Piccola guida illustrata destinata a chi ama la lingua italiana. Pubblicazione realizzata per la Provincia di Milano, Assessorato alla Cultura e beni culturali.
6. Questa breve pubblicazione nasce con lo scopo di offrire
un aiuto semplice e pratico a quanti, giovani e adulti, sono inte-
ressati ad approfondire le loro conoscenze sul corretto uso della
nostra lingua e delle regole che la governano, o sentono il bisogno
di risolvere perplessità e dubbi linguistici, consapevoli dell’impor-
tanza rappresentata dalla forma in cui ci si esprime o si scrive.
Chi ascolta un’esposizione verbale o legge uno scritto è
infatti spinto, di primo acchito, a giudicare l’educazione e il grado
di cultura del proprio interlocutore o dello scrivente attraverso la
valutazione di ciò che sente o legge.
Questo piccolo manuale non ha la pretesa di essere un
testo di grammatica completo e organico: come potrebbe esserlo
del resto con le sue ridottissime dimensioni? È invece solo un sem-
plice vademecum, di agevole consultazione, un insieme di consigli
riguardanti alcuni punti chiave su cui si regge la struttura della
nostra lingua, che, secondo i più autorevoli linguisti, ha purtroppo
subìto negli ultimi tempi un lento degrado che si riflette anche in
una banalizzazione del linguaggio.
La cultura è anche e soprattutto rispetto dei fondamenti e
della ricchezza della lingua, intesa come insieme delle leggi che la
governano, nate non per caso ma per necessità funzionali, eredità
di una tradizione colta, diventata popolare quando è stata recepita
come patrimonio comune.
Al fine di contribuire al recupero di un valore giustamen-
te considerato irrinunciabile, nel dicembre 2002 è stato presentato
a Roma, dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali,
un Disegno di Legge riguardante l’istituzione di un Consiglio
Superiore della Lingua Italiana, massima espressione dell’identità
nazionale e ricchezza che non può essere trascurata.
L’iniziativa si affianca a quella delle maggiori Istituzioni
Culturali che nel nostro Paese sono impegnate nella difesa della
nostra lingua: in particolare l’Accademia della Crusca e la Società
Dante Alighieri.
Il primo obiettivo del nuovo organismo è l’elaborazione di
una grammatica ufficiale; nell’attesa, la Provincia di Milano ha
inteso precorrere i tempi con questa piccola guida, che per sua
natura ha necessariamente trascurato tanti argomenti, ma che può
comunque rappresentare un simpatico manuale di pronto soccorso,
per sgombrare il campo da tante incertezze e soddisfare dubbi e
curiosità, per alcuni, fin qui irrisolte.
Paola Iannace
Assessore alla cultura e beni culturali
Provincia di Milano
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7. La lingua la sa lunga
Tutto muta e si evolve intorno a noi, con una rapi-
dità a volte sconcertante: il paesaggio urbano, gli stili di vita,
gli atteggiamenti, gli interessi, le propensioni, le mode, le tec-
nologie sempre più sofisticate. Anche la lingua, sia pure più
lentamente, cambia, non essendo materia statica ma un ele-
mento in continuo divenire: per l’introduzione di nuovi voca-
boli, per la costruzione dei periodi che oggi si fanno più con-
cisi e riflettono, adeguandosi, i ritmi della vita moderna.
La forma è più incalzante, più diretta, volta al nucleo
della comunicazione. È questo soprattutto il linguaggio delle
nuove generazioni, che intendono così trasferire nella lingua
il loro dinamismo, la passione per la velocità, il bisogno di
immediatezza.
Ci possiamo rendere conto della trasformazione con-
sultando testi di autori noti risalenti a poche decine di anni fa:
non corrispondono più alle attuali abitudini espressive.
Leggendo invece una pagina de I promessi sposi si scopre sùbito
la modernità e la limpidezza della prosa del Manzoni, che lo
fanno apparire contemporaneo. Questo accade ai “grandi”, che
hanno saputo adottare un linguaggio in grado di sfidare i secoli.
Nonostante la lingua si adegui alla trasformazione
dei tempi, comunque, non dovrebbe perdere i puntelli rap-
presentati dalle regole di base, che sono come le chiavi di
volta o i muri maestri senza i quali un edificio non si regge
in piedi. Quando non sono rispettate le regole, comunque
necessarie in ogni forma di vita sia fisica che sociale, da un
cedimento all’altro si assiste all’impoverimento progressivo
della lingua, all’arbitrio di ciascuno di procedere al suo
smantellamento, per evitare lo sforzo di apprenderne i detta-
mi, e l’impegno nel rispettarli. Ma sono davvero così diffici-
li le norme sulle quali questo manualetto intende richiama-
re l’attenzione? L’Assessore Paola Iannace pensa di no. Per
dimostrare la propria convinzione ha dato inizio alla sfida,
nella certezza che sia indispensabile continuare a mantenere
vitale un emblema della nostra “italianità”: la lingua dei
padri; la sua conoscenza corretta è una ricchezza che per-
mette a ciascuno di esprimersi in modo chiaro e completo, e
anche questo è un segno di civiltà e di democrazia.
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8. Conviene darsi
una regolata
LE RAGIONI DELLE REGOLE
Molti si saranno domandati fin dai tempi della
scuola quali siano i motivi per i quali è indispensabile rispet-
tare le regole della lingua. Tenteremo allora di offrire qui
una risposta, ricordando che perfino nell’universo tutto si
muove seguendo un ordine preciso, e che l’uomo preistorico
ha iniziato a evolversi solo quando ha sentito la necessità di
organizzarsi secondo leggi e ordinamenti.
La lingua non è una scienza esatta, d’accordo, ma
deve pur sempre essere sorretta da norme, le regole appun-
to, e da princìpi che ne sorreggano l’impalcatura. Da que-
sto si deduce che le regole non sono nate per capriccio di
qualche mente sadica, come possono pensare gli studenti,
allo scopo di complicare la loro vita; no: hanno tutte una
funzione logica, di cui possiamo qui ricordare almeno tre
punti basilari:
1 Doverosa fedeltà alla costruzione originaria o al
vocabolo da cui il termine italiano deriva: dal
Latino e dal Greco soprattutto, ma anche
dall’Arabo o da altra lingua straniera, fatto molto
comune in Italia, che fu per secoli teatro di scontri
e occupazioni da parte di Francesi, Tedeschi,
Spagnoli, e Arabi in Sicilia, i quali ci lasciarono in
eredità tra l’altro una parte del loro lessico.
2 Necessità di chiarire opportunamente un significa-
to, un concetto, un pensiero, attraverso la scelta
dell’una o dell’altra forma grammaticale, come
appare, per esempio, nell’utilizzo dell’indicativo o pag. 53
del congiuntivo (vedi pag. 53).
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9. Esigenze eufoniche, (dal Greco eufonìa = bellezza di Infine, un quarto pittogramma inviterà i lettori a fer-
3 suono) per evitare una pronuncia sgradevole o dif- mare l’attenzione su argomenti di primaria importanza, quali
ficoltosa. regole, dubbi, scorrettezze ed errori da evitare assolutamente.
Nel corso della trattazione si farà spesso riferimento
a queste tre ragioni fondamentali, cui se ne aggiungeranno di
volta in volta altre, dettate soprattutto da un bisogno di pre-
cisione o di eleganza espressiva. Il proposito è comunque
quello di spiegare sempre i vari perché: dopo averli compre-
si, diventerà più facile per ciascuno ricordare e mettere in
pratica ogni regola.
Per rendere immediata la comprensione delle regole
citate si utilizzeranno, a supporto del testo,
i seguenti simboli visivi, anche detti pittogrammi:
regola 1
regola 2
regola 3
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10. Fidarsi è bene,
controllare è meglio
GLI STRUMENTI INDISPENSABILI
L’amore e il rispetto per l’Italiano si avvalgono di
un supporto prezioso e di pronto utilizzo: un ottimo vocabo-
lario in cui i lemmi (vocaboli), accentati per indicare la cor-
retta pronuncia, vengono definiti con precisione, oppure un
dizionario, solo apparente sinonimo del precedente, in quan-
to si tratta di un testo di uso più ampio, che può contenere
anche derivazioni etimologiche, regole e irregolarità gram-
maticali, ausiliari dei verbi irregolari e altro ancora.
In nessuna casa dovrebbe mancare almeno una
copia dell’uno o dell’altro, ampia e aggiornata. Si raccoman-
da inoltre l’aggiunta di un dizionario dei sinonimi e dei contra-
ri, indispensabile nella forma scritta per evitare ripetizione di
termini, che conferiscono ai periodi un andamento sciatto.
La straordinaria ricchezza della nostra lingua, che
possiede decine di sinonimi per la maggioranza dei vocabo-
li, così da poter scegliere la sfumatura di significato più adat-
ta caso per caso, permette di usufruire di una eccezionale
varietà espressiva; eppure molti si accontentano di utilizzare
un numero ristretto di parole, per pigrizia mentale o scarsi-
tà di fantasia o disinteresse, ed è un peccato: agendo così si
rinuncia a un bene alla portata di tutti, prezioso poiché per-
mette di trasmettere pensieri, emozioni, sentimenti con una
gamma infinita di alternative. È come se avendo a disposi-
zione un magnifico pianoforte a coda ci si limitasse a trarne
alcune semplici canzoncine infantili.
Un valido dizionario dei sinonimi e dei contrari
può servire quando, rileggendo uno scritto, ci si rende conto
di una o più ripetizioni di parole: se non vengono in mente
alternative, lo si consulterà allora alla ricerca di possibili
varianti.
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11. Potremmo citare l’esempio del verbo “fare”, che di Non si speri per esempio che sia in grado di distin-
per sé significa soltanto operare, agire, eseguire, mentre viene guere tra: da preposizione, che rifiuta l’accento, dà presente
solitamente adoperato in un grande numero di occasioni indicativo di 3a persona del verbo dare, che invece lo esige,
con uno squallido appiattimento del linguaggio. Poiché pos- da’ imperativo di 2a persona dello stesso verbo, che richiede pag. 35
siede una settantina di sinonimi, sarà opportuno scegliere l’apostrofo (vedi pag. 35).
quello più adatto caso per caso, così da rendere l’espressione
più colorita e appropriata. In casi simili, per riconoscere il valore di ciascuno,
occorre l’intervento dell’intelligenza personale di chi scrive,
che dimostrerà una volta di più la propria superiorità su
ESEMPI DI SINONIMI APPROPRIATI quella della macchina, la quale ha pur sempre dei limiti.
fare la prima elementare → frequentare
fare il medico → esercitare, svolgere la professione di..
fare domande → rivolgere, porre, presentare, compilare
fare un’alleanza → stringere, concludere
fare un discorso → pronunciare, intavolare, improvvisare
FIDARSI TOTALMENTE DEL
“CORRETTORE” DEL PC?
Il personal computer si sta diffondendo rapida-
mente, e rappresenta un aiuto senza dubbio utile per colo-
ro che amano scrivere o devono farlo per ragioni di lavoro.
Molti apparecchi sono dotati di correttore automatico che
avvisa degli errori grafici, ma anche di quelli ortografici e
grammaticali.
Tuttavia non si può pretendere che l’intelligenza
artificiale del pc arrivi a scegliere opportunamente tra le
varie grafie che alcuni vocaboli possiedono, dovute alle
diverse funzioni da essi esercitate nel discorso.
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12. Si scrive perché o
perchè? Boh!
VOCALI ACCENTATE
La lingua italiana, a differenza della francese e della
spagnola, fa un parco uso del simbolo grafico dell’accento,
chiamato tonico quando serve per indicare la vocale su cui
appoggia il tono di voce, fonico quando riguarda il suono
aperto o chiuso della o e della e, le uniche vocali italiane
che possiedono doppia pronuncia.
Due sono i tipi di accento fonico: acuto, con verti-
ce alto verso destra, per indicare suono chiuso (perché, qué-
sto) oppure grave, con vertice alto verso sinistra, per indica-
re suono aperto (cièlo, tè, cioè, pòrto).
In pratica la lingua italiana pone l’accento tonico
soltanto sull’ultima vocale delle parole tronche (esempio
pietà), sull’unica vocale di alcuni monosillabi (vedi paragra- pag. 23
fo seguente) o all’interno di parole che mutano significato
con lo spostamento dell’accento (vedi tabella seguente),
benché ormai tale pratica sia poco usata, dal momento che
il senso stesso della frase serve a stabilire l’accentazione cor-
retta. Nessuno dirà infatti: “Vieni subìto!” come si ode nei
vecchi film di Stanlio e Ollio, che anche su certe storpiatu-
re di vocaboli italiani puntavano la loro comicità.
Esempi di spostamento di accento su parole omoni-
me (aventi la stessa grafia) che produce cambiamento di
significato:
àncora (strumento per imbarcazioni)
ancòra (avverbio di tempo)
càpitano (verbo “capitare”)
capitàno (grado di comando)
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13. sùbito (avverbio di tempo) Ci sarebbe poi l’accento circonflesso (con congiun-
subìto (verbo “subire”) zione al vertice degli accenti acuto e grave), tuttavia ormai
pressoché scomparso: può ancora accadere di incontrarlo in
prìncipi (plurale di “principe”) poesia, per indicare una contrazione di lettere o per sostituire
princìpi (plurale di “principio”) la doppia i nel plurale delle parole terminanti in io accentata.
E inoltre: benché l’indicazione dell’accento fonico per L’ACCENTO SUI MONOSILLABI
segnalare la pronuncia aperta o chiusa della o e della e
appaia esclusivamente su vocabolari e dizionari, si ricordi Nei vocaboli con una sola vocale l’accento tonico
che la scelta dell’una o dell’altra pronuncia è importante per non dovrebbe essere necessario, poiché è evidente che non
chiarire il significato di alcune parole omonime: può esistere dubbio di pronuncia: “per”, “il”, “no”, “re”, ecc.
non potranno che essere pronunciati in un solo modo, quin-
accétta (strumento di taglio) di l’accento non serve.
accètta (verbo “accettare”) Tuttavia esiste un gruppetto di monosillabi che esi-
gono ugualmente l’accento, per distinguerli dai loro omoni-
ésca (verbo “uscire”) mi, vocaboli aventi la stessa grafia, ma diverso significato.
èsca (cibo per attirare i pesci)
bótte (recipiente di legno) Esaminiamoli
bòtte (percosse) MONOSILLABI ACCENTATI MONOSILLABI SENZA ACCENTO
è → verbo essere e → congiunzione
Nelle parole tronche la vocale o possiede sempre sì → avverbio di affermazione si → pronome o particella
accento grave, mentre la vocale e può avere accento acuto pronominale
o grave; in caso di dubbio è opportuno affidarsi a un voca-
bolario, per prendere atto della grafìa e quindi della pronun- dà → 3a persona presente da → preposizione
cia più corretta. indicativo verbo dare
dì → giorno (poetico) di → preposizione
lì → avverbio di luogo li → pronome
Riassumendo
là → avverbio di luogo la → articolo o pronome
PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE O: personale femminile
ché → congiunzione “perché” che → congiunzione o
falò comò però paltò pedalò (poetico) pronome relativo
tè → bevanda te → pronome
PAROLE TRONCHE CON LA VOCALE E: sé → pronome se → congiunzione
noè cosicché lacchè viceré bebè né → congiunzione negativa ne → pronome o avverbio
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14. Già, ma perché? Infatti la regola non dovrebbe
Nota Bene essere accettata come una verità rivelata, ma per un motivo
logico: questi due monosillabi non hanno omonimi, a meno
Quando il pronome sé è accompagnato da stesso o mede- che non si voglia fare riferimento per uno di essi al suono
simo non dovrebbe essere accentato, essendo già suffi- emesso dall’oca.
ciente il termine che l’accompagna per chiarire la sua
natura. Alcuni linguisti non sono d’accordo, e insistono Come già è stato chiarito a proposito delle note
sulla legittimità dell’accento, che tuttavia sarebbe meglio musicali, anche le voci cosiddette onomatopeiche, che
eliminare poiché superfluo, dal momento che la sua unica riproducono cioè suoni o rumori, non rientrano nel nove-
funzione è quella di distinguere il pronome sé dalla corri- ro delle “parti del discorso” vere e proprie.
spondente congiunzione, distinzione già effettuata dagli
aggettivi dimostrativi stesso o medesimo.
A questo proposito qualcuno potrebbe obiettare
che i nomi delle note musicali sono tutti omonimi di altret-
tanti vocaboli, i quali dovrebbero quindi essere accentati per
la regola sopra esposta; si noti tuttavia che le note musicali
non sono classificabili come “parti del discorso”, quindi nel
nostro caso non se ne deve tenere conto.
Un accento irragionevole, che ancora si legge nelle
date, usato soprattutto in corrispondenze commerciali,
riguarda uno strano lì collocato tra l’indicazione del luogo e
la data stessa.
Esempio
Palermo, lì 30 aprile 2004
È eredità di una forma arcaica priva ormai di giusti-
ficazione.
Per concludere non possiamo dimenticare i due
avverbi di luogo qui e qua sulla cui assenza di accento nessu-
no ha dubbi per merito di un certo ritornello, ben chiaro
nella mente di tutti fin dalla prima elementare:
Su qui e qua l’accento non va
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15. La Maria è promossa,
il Paolo invece no
L’ARTICOLO MASCHILE
L’uso appropriato degli articoli determinativi
maschili il, lo (sing.), i, gli (plur.), e degli articoli indetermi-
nativi maschili un, uno, può a volte generare dubbi: per que-
sto conviene esaminarne il corretto utilizzo.
Lo, il suo plurale gli e i loro composti si usano con
nomi maschili inizianti con vocale (in tale caso lo si elide, pag. 31
cioè si apostrofa, come vedremo tra poco (pag. 31), mentre
gli si elide solo davanti a i).
Si usano inoltre con i nomi inizianti con le conso-
nanti x, z, s impura (seguita cioè da consonante):
lo xenofobo → gli xenofobi
lo zio → gli zii
lo sciatore → gli sciatori
Lo stesso accade coi gruppi di consonanti pn, ps,
gn, per ragioni eufoniche:
lo pneumatico → gli pneumatici
lo psicologo → gli psicologi
lo gnomo → gli gnomi
Il, il suo plurale i e i loro composti si usano con
nomi maschili inizianti per consonante, con esclusione dei
già citati pn, ps, gn, x, z, s impura.
La ragione è semplice: per evitare l’accostamento
della lettera l, terminale di il, con le consonanti e i gruppi di
consonanti precedenti, che produrrebbe un suono estraneo
alla dolcezza della lingua italiana.
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16. Il psicologo, per esempio, o il gnomo hanno un
suono veramente sgradevole. Esempio
L’ALIGHIERI, ma non IL DANTE ALIGHIERI
Nel rispetto della regola, suocero,
iniziante per s pura, cioè seguita da vocale,
Nel linguaggio familiare, tuttavia, è concesso l’arti-
esige l’articolo il e non l’articolo lo, colo con nomi e cognomi femminili.
come si sente e si vede scritto spesso.
Esempio
L’articolo indeterminativo uno si adopera unica-
mente davanti ai nomi maschili che iniziano con le conso- LA MARIA, LA BRAMBILLA, ecc.
nanti o i gruppi di consonanti citati a proposito dell’artico-
lo lo (pn, ps, gn, x, z ed s impura) mentre in tutti gli altri casi
si usa l’articolo indeterminativo un (troncamento di uno). Benché si stia diffondendo l’uso dell’articolo
anche coi nomi propri maschili, si ricordi che si tratta di
forma scorretta.
Avremo perciò
I nomi di parentela primitivi accompagnati dal pos-
un artista, un usciere, un cane, ecc., sessivo rifiutano l’articolo (mia madre, tuo zio, nostro
ma anche uno gnomo, uno sciocco, uno zotico, ecc., nonno), mentre se sono alterati (vezzeggiativi, diminutivi,
poiché la lettera n, terminale di un, accostata a ecc.), o ottenuti con l’aggiunta di prefissi (prozio, bisnonno,
pn, ps, gn, ecc., rappresenta una stonatura. ecc.) o suffissi (sorellastra, ecc.), lo esigono.
Esempio
L’ARTICOLO FEMMINILE
LA NOSTRA CUGINETTA, LA TUA NONNINA,
Mentre gli articoli determinativi femminili la, le non IL VOSTRO BISNONNO
creano problemi, le perplessità nascono a volte con l’utilizzo
dell’articolo indeterminativo femminile una, che dinanzi a Attenzione!
pag. 31 parole inizianti con vocale perde la a finale sostituita dall’apo- “mamma”, “papà” e “babbo” sono considerati vezzeggiativi,
strofo, a causa della necessità dell’elisione (vedi pag. 31). e come tali richiedono l’articolo in presenza del possessivo:
LA MIA MAMMA, e non MIA MAMMA
L’ARTICOLO CON NOMI PROPRI DI
PERSONA E CON NOMI DI PARENTELA
Si eviti l’articolo dinanzi ai nomi propri di persona,
a meno che non si tratti di personaggi celebri, nel quale caso
lo si userà dinanzi al solo cognome.
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17. I Santi si distinguono
anche dall’apostrofo
L’APOSTROFO, SEGNO DELL’ELISIONE
È il segno che si colloca in alto a destra in fine di una
parola, per indicare la caduta della vocale o della sillaba finale
dinanzi ad altra parola iniziante per vocale; tale soppressione
prende il nome di elisione (da elidere, cioè sopprimere).
Lo scopo è quello di evitare per ragioni eufoniche (vedi pag. 14
pag. 14) l’incontro di due vocali che produrrebbe iato (dal
Latino hiatus “apertura della bocca”), con leggera difficoltà di
pronuncia. È evidente che riesce più agevole dire l’oceano,
anziché lo oceano: per questo la o dell’articolo cade, si elide.
Si faccia attenzione ai seguenti casi
L’elisione dell’articolo indeterminativo femminile
una dinanzi ai nomi femminili inizianti per vocale, con
necessaria introduzione dell’apostrofo, potrebbe spingere a
volte a tralasciare quest’ultimo; infatti tale articolo, diven-
tando un per la perdita della a finale, viene spesso erronea-
mente confuso col corrispondente maschile, che non richie-
de l’apostrofo.
Esempio
un’anatra, un’ostrica, un’unghia, un’estate
Dimenticare l’apostrofo, in questi e in altri casi simili, costi-
tuisce grave errore.
Gli articoli gli e le e i loro composti si possono eli-
dere (ma è preferibile evitarlo), soltanto davanti a nomi plu-
rali inizianti rispettivamente per i ed e, mentre non si pos-
sono elidere dinanzi alle altre vocali.
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18. che possono perdere, in base al gusto di chi scrive, la vocale
Esempio finale: venir meno, poter dire, ecc.
Non esistono dubbi quando la parola seguente ini-
CORRETTO: gl’Inglesi, l’estati zia per consonante; chi penserebbe infatti di scrivere per
ERRATO: gl’amici, l’ultime provviste esempio buon’ cavallo o mar’ Mediterraneo, nonostante la
caduta delle vocali finali?
Si noti anche che quando le assume funzione di L’incertezza sorge (apostrofo sì, apostrofo no?, quin-
pronome, non si può mai elidere. di elidere un termine o troncarlo, evitando l’apostrofo?)
dinanzi a vocaboli inizianti per vocale.
Esempio
Il consiglio pratico è il seguente
CORRETTO: Le esternai (a lei) la mia perplessità
ERRATO: L’esternai la mia perplessità
si provi a porre il termine su cui si è dubbiosi dinanzi
Abbiamo visto che l’elisione avviene in fine di ad altro dello stesso genere che inizi per consonante:
parola: la si può tuttavia trovare anche all’inizio, quando si se l’accostamento è compatibile si tratta di troncamen-
citano anni passati, eliminando le prime due cifre. to (quindi l’apostrofo sarebbe errato), altrimenti occor-
re elidere, inserendo l’apostrofo.
Esempio
il ’45, il ’68, nel ’99, ecc. Si noti che lo stesso termine può utilizzare il tron-
camento dinanzi ai nomi maschili, e l’elisione dinanzi ai
La soppressione è tuttavia concessa soltanto femminili. Pare complicato, ma in pratica non lo è.
quando si fa riferimento al secolo precedente, perciò non
è più consentito, negli anni 2000, scrivere il ’48 per indi- Vediamo qualche esempio:
care il 1848. tal uomo non richiede l’apostrofo perché posso scrivere
tal dispiacere;
qual esempio non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
IL TRONCAMENTO: QUANDO qual buon vento.
L’APOSTROFO NON È AMMESSO
Si faccia particolare attenzione all’indispensabile
Si dice troncamento la soppressione della vocale troncamento (quindi non elisione) di qual dinanzi al verbo
finale oppure dell’ultima sillaba di un vocabolo, purché non essere, nelle forme inizianti con la vocale e.
accentate, che avviene senza apostrofo, il cui inserimento Esempio: qual è, qual era, ecc.
rappresenterebbe un errore. Ben arrivato non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
ben detto.
Ecco i casi più comuni di parole soggette a tronca- Nessun esito non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere
mento: tal, qual, ben, buon, nessun, mar, signor, suor, amor, nessun dolore.
fior e gli aggettivi indefiniti maschili alcun, ciascun, nessun, Invece, pover’uomo richiede l’apostrofo, perché non potrei
qualcun. A questi si aggiungono gli infiniti di alcuni verbi scrivere pover ragazzo.
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19. E passiamo ai femminili:
nessun’amica richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere TRONCAMENTI IRREGOLARI
nessun compagna.
Buon’idea richiede l’apostrofo, perché non potrei scrivere Nonostante il troncamento rifiuti l’apostrofo, alcu-
buon famiglia. ni vocaboli lo esigono, benché la caduta della vocale o della
Tal amica non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere tal sillaba finale non sia stata provocata da ragioni eufoniche,
ragazza. come accade con l’elisione di cui abbiamo appena trattato.
Attenzione: si tratta di eccezioni che richiedono l’apostro-
Riassumendo fo, ma non l’accento, che rappresenterebbe un errore.
APOSTROFO NO APOSTROFO SÌ Un po’ → sta per un poco
tal uomo pover’uomo A mo’di → sta per a modo di
qual esempio nessun’amica Pie’ → sta per piede (a ogni pie’ sospinto,
qual è, qual era buon’idea a pie’ di pagina)
ben arrivato Fe’ → sta per fede (forma antiquata usata un tempo
nessun esito in poesia)
tal amica Be’ → sta per bene! (avverbio di modo)
Molti, spesso anche giornalisti o scrittori di un
Un’osservazione particolare merita san, troncamen- certo nome, scrivono questa esclamazione in forma discuti-
to di santo, che si tronca dinanzi a nomi propri inizianti per bile: bè, beh.
consonante: Il primo caso (bè) è elencato nei vocabolari come voce
san Gerolamo, san Pancrazio, san Luca, san Gennaro imitativa del belato, scritta anche con prolungamento della
vocale, mentre beh, assimilato da alcuni grammatici ad altre
mentre riprende la sua struttura originaria dinanzi a quelli esclamazioni accompagnate dall’h finale (ah!, oh!, ecc.), è accet-
che cominciano per vocale, ovviamente con l’elisione della tato con la solita scusa che “si tratta ormai di uso comune”.
vocale finale: Chi intende scrivere correttamente, sceglierà
sant’Ambrogio, sant’Onofrio, sant’Antonio comunque la forma col troncamento irregolare: be’!
Per concludere l’argomento ricordiamo che davan- Particolarmente incerta per i più, inoltre, la grafia
ti a s impura non c’è né elisione, né troncamento, come di alcuni imperativi, che a volte sono erroneamente scritti
accade con santo Stefano. con l’accento, mentre richiedono l’apostrofo.
Il femminile santa resta di solito invariato:
Eccoli
santa Matilde, santa Chiara, santa Lucia
con poche eccezioni dinanzi ad alcuni nomi inizianti per vocale: Da’ → dai Di’ → dici
sant’Anna, sant’Elena, sant’Orsola Fa’ → fai Sta’ → stai
To’ → togli, tieni Va’ → vai
Ci si affiderà in questi casi alla tradizione.
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20. Assassinii e assassini.
A volte il plurale è micidiale
PLURALE DEI VOCABOLI
TERMINANTI IN CIA, GIA, IO
Ecco un altro argomento che crea spesso perplessi-
tà in chi è rispettoso della lingua italiana, mentre i più, igno-
rando beatamente il dubbio, seguono l’istinto, che non sem-
pre è buon consigliere.
Eppure la regoletta, che riguarda sia i nomi che gli
aggettivi, è semplice e richiede solo un’attenzione minima.
Eccola:
Quando l’accento tonico cade sulla i finale dei vocaboli
terminanti in cia o gia, la vocale resta anche nel plurale.
Esempio
farmacìa → farmacie
bugìa → bugie
Se la i finale è atona, cioè non accentata, si osservi
allora se il gruppo cia o gia è preceduto da vocale. In tale caso
si conserva la i al plurale; diversamente la si elimina.
Esempio
ciliegia → ciliegie
frangia → frange
provincia → province
camicia → camicie
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21. I vocaboli terminanti al singolare in io perdono la i
al plurale se questa è atona (non accentata), mentre la man- CONCORDANZE
tengono quando è tonica (accentata), nel quale caso si avrà
il plurale con la doppia i. Come ci si comporta quando si devono concordare
aggettivi riferiti a un insieme di nomi maschili e femminili?
La regola è chiara:
Esempio quando si tratta di persone, prevale il maschile (ebbene, sì!).
fìglio → figli Esempio
scòppio → scòppi
zìo → zii Marco e Maria sono buoni
formicolìo → formicolii.
Tuttavia a volte quel maschile stona; allora si può
Un’incertezza potrebbe nascere quando un plurale ricorrere a scappatoie del tipo: Marco è buono, e anche Maria.
correttamente scritto con una sola i è in grado di generare Se invece si fa riferimento a cose, la concordanza può avere
omonimia, cioè suono uguale ad altra parola affine, ma con luogo anche col termine più vicino.
diverso significato. Per esempio, condominio e condomino
hanno il plurale graficamente identico. Come risolvere il Esempio
problema? Semplicemente attraverso l’indicazione dell’ac-
cento tonico interno al vocabolo: condomìni nel primo caso, I libri e le riviste erano ammucchiate in terra
e condòmini nel secondo. Tuttavia non mancano occasioni in (oppure ammucchiati)
cui neppure tale soluzione è sufficiente: vedasi l’esempio di
assassìnio e assassìno, omicìdio e omicìda, ugualmente accenta-
ti; se si seguisse la regola, i plurali di ogni gruppo si confon-
derebbero tra loro. E allora?
Si userà al plurale la doppia i per il vocabolo che
tra i due termina in io, benché non accentato, contraddi-
cendo quanto affermato in precedenza: del resto non si dice
comunemente che l’eccezione conferma la regola?
Riassumendo
assassìnio → assassìnii
assassìno → assassìni
omicìdio → omicìdii
omicìda → omicìdi
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22. I pronomi:
un argomento scottante
I PRONOMI PERSONALI
Si nota a volte uno scambio scorretto tra maschile
e femminile, tra singolare e plurale, tra soggetto e comple-
mento. Osserviamo alcune possibilità di errore.
Soprattutto nel linguaggio parlato c’è chi utilizza te
in luogo di tu come soggetto.
Esempio
te sei sempre in ritardo → ERRATO
tu sei sempre in ritardo → CORRETTO
Lui e lei, complementi di egli ed ella, sono usati sem-
pre più spesso anche con funzione di soggetto: “lui ha detto
che..” è forma propria del linguaggio parlato. Molto più cor-
retto “egli ha detto che..”
Ormai tollerati, non rappresentano però esempi di bello stile.
Accade anche di udire scambi di genere tra pronomi
personali. Frequente gli per il femminile e le per il maschile.
Dovrebbe essere inutile raccomandare di rifuggire
da simili licenze.
Esempio
gli ho portato un dono (alla mamma) → ERRATO
le ho portato un dono → CORRETTO
le ho dato un consiglio (a un amico) → ERRATO
gli ho dato un consiglio → CORRETTO
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23. Loro, complemento di 3a persona plurale sia preposizione a in presenza di un complemento di termine,
maschile che femminile, a volte è usato come soggetto, ma restando fedeli all’origine latina del termine.
è forma meno corretta di “essi”, “esse” che hanno invece
precisa funzione di soggetto.
Esempio
Lo stesso dicasi quando al posto del corretto plura-
Ho incontrato l’amico, cui avevo affidato i saluti per te.
le a loro si usa gli che è invece singolare.
Lo stesso accade quando cui è accompagnato dalla
Esempio preposizione di, che è preferibile tralasciare quando il pro-
nome è collocato tra l’articolo e il nome.
gli ho dato (ai miei figli) → ERRATO
ho dato (a) loro → CORRETTO Esempio
Mario, la di cui moglie è un’ottima cuoca.. → PEGGIO
Ugualmente errato l’utilizzo del pronome ci in
Mario, la cui moglie è un’ottima cuoca.. → MEGLIO
luogo dei pronomi gli o le.
Esempio
l’ho incontrato, e ci ho detto → ERRATO
l’ho incontrato, e gli ho detto → CORRETTO
l’ho incontrata, e le ho detto → CORRETTO
I PRONOMI RELATIVI
I pronomi relativi che, il quale, i quali, la quale, le
quali, cui e chi sono utili per rendere più agile il discorso, evi-
tando la ripetizione del nome.
Il pronome relativo che (da usare unicamente come
soggetto o complemento oggetto) può essere sostituito con il
corrispondente il quale (la quale, ecc.), più elegante e preci-
so, usato soprattutto nella forma scritta.
Si noti il pronome relativo cui, che svolge sempre
funzione di complemento, identificabile attraverso la prepo-
sizione che lo accompagna. In certi casi si può tralasciare la
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24. M o N?
Scopriamo la differenza
LA VECCHIA STORIELLA
DEL SERVITORE CON TRE GAMBE
Molti ricorderanno la storiella del servitore con tre
gambe di nome emme, che faceva da battistrada ai padroni p
e b, dopo che questi avevano licenziato un domestico di
nome enne, provvisto di due sole gambe, e perciò meno effi-
ciente. La si poteva trovare nei sussidiari di una volta per la
prima classe elementare, ed era efficace, perché dopo averla
conosciuta era difficile che gli alunni sbagliassero.
Quindi si deve scrivere m anziché n, (nel linguaggio par-
lato la differenza non si nota), quando la consonante pre-
cede p e b.
Esempio
CORRETTO ERRATO
imbavagliare inbavagliare
amputare anputare
imbottitura inbottitura
simpatia sinpatia
improbabile inprobabile
composto conposto
imbroglio inbroglio
La regola vale anche per i nomi propri maschili
quali Giambattista, Giampiero, ecc., anche se qualcuno,
per essere originale, sceglie uno scorretto Gianbattista o
Gianpiero.
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25. Se quella m non soddisfa, si possono scrivere i due Si notino inoltre i verbi: piacere, nascere, tacere, gia-
nomi separati, nel quale caso la n va benissimo, mentre cere, che nella 1a e 3a persona singolare e nella 3a persona
Gianluigi, Gianantonio, Giangiacomo ecc. non hanno pro- plurale del passato remoto introducono il gruppo cqu: piac-
blemi: la n è perfetta. qui, piacque, piacquero; nacqui, nacque, nacquero; tacqui, tac-
que, tacquero; giacqui, giacque, giacquero.
Riassumendo
CORRETTO ERRATO IN ALTERNATIVA
Giambattista Gianbattista Gian Battista
Giampiero Gianpiero Gian Piero
CQU, CCU, CU, QU, QQU: UNA
SCELTA CHE RICHIEDE ATTENZIONE
Per gli stranieri deve trattarsi di un vero rebus, che
fa ritenere difficile e complicata la lingua italiana; anche per
noi in questo caso la distinzione tra le varie grafie può rap-
presentare motivo di incertezza, che tuttavia apparirà facil-
mente risolvibile per chi ha studiato (e ancora ricorda) il
Latino: infatti la scelta dell’uno o dell’altro gruppo si rifà
generalmente ai vocaboli corrispondenti della nostra lin-
gua madre.
In caso contrario sarà il vocabolario a venire in aiuto, o
il ricordo delle regole impartite dalle maestre delle elementari.
Non ci soffermeremo sulla corretta grafia di
“cuore”, “cuoio”, “cuoco”, “acqua” e “scuola” per non offen-
dere i lettori, limitandoci a richiamare l’attenzione su alcu-
ni vocaboli di uso più raro, su cui possono nascere dubbi.
Forme corrette
soqquadro, taccuino, innocuo (dal Latino innocuus),
iniquo (dal Latino iniquus), proficuo, quota,
quotidiano, scuotere, riscuotere, percuotere
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26. L’anacoluto non è
una parolaccia
L’ANACOLUTO E IL PLEONASMO
A volte si sentono citare questi termini, usati per
indicare forme scorrette, proprie del linguaggio popolare.
L’anacoluto, dal Greco “sconnesso”, “non corrispondente”,
consiste nella mancanza di legame tra l’inizio di un periodo
e la parte seguente, che introduce un soggetto diverso.
Esempi
ANACOLUTO: Un soldato che fugge, tutti
pensano che sia un vigliacco.
FORMA CORRETTA: Tutti pensano che un soldato che
fugge sia un vigliacco.
ANACOLUTO: La casa che ho costruito con tanti
sacrifici, i miei figli credono
che valga poco.
FORMA CORRETTA: I miei figli credono che la casa
che ho costruito con tanti
sacrifici valga poco.
ANACOLUTO: Quelli che pregano, io spero che
il Cielo ascolterà le loro parole.
FORMA CORRETTA: Io spero che il Cielo ascolterà le
parole di quelli che pregano.
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27. Come si vede, le frasi iniziano con un soggetto che
poi viene abbandonato per passare a una nuova costruzione, ANACOLUTI D’AUTORE
il che rappresenta una sgrammaticatura.
Si cita spesso come esempio di anacoluto Io mi
piace.., in cui il soggetto non è il pronome personale, ma ciò Calandrino, se la prima gli era paruta amara,
che rappresenta il motivo del gradimento; è questo un erro- questa gli parve amarissima.
re che, per la più diffusa alfabetizzazione attualmente in atto, G. Boccaccio
sta finalmente scomparendo.
Meno grave e addirittura perdonabile, ma solo
nella forma orale, è il pleonasmo, altro termine di derivazio- Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro.
ne greca, che significa “superfluità”, “aggiunta inutile”. A. Manzoni
Sono pleonasmi molto comuni “ma però”, unione
di due congiunzioni entrambe avversative, dove una sola Un religioso che, senza farvi torto, val più un
sarebbe sufficiente, e quell’a me mi che qualche grammatico pelo della sua barba che tutta la vostra.
accetta come rafforzativo, anche se di questo passo, trovan- A. Manzoni
do giustificazioni a ogni possibile distacco dalle regole, si
finisce con l’affidarsi all’arbitrio di chi parla o scrive.
Piero era il suo genere spaventare la gente.
C. Pavese
Altri esempi
Era un giovane che, come suol dirsi, gli
puzzavano i baffi.
Entra dentro il salotto, e apri le finestre T. Landolfi
Esci fuori subito da lì
Sali su con me per salutare mia madre
Aveva due occhi bellissimi (verrebbe da chiedersi
se il terzo, invece..)
È vero che pleonasmi e anacoluti si possono trovare
in scritti di letterati e poeti di tutti i tempi, ma ricordiamo
che essi, per la profonda esperienza, hanno sempre avuto la
capacità di utilizzare perfino le imperfezioni linguistiche per
creare dissonanze utili per gli effetti che hanno inteso otte-
nere; infatti sono come l’Agente 007: hanno la licenza.
Meglio comunque non tentare in questo caso di imitarli.
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28. La congiuntivite
e altre patologie verbali
UTILIZZO DEL CONGIUNTIVO
Per la solita tendenza alla semplificazione, sinoni-
mo in questo caso di impoverimento della lingua, l’Italiano
sta perdendo gradualmente l’utilizzo del congiuntivo, forma
di rara limpidezza espressiva derivata direttamente dal
Latino, che attraverso essa manifestava possibilità in luogo di
certezza.
Indro Montanelli scrisse un giorno che il congiun-
tivo si sta avviando a diventare quello che le posate d’ar-
gento sono per certe famiglie: un segno di distinzione; con-
tinuare a utilizzarlo non dovrebbe rappresentare tuttavia
uno snobismo, ma una scelta di coerenza, di chiarezza, perfi-
no di fedeltà alle proprie radici e di contrasto all’appiatti-
mento, che non è mai segno di qualità.
Dal momento che esistono associazioni interessate
alla difesa di ciò che deve essere protetto, varrebbe la pena
di istituirne una per la salvaguardia del congiuntivo.
Qualcosa del resto si sta già facendo in questo set-
tore: gli insegnanti coi loro alunni di una scuola di Treviso
si sono impegnati in una campagna simile a quella per impe-
dire l’estinzione dei panda, avendo come slogan (antico grido
di guerra dei clan scozzesi):
Il congiuntivo non deve morire!
Complimenti: faremo il possibile per combattere insieme
con loro.
Dopo questa notizia che rincuora, passiamo quindi
all’esposizione della regola, che più di ogni altra è affidata al
significato che chi parla o scrive intende dare al proprio
pensiero.
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29. Il congiuntivo è il modo verbale che esprime dub- 1a persona plurale dell’indicativo presente), e non “insegn-amo”.
bio, eventualità, ma anche desiderio o timore che si verifi- Allo stesso modo scriveremo: “noi spegn-iamo” e non “spegn-
chi un fatto: si utilizza in dipendenza di una proposizione amo”, “che noi sogn-iamo” (perché -iamo è la desinenza della 1a
principale, che determina la scelta successiva tra l’indica- persona plurale del congiuntivo presente), “che voi sogn-iate”
tivo e il congiuntivo. (essendo -iate la desinenza della 2a persona plurale del congiun-
tivo presente), e non: “che noi sogn-amo”, “che voi sogn-ate”.
Esempio Riassumendo
Penso (quindi immagino, ma non ne sono certo) che tu CORRETTO ERRATO
mi abbia tradito.
insegn-iamo insegn-amo
Se invece intendo attribuire certezza alla mia ipo- spegn-iamo spegn-amo
tesi, userò in questo caso l’indicativo, dicendo o scrivendo: che noi sogn-iamo che noi sogn-amo
che voi sogn-iate che voi sogn-ate
Penso che mi hai tradito. I composti con fare, dire, venire richiedono atten-
zione, poiché seguono la coniugazione dei verbi che ne
Sfumature, certo, ma preziose per manifestare com- costituiscono la base. Esempi: il presente indicativo di disfa-
piutamente un pensiero, pur senza utilizzare tante parole. re è “io disfaccio”, e non “io disfo”, come dovrebbe essere se
non seguisse la regola sopra citata. Allo stesso modo si dirà
e si scriverà: “io disfacevo”, “io disfeci”, “disfacendo”, ecc. e
OSSERVAZIONI SU ALCUNI VERBI SPECIALI non “io disfavo”, “io disfai”, “disfando”.
Passiamo quindi ai composti del verbo dire:
Qualche perplessità nasce a volte sulla grafia di l’imperfetto indicativo di maledire è “maledicevo” e non
certi verbi. Eccone alcuni. “maledivo”. Allo stesso modo si dirà e si scriverà: “maledis-
I verbi che terminano all’infinito in ci-are e gi-are si” e non “maledii”, “maledicendo”, e non “maledendo”.
perdono la i della radice (la parte invariabile del vocabolo), Il verbo pervenire presenta qualche difficoltà nel passato
dinanzi alle desinenze (le parti variabili) che iniziano con i ed remoto, dove spesso si sente dire o si vede scritto “pervenii”,
e, poiché la vocale i della radice non è più necessaria per man- “pervenì”, “pervenirono”, in luogo di “pervenni”, “perven-
tenere il suono dolce o palatale della c o della g precedente. ne”, “pervennero”, che sono le uniche forme corrette del
passato remoto del verbo venire, da cui pervenire deriva.
Si dovrà quindi scrivere:
noi cominc-iamo, noi cominc-eremo, io cominc-erei, Riassumendo:
noi mang-iamo, noi mang-eremo, io mang-erei
mentre sarebbe errato scrivere: CORRETTO ERRATO
cominci-eremo, mangi-erei, ecc. disfaccio disfo
disfacevo disfavo
I verbi che terminano all’infinito in gn-are e disfeci disfai
gn-ere sono regolari, e pertanto mantengono la i delle desi- disfacendo disfando
nenze quando queste compaiono. maledicevo maledivo
Quindi: “noi insegn-iamo” (perché iamo è la desinenza della
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30. CORRETTO ERRATO La regola è semplice, e come al solito risponde alla logica:
l’ausiliare dei verbi servili deve essere lo stesso richiesto
maledissi maledii dal verbo al quale il servile è unito.
maledicendo maledendo Le forme esatte sono perciò: sarei potuto fuggire,
pervenni pervenii sarei dovuto essere castigato, con l’ausiliare essere in entrambi
pervenne pervenì i casi, poiché fuggire è intransitivo, e castigare è usato in forma
pervennero pervenirono passiva, ma: avrei dovuto castigare, poiché castigare è usato in
questo caso in forma attiva, e quindi richiede l’ausiliare avere.
GLI AUSILIARI ESSERE E AVERE
PASSATO PROSSIMO O
Essere e avere, come è noto, servono tra l’altro per PASSATO REMOTO?
la coniugazione dei verbi, e per questo sono definiti ausiliari.
Il verbo avere si usa per i tempi composti delle Il nome di questi tempi dell’indicativo, indistinti
forme attive dei verbi transitivi, quelli che esprimono un’a- tra loro nella lingua latina, può trarre in inganno: prossimo
zione che passa, cioè transita o può transitare su un comple- infatti sembra fare riferimento a un’azione avvenuta di
mento oggetto (“Ho sconfitto la malattia”). recente, remoto a un’azione lontana. In realtà non è così.
Il verbo essere si usa per le forme passive, nei tempi Il tempo passato remoto si usa per indicare un’a-
semplici e composti (“sono amato”, “ero stato amato”), e inol- zione conclusa, non importa se accaduta recentemente o
tre per i tempi composti dei verbi intransitivi, quelli che espri- molto tempo prima, mentre il tempo passato prossimo
mono azione ferma sul soggetto, come nascere, vivere, morire, tor- indica avvenimenti anche lontanissimi, i cui effetti conti-
nare, ecc. (esempio: “sono arrivato”, “ero tornato”). Si adopera nuano ancora nel presente.
anche per i tempi composti dei verbi impersonali, usati per indi-
care fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, albeggiare, ecc.), Esempi
quindi occorre dire o scrivere: “È piovuto per breve tempo”.
In alcune regioni si usa però in questi casi soprat- Garibaldi morì nel 1882
tutto l’ausiliare avere, ma in Toscana, dove il rispetto per la Dante Alighieri nacque nel 1265
purezza è innato, ciò non accade, neppure tra le persone Mia figlia (tuttora vivente) è nata nel 1958
meno colte, e questo dovrebbe bastare per tenerci lontani da Tre mesi or sono è venuto ad abitare presso
una forma poco corretta. di noi mio fratello (il fatto perdura)
Non mancano tuttavia alcuni verbi intransitivi che Ieri incontrai Maria (azione vicina, ma
utilizzano l’ausiliare avere (“ho dormito”, “ho passeggiato”); in completamente trascorsa)
caso di dubbio converrà quindi ricorrere al dizionario, che
segnala sempre l’ausiliare corretto da usare coi verbi irregolari.
Le incertezze maggiori possono nascere per la scel- L’utilizzo appropriato dei due tempi verbali non
ta dell’ausiliare nei tempi composti dei verbi cosiddetti ser- sempre è rispettato nelle varie regioni italiane: nel Nord si
vili potere, volere e dovere che accompagnano altri verbi. preferisce il passato prossimo (nel dialetto milanese il passa-
to remoto addirittura non esiste), mentre nel Sud il passato
Qual è la frase giusta? remoto è abituale. Con un po’ di attenzione si potrà rime-
avrei potuto fuggire oppure sarei potuto fuggire? diare, almeno nel linguaggio scritto, alle inesattezze dovute
avrei dovuto essere castigato oppure sarei dovuto essere castigato? alle abitudini locali.
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31. Le maiuscole.
Attenzione alle stonature!
Raduniamo qui alcuni esempi di scorrettezze e sto-
nature da evitare.
LE MAIUSCOLE NEI TITOLI
ACCADEMICI, NOBILIARI, ONORIFICI
Trattandosi di appellativi che rappresentano una
qualifica particolare, per nascita o benemerenza o titolo
accademico, si dovrebbero scrivere con la lettera maiuscola.
Si scriverà quindi:
il Ministro
l’Onorevole
il Papa
il Preside
il Professore
Quando tuttavia sono accompagnati dal nome pro-
prio, è preferibile usare la minuscola:
il ministro Rossi
l’ing. Bianchi
il dott. Brambilla
il conte Cavour
il re Vittorio Emanuele II
Per regola si dovrebbe quindi scrivere anche: il
papa Giovanni XXIII, benché in tale caso molti usino la
maiuscola in segno di rispetto.
Con significato generico, i diversi appellativi si
scrivono con la lettera minuscola: il ministro, i senatori, ecc.
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32. LE MAIUSCOLE NELLE PAROLE INDICANTI NAZIO- sono portare nella cura della res publica con la cultura ormai
NALITÀ E APPARTENENZA RELIGIOSA O POLITICA generalizzata, l’impegno puntiglioso, la tenacia e quello spi-
rito materno che fa parte della loro natura.
La regola è affine alla precedente: se il termine è Ecco allora il bisogno di coniare termini adatti alle nuove
solo, e quindi è usato come sostantivo, si deve scrivere con funzioni, e per questo si è fatto ricorso alle regole già esi-
la lettera maiuscola. stenti riguardanti il femminile dei corrispondenti nomi
comuni maschili.
Esempio Abbiamo così la Presidentessa (la dottoressa), la
Deputata (la scolara), la Senatrice (l’istitutrice).
l’Italiano (lingua), i Russi (popolo), i Cattolici, i Liberali, ecc. In altri casi meno usuali, tuttavia, invece di ricorrere alla
femminilizzazione del termine, non sempre gradevole,
ma: (l’Assessora? la Ministra? o peggio: la Pubblica Ministera?),
sarebbe meglio lasciare invariato il titolo: basterà accompa-
la lingua italiana, la cultura russa, la religione cattolica, gnarlo col nome e cognome dell’interessata (l’assessore
la dottrina liberale, ecc. Maria Rossi, il ministro Maria Bianchi, ecc.), sufficienti a
chiarire il sesso.
poiché nei casi appena citati il termine assume funzione
di aggettivo qualificativo, e quindi la maiuscola non è
appropriata.
Richiedono inoltre la maiuscola i periodi storici, i
secoli, i movimenti culturali, le solennità religiose, i titoli di
libri, giornali, opere d’arte, associazioni, società, uffici pub-
blici, istituzioni, mentre si usa la lettera minuscola per i
nomi di stagioni, mesi e giorni.
Si scriverà perciò:
il Rinascimento, l’Ottocento,
il Romanticismo, l’Ascensione, il Parlamento,
primavera, marzo, mercoledì
TITOLI PUBBLICI AL FEMMINILE
Un tempo non era necessario porsi il problema,
poiché le donne non rivestivano cariche politiche o istitu-
zionali, anche se in realtà molte di loro erano spesso ispira-
trici di decisioni e di manovre che si compivano in alto loco.
Dalla metà del secolo appena trascorso, tuttavia, si è final-
mente compresa l’importanza dei benefìci che le donne pos-
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33. I punti cardinali
della punteggiatura
La punteggiatura, attraverso i diversi segni di inter-
punzione, ha lo scopo di conferire allo scritto le pause neces-
sarie per rendere evidente il significato dell’esposizione.
Ci sono tuttavia autori notissimi che hanno elimi-
nato a volte la punteggiatura dai loro scritti (Giuseppe
Berto, James Joyce, per esempio) anche se in tale caso la let-
tura e la comprensione dei testi appaiono meno agevoli. Si
tratta comunque di una scelta che solo chi possiede una
padronanza profonda della lingua si può permettere.
A tale proposito è giunta notizia che le autorità
inglesi che si occupano della difesa della Cultura nazionale,
sentendo a loro volta la necessità di porre un freno al degra-
do cui è sottoposta anche la loro lingua, si sono impegnate
recentemente nella difesa della punteggiatura, ricordando
come questa sia importante per chiarire il senso delle frasi.
Noi non intendiamo certo essere da meno: abbiamo quindi
raccolto qui le regole principali, pur avvertendo che non
sono tassative.
VIRGOLA
Cominciamo con lo sfatare una leggenda dura a
morire, inculcata nelle teste degli alunni fin dai primissimi
anni di scuola dalle maestre di una volta, tramandata in
seguito da una generazione all’altra: davanti alla congiunzio-
ne “e” non si può mettere la virgola.
In realtà la virgola non si dovrebbe usare davanti
alla congiunzione “e” solo nell’ultimo termine di un elenco,
benché a volte la virgola finale possa servire per accentuare
una distinzione, ma questo è solo un espediente letterario.
L’equivoco potrebbe nascere dal fatto che la “e”, essendo
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34. congiunzione, serve a unire i termini di una frase, mentre la Vedasi l’esempio seguente, in cui tra il soggetto e il verbo è
virgola indica una separazione: l’utilizzo contemporaneo inserita un’incidentale:
potrebbe dunque apparire una contraddizione, mentre in
realtà non è così.
L’uomo, che avanzava a piccoli passi faticosi, aveva
Ecco dunque la semplice regola negli occhi la fredda determinazione di chi è deciso a
raggiungere la propria meta.
La virgola, che ha lo scopo di indicare una pausa
breve nel fluire del discorso, dovrebbe precedere la
“e” e altre congiunzioni (esempio: ma, benché, per- Errato sarebbe invece scrivere:
ciò, ecc.) quando queste danno inizio a una nuova
proposizione, cioè a una frase di senso compiuto in
cui siano presenti almeno un verbo e un soggetto, L’uomo, avanzava a piccoli passi faticosi..
espresso o sottinteso. come purtroppo spesso si legge.
Esempio
IL PUNTO FERMO
Sono tornato a casa, e ho saputo la buona notizia.
Indica la conclusione di un periodo. Nella prosa
Si noti comunque che si potrebbe fare a meno della moderna si preferiscono frasi brevi, che conferiscono un
virgola se si volesse evidenziare una contemporaneità di ritmo più vivace e dinamico al discorso.
azione tra i due fatti.
Viene utilizzata anche per separare un vocativo dal
resto della frase.
IL PUNTO E VIRGOLA
Esempio La sua stessa forma grafica, risultante dall’unione di
un punto con una virgola, indica che si tratta di un segno di
Ricordate, figli miei, le parole di vostro padre! interpunzione il cui valore sta tra l’uno e l’altra. Si usa per
una pausa più decisa di quella indicata dalla virgola, ma
meno forte del punto fermo.
La virgola non dovrebbe mai stare dopo il sogget-
to, poiché lo separerebbe dal verbo di cui fa parte inte-
grante.
Esistono tuttavia delle eccezioni chiaramente identi- I DUE PUNTI
ficabili: se dopo il soggetto si trova un’incidentale, la virgola
diventa necessaria, accompagnata da un’altra virgola al termi- Servono sia per introdurre un discorso diretto, che
ne dell’incidentale stessa, con funzione di doppia parentesi. una spiegazione o un elenco.
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35. IL PUNTO ESCLAMATIVO
E IL PUNTO INTERROGATIVO LE VIRGOLETTE
Non intendiamo certo soffermarci sul loro notissi- Le virgolette (“ ”) si utilizzano per racchiudere un
mo utilizzo, limitandoci a una raccomandazione: discorso diretto o per riferire un pensiero, e possono essere
si eviti di raddoppiarli o triplicarli, o peggio di usarli insie- sostituite dalle lineette (- -).
me per accentuare un’esclamazione o una domanda, con Le virgolette servono inoltre per evidenziare titoli (di libri,
un eccesso di enfasi che non è mai indice di buon gusto. di opere musicali o artistiche), epoche storiche, modi di dire,
frasi convenzionali, parole sulle quali si richiama l’attenzio-
ne, ecc.
LE ABBREVIAZIONI
Devono essere seguite dal punto fermo. Si ricordi
tuttavia che le forme abbreviate riguardanti misure, pesi e
capacità (km, gr, dl, ecc.) sono al contrario considerate ter-
mini compiuti e pertanto rifiutano il punto.
Attenzione!
Il titolo di “dottore” che precede un nome proprio spettan-
te di diritto solo a chi ha conseguito una laurea, o l’ha otte-
nuta honoris causa, può essere abbreviato in due modi:
dott. (quindi seguito dal punto fermo), per indicare la cadu-
ta della seconda parte del vocabolo; oppure dr, nel quale
caso il punto finale sarebbe un’incongruenza, dal momen-
to che si tratta di una soppressione interna al vocabolo e
non di un’abbreviazione.
I PUNTINI DI SOSPENSIONE
I puntini di sospensione (bastano due, come diceva
la scrittrice Françoise Sagan, e ce n’è d’avanzo) servono per
indicare un’incertezza, una reticenza, una pausa quando si
riporta un discorso diretto o si esprime un pensiero.
Si raccomanda però un uso molto parco di questo
segno grafico: l’eccesso è sgradevole, poiché imprime alla
prosa un andamento zoppicante.
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36. Parole ed espressioni
da rottamare
CIOÈ & CO.
La nostra lingua da qualche tempo è soggetta a
curiosi innamoramenti di termini che solitamente si diffon-
dono tra i giovani, e che di solito si esauriscono, anche se
non sempre rapidamente.
C’è stato il dilagare di un cioè che si infilava pervi-
cacemente ogni due, tre parole senza un nesso logico con la
frase, dal momento che si tratta di una particella esplicativa
volta a chiarire il significato di quanto espresso immediata-
mente prima: deriva infatti dall’unione del pronome dimo-
strativo ciò con è, 3a persona del presente indicativo del
verbo essere. In realtà era segno di incertezza, di scappatoia
per prendere tempo nel seguire il filo logico del pensiero, a
volte di timidezza: infatti quando chi parlava era sicuro di sé
e procedeva spedito nel discorso, il famigerato, inutile cioè
non compariva. Divenne presto un’abitudine, un’intrusione
irritante che restò tuttavia confinata nell’espressione verba-
le, finché si attenuò fino a scomparire quasi del tutto.
Si potrebbero citare altri vezzi simili, come attimi-
no, grazioso diminutivo-vezzeggiativo che dovrebbe indicare
un tempo brevissimo, mentre in realtà la sua durata potreb-
be non avere limiti.
Un’altra inutile intrusione è rappresentata dall’av-
verbio assolutamente, superfluo rafforzativo di affermazioni o
negazioni, come se sì o no non fossero più che sufficienti a
manifestare assenso o dissenso.
Appartiene allo stesso genere un intercalare che
persone di buona cultura introducono a volte in continua-
zione nel loro discorso; si tratta di un inciso solitamente
inopportuno che “infiora” il loro eloquio: per così dire o dicia-
mo così. Forma nervosa, segno di imbarazzo?
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37. Il fatto è che l’inutile insistenza di certe ripetizioni Innanzi tutto il “che” possiede molte funzioni: può
ottiene soltanto lo scopo di distrarre dal contenuto del di- essere congiunzione, e in tale caso può introdurre sia il modo
scorso e di infastidire l’ascoltatore. indicativo che il congiuntivo, e perfino il condizionale. Può
Si presti dunque attenzione alla necessità di con- sostituire la congiunzione perché nella forma letteraria, richie-
trollare il proprio modo di esprimersi, anche evitando l’uti- dendo però di essere accentato. È poi anche pronome relativo
lizzo di termini che improvvisamente diventano di moda e plurivalente, giacché resta invariato nel maschile e nel fem-
che banalizzano la lingua, con intromissioni non giustificate minile, nel singolare e nel plurale. Inoltre non muta nemme-
dal loro significato letterale. no se usato come soggetto o come complemento oggetto,
potendo assumere infine anche funzione di pronome neutro o
di aggettivo esclamativo.
Esempio: Che bella notizia!
ESPRESSIONI “A VANVERA” Attenzione però: in quest’ultimo caso non dovreb-
be essere unito soltanto a un aggettivo, come si sente spes-
Tra le molte ben più gravi scorrettezze che deprimono la so nel Settentrione. È per esempio scorretto esclamare: Che
nostra lingua, si nota a volte l’utilizzo di voci improprie, su noioso! Che brutto!
cui sarebbe opportuno riflettere. Occorrerà invece aggiungere un sostantivo (Che di-
Si dice per esempio persona umana, con l’inutile scorso noioso! Che brutto esempio!), oppure si dovrà sostituire il
pag. 50 aggiunta di un aggettivo qualificativo che rappresenta un “che” con un termine diverso, inserendo inoltre un verbo:
pleonasmo (vedi pag. 50); si tratta di una formula ormai Quanto risulta noioso! Come è brutto!
entrata nel linguaggio colto di conferenzieri e predicatori, Ecco infine alcune frasi la cui pessima riuscita è
usata perfino in più occasioni dal Pontefice, eppure, se con- dovuta al distratto utilizzo del “che”, usato appunto a van-
sultiamo un dizionario, vediamo che il termine persona cor- vera, quindi da rottamare:
risponde a individuo, uomo o donna. Allora che bisogno c’è di Siccome che ho la febbre, non potrò uscire.
quell’aggiunta? A nessuno verrebbe in mente di definire per- Il “che” in questo caso ha una funzione indefinibile, poiché la
sona un oggetto o un animale. congiunzione causale che lo precede è già più che sufficiente
Un altro uso indiscriminato ben più grave viene per chiarire il significato della frase.
consumato con il verbo giustiziare: La mafia ha giustiziato un Allo stesso genere appartiene il “che” usato in una frase
quindicenne, facendolo sciogliere nell’acido.. di questo tipo:
Ma siamo matti? Che giustizia sarebbe questa? Sta’ attento, che il pericolo è sempre in agguato!
Eppure lo si legge e lo si sente dire e ripetere, soprattutto nei Abbiamo qui un “che” clandestino, infilatosi impro-
telegiornali. E questi sono solo due esempi.. priamente in un periodo che non sentiva affatto la necessità
del suo intervento. Sarebbe bastato porre due punti dopo la
seconda parola, sopprimendo l’intruso:
LA FREQUENTE PERDITA D’IDENTITÀ Sta’ attento: il pericolo è sempre in agguato!
DEL “CHE”
pag. 42 Abbiamo già accennato brevemente a pag. 42 a
questa paroletta dall’apparenza modesta, ma dall’importanza
solitamente determinante nell’evolversi del discorso: tuttavia
è opportuno ampliare l’argomento, che presenta vari aspetti.
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38. La d eufonica:
una consonante dalla vita
sregolata
LA D EUFONICA CON LA
CONGIUNZIONE “E” E LA PREPOSIZIONE “A”
La consonante d, aggiunta alla congiunzione e e
alla preposizione a, quando sono seguite da parola iniziante
per vocale, è detta eufonica, cioè utilizzata per rendere più
armoniosa la pronuncia.
Un tempo si consigliava di adoperare la d anche
con la congiunzione o, che diventava od con un suono per
nulla gradevole, quindi l’idea è stata in seguito giustamente
abbandonata.
L’argomento è stato a lungo controverso: meglio e
ultimo o ed ultimo, e anche o ed anche, a ogni o ad ogni?
Di solito alle elementari si insegna il rispetto della regola di
base, quindi sempre ed e ad dinanzi a vocale.
Alcuni grammatici moderni, invece, suggeriscono
di usare la d eufonica solo quando si incontrano vocali ugua-
li, per ottenere la massima semplificazione. Si dovrebbe esse-
re d’accordo con loro: il suono duro della consonante denta-
le, introdotta a forza là dove non appare necessario, toglie
armonia al fluire del discorso. Del resto già il Manzoni, nella
revisione del suo romanzo, si preoccupò di togliere la mag-
gior parte delle d eufoniche esistenti nel testo primitivo.
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39. Come prendere
le preposizioni
per il verso giusto
n
L’USO A VOLTE SCORRETTO
DI ALCUNE PREPOSIZIONI
Soltanto errori veniali, d’accordo, ma basta poco
per scegliere la forma giusta, quella più vicina alle miglio-
ri tradizioni della nostra lingua, evitando le forme che
hanno subìto l’influenza di altri idiomi, soprattutto di
quello francese.
Insieme con è la forma più corretta, di classica deriva-
zione latina, che usava una cum per indicare unione.
Insieme a è invece espressione meno appropriata.
Pasta col burro è il termine esatto che indica il condi-
mento aggiunto alla pasta, mentre pasta al burro non ha
un significato grammaticalmente giustificabile.
Biglietto di visita dovrebbe essere usato in luogo di bigliet-
to da visita, in quanto il suo utilizzo è di presentazione,
mentre la preposizione da indicherebbe un fine, uno
scopo inesistente.
Macchina per scrivere e macchina per cucire, dove la pre-
posizione per indica giustamente lo scopo per cui la
macchina viene utilizzata, dovrebbero sostituire le più
comuni ma meno corrette diciture: macchina da cucire
e macchina da scrivere.
Per esempio è forma molto migliore di a, ad esempio.
Nel primo caso la preposizione per chiarisce lo scopo
per cui si cita un esempio, mentre la preposizione a è
priva di giustificazione.
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40. Associazione per delinquere è la sola forma corretta. Ancora Si vedano gli esempi: con dei, per delle, a degli, dove dei, delle,
una volta il fine è indicato dalla preposizione semplice degli significano alcuni, alcune. Allora è meglio usare gli
per, mentre associazione a delinquere non è altro che la tra- aggettivi indefiniti, senz’altro più corretti.
sposizione pedissequa in Italiano dell’uso francese.
Quindi si eviterà di dire o scrivere, per esempio:
Per indicare il materiale con cui un oggetto è fabbrica- Sono uscito con degli amici.
to si dovrebbe sempre usare la preposizione di e non la Più appropriato e preciso:
preposizione in, il cui significato è ben diverso. Quindi Sono uscito con alcuni amici.
scultura di marmo e non in marmo, giacca di lana e non in
lana, borsetta di pelle e non in pelle, ecc. Da evitare anche l’accostamento delle preposizioni “pro-
prie” più volte citate (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra)
Il moto da luogo richiede la preposizione da. con altre “improprie” (davanti, dietro, contro, ecc.).
Attenzione quindi: Me ne vado di Milano, è uscito di qui,
ecc. sono forme scorrette. Esempio
Un caso particolare è rappresentato dalla preposizione Una borsa con dentro un fascicolo → espressione popolare
impropria fuori, che esige di essere accompagnata dalla Una borsa contenente un fascicolo → più corretto
preposizione semplice da quando indica uscita, movi-
mento (esempio: lo hanno buttato fuori dall’uscio), ma
si costruisce con la preposizione di negli altri casi: fuori
di senno, fuori di metafora, ecc. Difficile? No: basta solo
un po’ di attenzione.
Si ricordi che mentre quasi tutte le preposizioni
proprie possono diventare articolate unendosi a ogni articolo
determinativo, per, tra e fra, gelose della propria indipen-
denza, rifiutano il connubio; quindi tra le, per i, fra gli, ecc.
Infine la preposizione con si può accoppiare soltan-
to con il e con i, nel quale caso perde la n (coi, col).
Negli altri casi si dirà e si scriverà: con lo in luogo di
collo, con la in luogo di colla, con gli in luogo di cogli.
UNIONE DI DUE PREPOSIZIONI:
MEGLIO SAREBBE EVITARE
Non si tratta di veri e propri errori, ma di stonatu-
re. Si fa qui riferimento al consiglio di astenersi dall’accosta-
mento di due preposizioni, salvo casi particolari tra cui quel-
li già citati in precedenza (fuori da, ecc.).
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41. Salviamo il mondo
dal cerchiobottismo
I NEOLOGISMI
Abbiamo detto all’inizio che la lingua è viva, poi-
ché si arricchisce continuamente di termini e di espressioni
prodotte dal desiderio di rinnovamento, dall’evoluzione
delle tecnologie, dalla necessità di definire in forma concisa
una gamma di situazioni nuove, o inusuali fino a qualche
tempo prima.
Mai come negli ultimi anni questo fenomeno si è
fatto intenso e pressante, accettabile quando non dipende
dall’estro di persone ansiose soltanto di essere originali e
creative.
L’ultimo termine, tipico della pubblicità, ci porta a
ricordare che molto spesso è il linguaggio pubblicitario a for-
nirci vocaboli nuovi; agli ideatori non interessa tuttavia la
correttezza del neologismo: essi tendono soprattutto a colpi-
re l’immaginazione, a farlo ricordare insieme col nome del
prodotto sul quale intendono richiamare l’interesse. Ormai
sono passati i tempi in cui erano gli artisti o i letterati che
inventavano parole nuove, nelle quali trasferivano il loro
estro imaginifico.
Oggi non c’è più D’Annunzio, né altri geniali crea-
tori di ideazioni linguistiche, perciò ci sentiamo bombardati
da locuzioni orrende in cui anche i politici si stanno specializ-
zando, alla ricerca di un’originalità che dovrebbe farli ricorda-
re, secondo loro, agli elettori. Basti citare cerchiobottismo o rei-
stituzionalizzazione, una delle tante –creature– del nuovo lessi-
co giornalistico-parlamentare, che senz’altro rimandiamo al
mittente. Mentre il primo vocabolo è già entrato in un auto-
revolissimo dizionario (vedi oltre), il secondo non ha ancora
fatto la sua comparsa ufficiale. Speriamo che svanisca nel
nulla da cui è venuto prima di essere legittimato.
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42. Non lasciamoci sedurre da uno –stupidario–
(voce nuova efficace nella sua concisione) che con la lin-
gua di Dante non ha nulla in comune, accettando soltanto Dal Vocabolario della lingua italiana
i neologismi prodotti da quanto la tecnica e la scienza o le di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 2004
nuove esigenze della vita moderna hanno creato.
Cerchiobottismo [comp. col suff. cerchio e botte,
sostantivo tratto dalla loc. dare un colpo al cerchio e
uno alla botte;1996 ] s.m. • Nel linguaggio giornali-
stico atteggiamento di chi rivolge contemporanea-
mente apprezzamenti e critiche sia a una parte che a
un’altra in contrasto con la prima.
Cerchiobottista [1996] A s. m. e f. (pl. m. -i) • Chi
dà prova di cerchiobottismo. B anche agg.: commen-
tatore cerchiobottista.
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43. L’Italiano è wonderful
I VOCABOLI STRANIERI:
INTRUSIONI A VOLTE ILLEGITTIME
Esistono vocaboli di origine straniera, soprattutto
inglese, che fanno parte ormai della nostra lingua, apprezza-
ti per l’efficacia e l’immediatezza; tra questi, numerosi termi-
ni sportivi o tecnici, alcuni dei quali di recente introduzio-
ne (web, software, ecc.).
Si ricordi che al plurale i vocaboli stranieri, appun-
to perché ormai italianizzati, rifiutano la forma caratteristica
della lingua di origine: non films, goals, ecc., quindi, ma è
sufficiente il cambiamento dell’articolo per indicare il
numero.
Sembra opportuno segnalare a questo proposito la
recente invasione, sia pure pacifica, di voci straniere entra-
te nella nostra lingua senza reale necessità, in sostituzione di
parole italiane perfettamente corrispondenti al significato
che devono esprimere. La ragione non è chiara: snobismo,
esibizionismo, esterofilia?
Senza arrivare agli eccessi del nazionalismo france-
se, che si spinge a rifiutare l’inglese “computer”, sostituen-
dolo con “ordinateur”, ci permettiamo sommessamente di
suggerire ove possibile la preferenza per “la lingua dove il bel
sì suona”, anche perché l’utilizzo eccessivo dei termini stra-
nieri non nobilita affatto il linguaggio, come qualcuno
potrebbe credere, ma è soltanto indice di cattivo gusto.
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44. Dulcis in fundo
Giunti al termine di questa breve trattazione, ci
congediamo dai lettori parafrasando la formula in uso nella
Commedia dell’Arte del passato: porgiamo molte scuse per
la schematicità delle informazioni, eppure ci auguriamo che
le molte, purtroppo necessarie lacune rappresentino uno sti-
molo ad approfondire e ad ampliare gli argomenti per pro-
prio conto, attraverso la consultazione di un testo di gram-
matica ben più ampio poiché la lingua italiana, la più dolce,
armoniosa ed espressiva del mondo, lo merita veramente.
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45. Appendice
MOSTRICIATTOLI QUOTIDIANI
È questa la parte divertente del manuale, poiché è
piacevole ridere degli errori che sembrano sempre “degli altri”.
Eppure, in seguito a un opportuno esame di coscienza, si sco-
prirebbe che qualche volta anche noi.. Allora si faccia un
proponimento: si dedichi un minuto alla consultazione di un
vocabolario per scoprire la grafia esatta di ogni termine che
suscita perplessità, e si dubiti, sempre, ogni volta che ci si
trova dinanzi a una parola su cui non si possiedono certezze.
Aggiunta o raddoppiamento arbitrario
• Dinnanzi: errato. Il vocabolo corretto è dinanzi, costi-
tuito da di+nanzi, mentre va bene innanzi, costituito da
in+nanzi.
• Aereoporto, aereoplano, ecc.: errati. Sono corretti aero-
porto, aeroplano, ecc., dove il prefisso aero deriva dal
nome latino aer = aria e non da aereo.
• Obbiettivo e obbiettivamente: errati. Sono corretti con una
sola b. Anche in questo caso si dovrebbe fare riferimento
all’originario obiectivus, Latino medievale, derivato dal
Latino classico obiectum, dove il raddoppiamento non esi-
ste; del resto non si può nemmeno accusare la più volte
deprecata, acritica dipendenza dalla lingua francese, che
mantiene la singola b latina. Eppure qualche dizionario
moderno pone il termine con la b raddoppiata tra paren-
tesi accanto a quello corretto, accettandolo come varian-
te, senza nemmeno accennare a un uso diventato ormai
comune. Uno scrittore o un giornalista famoso ha sbaglia-
to un giorno la grafia, e come il pifferaio di Hamelin della
celebre fiaba ha trascinato con sé una folta schiera di imi-
tatori, fiduciosi nella sua autorevolezza: è nata così la legit-
timazione acritica, che tuttavia è priva di fondamento.
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