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La battaglia di Waterloo
 di V. Hugo


quot;La Battaglia di Waterlooquot; è un estratto dal romanzo quot;i Miserabiliquot; di Victor Hugo.

L’autore si trova per caso sulla strada di Nivelles, quando giunge davanti a una vecchia porta. Essa era
l’entrata di un castello del 1600. Subito la sua vista viene catturata da dei buchi semicircolari all’estremità
sinistra. Una contadina gli riferisce che sono stati provocati da colpi di cannone francesi e gli annuncia che si
trova ad Hougomont. Da questo punto in poi comincia la narrazione della battaglia di Waterloo avvenuta il 18
giugno del 1815.

La prima parte è incentrata sullo scontro sanguinoso che si svolse all’interno della masseria tra le quattro
compagnie delle guardie di Cooke (inglesi) e l’intero corpo di Reille (francesi). Colpisce molto la cura
meticolosa dei particolari simile a una radiocronaca; in ogni settore del fabbricato l’autore descrive lo stato
dei ruderi, indica le posizioni tenute dai due schieramenti. Molto toccante è la descrizione del pozzo nel quale
furono accumulati centinai di corpi; la leggenda narra che la notte seguente si sentirono i gemiti di quelli che
erano ancora vivi. Ci ha stupito molto come l’autore si sia soffermato sullo stato del frutteto limitrofo al
castello: tutti i tronchi dei meli portavano le cicatrici di quel drammatico giorno.

Come molti storici, anche Hugo si pose la domanda del perché Napoleone capitolò in quel giorno; l’unica
risposta che fu in grado di dare la ritroviamo nel caso, dominatore dei singoli che si fa interprete di un
destino: quot;Napoleone era stato denunciato nell’infinito e la sua caduta era decisa. Egli era d’ostacolo a Dio.
Waterloo non è una battaglia; è il mutamento di fronte all’universoquot; (Victor Hugo).

Prima di entrare nel vivo della descrizione epica il narratore dedica varie pagine alla persona di Napoleone e
l’autore sembra quasi assolverlo dal suo fallimento. Si devono sottolineare i riferimenti con la battaglia di
Austerlitz. In quell’occasione Napoleone vide sorgere il sole. A Waterloo, dopo una giornata nuvolosa,
l’imperatore lo vide tramontare; l’approccio stesso alla battaglia fu differente: nel 1805 era stato triste; fu
allegro a Waterloo. Per tutta la notte, sotto una pioggia incessante, l’imperatore era stato in giro a far visita ai
reparti, schernendo il generale nemico Wellington: quot;quell’inglesuccio ha bisogno di una lezionequot;. Alle dieci e
mezza l’esercito francese era tutto disposto; subito la battaglia si rivelò incerta. Da mezzogiorno alle quattro
vi è un periodo estremamente confuso come se la battaglia si fosse svolta in un’enorme mischia. Verso le
quattro del pomeriggio la situazione volge a favore dei francesi; le armate di sinistra dello schieramento
inglese erano pressoché distrutte: le armate di destra furono costrette a ripiegare al centro; l’unico punto
infatti, dove l’esito della battaglia era ancora oscuro, era proprio quello (spianata di Mont-Saint-Jean). La
fortezza di Hougomont e l’abitato di Haie-Sainte erano stati conquistati dai francesi. Dunque Napoleone per
concludere in fretta la pratica quot;Waterlooquot;, decise di impiegare la guardia, formata da due brigate di 3500
uomini ciascuna. Bisogna però sottolineare che prima di ciò Napoleone aveva chiesto a una sua guida,
Lacoste, se presso la cappella di Saint-Nicolas, situata sulla strada che collega Ohain a Brain-l’Allelud, vi fosse
qualche insidia. Egli rispose con un cenno del capo negativo. Ciò si dimostrerà un errore fatale, in quanto tre
quarti della seconda brigata cadde in un dirupo. Anche per mezzo di questo così futile incidente, Hugo ci fa
notare e noi lo approviamo in pieno, come la sconfitta non sia stata determinata da Wellington o da Blucher,
ma da Dio stesso.

Dopo quot;l’imprevistoquot;, si scatenò la battaglia: i corazzieri si lanciarono a briglia sciolta contro i tredici quadrati,
comprendenti fanteria ed artiglieria, inglesi. Anche se in numero nettamente inferiore i francesi mostrarono
un gran valore: quot;ogni corazziere equivaleva a dieci uomini inglesiquot; (V. Hugo). Dall’altra parte i quadrati
rimasero fermi nelle loro postazioni. Wellington, come ultima spiaggia, adoperò la sua cavalleria. Se
Napoleone, in quello stesso momento, avesse pensato alla sua fanteria, avrebbe vinto la battaglia; quella
dimenticanza fu il suo grande errore fatale. Ad un certo momento i corazzieri francesi si accorsero di essere
stati accerchiati, ma ciò non influì minimamente ed anzi riuscirono a rispondere ad ogni attacco. La spianata
era avvolta in un turbine di fuoco; tuttavia i corazzieri non erano riusciti nel loro scopo, infatti gran parte di
essa era ancora in mano agli inglesi, i quali subirono ingenti perdite.

Passate le cinque avviene ciò che Napoleone non avrebbe mai sperato che avvenisse, infatti le armate
prussiane di Bulow, guidato da una buona scorta, sbucano dalla strada sotto Plancenoit. Da qui in poi
comincia la catastrofe francese. Le grida quot;viva l’Imperatorequot; si tramutarono in un quot;si salvi chi puòquot;. L’esercito
ripiegò bruscamente e incominciò una fuga inesorabile. Ci fu un tentativo di resistenza che svanì alla prima
raffica della mitraglia prussiana.

Da qui in poi segnaliamo due episodi eroici. Quello del maresciallo Ney, il quale, sguainata la spada, urlò ai
suoi: quot;Venite a vedere come muore un maresciallo di Francia sul campo di battaglia!quot; e continuava quot;non v’è
dunque nulla per me? Oh, vorrei che tutte queste palle inglesi m’entrassero nel ventre!quot;. Il secondo riguarda
l’ultimo quadrato francese rimasto sulla spianata di Mont-Saint-Jean, comandato da un oscuro ufficiale,
chiamato Cambronne. Rimasti poco più di un manipolo di soldati, un generale inglese (Colville o Maitland)
propose loro la resa: Cambronne rispose quot;Merda!quot;. Chi non viene colpito da questa scurrile ma spontanea
affermazione? Essa infatti dimostra tutto il disappunto dell’ufficiale contro quella guerra nella quale sente
esservi una menzogna e nel momento in cui esplode di rabbia, gli offrono quella derisione che è la vita! Alla
parola di Cambronne, la voce inglese rispose: quot;Fuoco!quot;. Così si chiude l’era napoleonica e se ne apre una in cui
le rivoluzioni non si faranno più con la spada, ma con il pensiero in un certo senso un modo di compiere le
rivoluzioni non con la spada ma con il pensiero.

Napoleone si trova, ad un momento cruciale della sua carriera, a dover affrontare sul campo il nemico in uno
scontro che, a torto o a ragione, appariva decisivo, dal quale cioè dipendeva - o sembrava dipendere - l'intero
destino dei popoli che avevano a lui affidato la propria guida militare, nonché il proprio destino personale.

La responsabilità non risale a lui, per lo meno non del tutto. Essa ricade dapprima su Ney, che nella
precedente battaglia di Quatre Bras combinò tali pasticci da consentire ai prussiani di Bluecher di evitare
l'annientamento; in seguito su Grouchy il quale, invece di inserirsi con il proprio Corpo d'Armata tra Blucher e
Wellington, si spinse oltre le forze prussiane, lasciando aperta a costoro la via di Waterloo.

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  • 1. La battaglia di Waterloo di V. Hugo quot;La Battaglia di Waterlooquot; è un estratto dal romanzo quot;i Miserabiliquot; di Victor Hugo. L’autore si trova per caso sulla strada di Nivelles, quando giunge davanti a una vecchia porta. Essa era l’entrata di un castello del 1600. Subito la sua vista viene catturata da dei buchi semicircolari all’estremità sinistra. Una contadina gli riferisce che sono stati provocati da colpi di cannone francesi e gli annuncia che si trova ad Hougomont. Da questo punto in poi comincia la narrazione della battaglia di Waterloo avvenuta il 18 giugno del 1815. La prima parte è incentrata sullo scontro sanguinoso che si svolse all’interno della masseria tra le quattro compagnie delle guardie di Cooke (inglesi) e l’intero corpo di Reille (francesi). Colpisce molto la cura meticolosa dei particolari simile a una radiocronaca; in ogni settore del fabbricato l’autore descrive lo stato dei ruderi, indica le posizioni tenute dai due schieramenti. Molto toccante è la descrizione del pozzo nel quale furono accumulati centinai di corpi; la leggenda narra che la notte seguente si sentirono i gemiti di quelli che erano ancora vivi. Ci ha stupito molto come l’autore si sia soffermato sullo stato del frutteto limitrofo al castello: tutti i tronchi dei meli portavano le cicatrici di quel drammatico giorno. Come molti storici, anche Hugo si pose la domanda del perché Napoleone capitolò in quel giorno; l’unica risposta che fu in grado di dare la ritroviamo nel caso, dominatore dei singoli che si fa interprete di un destino: quot;Napoleone era stato denunciato nell’infinito e la sua caduta era decisa. Egli era d’ostacolo a Dio. Waterloo non è una battaglia; è il mutamento di fronte all’universoquot; (Victor Hugo). Prima di entrare nel vivo della descrizione epica il narratore dedica varie pagine alla persona di Napoleone e l’autore sembra quasi assolverlo dal suo fallimento. Si devono sottolineare i riferimenti con la battaglia di Austerlitz. In quell’occasione Napoleone vide sorgere il sole. A Waterloo, dopo una giornata nuvolosa, l’imperatore lo vide tramontare; l’approccio stesso alla battaglia fu differente: nel 1805 era stato triste; fu allegro a Waterloo. Per tutta la notte, sotto una pioggia incessante, l’imperatore era stato in giro a far visita ai reparti, schernendo il generale nemico Wellington: quot;quell’inglesuccio ha bisogno di una lezionequot;. Alle dieci e mezza l’esercito francese era tutto disposto; subito la battaglia si rivelò incerta. Da mezzogiorno alle quattro vi è un periodo estremamente confuso come se la battaglia si fosse svolta in un’enorme mischia. Verso le quattro del pomeriggio la situazione volge a favore dei francesi; le armate di sinistra dello schieramento inglese erano pressoché distrutte: le armate di destra furono costrette a ripiegare al centro; l’unico punto infatti, dove l’esito della battaglia era ancora oscuro, era proprio quello (spianata di Mont-Saint-Jean). La fortezza di Hougomont e l’abitato di Haie-Sainte erano stati conquistati dai francesi. Dunque Napoleone per concludere in fretta la pratica quot;Waterlooquot;, decise di impiegare la guardia, formata da due brigate di 3500 uomini ciascuna. Bisogna però sottolineare che prima di ciò Napoleone aveva chiesto a una sua guida, Lacoste, se presso la cappella di Saint-Nicolas, situata sulla strada che collega Ohain a Brain-l’Allelud, vi fosse qualche insidia. Egli rispose con un cenno del capo negativo. Ciò si dimostrerà un errore fatale, in quanto tre quarti della seconda brigata cadde in un dirupo. Anche per mezzo di questo così futile incidente, Hugo ci fa notare e noi lo approviamo in pieno, come la sconfitta non sia stata determinata da Wellington o da Blucher, ma da Dio stesso. Dopo quot;l’imprevistoquot;, si scatenò la battaglia: i corazzieri si lanciarono a briglia sciolta contro i tredici quadrati, comprendenti fanteria ed artiglieria, inglesi. Anche se in numero nettamente inferiore i francesi mostrarono un gran valore: quot;ogni corazziere equivaleva a dieci uomini inglesiquot; (V. Hugo). Dall’altra parte i quadrati rimasero fermi nelle loro postazioni. Wellington, come ultima spiaggia, adoperò la sua cavalleria. Se Napoleone, in quello stesso momento, avesse pensato alla sua fanteria, avrebbe vinto la battaglia; quella dimenticanza fu il suo grande errore fatale. Ad un certo momento i corazzieri francesi si accorsero di essere stati accerchiati, ma ciò non influì minimamente ed anzi riuscirono a rispondere ad ogni attacco. La spianata era avvolta in un turbine di fuoco; tuttavia i corazzieri non erano riusciti nel loro scopo, infatti gran parte di essa era ancora in mano agli inglesi, i quali subirono ingenti perdite. Passate le cinque avviene ciò che Napoleone non avrebbe mai sperato che avvenisse, infatti le armate prussiane di Bulow, guidato da una buona scorta, sbucano dalla strada sotto Plancenoit. Da qui in poi comincia la catastrofe francese. Le grida quot;viva l’Imperatorequot; si tramutarono in un quot;si salvi chi puòquot;. L’esercito
  • 2. ripiegò bruscamente e incominciò una fuga inesorabile. Ci fu un tentativo di resistenza che svanì alla prima raffica della mitraglia prussiana. Da qui in poi segnaliamo due episodi eroici. Quello del maresciallo Ney, il quale, sguainata la spada, urlò ai suoi: quot;Venite a vedere come muore un maresciallo di Francia sul campo di battaglia!quot; e continuava quot;non v’è dunque nulla per me? Oh, vorrei che tutte queste palle inglesi m’entrassero nel ventre!quot;. Il secondo riguarda l’ultimo quadrato francese rimasto sulla spianata di Mont-Saint-Jean, comandato da un oscuro ufficiale, chiamato Cambronne. Rimasti poco più di un manipolo di soldati, un generale inglese (Colville o Maitland) propose loro la resa: Cambronne rispose quot;Merda!quot;. Chi non viene colpito da questa scurrile ma spontanea affermazione? Essa infatti dimostra tutto il disappunto dell’ufficiale contro quella guerra nella quale sente esservi una menzogna e nel momento in cui esplode di rabbia, gli offrono quella derisione che è la vita! Alla parola di Cambronne, la voce inglese rispose: quot;Fuoco!quot;. Così si chiude l’era napoleonica e se ne apre una in cui le rivoluzioni non si faranno più con la spada, ma con il pensiero in un certo senso un modo di compiere le rivoluzioni non con la spada ma con il pensiero. Napoleone si trova, ad un momento cruciale della sua carriera, a dover affrontare sul campo il nemico in uno scontro che, a torto o a ragione, appariva decisivo, dal quale cioè dipendeva - o sembrava dipendere - l'intero destino dei popoli che avevano a lui affidato la propria guida militare, nonché il proprio destino personale. La responsabilità non risale a lui, per lo meno non del tutto. Essa ricade dapprima su Ney, che nella precedente battaglia di Quatre Bras combinò tali pasticci da consentire ai prussiani di Bluecher di evitare l'annientamento; in seguito su Grouchy il quale, invece di inserirsi con il proprio Corpo d'Armata tra Blucher e Wellington, si spinse oltre le forze prussiane, lasciando aperta a costoro la via di Waterloo.