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Indice




Presidente
On. Ombretta Colli                                                 Introduzione                                             7
                                                                   La lingua la sa lunga                                    11
Assessore alla cultura e beni culturali
Paola Iannace                                                      Conviene darsi una regolata                              13
                                                                   Fidarsi è bene, controllare è meglio                     17
Direttore Centrale Turismo e Cultura
Pia Benci                                                          Si scrive perché o perchè? Boh!                          21
                                                                   La Maria è promossa, il Paolo invece no                  27
Direttore Settore Cultura
Massimo Cecconi                                                    I Santi si distinguono anche dall’apostrofo              31
                                                                   Assassinii e assassini. A volte il plurale è micidiale   37
Servizio Biblioteche
Cristina Borgonovo, Osvaldo Carpinelli,                            I pronomi: un argomento scottante                        41
Patrizia Salerni, Dario Salvetti, Alessandra Scarazzato            M o N? Scopriamo la differenza                           45

Ufficio Stampa                                                     L’anacoluto non è una parolaccia                         49
Pinuccia Merisio, Marco Piccardi, Veronica Sebastianelli           La congiuntivite e altre patologie verbali               53

Concept, progetto grafico e illustrazioni                          Le maiuscole. Attenzione alle stonature!                 59
DBM Comunicazione                                                  I punti cardinali della punteggiatura                    63

Revisione editoriale                                               Parole ed espressioni da rottamare                       69
DBM Comunicazione                                                  La d eufonica: una consonante dalla vita sregolata       73

In copertina                                                       Come prendere le preposizioni per il verso giusto        75
Elaborazione grafica Linda Berardi                                 Salviamo il mondo dal cerchiobottismo                    79

Copyright © 2004 Provincia di Milano                               L’Italiano è wonderful                                   83
                                                                   Dulcis in fundo                                          85
Finito di stampare da Arti Grafiche Stefano Pinelli Srl, Milano,
nel mese di aprile 2004                                            Appendice                                                87

                                                                                                                                 5
Introduzione




6
Questa breve pubblicazione nasce con lo scopo di offrire
    un aiuto semplice e pratico a quanti, giovani e adulti, sono inte-
    ressati ad approfondire le loro conoscenze sul corretto uso della
    nostra lingua e delle regole che la governano, o sentono il bisogno
    di risolvere perplessità e dubbi linguistici, consapevoli dell’impor-
    tanza rappresentata dalla forma in cui ci si esprime o si scrive.
              Chi ascolta un’esposizione verbale o legge uno scritto è
    infatti spinto, di primo acchito, a giudicare l’educazione e il grado
    di cultura del proprio interlocutore o dello scrivente attraverso la
    valutazione di ciò che sente o legge.
              Questo piccolo manuale non ha la pretesa di essere un
    testo di grammatica completo e organico: come potrebbe esserlo
    del resto con le sue ridottissime dimensioni? È invece solo un sem-
    plice vademecum, di agevole consultazione, un insieme di consigli
    riguardanti alcuni punti chiave su cui si regge la struttura della
    nostra lingua, che, secondo i più autorevoli linguisti, ha purtroppo
    subìto negli ultimi tempi un lento degrado che si riflette anche in
    una banalizzazione del linguaggio.
              La cultura è anche e soprattutto rispetto dei fondamenti e
    della ricchezza della lingua, intesa come insieme delle leggi che la
    governano, nate non per caso ma per necessità funzionali, eredità
    di una tradizione colta, diventata popolare quando è stata recepita
    come patrimonio comune.
              Al fine di contribuire al recupero di un valore giustamen-
    te considerato irrinunciabile, nel dicembre 2002 è stato presentato
    a Roma, dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali,
    un Disegno di Legge riguardante l’istituzione di un Consiglio
    Superiore della Lingua Italiana, massima espressione dell’identità
    nazionale e ricchezza che non può essere trascurata.
              L’iniziativa si affianca a quella delle maggiori Istituzioni
    Culturali che nel nostro Paese sono impegnate nella difesa della
    nostra lingua: in particolare l’Accademia della Crusca e la Società
    Dante Alighieri.
              Il primo obiettivo del nuovo organismo è l’elaborazione di
    una grammatica ufficiale; nell’attesa, la Provincia di Milano ha
    inteso precorrere i tempi con questa piccola guida, che per sua
    natura ha necessariamente trascurato tanti argomenti, ma che può
    comunque rappresentare un simpatico manuale di pronto soccorso,
    per sgombrare il campo da tante incertezze e soddisfare dubbi e
    curiosità, per alcuni, fin qui irrisolte.
                                                             Paola Iannace
                                       Assessore alla cultura e beni culturali
                                                         Provincia di Milano

8                                                                                9
La lingua la sa lunga
                 Tutto muta e si evolve intorno a noi, con una rapi-
     dità a volte sconcertante: il paesaggio urbano, gli stili di vita,
     gli atteggiamenti, gli interessi, le propensioni, le mode, le tec-
     nologie sempre più sofisticate. Anche la lingua, sia pure più
     lentamente, cambia, non essendo materia statica ma un ele-
     mento in continuo divenire: per l’introduzione di nuovi voca-
     boli, per la costruzione dei periodi che oggi si fanno più con-
     cisi e riflettono, adeguandosi, i ritmi della vita moderna.
                 La forma è più incalzante, più diretta, volta al nucleo
     della comunicazione. È questo soprattutto il linguaggio delle
     nuove generazioni, che intendono così trasferire nella lingua
     il loro dinamismo, la passione per la velocità, il bisogno di
     immediatezza.
                 Ci possiamo rendere conto della trasformazione con-
     sultando testi di autori noti risalenti a poche decine di anni fa:
     non corrispondono più alle attuali abitudini espressive.
     Leggendo invece una pagina de I promessi sposi si scopre sùbito
     la modernità e la limpidezza della prosa del Manzoni, che lo
     fanno apparire contemporaneo. Questo accade ai “grandi”, che
     hanno saputo adottare un linguaggio in grado di sfidare i secoli.
                 Nonostante la lingua si adegui alla trasformazione
     dei tempi, comunque, non dovrebbe perdere i puntelli rap-
     presentati dalle regole di base, che sono come le chiavi di
     volta o i muri maestri senza i quali un edificio non si regge
     in piedi. Quando non sono rispettate le regole, comunque
     necessarie in ogni forma di vita sia fisica che sociale, da un
     cedimento all’altro si assiste all’impoverimento progressivo
     della lingua, all’arbitrio di ciascuno di procedere al suo
     smantellamento, per evitare lo sforzo di apprenderne i detta-
     mi, e l’impegno nel rispettarli. Ma sono davvero così diffici-
     li le norme sulle quali questo manualetto intende richiama-
     re l’attenzione? L’Assessore Paola Iannace pensa di no. Per
     dimostrare la propria convinzione ha dato inizio alla sfida,
     nella certezza che sia indispensabile continuare a mantenere
     vitale un emblema della nostra “italianità”: la lingua dei
     padri; la sua conoscenza corretta è una ricchezza che per-
     mette a ciascuno di esprimersi in modo chiaro e completo, e
     anche questo è un segno di civiltà e di democrazia.

10                                                                         11
Conviene darsi
                una regolata



            LE RAGIONI DELLE REGOLE
         Molti si saranno domandati fin dai tempi della
scuola quali siano i motivi per i quali è indispensabile rispet-
tare le regole della lingua. Tenteremo allora di offrire qui
una risposta, ricordando che perfino nell’universo tutto si
muove seguendo un ordine preciso, e che l’uomo preistorico
ha iniziato a evolversi solo quando ha sentito la necessità di
organizzarsi secondo leggi e ordinamenti.
         La lingua non è una scienza esatta, d’accordo, ma
deve pur sempre essere sorretta da norme, le regole appun-
to, e da princìpi che ne sorreggano l’impalcatura. Da que-
sto si deduce che le regole non sono nate per capriccio di
qualche mente sadica, come possono pensare gli studenti,
allo scopo di complicare la loro vita; no: hanno tutte una
funzione logica, di cui possiamo qui ricordare almeno tre
punti basilari:

   1     Doverosa fedeltà alla costruzione originaria o al
         vocabolo da cui il termine italiano deriva: dal
         Latino e dal Greco soprattutto, ma anche
         dall’Arabo o da altra lingua straniera, fatto molto
         comune in Italia, che fu per secoli teatro di scontri
         e occupazioni da parte di Francesi, Tedeschi,
         Spagnoli, e Arabi in Sicilia, i quali ci lasciarono in
         eredità tra l’altro una parte del loro lessico.

   2     Necessità di chiarire opportunamente un significa-
         to, un concetto, un pensiero, attraverso la scelta
         dell’una o dell’altra forma grammaticale, come
         appare, per esempio, nell’utilizzo dell’indicativo o      pag. 53
         del congiuntivo (vedi pag. 53).

                                                                   13
Esigenze eufoniche, (dal Greco eufonìa = bellezza di              Infine, un quarto pittogramma inviterà i lettori a fer-
        3     suono) per evitare una pronuncia sgradevole o dif-       mare l’attenzione su argomenti di primaria importanza, quali
              ficoltosa.                                               regole, dubbi, scorrettezze ed errori da evitare assolutamente.

              Nel corso della trattazione si farà spesso riferimento
     a queste tre ragioni fondamentali, cui se ne aggiungeranno di
     volta in volta altre, dettate soprattutto da un bisogno di pre-
     cisione o di eleganza espressiva. Il proposito è comunque
     quello di spiegare sempre i vari perché: dopo averli compre-
     si, diventerà più facile per ciascuno ricordare e mettere in
     pratica ogni regola.


        Per rendere immediata la comprensione delle regole
             citate si utilizzeranno, a supporto del testo,
          i seguenti simboli visivi, anche detti pittogrammi:




         regola   1




         regola   2



         regola   3



14                                                                                                                                        15
Fidarsi è bene,
          controllare è meglio



         GLI STRUMENTI INDISPENSABILI
           L’amore e il rispetto per l’Italiano si avvalgono di
un supporto prezioso e di pronto utilizzo: un ottimo vocabo-
lario in cui i lemmi (vocaboli), accentati per indicare la cor-
retta pronuncia, vengono definiti con precisione, oppure un
dizionario, solo apparente sinonimo del precedente, in quan-
to si tratta di un testo di uso più ampio, che può contenere
anche derivazioni etimologiche, regole e irregolarità gram-
maticali, ausiliari dei verbi irregolari e altro ancora.
           In nessuna casa dovrebbe mancare almeno una
copia dell’uno o dell’altro, ampia e aggiornata. Si raccoman-
da inoltre l’aggiunta di un dizionario dei sinonimi e dei contra-
ri, indispensabile nella forma scritta per evitare ripetizione di
termini, che conferiscono ai periodi un andamento sciatto.
           La straordinaria ricchezza della nostra lingua, che
possiede decine di sinonimi per la maggioranza dei vocabo-
li, così da poter scegliere la sfumatura di significato più adat-
ta caso per caso, permette di usufruire di una eccezionale
varietà espressiva; eppure molti si accontentano di utilizzare
un numero ristretto di parole, per pigrizia mentale o scarsi-
tà di fantasia o disinteresse, ed è un peccato: agendo così si
rinuncia a un bene alla portata di tutti, prezioso poiché per-
mette di trasmettere pensieri, emozioni, sentimenti con una
gamma infinita di alternative. È come se avendo a disposi-
zione un magnifico pianoforte a coda ci si limitasse a trarne
alcune semplici canzoncine infantili.
           Un valido dizionario dei sinonimi e dei contrari
può servire quando, rileggendo uno scritto, ci si rende conto
di una o più ripetizioni di parole: se non vengono in mente
alternative, lo si consulterà allora alla ricerca di possibili
varianti.

                                                                    17
Potremmo citare l’esempio del verbo “fare”, che di                Non si speri per esempio che sia in grado di distin-
     per sé significa soltanto operare, agire, eseguire, mentre viene   guere tra: da preposizione, che rifiuta l’accento, dà presente
     solitamente adoperato in un grande numero di occasioni             indicativo di 3a persona del verbo dare, che invece lo esige,
     con uno squallido appiattimento del linguaggio. Poiché pos-        da’ imperativo di 2a persona dello stesso verbo, che richiede     pag. 35
     siede una settantina di sinonimi, sarà opportuno scegliere         l’apostrofo (vedi pag. 35).
     quello più adatto caso per caso, così da rendere l’espressione
     più colorita e appropriata.                                                 In casi simili, per riconoscere il valore di ciascuno,
                                                                        occorre l’intervento dell’intelligenza personale di chi scrive,
                                                                        che dimostrerà una volta di più la propria superiorità su
                 ESEMPI DI SINONIMI APPROPRIATI                         quella della macchina, la quale ha pur sempre dei limiti.

      fare la prima elementare → frequentare

      fare il medico → esercitare, svolgere la professione di..

      fare domande → rivolgere, porre, presentare, compilare

      fare un’alleanza → stringere, concludere

      fare un discorso → pronunciare, intavolare, improvvisare



                  FIDARSI TOTALMENTE DEL
                    “CORRETTORE” DEL PC?
               Il personal computer si sta diffondendo rapida-
     mente, e rappresenta un aiuto senza dubbio utile per colo-
     ro che amano scrivere o devono farlo per ragioni di lavoro.
     Molti apparecchi sono dotati di correttore automatico che
     avvisa degli errori grafici, ma anche di quelli ortografici e
     grammaticali.
               Tuttavia non si può pretendere che l’intelligenza
     artificiale del pc arrivi a scegliere opportunamente tra le
     varie grafie che alcuni vocaboli possiedono, dovute alle
     diverse funzioni da essi esercitate nel discorso.


18                                                                                                                                        19
Si scrive perché o
               perchè? Boh!



                 VOCALI ACCENTATE
          La lingua italiana, a differenza della francese e della
spagnola, fa un parco uso del simbolo grafico dell’accento,
chiamato tonico quando serve per indicare la vocale su cui
appoggia il tono di voce, fonico quando riguarda il suono
aperto o chiuso della o e della e, le uniche vocali italiane
che possiedono doppia pronuncia.
          Due sono i tipi di accento fonico: acuto, con verti-
ce alto verso destra, per indicare suono chiuso (perché, qué-
sto) oppure grave, con vertice alto verso sinistra, per indica-
re suono aperto (cièlo, tè, cioè, pòrto).
          In pratica la lingua italiana pone l’accento tonico
soltanto sull’ultima vocale delle parole tronche (esempio
pietà), sull’unica vocale di alcuni monosillabi (vedi paragra-      pag. 23
fo seguente) o all’interno di parole che mutano significato
con lo spostamento dell’accento (vedi tabella seguente),
benché ormai tale pratica sia poco usata, dal momento che
il senso stesso della frase serve a stabilire l’accentazione cor-
retta. Nessuno dirà infatti: “Vieni subìto!” come si ode nei
vecchi film di Stanlio e Ollio, che anche su certe storpiatu-
re di vocaboli italiani puntavano la loro comicità.

          Esempi di spostamento di accento su parole omoni-
me (aventi la stessa grafia) che produce cambiamento di
significato:

àncora (strumento per imbarcazioni)
ancòra (avverbio di tempo)

càpitano (verbo “capitare”)
capitàno (grado di comando)

                                                                    21
sùbito (avverbio di tempo)                                                Ci sarebbe poi l’accento circonflesso (con congiun-
     subìto (verbo “subire”)                                          zione al vertice degli accenti acuto e grave), tuttavia ormai
                                                                      pressoché scomparso: può ancora accadere di incontrarlo in
     prìncipi (plurale di “principe”)                                 poesia, per indicare una contrazione di lettere o per sostituire
     princìpi (plurale di “principio”)                                la doppia i nel plurale delle parole terminanti in io accentata.


     E inoltre: benché l’indicazione dell’accento fonico per                     L’ACCENTO SUI MONOSILLABI
     segnalare la pronuncia aperta o chiusa della o e della e
     appaia esclusivamente su vocabolari e dizionari, si ricordi               Nei vocaboli con una sola vocale l’accento tonico
     che la scelta dell’una o dell’altra pronuncia è importante per   non dovrebbe essere necessario, poiché è evidente che non
     chiarire il significato di alcune parole omonime:                può esistere dubbio di pronuncia: “per”, “il”, “no”, “re”, ecc.
                                                                      non potranno che essere pronunciati in un solo modo, quin-
     accétta (strumento di taglio)                                    di l’accento non serve.
     accètta (verbo “accettare”)                                               Tuttavia esiste un gruppetto di monosillabi che esi-
                                                                      gono ugualmente l’accento, per distinguerli dai loro omoni-
     ésca (verbo “uscire”)                                            mi, vocaboli aventi la stessa grafia, ma diverso significato.
     èsca (cibo per attirare i pesci)

     bótte (recipiente di legno)                                                                 Esaminiamoli
     bòtte (percosse)                                                 MONOSILLABI ACCENTATI             MONOSILLABI SENZA ACCENTO
                                                                      è    → verbo essere                e    → congiunzione
               Nelle parole tronche la vocale o possiede sempre       sì → avverbio di affermazione      si   → pronome o particella
     accento grave, mentre la vocale e può avere accento acuto                                                  pronominale
     o grave; in caso di dubbio è opportuno affidarsi a un voca-
     bolario, per prendere atto della grafìa e quindi della pronun-   dà → 3a persona presente           da → preposizione
     cia più corretta.                                                       indicativo verbo dare
                                                                      dì → giorno (poetico)              di → preposizione
                                                                      lì   → avverbio di luogo           li   → pronome
                              Riassumendo
                                                                      là → avverbio di luogo             la → articolo o pronome
             PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE O:                                                                  personale femminile
                                                                      ché → congiunzione “perché”        che → congiunzione o
              falò     comò      però       paltò   pedalò                  (poetico)                          pronome relativo
                                                                      tè → bevanda                       te → pronome
             PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE E:                          sé → pronome                       se → congiunzione
             noè     cosicché      lacchè     viceré   bebè           né → congiunzione negativa         ne → pronome o avverbio


22                                                                                                                                       23
Già, ma perché? Infatti la regola non dovrebbe
                              Nota Bene                               essere accettata come una verità rivelata, ma per un motivo
                                                                      logico: questi due monosillabi non hanno omonimi, a meno
      Quando il pronome sé è accompagnato da stesso o mede-           che non si voglia fare riferimento per uno di essi al suono
      simo non dovrebbe essere accentato, essendo già suffi-          emesso dall’oca.
      ciente il termine che l’accompagna per chiarire la sua
      natura. Alcuni linguisti non sono d’accordo, e insistono                 Come già è stato chiarito a proposito delle note
      sulla legittimità dell’accento, che tuttavia sarebbe meglio     musicali, anche le voci cosiddette onomatopeiche, che
      eliminare poiché superfluo, dal momento che la sua unica        riproducono cioè suoni o rumori, non rientrano nel nove-
      funzione è quella di distinguere il pronome sé dalla corri-     ro delle “parti del discorso” vere e proprie.
      spondente congiunzione, distinzione già effettuata dagli
      aggettivi dimostrativi stesso o medesimo.

              A questo proposito qualcuno potrebbe obiettare
     che i nomi delle note musicali sono tutti omonimi di altret-
     tanti vocaboli, i quali dovrebbero quindi essere accentati per
     la regola sopra esposta; si noti tuttavia che le note musicali
     non sono classificabili come “parti del discorso”, quindi nel
     nostro caso non se ne deve tenere conto.

               Un accento irragionevole, che ancora si legge nelle
     date, usato soprattutto in corrispondenze commerciali,
     riguarda uno strano lì collocato tra l’indicazione del luogo e
     la data stessa.

                               Esempio

                     Palermo, lì 30 aprile 2004

              È eredità di una forma arcaica priva ormai di giusti-
     ficazione.

              Per concludere non possiamo dimenticare i due
     avverbi di luogo qui e qua sulla cui assenza di accento nessu-
     no ha dubbi per merito di un certo ritornello, ben chiaro
     nella mente di tutti fin dalla prima elementare:

                 Su qui e qua l’accento non va


24                                                                                                                                  25
La Maria è promossa,
           il Paolo invece no



                L’ARTICOLO MASCHILE
           L’uso appropriato degli articoli determinativi
maschili il, lo (sing.), i, gli (plur.), e degli articoli indetermi-
nativi maschili un, uno, può a volte generare dubbi: per que-
sto conviene esaminarne il corretto utilizzo.
           Lo, il suo plurale gli e i loro composti si usano con
nomi maschili inizianti con vocale (in tale caso lo si elide,          pag. 31
cioè si apostrofa, come vedremo tra poco (pag. 31), mentre
gli si elide solo davanti a i).
           Si usano inoltre con i nomi inizianti con le conso-
nanti x, z, s impura (seguita cioè da consonante):

lo xenofobo → gli xenofobi
lo zio → gli zii
lo sciatore → gli sciatori

         Lo stesso accade coi gruppi di consonanti pn, ps,
gn, per ragioni eufoniche:

lo pneumatico → gli pneumatici
lo psicologo → gli psicologi
lo gnomo → gli gnomi

          Il, il suo plurale i e i loro composti si usano con
nomi maschili inizianti per consonante, con esclusione dei
già citati pn, ps, gn, x, z, s impura.
          La ragione è semplice: per evitare l’accostamento
della lettera l, terminale di il, con le consonanti e i gruppi di
consonanti precedenti, che produrrebbe un suono estraneo
alla dolcezza della lingua italiana.

                                                                       27
Il psicologo, per esempio, o il gnomo hanno un
          suono veramente sgradevole.                                                                     Esempio

                                                                                         L’ALIGHIERI, ma non IL DANTE ALIGHIERI
                       Nel rispetto della regola, suocero,
                 iniziante per s pura, cioè seguita da vocale,
                                                                                        Nel linguaggio familiare, tuttavia, è concesso l’arti-
                      esige l’articolo il e non l’articolo lo,                  colo con nomi e cognomi femminili.
                     come si sente e si vede scritto spesso.
                                                                                                          Esempio
                     L’articolo indeterminativo uno si adopera unica-
          mente davanti ai nomi maschili che iniziano con le conso-                           LA MARIA, LA BRAMBILLA, ecc.
          nanti o i gruppi di consonanti citati a proposito dell’artico-
          lo lo (pn, ps, gn, x, z ed s impura) mentre in tutti gli altri casi
          si usa l’articolo indeterminativo un (troncamento di uno).                    Benché si stia diffondendo l’uso dell’articolo
                                                                                anche coi nomi propri maschili, si ricordi che si tratta di
                                                                                forma scorretta.
                                   Avremo perciò
                                                                                          I nomi di parentela primitivi accompagnati dal pos-
                    un artista, un usciere, un cane, ecc.,                      sessivo rifiutano l’articolo (mia madre, tuo zio, nostro
            ma anche uno gnomo, uno sciocco, uno zotico, ecc.,                  nonno), mentre se sono alterati (vezzeggiativi, diminutivi,
              poiché la lettera n, terminale di un, accostata a                 ecc.), o ottenuti con l’aggiunta di prefissi (prozio, bisnonno,
                pn, ps, gn, ecc., rappresenta una stonatura.                    ecc.) o suffissi (sorellastra, ecc.), lo esigono.

                                                                                                          Esempio
                          L’ARTICOLO FEMMINILE
                                                                                     LA NOSTRA CUGINETTA, LA TUA NONNINA,
                    Mentre gli articoli determinativi femminili la, le non                    IL VOSTRO BISNONNO
          creano problemi, le perplessità nascono a volte con l’utilizzo
          dell’articolo indeterminativo femminile una, che dinanzi a                    Attenzione!
pag. 31   parole inizianti con vocale perde la a finale sostituita dall’apo-    “mamma”, “papà” e “babbo” sono considerati vezzeggiativi,
          strofo, a causa della necessità dell’elisione (vedi pag. 31).         e come tali richiedono l’articolo in presenza del possessivo:

                                                                                         LA MIA MAMMA, e non MIA MAMMA
                 L’ARTICOLO CON NOMI PROPRI DI
               PERSONA E CON NOMI DI PARENTELA
                    Si eviti l’articolo dinanzi ai nomi propri di persona,
          a meno che non si tratti di personaggi celebri, nel quale caso
          lo si userà dinanzi al solo cognome.


    28                                                                                                                                            29
I Santi si distinguono
         anche dall’apostrofo



      L’APOSTROFO, SEGNO DELL’ELISIONE
         È il segno che si colloca in alto a destra in fine di una
parola, per indicare la caduta della vocale o della sillaba finale
dinanzi ad altra parola iniziante per vocale; tale soppressione
prende il nome di elisione (da elidere, cioè sopprimere).
         Lo scopo è quello di evitare per ragioni eufoniche (vedi    pag. 14
pag. 14) l’incontro di due vocali che produrrebbe iato (dal
Latino hiatus “apertura della bocca”), con leggera difficoltà di
pronuncia. È evidente che riesce più agevole dire l’oceano,
anziché lo oceano: per questo la o dell’articolo cade, si elide.

Si faccia attenzione ai seguenti casi

         L’elisione dell’articolo indeterminativo femminile
una dinanzi ai nomi femminili inizianti per vocale, con
necessaria introduzione dell’apostrofo, potrebbe spingere a
volte a tralasciare quest’ultimo; infatti tale articolo, diven-
tando un per la perdita della a finale, viene spesso erronea-
mente confuso col corrispondente maschile, che non richie-
de l’apostrofo.

                            Esempio

         un’anatra, un’ostrica, un’unghia, un’estate

Dimenticare l’apostrofo, in questi e in altri casi simili, costi-
tuisce grave errore.

          Gli articoli gli e le e i loro composti si possono eli-
dere (ma è preferibile evitarlo), soltanto davanti a nomi plu-
rali inizianti rispettivamente per i ed e, mentre non si pos-
sono elidere dinanzi alle altre vocali.
                                                                     31
che possono perdere, in base al gusto di chi scrive, la vocale
                                Esempio                                 finale: venir meno, poter dire, ecc.
                                                                                  Non esistono dubbi quando la parola seguente ini-
        CORRETTO:        gl’Inglesi, l’estati                           zia per consonante; chi penserebbe infatti di scrivere per
        ERRATO:          gl’amici, l’ultime provviste                   esempio buon’ cavallo o mar’ Mediterraneo, nonostante la
                                                                        caduta delle vocali finali?
            Si noti anche che quando le assume funzione di                        L’incertezza sorge (apostrofo sì, apostrofo no?, quin-
     pronome, non si può mai elidere.                                   di elidere un termine o troncarlo, evitando l’apostrofo?)
                                                                        dinanzi a vocaboli inizianti per vocale.
                                Esempio
                                                                                      Il consiglio pratico è il seguente
        CORRETTO:        Le esternai (a lei) la mia perplessità
        ERRATO:          L’esternai la mia perplessità
                                                                         si provi a porre il termine su cui si è dubbiosi dinanzi
               Abbiamo visto che l’elisione avviene in fine di           ad altro dello stesso genere che inizi per consonante:
     parola: la si può tuttavia trovare anche all’inizio, quando si      se l’accostamento è compatibile si tratta di troncamen-
     citano anni passati, eliminando le prime due cifre.                 to (quindi l’apostrofo sarebbe errato), altrimenti occor-
                                                                         re elidere, inserendo l’apostrofo.
                                Esempio

                      il ’45, il ’68, nel ’99, ecc.                             Si noti che lo stesso termine può utilizzare il tron-
                                                                        camento dinanzi ai nomi maschili, e l’elisione dinanzi ai
              La soppressione è tuttavia concessa soltanto              femminili. Pare complicato, ma in pratica non lo è.
     quando si fa riferimento al secolo precedente, perciò non
     è più consentito, negli anni 2000, scrivere il ’48 per indi-                  Vediamo qualche esempio:
     care il 1848.                                                      tal uomo non richiede l’apostrofo perché posso scrivere
                                                                        tal dispiacere;
                                                                        qual esempio non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
               IL TRONCAMENTO: QUANDO                                   qual buon vento.
              L’APOSTROFO NON È AMMESSO
                                                                                  Si faccia particolare attenzione all’indispensabile
              Si dice troncamento la soppressione della vocale          troncamento (quindi non elisione) di qual dinanzi al verbo
     finale oppure dell’ultima sillaba di un vocabolo, purché non       essere, nelle forme inizianti con la vocale e.
     accentate, che avviene senza apostrofo, il cui inserimento         Esempio: qual è, qual era, ecc.
     rappresenterebbe un errore.                                        Ben arrivato non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
                                                                        ben detto.
               Ecco i casi più comuni di parole soggette a tronca-      Nessun esito non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
     mento: tal, qual, ben, buon, nessun, mar, signor, suor, amor,      nessun dolore.
     fior e gli aggettivi indefiniti maschili alcun, ciascun, nessun,   Invece, pover’uomo richiede l’apostrofo, perché non potrei
     qualcun. A questi si aggiungono gli infiniti di alcuni verbi       scrivere pover ragazzo.


32                                                                                                                                         33
E passiamo ai femminili:
     nessun’amica richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere                  TRONCAMENTI IRREGOLARI
     nessun compagna.
     Buon’idea richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere                   Nonostante il troncamento rifiuti l’apostrofo, alcu-
     buon famiglia.                                                     ni vocaboli lo esigono, benché la caduta della vocale o della
     Tal amica non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere tal      sillaba finale non sia stata provocata da ragioni eufoniche,
     ragazza.                                                           come accade con l’elisione di cui abbiamo appena trattato.
                                                                        Attenzione: si tratta di eccezioni che richiedono l’apostro-
                              Riassumendo                               fo, ma non l’accento, che rappresenterebbe un errore.

           APOSTROFO NO                       APOSTROFO SÌ              Un po’ → sta per un poco
           tal uomo                           pover’uomo                A mo’di → sta per a modo di
           qual esempio                       nessun’amica              Pie’    → sta per piede (a ogni pie’ sospinto,
           qual è, qual era                   buon’idea                           a pie’ di pagina)
           ben arrivato                                                 Fe’     → sta per fede (forma antiquata usata un tempo
           nessun esito                                                           in poesia)
           tal amica                                                    Be’     → sta per bene! (avverbio di modo)

                                                                                  Molti, spesso anche giornalisti o scrittori di un
              Un’osservazione particolare merita san, troncamen-        certo nome, scrivono questa esclamazione in forma discuti-
     to di santo, che si tronca dinanzi a nomi propri inizianti per     bile: bè, beh.
     consonante:                                                                  Il primo caso (bè) è elencato nei vocabolari come voce
     san Gerolamo, san Pancrazio, san Luca, san Gennaro                 imitativa del belato, scritta anche con prolungamento della
                                                                        vocale, mentre beh, assimilato da alcuni grammatici ad altre
     mentre riprende la sua struttura originaria dinanzi a quelli       esclamazioni accompagnate dall’h finale (ah!, oh!, ecc.), è accet-
     che cominciano per vocale, ovviamente con l’elisione della         tato con la solita scusa che “si tratta ormai di uso comune”.
     vocale finale:                                                               Chi intende scrivere correttamente, sceglierà
     sant’Ambrogio, sant’Onofrio, sant’Antonio                          comunque la forma col troncamento irregolare: be’!

              Per concludere l’argomento ricordiamo che davan-                   Particolarmente incerta per i più, inoltre, la grafia
     ti a s impura non c’è né elisione, né troncamento, come            di alcuni imperativi, che a volte sono erroneamente scritti
     accade con santo Stefano.                                          con l’accento, mentre richiedono l’apostrofo.

              Il femminile santa resta di solito invariato:
                                                                                                      Eccoli
     santa Matilde, santa Chiara, santa Lucia
     con poche eccezioni dinanzi ad alcuni nomi inizianti per vocale:            Da’ → dai                       Di’ → dici
     sant’Anna, sant’Elena, sant’Orsola                                          Fa’ → fai                       Sta’ → stai
                                                                                 To’ → togli, tieni              Va’ → vai
     Ci si affiderà in questi casi alla tradizione.

34                                                                                                                                           35
Assassinii e assassini.
 A volte il plurale è micidiale


              PLURALE DEI VOCABOLI
            TERMINANTI IN CIA, GIA, IO
          Ecco un altro argomento che crea spesso perplessi-
tà in chi è rispettoso della lingua italiana, mentre i più, igno-
rando beatamente il dubbio, seguono l’istinto, che non sem-
pre è buon consigliere.
          Eppure la regoletta, che riguarda sia i nomi che gli
aggettivi, è semplice e richiede solo un’attenzione minima.
Eccola:
Quando l’accento tonico cade sulla i finale dei vocaboli
terminanti in cia o gia, la vocale resta anche nel plurale.

                           Esempio

            farmacìa          →         farmacie
            bugìa             →         bugie

          Se la i finale è atona, cioè non accentata, si osservi
allora se il gruppo cia o gia è preceduto da vocale. In tale caso
si conserva la i al plurale; diversamente la si elimina.

                           Esempio

            ciliegia          →         ciliegie
            frangia           →         frange
            provincia         →         province
            camicia           →         camicie


                                                                    37
I vocaboli terminanti al singolare in io perdono la i
     al plurale se questa è atona (non accentata), mentre la man-                            CONCORDANZE
     tengono quando è tonica (accentata), nel quale caso si avrà
     il plurale con la doppia i.                                                  Come ci si comporta quando si devono concordare
                                                                         aggettivi riferiti a un insieme di nomi maschili e femminili?
                                                                         La regola è chiara:
                                Esempio                                  quando si tratta di persone, prevale il maschile (ebbene, sì!).

               fìglio              →         figli                                                 Esempio
               scòppio             →         scòppi
               zìo                 →         zii                                         Marco e Maria sono buoni
               formicolìo          →         formicolii.
                                                                                   Tuttavia a volte quel maschile stona; allora si può
                Un’incertezza potrebbe nascere quando un plurale         ricorrere a scappatoie del tipo: Marco è buono, e anche Maria.
     correttamente scritto con una sola i è in grado di generare         Se invece si fa riferimento a cose, la concordanza può avere
     omonimia, cioè suono uguale ad altra parola affine, ma con          luogo anche col termine più vicino.
     diverso significato. Per esempio, condominio e condomino
     hanno il plurale graficamente identico. Come risolvere il                                     Esempio
     problema? Semplicemente attraverso l’indicazione dell’ac-
     cento tonico interno al vocabolo: condomìni nel primo caso,                 I libri e le riviste erano ammucchiate in terra
     e condòmini nel secondo. Tuttavia non mancano occasioni in                                (oppure ammucchiati)
     cui neppure tale soluzione è sufficiente: vedasi l’esempio di
     assassìnio e assassìno, omicìdio e omicìda, ugualmente accenta-
     ti; se si seguisse la regola, i plurali di ogni gruppo si confon-
     derebbero tra loro. E allora?
                Si userà al plurale la doppia i per il vocabolo che
     tra i due termina in io, benché non accentato, contraddi-
     cendo quanto affermato in precedenza: del resto non si dice
     comunemente che l’eccezione conferma la regola?

                              Riassumendo

               assassìnio          →         assassìnii
               assassìno           →         assassìni
               omicìdio            →         omicìdii
               omicìda             →         omicìdi



38                                                                                                                                         39
I pronomi:
     un argomento scottante



                I PRONOMI PERSONALI
        Si nota a volte uno scambio scorretto tra maschile
e femminile, tra singolare e plurale, tra soggetto e comple-
mento. Osserviamo alcune possibilità di errore.

         Soprattutto nel linguaggio parlato c’è chi utilizza te
in luogo di tu come soggetto.

                           Esempio

      te sei sempre in ritardo      →     ERRATO
      tu sei sempre in ritardo      →     CORRETTO

          Lui e lei, complementi di egli ed ella, sono usati sem-
pre più spesso anche con funzione di soggetto: “lui ha detto
che..” è forma propria del linguaggio parlato. Molto più cor-
retto “egli ha detto che..”
Ormai tollerati, non rappresentano però esempi di bello stile.

          Accade anche di udire scambi di genere tra pronomi
personali. Frequente gli per il femminile e le per il maschile.
          Dovrebbe essere inutile raccomandare di rifuggire
da simili licenze.

                           Esempio

  gli ho portato un dono (alla mamma)        →   ERRATO
  le ho portato un dono                      →   CORRETTO
  le ho dato un consiglio (a un amico)       →   ERRATO
  gli ho dato un consiglio                   →   CORRETTO


                                                                    41
Loro, complemento di 3a persona plurale sia                 preposizione a in presenza di un complemento di termine,
     maschile che femminile, a volte è usato come soggetto, ma             restando fedeli all’origine latina del termine.
     è forma meno corretta di “essi”, “esse” che hanno invece
     precisa funzione di soggetto.
                                                                                                     Esempio
               Lo stesso dicasi quando al posto del corretto plura-
                                                                            Ho incontrato l’amico, cui avevo affidato i saluti per te.
     le a loro si usa gli che è invece singolare.

                                                                                    Lo stesso accade quando cui è accompagnato dalla
                                 Esempio                                   preposizione di, che è preferibile tralasciare quando il pro-
                                                                           nome è collocato tra l’articolo e il nome.
           gli ho dato (ai miei figli)      →       ERRATO
           ho dato (a) loro                 →       CORRETTO                                         Esempio

                                                                             Mario, la di cui moglie è un’ottima cuoca.. → PEGGIO
              Ugualmente errato l’utilizzo del pronome ci in
                                                                             Mario, la cui moglie è un’ottima cuoca.. → MEGLIO
     luogo dei pronomi gli o le.

                                 Esempio

         l’ho incontrato, e ci ho detto         →   ERRATO
         l’ho incontrato, e gli ho detto        →   CORRETTO
         l’ho incontrata, e le ho detto         →   CORRETTO



                       I PRONOMI RELATIVI
                I pronomi relativi che, il quale, i quali, la quale, le
     quali, cui e chi sono utili per rendere più agile il discorso, evi-
     tando la ripetizione del nome.
                Il pronome relativo che (da usare unicamente come
     soggetto o complemento oggetto) può essere sostituito con il
     corrispondente il quale (la quale, ecc.), più elegante e preci-
     so, usato soprattutto nella forma scritta.
                Si noti il pronome relativo cui, che svolge sempre
     funzione di complemento, identificabile attraverso la prepo-
     sizione che lo accompagna. In certi casi si può tralasciare la


42                                                                                                                                         43
M o N?
     Scopriamo la differenza


            LA VECCHIA STORIELLA
        DEL SERVITORE CON TRE GAMBE
          Molti ricorderanno la storiella del servitore con tre
gambe di nome emme, che faceva da battistrada ai padroni p
e b, dopo che questi avevano licenziato un domestico di
nome enne, provvisto di due sole gambe, e perciò meno effi-
ciente. La si poteva trovare nei sussidiari di una volta per la
prima classe elementare, ed era efficace, perché dopo averla
conosciuta era difficile che gli alunni sbagliassero.
Quindi si deve scrivere m anziché n, (nel linguaggio par-
lato la differenza non si nota), quando la consonante pre-
cede p e b.

                          Esempio

       CORRETTO                        ERRATO

       imbavagliare                    inbavagliare
       amputare                        anputare
       imbottitura                     inbottitura
       simpatia                        sinpatia
       improbabile                     inprobabile
       composto                        conposto
       imbroglio                       inbroglio

        La regola vale anche per i nomi propri maschili
quali Giambattista, Giampiero, ecc., anche se qualcuno,
per essere originale, sceglie uno scorretto Gianbattista o
Gianpiero.

                                                                  45
Se quella m non soddisfa, si possono scrivere i due                      Si notino inoltre i verbi: piacere, nascere, tacere, gia-
     nomi separati, nel quale caso la n va benissimo, mentre                 cere, che nella 1a e 3a persona singolare e nella 3a persona
     Gianluigi, Gianantonio, Giangiacomo ecc. non hanno pro-                 plurale del passato remoto introducono il gruppo cqu: piac-
     blemi: la n è perfetta.                                                 qui, piacque, piacquero; nacqui, nacque, nacquero; tacqui, tac-
                                                                             que, tacquero; giacqui, giacque, giacquero.

                               Riassumendo

       CORRETTO              ERRATO               IN ALTERNATIVA

       Giambattista          Gianbattista         Gian Battista
       Giampiero             Gianpiero            Gian Piero



              CQU, CCU, CU, QU, QQU: UNA
            SCELTA CHE RICHIEDE ATTENZIONE
                Per gli stranieri deve trattarsi di un vero rebus, che
     fa ritenere difficile e complicata la lingua italiana; anche per
     noi in questo caso la distinzione tra le varie grafie può rap-
     presentare motivo di incertezza, che tuttavia apparirà facil-
     mente risolvibile per chi ha studiato (e ancora ricorda) il
     Latino: infatti la scelta dell’uno o dell’altro gruppo si rifà
     generalmente ai vocaboli corrispondenti della nostra lin-
     gua madre.
                In caso contrario sarà il vocabolario a venire in aiuto, o
     il ricordo delle regole impartite dalle maestre delle elementari.
                Non ci soffermeremo sulla corretta grafia di
     “cuore”, “cuoio”, “cuoco”, “acqua” e “scuola” per non offen-
     dere i lettori, limitandoci a richiamare l’attenzione su alcu-
     ni vocaboli di uso più raro, su cui possono nascere dubbi.


                               Forme corrette

        soqquadro, taccuino, innocuo (dal Latino innocuus),
        iniquo (dal Latino iniquus), proficuo, quota,
        quotidiano, scuotere, riscuotere, percuotere


46                                                                                                                                                 47
L’anacoluto non è
             una parolaccia



        L’ANACOLUTO E IL PLEONASMO
          A volte si sentono citare questi termini, usati per
indicare forme scorrette, proprie del linguaggio popolare.
L’anacoluto, dal Greco “sconnesso”, “non corrispondente”,
consiste nella mancanza di legame tra l’inizio di un periodo
e la parte seguente, che introduce un soggetto diverso.

                          Esempi

 ANACOLUTO:             Un soldato che fugge, tutti
                        pensano che sia un vigliacco.
 FORMA CORRETTA: Tutti pensano che un soldato che
                 fugge sia un vigliacco.

 ANACOLUTO:             La casa che ho costruito con tanti
                        sacrifici, i miei figli credono
                        che valga poco.
 FORMA CORRETTA: I miei figli credono che la casa
                 che ho costruito con tanti
                 sacrifici valga poco.

 ANACOLUTO:             Quelli che pregano, io spero che
                        il Cielo ascolterà le loro parole.
 FORMA CORRETTA: Io spero che il Cielo ascolterà le
                 parole di quelli che pregano.


                                                                49
Come si vede, le frasi iniziano con un soggetto che
     poi viene abbandonato per passare a una nuova costruzione,                      ANACOLUTI D’AUTORE
     il che rappresenta una sgrammaticatura.
                Si cita spesso come esempio di anacoluto Io mi
     piace.., in cui il soggetto non è il pronome personale, ma ciò             Calandrino, se la prima gli era paruta amara,
     che rappresenta il motivo del gradimento; è questo un erro-        questa gli parve amarissima.
     re che, per la più diffusa alfabetizzazione attualmente in atto,                                                G. Boccaccio
     sta finalmente scomparendo.
                Meno grave e addirittura perdonabile, ma solo
     nella forma orale, è il pleonasmo, altro termine di derivazio-             Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro.
     ne greca, che significa “superfluità”, “aggiunta inutile”.                                                       A. Manzoni
                Sono pleonasmi molto comuni “ma però”, unione
     di due congiunzioni entrambe avversative, dove una sola                     Un religioso che, senza farvi torto, val più un
     sarebbe sufficiente, e quell’a me mi che qualche grammatico        pelo della sua barba che tutta la vostra.
     accetta come rafforzativo, anche se di questo passo, trovan-                                                       A. Manzoni
     do giustificazioni a ogni possibile distacco dalle regole, si
     finisce con l’affidarsi all’arbitrio di chi parla o scrive.
                                                                                Piero era il suo genere spaventare la gente.
                                                                                                                        C. Pavese

                              Altri esempi
                                                                               Era un giovane che, come suol dirsi, gli
                                                                        puzzavano i baffi.
         Entra dentro il salotto, e apri le finestre                                                                 T. Landolfi

         Esci fuori subito da lì
         Sali su con me per salutare mia madre
         Aveva due occhi bellissimi (verrebbe da chiedersi
         se il terzo, invece..)



               È vero che pleonasmi e anacoluti si possono trovare
     in scritti di letterati e poeti di tutti i tempi, ma ricordiamo
     che essi, per la profonda esperienza, hanno sempre avuto la
     capacità di utilizzare perfino le imperfezioni linguistiche per
     creare dissonanze utili per gli effetti che hanno inteso otte-
     nere; infatti sono come l’Agente 007: hanno la licenza.
     Meglio comunque non tentare in questo caso di imitarli.

50                                                                                                                                    51
La congiuntivite
     e altre patologie verbali



           UTILIZZO DEL CONGIUNTIVO
           Per la solita tendenza alla semplificazione, sinoni-
mo in questo caso di impoverimento della lingua, l’Italiano
sta perdendo gradualmente l’utilizzo del congiuntivo, forma
di rara limpidezza espressiva derivata direttamente dal
Latino, che attraverso essa manifestava possibilità in luogo di
certezza.
           Indro Montanelli scrisse un giorno che il congiun-
tivo si sta avviando a diventare quello che le posate d’ar-
gento sono per certe famiglie: un segno di distinzione; con-
tinuare a utilizzarlo non dovrebbe rappresentare tuttavia
uno snobismo, ma una scelta di coerenza, di chiarezza, perfi-
no di fedeltà alle proprie radici e di contrasto all’appiatti-
mento, che non è mai segno di qualità.
           Dal momento che esistono associazioni interessate
alla difesa di ciò che deve essere protetto, varrebbe la pena
di istituirne una per la salvaguardia del congiuntivo.
           Qualcosa del resto si sta già facendo in questo set-
tore: gli insegnanti coi loro alunni di una scuola di Treviso
si sono impegnati in una campagna simile a quella per impe-
dire l’estinzione dei panda, avendo come slogan (antico grido
di guerra dei clan scozzesi):

                Il congiuntivo non deve morire!

Complimenti: faremo il possibile per combattere insieme
con loro.
          Dopo questa notizia che rincuora, passiamo quindi
all’esposizione della regola, che più di ogni altra è affidata al
significato che chi parla o scrive intende dare al proprio
pensiero.

                                                                    53
Il congiuntivo è il modo verbale che esprime dub-         1a persona plurale dell’indicativo presente), e non “insegn-amo”.
     bio, eventualità, ma anche desiderio o timore che si verifi-        Allo stesso modo scriveremo: “noi spegn-iamo” e non “spegn-
     chi un fatto: si utilizza in dipendenza di una proposizione         amo”, “che noi sogn-iamo” (perché -iamo è la desinenza della 1a
     principale, che determina la scelta successiva tra l’indica-        persona plurale del congiuntivo presente), “che voi sogn-iate”
     tivo e il congiuntivo.                                              (essendo -iate la desinenza della 2a persona plurale del congiun-
                                                                         tivo presente), e non: “che noi sogn-amo”, “che voi sogn-ate”.
                                Esempio                                                           Riassumendo
         Penso (quindi immagino, ma non ne sono certo) che tu                CORRETTO                            ERRATO
         mi abbia tradito.
                                                                             insegn-iamo                         insegn-amo
               Se invece intendo attribuire certezza alla mia ipo-           spegn-iamo                          spegn-amo
     tesi, userò in questo caso l’indicativo, dicendo o scrivendo:           che noi sogn-iamo                   che noi sogn-amo
                                                                             che voi sogn-iate                   che voi sogn-ate
           Penso che mi hai tradito.                                               I composti con fare, dire, venire richiedono atten-
                                                                         zione, poiché seguono la coniugazione dei verbi che ne
             Sfumature, certo, ma preziose per manifestare com-          costituiscono la base. Esempi: il presente indicativo di disfa-
     piutamente un pensiero, pur senza utilizzare tante parole.          re è “io disfaccio”, e non “io disfo”, come dovrebbe essere se
                                                                         non seguisse la regola sopra citata. Allo stesso modo si dirà
                                                                         e si scriverà: “io disfacevo”, “io disfeci”, “disfacendo”, ecc. e
       OSSERVAZIONI SU ALCUNI VERBI SPECIALI                             non “io disfavo”, “io disfai”, “disfando”.
                                                                                   Passiamo quindi ai composti del verbo dire:
               Qualche perplessità nasce a volte sulla grafia di         l’imperfetto indicativo di maledire è “maledicevo” e non
     certi verbi. Eccone alcuni.                                         “maledivo”. Allo stesso modo si dirà e si scriverà: “maledis-
               I verbi che terminano all’infinito in ci-are e gi-are     si” e non “maledii”, “maledicendo”, e non “maledendo”.
     perdono la i della radice (la parte invariabile del vocabolo),      Il verbo pervenire presenta qualche difficoltà nel passato
     dinanzi alle desinenze (le parti variabili) che iniziano con i ed   remoto, dove spesso si sente dire o si vede scritto “pervenii”,
     e, poiché la vocale i della radice non è più necessaria per man-    “pervenì”, “pervenirono”, in luogo di “pervenni”, “perven-
     tenere il suono dolce o palatale della c o della g precedente.      ne”, “pervennero”, che sono le uniche forme corrette del
                                                                         passato remoto del verbo venire, da cui pervenire deriva.
     Si dovrà quindi scrivere:
     noi cominc-iamo, noi cominc-eremo, io cominc-erei,                                          Riassumendo:
     noi mang-iamo, noi mang-eremo, io mang-erei
     mentre sarebbe errato scrivere:                                         CORRETTO                            ERRATO
     cominci-eremo, mangi-erei, ecc.                                         disfaccio                           disfo
                                                                             disfacevo                           disfavo
              I verbi che terminano all’infinito in gn-are e                 disfeci                             disfai
     gn-ere sono regolari, e pertanto mantengono la i delle desi-            disfacendo                          disfando
     nenze quando queste compaiono.                                          maledicevo                          maledivo
     Quindi: “noi insegn-iamo” (perché iamo è la desinenza della

54                                                                                                                                           55
CORRETTO                             ERRATO                       La regola è semplice, e come al solito risponde alla logica:
                                                                            l’ausiliare dei verbi servili deve essere lo stesso richiesto
          maledissi                            maledii                      dal verbo al quale il servile è unito.
          maledicendo                          maledendo                               Le forme esatte sono perciò: sarei potuto fuggire,
          pervenni                             pervenii                     sarei dovuto essere castigato, con l’ausiliare essere in entrambi
          pervenne                             pervenì                      i casi, poiché fuggire è intransitivo, e castigare è usato in forma
          pervennero                           pervenirono                  passiva, ma: avrei dovuto castigare, poiché castigare è usato in
                                                                            questo caso in forma attiva, e quindi richiede l’ausiliare avere.
                GLI AUSILIARI ESSERE E AVERE
                                                                                             PASSATO PROSSIMO O
               Essere e avere, come è noto, servono tra l’altro per                           PASSATO REMOTO?
     la coniugazione dei verbi, e per questo sono definiti ausiliari.
               Il verbo avere si usa per i tempi composti delle                      Il nome di questi tempi dell’indicativo, indistinti
     forme attive dei verbi transitivi, quelli che esprimono un’a-          tra loro nella lingua latina, può trarre in inganno: prossimo
     zione che passa, cioè transita o può transitare su un comple-          infatti sembra fare riferimento a un’azione avvenuta di
     mento oggetto (“Ho sconfitto la malattia”).                            recente, remoto a un’azione lontana. In realtà non è così.
               Il verbo essere si usa per le forme passive, nei tempi                Il tempo passato remoto si usa per indicare un’a-
     semplici e composti (“sono amato”, “ero stato amato”), e inol-         zione conclusa, non importa se accaduta recentemente o
     tre per i tempi composti dei verbi intransitivi, quelli che espri-     molto tempo prima, mentre il tempo passato prossimo
     mono azione ferma sul soggetto, come nascere, vivere, morire, tor-     indica avvenimenti anche lontanissimi, i cui effetti conti-
     nare, ecc. (esempio: “sono arrivato”, “ero tornato”). Si adopera       nuano ancora nel presente.
     anche per i tempi composti dei verbi impersonali, usati per indi-
     care fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, albeggiare, ecc.),                                    Esempi
     quindi occorre dire o scrivere: “È piovuto per breve tempo”.
               In alcune regioni si usa però in questi casi soprat-                 Garibaldi morì nel 1882
     tutto l’ausiliare avere, ma in Toscana, dove il rispetto per la                Dante Alighieri nacque nel 1265
     purezza è innato, ciò non accade, neppure tra le persone                       Mia figlia (tuttora vivente) è nata nel 1958
     meno colte, e questo dovrebbe bastare per tenerci lontani da                   Tre mesi or sono è venuto ad abitare presso
     una forma poco corretta.                                                       di noi mio fratello (il fatto perdura)
               Non mancano tuttavia alcuni verbi intransitivi che                   Ieri incontrai Maria (azione vicina, ma
     utilizzano l’ausiliare avere (“ho dormito”, “ho passeggiato”); in              completamente trascorsa)
     caso di dubbio converrà quindi ricorrere al dizionario, che
     segnala sempre l’ausiliare corretto da usare coi verbi irregolari.
               Le incertezze maggiori possono nascere per la scel-                    L’utilizzo appropriato dei due tempi verbali non
     ta dell’ausiliare nei tempi composti dei verbi cosiddetti ser-         sempre è rispettato nelle varie regioni italiane: nel Nord si
     vili potere, volere e dovere che accompagnano altri verbi.             preferisce il passato prossimo (nel dialetto milanese il passa-
                                                                            to remoto addirittura non esiste), mentre nel Sud il passato
      Qual è la frase giusta?                                               remoto è abituale. Con un po’ di attenzione si potrà rime-
      avrei potuto fuggire          oppure sarei potuto fuggire?            diare, almeno nel linguaggio scritto, alle inesattezze dovute
      avrei dovuto essere castigato oppure sarei dovuto essere castigato?   alle abitudini locali.

56                                                                                                                                                57
Le maiuscole.
   Attenzione alle stonature!


        Raduniamo qui alcuni esempi di scorrettezze e sto-
nature da evitare.


         LE MAIUSCOLE NEI TITOLI
      ACCADEMICI, NOBILIARI, ONORIFICI
         Trattandosi di appellativi che rappresentano una
qualifica particolare, per nascita o benemerenza o titolo
accademico, si dovrebbero scrivere con la lettera maiuscola.
Si scriverà quindi:

      il Ministro
      l’Onorevole
      il Papa
      il Preside
      il Professore

          Quando tuttavia sono accompagnati dal nome pro-
prio, è preferibile usare la minuscola:

      il ministro Rossi
      l’ing. Bianchi
      il dott. Brambilla
      il conte Cavour
      il re Vittorio Emanuele II

         Per regola si dovrebbe quindi scrivere anche: il
papa Giovanni XXIII, benché in tale caso molti usino la
maiuscola in segno di rispetto.
         Con significato generico, i diversi appellativi si
scrivono con la lettera minuscola: il ministro, i senatori, ecc.

                                                                   59
LE MAIUSCOLE NELLE PAROLE INDICANTI NAZIO-                              sono portare nella cura della res publica con la cultura ormai
     NALITÀ E APPARTENENZA RELIGIOSA O POLITICA                              generalizzata, l’impegno puntiglioso, la tenacia e quello spi-
                                                                             rito materno che fa parte della loro natura.
               La regola è affine alla precedente: se il termine è           Ecco allora il bisogno di coniare termini adatti alle nuove
     solo, e quindi è usato come sostantivo, si deve scrivere con            funzioni, e per questo si è fatto ricorso alle regole già esi-
     la lettera maiuscola.                                                   stenti riguardanti il femminile dei corrispondenti nomi
                                                                             comuni maschili.
                                  Esempio                                              Abbiamo così la Presidentessa (la dottoressa), la
                                                                             Deputata (la scolara), la Senatrice (l’istitutrice).
      l’Italiano (lingua), i Russi (popolo), i Cattolici, i Liberali, ecc.   In altri casi meno usuali, tuttavia, invece di ricorrere alla
                                                                             femminilizzazione del termine, non sempre gradevole,
                                   ma:                                       (l’Assessora? la Ministra? o peggio: la Pubblica Ministera?),
                                                                             sarebbe meglio lasciare invariato il titolo: basterà accompa-
      la lingua italiana, la cultura russa, la religione cattolica,          gnarlo col nome e cognome dell’interessata (l’assessore
                       la dottrina liberale, ecc.                            Maria Rossi, il ministro Maria Bianchi, ecc.), sufficienti a
                                                                             chiarire il sesso.
       poiché nei casi appena citati il termine assume funzione
       di aggettivo qualificativo, e quindi la maiuscola non è
       appropriata.

                Richiedono inoltre la maiuscola i periodi storici, i
     secoli, i movimenti culturali, le solennità religiose, i titoli di
     libri, giornali, opere d’arte, associazioni, società, uffici pub-
     blici, istituzioni, mentre si usa la lettera minuscola per i
     nomi di stagioni, mesi e giorni.
     Si scriverà perciò:

                     il Rinascimento, l’Ottocento,
             il Romanticismo, l’Ascensione, il Parlamento,
                    primavera, marzo, mercoledì



               TITOLI PUBBLICI AL FEMMINILE

               Un tempo non era necessario porsi il problema,
     poiché le donne non rivestivano cariche politiche o istitu-
     zionali, anche se in realtà molte di loro erano spesso ispira-
     trici di decisioni e di manovre che si compivano in alto loco.
     Dalla metà del secolo appena trascorso, tuttavia, si è final-
     mente compresa l’importanza dei benefìci che le donne pos-

60                                                                                                                                            61
I punti cardinali
          della punteggiatura


          La punteggiatura, attraverso i diversi segni di inter-
punzione, ha lo scopo di conferire allo scritto le pause neces-
sarie per rendere evidente il significato dell’esposizione.
          Ci sono tuttavia autori notissimi che hanno elimi-
nato a volte la punteggiatura dai loro scritti (Giuseppe
Berto, James Joyce, per esempio) anche se in tale caso la let-
tura e la comprensione dei testi appaiono meno agevoli. Si
tratta comunque di una scelta che solo chi possiede una
padronanza profonda della lingua si può permettere.
          A tale proposito è giunta notizia che le autorità
inglesi che si occupano della difesa della Cultura nazionale,
sentendo a loro volta la necessità di porre un freno al degra-
do cui è sottoposta anche la loro lingua, si sono impegnate
recentemente nella difesa della punteggiatura, ricordando
come questa sia importante per chiarire il senso delle frasi.
Noi non intendiamo certo essere da meno: abbiamo quindi
raccolto qui le regole principali, pur avvertendo che non
sono tassative.



                         VIRGOLA
         Cominciamo con lo sfatare una leggenda dura a
morire, inculcata nelle teste degli alunni fin dai primissimi
anni di scuola dalle maestre di una volta, tramandata in
seguito da una generazione all’altra: davanti alla congiunzio-
ne “e” non si può mettere la virgola.
         In realtà la virgola non si dovrebbe usare davanti
alla congiunzione “e” solo nell’ultimo termine di un elenco,
benché a volte la virgola finale possa servire per accentuare
una distinzione, ma questo è solo un espediente letterario.
L’equivoco potrebbe nascere dal fatto che la “e”, essendo

                                                                   63
congiunzione, serve a unire i termini di una frase, mentre la       Vedasi l’esempio seguente, in cui tra il soggetto e il verbo è
     virgola indica una separazione: l’utilizzo contemporaneo            inserita un’incidentale:
     potrebbe dunque apparire una contraddizione, mentre in
     realtà non è così.
                                                                           L’uomo, che avanzava a piccoli passi faticosi, aveva
                   Ecco dunque la semplice regola                         negli occhi la fredda determinazione di chi è deciso a
                                                                                       raggiungere la propria meta.
       La virgola, che ha lo scopo di indicare una pausa
       breve nel fluire del discorso, dovrebbe precedere la
       “e” e altre congiunzioni (esempio: ma, benché, per-               Errato sarebbe invece scrivere:
       ciò, ecc.) quando queste danno inizio a una nuova
       proposizione, cioè a una frase di senso compiuto in
       cui siano presenti almeno un verbo e un soggetto,                         L’uomo, avanzava a piccoli passi faticosi..
       espresso o sottinteso.                                                          come purtroppo spesso si legge.

                                Esempio
                                                                                            IL PUNTO FERMO
        Sono tornato a casa, e ho saputo la buona notizia.
                                                                                  Indica la conclusione di un periodo. Nella prosa
               Si noti comunque che si potrebbe fare a meno della        moderna si preferiscono frasi brevi, che conferiscono un
     virgola se si volesse evidenziare una contemporaneità di            ritmo più vivace e dinamico al discorso.
     azione tra i due fatti.
               Viene utilizzata anche per separare un vocativo dal
     resto della frase.
                                                                                         IL PUNTO E VIRGOLA
                                Esempio                                          La sua stessa forma grafica, risultante dall’unione di
                                                                         un punto con una virgola, indica che si tratta di un segno di
           Ricordate, figli miei, le parole di vostro padre!             interpunzione il cui valore sta tra l’uno e l’altra. Si usa per
                                                                         una pausa più decisa di quella indicata dalla virgola, ma
                                                                         meno forte del punto fermo.
                La virgola non dovrebbe mai stare dopo il sogget-
     to, poiché lo separerebbe dal verbo di cui fa parte inte-
     grante.
                Esistono tuttavia delle eccezioni chiaramente identi-                          I DUE PUNTI
     ficabili: se dopo il soggetto si trova un’incidentale, la virgola
     diventa necessaria, accompagnata da un’altra virgola al termi-               Servono sia per introdurre un discorso diretto, che
     ne dell’incidentale stessa, con funzione di doppia parentesi.       una spiegazione o un elenco.

64                                                                                                                                         65
IL PUNTO ESCLAMATIVO
                 E IL PUNTO INTERROGATIVO                                                    LE VIRGOLETTE

               Non intendiamo certo soffermarci sul loro notissi-                  Le virgolette (“ ”) si utilizzano per racchiudere un
     mo utilizzo, limitandoci a una raccomandazione:                     discorso diretto o per riferire un pensiero, e possono essere
     si eviti di raddoppiarli o triplicarli, o peggio di usarli insie-   sostituite dalle lineette (- -).
     me per accentuare un’esclamazione o una domanda, con                Le virgolette servono inoltre per evidenziare titoli (di libri,
     un eccesso di enfasi che non è mai indice di buon gusto.            di opere musicali o artistiche), epoche storiche, modi di dire,
                                                                         frasi convenzionali, parole sulle quali si richiama l’attenzio-
                                                                         ne, ecc.
                        LE ABBREVIAZIONI

              Devono essere seguite dal punto fermo. Si ricordi
     tuttavia che le forme abbreviate riguardanti misure, pesi e
     capacità (km, gr, dl, ecc.) sono al contrario considerate ter-
     mini compiuti e pertanto rifiutano il punto.

                                Attenzione!

       Il titolo di “dottore” che precede un nome proprio spettan-
       te di diritto solo a chi ha conseguito una laurea, o l’ha otte-
       nuta honoris causa, può essere abbreviato in due modi:
       dott. (quindi seguito dal punto fermo), per indicare la cadu-
       ta della seconda parte del vocabolo; oppure dr, nel quale
       caso il punto finale sarebbe un’incongruenza, dal momen-
       to che si tratta di una soppressione interna al vocabolo e
       non di un’abbreviazione.



                  I PUNTINI DI SOSPENSIONE
                I puntini di sospensione (bastano due, come diceva
     la scrittrice Françoise Sagan, e ce n’è d’avanzo) servono per
     indicare un’incertezza, una reticenza, una pausa quando si
     riporta un discorso diretto o si esprime un pensiero.
                Si raccomanda però un uso molto parco di questo
     segno grafico: l’eccesso è sgradevole, poiché imprime alla
     prosa un andamento zoppicante.


66                                                                                                                                         67
Parole ed espressioni
            da rottamare


                        CIOÈ & CO.

          La nostra lingua da qualche tempo è soggetta a
curiosi innamoramenti di termini che solitamente si diffon-
dono tra i giovani, e che di solito si esauriscono, anche se
non sempre rapidamente.
          C’è stato il dilagare di un cioè che si infilava pervi-
cacemente ogni due, tre parole senza un nesso logico con la
frase, dal momento che si tratta di una particella esplicativa
volta a chiarire il significato di quanto espresso immediata-
mente prima: deriva infatti dall’unione del pronome dimo-
strativo ciò con è, 3a persona del presente indicativo del
verbo essere. In realtà era segno di incertezza, di scappatoia
per prendere tempo nel seguire il filo logico del pensiero, a
volte di timidezza: infatti quando chi parlava era sicuro di sé
e procedeva spedito nel discorso, il famigerato, inutile cioè
non compariva. Divenne presto un’abitudine, un’intrusione
irritante che restò tuttavia confinata nell’espressione verba-
le, finché si attenuò fino a scomparire quasi del tutto.
          Si potrebbero citare altri vezzi simili, come attimi-
no, grazioso diminutivo-vezzeggiativo che dovrebbe indicare
un tempo brevissimo, mentre in realtà la sua durata potreb-
be non avere limiti.
          Un’altra inutile intrusione è rappresentata dall’av-
verbio assolutamente, superfluo rafforzativo di affermazioni o
negazioni, come se sì o no non fossero più che sufficienti a
manifestare assenso o dissenso.
          Appartiene allo stesso genere un intercalare che
persone di buona cultura introducono a volte in continua-
zione nel loro discorso; si tratta di un inciso solitamente
inopportuno che “infiora” il loro eloquio: per così dire o dicia-
mo così. Forma nervosa, segno di imbarazzo?

                                                                    69
Il fatto è che l’inutile insistenza di certe ripetizioni              Innanzi tutto il “che” possiede molte funzioni: può
          ottiene soltanto lo scopo di distrarre dal contenuto del di-         essere congiunzione, e in tale caso può introdurre sia il modo
          scorso e di infastidire l’ascoltatore.                               indicativo che il congiuntivo, e perfino il condizionale. Può
                    Si presti dunque attenzione alla necessità di con-         sostituire la congiunzione perché nella forma letteraria, richie-
          trollare il proprio modo di esprimersi, anche evitando l’uti-        dendo però di essere accentato. È poi anche pronome relativo
          lizzo di termini che improvvisamente diventano di moda e             plurivalente, giacché resta invariato nel maschile e nel fem-
          che banalizzano la lingua, con intromissioni non giustificate        minile, nel singolare e nel plurale. Inoltre non muta nemme-
          dal loro significato letterale.                                      no se usato come soggetto o come complemento oggetto,
                                                                               potendo assumere infine anche funzione di pronome neutro o
                                                                               di aggettivo esclamativo.
                                                                               Esempio: Che bella notizia!
                       ESPRESSIONI “A VANVERA”                                            Attenzione però: in quest’ultimo caso non dovreb-
                                                                               be essere unito soltanto a un aggettivo, come si sente spes-
          Tra le molte ben più gravi scorrettezze che deprimono la             so nel Settentrione. È per esempio scorretto esclamare: Che
          nostra lingua, si nota a volte l’utilizzo di voci improprie, su      noioso! Che brutto!
          cui sarebbe opportuno riflettere.                                               Occorrerà invece aggiungere un sostantivo (Che di-
                   Si dice per esempio persona umana, con l’inutile            scorso noioso! Che brutto esempio!), oppure si dovrà sostituire il
pag. 50   aggiunta di un aggettivo qualificativo che rappresenta un            “che” con un termine diverso, inserendo inoltre un verbo:
          pleonasmo (vedi pag. 50); si tratta di una formula ormai             Quanto risulta noioso! Come è brutto!
          entrata nel linguaggio colto di conferenzieri e predicatori,                    Ecco infine alcune frasi la cui pessima riuscita è
          usata perfino in più occasioni dal Pontefice, eppure, se con-        dovuta al distratto utilizzo del “che”, usato appunto a van-
          sultiamo un dizionario, vediamo che il termine persona cor-          vera, quindi da rottamare:
          risponde a individuo, uomo o donna. Allora che bisogno c’è di        Siccome che ho la febbre, non potrò uscire.
          quell’aggiunta? A nessuno verrebbe in mente di definire per-         Il “che” in questo caso ha una funzione indefinibile, poiché la
          sona un oggetto o un animale.                                        congiunzione causale che lo precede è già più che sufficiente
                   Un altro uso indiscriminato ben più grave viene             per chiarire il significato della frase.
          consumato con il verbo giustiziare: La mafia ha giustiziato un                  Allo stesso genere appartiene il “che” usato in una frase
          quindicenne, facendolo sciogliere nell’acido..                       di questo tipo:
                   Ma siamo matti? Che giustizia sarebbe questa?               Sta’ attento, che il pericolo è sempre in agguato!
          Eppure lo si legge e lo si sente dire e ripetere, soprattutto nei               Abbiamo qui un “che” clandestino, infilatosi impro-
          telegiornali. E questi sono solo due esempi..                        priamente in un periodo che non sentiva affatto la necessità
                                                                               del suo intervento. Sarebbe bastato porre due punti dopo la
                                                                               seconda parola, sopprimendo l’intruso:
                LA FREQUENTE PERDITA D’IDENTITÀ                                Sta’ attento: il pericolo è sempre in agguato!
                          DEL “CHE”

pag. 42            Abbiamo già accennato brevemente a pag. 42 a
          questa paroletta dall’apparenza modesta, ma dall’importanza
          solitamente determinante nell’evolversi del discorso: tuttavia
          è opportuno ampliare l’argomento, che presenta vari aspetti.


    70                                                                                                                                                71
La d eufonica:
   una consonante dalla vita
          sregolata

       LA D EUFONICA CON LA
 CONGIUNZIONE “E” E LA PREPOSIZIONE “A”
           La consonante d, aggiunta alla congiunzione e e
alla preposizione a, quando sono seguite da parola iniziante
per vocale, è detta eufonica, cioè utilizzata per rendere più
armoniosa la pronuncia.
           Un tempo si consigliava di adoperare la d anche
con la congiunzione o, che diventava od con un suono per
nulla gradevole, quindi l’idea è stata in seguito giustamente
abbandonata.
           L’argomento è stato a lungo controverso: meglio e
ultimo o ed ultimo, e anche o ed anche, a ogni o ad ogni?
Di solito alle elementari si insegna il rispetto della regola di
base, quindi sempre ed e ad dinanzi a vocale.
           Alcuni grammatici moderni, invece, suggeriscono
di usare la d eufonica solo quando si incontrano vocali ugua-
li, per ottenere la massima semplificazione. Si dovrebbe esse-
re d’accordo con loro: il suono duro della consonante denta-
le, introdotta a forza là dove non appare necessario, toglie
armonia al fluire del discorso. Del resto già il Manzoni, nella
revisione del suo romanzo, si preoccupò di togliere la mag-
gior parte delle d eufoniche esistenti nel testo primitivo.




                                                                   73
Come prendere
                le preposizioni
               per il verso giusto




n
               L’USO A VOLTE SCORRETTO
                DI ALCUNE PREPOSIZIONI
              Soltanto errori veniali, d’accordo, ma basta poco
    per scegliere la forma giusta, quella più vicina alle miglio-
    ri tradizioni della nostra lingua, evitando le forme che
    hanno subìto l’influenza di altri idiomi, soprattutto di
    quello francese.

        Insieme con è la forma più corretta, di classica deriva-
        zione latina, che usava una cum per indicare unione.
        Insieme a è invece espressione meno appropriata.

        Pasta col burro è il termine esatto che indica il condi-
        mento aggiunto alla pasta, mentre pasta al burro non ha
        un significato grammaticalmente giustificabile.

        Biglietto di visita dovrebbe essere usato in luogo di bigliet-
        to da visita, in quanto il suo utilizzo è di presentazione,
        mentre la preposizione da indicherebbe un fine, uno
        scopo inesistente.

        Macchina per scrivere e macchina per cucire, dove la pre-
        posizione per indica giustamente lo scopo per cui la
        macchina viene utilizzata, dovrebbero sostituire le più
        comuni ma meno corrette diciture: macchina da cucire
        e macchina da scrivere.

        Per esempio è forma molto migliore di a, ad esempio.
        Nel primo caso la preposizione per chiarisce lo scopo
        per cui si cita un esempio, mentre la preposizione a è
        priva di giustificazione.


                                                                         75
Associazione per delinquere è la sola forma corretta. Ancora      Si vedano gli esempi: con dei, per delle, a degli, dove dei, delle,
          una volta il fine è indicato dalla preposizione semplice          degli significano alcuni, alcune. Allora è meglio usare gli
          per, mentre associazione a delinquere non è altro che la tra-     aggettivi indefiniti, senz’altro più corretti.
          sposizione pedissequa in Italiano dell’uso francese.
                                                                            Quindi si eviterà di dire o scrivere, per esempio:
          Per indicare il materiale con cui un oggetto è fabbrica-          Sono uscito con degli amici.
          to si dovrebbe sempre usare la preposizione di e non la           Più appropriato e preciso:
          preposizione in, il cui significato è ben diverso. Quindi         Sono uscito con alcuni amici.
          scultura di marmo e non in marmo, giacca di lana e non in
          lana, borsetta di pelle e non in pelle, ecc.                      Da evitare anche l’accostamento delle preposizioni “pro-
                                                                            prie” più volte citate (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra)
          Il moto da luogo richiede la preposizione da.                     con altre “improprie” (davanti, dietro, contro, ecc.).
          Attenzione quindi: Me ne vado di Milano, è uscito di qui,
          ecc. sono forme scorrette.                                                                    Esempio
          Un caso particolare è rappresentato dalla preposizione            Una borsa con dentro un fascicolo → espressione popolare
          impropria fuori, che esige di essere accompagnata dalla           Una borsa contenente un fascicolo → più corretto
          preposizione semplice da quando indica uscita, movi-
          mento (esempio: lo hanno buttato fuori dall’uscio), ma
          si costruisce con la preposizione di negli altri casi: fuori
          di senno, fuori di metafora, ecc. Difficile? No: basta solo
          un po’ di attenzione.

               Si ricordi che mentre quasi tutte le preposizioni
     proprie possono diventare articolate unendosi a ogni articolo
     determinativo, per, tra e fra, gelose della propria indipen-
     denza, rifiutano il connubio; quindi tra le, per i, fra gli, ecc.
               Infine la preposizione con si può accoppiare soltan-
     to con il e con i, nel quale caso perde la n (coi, col).
               Negli altri casi si dirà e si scriverà: con lo in luogo di
     collo, con la in luogo di colla, con gli in luogo di cogli.


                UNIONE DI DUE PREPOSIZIONI:
                 MEGLIO SAREBBE EVITARE
                Non si tratta di veri e propri errori, ma di stonatu-
     re. Si fa qui riferimento al consiglio di astenersi dall’accosta-
     mento di due preposizioni, salvo casi particolari tra cui quel-
     li già citati in precedenza (fuori da, ecc.).

76                                                                                                                                                77
Salviamo il mondo
           dal cerchiobottismo


                       I NEOLOGISMI
          Abbiamo detto all’inizio che la lingua è viva, poi-
ché si arricchisce continuamente di termini e di espressioni
prodotte dal desiderio di rinnovamento, dall’evoluzione
delle tecnologie, dalla necessità di definire in forma concisa
una gamma di situazioni nuove, o inusuali fino a qualche
tempo prima.
          Mai come negli ultimi anni questo fenomeno si è
fatto intenso e pressante, accettabile quando non dipende
dall’estro di persone ansiose soltanto di essere originali e
creative.
          L’ultimo termine, tipico della pubblicità, ci porta a
ricordare che molto spesso è il linguaggio pubblicitario a for-
nirci vocaboli nuovi; agli ideatori non interessa tuttavia la
correttezza del neologismo: essi tendono soprattutto a colpi-
re l’immaginazione, a farlo ricordare insieme col nome del
prodotto sul quale intendono richiamare l’interesse. Ormai
sono passati i tempi in cui erano gli artisti o i letterati che
inventavano parole nuove, nelle quali trasferivano il loro
estro imaginifico.
          Oggi non c’è più D’Annunzio, né altri geniali crea-
tori di ideazioni linguistiche, perciò ci sentiamo bombardati
da locuzioni orrende in cui anche i politici si stanno specializ-
zando, alla ricerca di un’originalità che dovrebbe farli ricorda-
re, secondo loro, agli elettori. Basti citare cerchiobottismo o rei-
stituzionalizzazione, una delle tante –creature– del nuovo lessi-
co giornalistico-parlamentare, che senz’altro rimandiamo al
mittente. Mentre il primo vocabolo è già entrato in un auto-
revolissimo dizionario (vedi oltre), il secondo non ha ancora
fatto la sua comparsa ufficiale. Speriamo che svanisca nel
nulla da cui è venuto prima di essere legittimato.


                                                                       79
Non lasciamoci sedurre da uno –stupidario–
     (voce nuova efficace nella sua concisione) che con la lin-
     gua di Dante non ha nulla in comune, accettando soltanto       Dal Vocabolario della lingua italiana
     i neologismi prodotti da quanto la tecnica e la scienza o le   di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 2004
     nuove esigenze della vita moderna hanno creato.
                                                                    Cerchiobottismo [comp. col suff. cerchio e botte,
                                                                    sostantivo tratto dalla loc. dare un colpo al cerchio e
                                                                    uno alla botte;1996 ] s.m. • Nel linguaggio giornali-
                                                                    stico atteggiamento di chi rivolge contemporanea-
                                                                    mente apprezzamenti e critiche sia a una parte che a
                                                                    un’altra in contrasto con la prima.

                                                                    Cerchiobottista [1996] A s. m. e f. (pl. m. -i) • Chi
                                                                    dà prova di cerchiobottismo. B anche agg.: commen-
                                                                    tatore cerchiobottista.




80                                                                                                                            81
L’Italiano è wonderful



           I VOCABOLI STRANIERI:
       INTRUSIONI A VOLTE ILLEGITTIME
           Esistono vocaboli di origine straniera, soprattutto
inglese, che fanno parte ormai della nostra lingua, apprezza-
ti per l’efficacia e l’immediatezza; tra questi, numerosi termi-
ni sportivi o tecnici, alcuni dei quali di recente introduzio-
ne (web, software, ecc.).
           Si ricordi che al plurale i vocaboli stranieri, appun-
to perché ormai italianizzati, rifiutano la forma caratteristica
della lingua di origine: non films, goals, ecc., quindi, ma è
sufficiente il cambiamento dell’articolo per indicare il
numero.
           Sembra opportuno segnalare a questo proposito la
recente invasione, sia pure pacifica, di voci straniere entra-
te nella nostra lingua senza reale necessità, in sostituzione di
parole italiane perfettamente corrispondenti al significato
che devono esprimere. La ragione non è chiara: snobismo,
esibizionismo, esterofilia?
           Senza arrivare agli eccessi del nazionalismo france-
se, che si spinge a rifiutare l’inglese “computer”, sostituen-
dolo con “ordinateur”, ci permettiamo sommessamente di
suggerire ove possibile la preferenza per “la lingua dove il bel
sì suona”, anche perché l’utilizzo eccessivo dei termini stra-
nieri non nobilita affatto il linguaggio, come qualcuno
potrebbe credere, ma è soltanto indice di cattivo gusto.




                                                                    83
Dulcis in fundo



         Giunti al termine di questa breve trattazione, ci
congediamo dai lettori parafrasando la formula in uso nella
Commedia dell’Arte del passato: porgiamo molte scuse per
la schematicità delle informazioni, eppure ci auguriamo che
le molte, purtroppo necessarie lacune rappresentino uno sti-
molo ad approfondire e ad ampliare gli argomenti per pro-
prio conto, attraverso la consultazione di un testo di gram-
matica ben più ampio poiché la lingua italiana, la più dolce,
armoniosa ed espressiva del mondo, lo merita veramente.




                                                                85
Appendice




          MOSTRICIATTOLI QUOTIDIANI
         È questa la parte divertente del manuale, poiché è
piacevole ridere degli errori che sembrano sempre “degli altri”.
Eppure, in seguito a un opportuno esame di coscienza, si sco-
prirebbe che qualche volta anche noi.. Allora si faccia un
proponimento: si dedichi un minuto alla consultazione di un
vocabolario per scoprire la grafia esatta di ogni termine che
suscita perplessità, e si dubiti, sempre, ogni volta che ci si
trova dinanzi a una parola su cui non si possiedono certezze.

Aggiunta o raddoppiamento arbitrario
• Dinnanzi: errato. Il vocabolo corretto è dinanzi, costi-
    tuito da di+nanzi, mentre va bene innanzi, costituito da
    in+nanzi.
• Aereoporto, aereoplano, ecc.: errati. Sono corretti aero-
    porto, aeroplano, ecc., dove il prefisso aero deriva dal
    nome latino aer = aria e non da aereo.
• Obbiettivo e obbiettivamente: errati. Sono corretti con una
    sola b. Anche in questo caso si dovrebbe fare riferimento
    all’originario obiectivus, Latino medievale, derivato dal
    Latino classico obiectum, dove il raddoppiamento non esi-
    ste; del resto non si può nemmeno accusare la più volte
    deprecata, acritica dipendenza dalla lingua francese, che
    mantiene la singola b latina. Eppure qualche dizionario
    moderno pone il termine con la b raddoppiata tra paren-
    tesi accanto a quello corretto, accettandolo come varian-
    te, senza nemmeno accennare a un uso diventato ormai
    comune. Uno scrittore o un giornalista famoso ha sbaglia-
    to un giorno la grafia, e come il pifferaio di Hamelin della
    celebre fiaba ha trascinato con sé una folta schiera di imi-
    tatori, fiduciosi nella sua autorevolezza: è nata così la legit-
    timazione acritica, che tuttavia è priva di fondamento.
                                                                       87
L'anacoluto non è una parolaccia
L'anacoluto non è una parolaccia
L'anacoluto non è una parolaccia
L'anacoluto non è una parolaccia
L'anacoluto non è una parolaccia
L'anacoluto non è una parolaccia

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L'anacoluto non è una parolaccia

  • 1.
  • 2.
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  • 4. Indice Presidente On. Ombretta Colli Introduzione 7 La lingua la sa lunga 11 Assessore alla cultura e beni culturali Paola Iannace Conviene darsi una regolata 13 Fidarsi è bene, controllare è meglio 17 Direttore Centrale Turismo e Cultura Pia Benci Si scrive perché o perchè? Boh! 21 La Maria è promossa, il Paolo invece no 27 Direttore Settore Cultura Massimo Cecconi I Santi si distinguono anche dall’apostrofo 31 Assassinii e assassini. A volte il plurale è micidiale 37 Servizio Biblioteche Cristina Borgonovo, Osvaldo Carpinelli, I pronomi: un argomento scottante 41 Patrizia Salerni, Dario Salvetti, Alessandra Scarazzato M o N? Scopriamo la differenza 45 Ufficio Stampa L’anacoluto non è una parolaccia 49 Pinuccia Merisio, Marco Piccardi, Veronica Sebastianelli La congiuntivite e altre patologie verbali 53 Concept, progetto grafico e illustrazioni Le maiuscole. Attenzione alle stonature! 59 DBM Comunicazione I punti cardinali della punteggiatura 63 Revisione editoriale Parole ed espressioni da rottamare 69 DBM Comunicazione La d eufonica: una consonante dalla vita sregolata 73 In copertina Come prendere le preposizioni per il verso giusto 75 Elaborazione grafica Linda Berardi Salviamo il mondo dal cerchiobottismo 79 Copyright © 2004 Provincia di Milano L’Italiano è wonderful 83 Dulcis in fundo 85 Finito di stampare da Arti Grafiche Stefano Pinelli Srl, Milano, nel mese di aprile 2004 Appendice 87 5
  • 6. Questa breve pubblicazione nasce con lo scopo di offrire un aiuto semplice e pratico a quanti, giovani e adulti, sono inte- ressati ad approfondire le loro conoscenze sul corretto uso della nostra lingua e delle regole che la governano, o sentono il bisogno di risolvere perplessità e dubbi linguistici, consapevoli dell’impor- tanza rappresentata dalla forma in cui ci si esprime o si scrive. Chi ascolta un’esposizione verbale o legge uno scritto è infatti spinto, di primo acchito, a giudicare l’educazione e il grado di cultura del proprio interlocutore o dello scrivente attraverso la valutazione di ciò che sente o legge. Questo piccolo manuale non ha la pretesa di essere un testo di grammatica completo e organico: come potrebbe esserlo del resto con le sue ridottissime dimensioni? È invece solo un sem- plice vademecum, di agevole consultazione, un insieme di consigli riguardanti alcuni punti chiave su cui si regge la struttura della nostra lingua, che, secondo i più autorevoli linguisti, ha purtroppo subìto negli ultimi tempi un lento degrado che si riflette anche in una banalizzazione del linguaggio. La cultura è anche e soprattutto rispetto dei fondamenti e della ricchezza della lingua, intesa come insieme delle leggi che la governano, nate non per caso ma per necessità funzionali, eredità di una tradizione colta, diventata popolare quando è stata recepita come patrimonio comune. Al fine di contribuire al recupero di un valore giustamen- te considerato irrinunciabile, nel dicembre 2002 è stato presentato a Roma, dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali, un Disegno di Legge riguardante l’istituzione di un Consiglio Superiore della Lingua Italiana, massima espressione dell’identità nazionale e ricchezza che non può essere trascurata. L’iniziativa si affianca a quella delle maggiori Istituzioni Culturali che nel nostro Paese sono impegnate nella difesa della nostra lingua: in particolare l’Accademia della Crusca e la Società Dante Alighieri. Il primo obiettivo del nuovo organismo è l’elaborazione di una grammatica ufficiale; nell’attesa, la Provincia di Milano ha inteso precorrere i tempi con questa piccola guida, che per sua natura ha necessariamente trascurato tanti argomenti, ma che può comunque rappresentare un simpatico manuale di pronto soccorso, per sgombrare il campo da tante incertezze e soddisfare dubbi e curiosità, per alcuni, fin qui irrisolte. Paola Iannace Assessore alla cultura e beni culturali Provincia di Milano 8 9
  • 7. La lingua la sa lunga Tutto muta e si evolve intorno a noi, con una rapi- dità a volte sconcertante: il paesaggio urbano, gli stili di vita, gli atteggiamenti, gli interessi, le propensioni, le mode, le tec- nologie sempre più sofisticate. Anche la lingua, sia pure più lentamente, cambia, non essendo materia statica ma un ele- mento in continuo divenire: per l’introduzione di nuovi voca- boli, per la costruzione dei periodi che oggi si fanno più con- cisi e riflettono, adeguandosi, i ritmi della vita moderna. La forma è più incalzante, più diretta, volta al nucleo della comunicazione. È questo soprattutto il linguaggio delle nuove generazioni, che intendono così trasferire nella lingua il loro dinamismo, la passione per la velocità, il bisogno di immediatezza. Ci possiamo rendere conto della trasformazione con- sultando testi di autori noti risalenti a poche decine di anni fa: non corrispondono più alle attuali abitudini espressive. Leggendo invece una pagina de I promessi sposi si scopre sùbito la modernità e la limpidezza della prosa del Manzoni, che lo fanno apparire contemporaneo. Questo accade ai “grandi”, che hanno saputo adottare un linguaggio in grado di sfidare i secoli. Nonostante la lingua si adegui alla trasformazione dei tempi, comunque, non dovrebbe perdere i puntelli rap- presentati dalle regole di base, che sono come le chiavi di volta o i muri maestri senza i quali un edificio non si regge in piedi. Quando non sono rispettate le regole, comunque necessarie in ogni forma di vita sia fisica che sociale, da un cedimento all’altro si assiste all’impoverimento progressivo della lingua, all’arbitrio di ciascuno di procedere al suo smantellamento, per evitare lo sforzo di apprenderne i detta- mi, e l’impegno nel rispettarli. Ma sono davvero così diffici- li le norme sulle quali questo manualetto intende richiama- re l’attenzione? L’Assessore Paola Iannace pensa di no. Per dimostrare la propria convinzione ha dato inizio alla sfida, nella certezza che sia indispensabile continuare a mantenere vitale un emblema della nostra “italianità”: la lingua dei padri; la sua conoscenza corretta è una ricchezza che per- mette a ciascuno di esprimersi in modo chiaro e completo, e anche questo è un segno di civiltà e di democrazia. 10 11
  • 8. Conviene darsi una regolata LE RAGIONI DELLE REGOLE Molti si saranno domandati fin dai tempi della scuola quali siano i motivi per i quali è indispensabile rispet- tare le regole della lingua. Tenteremo allora di offrire qui una risposta, ricordando che perfino nell’universo tutto si muove seguendo un ordine preciso, e che l’uomo preistorico ha iniziato a evolversi solo quando ha sentito la necessità di organizzarsi secondo leggi e ordinamenti. La lingua non è una scienza esatta, d’accordo, ma deve pur sempre essere sorretta da norme, le regole appun- to, e da princìpi che ne sorreggano l’impalcatura. Da que- sto si deduce che le regole non sono nate per capriccio di qualche mente sadica, come possono pensare gli studenti, allo scopo di complicare la loro vita; no: hanno tutte una funzione logica, di cui possiamo qui ricordare almeno tre punti basilari: 1 Doverosa fedeltà alla costruzione originaria o al vocabolo da cui il termine italiano deriva: dal Latino e dal Greco soprattutto, ma anche dall’Arabo o da altra lingua straniera, fatto molto comune in Italia, che fu per secoli teatro di scontri e occupazioni da parte di Francesi, Tedeschi, Spagnoli, e Arabi in Sicilia, i quali ci lasciarono in eredità tra l’altro una parte del loro lessico. 2 Necessità di chiarire opportunamente un significa- to, un concetto, un pensiero, attraverso la scelta dell’una o dell’altra forma grammaticale, come appare, per esempio, nell’utilizzo dell’indicativo o pag. 53 del congiuntivo (vedi pag. 53). 13
  • 9. Esigenze eufoniche, (dal Greco eufonìa = bellezza di Infine, un quarto pittogramma inviterà i lettori a fer- 3 suono) per evitare una pronuncia sgradevole o dif- mare l’attenzione su argomenti di primaria importanza, quali ficoltosa. regole, dubbi, scorrettezze ed errori da evitare assolutamente. Nel corso della trattazione si farà spesso riferimento a queste tre ragioni fondamentali, cui se ne aggiungeranno di volta in volta altre, dettate soprattutto da un bisogno di pre- cisione o di eleganza espressiva. Il proposito è comunque quello di spiegare sempre i vari perché: dopo averli compre- si, diventerà più facile per ciascuno ricordare e mettere in pratica ogni regola. Per rendere immediata la comprensione delle regole citate si utilizzeranno, a supporto del testo, i seguenti simboli visivi, anche detti pittogrammi: regola 1 regola 2 regola 3 14 15
  • 10. Fidarsi è bene, controllare è meglio GLI STRUMENTI INDISPENSABILI L’amore e il rispetto per l’Italiano si avvalgono di un supporto prezioso e di pronto utilizzo: un ottimo vocabo- lario in cui i lemmi (vocaboli), accentati per indicare la cor- retta pronuncia, vengono definiti con precisione, oppure un dizionario, solo apparente sinonimo del precedente, in quan- to si tratta di un testo di uso più ampio, che può contenere anche derivazioni etimologiche, regole e irregolarità gram- maticali, ausiliari dei verbi irregolari e altro ancora. In nessuna casa dovrebbe mancare almeno una copia dell’uno o dell’altro, ampia e aggiornata. Si raccoman- da inoltre l’aggiunta di un dizionario dei sinonimi e dei contra- ri, indispensabile nella forma scritta per evitare ripetizione di termini, che conferiscono ai periodi un andamento sciatto. La straordinaria ricchezza della nostra lingua, che possiede decine di sinonimi per la maggioranza dei vocabo- li, così da poter scegliere la sfumatura di significato più adat- ta caso per caso, permette di usufruire di una eccezionale varietà espressiva; eppure molti si accontentano di utilizzare un numero ristretto di parole, per pigrizia mentale o scarsi- tà di fantasia o disinteresse, ed è un peccato: agendo così si rinuncia a un bene alla portata di tutti, prezioso poiché per- mette di trasmettere pensieri, emozioni, sentimenti con una gamma infinita di alternative. È come se avendo a disposi- zione un magnifico pianoforte a coda ci si limitasse a trarne alcune semplici canzoncine infantili. Un valido dizionario dei sinonimi e dei contrari può servire quando, rileggendo uno scritto, ci si rende conto di una o più ripetizioni di parole: se non vengono in mente alternative, lo si consulterà allora alla ricerca di possibili varianti. 17
  • 11. Potremmo citare l’esempio del verbo “fare”, che di Non si speri per esempio che sia in grado di distin- per sé significa soltanto operare, agire, eseguire, mentre viene guere tra: da preposizione, che rifiuta l’accento, dà presente solitamente adoperato in un grande numero di occasioni indicativo di 3a persona del verbo dare, che invece lo esige, con uno squallido appiattimento del linguaggio. Poiché pos- da’ imperativo di 2a persona dello stesso verbo, che richiede pag. 35 siede una settantina di sinonimi, sarà opportuno scegliere l’apostrofo (vedi pag. 35). quello più adatto caso per caso, così da rendere l’espressione più colorita e appropriata. In casi simili, per riconoscere il valore di ciascuno, occorre l’intervento dell’intelligenza personale di chi scrive, che dimostrerà una volta di più la propria superiorità su ESEMPI DI SINONIMI APPROPRIATI quella della macchina, la quale ha pur sempre dei limiti. fare la prima elementare → frequentare fare il medico → esercitare, svolgere la professione di.. fare domande → rivolgere, porre, presentare, compilare fare un’alleanza → stringere, concludere fare un discorso → pronunciare, intavolare, improvvisare FIDARSI TOTALMENTE DEL “CORRETTORE” DEL PC? Il personal computer si sta diffondendo rapida- mente, e rappresenta un aiuto senza dubbio utile per colo- ro che amano scrivere o devono farlo per ragioni di lavoro. Molti apparecchi sono dotati di correttore automatico che avvisa degli errori grafici, ma anche di quelli ortografici e grammaticali. Tuttavia non si può pretendere che l’intelligenza artificiale del pc arrivi a scegliere opportunamente tra le varie grafie che alcuni vocaboli possiedono, dovute alle diverse funzioni da essi esercitate nel discorso. 18 19
  • 12. Si scrive perché o perchè? Boh! VOCALI ACCENTATE La lingua italiana, a differenza della francese e della spagnola, fa un parco uso del simbolo grafico dell’accento, chiamato tonico quando serve per indicare la vocale su cui appoggia il tono di voce, fonico quando riguarda il suono aperto o chiuso della o e della e, le uniche vocali italiane che possiedono doppia pronuncia. Due sono i tipi di accento fonico: acuto, con verti- ce alto verso destra, per indicare suono chiuso (perché, qué- sto) oppure grave, con vertice alto verso sinistra, per indica- re suono aperto (cièlo, tè, cioè, pòrto). In pratica la lingua italiana pone l’accento tonico soltanto sull’ultima vocale delle parole tronche (esempio pietà), sull’unica vocale di alcuni monosillabi (vedi paragra- pag. 23 fo seguente) o all’interno di parole che mutano significato con lo spostamento dell’accento (vedi tabella seguente), benché ormai tale pratica sia poco usata, dal momento che il senso stesso della frase serve a stabilire l’accentazione cor- retta. Nessuno dirà infatti: “Vieni subìto!” come si ode nei vecchi film di Stanlio e Ollio, che anche su certe storpiatu- re di vocaboli italiani puntavano la loro comicità. Esempi di spostamento di accento su parole omoni- me (aventi la stessa grafia) che produce cambiamento di significato: àncora (strumento per imbarcazioni) ancòra (avverbio di tempo) càpitano (verbo “capitare”) capitàno (grado di comando) 21
  • 13. sùbito (avverbio di tempo) Ci sarebbe poi l’accento circonflesso (con congiun- subìto (verbo “subire”) zione al vertice degli accenti acuto e grave), tuttavia ormai pressoché scomparso: può ancora accadere di incontrarlo in prìncipi (plurale di “principe”) poesia, per indicare una contrazione di lettere o per sostituire princìpi (plurale di “principio”) la doppia i nel plurale delle parole terminanti in io accentata. E inoltre: benché l’indicazione dell’accento fonico per L’ACCENTO SUI MONOSILLABI segnalare la pronuncia aperta o chiusa della o e della e appaia esclusivamente su vocabolari e dizionari, si ricordi Nei vocaboli con una sola vocale l’accento tonico che la scelta dell’una o dell’altra pronuncia è importante per non dovrebbe essere necessario, poiché è evidente che non chiarire il significato di alcune parole omonime: può esistere dubbio di pronuncia: “per”, “il”, “no”, “re”, ecc. non potranno che essere pronunciati in un solo modo, quin- accétta (strumento di taglio) di l’accento non serve. accètta (verbo “accettare”) Tuttavia esiste un gruppetto di monosillabi che esi- gono ugualmente l’accento, per distinguerli dai loro omoni- ésca (verbo “uscire”) mi, vocaboli aventi la stessa grafia, ma diverso significato. èsca (cibo per attirare i pesci) bótte (recipiente di legno) Esaminiamoli bòtte (percosse) MONOSILLABI ACCENTATI MONOSILLABI SENZA ACCENTO è → verbo essere e → congiunzione Nelle parole tronche la vocale o possiede sempre sì → avverbio di affermazione si → pronome o particella accento grave, mentre la vocale e può avere accento acuto pronominale o grave; in caso di dubbio è opportuno affidarsi a un voca- bolario, per prendere atto della grafìa e quindi della pronun- dà → 3a persona presente da → preposizione cia più corretta. indicativo verbo dare dì → giorno (poetico) di → preposizione lì → avverbio di luogo li → pronome Riassumendo là → avverbio di luogo la → articolo o pronome PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE O: personale femminile ché → congiunzione “perché” che → congiunzione o falò comò però paltò pedalò (poetico) pronome relativo tè → bevanda te → pronome PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE E: sé → pronome se → congiunzione noè cosicché lacchè viceré bebè né → congiunzione negativa ne → pronome o avverbio 22 23
  • 14. Già, ma perché? Infatti la regola non dovrebbe Nota Bene essere accettata come una verità rivelata, ma per un motivo logico: questi due monosillabi non hanno omonimi, a meno Quando il pronome sé è accompagnato da stesso o mede- che non si voglia fare riferimento per uno di essi al suono simo non dovrebbe essere accentato, essendo già suffi- emesso dall’oca. ciente il termine che l’accompagna per chiarire la sua natura. Alcuni linguisti non sono d’accordo, e insistono Come già è stato chiarito a proposito delle note sulla legittimità dell’accento, che tuttavia sarebbe meglio musicali, anche le voci cosiddette onomatopeiche, che eliminare poiché superfluo, dal momento che la sua unica riproducono cioè suoni o rumori, non rientrano nel nove- funzione è quella di distinguere il pronome sé dalla corri- ro delle “parti del discorso” vere e proprie. spondente congiunzione, distinzione già effettuata dagli aggettivi dimostrativi stesso o medesimo. A questo proposito qualcuno potrebbe obiettare che i nomi delle note musicali sono tutti omonimi di altret- tanti vocaboli, i quali dovrebbero quindi essere accentati per la regola sopra esposta; si noti tuttavia che le note musicali non sono classificabili come “parti del discorso”, quindi nel nostro caso non se ne deve tenere conto. Un accento irragionevole, che ancora si legge nelle date, usato soprattutto in corrispondenze commerciali, riguarda uno strano lì collocato tra l’indicazione del luogo e la data stessa. Esempio Palermo, lì 30 aprile 2004 È eredità di una forma arcaica priva ormai di giusti- ficazione. Per concludere non possiamo dimenticare i due avverbi di luogo qui e qua sulla cui assenza di accento nessu- no ha dubbi per merito di un certo ritornello, ben chiaro nella mente di tutti fin dalla prima elementare: Su qui e qua l’accento non va 24 25
  • 15. La Maria è promossa, il Paolo invece no L’ARTICOLO MASCHILE L’uso appropriato degli articoli determinativi maschili il, lo (sing.), i, gli (plur.), e degli articoli indetermi- nativi maschili un, uno, può a volte generare dubbi: per que- sto conviene esaminarne il corretto utilizzo. Lo, il suo plurale gli e i loro composti si usano con nomi maschili inizianti con vocale (in tale caso lo si elide, pag. 31 cioè si apostrofa, come vedremo tra poco (pag. 31), mentre gli si elide solo davanti a i). Si usano inoltre con i nomi inizianti con le conso- nanti x, z, s impura (seguita cioè da consonante): lo xenofobo → gli xenofobi lo zio → gli zii lo sciatore → gli sciatori Lo stesso accade coi gruppi di consonanti pn, ps, gn, per ragioni eufoniche: lo pneumatico → gli pneumatici lo psicologo → gli psicologi lo gnomo → gli gnomi Il, il suo plurale i e i loro composti si usano con nomi maschili inizianti per consonante, con esclusione dei già citati pn, ps, gn, x, z, s impura. La ragione è semplice: per evitare l’accostamento della lettera l, terminale di il, con le consonanti e i gruppi di consonanti precedenti, che produrrebbe un suono estraneo alla dolcezza della lingua italiana. 27
  • 16. Il psicologo, per esempio, o il gnomo hanno un suono veramente sgradevole. Esempio L’ALIGHIERI, ma non IL DANTE ALIGHIERI Nel rispetto della regola, suocero, iniziante per s pura, cioè seguita da vocale, Nel linguaggio familiare, tuttavia, è concesso l’arti- esige l’articolo il e non l’articolo lo, colo con nomi e cognomi femminili. come si sente e si vede scritto spesso. Esempio L’articolo indeterminativo uno si adopera unica- mente davanti ai nomi maschili che iniziano con le conso- LA MARIA, LA BRAMBILLA, ecc. nanti o i gruppi di consonanti citati a proposito dell’artico- lo lo (pn, ps, gn, x, z ed s impura) mentre in tutti gli altri casi si usa l’articolo indeterminativo un (troncamento di uno). Benché si stia diffondendo l’uso dell’articolo anche coi nomi propri maschili, si ricordi che si tratta di forma scorretta. Avremo perciò I nomi di parentela primitivi accompagnati dal pos- un artista, un usciere, un cane, ecc., sessivo rifiutano l’articolo (mia madre, tuo zio, nostro ma anche uno gnomo, uno sciocco, uno zotico, ecc., nonno), mentre se sono alterati (vezzeggiativi, diminutivi, poiché la lettera n, terminale di un, accostata a ecc.), o ottenuti con l’aggiunta di prefissi (prozio, bisnonno, pn, ps, gn, ecc., rappresenta una stonatura. ecc.) o suffissi (sorellastra, ecc.), lo esigono. Esempio L’ARTICOLO FEMMINILE LA NOSTRA CUGINETTA, LA TUA NONNINA, Mentre gli articoli determinativi femminili la, le non IL VOSTRO BISNONNO creano problemi, le perplessità nascono a volte con l’utilizzo dell’articolo indeterminativo femminile una, che dinanzi a Attenzione! pag. 31 parole inizianti con vocale perde la a finale sostituita dall’apo- “mamma”, “papà” e “babbo” sono considerati vezzeggiativi, strofo, a causa della necessità dell’elisione (vedi pag. 31). e come tali richiedono l’articolo in presenza del possessivo: LA MIA MAMMA, e non MIA MAMMA L’ARTICOLO CON NOMI PROPRI DI PERSONA E CON NOMI DI PARENTELA Si eviti l’articolo dinanzi ai nomi propri di persona, a meno che non si tratti di personaggi celebri, nel quale caso lo si userà dinanzi al solo cognome. 28 29
  • 17. I Santi si distinguono anche dall’apostrofo L’APOSTROFO, SEGNO DELL’ELISIONE È il segno che si colloca in alto a destra in fine di una parola, per indicare la caduta della vocale o della sillaba finale dinanzi ad altra parola iniziante per vocale; tale soppressione prende il nome di elisione (da elidere, cioè sopprimere). Lo scopo è quello di evitare per ragioni eufoniche (vedi pag. 14 pag. 14) l’incontro di due vocali che produrrebbe iato (dal Latino hiatus “apertura della bocca”), con leggera difficoltà di pronuncia. È evidente che riesce più agevole dire l’oceano, anziché lo oceano: per questo la o dell’articolo cade, si elide. Si faccia attenzione ai seguenti casi L’elisione dell’articolo indeterminativo femminile una dinanzi ai nomi femminili inizianti per vocale, con necessaria introduzione dell’apostrofo, potrebbe spingere a volte a tralasciare quest’ultimo; infatti tale articolo, diven- tando un per la perdita della a finale, viene spesso erronea- mente confuso col corrispondente maschile, che non richie- de l’apostrofo. Esempio un’anatra, un’ostrica, un’unghia, un’estate Dimenticare l’apostrofo, in questi e in altri casi simili, costi- tuisce grave errore. Gli articoli gli e le e i loro composti si possono eli- dere (ma è preferibile evitarlo), soltanto davanti a nomi plu- rali inizianti rispettivamente per i ed e, mentre non si pos- sono elidere dinanzi alle altre vocali. 31
  • 18. che possono perdere, in base al gusto di chi scrive, la vocale Esempio finale: venir meno, poter dire, ecc. Non esistono dubbi quando la parola seguente ini- CORRETTO: gl’Inglesi, l’estati zia per consonante; chi penserebbe infatti di scrivere per ERRATO: gl’amici, l’ultime provviste esempio buon’ cavallo o mar’ Mediterraneo, nonostante la caduta delle vocali finali? Si noti anche che quando le assume funzione di L’incertezza sorge (apostrofo sì, apostrofo no?, quin- pronome, non si può mai elidere. di elidere un termine o troncarlo, evitando l’apostrofo?) dinanzi a vocaboli inizianti per vocale. Esempio Il consiglio pratico è il seguente CORRETTO: Le esternai (a lei) la mia perplessità ERRATO: L’esternai la mia perplessità si provi a porre il termine su cui si è dubbiosi dinanzi Abbiamo visto che l’elisione avviene in fine di ad altro dello stesso genere che inizi per consonante: parola: la si può tuttavia trovare anche all’inizio, quando si se l’accostamento è compatibile si tratta di troncamen- citano anni passati, eliminando le prime due cifre. to (quindi l’apostrofo sarebbe errato), altrimenti occor- re elidere, inserendo l’apostrofo. Esempio il ’45, il ’68, nel ’99, ecc. Si noti che lo stesso termine può utilizzare il tron- camento dinanzi ai nomi maschili, e l’elisione dinanzi ai La soppressione è tuttavia concessa soltanto femminili. Pare complicato, ma in pratica non lo è. quando si fa riferimento al secolo precedente, perciò non è più consentito, negli anni 2000, scrivere il ’48 per indi- Vediamo qualche esempio: care il 1848. tal uomo non richiede l’apostrofo perché posso scrivere tal dispiacere; qual esempio non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere IL TRONCAMENTO: QUANDO qual buon vento. L’APOSTROFO NON È AMMESSO Si faccia particolare attenzione all’indispensabile Si dice troncamento la soppressione della vocale troncamento (quindi non elisione) di qual dinanzi al verbo finale oppure dell’ultima sillaba di un vocabolo, purché non essere, nelle forme inizianti con la vocale e. accentate, che avviene senza apostrofo, il cui inserimento Esempio: qual è, qual era, ecc. rappresenterebbe un errore. Ben arrivato non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere ben detto. Ecco i casi più comuni di parole soggette a tronca- Nessun esito non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere mento: tal, qual, ben, buon, nessun, mar, signor, suor, amor, nessun dolore. fior e gli aggettivi indefiniti maschili alcun, ciascun, nessun, Invece, pover’uomo richiede l’apostrofo, perché non potrei qualcun. A questi si aggiungono gli infiniti di alcuni verbi scrivere pover ragazzo. 32 33
  • 19. E passiamo ai femminili: nessun’amica richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere TRONCAMENTI IRREGOLARI nessun compagna. Buon’idea richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere Nonostante il troncamento rifiuti l’apostrofo, alcu- buon famiglia. ni vocaboli lo esigono, benché la caduta della vocale o della Tal amica non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere tal sillaba finale non sia stata provocata da ragioni eufoniche, ragazza. come accade con l’elisione di cui abbiamo appena trattato. Attenzione: si tratta di eccezioni che richiedono l’apostro- Riassumendo fo, ma non l’accento, che rappresenterebbe un errore. APOSTROFO NO APOSTROFO SÌ Un po’ → sta per un poco tal uomo pover’uomo A mo’di → sta per a modo di qual esempio nessun’amica Pie’ → sta per piede (a ogni pie’ sospinto, qual è, qual era buon’idea a pie’ di pagina) ben arrivato Fe’ → sta per fede (forma antiquata usata un tempo nessun esito in poesia) tal amica Be’ → sta per bene! (avverbio di modo) Molti, spesso anche giornalisti o scrittori di un Un’osservazione particolare merita san, troncamen- certo nome, scrivono questa esclamazione in forma discuti- to di santo, che si tronca dinanzi a nomi propri inizianti per bile: bè, beh. consonante: Il primo caso (bè) è elencato nei vocabolari come voce san Gerolamo, san Pancrazio, san Luca, san Gennaro imitativa del belato, scritta anche con prolungamento della vocale, mentre beh, assimilato da alcuni grammatici ad altre mentre riprende la sua struttura originaria dinanzi a quelli esclamazioni accompagnate dall’h finale (ah!, oh!, ecc.), è accet- che cominciano per vocale, ovviamente con l’elisione della tato con la solita scusa che “si tratta ormai di uso comune”. vocale finale: Chi intende scrivere correttamente, sceglierà sant’Ambrogio, sant’Onofrio, sant’Antonio comunque la forma col troncamento irregolare: be’! Per concludere l’argomento ricordiamo che davan- Particolarmente incerta per i più, inoltre, la grafia ti a s impura non c’è né elisione, né troncamento, come di alcuni imperativi, che a volte sono erroneamente scritti accade con santo Stefano. con l’accento, mentre richiedono l’apostrofo. Il femminile santa resta di solito invariato: Eccoli santa Matilde, santa Chiara, santa Lucia con poche eccezioni dinanzi ad alcuni nomi inizianti per vocale: Da’ → dai Di’ → dici sant’Anna, sant’Elena, sant’Orsola Fa’ → fai Sta’ → stai To’ → togli, tieni Va’ → vai Ci si affiderà in questi casi alla tradizione. 34 35
  • 20. Assassinii e assassini. A volte il plurale è micidiale PLURALE DEI VOCABOLI TERMINANTI IN CIA, GIA, IO Ecco un altro argomento che crea spesso perplessi- tà in chi è rispettoso della lingua italiana, mentre i più, igno- rando beatamente il dubbio, seguono l’istinto, che non sem- pre è buon consigliere. Eppure la regoletta, che riguarda sia i nomi che gli aggettivi, è semplice e richiede solo un’attenzione minima. Eccola: Quando l’accento tonico cade sulla i finale dei vocaboli terminanti in cia o gia, la vocale resta anche nel plurale. Esempio farmacìa → farmacie bugìa → bugie Se la i finale è atona, cioè non accentata, si osservi allora se il gruppo cia o gia è preceduto da vocale. In tale caso si conserva la i al plurale; diversamente la si elimina. Esempio ciliegia → ciliegie frangia → frange provincia → province camicia → camicie 37
  • 21. I vocaboli terminanti al singolare in io perdono la i al plurale se questa è atona (non accentata), mentre la man- CONCORDANZE tengono quando è tonica (accentata), nel quale caso si avrà il plurale con la doppia i. Come ci si comporta quando si devono concordare aggettivi riferiti a un insieme di nomi maschili e femminili? La regola è chiara: Esempio quando si tratta di persone, prevale il maschile (ebbene, sì!). fìglio → figli Esempio scòppio → scòppi zìo → zii Marco e Maria sono buoni formicolìo → formicolii. Tuttavia a volte quel maschile stona; allora si può Un’incertezza potrebbe nascere quando un plurale ricorrere a scappatoie del tipo: Marco è buono, e anche Maria. correttamente scritto con una sola i è in grado di generare Se invece si fa riferimento a cose, la concordanza può avere omonimia, cioè suono uguale ad altra parola affine, ma con luogo anche col termine più vicino. diverso significato. Per esempio, condominio e condomino hanno il plurale graficamente identico. Come risolvere il Esempio problema? Semplicemente attraverso l’indicazione dell’ac- cento tonico interno al vocabolo: condomìni nel primo caso, I libri e le riviste erano ammucchiate in terra e condòmini nel secondo. Tuttavia non mancano occasioni in (oppure ammucchiati) cui neppure tale soluzione è sufficiente: vedasi l’esempio di assassìnio e assassìno, omicìdio e omicìda, ugualmente accenta- ti; se si seguisse la regola, i plurali di ogni gruppo si confon- derebbero tra loro. E allora? Si userà al plurale la doppia i per il vocabolo che tra i due termina in io, benché non accentato, contraddi- cendo quanto affermato in precedenza: del resto non si dice comunemente che l’eccezione conferma la regola? Riassumendo assassìnio → assassìnii assassìno → assassìni omicìdio → omicìdii omicìda → omicìdi 38 39
  • 22. I pronomi: un argomento scottante I PRONOMI PERSONALI Si nota a volte uno scambio scorretto tra maschile e femminile, tra singolare e plurale, tra soggetto e comple- mento. Osserviamo alcune possibilità di errore. Soprattutto nel linguaggio parlato c’è chi utilizza te in luogo di tu come soggetto. Esempio te sei sempre in ritardo → ERRATO tu sei sempre in ritardo → CORRETTO Lui e lei, complementi di egli ed ella, sono usati sem- pre più spesso anche con funzione di soggetto: “lui ha detto che..” è forma propria del linguaggio parlato. Molto più cor- retto “egli ha detto che..” Ormai tollerati, non rappresentano però esempi di bello stile. Accade anche di udire scambi di genere tra pronomi personali. Frequente gli per il femminile e le per il maschile. Dovrebbe essere inutile raccomandare di rifuggire da simili licenze. Esempio gli ho portato un dono (alla mamma) → ERRATO le ho portato un dono → CORRETTO le ho dato un consiglio (a un amico) → ERRATO gli ho dato un consiglio → CORRETTO 41
  • 23. Loro, complemento di 3a persona plurale sia preposizione a in presenza di un complemento di termine, maschile che femminile, a volte è usato come soggetto, ma restando fedeli all’origine latina del termine. è forma meno corretta di “essi”, “esse” che hanno invece precisa funzione di soggetto. Esempio Lo stesso dicasi quando al posto del corretto plura- Ho incontrato l’amico, cui avevo affidato i saluti per te. le a loro si usa gli che è invece singolare. Lo stesso accade quando cui è accompagnato dalla Esempio preposizione di, che è preferibile tralasciare quando il pro- nome è collocato tra l’articolo e il nome. gli ho dato (ai miei figli) → ERRATO ho dato (a) loro → CORRETTO Esempio Mario, la di cui moglie è un’ottima cuoca.. → PEGGIO Ugualmente errato l’utilizzo del pronome ci in Mario, la cui moglie è un’ottima cuoca.. → MEGLIO luogo dei pronomi gli o le. Esempio l’ho incontrato, e ci ho detto → ERRATO l’ho incontrato, e gli ho detto → CORRETTO l’ho incontrata, e le ho detto → CORRETTO I PRONOMI RELATIVI I pronomi relativi che, il quale, i quali, la quale, le quali, cui e chi sono utili per rendere più agile il discorso, evi- tando la ripetizione del nome. Il pronome relativo che (da usare unicamente come soggetto o complemento oggetto) può essere sostituito con il corrispondente il quale (la quale, ecc.), più elegante e preci- so, usato soprattutto nella forma scritta. Si noti il pronome relativo cui, che svolge sempre funzione di complemento, identificabile attraverso la prepo- sizione che lo accompagna. In certi casi si può tralasciare la 42 43
  • 24. M o N? Scopriamo la differenza LA VECCHIA STORIELLA DEL SERVITORE CON TRE GAMBE Molti ricorderanno la storiella del servitore con tre gambe di nome emme, che faceva da battistrada ai padroni p e b, dopo che questi avevano licenziato un domestico di nome enne, provvisto di due sole gambe, e perciò meno effi- ciente. La si poteva trovare nei sussidiari di una volta per la prima classe elementare, ed era efficace, perché dopo averla conosciuta era difficile che gli alunni sbagliassero. Quindi si deve scrivere m anziché n, (nel linguaggio par- lato la differenza non si nota), quando la consonante pre- cede p e b. Esempio CORRETTO ERRATO imbavagliare inbavagliare amputare anputare imbottitura inbottitura simpatia sinpatia improbabile inprobabile composto conposto imbroglio inbroglio La regola vale anche per i nomi propri maschili quali Giambattista, Giampiero, ecc., anche se qualcuno, per essere originale, sceglie uno scorretto Gianbattista o Gianpiero. 45
  • 25. Se quella m non soddisfa, si possono scrivere i due Si notino inoltre i verbi: piacere, nascere, tacere, gia- nomi separati, nel quale caso la n va benissimo, mentre cere, che nella 1a e 3a persona singolare e nella 3a persona Gianluigi, Gianantonio, Giangiacomo ecc. non hanno pro- plurale del passato remoto introducono il gruppo cqu: piac- blemi: la n è perfetta. qui, piacque, piacquero; nacqui, nacque, nacquero; tacqui, tac- que, tacquero; giacqui, giacque, giacquero. Riassumendo CORRETTO ERRATO IN ALTERNATIVA Giambattista Gianbattista Gian Battista Giampiero Gianpiero Gian Piero CQU, CCU, CU, QU, QQU: UNA SCELTA CHE RICHIEDE ATTENZIONE Per gli stranieri deve trattarsi di un vero rebus, che fa ritenere difficile e complicata la lingua italiana; anche per noi in questo caso la distinzione tra le varie grafie può rap- presentare motivo di incertezza, che tuttavia apparirà facil- mente risolvibile per chi ha studiato (e ancora ricorda) il Latino: infatti la scelta dell’uno o dell’altro gruppo si rifà generalmente ai vocaboli corrispondenti della nostra lin- gua madre. In caso contrario sarà il vocabolario a venire in aiuto, o il ricordo delle regole impartite dalle maestre delle elementari. Non ci soffermeremo sulla corretta grafia di “cuore”, “cuoio”, “cuoco”, “acqua” e “scuola” per non offen- dere i lettori, limitandoci a richiamare l’attenzione su alcu- ni vocaboli di uso più raro, su cui possono nascere dubbi. Forme corrette soqquadro, taccuino, innocuo (dal Latino innocuus), iniquo (dal Latino iniquus), proficuo, quota, quotidiano, scuotere, riscuotere, percuotere 46 47
  • 26. L’anacoluto non è una parolaccia L’ANACOLUTO E IL PLEONASMO A volte si sentono citare questi termini, usati per indicare forme scorrette, proprie del linguaggio popolare. L’anacoluto, dal Greco “sconnesso”, “non corrispondente”, consiste nella mancanza di legame tra l’inizio di un periodo e la parte seguente, che introduce un soggetto diverso. Esempi ANACOLUTO: Un soldato che fugge, tutti pensano che sia un vigliacco. FORMA CORRETTA: Tutti pensano che un soldato che fugge sia un vigliacco. ANACOLUTO: La casa che ho costruito con tanti sacrifici, i miei figli credono che valga poco. FORMA CORRETTA: I miei figli credono che la casa che ho costruito con tanti sacrifici valga poco. ANACOLUTO: Quelli che pregano, io spero che il Cielo ascolterà le loro parole. FORMA CORRETTA: Io spero che il Cielo ascolterà le parole di quelli che pregano. 49
  • 27. Come si vede, le frasi iniziano con un soggetto che poi viene abbandonato per passare a una nuova costruzione, ANACOLUTI D’AUTORE il che rappresenta una sgrammaticatura. Si cita spesso come esempio di anacoluto Io mi piace.., in cui il soggetto non è il pronome personale, ma ciò Calandrino, se la prima gli era paruta amara, che rappresenta il motivo del gradimento; è questo un erro- questa gli parve amarissima. re che, per la più diffusa alfabetizzazione attualmente in atto, G. Boccaccio sta finalmente scomparendo. Meno grave e addirittura perdonabile, ma solo nella forma orale, è il pleonasmo, altro termine di derivazio- Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro. ne greca, che significa “superfluità”, “aggiunta inutile”. A. Manzoni Sono pleonasmi molto comuni “ma però”, unione di due congiunzioni entrambe avversative, dove una sola Un religioso che, senza farvi torto, val più un sarebbe sufficiente, e quell’a me mi che qualche grammatico pelo della sua barba che tutta la vostra. accetta come rafforzativo, anche se di questo passo, trovan- A. Manzoni do giustificazioni a ogni possibile distacco dalle regole, si finisce con l’affidarsi all’arbitrio di chi parla o scrive. Piero era il suo genere spaventare la gente. C. Pavese Altri esempi Era un giovane che, come suol dirsi, gli puzzavano i baffi. Entra dentro il salotto, e apri le finestre T. Landolfi Esci fuori subito da lì Sali su con me per salutare mia madre Aveva due occhi bellissimi (verrebbe da chiedersi se il terzo, invece..) È vero che pleonasmi e anacoluti si possono trovare in scritti di letterati e poeti di tutti i tempi, ma ricordiamo che essi, per la profonda esperienza, hanno sempre avuto la capacità di utilizzare perfino le imperfezioni linguistiche per creare dissonanze utili per gli effetti che hanno inteso otte- nere; infatti sono come l’Agente 007: hanno la licenza. Meglio comunque non tentare in questo caso di imitarli. 50 51
  • 28. La congiuntivite e altre patologie verbali UTILIZZO DEL CONGIUNTIVO Per la solita tendenza alla semplificazione, sinoni- mo in questo caso di impoverimento della lingua, l’Italiano sta perdendo gradualmente l’utilizzo del congiuntivo, forma di rara limpidezza espressiva derivata direttamente dal Latino, che attraverso essa manifestava possibilità in luogo di certezza. Indro Montanelli scrisse un giorno che il congiun- tivo si sta avviando a diventare quello che le posate d’ar- gento sono per certe famiglie: un segno di distinzione; con- tinuare a utilizzarlo non dovrebbe rappresentare tuttavia uno snobismo, ma una scelta di coerenza, di chiarezza, perfi- no di fedeltà alle proprie radici e di contrasto all’appiatti- mento, che non è mai segno di qualità. Dal momento che esistono associazioni interessate alla difesa di ciò che deve essere protetto, varrebbe la pena di istituirne una per la salvaguardia del congiuntivo. Qualcosa del resto si sta già facendo in questo set- tore: gli insegnanti coi loro alunni di una scuola di Treviso si sono impegnati in una campagna simile a quella per impe- dire l’estinzione dei panda, avendo come slogan (antico grido di guerra dei clan scozzesi): Il congiuntivo non deve morire! Complimenti: faremo il possibile per combattere insieme con loro. Dopo questa notizia che rincuora, passiamo quindi all’esposizione della regola, che più di ogni altra è affidata al significato che chi parla o scrive intende dare al proprio pensiero. 53
  • 29. Il congiuntivo è il modo verbale che esprime dub- 1a persona plurale dell’indicativo presente), e non “insegn-amo”. bio, eventualità, ma anche desiderio o timore che si verifi- Allo stesso modo scriveremo: “noi spegn-iamo” e non “spegn- chi un fatto: si utilizza in dipendenza di una proposizione amo”, “che noi sogn-iamo” (perché -iamo è la desinenza della 1a principale, che determina la scelta successiva tra l’indica- persona plurale del congiuntivo presente), “che voi sogn-iate” tivo e il congiuntivo. (essendo -iate la desinenza della 2a persona plurale del congiun- tivo presente), e non: “che noi sogn-amo”, “che voi sogn-ate”. Esempio Riassumendo Penso (quindi immagino, ma non ne sono certo) che tu CORRETTO ERRATO mi abbia tradito. insegn-iamo insegn-amo Se invece intendo attribuire certezza alla mia ipo- spegn-iamo spegn-amo tesi, userò in questo caso l’indicativo, dicendo o scrivendo: che noi sogn-iamo che noi sogn-amo che voi sogn-iate che voi sogn-ate Penso che mi hai tradito. I composti con fare, dire, venire richiedono atten- zione, poiché seguono la coniugazione dei verbi che ne Sfumature, certo, ma preziose per manifestare com- costituiscono la base. Esempi: il presente indicativo di disfa- piutamente un pensiero, pur senza utilizzare tante parole. re è “io disfaccio”, e non “io disfo”, come dovrebbe essere se non seguisse la regola sopra citata. Allo stesso modo si dirà e si scriverà: “io disfacevo”, “io disfeci”, “disfacendo”, ecc. e OSSERVAZIONI SU ALCUNI VERBI SPECIALI non “io disfavo”, “io disfai”, “disfando”. Passiamo quindi ai composti del verbo dire: Qualche perplessità nasce a volte sulla grafia di l’imperfetto indicativo di maledire è “maledicevo” e non certi verbi. Eccone alcuni. “maledivo”. Allo stesso modo si dirà e si scriverà: “maledis- I verbi che terminano all’infinito in ci-are e gi-are si” e non “maledii”, “maledicendo”, e non “maledendo”. perdono la i della radice (la parte invariabile del vocabolo), Il verbo pervenire presenta qualche difficoltà nel passato dinanzi alle desinenze (le parti variabili) che iniziano con i ed remoto, dove spesso si sente dire o si vede scritto “pervenii”, e, poiché la vocale i della radice non è più necessaria per man- “pervenì”, “pervenirono”, in luogo di “pervenni”, “perven- tenere il suono dolce o palatale della c o della g precedente. ne”, “pervennero”, che sono le uniche forme corrette del passato remoto del verbo venire, da cui pervenire deriva. Si dovrà quindi scrivere: noi cominc-iamo, noi cominc-eremo, io cominc-erei, Riassumendo: noi mang-iamo, noi mang-eremo, io mang-erei mentre sarebbe errato scrivere: CORRETTO ERRATO cominci-eremo, mangi-erei, ecc. disfaccio disfo disfacevo disfavo I verbi che terminano all’infinito in gn-are e disfeci disfai gn-ere sono regolari, e pertanto mantengono la i delle desi- disfacendo disfando nenze quando queste compaiono. maledicevo maledivo Quindi: “noi insegn-iamo” (perché iamo è la desinenza della 54 55
  • 30. CORRETTO ERRATO La regola è semplice, e come al solito risponde alla logica: l’ausiliare dei verbi servili deve essere lo stesso richiesto maledissi maledii dal verbo al quale il servile è unito. maledicendo maledendo Le forme esatte sono perciò: sarei potuto fuggire, pervenni pervenii sarei dovuto essere castigato, con l’ausiliare essere in entrambi pervenne pervenì i casi, poiché fuggire è intransitivo, e castigare è usato in forma pervennero pervenirono passiva, ma: avrei dovuto castigare, poiché castigare è usato in questo caso in forma attiva, e quindi richiede l’ausiliare avere. GLI AUSILIARI ESSERE E AVERE PASSATO PROSSIMO O Essere e avere, come è noto, servono tra l’altro per PASSATO REMOTO? la coniugazione dei verbi, e per questo sono definiti ausiliari. Il verbo avere si usa per i tempi composti delle Il nome di questi tempi dell’indicativo, indistinti forme attive dei verbi transitivi, quelli che esprimono un’a- tra loro nella lingua latina, può trarre in inganno: prossimo zione che passa, cioè transita o può transitare su un comple- infatti sembra fare riferimento a un’azione avvenuta di mento oggetto (“Ho sconfitto la malattia”). recente, remoto a un’azione lontana. In realtà non è così. Il verbo essere si usa per le forme passive, nei tempi Il tempo passato remoto si usa per indicare un’a- semplici e composti (“sono amato”, “ero stato amato”), e inol- zione conclusa, non importa se accaduta recentemente o tre per i tempi composti dei verbi intransitivi, quelli che espri- molto tempo prima, mentre il tempo passato prossimo mono azione ferma sul soggetto, come nascere, vivere, morire, tor- indica avvenimenti anche lontanissimi, i cui effetti conti- nare, ecc. (esempio: “sono arrivato”, “ero tornato”). Si adopera nuano ancora nel presente. anche per i tempi composti dei verbi impersonali, usati per indi- care fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, albeggiare, ecc.), Esempi quindi occorre dire o scrivere: “È piovuto per breve tempo”. In alcune regioni si usa però in questi casi soprat- Garibaldi morì nel 1882 tutto l’ausiliare avere, ma in Toscana, dove il rispetto per la Dante Alighieri nacque nel 1265 purezza è innato, ciò non accade, neppure tra le persone Mia figlia (tuttora vivente) è nata nel 1958 meno colte, e questo dovrebbe bastare per tenerci lontani da Tre mesi or sono è venuto ad abitare presso una forma poco corretta. di noi mio fratello (il fatto perdura) Non mancano tuttavia alcuni verbi intransitivi che Ieri incontrai Maria (azione vicina, ma utilizzano l’ausiliare avere (“ho dormito”, “ho passeggiato”); in completamente trascorsa) caso di dubbio converrà quindi ricorrere al dizionario, che segnala sempre l’ausiliare corretto da usare coi verbi irregolari. Le incertezze maggiori possono nascere per la scel- L’utilizzo appropriato dei due tempi verbali non ta dell’ausiliare nei tempi composti dei verbi cosiddetti ser- sempre è rispettato nelle varie regioni italiane: nel Nord si vili potere, volere e dovere che accompagnano altri verbi. preferisce il passato prossimo (nel dialetto milanese il passa- to remoto addirittura non esiste), mentre nel Sud il passato Qual è la frase giusta? remoto è abituale. Con un po’ di attenzione si potrà rime- avrei potuto fuggire oppure sarei potuto fuggire? diare, almeno nel linguaggio scritto, alle inesattezze dovute avrei dovuto essere castigato oppure sarei dovuto essere castigato? alle abitudini locali. 56 57
  • 31. Le maiuscole. Attenzione alle stonature! Raduniamo qui alcuni esempi di scorrettezze e sto- nature da evitare. LE MAIUSCOLE NEI TITOLI ACCADEMICI, NOBILIARI, ONORIFICI Trattandosi di appellativi che rappresentano una qualifica particolare, per nascita o benemerenza o titolo accademico, si dovrebbero scrivere con la lettera maiuscola. Si scriverà quindi: il Ministro l’Onorevole il Papa il Preside il Professore Quando tuttavia sono accompagnati dal nome pro- prio, è preferibile usare la minuscola: il ministro Rossi l’ing. Bianchi il dott. Brambilla il conte Cavour il re Vittorio Emanuele II Per regola si dovrebbe quindi scrivere anche: il papa Giovanni XXIII, benché in tale caso molti usino la maiuscola in segno di rispetto. Con significato generico, i diversi appellativi si scrivono con la lettera minuscola: il ministro, i senatori, ecc. 59
  • 32. LE MAIUSCOLE NELLE PAROLE INDICANTI NAZIO- sono portare nella cura della res publica con la cultura ormai NALITÀ E APPARTENENZA RELIGIOSA O POLITICA generalizzata, l’impegno puntiglioso, la tenacia e quello spi- rito materno che fa parte della loro natura. La regola è affine alla precedente: se il termine è Ecco allora il bisogno di coniare termini adatti alle nuove solo, e quindi è usato come sostantivo, si deve scrivere con funzioni, e per questo si è fatto ricorso alle regole già esi- la lettera maiuscola. stenti riguardanti il femminile dei corrispondenti nomi comuni maschili. Esempio Abbiamo così la Presidentessa (la dottoressa), la Deputata (la scolara), la Senatrice (l’istitutrice). l’Italiano (lingua), i Russi (popolo), i Cattolici, i Liberali, ecc. In altri casi meno usuali, tuttavia, invece di ricorrere alla femminilizzazione del termine, non sempre gradevole, ma: (l’Assessora? la Ministra? o peggio: la Pubblica Ministera?), sarebbe meglio lasciare invariato il titolo: basterà accompa- la lingua italiana, la cultura russa, la religione cattolica, gnarlo col nome e cognome dell’interessata (l’assessore la dottrina liberale, ecc. Maria Rossi, il ministro Maria Bianchi, ecc.), sufficienti a chiarire il sesso. poiché nei casi appena citati il termine assume funzione di aggettivo qualificativo, e quindi la maiuscola non è appropriata. Richiedono inoltre la maiuscola i periodi storici, i secoli, i movimenti culturali, le solennità religiose, i titoli di libri, giornali, opere d’arte, associazioni, società, uffici pub- blici, istituzioni, mentre si usa la lettera minuscola per i nomi di stagioni, mesi e giorni. Si scriverà perciò: il Rinascimento, l’Ottocento, il Romanticismo, l’Ascensione, il Parlamento, primavera, marzo, mercoledì TITOLI PUBBLICI AL FEMMINILE Un tempo non era necessario porsi il problema, poiché le donne non rivestivano cariche politiche o istitu- zionali, anche se in realtà molte di loro erano spesso ispira- trici di decisioni e di manovre che si compivano in alto loco. Dalla metà del secolo appena trascorso, tuttavia, si è final- mente compresa l’importanza dei benefìci che le donne pos- 60 61
  • 33. I punti cardinali della punteggiatura La punteggiatura, attraverso i diversi segni di inter- punzione, ha lo scopo di conferire allo scritto le pause neces- sarie per rendere evidente il significato dell’esposizione. Ci sono tuttavia autori notissimi che hanno elimi- nato a volte la punteggiatura dai loro scritti (Giuseppe Berto, James Joyce, per esempio) anche se in tale caso la let- tura e la comprensione dei testi appaiono meno agevoli. Si tratta comunque di una scelta che solo chi possiede una padronanza profonda della lingua si può permettere. A tale proposito è giunta notizia che le autorità inglesi che si occupano della difesa della Cultura nazionale, sentendo a loro volta la necessità di porre un freno al degra- do cui è sottoposta anche la loro lingua, si sono impegnate recentemente nella difesa della punteggiatura, ricordando come questa sia importante per chiarire il senso delle frasi. Noi non intendiamo certo essere da meno: abbiamo quindi raccolto qui le regole principali, pur avvertendo che non sono tassative. VIRGOLA Cominciamo con lo sfatare una leggenda dura a morire, inculcata nelle teste degli alunni fin dai primissimi anni di scuola dalle maestre di una volta, tramandata in seguito da una generazione all’altra: davanti alla congiunzio- ne “e” non si può mettere la virgola. In realtà la virgola non si dovrebbe usare davanti alla congiunzione “e” solo nell’ultimo termine di un elenco, benché a volte la virgola finale possa servire per accentuare una distinzione, ma questo è solo un espediente letterario. L’equivoco potrebbe nascere dal fatto che la “e”, essendo 63
  • 34. congiunzione, serve a unire i termini di una frase, mentre la Vedasi l’esempio seguente, in cui tra il soggetto e il verbo è virgola indica una separazione: l’utilizzo contemporaneo inserita un’incidentale: potrebbe dunque apparire una contraddizione, mentre in realtà non è così. L’uomo, che avanzava a piccoli passi faticosi, aveva Ecco dunque la semplice regola negli occhi la fredda determinazione di chi è deciso a raggiungere la propria meta. La virgola, che ha lo scopo di indicare una pausa breve nel fluire del discorso, dovrebbe precedere la “e” e altre congiunzioni (esempio: ma, benché, per- Errato sarebbe invece scrivere: ciò, ecc.) quando queste danno inizio a una nuova proposizione, cioè a una frase di senso compiuto in cui siano presenti almeno un verbo e un soggetto, L’uomo, avanzava a piccoli passi faticosi.. espresso o sottinteso. come purtroppo spesso si legge. Esempio IL PUNTO FERMO Sono tornato a casa, e ho saputo la buona notizia. Indica la conclusione di un periodo. Nella prosa Si noti comunque che si potrebbe fare a meno della moderna si preferiscono frasi brevi, che conferiscono un virgola se si volesse evidenziare una contemporaneità di ritmo più vivace e dinamico al discorso. azione tra i due fatti. Viene utilizzata anche per separare un vocativo dal resto della frase. IL PUNTO E VIRGOLA Esempio La sua stessa forma grafica, risultante dall’unione di un punto con una virgola, indica che si tratta di un segno di Ricordate, figli miei, le parole di vostro padre! interpunzione il cui valore sta tra l’uno e l’altra. Si usa per una pausa più decisa di quella indicata dalla virgola, ma meno forte del punto fermo. La virgola non dovrebbe mai stare dopo il sogget- to, poiché lo separerebbe dal verbo di cui fa parte inte- grante. Esistono tuttavia delle eccezioni chiaramente identi- I DUE PUNTI ficabili: se dopo il soggetto si trova un’incidentale, la virgola diventa necessaria, accompagnata da un’altra virgola al termi- Servono sia per introdurre un discorso diretto, che ne dell’incidentale stessa, con funzione di doppia parentesi. una spiegazione o un elenco. 64 65
  • 35. IL PUNTO ESCLAMATIVO E IL PUNTO INTERROGATIVO LE VIRGOLETTE Non intendiamo certo soffermarci sul loro notissi- Le virgolette (“ ”) si utilizzano per racchiudere un mo utilizzo, limitandoci a una raccomandazione: discorso diretto o per riferire un pensiero, e possono essere si eviti di raddoppiarli o triplicarli, o peggio di usarli insie- sostituite dalle lineette (- -). me per accentuare un’esclamazione o una domanda, con Le virgolette servono inoltre per evidenziare titoli (di libri, un eccesso di enfasi che non è mai indice di buon gusto. di opere musicali o artistiche), epoche storiche, modi di dire, frasi convenzionali, parole sulle quali si richiama l’attenzio- ne, ecc. LE ABBREVIAZIONI Devono essere seguite dal punto fermo. Si ricordi tuttavia che le forme abbreviate riguardanti misure, pesi e capacità (km, gr, dl, ecc.) sono al contrario considerate ter- mini compiuti e pertanto rifiutano il punto. Attenzione! Il titolo di “dottore” che precede un nome proprio spettan- te di diritto solo a chi ha conseguito una laurea, o l’ha otte- nuta honoris causa, può essere abbreviato in due modi: dott. (quindi seguito dal punto fermo), per indicare la cadu- ta della seconda parte del vocabolo; oppure dr, nel quale caso il punto finale sarebbe un’incongruenza, dal momen- to che si tratta di una soppressione interna al vocabolo e non di un’abbreviazione. I PUNTINI DI SOSPENSIONE I puntini di sospensione (bastano due, come diceva la scrittrice Françoise Sagan, e ce n’è d’avanzo) servono per indicare un’incertezza, una reticenza, una pausa quando si riporta un discorso diretto o si esprime un pensiero. Si raccomanda però un uso molto parco di questo segno grafico: l’eccesso è sgradevole, poiché imprime alla prosa un andamento zoppicante. 66 67
  • 36. Parole ed espressioni da rottamare CIOÈ & CO. La nostra lingua da qualche tempo è soggetta a curiosi innamoramenti di termini che solitamente si diffon- dono tra i giovani, e che di solito si esauriscono, anche se non sempre rapidamente. C’è stato il dilagare di un cioè che si infilava pervi- cacemente ogni due, tre parole senza un nesso logico con la frase, dal momento che si tratta di una particella esplicativa volta a chiarire il significato di quanto espresso immediata- mente prima: deriva infatti dall’unione del pronome dimo- strativo ciò con è, 3a persona del presente indicativo del verbo essere. In realtà era segno di incertezza, di scappatoia per prendere tempo nel seguire il filo logico del pensiero, a volte di timidezza: infatti quando chi parlava era sicuro di sé e procedeva spedito nel discorso, il famigerato, inutile cioè non compariva. Divenne presto un’abitudine, un’intrusione irritante che restò tuttavia confinata nell’espressione verba- le, finché si attenuò fino a scomparire quasi del tutto. Si potrebbero citare altri vezzi simili, come attimi- no, grazioso diminutivo-vezzeggiativo che dovrebbe indicare un tempo brevissimo, mentre in realtà la sua durata potreb- be non avere limiti. Un’altra inutile intrusione è rappresentata dall’av- verbio assolutamente, superfluo rafforzativo di affermazioni o negazioni, come se sì o no non fossero più che sufficienti a manifestare assenso o dissenso. Appartiene allo stesso genere un intercalare che persone di buona cultura introducono a volte in continua- zione nel loro discorso; si tratta di un inciso solitamente inopportuno che “infiora” il loro eloquio: per così dire o dicia- mo così. Forma nervosa, segno di imbarazzo? 69
  • 37. Il fatto è che l’inutile insistenza di certe ripetizioni Innanzi tutto il “che” possiede molte funzioni: può ottiene soltanto lo scopo di distrarre dal contenuto del di- essere congiunzione, e in tale caso può introdurre sia il modo scorso e di infastidire l’ascoltatore. indicativo che il congiuntivo, e perfino il condizionale. Può Si presti dunque attenzione alla necessità di con- sostituire la congiunzione perché nella forma letteraria, richie- trollare il proprio modo di esprimersi, anche evitando l’uti- dendo però di essere accentato. È poi anche pronome relativo lizzo di termini che improvvisamente diventano di moda e plurivalente, giacché resta invariato nel maschile e nel fem- che banalizzano la lingua, con intromissioni non giustificate minile, nel singolare e nel plurale. Inoltre non muta nemme- dal loro significato letterale. no se usato come soggetto o come complemento oggetto, potendo assumere infine anche funzione di pronome neutro o di aggettivo esclamativo. Esempio: Che bella notizia! ESPRESSIONI “A VANVERA” Attenzione però: in quest’ultimo caso non dovreb- be essere unito soltanto a un aggettivo, come si sente spes- Tra le molte ben più gravi scorrettezze che deprimono la so nel Settentrione. È per esempio scorretto esclamare: Che nostra lingua, si nota a volte l’utilizzo di voci improprie, su noioso! Che brutto! cui sarebbe opportuno riflettere. Occorrerà invece aggiungere un sostantivo (Che di- Si dice per esempio persona umana, con l’inutile scorso noioso! Che brutto esempio!), oppure si dovrà sostituire il pag. 50 aggiunta di un aggettivo qualificativo che rappresenta un “che” con un termine diverso, inserendo inoltre un verbo: pleonasmo (vedi pag. 50); si tratta di una formula ormai Quanto risulta noioso! Come è brutto! entrata nel linguaggio colto di conferenzieri e predicatori, Ecco infine alcune frasi la cui pessima riuscita è usata perfino in più occasioni dal Pontefice, eppure, se con- dovuta al distratto utilizzo del “che”, usato appunto a van- sultiamo un dizionario, vediamo che il termine persona cor- vera, quindi da rottamare: risponde a individuo, uomo o donna. Allora che bisogno c’è di Siccome che ho la febbre, non potrò uscire. quell’aggiunta? A nessuno verrebbe in mente di definire per- Il “che” in questo caso ha una funzione indefinibile, poiché la sona un oggetto o un animale. congiunzione causale che lo precede è già più che sufficiente Un altro uso indiscriminato ben più grave viene per chiarire il significato della frase. consumato con il verbo giustiziare: La mafia ha giustiziato un Allo stesso genere appartiene il “che” usato in una frase quindicenne, facendolo sciogliere nell’acido.. di questo tipo: Ma siamo matti? Che giustizia sarebbe questa? Sta’ attento, che il pericolo è sempre in agguato! Eppure lo si legge e lo si sente dire e ripetere, soprattutto nei Abbiamo qui un “che” clandestino, infilatosi impro- telegiornali. E questi sono solo due esempi.. priamente in un periodo che non sentiva affatto la necessità del suo intervento. Sarebbe bastato porre due punti dopo la seconda parola, sopprimendo l’intruso: LA FREQUENTE PERDITA D’IDENTITÀ Sta’ attento: il pericolo è sempre in agguato! DEL “CHE” pag. 42 Abbiamo già accennato brevemente a pag. 42 a questa paroletta dall’apparenza modesta, ma dall’importanza solitamente determinante nell’evolversi del discorso: tuttavia è opportuno ampliare l’argomento, che presenta vari aspetti. 70 71
  • 38. La d eufonica: una consonante dalla vita sregolata LA D EUFONICA CON LA CONGIUNZIONE “E” E LA PREPOSIZIONE “A” La consonante d, aggiunta alla congiunzione e e alla preposizione a, quando sono seguite da parola iniziante per vocale, è detta eufonica, cioè utilizzata per rendere più armoniosa la pronuncia. Un tempo si consigliava di adoperare la d anche con la congiunzione o, che diventava od con un suono per nulla gradevole, quindi l’idea è stata in seguito giustamente abbandonata. L’argomento è stato a lungo controverso: meglio e ultimo o ed ultimo, e anche o ed anche, a ogni o ad ogni? Di solito alle elementari si insegna il rispetto della regola di base, quindi sempre ed e ad dinanzi a vocale. Alcuni grammatici moderni, invece, suggeriscono di usare la d eufonica solo quando si incontrano vocali ugua- li, per ottenere la massima semplificazione. Si dovrebbe esse- re d’accordo con loro: il suono duro della consonante denta- le, introdotta a forza là dove non appare necessario, toglie armonia al fluire del discorso. Del resto già il Manzoni, nella revisione del suo romanzo, si preoccupò di togliere la mag- gior parte delle d eufoniche esistenti nel testo primitivo. 73
  • 39. Come prendere le preposizioni per il verso giusto n L’USO A VOLTE SCORRETTO DI ALCUNE PREPOSIZIONI Soltanto errori veniali, d’accordo, ma basta poco per scegliere la forma giusta, quella più vicina alle miglio- ri tradizioni della nostra lingua, evitando le forme che hanno subìto l’influenza di altri idiomi, soprattutto di quello francese. Insieme con è la forma più corretta, di classica deriva- zione latina, che usava una cum per indicare unione. Insieme a è invece espressione meno appropriata. Pasta col burro è il termine esatto che indica il condi- mento aggiunto alla pasta, mentre pasta al burro non ha un significato grammaticalmente giustificabile. Biglietto di visita dovrebbe essere usato in luogo di bigliet- to da visita, in quanto il suo utilizzo è di presentazione, mentre la preposizione da indicherebbe un fine, uno scopo inesistente. Macchina per scrivere e macchina per cucire, dove la pre- posizione per indica giustamente lo scopo per cui la macchina viene utilizzata, dovrebbero sostituire le più comuni ma meno corrette diciture: macchina da cucire e macchina da scrivere. Per esempio è forma molto migliore di a, ad esempio. Nel primo caso la preposizione per chiarisce lo scopo per cui si cita un esempio, mentre la preposizione a è priva di giustificazione. 75
  • 40. Associazione per delinquere è la sola forma corretta. Ancora Si vedano gli esempi: con dei, per delle, a degli, dove dei, delle, una volta il fine è indicato dalla preposizione semplice degli significano alcuni, alcune. Allora è meglio usare gli per, mentre associazione a delinquere non è altro che la tra- aggettivi indefiniti, senz’altro più corretti. sposizione pedissequa in Italiano dell’uso francese. Quindi si eviterà di dire o scrivere, per esempio: Per indicare il materiale con cui un oggetto è fabbrica- Sono uscito con degli amici. to si dovrebbe sempre usare la preposizione di e non la Più appropriato e preciso: preposizione in, il cui significato è ben diverso. Quindi Sono uscito con alcuni amici. scultura di marmo e non in marmo, giacca di lana e non in lana, borsetta di pelle e non in pelle, ecc. Da evitare anche l’accostamento delle preposizioni “pro- prie” più volte citate (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra) Il moto da luogo richiede la preposizione da. con altre “improprie” (davanti, dietro, contro, ecc.). Attenzione quindi: Me ne vado di Milano, è uscito di qui, ecc. sono forme scorrette. Esempio Un caso particolare è rappresentato dalla preposizione Una borsa con dentro un fascicolo → espressione popolare impropria fuori, che esige di essere accompagnata dalla Una borsa contenente un fascicolo → più corretto preposizione semplice da quando indica uscita, movi- mento (esempio: lo hanno buttato fuori dall’uscio), ma si costruisce con la preposizione di negli altri casi: fuori di senno, fuori di metafora, ecc. Difficile? No: basta solo un po’ di attenzione. Si ricordi che mentre quasi tutte le preposizioni proprie possono diventare articolate unendosi a ogni articolo determinativo, per, tra e fra, gelose della propria indipen- denza, rifiutano il connubio; quindi tra le, per i, fra gli, ecc. Infine la preposizione con si può accoppiare soltan- to con il e con i, nel quale caso perde la n (coi, col). Negli altri casi si dirà e si scriverà: con lo in luogo di collo, con la in luogo di colla, con gli in luogo di cogli. UNIONE DI DUE PREPOSIZIONI: MEGLIO SAREBBE EVITARE Non si tratta di veri e propri errori, ma di stonatu- re. Si fa qui riferimento al consiglio di astenersi dall’accosta- mento di due preposizioni, salvo casi particolari tra cui quel- li già citati in precedenza (fuori da, ecc.). 76 77
  • 41. Salviamo il mondo dal cerchiobottismo I NEOLOGISMI Abbiamo detto all’inizio che la lingua è viva, poi- ché si arricchisce continuamente di termini e di espressioni prodotte dal desiderio di rinnovamento, dall’evoluzione delle tecnologie, dalla necessità di definire in forma concisa una gamma di situazioni nuove, o inusuali fino a qualche tempo prima. Mai come negli ultimi anni questo fenomeno si è fatto intenso e pressante, accettabile quando non dipende dall’estro di persone ansiose soltanto di essere originali e creative. L’ultimo termine, tipico della pubblicità, ci porta a ricordare che molto spesso è il linguaggio pubblicitario a for- nirci vocaboli nuovi; agli ideatori non interessa tuttavia la correttezza del neologismo: essi tendono soprattutto a colpi- re l’immaginazione, a farlo ricordare insieme col nome del prodotto sul quale intendono richiamare l’interesse. Ormai sono passati i tempi in cui erano gli artisti o i letterati che inventavano parole nuove, nelle quali trasferivano il loro estro imaginifico. Oggi non c’è più D’Annunzio, né altri geniali crea- tori di ideazioni linguistiche, perciò ci sentiamo bombardati da locuzioni orrende in cui anche i politici si stanno specializ- zando, alla ricerca di un’originalità che dovrebbe farli ricorda- re, secondo loro, agli elettori. Basti citare cerchiobottismo o rei- stituzionalizzazione, una delle tante –creature– del nuovo lessi- co giornalistico-parlamentare, che senz’altro rimandiamo al mittente. Mentre il primo vocabolo è già entrato in un auto- revolissimo dizionario (vedi oltre), il secondo non ha ancora fatto la sua comparsa ufficiale. Speriamo che svanisca nel nulla da cui è venuto prima di essere legittimato. 79
  • 42. Non lasciamoci sedurre da uno –stupidario– (voce nuova efficace nella sua concisione) che con la lin- gua di Dante non ha nulla in comune, accettando soltanto Dal Vocabolario della lingua italiana i neologismi prodotti da quanto la tecnica e la scienza o le di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 2004 nuove esigenze della vita moderna hanno creato. Cerchiobottismo [comp. col suff. cerchio e botte, sostantivo tratto dalla loc. dare un colpo al cerchio e uno alla botte;1996 ] s.m. • Nel linguaggio giornali- stico atteggiamento di chi rivolge contemporanea- mente apprezzamenti e critiche sia a una parte che a un’altra in contrasto con la prima. Cerchiobottista [1996] A s. m. e f. (pl. m. -i) • Chi dà prova di cerchiobottismo. B anche agg.: commen- tatore cerchiobottista. 80 81
  • 43. L’Italiano è wonderful I VOCABOLI STRANIERI: INTRUSIONI A VOLTE ILLEGITTIME Esistono vocaboli di origine straniera, soprattutto inglese, che fanno parte ormai della nostra lingua, apprezza- ti per l’efficacia e l’immediatezza; tra questi, numerosi termi- ni sportivi o tecnici, alcuni dei quali di recente introduzio- ne (web, software, ecc.). Si ricordi che al plurale i vocaboli stranieri, appun- to perché ormai italianizzati, rifiutano la forma caratteristica della lingua di origine: non films, goals, ecc., quindi, ma è sufficiente il cambiamento dell’articolo per indicare il numero. Sembra opportuno segnalare a questo proposito la recente invasione, sia pure pacifica, di voci straniere entra- te nella nostra lingua senza reale necessità, in sostituzione di parole italiane perfettamente corrispondenti al significato che devono esprimere. La ragione non è chiara: snobismo, esibizionismo, esterofilia? Senza arrivare agli eccessi del nazionalismo france- se, che si spinge a rifiutare l’inglese “computer”, sostituen- dolo con “ordinateur”, ci permettiamo sommessamente di suggerire ove possibile la preferenza per “la lingua dove il bel sì suona”, anche perché l’utilizzo eccessivo dei termini stra- nieri non nobilita affatto il linguaggio, come qualcuno potrebbe credere, ma è soltanto indice di cattivo gusto. 83
  • 44. Dulcis in fundo Giunti al termine di questa breve trattazione, ci congediamo dai lettori parafrasando la formula in uso nella Commedia dell’Arte del passato: porgiamo molte scuse per la schematicità delle informazioni, eppure ci auguriamo che le molte, purtroppo necessarie lacune rappresentino uno sti- molo ad approfondire e ad ampliare gli argomenti per pro- prio conto, attraverso la consultazione di un testo di gram- matica ben più ampio poiché la lingua italiana, la più dolce, armoniosa ed espressiva del mondo, lo merita veramente. 85
  • 45. Appendice MOSTRICIATTOLI QUOTIDIANI È questa la parte divertente del manuale, poiché è piacevole ridere degli errori che sembrano sempre “degli altri”. Eppure, in seguito a un opportuno esame di coscienza, si sco- prirebbe che qualche volta anche noi.. Allora si faccia un proponimento: si dedichi un minuto alla consultazione di un vocabolario per scoprire la grafia esatta di ogni termine che suscita perplessità, e si dubiti, sempre, ogni volta che ci si trova dinanzi a una parola su cui non si possiedono certezze. Aggiunta o raddoppiamento arbitrario • Dinnanzi: errato. Il vocabolo corretto è dinanzi, costi- tuito da di+nanzi, mentre va bene innanzi, costituito da in+nanzi. • Aereoporto, aereoplano, ecc.: errati. Sono corretti aero- porto, aeroplano, ecc., dove il prefisso aero deriva dal nome latino aer = aria e non da aereo. • Obbiettivo e obbiettivamente: errati. Sono corretti con una sola b. Anche in questo caso si dovrebbe fare riferimento all’originario obiectivus, Latino medievale, derivato dal Latino classico obiectum, dove il raddoppiamento non esi- ste; del resto non si può nemmeno accusare la più volte deprecata, acritica dipendenza dalla lingua francese, che mantiene la singola b latina. Eppure qualche dizionario moderno pone il termine con la b raddoppiata tra paren- tesi accanto a quello corretto, accettandolo come varian- te, senza nemmeno accennare a un uso diventato ormai comune. Uno scrittore o un giornalista famoso ha sbaglia- to un giorno la grafia, e come il pifferaio di Hamelin della celebre fiaba ha trascinato con sé una folta schiera di imi- tatori, fiduciosi nella sua autorevolezza: è nata così la legit- timazione acritica, che tuttavia è priva di fondamento. 87