1. HOMO SUM?
RIFLESSIONI SUL
TEMA DEI
DIRITTI UMANI
TRA IL MONDO
CLASSICO E NOI
Donatella Puliga
Hieronymus Bosch – Il Viandante, 1515. Università di Siena
Dal Trittico del Carro di Fieno.
Museo del Prado, Madrid.
2. Introduzione
I diritti umani
‘Diritti umani’:
concetto universale?
Il concetto di ‘universale’:
è indefinibile poiché varia da una cultura all’altra e da
un’epoca storica all’altra,
ma non è del tutto ‘relativo’ poiché i diritti
sono“ripetuti nel tempo e riconosciuti in aree
(culturali) anche lontane fra loro a sancire il loro
carattere di ‘diritti della persona umana’”, e quindi in
qualche modo universali.
3. Introduzione
I diritti umani
Le differenti interpretazioni dei
diritti umani,
generalmente basate su testi sacri,
sono accomunate da
il riconoscimento di un l’attribuzione di un
elemento comune a particolare valore
tutti gli esseri umani all’essere umano in
quanto tale.
4. Introduzione
Legge degli dèi e legge degli uomini
Vita dei Greci e Romani: fortemente intrisa
di religiosità.
I re, nella Grecia della monarchia, erano
investiti di potere sacrale e interpretavano
la volontà del dèi.
Crimine = atto che infrangeva la pace con
gli dèi.
5. Introduzione
I diritti umani
teoria e pratica
Distanza tra
legislazione e vita reale
Difficile analizzare situazioni distanti nel tempo
attraverso la lente dei diritti umani ‘moderni’.
Fondamentale tener conto della situazione storica e
sociale che ne fu lo sfondo.
Esempio: convivenza storica fra la dichiarazione che “tutti gli
uomini sono per natura ugualmente liberi e hanno certi diritti
innati” (Dichiarazione dei Diritti della Virginia, 1776) e
l’istituto legale della schiavitù negli Stati Uniti, abolito quasi
un secolo dopo.
6. In Grecia
Bouzyges e l’aratura sacra
Nell’ Atene arcaica, l’eroe Bouzyges = colui che
Bouzyges per primo aggioga i buoi.
aggioga dei tori ad un
aratro.
Capostipite di una famiglia
di sacerdoti – i Bouzygai -
incaricati di riti dedicati
all’aratura.
Durante i riti venivano
lanciate maledizioni
particolari.
Mosaico III sec. d.C.
Muséé des Antiquites
Nationales, Saint-Germain-en-
7. In Grecia
Bouzyges
Bouzyges “ […] lancia
Qual è il contenuto di molte maledizioni verso
queste maledizioni? coloro che non mettono in
Contro chi? comune nella vita l’acqua
Perché? o il fuoco o non mostrano
Cosa hanno a che la strada a coloro che sono
vedere con i ‘diritti smarriti”
Appendix I.61, Corpus
umani’ nell’antichità? Paroemigraphorum Graecorum
Maledizioni, dunque, contro
chi viola i doveri reciproci dati
per assodati.
8. In Grecia
Difilo
Difilo, comico ateniese:
“tu ignori cosa c’è nelle
maledizioni, se qualcuno
non mostra la via
rettamente, o non fa
accendere il fuoco, o
estinguere l’acqua, o
impedisce di mangiare a
chi sta per farlo.”
Diph.Ath., VI.238 Difilo, c. 360-290 a.C.
9. In Grecia
La ragioni della maledizione
rifiutare
• l’acqua agli assetati,
Azioni che attirano
• il cibo agli affamati,
le maledizioni per
• di indicare la strada agli
coloro che osano smarriti,
andare contro una • di essere clementi verso
legge non scritta: i nemici,
• di seppellire i cadaveri.
10. In Grecia
I doveri ‘sacri’
• Violare i doveri
‘sacri’, colloca i
trasgressori all’esterno
della comunità.
• I doveri si trasformano
in diritto per chi chiede
acqua, cibo, fuoco, la
strada …
• I doveri ‘sacri’ si
applicano anche nei
confronti dello
straniero.
11. In Grecia
Il senso della maledizione
ma ad un intervento
Il rispetto dei doveri è esterno, magico o
affidato non solo a: religioso, mediato dal
la buona volontà, sacerdote, esecutore della
volontà divina.
il senso della
comunità, Crimine = atto che infrange
la pace con gli dèi.
la responsabilità
reciproca, Non sono quindi le leggi e le
punizioni a determinare un
comportamento socialmente
corretto bensì
il timore della maledizione.
12. In Grecia
Per amore di un corpo fraterno:
Antigone di Sofocle
Frederic Leighton (1830-1896), Antigone.
Collezione privata Christie's Images.
Frederic Leighton (1830-1896), Antigone.
Collezione privata Christie's Images.
13. In Grecia: Antigone
Antigone
Morte di Eteocle e Polinice. Frontone del
tempio di Talamone, arte etrusco-italica.
Museo Archeologico, Firenze.
Giovanni Battista Tiepolo (1696–1770),
Eteocle e Polinice.
14. In Grecia
Ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfilei'n e[fun
“non sono nata per condividere l’odio ma l’amore”
Contrapposizione tra:
Creonte, re di Tebe e Antigone, figlia di Edipo
eroe e antieroe
“legalità politica” e “ordine divino”
Propensione per l’odio e propensione per l’amore
Antigone alla tomba del
fratello. Vaso attico.
Vaso del “pittore di Dolone“ raffigurante Museo del Louvre, Parigi.
Antigone di fronte a Creonte.
15. In Grecia
Antigone
L’epilogo, con
l’imprigionamen
to di Antigone e
il suo successivo
suicidio nella
grotta dove era
tenuta, fa della
protagonista la
prima paladina
dei diritti umani
nella cultura
greca.
Marie Stillman (1844-1927), Antigone dall’ 'Antigone' di Sofocle.
Woodbridge, Simon Carter Gallery.
16. In Grecia
Antigone
Edmund Kanoldt (1845-
1904), Antigone con un vaso
di unguento accanto al corpo
di Polinice, 1883
17. In Grecia
Antigone
Nikiforos Lytras (1832–1904), Antigone dinanzi al
cadavere di Polinice, 1865. Atene, Galleria Nazionale e
Museo Alexandros Soutzos.
18. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
ajllÆ a[ge deu'ro qeou;" ejpidwvmeqa: toi; ga;r
a[ristoi
mavrturoi e[ssontai kai; ejpivskopoi
aJrmoniavwn:
ouj ga;r ejgwv sÆ e[kpaglon ajeikiw', ai[ ken
ejmoi; Zeu;"
dwvh/ kammonivhn, sh;n de; yuch;n ajfevlwmai:
ajllÆ ejpei; a[r kev se sulhvsw kluta; teuvceÆ
jAcilleu'
nekro;n jAcaioi'sin dwvsw pavlin: w}" de; su;
rJevzein.
vv. 254-259
Ma su, qui stesso invochiamo gli dèi; saranno loro
i testimoni e garanti migliori dei nostri accordi:
non ti sfregerò malamente, nel caso che Zeus
dia a me la vittoria ed io ti tolga la vita;
19. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
Ma Achille:
se; me;n kuvne" hjdÆ
oijwnoi;
eJlkhvsousÆ
aji>kw'", to;n de;
kteriou'sin jAcaioiv.
Questa forma di oltraggio al
Iliade, vv. 335-336
cadavere costituiva un “rituale
di annientamento” che i Greci
Da vaso attico,
chiamavano αεικια =“perdita
La lotta fra Ettore e Achille. di somiglianza”.
20. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
Αεικια = rovesciamento del
rituale funebre
Rituale funebre: preserva ed
eterna l’identità della
persona.
Αεικια: perdita identità e
accesso negato al regno dei
morti “liminarità”
dell’anima del defunto.
Peter Paul Rubens (1577–1640),
Achille vincitore di Ettore.
Pau, Musée des Beaux-Arts (1630–35).
21. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
“Bada piuttosto che
io non diventi per te
vendetta divina”
Ettore trascinato da Achille. Pietra tombale
proveniente da Virunum. Klagenfurt, Austria.
22. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
Trasformazioni di:
Achille metamorfosi
animale;
Ettore morente
carne, pasto
dell’avversario.
Achille con il cadavere di Ettore.
Tondo di ciotola a figure rosse, c. 490-480 a.C.
proveniente da Atene. Museo del Louvre, Parigi.
23. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
Achille risponde sprezzante che in
nessun caso, e a nessuna condizione:
sev ge povtnia mhvthr
ejnqemevnh lecevessi
gohvsetai o}n tevken aujthv,
ajlla; kuvne" te kai; oijwnoi;
kata; pavnta davsontai
vv.349-52
“la nobile madre potrà piangerti disteso
sul letto, lei che ti ha partorito,
ma tutto intero ti mangeranno cani e
Ettore legato al carro di Achille.
uccelli”
Incisione di J. Balthasar Probst (1673-1748).
Fine Arts Museum, San Francisco.
24. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
Achille trascina il cadavere di Ettore.
Pettine di osso.
Seconda metà del I secolo d.C. Reperto tombale. Oria, Italia.
25. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
tou;" dÆ e[laqÆ eijselqw;n Privamo"
mevga", a[gci dÆ a[ra sta;"
cersi;n jAcillh'o" lavbe gouvnata kai; kuvse
cei'ra"
deina;" ajndrofovnou", ai{ oiJ poleva" ktavnon
ui|a". “Il grande Priamo entrò
vv. 477-9
non visto, ed avvicinatosi
abbracciò le ginocchia di
Achille, baciò le sue mani
tremende, omicide, che a
lui tanti figli avevano
ucciso”.
Gian Battista Ballanti Graziani (1762-1835).
Priamo alla tenda di Achille.
Faenza, Palazzo Milzetti, Sala delle Feste o Galleria d’Achille.
26. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
“Su, Achille, rispetta gli dèi ed
abbi pietà di me,
nel ricordo di tuo padre. Ancora
più degno di pietà sono io,
ho sopportato quello che al
mondo nessun altro mortale,
di portare alla bocca la mano
dell’uccisore di mio figlio.”
Il riscatto del cadavere di Ettore: Priamo supplica Achille
27. In Grecia
Achille e il corpo di Ettore
W" oi{ gÆ ajmfivepon tavfon {Ektoro" iJppodavmoio.
“Davano così sepoltura ad Ettore domatore di cavalli”
Iliade XXIV, v.804.
Il cadavere di Ettore ricondotto a Troia. Dettaglio di bassorilievo ornamentale
di sarcofago romano in marmo, c. 180–200 d.C. Collezione Borghese, Roma.
28. In Grecia
La memoria di Ettore
E tu onore di
pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e
lacrimato il sangue
per la patria versato, e
finché il Sole
risplenderà su le
sciagure umane.
Ugo Foscolo, I Sepolcri
Jacques-Louis David (1748-1825), Ettore, 1778.
Musée Fabre, Montpellier.
29. In Grecia: Aiace
… e di nuovo Sofocle: Aiace
Exekias (VI secolo a.C.),
Aiace medita il suicidio, circa 540 a.C..
30. In Grecia
Aiace
Artista sconosciuto, Il suicidio di Aiace Telamonio.
Cratere etrusco (forse proveniente da Vulci) con figure rosse, circa
400/350 a.C. The British Museum, Londra.
31. In Grecia
Aiace
Pittore di Brygos, Il cadavere
di Aiace coperto da
Tekmessa. circa 490 a.C..
32. In Grecia
La libertà
La libertà è riferita principalmente alla comunità e
solo di riflesso agli individui.
La polis o la civitas si consideravano libere se si
erano date le leggi da sé, non da un tiranno o da
uno straniero.
Poiché la libertà non era connaturata alla persona
ma all’ordinamento politico, la schiavitù era
ritenuta ammissibile.
Per Aristotele è giusta perchè gli uomini erano diversi
per caratteristiche fisiche, mentali e spirituali.
33. In Grecia
Cittadini a pieno titolo
Nella categoria non rientravano:
gli stranieri Greci
gli schiavi Nordici: rozzi
le donne ed irruenti
Asiatici:
arrendevoli
Concezione antropologica basata sulla Egiziani:
disuguaglianza ed anche ellenocentrica: balordi
solo i Greci avevano il massimo di
intelligenza e coraggio.
34. In Grecia
Cambia la situazione politica e
con essa il concetto di libertà
Spostamento da libertà collettiva a libertà interiore
quando la Grecia passa sotto il giogo dello straniero.
Per i Sofisti: comune biologia (physis) rende gli uomini
uguali nonostante la diversità di costumi e leggi
(nomos).
Per gli Stoici: ogni uomo in quanto partecipe del logos
(ragione universale) è uguale agli altri.
35. In Grecia
La celebrazione del barbaro …
Il Galata morente, Copia romana del I sec. a.C.
da un originale bronzeo del 230-220 a.C. circa.
Musei Capitolini, Roma.
Le sculture evocano profonde sensazioni Il Galata suicida, o Galata Ludovisi.
di eroismo e pateticità, a evidenziare il Copia romana del I sec. a.C. da un
valore dei vinti e quindi, di riflesso, anche originale bronzeo del 230-220 a.C.
quello dei vincitori. circa. Palazzo Altemps, Roma.
36. A Roma
Marco Tullio Cicerone, De Re Publica.
Edente Angelo Maio, Vaticanae Bibliothecae Praefecto.
Romae in Collegio Urbano apud Burliaeum, 1822.
Marco Tullio Cicerone, De
Officiis, libri tres, 1512.
37. A Roma
Communia
• Ennio (239 - 169 a.C.) colloca Per delitti di estrema
l’acqua e il fuoco fra i beni gravità: Aqua et igni
communia, non negabili a
nessun uomo. interdictio
• Per Cicerone (106 – 43 a.C.)
, communia erano utili a i colpevoli sono indegni di
chi ne beneficiava e non continuare a far parte della
arrecavano danno a chi li comunità romana.
osservava.
• Seneca (4 a.C.- 65 d.C.) Comportava
definiva i communia: l’allontanamento dalla
humanum comunità e la perdita della
officium, ‘doveri degli cittadinanza, anche se non
uomini verso gli uomini’. della libertà.
38. A Roma
Uguaglianza ?
Cicerone: ogni uomo appartiene alla civitas maxima
costituita da tutto il genere umano.
Seneca: in De Clementia afferma la
compartecipazione di tutti gli uomini alla ragione
universale.
Epitteto (50-120 d.C.): basa l’uguaglianza sulla comune
filiazione da Dio.
39. A Roma
Philanthropìa …
Philanthropìa = affetto per gli esseri umani (connotazione
sociale).
Philéllenos vede nei Greci il gruppo con cui avere
rapporti privilegiati;
Philànthropos guarda a tutti gli esseri umani (ànthropos =
uomo).
40. A Roma
… e Humanitas
humanitas = comportamento
umano, mite, equo, comprensivo, ma anche
educazione e cultura (tratti distintivi dell’uomo
rispetto agli altri essere viventi).
Philànthro-
pia
Humanitas
Equità.
Uomo
Mitezza
41. Seneca
omne hoc quod vides, quo divina atque
humana conclusa sunt, unum est;
membra sumus corporis magni
“ogni cosa che vedi, in cui sono unite le
cose divine e le cose umane, è unico;
siamo membra di un grande corpo”
Epistulae ad Lucilium, 95.52.2
Lucio Anneo Seneca
(Corduba, 4 a.C. – Roma, 65)
magna[…] laus est si homo mansuetus
homini est
“è una grande lode se l’uomo è benevolo
verso l’altro uomo.
Epistulae ad Lucilium, 95.51.4
42. Seneca
“La natura ci ha generato parenti fra
noi, perché siamo stati generati dagli stessi
elementi e tendiamo verso lo stesso fine
[…] Ci stia sempre nel cuore e sulle labbra
quel verso famoso: homo sum: humani
nihil a me alienum puto. Convinciamoci di
questo, che siamo nati per stare insieme.
La nostra società è come una volta di
pietre, che sta su solo perché le pietre si
sostengono l’un l’altra, altrimenti
cadrebbe”
Epistulae ad Lucilium, 95.51.53
43. A Roma
Clementia e Indulgentia
Virtù romane, non
obbligatorie, che trattenevano dal
commettere atti esecrabili.
Il rispetto dei diritti deriva dalla
buona disposizione e qualità morali
dell’individuo.
Statue allegoriche di
Iustitia e Clementia.
Hofburg, Vienna
44. A Roma
Tutti uguali, ma …
Cicerone: tutti gli uomini appartengono alla stessa
societas, ma vincolati da doveri diversi a seconda della
parentela. Elenca quattro forme di società fondate sulla
vicinanza:
1. Individui che parlano la stessa lingua e vantano la
stessa origine;
2. società formata dallo stato (patria);
3. società formata dalla famiglia (genitori, figli, parenti);
4. amici.
Di conseguenza, nella pratica, i ‘diritti umani’ non si
applicano indistintamente a tutti gli uomini!
45. In sintesi
SFERA ETICA ORDINAMENTI
ma POLITICI E
La filosofia stoica
introdusse i principi di: GIURIDICI
libertà libertà
uguaglianza uguaglianza
dignità umana dignità umana
rispetto della persona
rispetto della persona
ELEMENTO CARATTERIZZANTE DEL PENSIERO GRECO-ROMANO:
bene comune e utilità generale, non l’individuo.
46. Uno sguardo sul mondo moderno
Voltaire
Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763.
François-Marie
Arouet, Voltaire, 1694
– 1778.
47. Uno sguardo sul mondo moderno
Cesare Beccaria
“[…] Pochissimi hanno esaminata e combattuta la
crudeltà delle pene e l’irregolarità delle procedure
criminali, parte di legislazione così principale e così
trascurata in quasi tutta
l’Europa, pochissimi, rimontando ai principi
generali, annientarono gli errori accumulati di più
secoli, frenando almeno, con quella sola forza che
hanno le verità conosciute, il troppo libero corso della
mal diretta potenza, che ha dato finora un lungo e
autorizzato esempio di fredda atrocità. E pure i gemiti
dei deboli, sacrificati alla crudele ignoranza ed alla ricca
indolenza, i barbari tormenti con prodiga e inutile
severità moltiplicati per delitti o non provati, o
chimerici, la squallidezza e gli orrori di una
prigione, aumentati dal più crudele carnefice dei
Cesare Beccaria, 1738 - 1794 miseri, l’incertezza, doveano scuotere quella sorta di
magistrati che guidano le opinioni delle menti umane”.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1763
48. Uno sguardo sul mondo moderno
Cesare Beccaria
“ Il fine delle pene non è di tormentare e
affliggere un essere sensibile, né di disfare
un delitto già commesso. Può in un corpo
politico albergare questa inutile crudeltà
strumento del furore e del fanatismo o dei
deboli tiranni? Le strida di un infelice
richiamano forse dal tempo che non
ritorna le azioni già consumate? Il fine
dunque non è altro che di impedire il reo
dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di
rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle
pene dunque e quel metodo di infliggerle
deve esser prescelto che, serbata la
proporzione, farà una impressione più
efficace e più durevole sugli animi degli Cesare Beccaria, frontespizio di
uomini, e la meno tormentosa sul corpo Dei delitti e delle pene.
del reo” Harlem - Parigi, Molini, 1766.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1763
Legge degli dèi e legge degli uominiIn origine la vita dei Greci e dei Romani era fortemente intrisa di religiosità. Nel mondo greco al tempo della monarchia i re erano investiti di potere sacrale e interpretavano la volontà degli dèi, le cui leggi erano sacre e, come tali, eterne e immutabili. Di conseguenza la preoccupazione maggiore della comunità era di preservare l’ armonia con gli dèi, e ciò creava quella commistione di religioso e giuridico tipica delle culture precristiane.Anche nel mondo romano i re e poi i pretori e i consoli erano in contatto con le divinità, sia consultandole prima di un’ impresa (traendo gli auspici) sia invocandole per chiederne la protezione o per ringraziarle per quella concessa. Lo stesso crimine era prima di tutto un atto che infrangeva la pace con gli dèi, e di conseguenza il reo era escluso dalla comunità e abbandonato all’ ira divina o addirittura sacrificato allo scopo di placarla.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
1.1 Per amore di un corpo fraterno: Antigone Come dimenticare, del resto, che proprio intorno a un cadavere insepolto si dipana una delle tragedie più interessanti e più cariche di significato della letteratura greca, l’Antigone di Sofocle? Accanto a questo corpola cultura greca vede il contrapporsi della legge naturale, rappresentata non a caso da una donna, e della legge umana: se gli editti di Creonte ordinano ai cittadini di lasciare senza sepoltura il cadavere di Polinice traditore della patria, le leggi degli dèi, comuni a tutti gli uomini, prevedono al contrario che si debbano onorare i defunti.Riconoscere e cercare di far riconoscere ad ogni uomo uguale dignità nella morte, come tenta di fare Antigone a costo della propria vita, è comunque un primo passo che ha un enorme valore culturale e antropologico. Il rituale della sepoltura aveva dunque una grande rilevanza culturale, caratterizzata da alcuni elementi minimi ricorrenti all’interno delle cerimonie funebri, ma soprattutto, come emerge chiaramente nella tragedia sofoclea, volto a onorare la figura del defunto. Il decreto di Creonte che impedisce a chiunque di offrire onori funebri al nemico Polinice, è dunque particolarmente scandaloso e si colloca fra le caratteristiche- limite della sventura che colpisce la stirpe di Edipo, quasi a compimento della maledizione che lo sfortunato re di Tebe aveva lanciato contro se stesso e la propria discendenza. Ma neanche il far parte della stirpe incestuosa di Edipo è giustificazione sufficiente al diventare una salma abbandonata all’esterno della città: nessuno dovrebbe permettere un simile scempio e un simile oltraggio alle norme degli dei, e, soprattutto, non può permetterlo Antigone, legata al morto non solo dagli obblighi di umanità ma anche da quelli di parentela.Il personaggio di Antigone ha riscosso nel corso dei secoli un interesse e un successo straordinari. Imitata, riscritta, reinventata, l’eroina sofoclea è stata oggetto di numerosissimi studi, antropologici, letterari e storico-giuridici. Antigone è stata analizzata e interpretata attraverso modalità e punti di vista differenti: come esempio di contrapposizione fra legge divina e legge umana, come modello di ribellione contro un potere tirannico e ingiusto, come esempio delle tipologie di legami interni alla stirpe nel sistema culturale greco, come rappresentante di una contrapposizione fra la componente femminile e quella maschile della società, e l’elenco potrebbe continuare.Si pensi all’Antigone di Racine, a quella di Anouilh, all’Antigone messa in scena dal Living Theatre, fino ad arrivare a romanzi moderni e persino ad associazioni dedicate all’eroina sofoclea. Sulla riscrittura di Antigone, cfr. in particolare: G. Steiner, Le Antigoni, Milano, 1990Sulla ritualità connessa alla morte nel mondo antico è fondamentale il testo di E. de Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino, 1958.
Quello che qui più interessa sottolineare, all’interno di questa tragedia sofoclea, nel contesto della nostra ricerca, è l’importanza che viene attribuita all’atto di seppellire i morti e il richiamo alle leggi non scritte, non tanto in relazione al legame di parentela fra Antigone e Polinice, quanto piuttosto alla validità universale che a tale regola viene attribuita, validità che, nonostante il timore nei confronti del tiranno, l’intera città di Tebe riconosce. Sofocle infatti si trova ad utilizzare l’esempio dell’obbligo di dare sepoltura ai morti, accettato da tutti in Grecia, per parlare dell’importanza delle leggi sacre la cui “universalità […] non è che il segno della loro origine divina”. Come è noto, il fulcro della tragedia si colloca nella contrapposizione netta e violenta fra i due personaggi principali, in qualche modo un eroe ed un antieroe:la giovane figlia di Edipo, Antigone, e il nuovo re di Tebe, Creonte, che della giovane è anche lo zio, nonché il futuro suocero. Da un punto di vista sociale dunque, se si esclude la differenza di età e soprattutto quella di genere, si tratta di due personaggi che rivestono all’interno della città di Tebe un importanza sociale simile. Ma (J. De Romilly, La legge nel pensiero greco (ed. orig. in francese), Les Belles Lettres, Paris p. 33.)questa “uguaglianza” di rango rende ancor più nette le differenze nelle posizioni teoriche e lo squilibrio di potere che si manifesta fra i due.Il contrasto fra i due personaggi è anche una polarizzazione di due aspetti diversi della cultura greca: la “legalità politica, incarnata da Creonte” e “un ordine del divino” rappresentato da Antigone.Nonostante il potere di cui è investito e l’autorità che manifesta, è Creonte a risultare sconfitto, tanto nel suo comportamento, quanto ancor di più nelle sue affermazioni di principio: neppure nel caso del tradimento della patria, e neppure se è il re stesso ad emanare le leggi queste possono contrapporsi alle leggi a[grapta kajsfalh' qew'n (“ non scritte e incrollabili degli dei”).Sofocle, però, non mette in scena soltanto una contrapposizione giuridico-filosofica ma anche e soprattutto un confronto di ordine morale: ciò che differenzia Antigone da Creonte è la propensione del secondo per l’odio e della prima per l’amore; un amore che, oltre ad essere amore fraterno e rispetto dei doveri sacri, potrebbe anche derivare dal riconoscere a ciascun uomo “morto o vivo la dignità di possedere una sorta di scintilla divina”. De Romilly, op. cit., p.34.Soph., Antigone, 454.Soph., Antigone, 454.Fabre, op. cit., p. 167.
Il comportamento assunto da Antigone è dunque contemporaneamente frutto dell’adesione ad una comunità familiare, e insieme adesione ad un più ampio sistema di valori all’interno del quale il dare sepoltura ai defunti è tutelato da norme divine.Anche da un punto di vista espressivo la contrapposizione fra Creonte ed Antigone è molto netta e le parole che usano provengono da due mondi diversi. Per il primo prevale un aspetto che potremmo definire politico, o piuttosto guerriero, per cui ciò che è prioritario è la distinzione fra i nemici e gli alleati e di conseguenza Ou[toi poqÆ ouJcqrov", oujdÆ o{tan qavnh/, fivlo" (“il nemico non è mai, neppure da morto, un amico”); dall’altra parte il mondo di cui Antigone si fa portavoce è quello in cui l’interesse principale è rivolto alla dignità umana, ai legami all’interno della comunità e agli dei. La voce di Antigone, che dice di essere fatta per l’amore e non per l’odio: Ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfilei'n e[fun“non sono nata per condividere l’odio ma l’amore” esprime al tempo stesso il rispetto per gli dèi, che hanno dato agli uomini delle leggi sacre da rispettare, e il rispetto per gli uomini.La voce tonante di Creonte, forte del suo potere e del complice silenzio dei cittadini spaventati, non è sufficiente a fermare la parola di Antigone; il rifiuto di Creonte di riconoscere uguale “diritto” alla sepoltura a Eteocle e Polinice, diventa di fatto rifiuto di riconoscere loro uguale dignità umana.La posizione rappresentata da Antigone non è ancora - e sarebbe un grave anacronismo pensarlo - un discorso sui diritti. Ma questo comunque non ci impedisce di vedere dietro le parole dell’ eroina sofoclea un elemento di enorme rilevanza culturale che, pur riguardando ad un primo livello soltanto i doveri sacri nei confronti dei morti, si ispira a un sentimento condiviso e radicato di rispetto della dignità dell’uomo che si esprime, in questo caso, nei riti legati alla sepoltura, ma che vedremo essere presente anche in altre occasioni e contesti all’interno della cultura del mondo antico.Soph., Antigone, 522.Soph., Antigone, 523.
Riconoscere e cercare di far riconoscere ad ogni uomo uguale dignità nella morte, come tenta di fare Antigone a costo della propria vita, per quanto non si possa trattare di un riconoscimento garantito dalla legge, che al contrario è in questo caso schierata dalla parte opposta (quella di Creonte che ha creato la propria legge su basi ben diverse), è comunque un primo passo che ha un enorme valore culturale e antropologico. Non si parla ancora certamente di uguaglianza giuridica, ma Antigone non rappresenta un punto di vista isolato se Sofocle la fa emergere come eroina “vincitrice”, sebbene condannata a morte e suicida. Di conseguenza nelle sue parole si condensa un’idea che sembra condivisa dai Greci nel loro complesso; i cittadini di Tebe obbediscono a Creonte solo per paura e, eij mh; glw'ssan ejgklhv/soi fovbo". (“se la paura non tappasse loro la bocca”) si unirebbero al discorso della giovane donna che si oppone al tiranno. Nel funzionamento del meccanismo doveri/diritti, è rilevante soprattutto il rapporto con il divino: nel momento in cui Antigone viola la legge decretata da Creonte viene giudicata da un tribunale umano presieduto da Creonte stesso; nel caso di Creonte che viola, come lui stesso finirà per riconoscere alla fine della tragedia, le leggi stabilite da un potere esterno e superiore, e pertanto più forti della legge umana ( devdoika ga;r mh; tou;" kaqestw'ta" novmou" a[riston h\\/ swv/zonta to;n bivon telei'n, (“temo infatti che sia meglio rispettare fino alla fine della vita le leggi stabilite”), invece, “ non ci sono tribunali né sacerdoti ” che possano esprimere un giudizio, ma la condanna è ancor più grave perché avrà come conseguenza un castigo divino, che nel caso di Creonte si concretizza nel suicidio del figlio e della moglie. Gli dèi dunque non permettono che le loro leggi vengano violate dall’empietà degli uomini. In assenza di un’eroina che ricordi agli uomini come bisogna comportarsi nei confronti di chi è stato sconfitto in battaglia, saranno gli dèi stessi- in un certo senso - a farsi carico di mettere un freno alla hybris degli eroi. L’epilogo, con l’imprigionamento di Antigone e il suo successivo suicidio nella grotta dove era tenuta, farà della protagonista, per così dire, la prima paladina dei diritti umani nella cultura greca.Soph., Antigone, 505.Soph., Antigone, 1113-1114.De Romilly, op.cit., p. 33.
1.2 Un passo indietro: Achille e il corpo di Ettore La riflessione sulla sorte di un cadavere ha però, nella letteratura greca, cioè nella prima letteratura dell’Occidente, una data di nascita molto anteriore a quella della tragedia sofoclea. E’ quella del primo dei poemi omerici, l’Iliade. Fin dalle prime battute, l’episodio del duello tra Ettore e Achille che compare nel XXII libro appare dominato dalla preoccupazione per quella che sarà la sorte del cadavere dello sconfitto. Prima di dare inizio allo scontro, Ettore si rivolge all’avversario e lo invita a invocare gli dèi come garanti di un solenne giuramento: l’eroe troiano dichiara che non recherà offesa al cadavere del nemico, qualora sia lui a riportare la vittoria, e invita Achille ad impegnarsi nella stessa promessa:ajllÆ a[ge deu'ro qeou;" ejpidwvmeqa: toi; ga;r a[ristoi mavrturoi e[ssontai kai; ejpivskopoi aJrmoniavwn: ouj ga;r ejgwv sÆ e[kpaglon ajeikiw', ai[ ken ejmoi; Zeu;" dwvh/ kammonivhn, sh;n de; yuch;n ajfevlwmai: ajllÆ ejpei; a[r kev se sulhvsw kluta; teuvceÆ jAcilleu' nekro;n jAcaioi'sin dwvsw pavlin: w}" de; su; rJevzein. vv. 254-259 Ma su, qui stesso invochiamo gli dèi; saranno loro i testimoni e garanti migliori dei nostri accordi:non ti sfregerò malamente, nel caso che Zeus dia a me la vittoria ed io ti tolga la vita;ma dopo averti, Achille, predato le tue belle armi,restituirò il orto agli Achei; tu fa’ altrettanto Ma Achille rifiuta con disprezzo il patto proposto dall’avversario (v. 261) e, dopo averlo ferito a morte, infierisce contro di lui promettendogli che cani e uccelli faranno scempio del suo corpo senza vita se; me;n kuvne" hjdÆ oijwnoi; eJlkhvsousÆ aji>kw'", to;n de; kteriou'sin jAcaioiv. vv. 335-336Questa forma di oltraggio al cadavere costituiva un “rituale di annientamento” che i Greci chiamavano αεικια (letteralmente “perdita di somiglianza”). Lo scopo era quello di rendere irriconoscibile il cadavere, per privarlo della sua identità. In una società che, come quella greca, vedeva l’affermazione di sé come uno dei valori più alti, questa perdita di riconoscibilità del corpo costituiva una gravissima minaccia. L’ αεικια rappresentava perciò, in un certo senso, il rovescio del rito funebre, che aveva invece l’obiettivo di preservare ed eternare l’identità della persona, proprio attraverso un articolato rituale che prevedeva il compianto dei parenti e la ricomposizione del cadavere: esso veniva lavato, avvolto in vesti preziose e cosparso di unguenti profumati, in modo che l’immagine più bella e più integra della persona venisse offerta alla vista, e quindi al ricordo.Nell’avanzare questa richiesta, Ettore cerca di tutelarsi dal pericolo contro cui lo aveva meso in guardia la madre: per dissuadere il figlio dal combattere contro Achille, Ecuba si era detta certa che il eroe eroe non avrebbe restituito il cadavere ai familiari per il regolare rito funebre, ma lo avrebbe dato in pasto ai cani (XXII, vv. 86-89). Non si deve dimenticare che il rito funebre praticato nella società omerica è quello della cremazione, (dal verbo κρεμαννυμι che significa “bruciare”), durante la quale il corpo del defunto viene affidato al fuoco che lo distrugge rapidamente, con un passaggio immediato dalla piena integrità del corpo alla sua dissoluzione in cenere, senza che il cadavere conosca - come avviene nell’inumazione - il processo di disfacimento e putrefazione. A eternare il defunto è inoltre la costruzione del monumento funebre, luogo deputato alla prosecuzione di un rapporto tra i vivi e i morti nella dimensione della memoria.
Il guerriero sottoposto ad αεικια non perde solo la sua identità; la mancata restituzione del cadavere ai parenti per una regolare sepoltura comporta una seconda e ancor più grave conseguenza: finché il corpo non aveva ricevuto gli onori funebri, all’anima del defunto era impedito l’accesso al regno dei morti. Senza un funerale che sancisca il passaggio della persona dal regno dei vivi all’oltretomba, l’anima del defunto resta, cioè, in una insostenibile situazione di “liminarità”, senza appartenere completamente a nessuno dei due mondi. Ma le anime di chi fosse rimasto privo di onori funebri potevano- nell’immaginario dei Greci- trasformarsi in dèmoni vendicatori: questa credenza è adombrata nelle stesse parole di Ettore morente. Nell’estremo tentativo di convincere Achille a restituire il suo corpo ai genitori, il guerriero troiano ammonisce l’avversario: fravzeo nu'n, mhv toiv ti qew'n mhvnima gevnwmai v. 358“Bada piuttosto che io non diventi per te vendetta divina” Ma neppure questa minaccia può distogliere Achille dal suo desiderio di vendetta. Anzi, la ferocia del Pelide si spinge al desiderio di una forma estrema di αεικια, il cannibalismo: Achille rimpiange di non poter lui stesso sbranare il corpo dell’avversario, al posto dei cani e degli uccelli (vv. 346-47). Le parole di Achille suonano come umiliazione violenta del nemico: Ettore morente perde non solo la sua identità di guerriero, ma addirittura la connotazione di essere umano, per trasformarsi in semplice carne, pasto dell’avversario. Viceversa, Achille va incontro ad una metamorfosi animale: divenuto belva assetata di sangue, il guerriero greco non è più disposto a riconoscere le norme che regolano la guerra e la restituzione dei cadaveri al nemico. Achille preannuncia così a Ettore che rifiuterà ogni dono offerto da Priamo in cambio del corpo del figlio e che la madre Ecuba non potrà piangere su di lui il lamento funebre: alla supplica di Ettore, fatta in nome della vita, delle ginocchia, dei genitori (vv. 340-1), Achille risponderà sprezzante che in nessun caso, e a nessuna condizione sev ge povtnia mhvthr ejnqemevnh lecevessi gohvsetai o}n tevken aujthv, ajlla; kuvne" te kai; oijwnoi; kata; pavnta davsontai vv.349-52“la nobile madre potrà piangerti disteso sul letto, lei che ti ha partorito, ma tutto intero ti mangeranno cani e uccelli”
1.2.1“Ricordati del padre tuo, Achille pari agli dèi” Nel libro XXIV il re Priamo, sfidando la morte e la paura, si reca nell’accampamento greco per supplicare Achille di restituirgli il cadavere del figlio; il corpo, protetto da Apollo, non è stato del tutto sfigurato dalla violenza del Pelide che con immensa hybris si è accanito per giorni sul corpo di Ettore, trascinandolo dietro il suo cocchio. Se - come abbiamo visto - nell’Antigone è una donna ad osare sfidare le leggi degli uomini, qui è un vecchio che chiama a testimoni gli dèi: è come se nella “normalità”, quella del maschio adulto, non si potesse inscrivere il gesto della infrazione alle leggi irrevocabili della guerra e del trattamento dei nemici.tou;" dÆ e[laqÆ eijselqw;n Privamo" mevga", a[gci dÆ a[ra sta;" “Il grande Priamo entrò non visto, ed avvicinatosi cersi;n jAcillh'o" lavbe gouvnata kai; kuvse cei'ra" abbracciò le ginocchia di Achille, baciò le sue manideina;" ajndrofovnou", ai{ oiJ poleva" ktavnon ui|a". tremende, omicide, che a lui tanti figli avevano ucciso” vv. 477-9 (…) ajllÆ aijdei'o qeou;" jAcileu', aujtovn tÆ ejlevhson “Su, Achille, rispetta gli dèi ed abbi pietà di me,mnhsavmeno" sou' patrov": ejgw; dÆ ejleeinovterov" per, nel ricordo di tuo padre. Ancora più degno di pietà sono io,e[tlhn dÆ oi|Æ ou[ pwv ti" ejpicqovnio" broto;" a[llo", ho sopportato quello che al mondo nessun altro mortale,ajndro;" paidofovnoio poti; stovma cei'rÆ ojrevgesqai. di portare alla bocca la mano dell’uccisore di mio figlio.” vv. 503 ss. Tanto più dunque “è riprovevole chi si accanisce contro un morto” e tanto più di conseguenza diviene necessario che “in suo favore gli dèi intervengano”. Sono infatti gli dèi che, come in molte altre occasioni nei poemi omerici, si fanno giudici della disputa: Achille deve consegnare il corpo di Ettore o mantenerlo nell’accampamento? E’ soprattutto Apollo che si schiera a favore della restituzione del cadavere, ma stavolta non è una decisione “di parte” (il dio è in modo manifesto sostenitore dei troiani) quanto una presa di posizione contro la violenza e l’empietà di cui Achille si è macchiato. Quest’ultimo viene poi a conoscenza del verdetto per mezzo della madre Teti e stavolta nemmeno il Pelide potrà andare contro il volere divino (vv. 126-140). Così il vecchio Priamo riuscirà ad ottenere il corpo del suo amato figlio, dopo un toccante dialogo con l’eroe. E l’Iliade si chiude con un verso di straordinaria essenzialità, che ci parla di una conclusione drammaticamente pacificata della vicenda: }W" oi{ gÆ ajmfivepon tavfon {Ektoro" iJppodavmoio. “Davano così sepoltura ad Ettore domatore di cavalli” Sono versi la cui eco ha risuonato attraverso i secoli, impigliandosi anche nella chiusa di quell’inno alla memoria attraverso la tomba (il monumentum, ciò che consente l’atto immortale del meminisse) che sono I Sepolcri di Ugo Foscolo: E tu onore di pianti, Ettore, avraiove fia santo e lacrimato il sangueper la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane. Iliade XXIV, v.804.
1.3 … e di nuovo a Sofocle E’ ancora il campo di Troia a fare da sfondo alla vicenda narrata dalla tragedia di Sofocle Aiace, dove ancora una volta il tema del destino di un cadavere gioca un ruolo di primissimo piano. Si tratta, anche in questo caso, di un cadavere “eccellente”: è quello di Aiace, che nella tradizione omerica è il più forte eroe dopo Achille, l’unico che può tenere testa ad Ettore durante l’assenza del Pelide. E’ forse questa certezza di poter raccogliere l’eredità di colui che ha ucciso Ettore a generare, in contrasto con la delusione per non aver ricevuto le armi di Achille, la furia cieca del Telamonide: essa si è abbattuta sulle greggi dei Greci, da lui scambiati per gli Atridi, rei di aver privilegiato con quel dono Odisseo. Se la prima parte della tragedia è occupata dalla follia dell’eroe fino al suo suicidio, la seconda ruota esclusivamente attorno alla questione della sepoltura, da concedergli o da negargli; in questo caso proprio Odisseo si fa giudice in terra tra Teucro, fratello di Aiace, e gli Atridi. Secondo questi ultimi, infatti, non merita sepoltura un uomo che ha attentato alla vita di comandanti supremi dell’esercito greco, salvati solo dall’intervento di Atena; ma è Teucro stavolta che invoca le leggi divine e che pretende anche per il fratello il trattamento riservato non solo agli eroi, ma a tutti gli uomini. E - in modo molto significativo - riflette sul destino che ha legato Ettore e Aiace attraverso lo scambio delle loro armi:Iliade II, v. 768; Odissea, XI, 468.Iliade VII , 182.
La libertàNel mondo antico la libertà era riferita principalmente alla comunità, e solo di riflesso agli individui. Innanzitutto veniva attribuito un ruolo decisivo nelle vicende umane al Fato o Destino, una forza suprema che guidava l’uomo e ne condizionava l’esistenza senza che questi potesse opporvisi. La forza del Fato era tale che le stesse divinità ne erano soggette.Dal punto di vista politico era invece la condizione della polis o della civitas a sancire se vi fosse libertà: se la comunità si era data da sé le leggi che la governavano e non le erano state imposte da un tiranno o dallo straniero, allora essa era considerata libera, e liberi erano anche i suoi cittadini. L’essenza della libertà era quindi l’ autodeterminazione della polis o della civitas.Dato che la libertà non era connaturata alla persona ma all’ordinamento politico, la schiavitù era ritenuta ammissibile. Anzi, per Aristotele era addirittura giusta, perché gli uomini erano diversi non solo in base a caratteristiche fisiche, ma anche mentali e spirituali: gli schiavi infatti avevano quel tanto di ragione per poter ubbidire agli ordini del padrone, ma di fatto ne erano privi, mentre disponevano di un corpo così robusto da sopportare bene la fatica; per converso i liberi avevano tutte le doti che servivano per la vita pubblica.La libertà infatti divenne il valore supremo che conferiva virtù, e di conseguenza il suicidio era l’atto supremo con cui lo stoico non più libero sanciva la propria dignità ultima, al tempo stesso necessità filosofica e dovere morale. E’ in ragione di questo sentire che Catone si uccise di fronte al crescente potere personale di Cesare, e Seneca giunse a teorizzare il suicidio in uno dei suoi trattati.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
Nei cittadini a pieno titolo non rientravano gli stranieri e gli schiavi, ma neppure le donne. A causa delle doti loro attribuite, infatti, non erano paragonabili agli uomini, e come tali venivano considerate mere abitanti della polis e di conseguenza indegne di partecipare alla vita pubblica. Non solo erano inadatte alla guerra e poco sagge, ma avevano un ruolo passivo persino nella procreazione, dato che si riteneva che l’embrione fosse generato dall’uomo.Essendo la concezione antropologica dei Greci fondata sulla disuguaglianza, non deve sorprendere che fosse anche ellenocentrica. Essa giustificava l’inferiorità degli stranieri, o barbari, sulla base dell’influenza che le condizioni ambientali e climatiche esercitavano sui popoli: solo i Greci avevano il massimo dell’intelligenza e del coraggio perché vivevano al centro della zona temperata, mentre i nordici erano rozzi e irruenti, gli asiatici arrendevoli anche se ingegnosi, gli egiziani balordi perché troppo ingentiliti. Questa classificazione gerarchica poneva i Greci al vertice, e di conseguenza sanciva il loro diritto a comandare su tutte le genti.Lo Stoicismo ebbe un forte influsso anche sul pensiero politico, che in seguito alle conquiste di Alessandro Magno spostò la propria riflessione dalla polis all’ intero cosmo. Ma è con gli Stoici romani che la dottrina sviluppò principi finalizzati alla prassi, stabilendo così uno stretto legame tra filosofia e politica.Cicerone riteneva che ogni uomo appartenesse alla civitas maxima costituita da tutto il genere umano dotato di ragione, e che per questo fosse in rapporto di uguaglianza con gli altri uomini, ai quali era legato anche mediante il diritto. Superiore alla legge positiva degli uomini era la lex naturae, voluta dagli dèi ed esistente da sempre, che nessun legislatore avrebbe mai potuto abrogare o ignorare. E’ quindi grazie a Cicerone che la legge di natura cessa di essere un argomento di mera riflessione filosofica e diviene oggetto di teoria e prassi giuridica.In nome della compartecipazione di tutti gli uomini alla ragione universale e della sacralità che ne derivava, Seneca nel De clementia esortò l’Imperatore ad agire per il bene della comunità, intendendo l’esercizio del potere come servizio reso al popolo. Epitteto invece basò l’uguaglianza di tutti gli uomini sulla comune filiazione da Dio. Nel I e II Secolo d.C. lo Stoicismo fu adottato come religione dalle classi più colte e influenti della società romana, e per questo ebbe modo di produrre risultati concreti in àmbito politico, come testimonia sopra tutte l’opera di Marco Aurelio, al termine di un periodo che si può a ragione definire di “assolutismo illuminato”.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
col tempo la sfera del diritto incominciò a staccarsi da quella del sacro, facendo emergere una distinzione tra la legge degli uomini e quella degli dèi. Ciò avvenne in Grecia nel V Secolo a.C. col consolidarsi della polis, e a Roma durante il periodo regio. Eppure la connotazione mista rimase sempre presente, al punto che è grazie a imperativi di carattere religioso che si pretendeva il rispetto dei communia, ossia di quegli obblighi generali comuni a tutti i popoli che secondo Cicerone erano utili a chi ne beneficiava e non arrecavano danno a chi li osservava, e che Seneca definiva come humanum officium, cioè “doveri degli uomini verso gli uomini”.Questi doveri consistevano nel dare acqua all’assetato e cibo all’affamato, nell’indicare la strada al viandante, nel seppellire i cadaveri, nell’essere clemente verso i nemici dichiarati, astenendosi dall’infierire sulle loro cose, sulle loro donne e su chi era stato fatto prigioniero.Lo StoicismoUna svolta decisiva scaturì dalle amare vicende che portarono la Grecia sotto il giogo dello straniero e quindi alla perdita della libertà tradizionalmente intesa. In un contesto nel quale non c’ era più libertà, fu necessario dare a questa un nuovo significato e un nuovo fondamento: divenuta impossibile la libertà collettiva, si puntò su quella interiore (e quindi individuale) emancipando così il valore del singolo da quello della comunità e dell’ordinamento giuridico che la governava.Già i Sofisti ritennero che la comune biologia (physis) rendesse gli uomini uguali, a dispetto della diversità dei costumi e delle leggi (nomos), ma è con la filosofia stoica che nacque una concezione non solo antropologica, ma anche etica che li riconoscesse tali. A fondamento di questa concezione era l’esistenza di un mondo della ragione a fianco del mondo sensibile, un mondo nel quale ogni uomo era partecipe del logos, ossia della ragione universale, e come tale fosse uguale agli altri per essere contraddistinto dalla medesima finalità etica.Non potrebbe essere più netta la cesura rispetto alla concezione più antica, che riteneva che un sentimento paritetico di amicizia (philia) non potesse nascere fra individui di valenza morale diversa. Un esempio suggestivo di questo nuovo atteggiamento sono le statue del Galata morente e del Galata suicida fatte erigere nell’acropoli di Pergamo nel 230 a.C. dopo la vittoria sui Galati, popolazione celtica stanziata in Asia Minore: in esse si celebra il vincitore mediante l’esaltazione delle virtù del barbaro vinto (forza, coraggio, grandezza morale), raffigurando rispettivamente un guerriero ferito, sofferente ma non sottomesso, e un guerriero che dà la morte a sé stesso e alla propria donna per non cadere nelle mani dei nemici.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
Non potrebbe essere più netta la cesura rispetto alla concezione più antica, che riteneva che un sentimento paritetico di amicizia (philia) non potesse nascere fra individui di valenza morale diversa. Un esempio suggestivo di questo nuovo atteggiamento sono le statue del Galata morente e del Galata suicida fatte erigere nell’acropoli di Pergamo nel 230 a.C. dopo la vittoria sui Galati, popolazione celtica stanziata in Asia Minore: in esse si celebra il vincitore mediante l’esaltazione delle virtù del barbaro vinto (forza, coraggio, grandezza morale), raffigurando rispettivamente un guerriero ferito, sofferente ma non sottomesso, e un guerriero che dà la morte a sé stesso e alla propria donna per non cadere nelle mani dei nemici.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
Philanthropìa e humanitasIl mutato atteggiamento ebbe riflessi anche in campo linguistico, dove la parola greca philanthropìa e quella latina humanitas legavano il concetto di “uomo” al concetto di “comportamento mite, equo, comprensivo”, preparando così il terreno a quella che col tempo sarebbe divenuta la nozione di “diritti umani”.Philanthropìa significava “affetto per gli uomini”, anche se si ritiene che qui phìlos (“caro”, “che ama”) avesse una connotazione più sociale che sentimentale, intendendo la propensione o la disposizione a riconoscere nell’uomo un altro appartenente al proprio gruppo sociale, e in virtù di questo a voler stabilire con lui relazioni di vicinanza analoghe a quelle intrattenute con la moglie, i figli, i parenti, l’ospite o la propria casa (tutti accomunati nella parola phìloi).Come il philéllenos vedeva nei Greci (Héllenes) il gruppo con cui intrattenere rapporti privilegiati, il philànthropos guardava invece a tutti gli uomini (ànthropos, “uomo”). Probabilmente non è un caso che l’uso di questa parola si diffonda a partire dal IV Secolo a.C., cioè dopo le esperienze dolorose vissute dal mondo greco alla fine del V Secolo.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.htmlContinua
Invece a partire dal I Secolo a.C. i Romani usarono la parola humanitas, che indicava sia un comportamento “umano” sia l’educazione e la cultura, ritenendo che l’amore per la conoscenza fosse l’unico tratto veramente distintivo dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi, l’unico tratto autenticamente “umano”, e quindi che l’educazione e la cultura rendessero l’uomo più uomo, cioè migliore. In questo modo tanto philanthropìa quanto humanitas, legando i concetti di “equità, mitezza” al concetto di “uomo”, facevano diventare i primi i tratti distintivi del secondo, per cui un uomo poteva dirsi veramente tale solo se avesse agito con generosità e mitezza.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
Tuttavia lo scarto con la concezione moderna è ancora netto. Infatti oltre a humanitas i Romani usarono anche clementia e indulgentia, virtù che trattenevano dal commettere atti esecrabili: di conseguenza il rispetto non scaturiva da diritti che si riteneva spettassero a tutti gl’individui, bensì dalla buona disposizione e dalle qualità morali di colui che agiva secondo humanitas. Un comportamento del genere era quindi lodevole, ma non obbligatorio, ed è in virtù di questo che Valerio Massimo può esaltare la clementia del console Marcello che piange alla vista dello scempio di Siracusa perpetrato nel 212 a.C dai suoi stessi soldati.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html
Un altro esempio di questo scarto lo fornisce lo stesso Cicerone, il quale vedeva sì tutti gli uomini appartenenti alla medesima societas, ma li riteneva anche vincolati da doveri diversi in base alla relazione di vicinanza che esisteva fra loro. Cicerone enumerava quattro società parziali fondate sulla vicinanza, la prima delle quali era costituita dagli individui che parlavano la stessa lingua e vantavano le stesse origini, seguita poi da quelle create dallo stato, dalla famiglia e infine dagli amici.Una tale classificazione faceva venir meno ogni universalità poiché stabiliva una gerarchia tra i soggetti nei confronti dei quali si avevano obblighi, gerarchia nella quale venivano prima la patria e i genitori, poi i figli e il resto della famiglia, poi i parenti, e infine gli amici. Ribaltando la prospettiva e trasformando i doveri in diritti di coloro verso i quali si dovevano esercitare, è evidente che non si possa parlare di diritti genericamente “umani”, ossia appartenenti a tutti indistintamente.In sintesi, la ragione principale che induce a negare l’esistenza di diritti umani nell’età antica è proprio questa. E’ vero che la filosofia stoica introdusse i concetti di libertà, uguaglianza, dignità umana e rispetto della persona, ma essi rimasero confinati nella sfera etica e non influirono sugli ordinamenti politici e giuridici portando all’affermazione di diritti fondamentali per ogni individuo, dato che le finalità del pensiero greco-romano erano il bene comune e l’utilità generale, non l’individuo.http://www.sdfmagazine-amnestylombardia.org/wordpress/diritti-civili-e-politici/storia-dei-diritti-umani-leta-antica.html