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Anno Accademico 2014 / 2015
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari
Corso di Laurea Magistrale in
Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione
Internazionale
Classe LM-38
Tesi di Laurea
L’italiano L2 nei romeni di seconda
generazione: un’indagine sociolinguistica
Relatore
Prof. Dan Octavian Cepraga
Correlatore
Prof.ssa Loredana Corrà
Laureanda
Veronica Canazza
n° matr.1070563 / LMLCC
2
3
Sommario
INTRODUZIONE 5
1. L'IMMIGRAZIONE ROMENA IN ITALIA 9
1.1. INTRODUZIONE 9
1.2. CENNI STORICI 9
1.3. DISTRIBUZIONE DEMOGRAFICA E GEOGRAFICA DEI ROMENI IN ITALIA 12
1.4. AREE OCCUPAZIONALI, GRADO DI ISTRUZIONE E APPARTENENZA RELIGIOSA DEI ROMENI IN ITALIA 14
1.5. PERCEZIONE E INTEGRAZIONE DEI ROMENI IN ITALIA 15
2. LA RICERCA SOCIOLINGUISTICA NELL’AMBITO DEI PROCESSI MIGRATORI 19
2.1. AMBITI DELLA RICERCA SOCIOLINGUISTICA 19
2.2. LE VARIETÀ DI APPRENDIMENTO (O INTERLINGUE) NEL CONTESTO DEI PROCESSI MIGRATORI 20
2.3. MODELLI DI INTEGRAZIONE POLITICA, CULTURALE E LINGUISTICA NEI PAESI EUROPEI 22
2.4. IL CONTATTO LINGUISTICO 26
3. L’ITALIANO L2: VARIABILI DI APPRENDIMENTO E METODI DI INSEGNAMENTO 37
3.1. EVOLUZIONE DEGLI STUDI SULL’ITALIANO L2 37
3.2. VARIABILI NELL’APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO L2 38
3.3. METODI PER L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO L2 41
3.4. INSEGNARE ITALIANO A IMMIGRATI 44
3.5. INSEGNARE ITALIANO A BAMBINI E ADOLESCENTI STRANIERI 45
4. IL LAVORO DI ALEXANDRU COHAL SUI MUTAMENTI NEL ROMENO DI IMMIGRATI IN ITALIA
49
4.1. MUTAMENTO LINGUISTICO: CAUSE ED EFFETTI 49
4.2. I CONTATTI DEI ROMENI CON IL PAESE E LA LINGUA DI ORIGINE 52
4.3. LA LINGUA DEGLI IMMIGRATI ROMENI E L’APPRENDIMENTO SPONTANEO DELL’ITALIANO 54
4.4. MUTAMENTI NEL ROMENO IN CONTATTO CON L’ITALIANO 55
4.5. IL ROMENO D’ITALIA, TRA MANTENIMENTO E INNOVAZIONE 62
5. L’INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLE SECONDE GENERAZIONI DI ROMENI IN ITALIA 65
5.1. IL QUESTIONARIO E IL CAMPIONE UTILIZZATO 65
4
5.2. PRECISAZIONI SUGLI INTERVISTATI DI NAZIONALITÀ MOLDAVA: IL MOLDOVENISMO 67
5.3. RISULTATI DELLA RICERCA 70
CONCLUSIONI 95
APPENDICE 1 - QUESTIONARIO PER UN'INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLA LINGUA
ROMENA PARLATA IN ITALIA 97
APPENDICE 2 – RISPOSTE AL QUESTIONARIO 103
BIBLIOGRAFIA 119
SITOGRAFIA 122
RIASSUNTO IN LINGUA: LIMBA ITALIANĂ CA LIMBĂ STRĂINĂ PENTRU IMIGRANȚII ROMÂNI
DIN A DOUA GENERAȚIE: UN STUDIU SOCIOLINGVISTIC 125
RINGRAZIAMENTI 131
5
Introduzione
Il presente lavoro nasce dall'interesse per gli usi linguistici della comunità
romena immigrata in Italia, e in particolare sulla nascente "seconda generazione",
ovvero i figli di romeni nati e/o cresciuti in Italia.
Questo argomento non gode ancora di una ricca bibliografia in ambito
linguistico, perché quella romena è diventata solo da pochi anni la comunità
straniera più numerosa nel nostro paese. I lavori di ricerca dedicati
esclusivamente ai cittadini romeni riguardano l'ambito prettamente sociologico,
mentre per quello linguistico essi sono inclusi in ricerche più ampie sui repertori
linguistici degli immigrati.
Attualmente, l'unica ricerca sul repertorio linguistico dei romeni di prima
generazione residenti in Italia è quella di Alexandru L. Cohal, Mutamenti nel
romeno di immigrati in Italia, pubblicata nel 2014 ed edita da Franco Angeli.
Come l'opera di Cohal, anche il presente lavoro si muove nell'ambito della
sociolinguistica, affrontando le tematiche dei processi migratori, delle lingue in
contatto, del bilinguismo e dell'insegnamento dell'italiano a stranieri.
Nel primo capitolo è stata offerta una panoramica sulla storia
dell'immigrazione dei romeni in Italia, corredata dai dati socio-anagrafici più
aggiornati: distribuzione demografica e geografica, aree occupazionali, grado di
istruzione e appartenenza religiosa dei romeni in Italia, percezione e integrazione
della comunità romena.
Nel secondo capitolo abbiamo presentato gli strumenti di base e gli ambiti
della ricerca sociolinguistica, scienza che studia il rapporto tra linguaggio e
società e che si caratterizza per il suo stretto contatto con altre discipline.
Abbiamo inoltre introdotto alcuni concetti essenziali per il nostro lavoro, come
quello di 'lingue in contatto', 'interferenza linguistica', 'varietà di apprendimento o
6
interlingua' e 'bilinguismo', valutando quanto essi siano rilevanti, ma ancora
troppo poco presi in considerazione, nell'ambito dei processi migratori e delle
politiche di integrazione culturale e linguistica.
Nel terzo capitolo è stato illustrato l'ambito fiorente e ancora in evoluzione
dell'insegnamento dell'italiano come L2, elencando le variabili di apprendimento
che devono essere prese in considerazione e i metodi di insegnamento, dai più
tradizionali ai più innovativi, applicati in base ai vari approcci didattici. Infine
abbiamo analizzato più da vicino quali sono le caratteristiche e i bisogni
dell'apprendente di italiano L2 appartenente al profilo 'immigrati' e
'bambini/adolescenti', sottolineando che nel caso di figli di immigrati non è più
possibile parlare di L2, bensì di Lingua di Contatto, in quanto i giovani migranti
collocano l'italiano a metà tra L1 e L2 e sono coinvolti in un processo di
costruzione di 'duplice identità'.
Nel quarto capitolo abbiamo riassunto il lavoro di Alexndru Cohal,
fondamentale per la nostra ricerca, in quanto contributo innovativo alla
linguistica e agli studi sull'emigrazione. Quest'opera sottolinea l'importanza e
l'impatto che ha avuto il fenomeno migratorio dei romeni in Italia: sia per i
romeni, che per la prima volta hanno vissuto uno spostamento così massivo al di
fuori della propria terra, che per gli italiani, divenuti solo di recente popolo di
una terra ospite di immigrati.
Il volume di Cohal affronta innanzitutto le cause del mutamento linguistico e
i livelli linguistici da esso interessati; successivamente viene descritto il
repertorio linguistico dei romeni in Italia, caratterizzato da una forte influenza
dell'italiano a livello di discorso e di sistema, e in particolare vengono affrontati i
temi del calco strutturale e del code switching. Segue una riflessione sullo stato
attuale del romeno d'Italia e sui possibili esiti del contatto con l'italiano,
sottolineando la capacità di assimilazione, innovazione e mantenimento della
lingua romena.
7
Nel quinto e ultimo capitolo abbiamo presentato i risultati del questionario
sociolinguistico somministrato a ottanta ragazzi e ragazze romeni di età
compresa tra i quattordici e i venticinque anni, residenti in Veneto. Il
questionario, diviso in sei parti, era rivolto a romeni e moldavi oppure italiani che
avessero uno dei due genitori provenienti dalla Romania o dalla Repubblica di
Moldavia. Data la decisione di includere tra gli intervistati anche ragazzi di
nazionalità moldava, abbiamo ritenuto opportuno fare alcune precisazioni sullo
status della lingua parlata nella Repubblica di Moldavia, in quanto ancora oggi
esiste un dibattito molto acceso sulla questione del cosiddetto moldovenismo.
Questo termine è stato coniato per descrivere quelle teorie, di carattere più
politico che linguistico, che affermano l'esistenza di una lingua moldava,
completamente distinta dal romeno. La teoria non ha mai trovato fondamento
scientifico ma è stata oggetto, a partire dal 1924, di un'aggressiva campagna di
propaganda portata avanti dall'Unione Sovietica che all'epoca era in contrasto
con la Romania per il controllo della regione della Bessarabia. Attualmente,
secondo un decreto della Corte Costituzionale della Repubblica di Moldavia, la
lingua ufficiale del paese è il romeno, ciononostante la questione è ancora
dibattuta, e per questo motivo i partecipanti al questionario sono stati invitati a
usare la denominazione che più rispecchiava la propria identità culturale.
8
9
1. L'IMMIGRAZIONE ROMENA IN ITALIA
1.1. Introduzione
I processi di migrazione coinvolgono un'ampia scala di elementi che si
influenzano a vicenda, elementi che riguardano non solo la sfera politica, socio-
culturale etc., ma anche quella linguistica.
Nonostante questo lavoro si proponga di affrontare solo l'aspetto prettamente
sociolinguistico dell’immigrazione romena in Italia, è doveroso fornire
quantomeno delle coordinate di tipo storico, culturale e demografico per
inquadrare i risultati della nostra analisi.
1.2. Cenni storici
L'immigrazione romena vede il suo evolversi seguendo quattro diverse tappe,
esposte da Pietro Cingolani in Romeni d’Italia (Il Mulino, 2009), lavoro che va
ad arricchire la recente bibliografia degli studi sulle relazioni italo-romene.
Quest’opera di antropologia delle migrazioni è una delle prime analisi
approfondite effettuate sulla comunità romena, in un momento (il periodo 2007 -
2009) in cui essa si trovava in una situazione di sovraesposizione mediatica e
strumentalizzazione politica. Si tratta di una ricostruzione antropologica delle
vicende di Marginea, un piccolo sat (‘villaggio’) della regione della Moldavia, i
cui abitanti hanno iniziato a emigrare, principalmente verso Torino, a partire dal
1989. Ne emerge un’accurata analisi dei fattori che hanno condotto alla
situazione attuale: le condizioni di vita e la mobilità interna (prima diretta verso
gli agglomerati urbani, il pendolarismo e infine il ritorno alle campagne) ed
esterna durante il regime di Ceauşescu, il forte legame con la famiglia, il
10
villaggio, le tradizioni e la religione, gli spazi dell’abitare, le relazioni lavorative,
la figura della donna migrante.
Obiettivo dello studio di Cingolani è inoltre quello di
comprendere se le pratiche transnazionali dei romeni siano sostenute e
alimentate da una coscienza identitaria di gruppo e da un senso di
appartenenza comune, o se invece riguardino singoli migranti che agiscono
individualmente.1
Come riporta Cingolani, fino al 1989 la mobilità internazionale delle persone
era vietata e demonizzata dal regime, poiché vista come ostacolo al grande piano
di rendere la Romania un paese industrializzato ed autarchico. Subito dopo la
seconda guerra mondiale, difatti, ogni stato del blocco sovietico aveva iniziato ad
aspirare al modello di sviluppo russo, e il progetto era proseguito negli anni '50
con la creazione del Consiglio di Mutua Assistenza Economica (COMECON),
«[finalizzato] a promuovere lo sviluppo simultaneo degli stati partecipanti
attraverso una stretta cooperazione economica»2
. La Romania divenne il "granaio
d'Europa", con la sua fornitura di prodotti agricoli, ma Ceauşescu promosse
anche un'industrializzazione sostenuta che portò il paese, tra gli anni '60 e gli
anni '70, ad un'incredibile crescita economica.
Ne conseguiva che tutta la forza lavoro possibile fosse richiesta all'interno del
paese, sia nelle campagne che nelle città. La stessa mobilità all'interno del paese
era, perciò, ostacolata dal governo attraverso una serie di politiche di limitazione.
1
CINGOLANI, 2009, p. 17.
2
CINGOLANI, 2009, p. 33.
11
La rivoluzione del 1989 pose fine al regime di autocrazia e diede il via libera
alla circolazione, più o meno legalizzata, di merci e di persone al di fuori dello
stato.
Dana Diminescu identifica tra il 1990 e il 1994 la prima fase della mobilità
romena, quella che coinvolge principalmente le minoranze etniche (tedeschi,
ungheresi, ebrei) e il cui rientro nei rispettivi paesi
costituì un ponte ed una chiave di ingresso per gli altri romeni che iniziavano
ad emigrare per lavoro. In Germania, infatti, si diressero soprattutto i romeni
della regione di Sibiu, Braşov e Timiş, dove un tempo erano presenti
numerose comunità sassoni: il primo contatto poteva essere proprio con un
vicino di casa o con un conoscente di origine tedesca che si era re-insediato
in Germania3
.
Lo stesso avviene in Israele, dove gli ebrei romeni iniziano ad ingaggiare
manodopera proveniente dalla Romania, e in Ungheria, dove lo conoscenze e le
amicizie vengono sfruttate soprattutto per il commercio transfrontaliero.
Quando in Germania e in Israele vengono applicate politiche migratorie più
restrittive, si passa ad una seconda fase, tra il 1994 e il 2000, durante la quale i
migranti romeni iniziano ad essere attirati dai paesi del Mediterraneo (Italia,
Spagna, Portogallo e Grecia), abbandonando le precedenti destinazioni del nord
Europa. “Questa fase si caratterizza per una forte regionalizzazione e per la
costituzione di catene migratorie che collegano villaggi specifici a precise
località nei paesi di destinazione”4
; non stupisce, infatti, che i partecipanti alla
nostra indagine provengano più o meno dalle stesse aree della Romania e della
Repubblica di Moldavia.
3
CINGOLANI, 2009, p. 43.
4
CINGOLANI, 2009, p. 44.
12
La terza fase inizia nel gennaio del 2002, nel momento in cui i cittadini
romeni ottengono il diritto di viaggiare liberamente, per motivi turistici, nello
spazio Schengen (Legge 30 luglio 2002). Ciò dà il via ad un fenomeno
migratorio di tipo circolare, ovvero a soggiorni all'estero per lavoro che si
alternano a frequenti e brevi rientri in patria. In questo periodo, i romeni residenti
regolarmente in Italia sono 95.0395
.
Con gli anni questo numero sale costantemente e, a partire dal 2007, con
l’entrata della Romania nella Comunità Europea, i cittadini romeni diventano la
più numerosa tra le popolazioni straniere residenti in Italia.
1.3. Distribuzione demografica e geografica dei romeni in Italia
Secondo i sondaggi ISTAT, i cittadini stranieri residenti in Italia al 1°
gennaio 2008 erano 3.432.65, dei quali 625.278 provenivano dalla Romania,
primo paese in graduatoria, seguito da Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Al 31
dicembre 2012 risultavano essere 933.354, sempre al primo posto come paese, e
così ripartiti tra maschi e femmine6
:
Paese Maschi Femmine Totale
Romania 402766 530588 933354
Albania 241217 223745 464962
Marocco 231155 195636 426791
Cina Rep. Pop. 113237 110130 223367
Ucraina 40254 151471 191725
Filippine 60352 79483 139835
Rep. di Moldavia 47680 92054 139734
5
ISTAT, 2002.
6
http://demo.istat.it/str2012/index.html. URL consultato il 30 ottobre 2014.
13
Attualmente si stima che la cifra abbia raggiunto il milione7
. Per quanto
riguarda la distribuzione geografica degli immigrati romeni sul territorio italiano,
si nota che le destinazioni principali sono l’area centro-settentrionale, con una
predilezione per le regioni Veneto, Piemonte, Toscana e Lazio, centri
d’attrazione per la presenza di grandi città e per le numerose attività industriali ed
edilizie. Con riferimento all’area di interesse per la nostra ricerca, secondo le
stime ISTAT, al 31 dicembre 2012 la regione Veneto contava 102.429 cittadini
di origine romena, così suddivisi per provincia8
:
Provincia Maschi Femmine Totale
Padova 12540 14870 27410
Verona 12143 14158 26301
Treviso 8565 10032 18597
Venezia 6157 7619 13776
Vicenza 5102 6618 11720
Rovigo 1143 1785 2928
Belluno 658 1039 1697
Nella provincia di Padova, il capoluogo occupa il primo posto per numero di
residenti romeni, seguito dai piccoli e medi centri dell'area dell'alta padovana9
:
7
TAINO D., Un milione di romeni, record in Italia, in http://www.corriere.it/, 14 settembre 2014. URL
consultato il 18 novembre 2014.
8
Romeni in Veneto, in http://www.tuttitalia.it/. URL consultato il 10 novembre 2014.
9
Romeni in Veneto, in http://www.tuttitalia.it/. URL consultato il 10 novembre 2014.
14
Città Totale
Padova 7520
Cadoneghe 820
S. Giorgio delle Pertiche 759
Camposampiero 731
Vigonza 697
1.4. Aree occupazionali, grado di istruzione e appartenenza religiosa dei
romeni in Italia
Secondo le stime dell’ultimo rapporto della Caritas Italiana, Romania.
Immigrazione e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive (Roma,
2008), la popolazione romena in Italia contribuisce all’1.2% del Pil italiano10
; la
metà dei lavoratori romeni è impiegata nel settore dei servizi (assistenza
familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese), un terzo
nell’industria e il 6.6% nell’agricoltura. Inoltre, nel Registro del Commercio in
Italia risultano iscritte circa 45.000 ditte individuali create da cittadini romeni,
perlopiù situate nelle città di Roma, Torino, Milano, Firenze, Verona e Padova, e
quasi 30.000 società in cui uno o più azionari o dirigenti sono romeni11
.
Come è stato rilevato dalla ricerca di Cohal, ma anche da altre ricerche
precedentemente effettuate, l’80% degli immigrati romeni in Italia ha terminato i
10
Romeni in Italia, in www.treccani.it, 23 aprile 2009. URL consultato il 23 novembre 2014.
11
Relazioni economiche Italia-Romania, in http://roma.mae.ro/it. URL consultato il 18 novembre 2014.
15
dodici anni di scuola dell’obbligo ed è quindi in possesso di un diploma, mentre
il 10% di essi è laureato12
.
Dal punto di vista religioso, sebbene in Romania siano praticati tanto
l’ortodossia quanto il cattolicesimo (sia di rito latino che di rito bizantino) e il
protestantesimo, oltre alle piccole minoranze islamiche, la fede più diffusa tra gli
immigrati in Italia è quella ortodossa, riunita sotto l’Eparchia ortodossa romena
d’Italia, che conta circa un milione e 300 mila fedeli13
.
1.5. Percezione e integrazione dei romeni in Italia
Nella prima fase dell’immigrazione romena in Italia, quella di inizio anni ’90,
vede un periodo di buona accoglienza nella penisola, in quanto i romeni sono
visti non solo come reduci del regime comunista, ma anche come vicini alla
cultura italiana in quanto comunità latina circondata da popolazioni slave. In quel
periodo, specifica Cohal, «arrivano nella penisola le prime vittime del
cambiamento economico […], i primi disoccupati della mega-industria
comunista, qualche rifugiato politico. Pochissimi romeni […] arrivano in Italia
per motivi di studio, perché molti romeni già possiedono un titolo di studio
superiore (MIUR 2011)»14
.
Dall’anno 2000, invece, arrivano altri tipi di immigrati, provenienti dalle aree
rurali più povere, molti dei quali hanno un progetto di migrazione a breve
termine, soprattutto a causa dei primi sintomi della crisi economica.
12
COHAL, 2014, p. 62.
13
TOSATTI M., Italia: Ortodossia supera Islam in http://www.lastampa.it/, 8 marzo 2010. URL consultato
il 20 novembre 2014.
14
COHAL, 2014, p. 37.
16
Il considerevole aumento della presenza di romeni in Italia fa modificare la
percezione che gli italiani hanno di questa comunità. Secondo una ricerca
dell’agenzia Metro Media Transilvania e del Dipartimento per le Strategie
Governative della Romania15
, il 30% degli immigrati romeni sostiene di sentirsi
discriminato sul luogo di lavoro, nonostante nell’immaginario comune essi siano
rappresentati come i lavoratori per eccellenza16
.
Nonostante il presidente del Senato, Pietro Grasso, abbia dichiarato che gli
immigrati romeni “si sono integrati perfettamente nella nostra comunità”17
, sono
diverse le percezioni che hanno seguito il loro arrivo in Italia:
intorno ad una presenza così diffusa sul territorio si sono costruite delle
rappresentazioni pubbliche, che molto spesso sono risultate semplificatorie e
superficiali e hanno oscurato la ricchezza delle diversità interne, legate alle
storie professionali e familiari dei singoli.18
Cingolani difatti identifica due tipi di discorsi pubblici presentati dai media e
dai vari attori coinvolti (politici e non), quella assimilazionista e quella
criminalizzante. Nel primo caso, vengono sottolineati ed esaltati i presunti punti
in comune tra la cultura di provenienza dei romeni e quella italiana, a partire
dalle radici latine e cristiane, il senso del dovere, l’attaccamento ai valori della
famiglia e della tradizione e in particolare l’attaccamento delle donne al loro
“ruolo” di madri e mogli. I romeni vengono dunque rappresentati come portatori
di valori che l’Italia industrializzata ha perso da anni, e per questo più facilmente
15
MMT & ASG, 2007, p.4 in COHAL, 2014, p.46.
16
COHAL, 2014, p. 47.
17
BARBU C., Pietro Grasso: România,unpartenerpentruItaliaîncadrulUE; sprijinimaderareasala spațiul
Schengen, in http://www.agerpres.ro/, 2 dicembre 2013. URL consultato il 20 novembre 2014.
18
CINGOLANI, 2009, p. 54.
17
“integrabili”, rispetto ad altre popolazioni immigrate quali possono essere gli
asiatici o i musulmani.
Nella seconda variante, al contrario, i romeni vengono dipinti come un
popolo quasi geneticamente portato alla criminalità, un pericolo per la sicurezza
della nostra società: gli uomini sono violenti, dediti all’alcol e alle truffe, le
donne tramano per rubare i mariti delle italiane o impossessarsi degli averi degli
anziani che accudiscono.
Questo tipo di discorso, riporta Cingolani, si riaffaccia «ciclicamente nel
dibattito politico, in stretta connessione con eventi politici ed economici più
ampi»19
.
La ricostruzione della storia della migrazione tra Marginea e Torino si pone
come scopo proprio quello di sfatare e mettere in discussione le succitate
immagini stereotipate, «facendo emergere differenze a molteplici livelli, […] a
seconda delle esperienze personali, del genere e dell’età»20
.
19
CINGOLANI, 2009, p. 56.
20
CINGOLANI, 2009, p. 57.
18
19
2. LA RICERCA SOCIOLINGUISTICA NELL’AMBITO DEI PROCESSI
MIGRATORI
2.1. Ambiti della ricerca sociolinguistica
Come si è detto precedentemente, i mutamenti portati dai processi migratori
coinvolgono anche la sfera linguistica della vita degli individui, favorendo la
creazione di nuove varietà linguistiche semplificate, le cosiddette varietà di
apprendimento (VdA) o interlingue (IL).
La sociolinguistica, branca che studia il rapporto tra lingua e società, si
occupa anche dell’analisi di queste varietà, attraverso un meccanismo di
cooperazione tra diverse discipline: linguistica e sociologia, per l’appunto, ma
anche dialettologia, geografia linguistica, antropologia sociale, etnografia,
folklore e psicologia. Questa interdipendenza tra dottrine è propria della natura
della sociolinguistica, che Berruto divide in sociolinguistica in senso stretto,
avente come ambiti di applicazione lo studio della variazione linguistica e
sociologia del linguaggio, ossia «lo studio della distribuzione, della collocazione,
della vita e dello status dei sistemi linguistici nelle società»21
.
Nell’approcciarsi all’analisi di mutamenti interni di una lingua, è bene
ricordare che la linguistica prende in considerazione quattro dimensioni della
variazione: diatopica (relativa alla provenienza o collocazione geografica di un
parlante), diastratica (relativa alla provenienza sociale del parlante e ai diversi
strati socio-culturali), diafasica (relativa alla situazione comunicativa, ovvero
l’insieme di circostanze in cui si svolge un evento comunicativo) e diamesica
(relativa al canale usato per la comunicazione, ossia scritto oppure orale),
21
BERRUTO, 2005, p.11.
20
proposta da Mioni22
come dimensione fondamentale nell’ambito della linguistica
delle varietà. Naturalmente, queste quattro dimensioni agiscono in concomitanza
l’una con l’altra e interferendo in diversi modi, designando «la natura di una
lingua come gamma di varietà»23
.
2.2. Le varietà di apprendimento (o interlingue) nel contesto dei processi
migratori
Quello delle varietà linguistiche semplificate è un fenomeno che interessa
quelle aree geografiche dove si concentrano forti flussi migratori, in particolare
paesi francofoni, tedescofoni e anglofoni, ma più recentemente ha coinvolto
anche l’Italia, come si può facilmente riscontrare dalla recente storia socio-
demografica del nostro paese.
Solo negli ultimi decenni, dunque, questo fenomeno è stato argomento di
ricerca sociolinguistica, e come riporta Emanuele Banfi ne L’altra Europa
linguistica. Varietà di apprendimento e interlingue nell’Europa contemporanea
(La Nuova Italia, 1993) è stato affrontato da due principali punti di vista: uno
sociopragmalinguistico, allo scopo di trovare migliori strategie comunicative tra
parlanti della lingua nativa del luogo e gli immigrati, e uno prettamente
linguistico, atto a offrire nuovi spunti per gli studi in materia di linguistica
acquisizionale.
L’interesse per le varietà di apprendimento prende piede negli anni ’60 negli
Stati Uniti, sulla scia dei lavori di William Labov, considerato il padre della
sociolinguistica, sul cosiddetto black English (o African American Vernacular
English), e un decennio più tardi in Europa, grazie agli studi acquisizionali
22
MIONI, 1983, pp. 508-510, cit. da BERRUTO, 2005, p. 123.
23
BERRUTO, 2005, p. 127.
21
sull’apprendimento della lingua tedesca e della lingua francese da parte degli
immigrati.
Ciò che contraddistingue le varietà di apprendimento è il loro alto livello di
sistematicità: sono sistemi linguistici in costruzione che passano da una strutta
molto semplice e ridotta ad una più complessa, più vicina ma mai totalmente
coincidente alla lingua di arrivo.
Sono diversi i metodi con cui gli studiosi si occupano di questi sistemi, ma
mai senza applicare un’indagine di tipo fortemente interdisciplinare, e
indipendentemente dal metodo adottato nello studio delle VdA,
rimane centrale la nozione di “sistema”: tale scelta consente di collocare [...] i
“valori” che copre una determinata forma linguistica documentata nelle
VdA/IL di un parlante collocato a un certo punto del processo acquisizionale.
Tale “valore” può mutare sia nel tempo, sia da soggetto a soggetto e può
essere anche sensibilmente diverso dal valore corrispondente che gli è
proprio nella lingua di arrivo.24
In ambito italiano, i problemi sociologici e linguistici dell’immigrazione
straniera sono stati tralasciati per molto tempo, in quanto il processo migratorio
iniziato negli anni ‘70 era stato erroneamente considerato come un fenomeno a
breve termine; oltre a ciò, vi è sempre stata una netta separazione tra le ricerche
linguistiche e quelle socio statistiche, con la conseguenza che non è stata
attribuita la dovuta importanza al «ruolo della lingua e della sua acquisizione
spontanea nei processi di inserimento degli immigrati all’interno della società
italiana e nei processi di costituzione dell’identità specifica del migrante»25
. La
24
BANFI, 1993, pp. XIII-XIV.
25
VEDOVELLI, 1993, p. 1, in BANFI, 1993.
22
carenza di ricerche a livello interdisciplinare, secondo Massimo Vedovelli26
, ha
portato non solo a risultati parziali, ma ha anche impedito la realizzazione di
politiche sociali, culturali ed educative efficaci.
Nonostante questo, negli ultimi anni la ricerca si è estesa notevolmente, sia
sul versante linguistico che su quello sociologico. Da parte del primo, sono state
trattate tematiche come l’apprendimento spontaneo della lingua del paese ospite,
l’apprendimento formativo in L2, la costruzione dell’identità sociale e culturale
in contesto migratorio, lo statuto e le regole delle varietà di apprendimento. Sul
versante sociologico, sono state svolte ricerche di tipo demografico per poter
determinare quali politiche statali fosse meglio applicare, ricerche
sull’inserimento lavorativo e sociale, sull’identità del migrante, ma come afferma
Vedovelli, «sembra sfuggire alle ricerche socio-statistiche la percezione della
specificità della dimensione linguistica in contesto migratorio, legata al processo
dell’apprendimento spontaneo e al suo ruolo di mediazione nella costituzione dei
processi di socializzazione»27
.
2.3. Modelli di integrazione politica, culturale e linguistica nei paesi
europei
I paesi del nord Europa sono stati i primi ad accogliere i flussi migratori che
hanno avuto inizio a metà anni ’60, ma le politiche di integrazione applicate
variano di nazione in nazione.
In Francia, il modello assimilazionista è fondato sull’idea che ogni cittadino
debba essere uguale davanti alla legge, senza riservare trattamenti particolari a
minoranze etniche, religiose o linguistiche. Nella sfera pubblica, dunque, gli
26
VEDOVELLI, 1993, p. 1, in BANFI, 1993.
27
VEDOVELLI, 1993, p. 3, in BANFI, 1993.
23
individui devono rinunciare alle proprie «identità particolaristiche»28
in cambio
di una cittadinanza basata sullo ius soli. L’auspicio è quello di far conformare i
cittadini stranieri alla cultura e alla società francesi, e per questo fin dagli anni
ottanta sono state promosse delle politiche volte a facilitare l’integrazione e a
migliorare le condizioni di vita degli immigrati residenti, anche attraverso
l’intervento sul campo dell’istruzione. A partire dagli anni ’70, le lingue delle
principali comunità di immigrati sono insegnate nelle scuole francesi per
facilitare l’inserimento degli alunni stranieri, ma le seconde generazioni
sembrano essere maggiormente rivolte verso il francese, probabilmente, come
afferma Vedovelli, «considerando emarginante l’insegnamento della lingua
d’origine»29
.
Nel Regno Unito viene applicato un modello multiculturalista, che mira a
proteggere l’identità culturale dell’individuo, ponendo come unico limite il
rispetto delle leggi dello stato. L’uguaglianza sta dunque nella differenza di
trattamento basato sul riconoscimento particolaristico di ciascun individuo. Sul
piano linguistico, i problemi principali riguardano l’insuccesso scolastico degli
studenti immigrati, i quali provengono per la maggior parte dai paesi del
Commonwealth, dove si parla un inglese creolizzato, molto diverso dall’inglese
standard. Da ciò è nato un dibattito politico sull’esigenza o meno di favorire la
conservazione delle lingue di origine. Attualmente, l’insegnamento della lingua
materna è organizzato dalle scuole supplementari come materia opzionale
nell’istruzione obbligatoria30
.
28
GUOLO, 2009, p. 2
29
VEDOVELLI, 1993, p. 30.
30
Considerazione della cultura degli alunni immigrati, in http://www.didaweb.net/. URL consultato il 10
gennaio 2015.
24
In Germania, per molto tempo gli immigrati sono stati considerati semplici
Gastarbeiter (‘lavoratori ospiti’) e per questo le politiche incoraggiavano il
mantenimento della cultura di origine degli immigrati, in previsione del loro
rientro nel paese. «Non a caso», ricorda Guolo, «la Germania ha contribuito per
decenni a tutelare l’integrità della cultura turca attraverso il finanziamento di
scuole, corsi di lingua e formazione religiosa, negoziati direttamente con la
Turchia, paese dal quale proveniva gran parte della forza lavoro immigrata»31
.
Questo modello tuttavia non è risultato funzionale, ma va riconosciuto come
elemento positivo l’obbligo scolastico per i figli degli immigrati e di corsi di
alfabetizzazione e di lingua per gli adulti. Ancora oggi vengono stipulati accordi
bilaterali tra Germania e paesi di origine degli immigrati per favorire
l’insegnamento della lingua materna per alunni immigrati.
Quello della Svezia è un caso rappresentativo delle politiche di integrazione ,
in quanto mira ad una piena integrazione di tutte le minoranze all’interno della
società. La visione multiculturale ha favorito anche un’educazione multi
linguistica concretizzatasi tramite corsi di lingua, giornali e media realizzati in
quasi tutte le lingue dei gruppi di immigrati presenti nel paese.
31
GUOLO, 2009, p. 4.
25
Offerta di corsi nella lingua materna per alunni immigrati, istruzione generale, 2007/2008.32
L’Italia non ha ancora applicato un modello di integrazione in particolare,
limitandosi ad un susseguirsi di legislazioni per la regolarizzazione dei lavoratori
stranieri. Il discorso politico sull’integrazione dei cittadini immigrati resta ancora
incerto, e ciò ha dato vita a quello che Guolo definisce un «“non modello” ricco
di contraddizioni»33
. Sul fronte linguistico, tuttavia, in alcuni casi sono stati
disposti, oltre all’insegnamento della lingua e cultura italiana per stranieri, anche
corsi di lingua materna per le famiglie degli alunni immigrati con il patrocinio
del Ministero dell’Istruzione e la collaborazione di associazioni locali34
.
32
L‘integrazione scolastica dei bambini immigrati in Europa, in http://eacea.ec.europa.eu/ (Education,
Audiovisual and Culture Executive Agency), aprile 2009. URL consultato il 10 gennaio 2015.
33
GUOLO, 2009, p. 6.
34
Considerazione della cultura degli alunni immigrati, in http://www.didaweb.net/. URL consultato il 10
gennaio 2015.
26
2.4. Il contatto linguistico
Il lavoro di Uriel Weinreich è un riferimento d’obbligo per gli studi sul
contatto interlinguistico, in quanto opera pionieristica in un’epoca (gli anni ’50
del secolo scorso) in cui il processo di compenetrazione tra due lingue era ancora
quasi del tutto ignorato. Alcuni concetti introdotti dallo studioso, come quelli di
prestigio e di fedeltà alla lingua, sono tuttora ritenuti validi e utilizzati dalla
sociolinguistica.
Nella sua opera, Lingue in contatto, Weinreich intraprende per la prima volta
lo studio sul bilinguismo, il contatto e l’interferenza linguistica; inoltre, ha
cercato di definire le cause e le circostanze in cui avviene la commutazione di
codice (code-switching).
Il bilinguismo, definito come l’uso alternato di due lingue da parte di un
parlante, è alla base di ogni relazione interlinguistica in quanto dà luogo ad un
contatto tra due sistemi. Weinreich indica col nome di interferenza «quegli
esempi di deviazione dalle norme dell’una e dell’altra lingua che compaiano nel
discorso di bilingui come risultato della loro familiarità con più di una lingua,
cioè come risultato di un contatto linguistico»35
.
L’interferenza implica l’introduzione di elementi stranieri nella struttura di
una lingua e in particolare nel sistema fonemico, morfologico, sintattico, e in
alcune aree di quello semantico.
È importante sottolineare che i meccanismi di interferenza sono gli stessi per
tutte le lingue, indipendentemente dal grado di diversità tra le stesse; tanto
maggiore è la distanza tra le due, tanto più numerosi saranno i fenomeni di
35
WEINREICH, 2009, p. 3.
27
interferenza.
Oltre a fattori di tipo prettamente linguistico, ve ne sono altri che entrano a
far parte di questo meccanismo, ovvero il contesto psicologico e socioculturale
che determinano il rapporto del bilingue con le lingue che mette in contatto. È
per questo motivo che il contatto linguistico deve essere inquadrato in un
contesto più vasto e richiede lo sforzo coordinato di più discipline.
Alcuni di questi fattori extralinguistici sono:
a) La facilità di espressione verbale del parlante in generale e la sua capacità
di tenere distinte le due lingue;
b) La padronanza relativa di ciascuna lingua;
c) La specializzazione dell’uso di ciascuna lingua a seconda degli argomenti
e degli interlocutori;
d) Il modo di apprendere ciascuna lingua;
e) Gli atteggiamenti verso ciascuna lingua, siano essi peculiari al soggetto o
stereotipi.36
L’interferenza linguistica è data dall’interazione tra fattori strutturali
(l’organizzazione interna della lingua) e non strutturali (il grado di conoscenza
del sistema, l’atteggiamento verso di esso, le emozioni che esso suscita nel
parlante), per questo Weinreich auspica una sempre più stretta collaborazione tra
discipline linguistiche e non. In particolare, egli suggerisce «agli antropologi che
si occupano di acculturazione di annoverare anche i dati linguistici, elaborati dal
linguista, tra gli indici del processo acculturativo totale»37
.
Quali sono i meccanismi e la cause dell’interferenza? Innanzitutto, una sua
36
WEINREICH, 2009, pp. 6-7.
37
WEINREICH, 2009, p. 11.
28
prima manifestazione è data dalla consapevolezza che il bilingue ha della
provenienza dell’elemento linguistico utilizzato. Ciononostante, a volte due
fonemi o due sillabe, o addirittura intere parole appartenenti a due sistemi
linguistici diversi vengono considerati uguali dal parlante bilingue. Ciò, spiega
Weinreich, è dovuto al fatto che «nella misura in cui una lingua è un sistema di
opposizioni, una identificazione parziale dei sistemi è per il bilingue una
riduzione del suo carico linguistico: queste identificazioni naturali sono alla
radice di molte interferenze»38
.
Come abbiamo detto precedentemente, l’interferenza può manifestarsi a
livello fonologico, grammaticale o lessicale.
Il primo caso riguarda il modo di sentire e riprodurre i suoni della L2 in
rapporto a quelli della L1, e l’interferenza nasce quando il bilingue riproduce
suoni della L2 secondo le regole fonetiche della L1. Questo fenomeno è
denominato sostituzione di suoni ed è il tipo di interferenza che più
frequentemente si incontra nei bilingui, proprio perché permettono di alleggerire
il proprio carico di meccanismi linguistici. Tuttavia, Weinreich sottolinea che la
sostituzione di suoni può portare a lungo andare a delle innovazioni nel sistema
fonemico della lingua interessata.
Infatti, avendo descritto lo svolgimento un discorso con un sistema fonemico
in L1 (‘P’) ma con l’utilizzo di un vocabolario preso da L2 (‘S’) secondo lo
schema P/ …S S S S…/, Weinreich specifica che
38
WEINREICH, 2009, p. 14.
29
se […] un morfema appartenente al vocabolario di S viene trasferito nel
discorso di P [L1], esso è anche soggetto all’interferenza del sistema
fonologico di P. […] In sostanza, il problema è quello di determinare se il
morfema S preso in prestito venga integrato nella struttura fonologica di P, o
se esso venga reso in base ai suoni originari di S; o, in altre parole, quale di
questi due casi si produca:
(1) P/…P P P S P P P P…/, o
(2) P/…P P P / S/S/ P/P P P P…/.39
La scelta tra (1) e (2) può basarsi sull’atteggiamento del parlante nei
confronti della lingua dalla quale estrae il prestito, ovvero dal livello di prestigio
che le attribuisce.
Dunque, laddove il monolingue che utilizza dei prestiti conforma la loro
struttura fonetica e fonemica a quella della propria lingua madre, il bilingue tenta
di riprodurre il morfema di prestito con i suoni originali.
Il caso delle interferenze grammaticali è messo in dubbio da alcuni linguisti,
ma Weinreich concorda nel dire non vi è un limite all’influenza che un sistema
può avere su un altro, e che il requisito principale per individuare le interferenze
è quello di descrivere le due lingue negli stessi termini. Per questo motivo, egli
ignora la tradizionale classificazione delle parole usata dalla grammatica generale
e utilizza tre sole categorie:
a) i morfemi, che svolgono funzioni grammaticali che i bilingui possono
mettere in relazione con quelle di un’altra lingua. Ad esempio, un bilingue
in italiano e romeno potrebbe identificare una relazione tra ama e Maria
nella frase Giovanni ama Maria con i pronomi atono o e la particella pe
(che precedono l’oggetto diretto, mentre in italiano non è sempre
necessario utilizzare un pronome personale diretto) nella frase Ion o
39
WEINREICH, 2009, p. 39.
30
iubeşte pe Maria.
b) Categorie più o meno obbligatorie (come la succitata particella pe, usata
in romeno per esprimere l’accusativo).
c) Grado di libertà sintagmatica dei morfemi usati per esprimere le categorie.
Data questa classificazione, Weinreich fa una previsione dei tipi di
interferenza grammaticale che può nascere dal contatto tra la lingua A e la lingua
B:
1) Uso di morfemi di A nel parlare la lingua B.
2) Applicazione di una relazione grammaticale di A a morfemi di B nel
discorso in B.
3) Un cambiamento delle funzioni del morfema di B sul modello della
grammatica di A, attraverso l’identificazione di un particolare
morfema di B con uno di A.
Per quanto riguarda le interferenze a livello lessicale, esse si possono
manifestare in diversi modi:
- con il trasferimento di morfemi da A a B;
- con morfemi di B usati con nuove funzioni designative;
- con una combinazione dei primi due casi.
Il tipo di interferenza più frequente nel caso di parole semplici è il
prestito, ovvero il trasferimento della parola e la sua estensione semantica da
una lingua all’altra. In alcuni casi questa categoria comprende anche parole
composte che tuttavia vengono trasferite senza essere analizzate, come
31
avviene spesso con le interiezioni (ad es. nell’italoamericano azzoraiti < en.
that’s all right40
).
In un secondo caso, riguardante parole composte e sintagmi,
l’interferenza può portare al loro adattamento nella lingua ricevente (ad es.
en. to change ones mind > it. cambiare idea), o nella riproduzione per mezzo
di parole indigene equivalenti (parole composte, proverbi, etc., ad es. en.
skyscraper > it. grattacielo). Questa tipologia viene definita calco strutturale
ed è così suddiviso: calco strutturale vero e proprio, in cui si effettua una
“traduzione del prestito” parola per parola; calco strutturale imperfetto, in cui
si fornisce la resa di un prestito; calco libero, ovvero un’innovazione
linguistica data dalla necessità di trovare un corrispondente ad un termine
presente nella lingua in contatto.
Il terzo tipo di interferenza nelle parole composte porta alla formazione di
termini ibridi, ovvero in cui solo una parte della parola è un prestito dalla
lingua in contatto.
Tra le cause del prestito lessicale si può identificare la necessità di
indicare nuovi concetti, a causa dell’incompletezza del vocabolario della
propria lingua.
Un secondo fattore è la bassa frequenza delle parole, che in questo modo
diventano facilmente sostituibili.
Altri fattori risiedono nei casi di omonimia e nella tendenza delle parole a
perdere la loro forza espressiva. Difatti, spiega Weinreich, esistono campi
semantici in cui il bisogno di sinonimi è costante e quindi i prestiti da altre
40
Gli esempi riportati sono tratti da WEINREICH, 2009, pp. 70-74.
32
lingue vengono facilmente assimilati.
È importante tuttavia sottolineare la differenza tra i prestiti usati dal
monolingue e quelli usati dal parlante bilingue:
Mentre il monolingue dipende, per rifornire il suo vocabolario, da materiale
lessicale indigeno e da tutti quei prestiti che possono casualmente venirgli
trasmessi, il bilingue ha costantemente a portata di mano l’altra lingua come
serbatoio di innovazioni lessicali. Naturalmente il vocabolario del bilingue
richiede di essere rifornito per le stesse ragioni, sia interne (bassa frequenza
di parole, omonimia pericolosa, necessità di sinonimi) sia culturali. Per
quanto riguarda queste ultime, un bilingue è forse perfino più idoneo di un
monolingue a ricevere designazioni di prestito di nuove cose perché grazie
alla sua familiarità con un’altra cultura, egli è già vivamente consapevole del
carattere di novità di esse.41
Tre, infatti, sono gli altri fattori che possono spingere il bilingue a
ricorrere al prestito lessicale.
Il primo è la percezione che alcuni campi semantici della lingua nativa
non siano abbastanza differenziati, e per questo utilizza prestiti
corrispondenti dell’altra lingua.
Il secondo è legato al prestigio attribuito dal bilingue alla lingua madre
quando si trova in una situazione di contatto.
Il terzo è la trascuratezza dell’atto comunicativo, ovvero quando «viene
violata la restrizione della distribuzione di certe parole agli enunciati
41
WEINREICH, 2009, p. 87.
33
appartenenti a una data lingua»42
.
Il parlante bilingue si distingue per alcune caratteristiche che lo
predispongono al comportamento dell’agente del contatto linguistico.
La prima di esse è l’attitudine all’apprendimento di altre lingue straniere:
si è dimostrato infatti che i bambini bilingui non hanno difficoltà
nell’apprendere un secondo lessico, ma anzi hanno un rendimento maggiore,
rispetto ai monolingui, nell’apprendimento di una lingua straniera.
La seconda è la facilità di commutazione a seconda della situazione
comunicativa e la capacità di riconoscere quali espressioni usate
appartengono all’una o all’altra lingua. Vi sono alcuni bilingui che hanno una
grande capacità di aderenza ad una sola lingua, e altri che invece manifestano
un’anormale facilità al code switching: per questo ai genitori di bambini
bilingui viene solitamente consigliato che la madre usi solo una lingua e il
padre solo l’altra e che venga scelta una sola lingua per ogni situazione
(durante i pasti, le vacanze, dei luoghi specifici, etc.)43
.
Lo status delle lingue può cambiare nel corso della vita di un bilingue, a
seconda dei criteri utilizzati per definire quale sia delle due quella dominante:
la conoscenza relativa, la modalità d’uso, l’ordine e l’età in cui le lingue sono
state appresa, l’utilità ai fini della comunicazione, il coinvolgimento emotivo,
la funzione delle lingue nell’avanzamento sociale e infine il loro valore
42
WEINREICH, 2009, p. 89.
43
Tre metodi principali per crescere un bambino bilingue, in http://bilinguepergioco.com/. URL
consultato il 20 gennaio 2015.
34
letterario e culturale44
.
Weinreich dedica un capitolo del suo lavoro all’importanza del contesto
socioculturale nell’ambito del contatto linguistico, soprattutto per quanto
riguarda le grandi comunità di parlanti bilingui, dove «diventano significative
le abitudini linguistiche socialmente determinate e i processi caratteristici del
gruppo nel suo insieme»45
.
Alcuni fattori extra-linguistici che possono favorire l’interferenza tra due
sistemi sono i seguenti:
- aree geografiche: è noto che i luoghi di confine siano i più sottoposti al
contatto linguistico, a meno che non vi sia una netta divisione geografica
creata da barriere naturali quali montagne o mari;
- processi migratori: le lingue di immigrati sono maggiormente esposte
all’influenza della lingua ospite soprattutto per ragioni di tipo
socioculturale (il desiderio di integrarsi quanto prima, i matrimoni misti
con gli autoctoni, etc.);
- gruppi culturali o etnici: in questo caso, non è scontato che sia la lingua
minoritaria (ovvero i cui parlanti sono in minor numero) a soccombere a
quella maggioritaria, ma vi sono casi in cui il contatto porta alla
diffusione di elementi culturali e linguistici in entrambi i gruppi;
- religione: la divisione religiosa sembra costituire una barriera al contatto
linguistico, come ha constatato Weinreich nelle sue ricerche sulle
44
Per maggiori approfondimenti, si veda WEINREICH, 2009, pp. 110-120.
45
WEINREICH, 2009, p. 123.
35
comunità di bilingui in Svizzera. «Non si dovrebbe mai perdere di vista
l’effetto restrittivo esercitato sul contatto linguistico e sull’interferenza
dalle differenze di religione […]. Alcune delle frontiere linguistiche
europee, più recenti delle frontiere religiose, rappresentano linee in cui
una sostituzione linguistica si è arrestata a uno spartiacque tra religioni
diverse»46
;
- razza: diventa un fattore significativo solo in situazioni di forte divisione
razziale;
- sesso: la variabile del sesso del parlante è da sempre oggetto di studio
nella linguistica, e sono molti ad affermare che uomini e donne utilizzino
strutture diverse. Tuttavia, «la connotazione maschile o femminile di certi
tratti linguistici li rende, in certe culture, altamente immuni al
trasferimento nel discorso dell’altro sesso»47
;
- età: «una coincidenza tra gruppi di lingua materna e gruppi di età è la
manifestazione sincronica di quella che, dia cronicamente, è una
sostituzione linguistica»48
; le differenze linguistiche tra generazioni
rappresentano una piccola parte di un più ampio processo di transizione
da una lingua all’altra, intervallato da una fase di bilinguismo;
- status sociale: si tratta di casi molto rari, in quanto la differenza di status
sociale è perlopiù legata a differenze culturali, religiose, etc., che non a
quelle linguistiche;
46
WEINREICH, 2009, p. 136.
47
WEINREICH, 2009, p. 139.
48
WEINREICH, 2009, pp. 139-140.
36
- professione: alcuni tipi di professione sono caratterizzati da un proprio
linguaggio, ma in questi rari casi la tendenza al prestito è poco accettata;
- popolazione rurale rispetto a popolazione urbana: i dialettologi hanno
dimostrato che i mutamenti linguistici partono dalle città verso le
campagne, nonostante la tendenza della popolazione rurale ad un
atteggiamento antiurbano.
La durata del contatto linguistico determina se i tratti di interferenza verranno
cancellati o istituzionalizzati. In alcuni casi, si otterrà la nascita
(‘cristallizzazione’) di una nuova lingua e in altri invece no, in base a fattori
come il grado di differenza tra le due lingue in contatto, l’ampiezza di funzioni
che una lingua deve acquisire per cristallizzarsi, e la valutazione dello stesso
parlante.
37
3. L’ITALIANO L2: VARIABILI DI APPRENDIMENTO E METODI DI
INSEGNAMENTO
3.1. Evoluzione degli studi sull’italiano L2
Il rapporto che gli immigrati hanno con la lingua italiana è condizionato da
diversi fattori linguistici ed extralinguistici che negli anni sono stati analizzati per
capire i meccanismi di apprendimento spontaneo e guidato.
Gli studi linguistici si sono interessati all’italiano L2 a partire dagli anni ’80,
suddividendo l’argomento in ‘italiano di stranieri’ e ‘italiano per stranieri’.
Nel primo caso si è assistito ad un’evoluzione degli usi sociali dell’italiano,
fino ad allora visto come lingua degli emigrati italiani, lingua d’élite degli
appassionati alla letteratura e all’arte italiana, o lingua dei bilingui presenti sul
territorio. Negli ultimi vent’anni, invece, l’italiano è diventato lingua veicolare
nel lavoro, nella scuola e nell’integrazione degli immigrati, nell’educazione (per
gli studenti stranieri partecipanti a progetti di scambio internazionale), nella
religione (per i sacerdoti cattolici stranieri), nelle relazioni internazionali e
commerciali, oltre ad essere ancora lingua di prestigio per alcuni ambiti (moda,
enogastronomia, design)49
.
Relativamente all’italiano per stranieri, si sono aperte nuove possibilità per
l’apprendimento spontaneo che vanno oltre l’incontro diretto con i nativi e l’uso
di strumenti “in differita”, ma che permettono la diffusione in diretta della lingua
e della cultura italiana in tutto il mondo. Si sono inoltre moltiplicate le offerte
formative per l’apprendimento dell’italiano come lingua straniera (LS), con una
49
DIADORI, 2011, pp. XII-XIII.
38
particolare attenzione alle varie tecniche di apprendimento spontaneo, guidato,
misto o in autonomia e soprattutto al tipo di apprendente, che ha necessità
diverse in base a età, sesso, provenienza, lingua nativa, istruzione e motivi per i
quali ha deciso di studiare l’italiano.
3.2. Variabili nell’apprendimento dell’italiano L2
Pierangela Diadori ha affrontato in un saggio50
le principali variabili
linguistiche, ambientali e individuali che partecipano nel processo di
apprendimento di una L2.
VARIABILI LINGUISTICHE
L’influenza tra L1 e L2 è determinante e per questo motivo vanno prese in
considerazione le caratteristiche dell’una e dell’altra lingua, identificando i tratti
in comune che possono favorire l’apprendimento e quelli discostanti che invece
lo possono rendere più difficoltoso.
Alcune di queste caratteristiche interne alla lingua riguardano pronuncia e
grafia, trasparenza dei morfemi e presenza di regolarità ed eccezioni.
L’italiano presenta caratteristiche storico-evolutive tali per cui lo straniero
potrebbe incontrare delle problematicità in fase di apprendimento:
- la distinzione tra italiano neostandard e italiani regionali (a livello di
intonazione, apertura e chiusura delle vocali, lessico e sintassi);
- il sistema pronominale particolarmente complesso (pronomi atoni e
tonici, diversa posizione dei pronomi all’imperativo);
50
In DIADORI, 2011, pp. 2-34.
39
- la presenza di geosinonimi (ad es. adesso/mo’/ora, usati rispettivamente al
nord, al centro e al sud).
Le difficoltà aumentano se la lingua madre dell’apprendente appartiene ad
una famiglia o tipologia linguistica diversa dall’italiano, che come sappiamo
appartiene alla famiglia indoeuropea, è una lingua flessiva (composta cioè da
morfemi che esprimono relazioni grammaticali) e basata su un ordine dei
costituenti di tipo SVO (soggetto, verbo, oggetto).
«Una problematica relativa al rapporto fra L1 e L2 con risvolti
psicolinguistici riguarda la questione del diverso modo di vedere il mondo che si
riflette nella differenziazione linguistica dei diversi popoli»51
. Si tratta della
cosiddetta ‘ipotesi Sapir-Whorf” sul relativismo linguistico, teoria secondo la
quale la lingua determina il pensiero, ovvero il modo di interpretare il mondo.
Nel processo di apprendimento di una L2, dunque, interverrebbe una
sentimento di alienazione dato dal diverso modo di percepire la realtà.
Nel caso del romeno a contatto con l’italiano, queste variabili linguistiche
hanno un peso minore, dal momento che laddove le lingue hanno elementi
strutturali in comune è meno probabile che l’apprendente commetta degli errori.
Per questo motivo «gli studi sull’intercomprensione fra parlanti di lingue
affini puntano a valorizzare gli elementi (lessicali e morfosintattici) comuni e le
competenze parziali di cui i parlanti dispongono […]»52
. È da questo presupposto
che è nato il progetto EuRom4, sviluppato dai linguisti Raffele Simone e Claire
Blanche-Benveniste. Allo scopo di ridare slancio e solidità all’Europa delle
51
DIADORI 2011, p. 9.
52
DIADORI, 2011, p. 10.
40
lingue romanze, il progetto parte dal presupposto che una persona che parla una
lingua romanza sia in grado di comprendere, in misura maggiore o minore, anche
le altre della stessa famiglia, ed è servito a realizzare un corpus degli elementi di
maggior contatto e dei punti di differenza per facilitare l’apprendimento di
quattro lingue romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese)53
.
VARIABILI AMBIENTALI
Tra le principali variabili ambientali rientrano:
- il contesto educativo in cui si svolge l’apprendimento della L2
(apprendimento spontaneo, guidato o misto);
- il contesto sociale nel quale l’apprendente è inserito (se ha contatti con i
parlanti nativi nel tempo libero, qual è il suo grado di istruzione, qual è il
contesto lavorativo, etc.);
- l’input linguistico in L2, ovvero i tipi di testi a cui è esposto (orali, scritti
o trasmessi) e il livello di difficoltà, che deve essere tale da permettere la
comprensione e la rielaborazione da parte dell’apprendente;
- le interazioni in L2 (con i nativi o con altri apprendenti, scritti o orali,
etc.);
- il tempo a disposizione e la sua organizzazione per l’apprendimento.
VARIABILI INDIVIDUALI
Queste ultime variabili riguardano il livello prettamente psicologico-affettivo
e neurologico: sesso, età, motivazione all’apprendimento, ‘filtro affettivo’ (ansia,
53
Per maggiori approfondimenti, cfr. http://www.eurom5.com/ (URL consultato il 25 gennaio 2015).
41
rapporti interpersonali, percezione della L2 e della sua cultura), personalità
dell’apprendente (attitudine alle lingue, carattere, intelligenza, preconoscenze).
Il fattore età interessa particolarmente il nostro lavoro, in quanto la nostra
indagine prende in considerazione giovani immigrati romeni di età compresa tra i
14 e i 25 anni, e difatti vedremo brevemente quelli che vengono considerati i
migliori approcci didattici nel caso dell’insegnamento dell’italiano a
bambini/adolescenti e a immigrati.
3.3. Metodi per l’insegnamento dell’italiano L2
Negli ultimi anni la glottodidattica ha vissuto una grande fase di
rinnovamento e sviluppo. Gli approcci didattici attualmente utilizzati dagli
insegnanti di lingue vanno dai più tradizionali a quelli più innovativi. Diadori e
Vignozzi hanno presentato i metodi più diffusi, suddivisi in base al tipo di
approccio seguito54
:
APPROCCIO DEDUTTIVO
Questo approccio si basa sull’apprendimento della lingua attraverso
l’assimilazione e la rielaborazione delle regole grammaticali: «l’esecuzione
linguistica viene dedotta dalla competenza grammaticale»55
.
A questo approccio si rifanno il metodo grammaticale-traduttivo (ancora
molto in uso seppur criticato, in quanto si fa scarso uso della lingua oggetto di
apprendimento) e quello cognitivo, sviluppato da Noam Chomsky e secondo il
quale, una volta acquisite le regole grammaticali, l’apprendente può formulare un
numero potenzialmente infinito di nuove frasi.
54
DIADORI, VIGNOZZI in DIADORI 2011, pp. 35-67.
55
DIADORI, VIGNOZZI in DIADORI 2011, p. 36.
42
APPROCCIO INDUTTIVO
Questo approccio si basa sull’apprendimento della lingua nella sua globalità,
per poi permettere al discente di produrre fatti linguistici in modo sempre più
autonomo. I metodi che si rifanno a questo approccio sono quello diretto (dove
l’apprendente è completamente immerso nella L2 senza la possibilità di ricorrere
alla L1) e quello audio-orale, incentrato sull’uso massiccio del laboratorio
linguistico a una maggiore attenzione alle abilità orali rispetto allo scritto.
APPROCCIO COMUNICATIVO
Questo tipo di approccio riconosce che la competenza formale di una lingua
non è sufficiente, ma che è necessario possedere anche una competenza
pragmatica; con esso «si procede dalla lingua in atto nella sua globalità per poi
analizzarne le componenti distinte»56
.
I metodi sviluppati secondo questo approccio sono molteplici e basati sulla
suddivisione della lingua in varie ‘porzioni’ che il discente deve imparare a
padroneggiare prima di passare a quella successiva.
APPROCCIO PSICO-AFFETTIVO E PSICO-MOTORIO
Questo filone mette in primo piano l’importanza dell’aspetto psicologico
dell’apprendimento; per questo sono stati sviluppati dei metodi che coinvolgono
anche l’area fisico-affettiva, come il metodo “Total Physical Response” (che
prevede l’esecuzione di alcuni gesti e movimenti in risposta a comandi dati nella
L2 e rimanda la produzione orale al momento in cui il discente si sentirà più a
suo agio nel parlare la lingua straniera), o altri che prevedono la messa in scena
di dialoghi accompagnati da musica e movimenti.
56
DIADORI, VIGNOZZI, in DIADORI 2011, p. 42.
43
Un nuovo approccio, quello dell’apprendimento orientato all’azione (cioè
centrato sull’uso di testi e temi che rispecchino le necessità pratiche
dell’apprendente) e alla comunicazione interculturale (Intercultural
Communication Competence) costituisce la linea di tendenza degli ultimi anni,
proprio per mantenere l’idea della centralità dei bisogni dell’apprendente e
allargare la competenza della L2 non solo all’aspetto formale della lingua ma
anche alla dimensione interculturale.
Una volta scelto il metodo più adatto per l’apprendimento dell’italiano L2, ci
troviamo tuttavia davanti ad un interrogativo: quale italiano è più opportuno
insegnare? Considerata la diversità delle varietà di italiano sul piano diatopico, il
problema andrà risolto comprendendo innanzitutto a che tipo di apprendente ci
rivolgiamo e quali sono le sue necessità comunicative.
In contesto migratorio, la priorità del discente sarà quella di imparare il
lessico quotidiano e quello burocratico, allo scopo di facilitarne l’integrazione
nella vita sociale italiana.
«L’insegnamento dell’italiano in contesto migratorio è senza dubbio uno dei
casi più complessi e delicati della glottodidattica, che richiede all’insegnante, più
che in altre situazioni, un’ampia preparazione culturale, antropologica,
psicologica, sociologica oltreché pedagogica»57
.
Nel caso invece dell’italiano come lingua di contatto (intesa come lingua
parlata da figli di immigrati), si ha a che fare con un sistema che per il discente è
a metà tra lingua straniera e lingua materna. «Rappresentando la scuola uno
strumento fondamentale nella formazione e nella costruzione identitaria, sia
linguistica che culturale, di questi nuovi cittadini, la sfida degli insegnanti è
57
TRONCONI, in DIADORI 2011, p. 193.
44
quella di evidenziare in maniera opportuna le caratteristiche proprie di questo
tipo particolare di discente […] e di valorizzare in maniera appropriata la
complessa combinazione e sovrapposizione di più sistemi linguistici»58
.
3.4. Insegnare italiano a immigrati
Pierangela Diadori affronta in un altro saggio59
tutti gli elementi principali
che devono essere presi in considerazione nell’ambito dell’insegnamento
dell’italiano a immigrati adulti.
Allo scopo di aiutare l’insegnante di italiano L2 nella scelta dei metodi e
degli strumenti più adatti, ci presenta le variabili che devono essere tenute
presenti:
- diatopiche: lingua e cultura di appartenenza, lingua (ovvero varietà di
italiano: standard, neostandard regionale, dialetto, oppure lingue di
minoranze storiche) e cultura dell’area di insediamento;
- diastatiche: età, sesso, background culturale, motivazioni, bisogni;
- diafasiche (contesto di apprendimento): apprendimento guidato,
spontaneo o misto.
In particolare, è essenziale individuare i bisogni comunicativi
dell’apprendente, per poter non solo ottenere risultati pratici in tempo breve
(vista la difficoltà dell’immigrato di dedicare molto tempo e denaro in corsi di
lingua), ma anche per fornire delle strategie di apprendimento che potranno
58
TRONCONI, in DIADORI 2011, p. 194.
59
DIADORI 2011, pp. 254-267.
45
essere sfruttate anche nel processo di acquisizione spontanea dell’italiano.
L’insegnamento a immigrati adulti, sottolinea infine Diadori, deve mirare
anche allo sviluppo armonico delle tre finalità educative, ovvero socializzazione,
culturizzazione e autorealizzazione dell’apprendente.
3.5. Insegnare italiano a bambini e adolescenti stranieri
Bambini e adolescenti rientrano sotto profili diversi e per questo richiedono
approcci didattici differenziati.
Ciò che caratterizza i bambini è che, non essendo ancora completamente
sviluppati a livello cognitivo, godono di un’elasticità mentale notevolmente
superiore a quella degli adulti; tale elasticità, oltre alla disponibilità a mettersi in
gioco, permette loro di apprendere una nuova lingua in modo da raggiungere
un’acquisizione simile a quella del parlante nativo. Difatti, è con l’esposizione
alla L2 prima dei 5-8 anni che il bambino potrà acquisire la pronuncia della L2
senza sforzo e con esiti simili alla L160
.
Dall’altro lato, i bambini sono dotati di una minore capacità di analisi e di un
minore bagaglio enciclopedico, oltre che di una minore capacità di attenzione che
richiede di diversificare molto le attività didattiche.
Nel caso dei bambini stranieri, la loro prima necessità sarà quella di inserirsi
nel percorso scolastico italofono: com’è stato rilevato dalle indagini Caritas61
, i
principali motivi di insuccesso scolastico degli alunni stranieri sono i metodi
applicati e l’insufficiente integrazione. Pertanto, è su questi due punti che è
60
DIADORI 2011, p. 18.
61
Dati Caritas 2002, riportati da SEMPLICI in DIADORI 2011, p. 207.
46
opportuno operare, tenendo presente che «essere perfettamente in grado di
comunicare in lingua italiana non significa […] possedere le strategie le
competenze necessarie per accedere a contenuti disciplinari»62
.
Ne consegue che costruire le competenze base della L2 è ben diverso da
fornire gli strumenti per gestire i concetti più elaborati che gli alunni iniziano ad
affrontare alla scuola primaria.
L’insegnante di italiano L2, infine, dovrà cercare di contribuire allo sviluppo
delle tre tappe fondamentali (socializzazione, culturizzazione e
autorealizzazione), tenendo conto del background culturale degli alunni, in modo
da aiutarli a sviluppare una visione del mondo pluriculturale (orientata quindi alla
tolleranza e al rispetto delle diversità), oltre che plurilinguistica.
Gli adolescenti si distinguono dai bambini per una maggiore propensione alla
riflessione sulla lingua e per una minore disponibilità a mettersi in gioco nelle
dinamiche di apprendimento della L2. È dunque necessario tenere viva
l’attenzione dei discenti di questa fascia d’età attraverso attività che soddisfino le
loro motivazioni, consentendo margini di autonomia e favorendo la
cooperazione.
Sono consigliate attività che sfruttino le nuove tecnologie e che li mettano in
contatto con i parlanti nativi e con il ‘mondo reale’.
Come abbiamo già accennato, nel caso di adolescenti stranieri nati o cresciuti
in Italia, non si può parlare di ‘italiano L2’ ma di ‘italiano lingua di contatto’
(LC), definizione che descrive il processo di costruzione di ‘duplice identità’ in
cui è coinvolto il giovane migrante.
62
SEMPLICI in DIADORI 2011, p. 208.
47
Le scuole italiane hanno la libertà di agire in autonomia nel momento in cui
si trovano ad inserire nuovi studenti stranieri. Solitamente vengono organizzati
dei corsi di italiano affinché essi sviluppino gli strumenti per poter accedere alla
didattica in lingua italiana. Questo è un processo che richiede molto tempo, ma
spesso i corsi vengono abbandonati non appena si raggiunge la soglia minima
che permette di comunicare con i docenti e gli altri studenti italiani.
È inoltre necessario promuovere la conservazione della lingua nativa, in
quanto si è dimostrato che ciò favorisce lo sviluppo delle capacità di produzione
in lingua italiana63
. Come infatti sostiene Chini:
il patrimonio culturale e linguistico che un soggetto porta con sé,
ovunque si sposti e, in particolare, le lingue apprese durante l’infanzia (ma
non solo) sono parte costitutiva e integrante della sua identità personale e
sociale, suo strumento espressivo e insieme suo simbolo privilegiato; non
possono essere tout court neglette in vista di nuove competenze linguistiche
da sostenere.64
Una stretta e regolare collaborazione tra il docente LC e i docenti delle altre
materie è basilare per lo sviluppo delle competenze linguistiche e interculturali
che permetteranno allo studente straniero di diventare «un attore sociale, in grado
di prendere decisioni, negoziare i significati della lingua, interagire con una certa
naturalezza e fiducia in se stesso»65
.
63
PETROCELLI, in DIADORI 2011, p. 224.
64
CHINI in PISTOLESI 2007, p. 153.
65
PETROCELLI, in DIADORI 2011, p. 228.
48
49
4. IL LAVORO DI ALEXANDRU COHAL SUI MUTAMENTI NEL
ROMENO DI IMMIGRATI IN ITALIA
4.1. Mutamento linguistico: cause ed effetti
Alexandru Cohal, sociologo e linguista romeno, è stato il primo a realizzare
uno studio sull’evoluzione e le influenze subite dalla lingua romena della
comunità di immigrati residenti in Italia.
Si tratta di una ricerca, Mutamenti nel romeno di immigrati in Italia (Franco
Angeli, 2014), che rispecchia perfettamente la prospettiva sociolinguista, in
quanto va a indagare i fattori extra-linguistici che determinano gli usi linguistici
dei parlanti romeni.
Il volume è articolato in una prima parte che tratta i fattori che determinano i
mutamenti linguistici, ovvero il contatto tra lingue, i livelli linguistici interessati
dal mutamento e ciò che risulta da queste interferenze.
Il secondo capitolo viene fatta una breve digressione sull’immigrazione
romena in Italia: la storia, le caratteristiche di questo processo, i dati socio-
statistici, le modalità di integrazione e le forme di aggregazione dei romeni
(attraverso la scuola, la chiesa e i mass media), e infine il repertorio linguistico
degli immigrati, soffermandosi sulla questione dell’esistenza o meno di una
comunità linguistica romena in Italia, che Cohal definisce “transcomunità”66
.
Il terzo capitolo descrive il metodo e gli strumenti utilizzati per lo
svolgimento della ricerca e il tipo di campione utilizzato.
66
COHAL, 2014, p. 15.
50
Infine, vengono presi in esame quelli che sono i «fenomeni linguistici
innovativi nel romeno (in contatto con l’italiano), a livello di discorso e di
sistema»67
.
Il presupposto da cui si parte è che il mutamento linguistico non vada visto
come una sorta di “devianza”, bensì come un «paradigma di riassesto dell’intero
sistema-lingua, o di alcuni suoi sottosistemi, in seguito alla variazione
fonologica»68
. Il mutamento si realizza non solo nel tempo ma anche nello
spazio, nella continua ricerca di rendere la lingua un sistema stabile e
simmetrico.
Ma quali sono i fattori che portano a questi cambiamenti del sistema di una
lingua? Il primo è un fattore interno, una “debolezza” o contraddizione interna
alla lingua69
, che può essere di tipo lessicale, fonetico/fonologico o
grammaticale. Il mutamento si presenta sotto forma di errori ricorrenti rispetto
alla norma stabilita, e si manifesta quindi a livello di parole (o performance).
Un secondo fattore è di tipo esterno ed è determinato dalle influenze socio-
culturali a cui è sottoposta la lingua, vale a dire migrazioni dei parlanti e contatti
con altri lingue.
L’innovazione si manifesta prima individualmente, e poi viene gradualmente
accettato e condiviso dalla comunità linguistica, attraverso quattro tappe
identificate da Coşeriu70
: adozione dell’innovazione da parte di un parlante,
67
COHAL, 2014, p. 15.
68
COHAL, 2014, p. 17.
69
COŞERIU, 1981, p. 92, p. 98, in COHAL, 2014, p. 18.
70
COŞERIU, 1992, p. 14, in COHAL, 2014, pp. 18-19.
51
diffusione tra gli altri parlanti, selezione tra l’uso della vecchia tradizione e quella
nuova, e infine mutamento, ovvero abbandono della vecchia tradizione per quella
nuova.
Cohal sottolinea che la distinzione tra fattori interni ed esterni non è sempre
netta, e che
in una situazione di contatto dovuta all’immigrazione di ingenti gruppi
di persone, l’intensità e la durata del contatto […] sono responsabili della
velocità con cui i fenomeni di interferenza accadono, mentre l’equilibrio
socio-culturale fra i gruppi di parlanti influisce sul rapporto di forze fra le
lingue del repertorio bi-o plurilingue e può incidere sul tipo e la quantità
dell’interferenza – quindi del mutamento, nonché sul tipo di impiego delle
lingue – quindi sul loro mantenimento o logorio.71
Anche il bilinguismo viene incluso tra i fattori che portano al mutamento, in
quanto favorisce una certa dinamicità all’interno del sistema della lingua ed è a
sua volta influenzato dagli atteggiamenti socio-culturali e politici nei confronti di
una lingua (ovvero il suo status e il suo livello di prestigio, la concezione che ne
hanno i parlanti).
Nel caso di contatto tra due lingue molto vicine, come il romeno e l’italiano,
è possibile riscontrare un deterioramento della lingua minoritaria, che
manifesterà un’ipersemplificazione di sistema, e una perdita sul piano lessicale.
Allo stesso tempo, la lingua minoritaria acquisirà degli elementi dalla lingua con
cui entra in contatto, favorendo il code switching (‘commutazione di codice’).
71
COHAL, 2014, p. 19.
52
4.2. I contatti dei romeni con il paese e la lingua di origine
Agli inizi del processo di immigrazione in Italia, per i romeni era molto
difficile mantenere i contatti con la propria patria, ma dal 2005 i costi per il
trasporto si abbassano e i mezzi di comunicazione si fanno più differenziati e con
tariffe dedicate agli immigrati. Non solo: è possibile accedere alla tv romena
tramite satellitare e, più avanti, nascono anche dei canali tv ideati da e per romeni
che vivono in Italia (come Romit TV, Romania TV, CasaMia TV). Secondo i dati
della Metro Media Transilvania e del Dipartimento per le Strategie Governative
della Romania, i programmi in lingua romena vengono guardati dal 50% delle
donne e dall’80% degli uomini72
, i quali sostengono che questi programmi di
informazione li aiutino a sentirsi meno lontani da casa.
L’esposizione alla TV è una variabile dell’indicatore del “mantenimento
linguistico” e una variabile dell’indicatore “identità”. Gli immigrati non sono
esposti al romeno scritto bensì a quello parlato e televisivo, piattaforma per
eccellenza dei mutamenti linguistici in atto. Di conseguenza, al
‘mantenimento’ si deve aggiungere l’ʻorientamento’, intendendo con ciò il
fatto che spesso la TV, più che le fonti scritte o la radio, è ‘contenitore’ e
‘trasmettitore’ di tendenze, devianze e innovazioni, alcuni delle quali si
consacrano o scompaiono.73
Grazie al potenziamento dei mezzi per comunicare con il proprio paese di
origine, si è quasi del tutto annullata la distinzione tra i concetti di partenza e
arrivo. L’immigrato romeno non è più costretto a scegliere se integrarsi
perfettamente nella cultura ospite o segregarsi nel tentativo di mantenere la
propria identità culturale, ma può riuscire a fare entrambe, ovvero sviluppare la
competenza della lingua straniera e conservare quella della lingua materna.
72
MMT & ASG, 2007, p. 5 in COHAL, 2014, p. 41.
73
COHAL, 2014, p. 42.
53
Cohal attribuisce un ruolo particolarmente importante alle donne romene
immigrate, riconoscendole come portatrici e custodi degli elementi culturali e
linguistici del proprio paese:
esse sono più attente alle tradizioni […], stimolano i famigliari a farle
rivivere nella nuova patria. […] Siccome le donne rappresentano circa la
metà dell’immigrazione romena, fungono da traino per l’intera comunità
verso una scelta socioculturale e linguistica mista, in cui la cultura e la lingua
propria sono fortemente in concorrenza con la cultura e la lingua di arrivo.74
Per quanto riguarda le seconde generazioni, è principalmente per esse che nel
2007 nasce l’Institutul Limbii Române (‘Istituto della Lingua Romena’),
realizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione romeno allo scopo di finanziare
corsi di lingua, cultura e storia romena per i figli degli emigrati. Oltre all’ILR,
contribuiscono a questo progetto anche l’Accademia di Romania, con sede a
Roma, e l’Istituto romeno di cultura e ricerca umanistica di Venezia.
Anche la chiesa svolge un’importante funzione nel mantenimento dei contatti
con la lingua di origine: nelle chiese ortodosse romene presenti in Italia la messa
viene celebrata in lingua romena standard, e il preot (il prete) è un punto di
riferimento per la comunità immigrata in quanto la sua parrocchia contribuisce al
mantenimento del tratto etnico.
In generale, gli immigrati romeni manifestano un certo orgoglio nei confronti
della propria lingua madre, anche se la stessa cosa non si può dire dell’opinione
che nutrono verso la propria stessa comunità: una ricerca ha rilevato che essi
hanno interiorizzato l’immagine negativa che molti italiani hanno su di loro e che
74
COHAL, 2014, p. 50.
54
i media spesso trasmettono75
. Nonostante questa visione negativa dei loro
connazionali, i romeni sono perfettamente consci del prestigio della propria
lingua, prestigio che da sempre hanno manifestato attraverso la letteratura, l’arte,
la filosofia e il sistema scolastico.
4.3. La lingua degli immigrati romeni e l’apprendimento spontaneo
dell’italiano
La maggior parte degli immigrati romeni in Italia proviene dalla Moldavia, la
regione più povera della Romania e maggiormente influenzata dall’area slava, sia
dal punto di vista culturale che linguistico.
È importante sottolineare che all’interno della lingua romena non esiste una
differenziazione in dialetti regionali, e che le poche differenze si riscontrano solo
a livello fonetico e lessicale.
La variante di romeno parlata dagli intervistati viene definita romeno comune
usuale76
, dove per “romeno comune” si intende «quella varietà [parlata], sovra
dialettale, sovra locale, sottoposta alla variazione diatopica e diastatica, a sua
volta suddivisibile nel “romeno comune letterario” e nel “romeno comune
popolare”»77
.
Cohal pone l’accento sui tratti caratteristici del romeno parlato dagli
immigrati e a stretto contatto con la lingua italiana, dalla quale subisce forti
influenze.
75
MMT & ASG, 2007, p. 34 in COHAL, 2014, p. 59.
76
CIOLAC, 2006, pp. 70-71 in COHAL, 2014, p. 62.
77
COHAL, 2014, p. 62.
55
Per quanto riguarda il rapporto con la lingua del paese ospite, è stato rilevato
che i romeni arrivati nella prima fase del processo migratorio, ovvero negli anni
’90, vedono nell’apprendimento dell’italiano un mezzo per meglio integrarsi
nella vita sociale e lavorativa nella quale sono immersi, mentre coloro che sono
immigrati dopo il 2000 lo vedono come un semplice aiuto per destreggiarsi negli
aspetti “logistici” (lavoro, burocrazia, salute, servizi) del loro soggiorno in Italia.
L’apprendimento dell’italiano è reso molto semplice dalla vicinanza alla
lingua romena, per cui è facile fare accostamenti tra le strutture grammaticali
delle due lingue. Probabilmente a causa di questa percezione dell’italiano come
lingua semplice da imparare, la maggior parte dei romeni non ricorrono a corsi di
lingua per stranieri e dichiarano di essersi aiutati nell’apprendimento tramite la
lettura di quotidiani e riviste, la televisione, il contatto con vicini di casa e
colleghi di lavoro. Spesso, la lingua che i romeni imparano non è l’italiano
standard ma un italiano regionale o un dialetto.
Segue, nel volume di Cohal, un resoconto sul repertorio della lingua romena
e della lingua italiana utilizzate dagli immigrati romeni, ovvero in quali
situazioni e con chi scelgano di utilizzare la propria lingua madre o la lingua
ospite, e alcune riflessioni sulla possibilità dell’esistenza di una comunità
linguistica romena in Italia, analizzando quattro criteri: condivisione della lingua,
comunanza di stanziamento, interazioni regolari e frequenti, e condivisioni di
atteggiamenti sociali verso le lingue e di norme di uso78
.
4.4. Mutamenti nel romeno in contatto con l’italiano
Nel quarto capitolo del suo lavoro, Cohal prende in esame le dinamiche più
rappresentative del romeno di immigrati in seguito all’interferenza con la lingua
78
CHINI, 2009, pp. 288-292 in COHAL, 2014, p. 72.
56
italiana. Esistono due tipi di fenomeni ricollegabili al contatto linguistico: il
prestito e l’interferenza, quest’ultima analizzata da Cohal a livello di discorso e a
livello di sistema.
È importante sottolineare che «a interferire sono due lingue neolatine che si
avvicinano per una serie di somiglianze e concordanze, mentre alcune differenze
si minimizzano a livello dialettale»79
.
In seguito, Cohal presenta una disamina del sistema vocalico e consonantico
delle due lingue, mettendole a confronto e descrivendo quali sono le difficoltà a
livello fonetico che il parlante romeno incontra nell’apprendimento dell’italiano
(portando come esempio l’approssimante laterale palatale [ʎ] di gli, resa dai
romeni con [ł] del moldavo o con [l] palatalizzata in maniera più lieve).
Il lessico rappresenta il problema minore, in quanto il vocabolario romeno è,
per circa l’80%, di origine latina; di conseguenza, si assisterà spesso a fenomeni
di calco, una tipologia di prestito in cui una lingua imita la struttura lessicale o
morfologica di un’altra.
Per i fenomeni rilevanti a livello di discorso, Cohal ha fatto uso della
classificazione di Berruto in tre classi: alternanza di codice, code switching e
code mixing (‘enunciazione mistilingue’)80
, aggiungendo come quarto elemento
il calco.
Il code switching sembra avere grande rilevanza nel discorso dei bilingui
romeni, che sono in grado di realizzare «sequenze coerenti, costruendo
79
COHAL, 2014, p. 104.
80
BERRUTO, 2009, p. 10 in COHAL, 2014, p. 110.
57
generalmente enunciati grammaticali, con rispetto delle norme delle lingue in
contatto»81
. Ciò riflette l’appartenenza ad un’identità mista82
, ma il ricorso alla
commutazione di codice si incontra anche in altri casi, come quando il parlante
deve esprimere un concetto che ritiene inopportuno o volgare e per questo
motivo ricorre alla L2 (l’italiano) all’interno del discorso in L1 (il romeno),
oppure quando deve riportare un discorso svoltosi in L2.
Il calco e il prestito sono da sempre risorse di grande importanza per
l’arricchimento di una lingua, e sono fenomeni che vengono molto facilitati dalla
vicinanza strutturale tra le due lingue in contatto. Il calco può essere di tipo
strutturale, se viene imitata la struttura morfologica di una parola in lingua
straniera, come nel caso di questi termini incontrati durante le interviste per
l’indagine83
:
ro. d’Italia a reintra < it. rientrare > ro. standard a se întoarce
ro. d’Italia dezocupat < it. disoccupato > ro. standard şomer
ro. d’Italia reînforţam < it. rafforziamo > ro. standard întărim
Il calco semantico si ottiene quando un termine della L1 prende il significato
di uno della L2, come in questi esempi:
ro. d’Italia literă < it. lettera > ro. standard scrisoare, mentre il valore
semantico di literă è quello di ‘lettera dell’alfabeto’
ro. d’Italia face rău < it. fa male > ro. standard nu e bun
Infine, esempi di calco categoriale si incontrano soprattutto nella creazione di
81
COHAL, 2014, p. 110.
82
GUMPERZ, 1982 in COHAL, 2014, p. 111.
83
In COHAL, 2014, pp. 119-128.
58
avverbi in –mente, già presenti in romeno ma poco usati in quanto appartengono
alla lingua colta. Infatti, gli avverbi solitamente hanno la stessa forma degli
aggettivi, ma il romeno d’Italia inserisce spesso la forma avverbiale con il
suffisso -mente, così come usata in italiano:
ro. d’Italia telefonicamente < it. telefonicamente > ro. standard la telefon
Anche i fenomeni di contatto rilevati a livello di sistema sono numerosi e ne
riporteremo qui solo alcuni. La premessa da cui parte Cohal per descrivere
questi fenomeni è che la catalogazione dei dati linguistici «è stata concepita
secondo la prospettiva della deviazione dal romeno standard», ma in questo caso,
«nel contatto con l’italiano, la deviazione rappresenta […] l’innovazione,
identificabile di volta in volta in due categorie: maggiore uso di varianti (una
volta marginali) in L1 e co-occorrenti con le varianti consacrate, o innovazione
ex novo in L1»84
.
Un caso di contatto a livello di sistema si presenta frequentemente nella
realizzazione del dativo e del genitivo. In lingua romena, questi due casi possono
essere espressi in due modi, ovvero con la flessione dell’articolo posposto o con
quella dell’articolo indeterminato posto prima del nome:
Maschile Femminile Neutro
Sing. Copilului (del/al
bambino)
Fetei (della/alla
ragazza)
Caietului (del/al
quaderno)
Plu. Copiilor (dei/ai
bambini)
Fetelor
(delle/alle figlie)
Caietelor
(dei/ai quaderni)
84
COHAL, 2014, p. 135.
59
Maschile/Neutro Femminile
Sing. unui unei
Plu. unor unor
La forma di dativo analitica, ovvero accompagnata dalla preposizione la (ad
es. i-am zis la copil, ‘ho detto al bambino’ invece della forma di ro. standard i-am
zis copilului) davanti al sostantivo, è attestata fin dalle prime prove scritte della
lingua romena, tuttavia non è una forma considerata accettabile nel romeno
standard e si presenta, oltre che nel parlato dialettale, anche nel romeno d’Italia, a
causa della somiglianza con la struttura dell’italiano.
Lo stesso avviene con il genitivo, che viene costruito con la preposizione de
davanti a sostantivo, al posto dell’articolo genitivale lui (ad es. feţele de Chaplin,
‘le facce di Chaplin’, invece di feţele lui Chaplin)85
.
Nel test proposto da Cohal per la sua indagine, quello che richiedeva di
narrare alcune sequenze di un film86
, ciò che risalta è che anche il passivo sembra
aver subito le influenze dell’italiano, acquisendo la forma con l’ausiliare a veni
(‘venire’) oltre a quella del romeno standard a fi (‘essere), e venendo
accompagnato da una preposizione composta, de către, oltre che da quella
semplice, de.
85
In COHAL, 2014, pp. 136-145.
86
Si tratta di Modern Times di Charlie Chaplin, usato spesso nelle ricerche sull’acquisizione delle L2, «allo
scopo di studiare aspetti dell’acquisizione di competenze testuali nella strutturazione di un testo
narrativo […]», in COHAL, 2014, p. 91.
60
L’oggetto diretto usato nel romeno di immigrati subisce delle mutazioni a
seconda del tipo di italiano regionale con cui viene a contatto, e in particolare
esiste la tendenza a non marcare l’oggetto diretto con il morfema pe, come
avviene invece in tutti i registri del romeno parlato:
ro. d’Italia cunosc cineva […] < it. conosco qualcuno > ro. standard cunosc
pe cineva87
In alternativa, l’oggetto diretto viene espresso con il pronome relativo care,
sempre a causa dell’interferenza con l’italiano:
ro. d’Italia fata care el mai-nainte a încercat s-o salveze < it. la ragazza che
lui prima aveva cercato di salvare > ro. standard fata pe care el […]88
Un ultimo esempio interessante di contatto interlinguistico riguarda l’infinito:
solitamente, l’uso che ne fa il romeno è più limitato rispetto all’italiano, ma nel
romeno d’Italia esiste la tendenza a calcare il modello della L2:
ro. d’Italia sunt doriţi de a festegià < it. sono desiderosi di festeggiare > ro.
standard sunt doritori să sărbătorească89
Cohal sostiene che il romeno d’Italia si trovi al momento in una zona
intermedia compresa tra il code switching e il code mixing (ovvero fra
l’alternanza e la combinazione) e che sia «caratterizzato […] dalla presenza di
87
In COHAL, 2014, p. 173.
88
In COHAL, 2014, p. 174.
89
In COHAL, 2014, p. 180.
61
molti prestiti che stimolano il passaggio di altro “materiale” nella sua direzione,
senza che questo dimostri con chiarezza quale lingua incapsula l’altra»90
.
Già in passato il romeno ha attinto, più o meno spontaneamente91
,
dall’italiano nel processo di arricchimento linguistico, oltre che da altre lingue
neolatine e non (francese, tedesco, turco, ungherese, russo, greco, etc.). Nel
romeno d’Italia analizzato da Cohal si ritrovano innumerevoli prestiti che
rientrano in tre categorie92
:
- “immotivati” o arbitrari, ovvero relativi ad un referente già designato dal
romeno, ad es.:
are fidanzat (= ro. logodnic) măcelar > ha il fidanzato macellaio
- prestiti che riempiono delle lacune lessicali in quanto riferiti a concetti
che non sono conosciuti dalla cultura romena, ad es.: mai beneficiaza de
tredicesima? > beneficia ancora della tredicesima? [la mensilità
aggiuntiva non esiste in Romania]
- prestiti con funzione eufemistica, ovvero termini della L2 che il parlante
usa per evitare parole tabù nella L1, ad es.:
am luat picături şi mă rincolionam mai tare > ho preso delle gocce e mi
rincoglionivo di più
90
COHAL, 2014, p. 192.
91
Ricordiamo i lavori di sperimentazione linguistica e l’italianismo di Ion Heliade Rădulescu, a metà
‘800.
92
Tutti gli esempi riportati si trovano in COHAL, 2014, pp. 193-196.
62
Altri tipi di prestito riguardano le espressioni polirematiche, molto presenti
nei corpora dei bilingui, indipendentemente dall’esistenza o meno di un
corrispettivo in L1.
L’affinità tra le due lingue e la condivisione dell’etimologia facilita
sicuramente la prosperità dei prestiti ed è sintomo di una notevole creatività
linguistica.
Un’ultima parte del capitolo sui mutamenti linguistici del romeno d’Italia è
dedicata alla pronuncia, anch’essa sottoposta all’influenza dell’italiano, che può
dar vita a casi di ipodifferenziazione di fonemi (ovvero l’incapacità di distinguere
due diversi suoni). Il caso più frequente riguarda la distinzione tra in [in-] e în
[ɨn], che nel romeno d’Italia tende a scomparire.
4.5. Il romeno d’Italia, tra mantenimento e innovazione
Cohal conclude il suo lavoro con una riflessione sullo stato attuale del
romeno d’Italia e sui possibili esiti del contatto con l’italiano. Egli ritiene che il
romeno si trovi in una fase relativamente stabile e di mantenimento, in cui
«spicca la presenza ingente del calco»93
, ma non esclude il passaggio ad una fase
di contatto più intenso che porterebbe ad un cambiamento strutturale più
profondo.
Un dato interessante è che l’influenza con l’italiano non ha dato vita a nuove
regole o elementi, ma ha favorito la riattivazione di fenomeni già esistenti nel
romeno e da tempo fuori uso.
Sottolinea, inoltre, che:
93
COHAL, 2014, p. 261.
63
gli esiti di mantenimento o di logorio del romeno di seconda generazione
dipendono molto di più dalle realtà socioculturali dell’immigrazione; detto
ciò, pare ragionevole pensare che un livello di mantenimento come quello
rilevato oggi nella lingua dei padri – se forme di stigmatizzazione
socioculturale inaspettate non investono la seconda generazione e se il tipo di
vissuto migratorio transnazionale non cambierà – costituisce una base solida
per il mantenimento del romeno anche per la seconda generazione.94
Come già avvenuto in passato, la lingua romena dà ancora prova della sua
capacità di assimilazione, mantenimento e rinnovamento.
94
COHAL, 2014, p. 261.
64
65
5. L’INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLE SECONDE GENERAZIONI
DI ROMENI IN ITALIA
5.1. Il questionario e il campione utilizzato
La ricerca svolta per questo lavoro si è basata su un questionario di tipo
sociolinguistico somministrato a 80 ragazzi di origine romena e moldava.
Per la realizzazione del questionario è stato fatto affidamento sul modello
utilizzato da Chini nel suo lavoro Plurilinguismo e immigrazione in Italia:
un'indagine sociolinguistica a Pavia e Torino (Franco Angeli, 2004).
Il questionario è strutturato in sei parti così suddivise:
A. BACKGROUND: domande introduttive sui dati anagrafici (sesso, età,
città e provincia di residenza), la provenienza dell’intervistato, il numero
di anni di permanenza in Italia e la provenienza dei genitori.
B. LE LINGUE CHE USI: domande sulla lingua madre e sulle lingue
utilizzate con famigliari e amici residenti in Italia e in Romania, e quelle
usate per fare i calcoli mentali.
C. IL TUO RAPPORTO CON LA LINGUA ITALIANA: domande sul
periodo di tempo e gli strumenti utilizzati per imparare la lingua italiana.
D. IL TUO RAPPORTO CON LA LINGUA ROMENA: domande dedicate
agli intervistati nati in Italia o giunti in Italia nei primi anni di vita, allo
scopo di verificare la loro conoscenza del romeno, domande sulla quantità
e il tipo di contatti con il paese di origine.
E. IL TUO RAPPORTO CON L’ITALIA E LA ROMANIA: domande di tipo
prettamente sociologico, volte a individuare l’identificazione culturale
dell’intervistato e il suo legame con il paese di origine.
66
F. La sesta parte del questionario è composta da due brevi testi da
completare, uno in romeno e uno in italiano, al fine di tentare di valutare,
anche se in modo sommario, le competenze linguistiche dell’intervistato
in entrambe le lingue.
Il campione preso in esame è composto da ragazzi e ragazze romeni e
moldavi, oppure italiani ma con uno dei due genitori provenienti dalla Romania o
dalla Repubblica di Moldavia, di età compresa tra i quattordici e i venticinque
anni. Dal punto di vista geografico, abbiamo voluto limitare la ricerca alla
regione Veneto e in particolare alla provincia di Padova.
Per il reperimento degli intervistati, sono state contattate alcune scuole
superiori della città di Padova e del comune di Este (PD): i licei “G.B. Ferrari” di
Este e il “Tito Livio” di Padova, l’istituto tecnico-professionale “ITIS Euganeo”
(che comprende anche la succursale “Duca d'Aosta”) di Este, l’istituto di
istruzione superiore “Atestino” di Este, e l’istituto professionale per servizi
commerciali “Leonardo Da Vinci” di Padova.
Ci siamo inoltre avvalsi dell’aiuto dei social network, creando un formato
elettronico del questionario tramite una piattaforma gratuita e condividendolo su
alcuni gruppi Facebook dedicati agli studenti universitari o alle varie comunità di
romeni presenti sul territorio.
Tenendo presente che il campione di intervistati comprendeva perlopiù dei
minori, si è rivelato difficile ottenere il consenso a somministrare nelle scuole il
questionario, che è stato allegato a un’autorizzazione da far firmare ai genitori e
alla descrizione del tipo di ricerca, in italiano e in romeno. L’impossibilità di
organizzare un incontro diretto con gli studenti ha probabilmente impedito di
suscitare negli stessi interesse al progetto. Il social network invece si è rivelato
un mezzo potentissimo, che ha permesso di raccogliere decine di questionari in
67
pochi giorni.
5.2. Precisazioni sugli intervistati di nazionalità moldava: il moldovenismo
Dal 2013, in seguito ad alcune interrogazioni parlamentari, la Corte
Costituzionale della Repubblica di Moldavia ha sancito che la lingua ufficiale del
paese è il romeno95
. Tuttavia, sono molti a parlare di ‘moldavo’ come lingua
ufficiale e distinta dal romeno.
Moldavia è il nome della regione storica attualmente compresa tra Romania,
Repubblica di Moldavia e Ucraina. Anche in quest’area si è sempre parlato il
dacoromeno (uno dei quattro dialetti della lingua romena insieme al
meglenoromeno, istroromeno e aromeno; il dacoromeno è quello parlato, per
l’appunto, in Romania e nella Repubblica di Moldavia), fin dalla sua nascita, e
dunque non vi è alcun fondamento scientifico nelle teorie sulla lingua moldava,
teorie che vengono definite con il nome di moldovenismo.
«È noto, infatti, come il fiume Prut [affluente del Danubio che scorre sul
confine tra Romania e Repubblica di Moldavia, n.d.a.] non rappresenti confine
linguistico pur essendo limite geografico e frontiera politica. Pertanto, le parlate
moldave della Bessarabia registrano le stesse peculiarità fonetiche, nell’ambito
del dacoromeno, presenti nei subdialetti della sponda orientale»96
.
Dunque, nonostante le influenze del russo e dell’ucraino (che si presentano
solo a livello lessicale e non morfologico), ci troviamo davanti ad un caso di
‘separatismo politico’ di una lingua, avvenuto nel 1924 in seguito
all’intensificarsi dei contrasti tra Romania e Unione Sovietica per il controllo
della Bessarabia (area che attualmente comprende la Repubblica di Moldavia e
95
Moldova: il romeno, lingua ufficiale in http://www.rri.ro/. URL consultato il 22 gennaio 2015.
96
ZULIANI, 2013, p. 5.
68
parte dell’Ucraina).
La contesa di quella regione era nata nel 1918 con l’invasione delle truppe
romene e l’annessione della Bessarabia, che fino ad allora era stata sotto il
controllo russo, alla Romania. L’Unione Sovietica rispose nel 1924 con la
creazione della ‘Repubblica Socialista Sovietica Moldavaʼ in corrispondenza
dell’attuale Transnistria, allo scopo di contrastare l’autorità romena.
Inoltre, fu sviluppata un’aggressiva campagna di propaganda incentrata sulla
‘questione della lingua moldava’, che iniziò ad essere discussa intensamente sulle
pagine della rivista Plugarul Roşu (‘Il contadino rosso’)97
. Questo dibattito
terminò in un rapporto realizzato alla fine dell’agosto 1924: «fu il primo
documento ufficiale sovietico a parlare di lingua moldava.
In seguito ai dibattiti della commissione, fu deciso, senza nemmeno
consultare un esperto in filologia, di incoraggiare lo sviluppo di una lingua
moldava, utilizzando i caratteri cirillici»98
. Da allora l’Unione Sovietica si
preoccupò della costruzione dell’identità moldava: nel 1947 il Partito Comunista
incaricò gli studiosi di redigere un manuale di storia dei moldavi scritto dal punto
di vista marxista99
.
Gli argomenti etnologici a favore della teoria del moldovenismo sostenevano:
“folclorul moldovenesc” arată originea acestui popor ca urmaş al
valahilor şi slavilor. Conform argumentelor lingvistice, ar exista o limbă
moldovenească diferită de română. Cu toate acestea, chiar lingviştii sovietici
nu au putut aduce argumente în favoarea apartenenţei limbii moldoveneşti la
97 Sunt moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL
consultato il 23 gennaio 2015.
98
Sunt moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL
consultato il 23 gennaio 2015.
99
BOJOGA E., Ideologia moldovenismului şi limba comuniştilor, in http://www.contrafort.md/. URL
consultato il 23 gennaio 2015.
69
familia limbilor slave. Nu în ultimul rând, “specialiştii” au adus în discuţie şi
argumente paleoantropologice: antropologii sovietici au încercat să ajungă la
anumite concluzii privind îmbinarea “romanicilor de vest” cu slavii, dar
dovezile nu sunt concludente.100
I sostenitori del moldovenismo erano principalmente contrari all’influenza
del romeno (giungendo a vietare perfino l’alfabeto latino) e incoraggiavano
l’incremento di prestiti, anche artefatti, dal russo.
Il primo a denunciare l'inesistenza di una lingua moldava fu il glottologo
italiano Carlo Tagliavini che, nell'edizione del 1969 del suo manuale Le origini
delle lingue neolatine, presentò la storia della lingua romena e dedicò una nota
dettagliata al tema della Bessarabia. Lo studioso dimostrò che non esistevano
profonde differenze strutturali tra la lingua parlata a nord del fiume Prut e quella
parlata a sud, e che moldavi e romeni della regione Moldavia condividevano
perfino gli stessi scrittori (come Ion Creangă e Mihai Eminescu); dunque, la
distinzione tra lingua romena e lingua moldava era senza fondamento.
Il moldovenismo resta una creazione della propaganda stalinista volta a
giustificare l’annessione della Bessarabia alla Russia e si basa «pe o lectură
istorică voit distorsionată şi acreditează ideea unei diferenţieri etno-lingvistice
între „moldoveni” şi români»101
.
Il 31 agosto 1989 venne decretata l’adozione dei caratteri latini e da allora si
festeggia ogni anno il giorno della Limba Noastră (‘La nostra lingua’), ma la
100
“il ‘folklore moldavo’ testimonia la discendenza valacca e slava di questo popolo. Secondo le
argomentazioni linguistiche, esisterebbe una lingua moldava diversa da quella romena. Nonostante
questo, nemmeno i linguistici sovietici riuscirono a portare argomentazioni in favore dell’appartenenza
della lingua moldava alla famiglia delle lingue slave. Non da ultimo, gli ‘specialisti’ misero in discussione
anche argomenti paleo-antropologici: gli antropologi sovietici cercarono di arrivare a certe conclusioni
sull’unione dei ‘romani dell’ovest’ con gli slavi, ma le prove sono inconcludenti”. Tradotto da Sunt
moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL consultato
il 23 gennaio 2015.
101
“su una lettura storica volutamente distorta e accredita l’idea di una differenza etnolinguistica tra
‘moldavi’ e romeni”. Tradotto da BOJOGA E., Ideologia moldovenismului şi limba comuniştilor, in
http://www.contrafort.md/. URL consultato il 23 gennaio 2015.
70
lingua ufficiale continuò ad essere chiamata moldavo. Infatti, la teoria del
moldovenismo ha trovato appoggio anche dopo il 1991: basti citare il dizionario
‘romeno-moldavo’ che fu pubblicato nel 2003 e che causò numerose polemiche
tra i linguisti romeni, i quali da sempre sostengono la perfetta sovrapponibilità
delle due lingue.
Nel novembre 2008 furono ritirati i codici ISO 639 (lo standard
internazionale per l’identificazione delle lingue) precedentemente assegnati al
moldavo (mo e mol) e sostituiti con quelli del romeno (ro, ron e rum).
A più di vent’anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, la questione della
lingua moldava rimane ancora molto dibattuta: nel 2011 venne organizzata una
manifestazione di protesta affinché la lingua romena fosse dichiarata lingua
ufficiale della Repubblica di Moldavia. Il tanto contestato articolo 13 della
Costituzione, nel quale si fa riferimento a una lingua moldava è stato corretto
infine nel dicembre 2013.
Si fa presente che, per la seguente indagine, i partecipanti di nazionalità
moldava sono stati invitati a usare la denominazione (‘romeno’ o ‘moldavo’) che
più sembrava vicina alla propria identità culturale.
5.3. Risultati della ricerca
A. Dati anagrafici e background
Il questionario è stato compilato da 80 ragazzi, tra cui 15 maschi e 65
femmine.
italiano_L2_nei_romeni_di_II_generazione_indagine_sociolinguistica
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  • 1. Anno Accademico 2014 / 2015 Università degli Studi di Padova Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari Corso di Laurea Magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale Classe LM-38 Tesi di Laurea L’italiano L2 nei romeni di seconda generazione: un’indagine sociolinguistica Relatore Prof. Dan Octavian Cepraga Correlatore Prof.ssa Loredana Corrà Laureanda Veronica Canazza n° matr.1070563 / LMLCC
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  • 3. 3 Sommario INTRODUZIONE 5 1. L'IMMIGRAZIONE ROMENA IN ITALIA 9 1.1. INTRODUZIONE 9 1.2. CENNI STORICI 9 1.3. DISTRIBUZIONE DEMOGRAFICA E GEOGRAFICA DEI ROMENI IN ITALIA 12 1.4. AREE OCCUPAZIONALI, GRADO DI ISTRUZIONE E APPARTENENZA RELIGIOSA DEI ROMENI IN ITALIA 14 1.5. PERCEZIONE E INTEGRAZIONE DEI ROMENI IN ITALIA 15 2. LA RICERCA SOCIOLINGUISTICA NELL’AMBITO DEI PROCESSI MIGRATORI 19 2.1. AMBITI DELLA RICERCA SOCIOLINGUISTICA 19 2.2. LE VARIETÀ DI APPRENDIMENTO (O INTERLINGUE) NEL CONTESTO DEI PROCESSI MIGRATORI 20 2.3. MODELLI DI INTEGRAZIONE POLITICA, CULTURALE E LINGUISTICA NEI PAESI EUROPEI 22 2.4. IL CONTATTO LINGUISTICO 26 3. L’ITALIANO L2: VARIABILI DI APPRENDIMENTO E METODI DI INSEGNAMENTO 37 3.1. EVOLUZIONE DEGLI STUDI SULL’ITALIANO L2 37 3.2. VARIABILI NELL’APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO L2 38 3.3. METODI PER L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO L2 41 3.4. INSEGNARE ITALIANO A IMMIGRATI 44 3.5. INSEGNARE ITALIANO A BAMBINI E ADOLESCENTI STRANIERI 45 4. IL LAVORO DI ALEXANDRU COHAL SUI MUTAMENTI NEL ROMENO DI IMMIGRATI IN ITALIA 49 4.1. MUTAMENTO LINGUISTICO: CAUSE ED EFFETTI 49 4.2. I CONTATTI DEI ROMENI CON IL PAESE E LA LINGUA DI ORIGINE 52 4.3. LA LINGUA DEGLI IMMIGRATI ROMENI E L’APPRENDIMENTO SPONTANEO DELL’ITALIANO 54 4.4. MUTAMENTI NEL ROMENO IN CONTATTO CON L’ITALIANO 55 4.5. IL ROMENO D’ITALIA, TRA MANTENIMENTO E INNOVAZIONE 62 5. L’INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLE SECONDE GENERAZIONI DI ROMENI IN ITALIA 65 5.1. IL QUESTIONARIO E IL CAMPIONE UTILIZZATO 65
  • 4. 4 5.2. PRECISAZIONI SUGLI INTERVISTATI DI NAZIONALITÀ MOLDAVA: IL MOLDOVENISMO 67 5.3. RISULTATI DELLA RICERCA 70 CONCLUSIONI 95 APPENDICE 1 - QUESTIONARIO PER UN'INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLA LINGUA ROMENA PARLATA IN ITALIA 97 APPENDICE 2 – RISPOSTE AL QUESTIONARIO 103 BIBLIOGRAFIA 119 SITOGRAFIA 122 RIASSUNTO IN LINGUA: LIMBA ITALIANĂ CA LIMBĂ STRĂINĂ PENTRU IMIGRANȚII ROMÂNI DIN A DOUA GENERAȚIE: UN STUDIU SOCIOLINGVISTIC 125 RINGRAZIAMENTI 131
  • 5. 5 Introduzione Il presente lavoro nasce dall'interesse per gli usi linguistici della comunità romena immigrata in Italia, e in particolare sulla nascente "seconda generazione", ovvero i figli di romeni nati e/o cresciuti in Italia. Questo argomento non gode ancora di una ricca bibliografia in ambito linguistico, perché quella romena è diventata solo da pochi anni la comunità straniera più numerosa nel nostro paese. I lavori di ricerca dedicati esclusivamente ai cittadini romeni riguardano l'ambito prettamente sociologico, mentre per quello linguistico essi sono inclusi in ricerche più ampie sui repertori linguistici degli immigrati. Attualmente, l'unica ricerca sul repertorio linguistico dei romeni di prima generazione residenti in Italia è quella di Alexandru L. Cohal, Mutamenti nel romeno di immigrati in Italia, pubblicata nel 2014 ed edita da Franco Angeli. Come l'opera di Cohal, anche il presente lavoro si muove nell'ambito della sociolinguistica, affrontando le tematiche dei processi migratori, delle lingue in contatto, del bilinguismo e dell'insegnamento dell'italiano a stranieri. Nel primo capitolo è stata offerta una panoramica sulla storia dell'immigrazione dei romeni in Italia, corredata dai dati socio-anagrafici più aggiornati: distribuzione demografica e geografica, aree occupazionali, grado di istruzione e appartenenza religiosa dei romeni in Italia, percezione e integrazione della comunità romena. Nel secondo capitolo abbiamo presentato gli strumenti di base e gli ambiti della ricerca sociolinguistica, scienza che studia il rapporto tra linguaggio e società e che si caratterizza per il suo stretto contatto con altre discipline. Abbiamo inoltre introdotto alcuni concetti essenziali per il nostro lavoro, come quello di 'lingue in contatto', 'interferenza linguistica', 'varietà di apprendimento o
  • 6. 6 interlingua' e 'bilinguismo', valutando quanto essi siano rilevanti, ma ancora troppo poco presi in considerazione, nell'ambito dei processi migratori e delle politiche di integrazione culturale e linguistica. Nel terzo capitolo è stato illustrato l'ambito fiorente e ancora in evoluzione dell'insegnamento dell'italiano come L2, elencando le variabili di apprendimento che devono essere prese in considerazione e i metodi di insegnamento, dai più tradizionali ai più innovativi, applicati in base ai vari approcci didattici. Infine abbiamo analizzato più da vicino quali sono le caratteristiche e i bisogni dell'apprendente di italiano L2 appartenente al profilo 'immigrati' e 'bambini/adolescenti', sottolineando che nel caso di figli di immigrati non è più possibile parlare di L2, bensì di Lingua di Contatto, in quanto i giovani migranti collocano l'italiano a metà tra L1 e L2 e sono coinvolti in un processo di costruzione di 'duplice identità'. Nel quarto capitolo abbiamo riassunto il lavoro di Alexndru Cohal, fondamentale per la nostra ricerca, in quanto contributo innovativo alla linguistica e agli studi sull'emigrazione. Quest'opera sottolinea l'importanza e l'impatto che ha avuto il fenomeno migratorio dei romeni in Italia: sia per i romeni, che per la prima volta hanno vissuto uno spostamento così massivo al di fuori della propria terra, che per gli italiani, divenuti solo di recente popolo di una terra ospite di immigrati. Il volume di Cohal affronta innanzitutto le cause del mutamento linguistico e i livelli linguistici da esso interessati; successivamente viene descritto il repertorio linguistico dei romeni in Italia, caratterizzato da una forte influenza dell'italiano a livello di discorso e di sistema, e in particolare vengono affrontati i temi del calco strutturale e del code switching. Segue una riflessione sullo stato attuale del romeno d'Italia e sui possibili esiti del contatto con l'italiano, sottolineando la capacità di assimilazione, innovazione e mantenimento della lingua romena.
  • 7. 7 Nel quinto e ultimo capitolo abbiamo presentato i risultati del questionario sociolinguistico somministrato a ottanta ragazzi e ragazze romeni di età compresa tra i quattordici e i venticinque anni, residenti in Veneto. Il questionario, diviso in sei parti, era rivolto a romeni e moldavi oppure italiani che avessero uno dei due genitori provenienti dalla Romania o dalla Repubblica di Moldavia. Data la decisione di includere tra gli intervistati anche ragazzi di nazionalità moldava, abbiamo ritenuto opportuno fare alcune precisazioni sullo status della lingua parlata nella Repubblica di Moldavia, in quanto ancora oggi esiste un dibattito molto acceso sulla questione del cosiddetto moldovenismo. Questo termine è stato coniato per descrivere quelle teorie, di carattere più politico che linguistico, che affermano l'esistenza di una lingua moldava, completamente distinta dal romeno. La teoria non ha mai trovato fondamento scientifico ma è stata oggetto, a partire dal 1924, di un'aggressiva campagna di propaganda portata avanti dall'Unione Sovietica che all'epoca era in contrasto con la Romania per il controllo della regione della Bessarabia. Attualmente, secondo un decreto della Corte Costituzionale della Repubblica di Moldavia, la lingua ufficiale del paese è il romeno, ciononostante la questione è ancora dibattuta, e per questo motivo i partecipanti al questionario sono stati invitati a usare la denominazione che più rispecchiava la propria identità culturale.
  • 8. 8
  • 9. 9 1. L'IMMIGRAZIONE ROMENA IN ITALIA 1.1. Introduzione I processi di migrazione coinvolgono un'ampia scala di elementi che si influenzano a vicenda, elementi che riguardano non solo la sfera politica, socio- culturale etc., ma anche quella linguistica. Nonostante questo lavoro si proponga di affrontare solo l'aspetto prettamente sociolinguistico dell’immigrazione romena in Italia, è doveroso fornire quantomeno delle coordinate di tipo storico, culturale e demografico per inquadrare i risultati della nostra analisi. 1.2. Cenni storici L'immigrazione romena vede il suo evolversi seguendo quattro diverse tappe, esposte da Pietro Cingolani in Romeni d’Italia (Il Mulino, 2009), lavoro che va ad arricchire la recente bibliografia degli studi sulle relazioni italo-romene. Quest’opera di antropologia delle migrazioni è una delle prime analisi approfondite effettuate sulla comunità romena, in un momento (il periodo 2007 - 2009) in cui essa si trovava in una situazione di sovraesposizione mediatica e strumentalizzazione politica. Si tratta di una ricostruzione antropologica delle vicende di Marginea, un piccolo sat (‘villaggio’) della regione della Moldavia, i cui abitanti hanno iniziato a emigrare, principalmente verso Torino, a partire dal 1989. Ne emerge un’accurata analisi dei fattori che hanno condotto alla situazione attuale: le condizioni di vita e la mobilità interna (prima diretta verso gli agglomerati urbani, il pendolarismo e infine il ritorno alle campagne) ed esterna durante il regime di Ceauşescu, il forte legame con la famiglia, il
  • 10. 10 villaggio, le tradizioni e la religione, gli spazi dell’abitare, le relazioni lavorative, la figura della donna migrante. Obiettivo dello studio di Cingolani è inoltre quello di comprendere se le pratiche transnazionali dei romeni siano sostenute e alimentate da una coscienza identitaria di gruppo e da un senso di appartenenza comune, o se invece riguardino singoli migranti che agiscono individualmente.1 Come riporta Cingolani, fino al 1989 la mobilità internazionale delle persone era vietata e demonizzata dal regime, poiché vista come ostacolo al grande piano di rendere la Romania un paese industrializzato ed autarchico. Subito dopo la seconda guerra mondiale, difatti, ogni stato del blocco sovietico aveva iniziato ad aspirare al modello di sviluppo russo, e il progetto era proseguito negli anni '50 con la creazione del Consiglio di Mutua Assistenza Economica (COMECON), «[finalizzato] a promuovere lo sviluppo simultaneo degli stati partecipanti attraverso una stretta cooperazione economica»2 . La Romania divenne il "granaio d'Europa", con la sua fornitura di prodotti agricoli, ma Ceauşescu promosse anche un'industrializzazione sostenuta che portò il paese, tra gli anni '60 e gli anni '70, ad un'incredibile crescita economica. Ne conseguiva che tutta la forza lavoro possibile fosse richiesta all'interno del paese, sia nelle campagne che nelle città. La stessa mobilità all'interno del paese era, perciò, ostacolata dal governo attraverso una serie di politiche di limitazione. 1 CINGOLANI, 2009, p. 17. 2 CINGOLANI, 2009, p. 33.
  • 11. 11 La rivoluzione del 1989 pose fine al regime di autocrazia e diede il via libera alla circolazione, più o meno legalizzata, di merci e di persone al di fuori dello stato. Dana Diminescu identifica tra il 1990 e il 1994 la prima fase della mobilità romena, quella che coinvolge principalmente le minoranze etniche (tedeschi, ungheresi, ebrei) e il cui rientro nei rispettivi paesi costituì un ponte ed una chiave di ingresso per gli altri romeni che iniziavano ad emigrare per lavoro. In Germania, infatti, si diressero soprattutto i romeni della regione di Sibiu, Braşov e Timiş, dove un tempo erano presenti numerose comunità sassoni: il primo contatto poteva essere proprio con un vicino di casa o con un conoscente di origine tedesca che si era re-insediato in Germania3 . Lo stesso avviene in Israele, dove gli ebrei romeni iniziano ad ingaggiare manodopera proveniente dalla Romania, e in Ungheria, dove lo conoscenze e le amicizie vengono sfruttate soprattutto per il commercio transfrontaliero. Quando in Germania e in Israele vengono applicate politiche migratorie più restrittive, si passa ad una seconda fase, tra il 1994 e il 2000, durante la quale i migranti romeni iniziano ad essere attirati dai paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia), abbandonando le precedenti destinazioni del nord Europa. “Questa fase si caratterizza per una forte regionalizzazione e per la costituzione di catene migratorie che collegano villaggi specifici a precise località nei paesi di destinazione”4 ; non stupisce, infatti, che i partecipanti alla nostra indagine provengano più o meno dalle stesse aree della Romania e della Repubblica di Moldavia. 3 CINGOLANI, 2009, p. 43. 4 CINGOLANI, 2009, p. 44.
  • 12. 12 La terza fase inizia nel gennaio del 2002, nel momento in cui i cittadini romeni ottengono il diritto di viaggiare liberamente, per motivi turistici, nello spazio Schengen (Legge 30 luglio 2002). Ciò dà il via ad un fenomeno migratorio di tipo circolare, ovvero a soggiorni all'estero per lavoro che si alternano a frequenti e brevi rientri in patria. In questo periodo, i romeni residenti regolarmente in Italia sono 95.0395 . Con gli anni questo numero sale costantemente e, a partire dal 2007, con l’entrata della Romania nella Comunità Europea, i cittadini romeni diventano la più numerosa tra le popolazioni straniere residenti in Italia. 1.3. Distribuzione demografica e geografica dei romeni in Italia Secondo i sondaggi ISTAT, i cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2008 erano 3.432.65, dei quali 625.278 provenivano dalla Romania, primo paese in graduatoria, seguito da Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Al 31 dicembre 2012 risultavano essere 933.354, sempre al primo posto come paese, e così ripartiti tra maschi e femmine6 : Paese Maschi Femmine Totale Romania 402766 530588 933354 Albania 241217 223745 464962 Marocco 231155 195636 426791 Cina Rep. Pop. 113237 110130 223367 Ucraina 40254 151471 191725 Filippine 60352 79483 139835 Rep. di Moldavia 47680 92054 139734 5 ISTAT, 2002. 6 http://demo.istat.it/str2012/index.html. URL consultato il 30 ottobre 2014.
  • 13. 13 Attualmente si stima che la cifra abbia raggiunto il milione7 . Per quanto riguarda la distribuzione geografica degli immigrati romeni sul territorio italiano, si nota che le destinazioni principali sono l’area centro-settentrionale, con una predilezione per le regioni Veneto, Piemonte, Toscana e Lazio, centri d’attrazione per la presenza di grandi città e per le numerose attività industriali ed edilizie. Con riferimento all’area di interesse per la nostra ricerca, secondo le stime ISTAT, al 31 dicembre 2012 la regione Veneto contava 102.429 cittadini di origine romena, così suddivisi per provincia8 : Provincia Maschi Femmine Totale Padova 12540 14870 27410 Verona 12143 14158 26301 Treviso 8565 10032 18597 Venezia 6157 7619 13776 Vicenza 5102 6618 11720 Rovigo 1143 1785 2928 Belluno 658 1039 1697 Nella provincia di Padova, il capoluogo occupa il primo posto per numero di residenti romeni, seguito dai piccoli e medi centri dell'area dell'alta padovana9 : 7 TAINO D., Un milione di romeni, record in Italia, in http://www.corriere.it/, 14 settembre 2014. URL consultato il 18 novembre 2014. 8 Romeni in Veneto, in http://www.tuttitalia.it/. URL consultato il 10 novembre 2014. 9 Romeni in Veneto, in http://www.tuttitalia.it/. URL consultato il 10 novembre 2014.
  • 14. 14 Città Totale Padova 7520 Cadoneghe 820 S. Giorgio delle Pertiche 759 Camposampiero 731 Vigonza 697 1.4. Aree occupazionali, grado di istruzione e appartenenza religiosa dei romeni in Italia Secondo le stime dell’ultimo rapporto della Caritas Italiana, Romania. Immigrazione e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive (Roma, 2008), la popolazione romena in Italia contribuisce all’1.2% del Pil italiano10 ; la metà dei lavoratori romeni è impiegata nel settore dei servizi (assistenza familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese), un terzo nell’industria e il 6.6% nell’agricoltura. Inoltre, nel Registro del Commercio in Italia risultano iscritte circa 45.000 ditte individuali create da cittadini romeni, perlopiù situate nelle città di Roma, Torino, Milano, Firenze, Verona e Padova, e quasi 30.000 società in cui uno o più azionari o dirigenti sono romeni11 . Come è stato rilevato dalla ricerca di Cohal, ma anche da altre ricerche precedentemente effettuate, l’80% degli immigrati romeni in Italia ha terminato i 10 Romeni in Italia, in www.treccani.it, 23 aprile 2009. URL consultato il 23 novembre 2014. 11 Relazioni economiche Italia-Romania, in http://roma.mae.ro/it. URL consultato il 18 novembre 2014.
  • 15. 15 dodici anni di scuola dell’obbligo ed è quindi in possesso di un diploma, mentre il 10% di essi è laureato12 . Dal punto di vista religioso, sebbene in Romania siano praticati tanto l’ortodossia quanto il cattolicesimo (sia di rito latino che di rito bizantino) e il protestantesimo, oltre alle piccole minoranze islamiche, la fede più diffusa tra gli immigrati in Italia è quella ortodossa, riunita sotto l’Eparchia ortodossa romena d’Italia, che conta circa un milione e 300 mila fedeli13 . 1.5. Percezione e integrazione dei romeni in Italia Nella prima fase dell’immigrazione romena in Italia, quella di inizio anni ’90, vede un periodo di buona accoglienza nella penisola, in quanto i romeni sono visti non solo come reduci del regime comunista, ma anche come vicini alla cultura italiana in quanto comunità latina circondata da popolazioni slave. In quel periodo, specifica Cohal, «arrivano nella penisola le prime vittime del cambiamento economico […], i primi disoccupati della mega-industria comunista, qualche rifugiato politico. Pochissimi romeni […] arrivano in Italia per motivi di studio, perché molti romeni già possiedono un titolo di studio superiore (MIUR 2011)»14 . Dall’anno 2000, invece, arrivano altri tipi di immigrati, provenienti dalle aree rurali più povere, molti dei quali hanno un progetto di migrazione a breve termine, soprattutto a causa dei primi sintomi della crisi economica. 12 COHAL, 2014, p. 62. 13 TOSATTI M., Italia: Ortodossia supera Islam in http://www.lastampa.it/, 8 marzo 2010. URL consultato il 20 novembre 2014. 14 COHAL, 2014, p. 37.
  • 16. 16 Il considerevole aumento della presenza di romeni in Italia fa modificare la percezione che gli italiani hanno di questa comunità. Secondo una ricerca dell’agenzia Metro Media Transilvania e del Dipartimento per le Strategie Governative della Romania15 , il 30% degli immigrati romeni sostiene di sentirsi discriminato sul luogo di lavoro, nonostante nell’immaginario comune essi siano rappresentati come i lavoratori per eccellenza16 . Nonostante il presidente del Senato, Pietro Grasso, abbia dichiarato che gli immigrati romeni “si sono integrati perfettamente nella nostra comunità”17 , sono diverse le percezioni che hanno seguito il loro arrivo in Italia: intorno ad una presenza così diffusa sul territorio si sono costruite delle rappresentazioni pubbliche, che molto spesso sono risultate semplificatorie e superficiali e hanno oscurato la ricchezza delle diversità interne, legate alle storie professionali e familiari dei singoli.18 Cingolani difatti identifica due tipi di discorsi pubblici presentati dai media e dai vari attori coinvolti (politici e non), quella assimilazionista e quella criminalizzante. Nel primo caso, vengono sottolineati ed esaltati i presunti punti in comune tra la cultura di provenienza dei romeni e quella italiana, a partire dalle radici latine e cristiane, il senso del dovere, l’attaccamento ai valori della famiglia e della tradizione e in particolare l’attaccamento delle donne al loro “ruolo” di madri e mogli. I romeni vengono dunque rappresentati come portatori di valori che l’Italia industrializzata ha perso da anni, e per questo più facilmente 15 MMT & ASG, 2007, p.4 in COHAL, 2014, p.46. 16 COHAL, 2014, p. 47. 17 BARBU C., Pietro Grasso: România,unpartenerpentruItaliaîncadrulUE; sprijinimaderareasala spațiul Schengen, in http://www.agerpres.ro/, 2 dicembre 2013. URL consultato il 20 novembre 2014. 18 CINGOLANI, 2009, p. 54.
  • 17. 17 “integrabili”, rispetto ad altre popolazioni immigrate quali possono essere gli asiatici o i musulmani. Nella seconda variante, al contrario, i romeni vengono dipinti come un popolo quasi geneticamente portato alla criminalità, un pericolo per la sicurezza della nostra società: gli uomini sono violenti, dediti all’alcol e alle truffe, le donne tramano per rubare i mariti delle italiane o impossessarsi degli averi degli anziani che accudiscono. Questo tipo di discorso, riporta Cingolani, si riaffaccia «ciclicamente nel dibattito politico, in stretta connessione con eventi politici ed economici più ampi»19 . La ricostruzione della storia della migrazione tra Marginea e Torino si pone come scopo proprio quello di sfatare e mettere in discussione le succitate immagini stereotipate, «facendo emergere differenze a molteplici livelli, […] a seconda delle esperienze personali, del genere e dell’età»20 . 19 CINGOLANI, 2009, p. 56. 20 CINGOLANI, 2009, p. 57.
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  • 19. 19 2. LA RICERCA SOCIOLINGUISTICA NELL’AMBITO DEI PROCESSI MIGRATORI 2.1. Ambiti della ricerca sociolinguistica Come si è detto precedentemente, i mutamenti portati dai processi migratori coinvolgono anche la sfera linguistica della vita degli individui, favorendo la creazione di nuove varietà linguistiche semplificate, le cosiddette varietà di apprendimento (VdA) o interlingue (IL). La sociolinguistica, branca che studia il rapporto tra lingua e società, si occupa anche dell’analisi di queste varietà, attraverso un meccanismo di cooperazione tra diverse discipline: linguistica e sociologia, per l’appunto, ma anche dialettologia, geografia linguistica, antropologia sociale, etnografia, folklore e psicologia. Questa interdipendenza tra dottrine è propria della natura della sociolinguistica, che Berruto divide in sociolinguistica in senso stretto, avente come ambiti di applicazione lo studio della variazione linguistica e sociologia del linguaggio, ossia «lo studio della distribuzione, della collocazione, della vita e dello status dei sistemi linguistici nelle società»21 . Nell’approcciarsi all’analisi di mutamenti interni di una lingua, è bene ricordare che la linguistica prende in considerazione quattro dimensioni della variazione: diatopica (relativa alla provenienza o collocazione geografica di un parlante), diastratica (relativa alla provenienza sociale del parlante e ai diversi strati socio-culturali), diafasica (relativa alla situazione comunicativa, ovvero l’insieme di circostanze in cui si svolge un evento comunicativo) e diamesica (relativa al canale usato per la comunicazione, ossia scritto oppure orale), 21 BERRUTO, 2005, p.11.
  • 20. 20 proposta da Mioni22 come dimensione fondamentale nell’ambito della linguistica delle varietà. Naturalmente, queste quattro dimensioni agiscono in concomitanza l’una con l’altra e interferendo in diversi modi, designando «la natura di una lingua come gamma di varietà»23 . 2.2. Le varietà di apprendimento (o interlingue) nel contesto dei processi migratori Quello delle varietà linguistiche semplificate è un fenomeno che interessa quelle aree geografiche dove si concentrano forti flussi migratori, in particolare paesi francofoni, tedescofoni e anglofoni, ma più recentemente ha coinvolto anche l’Italia, come si può facilmente riscontrare dalla recente storia socio- demografica del nostro paese. Solo negli ultimi decenni, dunque, questo fenomeno è stato argomento di ricerca sociolinguistica, e come riporta Emanuele Banfi ne L’altra Europa linguistica. Varietà di apprendimento e interlingue nell’Europa contemporanea (La Nuova Italia, 1993) è stato affrontato da due principali punti di vista: uno sociopragmalinguistico, allo scopo di trovare migliori strategie comunicative tra parlanti della lingua nativa del luogo e gli immigrati, e uno prettamente linguistico, atto a offrire nuovi spunti per gli studi in materia di linguistica acquisizionale. L’interesse per le varietà di apprendimento prende piede negli anni ’60 negli Stati Uniti, sulla scia dei lavori di William Labov, considerato il padre della sociolinguistica, sul cosiddetto black English (o African American Vernacular English), e un decennio più tardi in Europa, grazie agli studi acquisizionali 22 MIONI, 1983, pp. 508-510, cit. da BERRUTO, 2005, p. 123. 23 BERRUTO, 2005, p. 127.
  • 21. 21 sull’apprendimento della lingua tedesca e della lingua francese da parte degli immigrati. Ciò che contraddistingue le varietà di apprendimento è il loro alto livello di sistematicità: sono sistemi linguistici in costruzione che passano da una strutta molto semplice e ridotta ad una più complessa, più vicina ma mai totalmente coincidente alla lingua di arrivo. Sono diversi i metodi con cui gli studiosi si occupano di questi sistemi, ma mai senza applicare un’indagine di tipo fortemente interdisciplinare, e indipendentemente dal metodo adottato nello studio delle VdA, rimane centrale la nozione di “sistema”: tale scelta consente di collocare [...] i “valori” che copre una determinata forma linguistica documentata nelle VdA/IL di un parlante collocato a un certo punto del processo acquisizionale. Tale “valore” può mutare sia nel tempo, sia da soggetto a soggetto e può essere anche sensibilmente diverso dal valore corrispondente che gli è proprio nella lingua di arrivo.24 In ambito italiano, i problemi sociologici e linguistici dell’immigrazione straniera sono stati tralasciati per molto tempo, in quanto il processo migratorio iniziato negli anni ‘70 era stato erroneamente considerato come un fenomeno a breve termine; oltre a ciò, vi è sempre stata una netta separazione tra le ricerche linguistiche e quelle socio statistiche, con la conseguenza che non è stata attribuita la dovuta importanza al «ruolo della lingua e della sua acquisizione spontanea nei processi di inserimento degli immigrati all’interno della società italiana e nei processi di costituzione dell’identità specifica del migrante»25 . La 24 BANFI, 1993, pp. XIII-XIV. 25 VEDOVELLI, 1993, p. 1, in BANFI, 1993.
  • 22. 22 carenza di ricerche a livello interdisciplinare, secondo Massimo Vedovelli26 , ha portato non solo a risultati parziali, ma ha anche impedito la realizzazione di politiche sociali, culturali ed educative efficaci. Nonostante questo, negli ultimi anni la ricerca si è estesa notevolmente, sia sul versante linguistico che su quello sociologico. Da parte del primo, sono state trattate tematiche come l’apprendimento spontaneo della lingua del paese ospite, l’apprendimento formativo in L2, la costruzione dell’identità sociale e culturale in contesto migratorio, lo statuto e le regole delle varietà di apprendimento. Sul versante sociologico, sono state svolte ricerche di tipo demografico per poter determinare quali politiche statali fosse meglio applicare, ricerche sull’inserimento lavorativo e sociale, sull’identità del migrante, ma come afferma Vedovelli, «sembra sfuggire alle ricerche socio-statistiche la percezione della specificità della dimensione linguistica in contesto migratorio, legata al processo dell’apprendimento spontaneo e al suo ruolo di mediazione nella costituzione dei processi di socializzazione»27 . 2.3. Modelli di integrazione politica, culturale e linguistica nei paesi europei I paesi del nord Europa sono stati i primi ad accogliere i flussi migratori che hanno avuto inizio a metà anni ’60, ma le politiche di integrazione applicate variano di nazione in nazione. In Francia, il modello assimilazionista è fondato sull’idea che ogni cittadino debba essere uguale davanti alla legge, senza riservare trattamenti particolari a minoranze etniche, religiose o linguistiche. Nella sfera pubblica, dunque, gli 26 VEDOVELLI, 1993, p. 1, in BANFI, 1993. 27 VEDOVELLI, 1993, p. 3, in BANFI, 1993.
  • 23. 23 individui devono rinunciare alle proprie «identità particolaristiche»28 in cambio di una cittadinanza basata sullo ius soli. L’auspicio è quello di far conformare i cittadini stranieri alla cultura e alla società francesi, e per questo fin dagli anni ottanta sono state promosse delle politiche volte a facilitare l’integrazione e a migliorare le condizioni di vita degli immigrati residenti, anche attraverso l’intervento sul campo dell’istruzione. A partire dagli anni ’70, le lingue delle principali comunità di immigrati sono insegnate nelle scuole francesi per facilitare l’inserimento degli alunni stranieri, ma le seconde generazioni sembrano essere maggiormente rivolte verso il francese, probabilmente, come afferma Vedovelli, «considerando emarginante l’insegnamento della lingua d’origine»29 . Nel Regno Unito viene applicato un modello multiculturalista, che mira a proteggere l’identità culturale dell’individuo, ponendo come unico limite il rispetto delle leggi dello stato. L’uguaglianza sta dunque nella differenza di trattamento basato sul riconoscimento particolaristico di ciascun individuo. Sul piano linguistico, i problemi principali riguardano l’insuccesso scolastico degli studenti immigrati, i quali provengono per la maggior parte dai paesi del Commonwealth, dove si parla un inglese creolizzato, molto diverso dall’inglese standard. Da ciò è nato un dibattito politico sull’esigenza o meno di favorire la conservazione delle lingue di origine. Attualmente, l’insegnamento della lingua materna è organizzato dalle scuole supplementari come materia opzionale nell’istruzione obbligatoria30 . 28 GUOLO, 2009, p. 2 29 VEDOVELLI, 1993, p. 30. 30 Considerazione della cultura degli alunni immigrati, in http://www.didaweb.net/. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  • 24. 24 In Germania, per molto tempo gli immigrati sono stati considerati semplici Gastarbeiter (‘lavoratori ospiti’) e per questo le politiche incoraggiavano il mantenimento della cultura di origine degli immigrati, in previsione del loro rientro nel paese. «Non a caso», ricorda Guolo, «la Germania ha contribuito per decenni a tutelare l’integrità della cultura turca attraverso il finanziamento di scuole, corsi di lingua e formazione religiosa, negoziati direttamente con la Turchia, paese dal quale proveniva gran parte della forza lavoro immigrata»31 . Questo modello tuttavia non è risultato funzionale, ma va riconosciuto come elemento positivo l’obbligo scolastico per i figli degli immigrati e di corsi di alfabetizzazione e di lingua per gli adulti. Ancora oggi vengono stipulati accordi bilaterali tra Germania e paesi di origine degli immigrati per favorire l’insegnamento della lingua materna per alunni immigrati. Quello della Svezia è un caso rappresentativo delle politiche di integrazione , in quanto mira ad una piena integrazione di tutte le minoranze all’interno della società. La visione multiculturale ha favorito anche un’educazione multi linguistica concretizzatasi tramite corsi di lingua, giornali e media realizzati in quasi tutte le lingue dei gruppi di immigrati presenti nel paese. 31 GUOLO, 2009, p. 4.
  • 25. 25 Offerta di corsi nella lingua materna per alunni immigrati, istruzione generale, 2007/2008.32 L’Italia non ha ancora applicato un modello di integrazione in particolare, limitandosi ad un susseguirsi di legislazioni per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Il discorso politico sull’integrazione dei cittadini immigrati resta ancora incerto, e ciò ha dato vita a quello che Guolo definisce un «“non modello” ricco di contraddizioni»33 . Sul fronte linguistico, tuttavia, in alcuni casi sono stati disposti, oltre all’insegnamento della lingua e cultura italiana per stranieri, anche corsi di lingua materna per le famiglie degli alunni immigrati con il patrocinio del Ministero dell’Istruzione e la collaborazione di associazioni locali34 . 32 L‘integrazione scolastica dei bambini immigrati in Europa, in http://eacea.ec.europa.eu/ (Education, Audiovisual and Culture Executive Agency), aprile 2009. URL consultato il 10 gennaio 2015. 33 GUOLO, 2009, p. 6. 34 Considerazione della cultura degli alunni immigrati, in http://www.didaweb.net/. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  • 26. 26 2.4. Il contatto linguistico Il lavoro di Uriel Weinreich è un riferimento d’obbligo per gli studi sul contatto interlinguistico, in quanto opera pionieristica in un’epoca (gli anni ’50 del secolo scorso) in cui il processo di compenetrazione tra due lingue era ancora quasi del tutto ignorato. Alcuni concetti introdotti dallo studioso, come quelli di prestigio e di fedeltà alla lingua, sono tuttora ritenuti validi e utilizzati dalla sociolinguistica. Nella sua opera, Lingue in contatto, Weinreich intraprende per la prima volta lo studio sul bilinguismo, il contatto e l’interferenza linguistica; inoltre, ha cercato di definire le cause e le circostanze in cui avviene la commutazione di codice (code-switching). Il bilinguismo, definito come l’uso alternato di due lingue da parte di un parlante, è alla base di ogni relazione interlinguistica in quanto dà luogo ad un contatto tra due sistemi. Weinreich indica col nome di interferenza «quegli esempi di deviazione dalle norme dell’una e dell’altra lingua che compaiano nel discorso di bilingui come risultato della loro familiarità con più di una lingua, cioè come risultato di un contatto linguistico»35 . L’interferenza implica l’introduzione di elementi stranieri nella struttura di una lingua e in particolare nel sistema fonemico, morfologico, sintattico, e in alcune aree di quello semantico. È importante sottolineare che i meccanismi di interferenza sono gli stessi per tutte le lingue, indipendentemente dal grado di diversità tra le stesse; tanto maggiore è la distanza tra le due, tanto più numerosi saranno i fenomeni di 35 WEINREICH, 2009, p. 3.
  • 27. 27 interferenza. Oltre a fattori di tipo prettamente linguistico, ve ne sono altri che entrano a far parte di questo meccanismo, ovvero il contesto psicologico e socioculturale che determinano il rapporto del bilingue con le lingue che mette in contatto. È per questo motivo che il contatto linguistico deve essere inquadrato in un contesto più vasto e richiede lo sforzo coordinato di più discipline. Alcuni di questi fattori extralinguistici sono: a) La facilità di espressione verbale del parlante in generale e la sua capacità di tenere distinte le due lingue; b) La padronanza relativa di ciascuna lingua; c) La specializzazione dell’uso di ciascuna lingua a seconda degli argomenti e degli interlocutori; d) Il modo di apprendere ciascuna lingua; e) Gli atteggiamenti verso ciascuna lingua, siano essi peculiari al soggetto o stereotipi.36 L’interferenza linguistica è data dall’interazione tra fattori strutturali (l’organizzazione interna della lingua) e non strutturali (il grado di conoscenza del sistema, l’atteggiamento verso di esso, le emozioni che esso suscita nel parlante), per questo Weinreich auspica una sempre più stretta collaborazione tra discipline linguistiche e non. In particolare, egli suggerisce «agli antropologi che si occupano di acculturazione di annoverare anche i dati linguistici, elaborati dal linguista, tra gli indici del processo acculturativo totale»37 . Quali sono i meccanismi e la cause dell’interferenza? Innanzitutto, una sua 36 WEINREICH, 2009, pp. 6-7. 37 WEINREICH, 2009, p. 11.
  • 28. 28 prima manifestazione è data dalla consapevolezza che il bilingue ha della provenienza dell’elemento linguistico utilizzato. Ciononostante, a volte due fonemi o due sillabe, o addirittura intere parole appartenenti a due sistemi linguistici diversi vengono considerati uguali dal parlante bilingue. Ciò, spiega Weinreich, è dovuto al fatto che «nella misura in cui una lingua è un sistema di opposizioni, una identificazione parziale dei sistemi è per il bilingue una riduzione del suo carico linguistico: queste identificazioni naturali sono alla radice di molte interferenze»38 . Come abbiamo detto precedentemente, l’interferenza può manifestarsi a livello fonologico, grammaticale o lessicale. Il primo caso riguarda il modo di sentire e riprodurre i suoni della L2 in rapporto a quelli della L1, e l’interferenza nasce quando il bilingue riproduce suoni della L2 secondo le regole fonetiche della L1. Questo fenomeno è denominato sostituzione di suoni ed è il tipo di interferenza che più frequentemente si incontra nei bilingui, proprio perché permettono di alleggerire il proprio carico di meccanismi linguistici. Tuttavia, Weinreich sottolinea che la sostituzione di suoni può portare a lungo andare a delle innovazioni nel sistema fonemico della lingua interessata. Infatti, avendo descritto lo svolgimento un discorso con un sistema fonemico in L1 (‘P’) ma con l’utilizzo di un vocabolario preso da L2 (‘S’) secondo lo schema P/ …S S S S…/, Weinreich specifica che 38 WEINREICH, 2009, p. 14.
  • 29. 29 se […] un morfema appartenente al vocabolario di S viene trasferito nel discorso di P [L1], esso è anche soggetto all’interferenza del sistema fonologico di P. […] In sostanza, il problema è quello di determinare se il morfema S preso in prestito venga integrato nella struttura fonologica di P, o se esso venga reso in base ai suoni originari di S; o, in altre parole, quale di questi due casi si produca: (1) P/…P P P S P P P P…/, o (2) P/…P P P / S/S/ P/P P P P…/.39 La scelta tra (1) e (2) può basarsi sull’atteggiamento del parlante nei confronti della lingua dalla quale estrae il prestito, ovvero dal livello di prestigio che le attribuisce. Dunque, laddove il monolingue che utilizza dei prestiti conforma la loro struttura fonetica e fonemica a quella della propria lingua madre, il bilingue tenta di riprodurre il morfema di prestito con i suoni originali. Il caso delle interferenze grammaticali è messo in dubbio da alcuni linguisti, ma Weinreich concorda nel dire non vi è un limite all’influenza che un sistema può avere su un altro, e che il requisito principale per individuare le interferenze è quello di descrivere le due lingue negli stessi termini. Per questo motivo, egli ignora la tradizionale classificazione delle parole usata dalla grammatica generale e utilizza tre sole categorie: a) i morfemi, che svolgono funzioni grammaticali che i bilingui possono mettere in relazione con quelle di un’altra lingua. Ad esempio, un bilingue in italiano e romeno potrebbe identificare una relazione tra ama e Maria nella frase Giovanni ama Maria con i pronomi atono o e la particella pe (che precedono l’oggetto diretto, mentre in italiano non è sempre necessario utilizzare un pronome personale diretto) nella frase Ion o 39 WEINREICH, 2009, p. 39.
  • 30. 30 iubeşte pe Maria. b) Categorie più o meno obbligatorie (come la succitata particella pe, usata in romeno per esprimere l’accusativo). c) Grado di libertà sintagmatica dei morfemi usati per esprimere le categorie. Data questa classificazione, Weinreich fa una previsione dei tipi di interferenza grammaticale che può nascere dal contatto tra la lingua A e la lingua B: 1) Uso di morfemi di A nel parlare la lingua B. 2) Applicazione di una relazione grammaticale di A a morfemi di B nel discorso in B. 3) Un cambiamento delle funzioni del morfema di B sul modello della grammatica di A, attraverso l’identificazione di un particolare morfema di B con uno di A. Per quanto riguarda le interferenze a livello lessicale, esse si possono manifestare in diversi modi: - con il trasferimento di morfemi da A a B; - con morfemi di B usati con nuove funzioni designative; - con una combinazione dei primi due casi. Il tipo di interferenza più frequente nel caso di parole semplici è il prestito, ovvero il trasferimento della parola e la sua estensione semantica da una lingua all’altra. In alcuni casi questa categoria comprende anche parole composte che tuttavia vengono trasferite senza essere analizzate, come
  • 31. 31 avviene spesso con le interiezioni (ad es. nell’italoamericano azzoraiti < en. that’s all right40 ). In un secondo caso, riguardante parole composte e sintagmi, l’interferenza può portare al loro adattamento nella lingua ricevente (ad es. en. to change ones mind > it. cambiare idea), o nella riproduzione per mezzo di parole indigene equivalenti (parole composte, proverbi, etc., ad es. en. skyscraper > it. grattacielo). Questa tipologia viene definita calco strutturale ed è così suddiviso: calco strutturale vero e proprio, in cui si effettua una “traduzione del prestito” parola per parola; calco strutturale imperfetto, in cui si fornisce la resa di un prestito; calco libero, ovvero un’innovazione linguistica data dalla necessità di trovare un corrispondente ad un termine presente nella lingua in contatto. Il terzo tipo di interferenza nelle parole composte porta alla formazione di termini ibridi, ovvero in cui solo una parte della parola è un prestito dalla lingua in contatto. Tra le cause del prestito lessicale si può identificare la necessità di indicare nuovi concetti, a causa dell’incompletezza del vocabolario della propria lingua. Un secondo fattore è la bassa frequenza delle parole, che in questo modo diventano facilmente sostituibili. Altri fattori risiedono nei casi di omonimia e nella tendenza delle parole a perdere la loro forza espressiva. Difatti, spiega Weinreich, esistono campi semantici in cui il bisogno di sinonimi è costante e quindi i prestiti da altre 40 Gli esempi riportati sono tratti da WEINREICH, 2009, pp. 70-74.
  • 32. 32 lingue vengono facilmente assimilati. È importante tuttavia sottolineare la differenza tra i prestiti usati dal monolingue e quelli usati dal parlante bilingue: Mentre il monolingue dipende, per rifornire il suo vocabolario, da materiale lessicale indigeno e da tutti quei prestiti che possono casualmente venirgli trasmessi, il bilingue ha costantemente a portata di mano l’altra lingua come serbatoio di innovazioni lessicali. Naturalmente il vocabolario del bilingue richiede di essere rifornito per le stesse ragioni, sia interne (bassa frequenza di parole, omonimia pericolosa, necessità di sinonimi) sia culturali. Per quanto riguarda queste ultime, un bilingue è forse perfino più idoneo di un monolingue a ricevere designazioni di prestito di nuove cose perché grazie alla sua familiarità con un’altra cultura, egli è già vivamente consapevole del carattere di novità di esse.41 Tre, infatti, sono gli altri fattori che possono spingere il bilingue a ricorrere al prestito lessicale. Il primo è la percezione che alcuni campi semantici della lingua nativa non siano abbastanza differenziati, e per questo utilizza prestiti corrispondenti dell’altra lingua. Il secondo è legato al prestigio attribuito dal bilingue alla lingua madre quando si trova in una situazione di contatto. Il terzo è la trascuratezza dell’atto comunicativo, ovvero quando «viene violata la restrizione della distribuzione di certe parole agli enunciati 41 WEINREICH, 2009, p. 87.
  • 33. 33 appartenenti a una data lingua»42 . Il parlante bilingue si distingue per alcune caratteristiche che lo predispongono al comportamento dell’agente del contatto linguistico. La prima di esse è l’attitudine all’apprendimento di altre lingue straniere: si è dimostrato infatti che i bambini bilingui non hanno difficoltà nell’apprendere un secondo lessico, ma anzi hanno un rendimento maggiore, rispetto ai monolingui, nell’apprendimento di una lingua straniera. La seconda è la facilità di commutazione a seconda della situazione comunicativa e la capacità di riconoscere quali espressioni usate appartengono all’una o all’altra lingua. Vi sono alcuni bilingui che hanno una grande capacità di aderenza ad una sola lingua, e altri che invece manifestano un’anormale facilità al code switching: per questo ai genitori di bambini bilingui viene solitamente consigliato che la madre usi solo una lingua e il padre solo l’altra e che venga scelta una sola lingua per ogni situazione (durante i pasti, le vacanze, dei luoghi specifici, etc.)43 . Lo status delle lingue può cambiare nel corso della vita di un bilingue, a seconda dei criteri utilizzati per definire quale sia delle due quella dominante: la conoscenza relativa, la modalità d’uso, l’ordine e l’età in cui le lingue sono state appresa, l’utilità ai fini della comunicazione, il coinvolgimento emotivo, la funzione delle lingue nell’avanzamento sociale e infine il loro valore 42 WEINREICH, 2009, p. 89. 43 Tre metodi principali per crescere un bambino bilingue, in http://bilinguepergioco.com/. URL consultato il 20 gennaio 2015.
  • 34. 34 letterario e culturale44 . Weinreich dedica un capitolo del suo lavoro all’importanza del contesto socioculturale nell’ambito del contatto linguistico, soprattutto per quanto riguarda le grandi comunità di parlanti bilingui, dove «diventano significative le abitudini linguistiche socialmente determinate e i processi caratteristici del gruppo nel suo insieme»45 . Alcuni fattori extra-linguistici che possono favorire l’interferenza tra due sistemi sono i seguenti: - aree geografiche: è noto che i luoghi di confine siano i più sottoposti al contatto linguistico, a meno che non vi sia una netta divisione geografica creata da barriere naturali quali montagne o mari; - processi migratori: le lingue di immigrati sono maggiormente esposte all’influenza della lingua ospite soprattutto per ragioni di tipo socioculturale (il desiderio di integrarsi quanto prima, i matrimoni misti con gli autoctoni, etc.); - gruppi culturali o etnici: in questo caso, non è scontato che sia la lingua minoritaria (ovvero i cui parlanti sono in minor numero) a soccombere a quella maggioritaria, ma vi sono casi in cui il contatto porta alla diffusione di elementi culturali e linguistici in entrambi i gruppi; - religione: la divisione religiosa sembra costituire una barriera al contatto linguistico, come ha constatato Weinreich nelle sue ricerche sulle 44 Per maggiori approfondimenti, si veda WEINREICH, 2009, pp. 110-120. 45 WEINREICH, 2009, p. 123.
  • 35. 35 comunità di bilingui in Svizzera. «Non si dovrebbe mai perdere di vista l’effetto restrittivo esercitato sul contatto linguistico e sull’interferenza dalle differenze di religione […]. Alcune delle frontiere linguistiche europee, più recenti delle frontiere religiose, rappresentano linee in cui una sostituzione linguistica si è arrestata a uno spartiacque tra religioni diverse»46 ; - razza: diventa un fattore significativo solo in situazioni di forte divisione razziale; - sesso: la variabile del sesso del parlante è da sempre oggetto di studio nella linguistica, e sono molti ad affermare che uomini e donne utilizzino strutture diverse. Tuttavia, «la connotazione maschile o femminile di certi tratti linguistici li rende, in certe culture, altamente immuni al trasferimento nel discorso dell’altro sesso»47 ; - età: «una coincidenza tra gruppi di lingua materna e gruppi di età è la manifestazione sincronica di quella che, dia cronicamente, è una sostituzione linguistica»48 ; le differenze linguistiche tra generazioni rappresentano una piccola parte di un più ampio processo di transizione da una lingua all’altra, intervallato da una fase di bilinguismo; - status sociale: si tratta di casi molto rari, in quanto la differenza di status sociale è perlopiù legata a differenze culturali, religiose, etc., che non a quelle linguistiche; 46 WEINREICH, 2009, p. 136. 47 WEINREICH, 2009, p. 139. 48 WEINREICH, 2009, pp. 139-140.
  • 36. 36 - professione: alcuni tipi di professione sono caratterizzati da un proprio linguaggio, ma in questi rari casi la tendenza al prestito è poco accettata; - popolazione rurale rispetto a popolazione urbana: i dialettologi hanno dimostrato che i mutamenti linguistici partono dalle città verso le campagne, nonostante la tendenza della popolazione rurale ad un atteggiamento antiurbano. La durata del contatto linguistico determina se i tratti di interferenza verranno cancellati o istituzionalizzati. In alcuni casi, si otterrà la nascita (‘cristallizzazione’) di una nuova lingua e in altri invece no, in base a fattori come il grado di differenza tra le due lingue in contatto, l’ampiezza di funzioni che una lingua deve acquisire per cristallizzarsi, e la valutazione dello stesso parlante.
  • 37. 37 3. L’ITALIANO L2: VARIABILI DI APPRENDIMENTO E METODI DI INSEGNAMENTO 3.1. Evoluzione degli studi sull’italiano L2 Il rapporto che gli immigrati hanno con la lingua italiana è condizionato da diversi fattori linguistici ed extralinguistici che negli anni sono stati analizzati per capire i meccanismi di apprendimento spontaneo e guidato. Gli studi linguistici si sono interessati all’italiano L2 a partire dagli anni ’80, suddividendo l’argomento in ‘italiano di stranieri’ e ‘italiano per stranieri’. Nel primo caso si è assistito ad un’evoluzione degli usi sociali dell’italiano, fino ad allora visto come lingua degli emigrati italiani, lingua d’élite degli appassionati alla letteratura e all’arte italiana, o lingua dei bilingui presenti sul territorio. Negli ultimi vent’anni, invece, l’italiano è diventato lingua veicolare nel lavoro, nella scuola e nell’integrazione degli immigrati, nell’educazione (per gli studenti stranieri partecipanti a progetti di scambio internazionale), nella religione (per i sacerdoti cattolici stranieri), nelle relazioni internazionali e commerciali, oltre ad essere ancora lingua di prestigio per alcuni ambiti (moda, enogastronomia, design)49 . Relativamente all’italiano per stranieri, si sono aperte nuove possibilità per l’apprendimento spontaneo che vanno oltre l’incontro diretto con i nativi e l’uso di strumenti “in differita”, ma che permettono la diffusione in diretta della lingua e della cultura italiana in tutto il mondo. Si sono inoltre moltiplicate le offerte formative per l’apprendimento dell’italiano come lingua straniera (LS), con una 49 DIADORI, 2011, pp. XII-XIII.
  • 38. 38 particolare attenzione alle varie tecniche di apprendimento spontaneo, guidato, misto o in autonomia e soprattutto al tipo di apprendente, che ha necessità diverse in base a età, sesso, provenienza, lingua nativa, istruzione e motivi per i quali ha deciso di studiare l’italiano. 3.2. Variabili nell’apprendimento dell’italiano L2 Pierangela Diadori ha affrontato in un saggio50 le principali variabili linguistiche, ambientali e individuali che partecipano nel processo di apprendimento di una L2. VARIABILI LINGUISTICHE L’influenza tra L1 e L2 è determinante e per questo motivo vanno prese in considerazione le caratteristiche dell’una e dell’altra lingua, identificando i tratti in comune che possono favorire l’apprendimento e quelli discostanti che invece lo possono rendere più difficoltoso. Alcune di queste caratteristiche interne alla lingua riguardano pronuncia e grafia, trasparenza dei morfemi e presenza di regolarità ed eccezioni. L’italiano presenta caratteristiche storico-evolutive tali per cui lo straniero potrebbe incontrare delle problematicità in fase di apprendimento: - la distinzione tra italiano neostandard e italiani regionali (a livello di intonazione, apertura e chiusura delle vocali, lessico e sintassi); - il sistema pronominale particolarmente complesso (pronomi atoni e tonici, diversa posizione dei pronomi all’imperativo); 50 In DIADORI, 2011, pp. 2-34.
  • 39. 39 - la presenza di geosinonimi (ad es. adesso/mo’/ora, usati rispettivamente al nord, al centro e al sud). Le difficoltà aumentano se la lingua madre dell’apprendente appartiene ad una famiglia o tipologia linguistica diversa dall’italiano, che come sappiamo appartiene alla famiglia indoeuropea, è una lingua flessiva (composta cioè da morfemi che esprimono relazioni grammaticali) e basata su un ordine dei costituenti di tipo SVO (soggetto, verbo, oggetto). «Una problematica relativa al rapporto fra L1 e L2 con risvolti psicolinguistici riguarda la questione del diverso modo di vedere il mondo che si riflette nella differenziazione linguistica dei diversi popoli»51 . Si tratta della cosiddetta ‘ipotesi Sapir-Whorf” sul relativismo linguistico, teoria secondo la quale la lingua determina il pensiero, ovvero il modo di interpretare il mondo. Nel processo di apprendimento di una L2, dunque, interverrebbe una sentimento di alienazione dato dal diverso modo di percepire la realtà. Nel caso del romeno a contatto con l’italiano, queste variabili linguistiche hanno un peso minore, dal momento che laddove le lingue hanno elementi strutturali in comune è meno probabile che l’apprendente commetta degli errori. Per questo motivo «gli studi sull’intercomprensione fra parlanti di lingue affini puntano a valorizzare gli elementi (lessicali e morfosintattici) comuni e le competenze parziali di cui i parlanti dispongono […]»52 . È da questo presupposto che è nato il progetto EuRom4, sviluppato dai linguisti Raffele Simone e Claire Blanche-Benveniste. Allo scopo di ridare slancio e solidità all’Europa delle 51 DIADORI 2011, p. 9. 52 DIADORI, 2011, p. 10.
  • 40. 40 lingue romanze, il progetto parte dal presupposto che una persona che parla una lingua romanza sia in grado di comprendere, in misura maggiore o minore, anche le altre della stessa famiglia, ed è servito a realizzare un corpus degli elementi di maggior contatto e dei punti di differenza per facilitare l’apprendimento di quattro lingue romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese)53 . VARIABILI AMBIENTALI Tra le principali variabili ambientali rientrano: - il contesto educativo in cui si svolge l’apprendimento della L2 (apprendimento spontaneo, guidato o misto); - il contesto sociale nel quale l’apprendente è inserito (se ha contatti con i parlanti nativi nel tempo libero, qual è il suo grado di istruzione, qual è il contesto lavorativo, etc.); - l’input linguistico in L2, ovvero i tipi di testi a cui è esposto (orali, scritti o trasmessi) e il livello di difficoltà, che deve essere tale da permettere la comprensione e la rielaborazione da parte dell’apprendente; - le interazioni in L2 (con i nativi o con altri apprendenti, scritti o orali, etc.); - il tempo a disposizione e la sua organizzazione per l’apprendimento. VARIABILI INDIVIDUALI Queste ultime variabili riguardano il livello prettamente psicologico-affettivo e neurologico: sesso, età, motivazione all’apprendimento, ‘filtro affettivo’ (ansia, 53 Per maggiori approfondimenti, cfr. http://www.eurom5.com/ (URL consultato il 25 gennaio 2015).
  • 41. 41 rapporti interpersonali, percezione della L2 e della sua cultura), personalità dell’apprendente (attitudine alle lingue, carattere, intelligenza, preconoscenze). Il fattore età interessa particolarmente il nostro lavoro, in quanto la nostra indagine prende in considerazione giovani immigrati romeni di età compresa tra i 14 e i 25 anni, e difatti vedremo brevemente quelli che vengono considerati i migliori approcci didattici nel caso dell’insegnamento dell’italiano a bambini/adolescenti e a immigrati. 3.3. Metodi per l’insegnamento dell’italiano L2 Negli ultimi anni la glottodidattica ha vissuto una grande fase di rinnovamento e sviluppo. Gli approcci didattici attualmente utilizzati dagli insegnanti di lingue vanno dai più tradizionali a quelli più innovativi. Diadori e Vignozzi hanno presentato i metodi più diffusi, suddivisi in base al tipo di approccio seguito54 : APPROCCIO DEDUTTIVO Questo approccio si basa sull’apprendimento della lingua attraverso l’assimilazione e la rielaborazione delle regole grammaticali: «l’esecuzione linguistica viene dedotta dalla competenza grammaticale»55 . A questo approccio si rifanno il metodo grammaticale-traduttivo (ancora molto in uso seppur criticato, in quanto si fa scarso uso della lingua oggetto di apprendimento) e quello cognitivo, sviluppato da Noam Chomsky e secondo il quale, una volta acquisite le regole grammaticali, l’apprendente può formulare un numero potenzialmente infinito di nuove frasi. 54 DIADORI, VIGNOZZI in DIADORI 2011, pp. 35-67. 55 DIADORI, VIGNOZZI in DIADORI 2011, p. 36.
  • 42. 42 APPROCCIO INDUTTIVO Questo approccio si basa sull’apprendimento della lingua nella sua globalità, per poi permettere al discente di produrre fatti linguistici in modo sempre più autonomo. I metodi che si rifanno a questo approccio sono quello diretto (dove l’apprendente è completamente immerso nella L2 senza la possibilità di ricorrere alla L1) e quello audio-orale, incentrato sull’uso massiccio del laboratorio linguistico a una maggiore attenzione alle abilità orali rispetto allo scritto. APPROCCIO COMUNICATIVO Questo tipo di approccio riconosce che la competenza formale di una lingua non è sufficiente, ma che è necessario possedere anche una competenza pragmatica; con esso «si procede dalla lingua in atto nella sua globalità per poi analizzarne le componenti distinte»56 . I metodi sviluppati secondo questo approccio sono molteplici e basati sulla suddivisione della lingua in varie ‘porzioni’ che il discente deve imparare a padroneggiare prima di passare a quella successiva. APPROCCIO PSICO-AFFETTIVO E PSICO-MOTORIO Questo filone mette in primo piano l’importanza dell’aspetto psicologico dell’apprendimento; per questo sono stati sviluppati dei metodi che coinvolgono anche l’area fisico-affettiva, come il metodo “Total Physical Response” (che prevede l’esecuzione di alcuni gesti e movimenti in risposta a comandi dati nella L2 e rimanda la produzione orale al momento in cui il discente si sentirà più a suo agio nel parlare la lingua straniera), o altri che prevedono la messa in scena di dialoghi accompagnati da musica e movimenti. 56 DIADORI, VIGNOZZI, in DIADORI 2011, p. 42.
  • 43. 43 Un nuovo approccio, quello dell’apprendimento orientato all’azione (cioè centrato sull’uso di testi e temi che rispecchino le necessità pratiche dell’apprendente) e alla comunicazione interculturale (Intercultural Communication Competence) costituisce la linea di tendenza degli ultimi anni, proprio per mantenere l’idea della centralità dei bisogni dell’apprendente e allargare la competenza della L2 non solo all’aspetto formale della lingua ma anche alla dimensione interculturale. Una volta scelto il metodo più adatto per l’apprendimento dell’italiano L2, ci troviamo tuttavia davanti ad un interrogativo: quale italiano è più opportuno insegnare? Considerata la diversità delle varietà di italiano sul piano diatopico, il problema andrà risolto comprendendo innanzitutto a che tipo di apprendente ci rivolgiamo e quali sono le sue necessità comunicative. In contesto migratorio, la priorità del discente sarà quella di imparare il lessico quotidiano e quello burocratico, allo scopo di facilitarne l’integrazione nella vita sociale italiana. «L’insegnamento dell’italiano in contesto migratorio è senza dubbio uno dei casi più complessi e delicati della glottodidattica, che richiede all’insegnante, più che in altre situazioni, un’ampia preparazione culturale, antropologica, psicologica, sociologica oltreché pedagogica»57 . Nel caso invece dell’italiano come lingua di contatto (intesa come lingua parlata da figli di immigrati), si ha a che fare con un sistema che per il discente è a metà tra lingua straniera e lingua materna. «Rappresentando la scuola uno strumento fondamentale nella formazione e nella costruzione identitaria, sia linguistica che culturale, di questi nuovi cittadini, la sfida degli insegnanti è 57 TRONCONI, in DIADORI 2011, p. 193.
  • 44. 44 quella di evidenziare in maniera opportuna le caratteristiche proprie di questo tipo particolare di discente […] e di valorizzare in maniera appropriata la complessa combinazione e sovrapposizione di più sistemi linguistici»58 . 3.4. Insegnare italiano a immigrati Pierangela Diadori affronta in un altro saggio59 tutti gli elementi principali che devono essere presi in considerazione nell’ambito dell’insegnamento dell’italiano a immigrati adulti. Allo scopo di aiutare l’insegnante di italiano L2 nella scelta dei metodi e degli strumenti più adatti, ci presenta le variabili che devono essere tenute presenti: - diatopiche: lingua e cultura di appartenenza, lingua (ovvero varietà di italiano: standard, neostandard regionale, dialetto, oppure lingue di minoranze storiche) e cultura dell’area di insediamento; - diastatiche: età, sesso, background culturale, motivazioni, bisogni; - diafasiche (contesto di apprendimento): apprendimento guidato, spontaneo o misto. In particolare, è essenziale individuare i bisogni comunicativi dell’apprendente, per poter non solo ottenere risultati pratici in tempo breve (vista la difficoltà dell’immigrato di dedicare molto tempo e denaro in corsi di lingua), ma anche per fornire delle strategie di apprendimento che potranno 58 TRONCONI, in DIADORI 2011, p. 194. 59 DIADORI 2011, pp. 254-267.
  • 45. 45 essere sfruttate anche nel processo di acquisizione spontanea dell’italiano. L’insegnamento a immigrati adulti, sottolinea infine Diadori, deve mirare anche allo sviluppo armonico delle tre finalità educative, ovvero socializzazione, culturizzazione e autorealizzazione dell’apprendente. 3.5. Insegnare italiano a bambini e adolescenti stranieri Bambini e adolescenti rientrano sotto profili diversi e per questo richiedono approcci didattici differenziati. Ciò che caratterizza i bambini è che, non essendo ancora completamente sviluppati a livello cognitivo, godono di un’elasticità mentale notevolmente superiore a quella degli adulti; tale elasticità, oltre alla disponibilità a mettersi in gioco, permette loro di apprendere una nuova lingua in modo da raggiungere un’acquisizione simile a quella del parlante nativo. Difatti, è con l’esposizione alla L2 prima dei 5-8 anni che il bambino potrà acquisire la pronuncia della L2 senza sforzo e con esiti simili alla L160 . Dall’altro lato, i bambini sono dotati di una minore capacità di analisi e di un minore bagaglio enciclopedico, oltre che di una minore capacità di attenzione che richiede di diversificare molto le attività didattiche. Nel caso dei bambini stranieri, la loro prima necessità sarà quella di inserirsi nel percorso scolastico italofono: com’è stato rilevato dalle indagini Caritas61 , i principali motivi di insuccesso scolastico degli alunni stranieri sono i metodi applicati e l’insufficiente integrazione. Pertanto, è su questi due punti che è 60 DIADORI 2011, p. 18. 61 Dati Caritas 2002, riportati da SEMPLICI in DIADORI 2011, p. 207.
  • 46. 46 opportuno operare, tenendo presente che «essere perfettamente in grado di comunicare in lingua italiana non significa […] possedere le strategie le competenze necessarie per accedere a contenuti disciplinari»62 . Ne consegue che costruire le competenze base della L2 è ben diverso da fornire gli strumenti per gestire i concetti più elaborati che gli alunni iniziano ad affrontare alla scuola primaria. L’insegnante di italiano L2, infine, dovrà cercare di contribuire allo sviluppo delle tre tappe fondamentali (socializzazione, culturizzazione e autorealizzazione), tenendo conto del background culturale degli alunni, in modo da aiutarli a sviluppare una visione del mondo pluriculturale (orientata quindi alla tolleranza e al rispetto delle diversità), oltre che plurilinguistica. Gli adolescenti si distinguono dai bambini per una maggiore propensione alla riflessione sulla lingua e per una minore disponibilità a mettersi in gioco nelle dinamiche di apprendimento della L2. È dunque necessario tenere viva l’attenzione dei discenti di questa fascia d’età attraverso attività che soddisfino le loro motivazioni, consentendo margini di autonomia e favorendo la cooperazione. Sono consigliate attività che sfruttino le nuove tecnologie e che li mettano in contatto con i parlanti nativi e con il ‘mondo reale’. Come abbiamo già accennato, nel caso di adolescenti stranieri nati o cresciuti in Italia, non si può parlare di ‘italiano L2’ ma di ‘italiano lingua di contatto’ (LC), definizione che descrive il processo di costruzione di ‘duplice identità’ in cui è coinvolto il giovane migrante. 62 SEMPLICI in DIADORI 2011, p. 208.
  • 47. 47 Le scuole italiane hanno la libertà di agire in autonomia nel momento in cui si trovano ad inserire nuovi studenti stranieri. Solitamente vengono organizzati dei corsi di italiano affinché essi sviluppino gli strumenti per poter accedere alla didattica in lingua italiana. Questo è un processo che richiede molto tempo, ma spesso i corsi vengono abbandonati non appena si raggiunge la soglia minima che permette di comunicare con i docenti e gli altri studenti italiani. È inoltre necessario promuovere la conservazione della lingua nativa, in quanto si è dimostrato che ciò favorisce lo sviluppo delle capacità di produzione in lingua italiana63 . Come infatti sostiene Chini: il patrimonio culturale e linguistico che un soggetto porta con sé, ovunque si sposti e, in particolare, le lingue apprese durante l’infanzia (ma non solo) sono parte costitutiva e integrante della sua identità personale e sociale, suo strumento espressivo e insieme suo simbolo privilegiato; non possono essere tout court neglette in vista di nuove competenze linguistiche da sostenere.64 Una stretta e regolare collaborazione tra il docente LC e i docenti delle altre materie è basilare per lo sviluppo delle competenze linguistiche e interculturali che permetteranno allo studente straniero di diventare «un attore sociale, in grado di prendere decisioni, negoziare i significati della lingua, interagire con una certa naturalezza e fiducia in se stesso»65 . 63 PETROCELLI, in DIADORI 2011, p. 224. 64 CHINI in PISTOLESI 2007, p. 153. 65 PETROCELLI, in DIADORI 2011, p. 228.
  • 48. 48
  • 49. 49 4. IL LAVORO DI ALEXANDRU COHAL SUI MUTAMENTI NEL ROMENO DI IMMIGRATI IN ITALIA 4.1. Mutamento linguistico: cause ed effetti Alexandru Cohal, sociologo e linguista romeno, è stato il primo a realizzare uno studio sull’evoluzione e le influenze subite dalla lingua romena della comunità di immigrati residenti in Italia. Si tratta di una ricerca, Mutamenti nel romeno di immigrati in Italia (Franco Angeli, 2014), che rispecchia perfettamente la prospettiva sociolinguista, in quanto va a indagare i fattori extra-linguistici che determinano gli usi linguistici dei parlanti romeni. Il volume è articolato in una prima parte che tratta i fattori che determinano i mutamenti linguistici, ovvero il contatto tra lingue, i livelli linguistici interessati dal mutamento e ciò che risulta da queste interferenze. Il secondo capitolo viene fatta una breve digressione sull’immigrazione romena in Italia: la storia, le caratteristiche di questo processo, i dati socio- statistici, le modalità di integrazione e le forme di aggregazione dei romeni (attraverso la scuola, la chiesa e i mass media), e infine il repertorio linguistico degli immigrati, soffermandosi sulla questione dell’esistenza o meno di una comunità linguistica romena in Italia, che Cohal definisce “transcomunità”66 . Il terzo capitolo descrive il metodo e gli strumenti utilizzati per lo svolgimento della ricerca e il tipo di campione utilizzato. 66 COHAL, 2014, p. 15.
  • 50. 50 Infine, vengono presi in esame quelli che sono i «fenomeni linguistici innovativi nel romeno (in contatto con l’italiano), a livello di discorso e di sistema»67 . Il presupposto da cui si parte è che il mutamento linguistico non vada visto come una sorta di “devianza”, bensì come un «paradigma di riassesto dell’intero sistema-lingua, o di alcuni suoi sottosistemi, in seguito alla variazione fonologica»68 . Il mutamento si realizza non solo nel tempo ma anche nello spazio, nella continua ricerca di rendere la lingua un sistema stabile e simmetrico. Ma quali sono i fattori che portano a questi cambiamenti del sistema di una lingua? Il primo è un fattore interno, una “debolezza” o contraddizione interna alla lingua69 , che può essere di tipo lessicale, fonetico/fonologico o grammaticale. Il mutamento si presenta sotto forma di errori ricorrenti rispetto alla norma stabilita, e si manifesta quindi a livello di parole (o performance). Un secondo fattore è di tipo esterno ed è determinato dalle influenze socio- culturali a cui è sottoposta la lingua, vale a dire migrazioni dei parlanti e contatti con altri lingue. L’innovazione si manifesta prima individualmente, e poi viene gradualmente accettato e condiviso dalla comunità linguistica, attraverso quattro tappe identificate da Coşeriu70 : adozione dell’innovazione da parte di un parlante, 67 COHAL, 2014, p. 15. 68 COHAL, 2014, p. 17. 69 COŞERIU, 1981, p. 92, p. 98, in COHAL, 2014, p. 18. 70 COŞERIU, 1992, p. 14, in COHAL, 2014, pp. 18-19.
  • 51. 51 diffusione tra gli altri parlanti, selezione tra l’uso della vecchia tradizione e quella nuova, e infine mutamento, ovvero abbandono della vecchia tradizione per quella nuova. Cohal sottolinea che la distinzione tra fattori interni ed esterni non è sempre netta, e che in una situazione di contatto dovuta all’immigrazione di ingenti gruppi di persone, l’intensità e la durata del contatto […] sono responsabili della velocità con cui i fenomeni di interferenza accadono, mentre l’equilibrio socio-culturale fra i gruppi di parlanti influisce sul rapporto di forze fra le lingue del repertorio bi-o plurilingue e può incidere sul tipo e la quantità dell’interferenza – quindi del mutamento, nonché sul tipo di impiego delle lingue – quindi sul loro mantenimento o logorio.71 Anche il bilinguismo viene incluso tra i fattori che portano al mutamento, in quanto favorisce una certa dinamicità all’interno del sistema della lingua ed è a sua volta influenzato dagli atteggiamenti socio-culturali e politici nei confronti di una lingua (ovvero il suo status e il suo livello di prestigio, la concezione che ne hanno i parlanti). Nel caso di contatto tra due lingue molto vicine, come il romeno e l’italiano, è possibile riscontrare un deterioramento della lingua minoritaria, che manifesterà un’ipersemplificazione di sistema, e una perdita sul piano lessicale. Allo stesso tempo, la lingua minoritaria acquisirà degli elementi dalla lingua con cui entra in contatto, favorendo il code switching (‘commutazione di codice’). 71 COHAL, 2014, p. 19.
  • 52. 52 4.2. I contatti dei romeni con il paese e la lingua di origine Agli inizi del processo di immigrazione in Italia, per i romeni era molto difficile mantenere i contatti con la propria patria, ma dal 2005 i costi per il trasporto si abbassano e i mezzi di comunicazione si fanno più differenziati e con tariffe dedicate agli immigrati. Non solo: è possibile accedere alla tv romena tramite satellitare e, più avanti, nascono anche dei canali tv ideati da e per romeni che vivono in Italia (come Romit TV, Romania TV, CasaMia TV). Secondo i dati della Metro Media Transilvania e del Dipartimento per le Strategie Governative della Romania, i programmi in lingua romena vengono guardati dal 50% delle donne e dall’80% degli uomini72 , i quali sostengono che questi programmi di informazione li aiutino a sentirsi meno lontani da casa. L’esposizione alla TV è una variabile dell’indicatore del “mantenimento linguistico” e una variabile dell’indicatore “identità”. Gli immigrati non sono esposti al romeno scritto bensì a quello parlato e televisivo, piattaforma per eccellenza dei mutamenti linguistici in atto. Di conseguenza, al ‘mantenimento’ si deve aggiungere l’ʻorientamento’, intendendo con ciò il fatto che spesso la TV, più che le fonti scritte o la radio, è ‘contenitore’ e ‘trasmettitore’ di tendenze, devianze e innovazioni, alcuni delle quali si consacrano o scompaiono.73 Grazie al potenziamento dei mezzi per comunicare con il proprio paese di origine, si è quasi del tutto annullata la distinzione tra i concetti di partenza e arrivo. L’immigrato romeno non è più costretto a scegliere se integrarsi perfettamente nella cultura ospite o segregarsi nel tentativo di mantenere la propria identità culturale, ma può riuscire a fare entrambe, ovvero sviluppare la competenza della lingua straniera e conservare quella della lingua materna. 72 MMT & ASG, 2007, p. 5 in COHAL, 2014, p. 41. 73 COHAL, 2014, p. 42.
  • 53. 53 Cohal attribuisce un ruolo particolarmente importante alle donne romene immigrate, riconoscendole come portatrici e custodi degli elementi culturali e linguistici del proprio paese: esse sono più attente alle tradizioni […], stimolano i famigliari a farle rivivere nella nuova patria. […] Siccome le donne rappresentano circa la metà dell’immigrazione romena, fungono da traino per l’intera comunità verso una scelta socioculturale e linguistica mista, in cui la cultura e la lingua propria sono fortemente in concorrenza con la cultura e la lingua di arrivo.74 Per quanto riguarda le seconde generazioni, è principalmente per esse che nel 2007 nasce l’Institutul Limbii Române (‘Istituto della Lingua Romena’), realizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione romeno allo scopo di finanziare corsi di lingua, cultura e storia romena per i figli degli emigrati. Oltre all’ILR, contribuiscono a questo progetto anche l’Accademia di Romania, con sede a Roma, e l’Istituto romeno di cultura e ricerca umanistica di Venezia. Anche la chiesa svolge un’importante funzione nel mantenimento dei contatti con la lingua di origine: nelle chiese ortodosse romene presenti in Italia la messa viene celebrata in lingua romena standard, e il preot (il prete) è un punto di riferimento per la comunità immigrata in quanto la sua parrocchia contribuisce al mantenimento del tratto etnico. In generale, gli immigrati romeni manifestano un certo orgoglio nei confronti della propria lingua madre, anche se la stessa cosa non si può dire dell’opinione che nutrono verso la propria stessa comunità: una ricerca ha rilevato che essi hanno interiorizzato l’immagine negativa che molti italiani hanno su di loro e che 74 COHAL, 2014, p. 50.
  • 54. 54 i media spesso trasmettono75 . Nonostante questa visione negativa dei loro connazionali, i romeni sono perfettamente consci del prestigio della propria lingua, prestigio che da sempre hanno manifestato attraverso la letteratura, l’arte, la filosofia e il sistema scolastico. 4.3. La lingua degli immigrati romeni e l’apprendimento spontaneo dell’italiano La maggior parte degli immigrati romeni in Italia proviene dalla Moldavia, la regione più povera della Romania e maggiormente influenzata dall’area slava, sia dal punto di vista culturale che linguistico. È importante sottolineare che all’interno della lingua romena non esiste una differenziazione in dialetti regionali, e che le poche differenze si riscontrano solo a livello fonetico e lessicale. La variante di romeno parlata dagli intervistati viene definita romeno comune usuale76 , dove per “romeno comune” si intende «quella varietà [parlata], sovra dialettale, sovra locale, sottoposta alla variazione diatopica e diastatica, a sua volta suddivisibile nel “romeno comune letterario” e nel “romeno comune popolare”»77 . Cohal pone l’accento sui tratti caratteristici del romeno parlato dagli immigrati e a stretto contatto con la lingua italiana, dalla quale subisce forti influenze. 75 MMT & ASG, 2007, p. 34 in COHAL, 2014, p. 59. 76 CIOLAC, 2006, pp. 70-71 in COHAL, 2014, p. 62. 77 COHAL, 2014, p. 62.
  • 55. 55 Per quanto riguarda il rapporto con la lingua del paese ospite, è stato rilevato che i romeni arrivati nella prima fase del processo migratorio, ovvero negli anni ’90, vedono nell’apprendimento dell’italiano un mezzo per meglio integrarsi nella vita sociale e lavorativa nella quale sono immersi, mentre coloro che sono immigrati dopo il 2000 lo vedono come un semplice aiuto per destreggiarsi negli aspetti “logistici” (lavoro, burocrazia, salute, servizi) del loro soggiorno in Italia. L’apprendimento dell’italiano è reso molto semplice dalla vicinanza alla lingua romena, per cui è facile fare accostamenti tra le strutture grammaticali delle due lingue. Probabilmente a causa di questa percezione dell’italiano come lingua semplice da imparare, la maggior parte dei romeni non ricorrono a corsi di lingua per stranieri e dichiarano di essersi aiutati nell’apprendimento tramite la lettura di quotidiani e riviste, la televisione, il contatto con vicini di casa e colleghi di lavoro. Spesso, la lingua che i romeni imparano non è l’italiano standard ma un italiano regionale o un dialetto. Segue, nel volume di Cohal, un resoconto sul repertorio della lingua romena e della lingua italiana utilizzate dagli immigrati romeni, ovvero in quali situazioni e con chi scelgano di utilizzare la propria lingua madre o la lingua ospite, e alcune riflessioni sulla possibilità dell’esistenza di una comunità linguistica romena in Italia, analizzando quattro criteri: condivisione della lingua, comunanza di stanziamento, interazioni regolari e frequenti, e condivisioni di atteggiamenti sociali verso le lingue e di norme di uso78 . 4.4. Mutamenti nel romeno in contatto con l’italiano Nel quarto capitolo del suo lavoro, Cohal prende in esame le dinamiche più rappresentative del romeno di immigrati in seguito all’interferenza con la lingua 78 CHINI, 2009, pp. 288-292 in COHAL, 2014, p. 72.
  • 56. 56 italiana. Esistono due tipi di fenomeni ricollegabili al contatto linguistico: il prestito e l’interferenza, quest’ultima analizzata da Cohal a livello di discorso e a livello di sistema. È importante sottolineare che «a interferire sono due lingue neolatine che si avvicinano per una serie di somiglianze e concordanze, mentre alcune differenze si minimizzano a livello dialettale»79 . In seguito, Cohal presenta una disamina del sistema vocalico e consonantico delle due lingue, mettendole a confronto e descrivendo quali sono le difficoltà a livello fonetico che il parlante romeno incontra nell’apprendimento dell’italiano (portando come esempio l’approssimante laterale palatale [ʎ] di gli, resa dai romeni con [ł] del moldavo o con [l] palatalizzata in maniera più lieve). Il lessico rappresenta il problema minore, in quanto il vocabolario romeno è, per circa l’80%, di origine latina; di conseguenza, si assisterà spesso a fenomeni di calco, una tipologia di prestito in cui una lingua imita la struttura lessicale o morfologica di un’altra. Per i fenomeni rilevanti a livello di discorso, Cohal ha fatto uso della classificazione di Berruto in tre classi: alternanza di codice, code switching e code mixing (‘enunciazione mistilingue’)80 , aggiungendo come quarto elemento il calco. Il code switching sembra avere grande rilevanza nel discorso dei bilingui romeni, che sono in grado di realizzare «sequenze coerenti, costruendo 79 COHAL, 2014, p. 104. 80 BERRUTO, 2009, p. 10 in COHAL, 2014, p. 110.
  • 57. 57 generalmente enunciati grammaticali, con rispetto delle norme delle lingue in contatto»81 . Ciò riflette l’appartenenza ad un’identità mista82 , ma il ricorso alla commutazione di codice si incontra anche in altri casi, come quando il parlante deve esprimere un concetto che ritiene inopportuno o volgare e per questo motivo ricorre alla L2 (l’italiano) all’interno del discorso in L1 (il romeno), oppure quando deve riportare un discorso svoltosi in L2. Il calco e il prestito sono da sempre risorse di grande importanza per l’arricchimento di una lingua, e sono fenomeni che vengono molto facilitati dalla vicinanza strutturale tra le due lingue in contatto. Il calco può essere di tipo strutturale, se viene imitata la struttura morfologica di una parola in lingua straniera, come nel caso di questi termini incontrati durante le interviste per l’indagine83 : ro. d’Italia a reintra < it. rientrare > ro. standard a se întoarce ro. d’Italia dezocupat < it. disoccupato > ro. standard şomer ro. d’Italia reînforţam < it. rafforziamo > ro. standard întărim Il calco semantico si ottiene quando un termine della L1 prende il significato di uno della L2, come in questi esempi: ro. d’Italia literă < it. lettera > ro. standard scrisoare, mentre il valore semantico di literă è quello di ‘lettera dell’alfabeto’ ro. d’Italia face rău < it. fa male > ro. standard nu e bun Infine, esempi di calco categoriale si incontrano soprattutto nella creazione di 81 COHAL, 2014, p. 110. 82 GUMPERZ, 1982 in COHAL, 2014, p. 111. 83 In COHAL, 2014, pp. 119-128.
  • 58. 58 avverbi in –mente, già presenti in romeno ma poco usati in quanto appartengono alla lingua colta. Infatti, gli avverbi solitamente hanno la stessa forma degli aggettivi, ma il romeno d’Italia inserisce spesso la forma avverbiale con il suffisso -mente, così come usata in italiano: ro. d’Italia telefonicamente < it. telefonicamente > ro. standard la telefon Anche i fenomeni di contatto rilevati a livello di sistema sono numerosi e ne riporteremo qui solo alcuni. La premessa da cui parte Cohal per descrivere questi fenomeni è che la catalogazione dei dati linguistici «è stata concepita secondo la prospettiva della deviazione dal romeno standard», ma in questo caso, «nel contatto con l’italiano, la deviazione rappresenta […] l’innovazione, identificabile di volta in volta in due categorie: maggiore uso di varianti (una volta marginali) in L1 e co-occorrenti con le varianti consacrate, o innovazione ex novo in L1»84 . Un caso di contatto a livello di sistema si presenta frequentemente nella realizzazione del dativo e del genitivo. In lingua romena, questi due casi possono essere espressi in due modi, ovvero con la flessione dell’articolo posposto o con quella dell’articolo indeterminato posto prima del nome: Maschile Femminile Neutro Sing. Copilului (del/al bambino) Fetei (della/alla ragazza) Caietului (del/al quaderno) Plu. Copiilor (dei/ai bambini) Fetelor (delle/alle figlie) Caietelor (dei/ai quaderni) 84 COHAL, 2014, p. 135.
  • 59. 59 Maschile/Neutro Femminile Sing. unui unei Plu. unor unor La forma di dativo analitica, ovvero accompagnata dalla preposizione la (ad es. i-am zis la copil, ‘ho detto al bambino’ invece della forma di ro. standard i-am zis copilului) davanti al sostantivo, è attestata fin dalle prime prove scritte della lingua romena, tuttavia non è una forma considerata accettabile nel romeno standard e si presenta, oltre che nel parlato dialettale, anche nel romeno d’Italia, a causa della somiglianza con la struttura dell’italiano. Lo stesso avviene con il genitivo, che viene costruito con la preposizione de davanti a sostantivo, al posto dell’articolo genitivale lui (ad es. feţele de Chaplin, ‘le facce di Chaplin’, invece di feţele lui Chaplin)85 . Nel test proposto da Cohal per la sua indagine, quello che richiedeva di narrare alcune sequenze di un film86 , ciò che risalta è che anche il passivo sembra aver subito le influenze dell’italiano, acquisendo la forma con l’ausiliare a veni (‘venire’) oltre a quella del romeno standard a fi (‘essere), e venendo accompagnato da una preposizione composta, de către, oltre che da quella semplice, de. 85 In COHAL, 2014, pp. 136-145. 86 Si tratta di Modern Times di Charlie Chaplin, usato spesso nelle ricerche sull’acquisizione delle L2, «allo scopo di studiare aspetti dell’acquisizione di competenze testuali nella strutturazione di un testo narrativo […]», in COHAL, 2014, p. 91.
  • 60. 60 L’oggetto diretto usato nel romeno di immigrati subisce delle mutazioni a seconda del tipo di italiano regionale con cui viene a contatto, e in particolare esiste la tendenza a non marcare l’oggetto diretto con il morfema pe, come avviene invece in tutti i registri del romeno parlato: ro. d’Italia cunosc cineva […] < it. conosco qualcuno > ro. standard cunosc pe cineva87 In alternativa, l’oggetto diretto viene espresso con il pronome relativo care, sempre a causa dell’interferenza con l’italiano: ro. d’Italia fata care el mai-nainte a încercat s-o salveze < it. la ragazza che lui prima aveva cercato di salvare > ro. standard fata pe care el […]88 Un ultimo esempio interessante di contatto interlinguistico riguarda l’infinito: solitamente, l’uso che ne fa il romeno è più limitato rispetto all’italiano, ma nel romeno d’Italia esiste la tendenza a calcare il modello della L2: ro. d’Italia sunt doriţi de a festegià < it. sono desiderosi di festeggiare > ro. standard sunt doritori să sărbătorească89 Cohal sostiene che il romeno d’Italia si trovi al momento in una zona intermedia compresa tra il code switching e il code mixing (ovvero fra l’alternanza e la combinazione) e che sia «caratterizzato […] dalla presenza di 87 In COHAL, 2014, p. 173. 88 In COHAL, 2014, p. 174. 89 In COHAL, 2014, p. 180.
  • 61. 61 molti prestiti che stimolano il passaggio di altro “materiale” nella sua direzione, senza che questo dimostri con chiarezza quale lingua incapsula l’altra»90 . Già in passato il romeno ha attinto, più o meno spontaneamente91 , dall’italiano nel processo di arricchimento linguistico, oltre che da altre lingue neolatine e non (francese, tedesco, turco, ungherese, russo, greco, etc.). Nel romeno d’Italia analizzato da Cohal si ritrovano innumerevoli prestiti che rientrano in tre categorie92 : - “immotivati” o arbitrari, ovvero relativi ad un referente già designato dal romeno, ad es.: are fidanzat (= ro. logodnic) măcelar > ha il fidanzato macellaio - prestiti che riempiono delle lacune lessicali in quanto riferiti a concetti che non sono conosciuti dalla cultura romena, ad es.: mai beneficiaza de tredicesima? > beneficia ancora della tredicesima? [la mensilità aggiuntiva non esiste in Romania] - prestiti con funzione eufemistica, ovvero termini della L2 che il parlante usa per evitare parole tabù nella L1, ad es.: am luat picături şi mă rincolionam mai tare > ho preso delle gocce e mi rincoglionivo di più 90 COHAL, 2014, p. 192. 91 Ricordiamo i lavori di sperimentazione linguistica e l’italianismo di Ion Heliade Rădulescu, a metà ‘800. 92 Tutti gli esempi riportati si trovano in COHAL, 2014, pp. 193-196.
  • 62. 62 Altri tipi di prestito riguardano le espressioni polirematiche, molto presenti nei corpora dei bilingui, indipendentemente dall’esistenza o meno di un corrispettivo in L1. L’affinità tra le due lingue e la condivisione dell’etimologia facilita sicuramente la prosperità dei prestiti ed è sintomo di una notevole creatività linguistica. Un’ultima parte del capitolo sui mutamenti linguistici del romeno d’Italia è dedicata alla pronuncia, anch’essa sottoposta all’influenza dell’italiano, che può dar vita a casi di ipodifferenziazione di fonemi (ovvero l’incapacità di distinguere due diversi suoni). Il caso più frequente riguarda la distinzione tra in [in-] e în [ɨn], che nel romeno d’Italia tende a scomparire. 4.5. Il romeno d’Italia, tra mantenimento e innovazione Cohal conclude il suo lavoro con una riflessione sullo stato attuale del romeno d’Italia e sui possibili esiti del contatto con l’italiano. Egli ritiene che il romeno si trovi in una fase relativamente stabile e di mantenimento, in cui «spicca la presenza ingente del calco»93 , ma non esclude il passaggio ad una fase di contatto più intenso che porterebbe ad un cambiamento strutturale più profondo. Un dato interessante è che l’influenza con l’italiano non ha dato vita a nuove regole o elementi, ma ha favorito la riattivazione di fenomeni già esistenti nel romeno e da tempo fuori uso. Sottolinea, inoltre, che: 93 COHAL, 2014, p. 261.
  • 63. 63 gli esiti di mantenimento o di logorio del romeno di seconda generazione dipendono molto di più dalle realtà socioculturali dell’immigrazione; detto ciò, pare ragionevole pensare che un livello di mantenimento come quello rilevato oggi nella lingua dei padri – se forme di stigmatizzazione socioculturale inaspettate non investono la seconda generazione e se il tipo di vissuto migratorio transnazionale non cambierà – costituisce una base solida per il mantenimento del romeno anche per la seconda generazione.94 Come già avvenuto in passato, la lingua romena dà ancora prova della sua capacità di assimilazione, mantenimento e rinnovamento. 94 COHAL, 2014, p. 261.
  • 64. 64
  • 65. 65 5. L’INDAGINE SOCIOLINGUISTICA SULLE SECONDE GENERAZIONI DI ROMENI IN ITALIA 5.1. Il questionario e il campione utilizzato La ricerca svolta per questo lavoro si è basata su un questionario di tipo sociolinguistico somministrato a 80 ragazzi di origine romena e moldava. Per la realizzazione del questionario è stato fatto affidamento sul modello utilizzato da Chini nel suo lavoro Plurilinguismo e immigrazione in Italia: un'indagine sociolinguistica a Pavia e Torino (Franco Angeli, 2004). Il questionario è strutturato in sei parti così suddivise: A. BACKGROUND: domande introduttive sui dati anagrafici (sesso, età, città e provincia di residenza), la provenienza dell’intervistato, il numero di anni di permanenza in Italia e la provenienza dei genitori. B. LE LINGUE CHE USI: domande sulla lingua madre e sulle lingue utilizzate con famigliari e amici residenti in Italia e in Romania, e quelle usate per fare i calcoli mentali. C. IL TUO RAPPORTO CON LA LINGUA ITALIANA: domande sul periodo di tempo e gli strumenti utilizzati per imparare la lingua italiana. D. IL TUO RAPPORTO CON LA LINGUA ROMENA: domande dedicate agli intervistati nati in Italia o giunti in Italia nei primi anni di vita, allo scopo di verificare la loro conoscenza del romeno, domande sulla quantità e il tipo di contatti con il paese di origine. E. IL TUO RAPPORTO CON L’ITALIA E LA ROMANIA: domande di tipo prettamente sociologico, volte a individuare l’identificazione culturale dell’intervistato e il suo legame con il paese di origine.
  • 66. 66 F. La sesta parte del questionario è composta da due brevi testi da completare, uno in romeno e uno in italiano, al fine di tentare di valutare, anche se in modo sommario, le competenze linguistiche dell’intervistato in entrambe le lingue. Il campione preso in esame è composto da ragazzi e ragazze romeni e moldavi, oppure italiani ma con uno dei due genitori provenienti dalla Romania o dalla Repubblica di Moldavia, di età compresa tra i quattordici e i venticinque anni. Dal punto di vista geografico, abbiamo voluto limitare la ricerca alla regione Veneto e in particolare alla provincia di Padova. Per il reperimento degli intervistati, sono state contattate alcune scuole superiori della città di Padova e del comune di Este (PD): i licei “G.B. Ferrari” di Este e il “Tito Livio” di Padova, l’istituto tecnico-professionale “ITIS Euganeo” (che comprende anche la succursale “Duca d'Aosta”) di Este, l’istituto di istruzione superiore “Atestino” di Este, e l’istituto professionale per servizi commerciali “Leonardo Da Vinci” di Padova. Ci siamo inoltre avvalsi dell’aiuto dei social network, creando un formato elettronico del questionario tramite una piattaforma gratuita e condividendolo su alcuni gruppi Facebook dedicati agli studenti universitari o alle varie comunità di romeni presenti sul territorio. Tenendo presente che il campione di intervistati comprendeva perlopiù dei minori, si è rivelato difficile ottenere il consenso a somministrare nelle scuole il questionario, che è stato allegato a un’autorizzazione da far firmare ai genitori e alla descrizione del tipo di ricerca, in italiano e in romeno. L’impossibilità di organizzare un incontro diretto con gli studenti ha probabilmente impedito di suscitare negli stessi interesse al progetto. Il social network invece si è rivelato un mezzo potentissimo, che ha permesso di raccogliere decine di questionari in
  • 67. 67 pochi giorni. 5.2. Precisazioni sugli intervistati di nazionalità moldava: il moldovenismo Dal 2013, in seguito ad alcune interrogazioni parlamentari, la Corte Costituzionale della Repubblica di Moldavia ha sancito che la lingua ufficiale del paese è il romeno95 . Tuttavia, sono molti a parlare di ‘moldavo’ come lingua ufficiale e distinta dal romeno. Moldavia è il nome della regione storica attualmente compresa tra Romania, Repubblica di Moldavia e Ucraina. Anche in quest’area si è sempre parlato il dacoromeno (uno dei quattro dialetti della lingua romena insieme al meglenoromeno, istroromeno e aromeno; il dacoromeno è quello parlato, per l’appunto, in Romania e nella Repubblica di Moldavia), fin dalla sua nascita, e dunque non vi è alcun fondamento scientifico nelle teorie sulla lingua moldava, teorie che vengono definite con il nome di moldovenismo. «È noto, infatti, come il fiume Prut [affluente del Danubio che scorre sul confine tra Romania e Repubblica di Moldavia, n.d.a.] non rappresenti confine linguistico pur essendo limite geografico e frontiera politica. Pertanto, le parlate moldave della Bessarabia registrano le stesse peculiarità fonetiche, nell’ambito del dacoromeno, presenti nei subdialetti della sponda orientale»96 . Dunque, nonostante le influenze del russo e dell’ucraino (che si presentano solo a livello lessicale e non morfologico), ci troviamo davanti ad un caso di ‘separatismo politico’ di una lingua, avvenuto nel 1924 in seguito all’intensificarsi dei contrasti tra Romania e Unione Sovietica per il controllo della Bessarabia (area che attualmente comprende la Repubblica di Moldavia e 95 Moldova: il romeno, lingua ufficiale in http://www.rri.ro/. URL consultato il 22 gennaio 2015. 96 ZULIANI, 2013, p. 5.
  • 68. 68 parte dell’Ucraina). La contesa di quella regione era nata nel 1918 con l’invasione delle truppe romene e l’annessione della Bessarabia, che fino ad allora era stata sotto il controllo russo, alla Romania. L’Unione Sovietica rispose nel 1924 con la creazione della ‘Repubblica Socialista Sovietica Moldavaʼ in corrispondenza dell’attuale Transnistria, allo scopo di contrastare l’autorità romena. Inoltre, fu sviluppata un’aggressiva campagna di propaganda incentrata sulla ‘questione della lingua moldava’, che iniziò ad essere discussa intensamente sulle pagine della rivista Plugarul Roşu (‘Il contadino rosso’)97 . Questo dibattito terminò in un rapporto realizzato alla fine dell’agosto 1924: «fu il primo documento ufficiale sovietico a parlare di lingua moldava. In seguito ai dibattiti della commissione, fu deciso, senza nemmeno consultare un esperto in filologia, di incoraggiare lo sviluppo di una lingua moldava, utilizzando i caratteri cirillici»98 . Da allora l’Unione Sovietica si preoccupò della costruzione dell’identità moldava: nel 1947 il Partito Comunista incaricò gli studiosi di redigere un manuale di storia dei moldavi scritto dal punto di vista marxista99 . Gli argomenti etnologici a favore della teoria del moldovenismo sostenevano: “folclorul moldovenesc” arată originea acestui popor ca urmaş al valahilor şi slavilor. Conform argumentelor lingvistice, ar exista o limbă moldovenească diferită de română. Cu toate acestea, chiar lingviştii sovietici nu au putut aduce argumente în favoarea apartenenţei limbii moldoveneşti la 97 Sunt moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL consultato il 23 gennaio 2015. 98 Sunt moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL consultato il 23 gennaio 2015. 99 BOJOGA E., Ideologia moldovenismului şi limba comuniştilor, in http://www.contrafort.md/. URL consultato il 23 gennaio 2015.
  • 69. 69 familia limbilor slave. Nu în ultimul rând, “specialiştii” au adus în discuţie şi argumente paleoantropologice: antropologii sovietici au încercat să ajungă la anumite concluzii privind îmbinarea “romanicilor de vest” cu slavii, dar dovezile nu sunt concludente.100 I sostenitori del moldovenismo erano principalmente contrari all’influenza del romeno (giungendo a vietare perfino l’alfabeto latino) e incoraggiavano l’incremento di prestiti, anche artefatti, dal russo. Il primo a denunciare l'inesistenza di una lingua moldava fu il glottologo italiano Carlo Tagliavini che, nell'edizione del 1969 del suo manuale Le origini delle lingue neolatine, presentò la storia della lingua romena e dedicò una nota dettagliata al tema della Bessarabia. Lo studioso dimostrò che non esistevano profonde differenze strutturali tra la lingua parlata a nord del fiume Prut e quella parlata a sud, e che moldavi e romeni della regione Moldavia condividevano perfino gli stessi scrittori (come Ion Creangă e Mihai Eminescu); dunque, la distinzione tra lingua romena e lingua moldava era senza fondamento. Il moldovenismo resta una creazione della propaganda stalinista volta a giustificare l’annessione della Bessarabia alla Russia e si basa «pe o lectură istorică voit distorsionată şi acreditează ideea unei diferenţieri etno-lingvistice între „moldoveni” şi români»101 . Il 31 agosto 1989 venne decretata l’adozione dei caratteri latini e da allora si festeggia ogni anno il giorno della Limba Noastră (‘La nostra lingua’), ma la 100 “il ‘folklore moldavo’ testimonia la discendenza valacca e slava di questo popolo. Secondo le argomentazioni linguistiche, esisterebbe una lingua moldava diversa da quella romena. Nonostante questo, nemmeno i linguistici sovietici riuscirono a portare argomentazioni in favore dell’appartenenza della lingua moldava alla famiglia delle lingue slave. Non da ultimo, gli ‘specialisti’ misero in discussione anche argomenti paleo-antropologici: gli antropologi sovietici cercarono di arrivare a certe conclusioni sull’unione dei ‘romani dell’ovest’ con gli slavi, ma le prove sono inconcludenti”. Tradotto da Sunt moldovenii români sau nu? Despre teoria moldovenismului..., in http://www.historia.ro/. URL consultato il 23 gennaio 2015. 101 “su una lettura storica volutamente distorta e accredita l’idea di una differenza etnolinguistica tra ‘moldavi’ e romeni”. Tradotto da BOJOGA E., Ideologia moldovenismului şi limba comuniştilor, in http://www.contrafort.md/. URL consultato il 23 gennaio 2015.
  • 70. 70 lingua ufficiale continuò ad essere chiamata moldavo. Infatti, la teoria del moldovenismo ha trovato appoggio anche dopo il 1991: basti citare il dizionario ‘romeno-moldavo’ che fu pubblicato nel 2003 e che causò numerose polemiche tra i linguisti romeni, i quali da sempre sostengono la perfetta sovrapponibilità delle due lingue. Nel novembre 2008 furono ritirati i codici ISO 639 (lo standard internazionale per l’identificazione delle lingue) precedentemente assegnati al moldavo (mo e mol) e sostituiti con quelli del romeno (ro, ron e rum). A più di vent’anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, la questione della lingua moldava rimane ancora molto dibattuta: nel 2011 venne organizzata una manifestazione di protesta affinché la lingua romena fosse dichiarata lingua ufficiale della Repubblica di Moldavia. Il tanto contestato articolo 13 della Costituzione, nel quale si fa riferimento a una lingua moldava è stato corretto infine nel dicembre 2013. Si fa presente che, per la seguente indagine, i partecipanti di nazionalità moldava sono stati invitati a usare la denominazione (‘romeno’ o ‘moldavo’) che più sembrava vicina alla propria identità culturale. 5.3. Risultati della ricerca A. Dati anagrafici e background Il questionario è stato compilato da 80 ragazzi, tra cui 15 maschi e 65 femmine.