6. Il popolo di Madrid, traviato, si è dato alla rivolta e
all'omicidio. Il sangue francese è stato versato.
Domanda vendetta. Tutti coloro che saranno
arrestati armi in pugno dovranno essere passati per
le armi.
Gioacchino Murat, 2 maggio 1808
7. In mezzo a pozzanghere di sangue
vedemmo una parte dei cadaveri,
alcuni a faccia in giù, altri a faccia in
su, uno nella posizione di chi era
inginocchiato e bacia la terra, un
altro in quella con le mani alzate al
cielo, chiedendo vendetta o pietà.
8.
9. Sento forte il desiderio di
perpetuare, per mezzo dei miei
pennelli, le azioni e le scene più
eroiche e notevoli della nostra
gloriosa insurrezione contro il
tiranno d'Europa.
Francisco Goya
17. Dovrò dipingere un quadro su commissione: due metri
per due. Il committente vuole una crocifissione da
mettere in capo al letto. Come farà a tenere sospesa sui
suoi sonni la scena di un supplizio? Questo è tempo di
guerra e di massacri: Abissinia, gas, forche,
decapitazioni; Spagna; altrove. Voglio dipingere questo
supplizio come una scena di oggi. Non certo nel senso
che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri
peccati, ma come simbolo di tutti coloro che subiscono
un oltraggio. I soldati e i cani – le donne scarmigliate e
piangenti – al lume di candela (la candela di Guernica?).
Renato Guttuso, Diario
18.
19. La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di
scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a
fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto
di tutta una storia che arrivava fino a noi (…).
Non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un
quadro, non un melodramma. Li dipinsi nudi per
sottrarli a una collocazione temporale: questa (…) è una
tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che
soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c'è il
paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che
seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta
dalle bombe.
Renato Guttuso, 1965
Il perno su cui ruota questo discorso di oggi è questo dipinto. Lo riproporremo ancora e di nuovo.
Il dipinto rappresenta la resistenza delle truppe madrilene all'armata francese durante l'occupazione del 1808 della guerra d'indipendenza spagnola. Com’è noto, Goya dedicò a questo tema due dipinti: si chiamano rispettivamente il 2 maggio e il 3 maggio. Realizzò entrambi su commissione del Consiglio della Reggenza. Il primo di questi dipinti raffigura la rivolta del popolo di Madrid. Questo dipinto il risultato, la conseguenza della rivolta.
Goya fu presente ai fatti. Ne fu un testimone diretto.
Napoleone nel novembre 1807, spacciando la manovra come l'invio di rinforzi all'esercito spagnolo, spedì 23.000 soldati francesi nella penisola iberica. Essi non trovarono che poche resistenze. Nel febbraio 1808 gli obiettivi dell'imperatore divennero chiari, ma le sue forze incontrarono comunque una resistenza scarsa eccettuati alcuni rari attacchi, avvenuti ad esempio a Saragozza.
Due gruppi si fronteggiano. Il primo è caricato fino all’eccesso. Molti sentimenti, molte individualità. Sulla destra è presente invece il plotone d'esecuzione, di spalle allo spettatore: nascosti nell'ombra, i persecutori reggono tutti una baionetta e vestono colbacchi neri e pesanti pastrani. Nel raffigurare i soldati di tergo, nascondendone pertanto i volti, Goya dà vita a una vera e propria «macchina di distruzione», rigida, violenta e disumana, che sembra quasi esser composta da anonimi automi programmati per uccidere.
Esiste certamente una strada da tenere presente quando si parla di Goya e di questo dipinto in particolare. È la strada che porta a una concezione ottocentesca del nazionalismo. Dell’impiego della pittura di storia al fine di costruire una precisa identità.
Esiste un altro aspetto che Vibeke Vibolt Knudsen, uno studioso danese di Goya, ha messo in luce nel 2000. Questo aspetto si lega alla poetica del sublime, così come teorizzata da Burke. La vista del terribile tradizionalmente repelle e insieme attrae. Vi è una dialettica fra piacere e paura. Soltanto chi raggiunge l’effetto più grande, l’impressione più acuta raggiunge il limite del sublime. L’oscurità è più sublime della luce. La notte è più sublime del giorno, dunque.
Sotto questo profilo la fucilazione del 3 maggio ha molto a che vedere con la storia, con l’episodio storico. Ma anche con una precisa e determinata linea, tutta interna a Goya, ben rappresentata fra l’altro da questo dipinto, come del resto anche nei Disastri della guerra. È la linea della violenza, della violenza bestiale, pura e semplice. Senza storia, senza un perché. Senza causa e senza effetto.
Nasce nel 1892 a Untermhaus presso Gera da una famiglia proletaria. Dal 1909 al 1914 studia alla Scuola di Arti Figurative a Dresda. Oggi Dix è noto come uno dei principali artisti contrari alla guerra. Questo polittico di Dresda ne è una chiara dimostrazione. Cadaveri crivellati dai colpi. Corpi in putrefazione. Mutilati. Nulla di eroico è rimasto.
La cosa interessante e significativa, è che Dix conosce la guerra di persona, da vicino intendo. E che partiva, era partito da posizioni interventiste. Era stato volontario nella Prima Guerra Mondiale. Combattuto nella campagna delle Fiandre, in Francia, in Polonia e in Russia. Aveva vissuto, visse esperienze atroci. Furono queste esperienze, e la nascita proletaria, a renderlo particolarmente sensibile alle ingiustizie e all'ipocrisia della società borghese del dopoguerra. La guerra divenne il tema cardine del suo lavoro. Vi è da un lato la protesta verso le sofferenze, le atrocità, pura e semplice. Ma anche la protesta politica.
Per Dix, sono i ceti sociali più deboli, i proletari, a rifornire di carburante giovane il fronte. Sono la cosiddetta ‘carne da cannone’. La sofferenza umana diventa così un pieno e diretto coinvolgimento nell'attività politica. Non a caso nel 1933, con l’avvento del Nazismo al potere, Dix sarebbe immediatamente stato rimosso ed emarginato.
Renato Guttuso, Crocifissione, 1941.
Dipinto su commissione, del ragioniere Suppo, di Genova.
Renato Guttuso, Crocifissione, 1941.
Dipinto su commissione, del ragioniere Suppo, di Genova.
La Crocifissione deve essere il dramma di tutti gli esseri umani.
Collegamento molto chiaro con la linea spagnola della pittura di fucilazione e di terrore. Da un lato con Goya, lo abbiamo già visto. Ma dall’altro anche con Guernica di Picasso.
The War Hero fu dipinto nel 1945 e apparve nell'ottobre dello stesso anno, sulla copertina del Saturday Evening Post. Non è un dipinto – e poi un’illustrazione della serie prodotta da Rockwell per la guerra e durante la guerra. Non venne progettato per sollevare gli spiriti del paese. Questo è un lavoro piuttosto diverso; è una celebrazione e un ricordo di tutto ciò che gli americani avevano sopportato e superato; la guerra è finita. Un giovane marine dai capelli rossi, seduto a sinistra, guarda i volti degli uomini intorno a lui.
Non c'è bisogno di dire altro; la guerra è finita. I volti degli uomini morenti nei convogli e i campi macchiati di sangue di Leyte e di Okinawa si sono trasformati in nebbia grigia; sono dietro di noi, ora.18 C'è solo silenzio, in un momento davanti a noi in un bicchiere; la guerra è finita, e nei garage, nei capannoni e nelle officine meccaniche di tutto il paese, gli uomini si sono riuniti per ascoltare le storie di coloro che hanno combattuto e sono tornati.La guerra è finita; abbiamo preso l'ultimo sguardo su di esso e ora dobbiamo andare avanti.
Per il protagonista, il giovane marine, Rockwell si rifece a un vero marine. Tecnicamente è dunque un ritratto. Qui appare stanco. Stanco delle fatiche. Abbrutito dalla vita. . Non si tratta solo di espressione. Attorno ai suoi occhi, la sua faccia è disegnata. Certamente è molto più magro; si potrebbe chiamarlo scarno. I suoi occhi hanno uno strano aspetto tormentato.
Il giovane Marine tiene una bandiera di battaglia; è il guardiamarina della Marina Imperiale Giapponese. Questo, oltre al colore della sua uniforme, ci dice che il Marine ha visto alcuni orribili combattimenti; è stato nel teatro del Pacifico. È appena tornato a casa con la sua bandiera catturata; Il Giappone non si arrese formalmente fino al 2 settembre 1945.11 Forse combatté contro Iwo Jima, o su Okinawa; ha visto la morte, l'ha guardato in faccia.
Il Marine ha guardato la Morte, ed è stato corteggiato dalla morte. Ma ha anche servito, e in modo gagliardo. Il marine indossa la stella d'argento, la terza decorazione militare più alta emessa dalle forze armate degli Stati Uniti.
Nell'angolo in alto a destra, vediamo un giornale incollato con orgoglio sul muro in muratura con la sua fotografia di arruolamento; il Marine ha servito bene il suo paese. Vediamo una bandiera di servizio e all'improvviso ci rendiamo conto del motivo per cui il marine è arrivato qui, all'inizio e alla fine.La bandiera di servizio, recante una stella blu su un campo bianco, sormontata da un bordo rosso, è stata mostrata dai membri della famiglia immediata (è ancora in uso, anche se in qualche modo modificata) con un figlio, un fratello, un marito o un padre in dovere attivo.15 Vediamo il marine in questa situazione e ora ne comprendiamo l'importanza; per il giovane, uomo indurito dalla guerra, è la sua casa, ed è la sua famiglia.
Il nostro eroe è tornato nella sua città e nel garage di suo fratello, dove un tempo lavorava, prima della guerra. Forse prenderà di nuovo la sua tuta e il suo berretto; sono appesi al muro, dove sono stati esposti con orgoglio da quando se n'è andato. Il suo nome è Joe; non conosciamo il suo cognome, e non è importante. Quello che sappiamo è che ha lavorato qui, con suo fratello; E qui ha fatto ritorno.
Eccoci infine al contesto. Dove siamo? Siamo in un garage. Dove si riparano auto. Dove il simbolo più importante della civiltà americana, l’automobile, torna alla vita. Torna ad essere vita, torna a lavorare. Guardando oltre. Il cerchio si chiude. A tutto vi è un rimedio. La vita continua.
Burri non fu da principio artista. Bensì medico. Cme sottotenente medico fu mobilitato nella Seconda guerra mondiale. Prigioniero degli inglesi in Tunisia nel maggio del 1943, fu spedito dagli americani in un campo di prigionia in Texas, schedato fra i fascisti irriducibili perché non volle firmare una dichiarazione di collaborazione.
Durante la prigionia, Burri iniziò a dipingere, forse per passare il tempo. Così, a trent’anni compiuti scoprì la sua vocazione: rientrato in Italia nel 1946, lasciò la professione medica e si dedicò interamente all’arte.
Subito dopo la guerra emerse come uno dei più originali creatori della nuova arte informale italiana. Il “pittore dei sacchi” rifiutava di tradurre in parole la sua arte informale. “Le parole non mi aiutano quando cerco di parlare della mia pittura” disse Burri nel 1955 in occasione di un’esposizione a New York: “La mia pittura è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che io non posso rivelare a parole.”
Werner Haftmann, Burri fa “parlare la materia” per esprimere “la piaga del mondo e la minaccia del nulla affioranti dalla tragica forza evocativa di rifiuti putrefatti”, che all’osservatore sensibile comunicano le “crudeli esperienze della nostra vita”,