori,
nebbie e fatica.
Raffigurata esplicitamente
come “istante” e passaggio,
per via del cucchiaio di fagioli
in equilibrio, la scena diventa
essa stessa frammento di una
vita vera, di cui si indovinano
18. Il mangiafagioli è una di quelle scene di
genere che, introdotte all'inizio del
Seicento, aprono nell'arte una nuova
finestra che inquadrano soggetti fino ad
allora considerati indegni.
19. I fagioli, i più umili nella gerarchia dei legumi,
rappresentano il cibo contadino per
antonomasia, in accordo con l'ambiente povero
e l'aspetto popolaresco del protagonista.
Molti vedono nel piatto di fagioli consumati dal
protagonista un rinvio al rinnovarsi
dell'interesse per i legumi che il tardo '500
conosce in seguito all'introduzione in Europa di
nuove ed esotiche varietà di fagioli importati
dall'America.
Ma a ben guardare è più probabile che si tratti di quel
“fagiolo dall'occhio” che costituisce l'antenato
autoctono delle varietà americane, quella pianta già
nota ai romani che la importavano dall'Egitto.
Non stupisce tuttavia che nel piatto di quest’affamato
uomo senza nome vi siano principalmente fagioli, da
sempre considerati la “carne dei poveri”.
20. La Cena in Emmaus è un dipinto a olio su tela di Caravaggio, databile al
1601-1602 e conservato nella National Gallery di Londra.
21.
La cena in Emmaus di Londra è
contemporanea al San Giovanni Battista, ed è
stata riconosciuta come quella commissionata
da Ciriaco Mattei nel 1601 e pagata 150 scudi
il 7 gennaio 1602.
Cena in Emmaus Brera
Nel 1606 Caravaggio
dipinse una seconda
versione del tema, oggi alla
Pinacoteca di Brera, dal
tono molto più sommesso.
Entrò nel museo londinese
nel 1839.
22. Rappresenta il culmine dell'azione
dell'episodio descritto nel Vangelo di Luca
(24:13-32): due discepoli di Cristo, Cleofa
a sinistra e l'altro a destra, riconoscono
Cristo risorto, che si era presentato loro
come un viandante e che avevano
invitato a cena, nel momento in cui
compie il gesto della benedizione del
pane, alludendo così al sacramento
dell'Eucarestia. Cristo è rappresentato
con le fattezze del Buon Pastore,
immagine frequente nell'arte
paleocristiana, un giovane imberbe
dall'aspetto androgino, che simboleggia la
promessa di vita eterna, la rinascita e
l'armonia, intesa come unione di contrari.
23.
È anche probabile che l'artista avesse voluto ritrarre
un Cristo all'apparenza non riconoscibile dallo
spettatore immediatamente tramite le fattezze, ma
piuttosto guardandone e i gesti e lo svolgersi
dell'avvenimento.
I due discepoli mostrano stupore, Cleofa si alza
dalla sedia e mostra in primo piano il gomito
piegato; l'altro vestito da pellegrino con la conchiglia
sul petto, allarga le braccia con un gesto che mima
simbolicamente la croce, e misura in tralice lo
spazio a disposizione, oltre ad unire la zona in
ombra con quella dove cade la luce; anche il
braccio di Cristo, proteso in avanti, dipinto di
scorcio, dà l'impressione di profondità spaziale; La
sua mano destra è troppo grande, ma serve per
dirigere l'occhio dello spettatore verso Cristo.