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Questo libro è dedicato a tutti coloro che amano ilproprio paese:
perla sua gente, perla sua storia, perla sua cultura, perle sue
radici.
È dedicato a coloro che credono che trasmettere questivalorialle
nuove generazioni sia un dovere fondamentale di tutti, perché
il senso di appartenenza alla propria terra e alle proprie origini
non si disperda neH'inesorabilità del tempo che passa.
Il Sindaco
Angelo Bonetti
L'Assessore alla Cultura
Gabriella Piati
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VITTORE TASCA
E LA SUA VILLA DI BREMBATE
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Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di: ;
©
VIRGILIO GHERARDI «ri
Provincia di
Bergamo
Maria Cornelia Cariessi Gualtiero Oberti
VITTORE TASCA
E LA SUA VILLA DI BREMBATE
Ià i)
COMUNE DI BREMBATE
VITTORE TASCA E LA SUA VILLA DI BREMBATE
di Maria Cornelia Cariessi e Gualtiero Oberti
Rilievi
Paola Belussi, Ivana Lacagnina, Stefania Magaldi, Paolo Masotti
Copertina
Giovanni Oberti
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©Silvana Editoriale
Direzione editoriale
Dario Cimorelli
t
Coordinamento
Francesco Mandressi
Impaginazione
Break Point
Ufficio stampa
cip relazioni pubbliche. Milano
Nessuna parte di questo libro
può essere riprodotta o trasmessa
in qualsiasi forma o con qualsiasi
mezzo elettronico, meccanico o altro
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L'editore è a disposizione degli eventuali detentori
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© Autori
© 2004 Silvana Editoriale SpA
Cinisello Balsamo. Milano
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Sommario
9 Vittore Tasca: l'uomo, il patriota, l’artista
39 Dopo le imprese militari Tasca si ritira nella villa di Brembate
50 I bassorilievi lungo le due balaustrate di villa Tasca
62 I funerali di Vittore Tasca
79 La villa neoclassica
113 II parco
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Vittore Tasca: l’uomo, il patriota, l’artista
“Chi è quel non più giovane moschettiere gallonato che sale superle balze come se andasse
a nozze?’  chiede la Montmasson2 al dottorPietro Ripari che poco lontano dal fuoco [la bat­
taglia di Calatafimi, n.d.a.] presta le prime cure ai feriti.
“È il sottocomandante dell’8a compagnia”, risponde il tesoriere Ippolito Nievo. “È Vittore
Tasca, ha trentanove anni ed è avvocato, è buon pittore, ma questi, dice, sono tempida fucile
e non da pennelli, è anche agricoltore ma pensa che la terra schiava non dà frutti, bisogna
liberarla. Osservate la sua camicia color sangue vivo, se l’è fatta confezionare prima dipar­
tire con ilmigliorpanno di Gandino e la sua carabina tirolese, la più lucente della Spedizione,
l’ha comperata l’anno scorso in Austria di ritorno da un viaggio in Oriente’’2.
Vittore Giuseppe Maria Tasca nasce a Bergamo, in borgo San Tomaso, il 7 settembre 1821,
quarto dei nove figli4 (tre dei quali morti in tenera età) di Giovanna Conti e del nobile Fau­
stino, discendente della famiglia milanese dei Tascha de Meda (il cui nome nel XVI secolo fu
modificato in quello attuale), che possedevano feudi e privilegi fin dai tempi dell’arcivescovo
Ariberto e che erano i padroni del castello di Brembate (oggi proprietà Moretti5), delle cave
di Ceppo e di buona parte dei fondi in Brembate6.
Il nostro compie gli studi classici a Bergamo; nei registri dell'archivio del R. Liceo Ginnasio
(anno 1835) lo troviamo infatti come studente del ''corso IV di Grammatica”, mentre nel 1839
è ammesso come socio alunno all’ateneo bergamasco7.
Tra il 1839 e il 1843 è a Pavia dove conclude i primi tre anni di studi politico-legali; il quarto
anno lo completa invece a Padova. Torna a Pavia nel 1845 per sostenere gli uesami rigorosi"
che conclude nel luglio 1846, mese in cui consegue la “Laurea Dottorale in ambo le leggF
[Giurisprudenza e scienze politiche, n.d.a.]2.
Questi sono gli anni fondamentali per la formazione di Vittore. A Pavia è tra gli spiriti irrequieti
che preoccupavano l’imperatore Francesco Giuseppe, il quale ebbe a dire di non avere biso­
gno di letterati, di gente di studio, ma di “sudditi fedeli a me e alla mia Casa”, aggiungendo
anche: “Bisogna che i Lombardi dimentichino di essere Italiani'2.
Nell’ambiente universitario pavese e nell’ambiente medio borghese bergamasco, infatti, Vit­
tore avrà modo di maturare le due intense passioni che lo accompagneranno lungo tutta la
vita: il patriottismo e l’arte.
Suoi compagni di studi a Pavia sono i fratelli Giovan Battista e Gabriele Camozzi10, i due glo­
riosi patrioti bergamaschi nonché suoi grandi amici (Gabriele si laurea nello stesso anno di
Vittore in "ambo le leggi', come confermato dal documento in ASP, dopo un percorso di studi
probabilmente simile, con il quarto anno cioè concluso a Padova); Benedetto Cairoli e
Angelo Bassini11, sono invece i suoi amici pavesi: l’uno, primogenito di cinque fratelli tutti
patrioti e volontario nella guerra del '48, fu costretto a passare in Piemonte e poi a rifugiarsi
in Svizzera come Tasca e i Camozzi (condividerà con Vittore anche l'impegno politico dopo
l’unità d’Italia e sarà ricordato con un monumento e un’epigrafe nella villa Tasca12); l'altro,
anch’egli presente nella campagna del 1848, comandò durante la spedizione dei Mille l’8a
compagnia, quella composta per la maggior parte da patrioti Bergamaschi e della quale Vit­
tore Tasca (insieme a Luigi Enrico Dall’Ovo13) era vicecomandante.
In campo artistico poi, dal 1842 e fino al 1878, troviamo come professore di pittura presso
la Civica scuola di Pavia il pittore bergamasco Giacomo Trécourt14: maestro del Piccio (altro
amico di Tasca) e di Tranquillo Cremona (che fonderà a Milano il movimento della Scapi-
Giovanni Carnovali detto il Piccio,
Ritratto di Vittore Tasca, 1862,
olio su tela, 63 x 51 cm.
Milano, collezione privata
9
gliatura), nonché patriota insieme al fratello Luigi, anch'egli grande amico di Vittore Tasca.
Ciò premesso, va ricordato che la bibliografia, anche recente, relativa alla figura di Vittore
ha spesso pertanto assunto aspetti mitografici e annedottici, che non ci hanno comunque
impedito di comprendere appieno lo spessore morale e la carica vitale del protagonista.
In questa chiave vanno letti, infatti, sia i lavori di Ottavio Tempini15 e di Pietro Raffaelli16, sia
quelli precedenti di Giovan Battista Camozzi-Vertova17 e di Giuseppe Locatelli18, dai quali
abbiamo comunque messo a profitto le numerose informazioni sulla vita di Vittore Tasca.
Sappiamo così che Vittore partecipò attivamente alle riunioni segrete che portarono ai moti
del 184819.Tra l'altro, in una di queste adunanze svoltasi a Milano poco tempo prima delle
Cinque giornate, egli intervenne smascherando una spia presente alla riunione: “Vittore si
alzò e, additando uno dei presenti, disse: 'Com’è vero che io sono italiano nell’anima e nel
cuore, Attilio Partesotti è una spia’ ”20. In tale occasione, le precise informazioni di Vittore
Tasca, che aveva visto uscire dal Commissariato di polizia il Partesotti, resero drammatica
la situazione, con l’accusato che cercava in ogni modo di difendersi sostenendo di poter
dimostrare l’infondatezza dell'accusa; ma, poiché l’individuo sparì dalla circolazione, si ebbe
la conferma che Vittore avesse detto il vero.
Nello stesso anno, su proposta del conte Francesco Roncalli21 - che il popolo aveva scelto
come proprio rappresentante per trattare con l’arciduca Sigismondo Ranieri, figlio del viceré
del Lombardo-Veneto e comandante del Presidio di Bergamo -, Tasca fu nominato membro
della Commissione creata per istituire un corpo di Guardia civica22 e fortemente voluta per
•permettere ai cittadini di uscire armati. Si deve così alla risolutezza del ventisettenne Vittore
se i bergamaschi ottennero dall'arciduca di armare un numero illimitato di guardie per tute­
lare i cittadini dalle prepotenze e dagli eccessi dei soldati. L’arciduca Ranieri, infatti, aveva
cercato di eludere la prima concessione da lui fatta alla Commissione per la costituzione
della Guardia, intimando di limitare a cento il numero delle guardie civiche23.
Non solo. Potendo osservare i movimenti dei soldati croati da una finestra della sua abitazione
in San Tomaso, più precisamente in via Pignolo alta ai numeri 107-10924, il Tasca, nell'assalto
al deposito di munizioni di San Maurizio, si rese anche protagonista di un fatto d'armi che
segnalò quelle doti di prontezza e decisione che lo porteranno più tardi a ricoprire ruoli di
comando prima nell’esercito piemontese, e successivamente nella spedizione dei Mille25.
Cacciati gli Austriaci e costituitosi il Governo provvisorio, Vittore fu un attivo organizzatore
della Guardia nazionale; nonostante ciò, poiché altrove si combatteva per l’Italia, ferma­
mente convinto della necessità di prendere parte attiva alla battaglia contro l’Impero
austriaco, nel luglio 1848 egli si presenterà al quartier generale di Carlo Alberto a Roverbella,
nei pressi di Mantova (e non a Pastrengo, come scrive Locatelli), per arruolarsi nei bersa­
glieri di Alessandro Lamamora; qui riceverà da Carlo Alberto il grado di sottotenente dei ber­
saglieri dell’esercito piemontese26.
Tuttavia, dopo le vittorie piemontesi a Goito e Pastrengo (9 e 30 aprile), che coronarono la
fase iniziale della prima guerra d’indipendenza (caratterizzata da grande entusiasmo e da
una partecipazione unitaria dei sovrani e del popolo italiano, tanto che da ogni parte d’Italia
combattenti volontari, studenti e intellettuali accorsero numerosissimi fuori dalle file degli
eserciti regolari27), la situazione si rovesciò quando gli Austriaci ritornarono in Lombardia in
seguito alla battaglia di Custoza del 25 luglio 1848 per opera delle truppe del maresciallo
Radetzky. In tale frangente Vittore Tasca, come tanti altri, prese la via dell’esilio e riparò a
Lugano, dove giunse P8 agosto. Sono con lui i due fratelli, Benedetto e Isacco, e l'amico
Gabriele Camozzi28.
Li, gli animi erano infervorati soprattutto da Giuseppe Mazzini, anch’egli esule in Svizzera,
che voleva far insorgere la Lombardia sostituendo alla "guerra regia" la "guerra del popolo".
Così, quando corse voce che a Bergamo stava maturando una nuova insurrezione, Vittore
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Tasca e Gabriele Camozzi furono convocati dal fondatore della Giovine Italia il quale, con­
vinto dell’attendibilità della notizia, acconsentì al rientro in patria degli esuli - che godevano
di grande prestigio fra la gente della loro terra -, al fine di guidare la rivolta. Il tam tam di noti­
zie sulla situazione in Lombardia che giungeva nel territorio della Confederazione Elvetica
aveva infatti trasformato l’iniziale resistenza di Federico Alborghetti e dei suoi pochi compa­
gni nei pressi di Palazzago in un’intera popolazione in fermento pronta a esplodere al minimo
cenno. Così, di fronte alle perplessità espresse dai due patrioti bergamaschi, che meglio
conoscevano la situazione, e dopo un'accesa discussione con Mazzini che li tacciava di viltà,
Gabriele Camozzi e Vittore Tasca si recarono sui luoghi per verificare l'esatto stato delle
cose. Travestiti da muratori, esponendosi al pericolo della fucilazione e correndo il rischio di
essere denunciati alla polizia austriaca che sorvegliava le mosse degli emigrati, passarono
segretamente il confine e, raggiunto Almenno San Salvatore, incontrarono alcuni patrioti29
presso la residenza del conte Asperti. Qui ricavarono l’informazione che ogni tentativo rivo­
luzionario, stante la situazione, sarebbe stato destinato al fallimento. Mancavano infatti armi,
munizioni e denaro.
Dell’incontro, oltre allo scritto di Giovan Battista Camozzi (riportato in nota), abbiamo la cro­
naca di don Bernardino Brignoli, che, casualmente, era presente in casa Asperti aH'arrivo di
Tasca e di Camozzi:
"Narro un fatto di qualche importanza, che tuttavia non si conosce e non è accennato, ch'io
sappia, da nessuna storia dell'epoca nella quale avvenne; sta bene quindi che ne sia in qual­
che modo conservata la memoria. Il fatto avvenne sotto i miei occhi stessi ed io lo racconto
colla più rigorosa fedeltà. Si tratta di un Consiglio di Guerra che salvò il Lombardo-Veneto da
chi sa quali sciagure.
Verso la fine dell'ottobre 1848 mi trovavo ospitato nella casa di villeggiatura del fu nob. co.
Giuseppe Asperti, posta in Almenno S. Salvatore, lontana pochi passi dalla chiesa parroc­
chiale verso monte. Secondo il mio costume in quei giorni di sollievo, una mattina al farsi del
giorno esco dalla casa perrecarmi al roccolo del detto sig. conte.
NeH’aprire la porta mi si affaccia il sig. Vittore Tasca amico mio fin dalla fanciullezza e mi
domanda notizie del conte Asperti. Mentre rispondo ecco si unisce a lui il nostro Gabriele
Camozzi. Siccome il conte era tuttora a letto, miincarico dei doveri di casa; li accolgo in una
sala delpiano superiore e faccio accendere il fuoco giacché la stagione si faceva fredda. Non
potevo intanto rinvenire dallo stupore trovando costoro che supponevo esuli nelle schiere di
Garibaldi. Dopo qualche istante entrò nella sala il conte Asperti e quindi successivamente
ad uno ad uno i forestieri... Ecco in qual modo potei essere testimonio oculare ed auricolare
di questo fatto importante.
Gabriele Camozzi messosi davanti a un tavolo aprì la seduta e disse:
‘Mazzini michiamò l’altro giorno. Midisse che era già pronto ilsollevamento generale di tutto
il Lombardo-Veneto; che ogni uomo in questa decisiva rivolta doveva fare ilproprio dovere e
non potendo coi fucili, coifalcetti, con tridenti e con badili; che ilgiorno fissato perla riscossa
era il dì di tutti i Santi; che io però dovessi venire in Lombardia a dare il segnale e l’ordine di
tale decisivo combattimento. Ho detto che egli vedeva troppo bene, che gli Austriaci rifatti
dalle recenti vittorie si erano stabiliti poderosamente nel Lombardo-Veneto, che il promuo­
vere in tali condizioni una rivolta, era rendersi responsabile di un inutile grande massacro.
Mazzini pertutta risposta mi disse che io ero un vile, che pertimore della mia vita io cercava
di stornare un partito che doveva essere la risorsa della causa nazionale. Vi fu gran vivezza
di discorso a tali provocazioni, finché siamo venuti in accordo su questo partito di transa­
zione. Per mostrare che non per viltà ma per puro principio di umanità io rifiutava di accet­
tare ed eseguire un tal mandato dissi; ‘Andrò in Lombardia coll'amico Tasca ed esporrò la
vita; ma vedrò sul luogo lo stato delle cose.
11
Se si offrirà qualche speranza di riuscita daremo fuoco alla miccia e provocheremo la rivo­
luzione. In caso diverso sospenderemo ogni moto e penseremo tutti ai casi nostri'. Questa
risposta è stata accolta, siamo partiti, abbiamo indetto questo Consiglio però non abbiamo
potuto darne avviso al conte Asperti e lo preghiamo diperdonarci.
Appena tacque il Camozzi, gli sconosciuti presero sopra il tavolo alcuni plichi. Erano rela­
zioni provenienti da varie città del Lombardo-Veneto. Esprimevano minutamente lo stato, il
numero, le armi delle truppe austriache, e dopo averbilanciato ilprò e il contro del progetto
disollevazione, conchiudevano che la sollevazione in tali circostanze avrebbe avuto un esito
molto dubbio, oppure era impossibile. Lette le relazioni il Camozzi disse:
‘In faccia a talidichiarazioniilpartito da prendere non può esserdubbio’. Tutti annuirono con­
cordi: gli sconosciuti ebbero l'incarico di recar tosto la notizia di tal partito a chi ne stava in
attesa e subito tutti sparirono.
Rimastisoli, io e il conte partiiperrecarmiall'uccellanda quando uno stormirdi fronde ed un
bisbiglio molto concitato richiamò la mia attenzione verso il roccolo del sig. Giacomo Pelle­
grini. Alzaiilcapo e vidibrulicarilroccolo diarmati. Erano imilitidella guerriglia diPalazzago.
In mezzo alprato del roccolo il Camozziparlava col capitano che doveva esserTAIborghetti.
Immaginai diche dovessero parlare in quell'abboccamento. Naturale conseguenza del Con­
siglio di Guerra della casa Aspertiera anche lo scioglimento diquella milizia. Dopo due giorni
si seppe infatti che le guerriglie di Palazzago si erano disperse. Ritornato a Bergamo udiva
da tuttipreannunciarsila rivoluzione peril Giorno dei Santi.
Ero sicuro che non ne sarebbe stato nulla, ma tacqui per non compromettermi cogli
Austriaci, i qualise avessero potuto pensare che un Consiglio di Guerra avesse avuto luogo
nella casa Asperti di Almenno S. Salvatore, e che col conte eravamo in quel Consiglio, ci
avrebbero raggiunti e saremmo entrati certo nel bel numero dei fucilati di quel tempo.
Ordinato lo scioglimento della Banda ‘eravamo trentadue pazzi da collocare in manicomio
se ci fossimo incaponiti a continuare la Guerra’dice ancora TAIborghetti, Tasca e Camozzi
riprendono la via di Lugano. Passano da Pontida.
Il monastero benedettino che sta all'inizio del paese è occupato dagli Austriaci che dalle
finestre controllano la strada. Costeggiano il muro di cinta e scompaiono nei castagneti
della valle.
A Mazzini riferiscono il vero stato della nostra provincia.
Addio sogni di libertà, di indipendenza, di rivoluzione"30.
Un'altra descrizione dell’incontro di Vittore Tasca e Gabriele Camozzi con Giuseppe Maz­
zini, della riunione in terra bergamasca di quei patrioti, dal Tasca definiti “fra i più caldi per la
causa comune", e dei tentativi rivoluzionari a opera di piccole colonne armate sotto l’impulso
dell’agitatore Mazzini, è restituita anche da una lettera che Vittore Tasca, al suo ritorno a
Lugano il 3 novembre 1848, invierà ad Andrea Moretti che si trovava a Torino:
“Carissimo Andrea!
Come già potraiconoscere da una che ti scrisse giornisono Battista Camozzi, io assieme a
Gabriele Camozzi ricevetti ordine venerdì 28 ottobre di partire immediatamente per Ber­
gamo. Scopo diquesta nostra andata a Bergamo doveva essere, secondo le fantastiche idee
di Mazzini, la direzione delTinsurrezione di Bergamo e rispettiva provincia; insurrezione che
secondo lui sarebbe stata perii giorno 30 o 31 al più infallantemente cominciata. Prima di
partire noi credemmo bene d'esporre chiaramente e con tutta franchezza ilnostro parere al
detto S.r Mazzinied alla Giunta d'insurrezione, pertoglierci quella grande responsabilità che
già conoscevamo conseguenza di sì immaturo movimento. Gli abbiamo quindi detto come
noidissentissimo dalla loro determinazione perle moltiragioni, che credo inutili ripeterti; che
se ciò nullameno essi credevano che la nostra opera potesse tornare utile per la causa
12
comune, noi saremmo tosto partiti, sotto l'espressa condizione però, di volerciprima accer­
tare dello stato a disposizione della popolazione diBergamo e rispettiva Provincia, perquindi
procedere alla regolare insurrezione, se la trovassimo fornita di tutti gli elementi necessari.
Dietro questa condizione, noipartimmo perBergamo sabbato 29 andante, e siamo colà arri­
vati la mattina delgiorno seguente. È inutile che midilunghi nel ragguagliarti minutamente di
quanto facemmo per accertarci della verità dello stato di maturità insurrezionale. Ti basti
sapere che nelgiorno dilunedì p.°p.° abbiamo tenuto a S.t Michele di Valle Imagna una spe­
cie di riunione insurrezionale; riunione che fu composta di tutti i più caldi per la causa
comune, e di tutti coloro che nel caso sarebbero stati alla testa del movimento. Tutti questi
unanimemente si pronunciarono per l'opinione, che cioè è impossibile ed imprudentissima,
nello stato attuale di cose, una insurrezione, perché mancano elementi assolutamente indi­
spensabili alla medesima, quali sono armi, munizioni, denari, e più che tutto incertezza di
forza armata che sostenga il movimento. Per nostra garanzia vennero stesi regolari proto­
colli, vennero scritte coscienziose dichiarazioni. Come ci abbiamo potuto cosi accertare
dello stato delle cose, ripartimmo immediatamente per Lugano, per sospendere al corso si
immaturo ed irragionevole movimento. Secondo questi fantastici teorici deffensori della
libertà, tutto era combinato, tutto era sicuro; il movimento doveva essere contemporaneo a
Bergamo, Brescia, Como e rispettive province; la fuga e la rovina del nemico la vedevano
chiarissima e inevitabile. Per nostra fortuna però ora son ben persuasi della differenza che
passa tra la teoria e la pratica, tra l’ideale ed ilpositivo. Ora si vedono confusi e svergognati.
Arrivati qui a Lugano la mattina di mercoledì p.° p.° noi non mancammo di mostrare il nostro
operato alla giunta d’insurrezione ed al Mazzini. Questi si scusava col dire che era stato
ingannato sullo stato delle popolazioni, adduceva molte altre scuse che, a mio parere, erano
assolutamente inattendibili, lo ritengo però fermo ch'egli sia in perfetta buona fede.
Venendotiora a dire delle spedizioni che si fecero persostenere ed estendere l’insurrezione,
comincerò da quella del Dapice.
Questo generale alla testa di non più di 400 uomini venne spedito nella valle d’Intelvi, che
come ben sai era libera dal tedesco per l’insurrezione già seguita. La mattina del mercoledì
inoltratosi questo nella valle, s’incontrò col nemico, il quale era in numero assai superiore.
Dopo circa un’ora di combattimento questo generale fu costretto alla ritirata dalla parte della
Svizzera;ritirata che fuprecipitosa e disordinata, e che lasciò (da quanto perora si conosce)
tra morti feriti e prigionieri numero di circa trenta individui.
Fu appunto nella giornata di mercoledì sera che questi sfortunati nostri fratelli arrivarono qui
a Lugano. L'ospitalità della Svizzera, che ormai si può chiamare eguale all’austriaca, li
accolse con le baionette in canna, e le condusse, quasi malfattori, circondati d’armati nella
caserma del Paradiso, dove tuttora si trovano in qualità diprigionieri. Questo atto d’inospita­
lità getta sulla faccia della Svizzera una macchia d'infamia che difficilmente potrà cancellare.
A giustificazione però del Canton Ticino, devi sapere che tutto questo fu eseguito dietro
ordine di due Commissari Federali. Fra i dettiprigionieri si contano molti ufficiali, ed il gene­
rale Dapice. Quale sia il destino che lo aspetta non lo saprei dire.
Un’altra spedizione condotta dal Medici fu sopra Luino. Da notizie diquesta mattina pare che
tuttora si sostengono.
Dalle ultime notizie di valle Tellina, Chiavenna fino da lunedì fu presa, ed ora in possesso
degliAustriaci.
Da quanto sisa Brescia e Como sono in perfetto stato di quiete. Le sponde dellago di Como,
dopo la ritirata d’Intelvi, pare che abbiano cessato di molestare i vapori.
Eccoti in breve l’insurrezione Mazziniana.
Questa mattina ho spedito copia delle tue lettere 30 e 31 a Bergamo. Spero che saranno ben
sentite.
S/s..  tu )K»Ct
S^ ; So ffe-yi-ww*
1
Stemma della famiglia Tasca
di Brembate, in G. Baracchiti
(a cura di), Stemmi delle famiglie
bergamasche, 1994
13
Albero genealogico / della Famiglia / Tasca de Meda / Copia conforme / alla esistente in / casa Nob. Fausto Tasca / 1929 / D. A. Poloni.
Sull'albero genealogico;
Documenta probationis Nobilis Familia Tasclia de Meda / cuius cognonuum antiquissimum erat de Airoldis / Nobilis Mediolanensis ut
dimoratur in Anphiteatro I Romano. Pianta prima folio 79: ex Corio / de anno 1196 in Bib.teca Ambrosiana [...] Dominus
Jordanus
De Tascha do Meda
Civis Borgomi
1 = 1384 - 9 Jannuarii in actis Manfredini Zampaite Not. Bergorrn.
2 - 1401 - 13 Jannuarii in actis Manfredini Zampaile Not. ecc.
3. 1452 - 2 Maji in actis Antonii de Cerro Not. Berg.
4. 1484 - 6 decembrii in actis lacobi Tascha de Meda Not. Berg.
5. 1503 - 8 febbrarii in actis Bernardi de Sancto Gallo.
6. 1546 - In actis Joanni de Vavassoribus de Medolaco Not.
7. 1575 - 30 Decembris Politia extimatii in Civitate.
8 1608 - 15 Juliis in acti lulii de Zanchis Not Bergomi.
9. 1600 - Fides Baptesimi Parocchia Brembate Inferiore.
10 1643 - In actis lo Dominici [...].
11. 1646- Fides Baptesimi Parocchia Brembate Inferiore.
12 1665 - 18 Aprilis Matrimonium in acti Antonii Facheris.
13. 1685 - Fides Baptesimim Par. S. Alexander Colonna.
14. 1704 - 4 aprilis in actis Jo Bartolomei Regazzoni.
15. 1745 - Fides matrimonii Par. Bulteni.
16. 1756 - Fides Bapt. Par. Bremb. Inf.
17. 1777 - Fides Matrim. Par. S. Alex. Croce.
18. 1786 - Fides Bapt. Par. S. Alex. Croce.
19. 1788 - Idem.
20. 1796 - Fides Bapt Par. Bremb Inferiore.
A. 1593 - Fides Bapt. Par. Bremb. Inf
B. 1663 - In actis Antonii facheris Notari Bergomi.
C. 1680 - Idem Idem
Zambollus
... I
:
Antonius Nediuus Mapheu Marchesius Petersolus
(1) 1384 fi) (1) (2)
Giulianus Florius
(1) (1) (1401) (1)
Botinus
loannes Tomas
(3) (1452)
Nob. Michael
Nobile Jacobus
(4) (1484)I
N Bemardus
N. Andreas
N Faushnus Tomas
(6) (1546)
N. Victor
(5) (1503) Alexander
I Il primo trovalo col titolo di nobile (anno 1484)
Il Questo Tasca Faustino è colui che fa i più degli acquisti.
Arricchisce di molto la famiglia
Jacobus
N.G N NicolasN Faustinus
(7) (1575)
■ (n 1570, m 1644)
(8) (160Ó)
N Victor
N. Faustinus (n 1600. m.1663)
Il (9) (19) (1600) (1643)
in Caeciliam Avogadram (10)
(2 suore) Orsola
Suor Catenna
Nob. Tomas (n 1593,
(A) (1628)
m 1649)Paola
SuorRev Maria
N Victor (n 1646. m 1709) .
(11) (12) (1646) (1665) *1
in Camillam Fuginclli (i2)
Il famoso Capitano do' Dragoni
Victor Tasca
(Francoscam in Francoscum Piatti)
(B) (n 1646, m. 1709)
: Canonico Lconardus Petrus
(14) (1704)
N. Antonius
(13) (14) (15) (16851(1704) (1745)
in Barbaram Adclasiam
(14)
N.Benedidus (n 1756, m. 1777)
sposato il 22 luglio 1777
con Teresa Moretti
A,
Anna Maria Eiena Elisabetta Barba
sposata
Paola Antonia Camilla
(n 1779-m 1939) (n 1779) (n. 1780-m 1874)
ha sposato nel 1811
Lorenzo Gambarini
poi maritata Caccia **
Chiara N. Antonius N Faustinus
ved. Moretti (n.1786 -m 1865) (n.1788. m. Brembate 14 giugno 1852) *c
(n. 1787 - m 1865) sacerdote sposato con Conti Giovanna v Pellegrini
(n Bergamo 1787 - m. Brembate 5 agosto 1866)
ara
Pavesi
Teresa Marianna
(n. 9giuqno1818 - m. 16 ott. 1879)
rfubiTe. sepolta a Brembate
Joannes ,
G. Battista ’É
(n 1823)
Benedictus *c
Vittore Benedetto w
(n. 9 ago 1819 - m. 13 genn 1871)
sposato con
Vitali Giovannina (n. 1821 - m. 1895)
VictorThomas
maso Vittore
Michele
(n. 11 luglio 1820 - m. 1830)
Vittore Giuseppe Maria
7 (n. 7 settembre 1821 - m 21 apnie 1891)
morto e sepolto a Brembate
Tom
Maddalena
Marianna Camillo Elisabetta EmanueleFaustino Vittorio
‘13*13 *13
paiono nell’albero genealogico a fianco del nominativo cui si riferiscono.
Per la ricostruzione della seconda parte, invece, sono stati consultati i
registri delle nascite, dei matrimoni e delle morti delle parrocchie di
Sant’ Alessandro e di San Pancrazio in Bergamo (i registri di San Pan­
crazio sono conservati nell'ACVB) e quelli della chiesa parrocchiale di
Brembate. Ci siamo avvalsi inoltre delle iscrizioni sulle lapidi nella cap-
La prima parte dell'albero genealogico, in corsivo, è la trascrizione di un
documento conservato nell'archivio parrocchiale di Brembate. Nel
manoscritto sono elencate in ordine cronologico le date degli atti nota­
rili. con i nomi dei notai, e quelle riportate nei registri delle nascite e dei
matrimoni, dai quali è tratta l’informazione (note a sinistra della pagina);
le stesse date, con i numeri in ordine cronologico tra parentesi, com-
14
V II 14 aprile 1698 Vittore Tasca, sposato Camilla, dà uno schiaffo alla figlia
Cecilia, maritata, a causa della persona del rev. Curato di Brembate Sotto
con il quale, pare, la giovane s'incontrava. (...) Da un manoscritto di casa
Tasca del 1705: Eugenio Savoia, di passaggio con le sue truppe, alloggia
nel castello dei Tasca. Di fronte al castello c'è la casa del Cav. Tassis, ora
casa Rosa [APB, Capitoli). Nel 1648 già si lavora nelle cave ed erano in
mano a Vittore Tasca (APB. busta Tasca]. In data 26 agosto 1687 c'è un
castello in Brembate di Sotto colle fosse sino al Brembo (BCB, Estimi. 5
30 199],
2* Vittore Tasca q m Antonio, era il proprietario della casa contrassegnata
nei registri catastali con il n. 362 Alla sua morte la casa è ereditata dalla
moglie Giulia Agosti . usufruttuaria, e dai nipoti sac. Antonio. Faustino
(padre del nostro Vittore) e Benedetto. I fratelli Benedetto (nonno di Vit­
tore) e Vittore Tasca q.m Antonio ottennero il riconoscimento della nobiltà
il 9 dicembre 1819.
3* Nel 1782 godono d'indulto per l'oratorio privato in Bergamo, ma siccome
abitano in campagna, nella Diocesi di Milano, chiedono l'estensione del­
l'indulto anche per l'abitatioms in loco Brembatiplebis Verdelli [...].
[BCB. famiglia Tasca. R 100/2 (1)] Alla sua morte Tommaso lascia tutti i suoi
beni all'unica figlia Camilla, tra questi beni c'è anche il castello.
4* Cfr. Registro matrimoni, chiesa di S. Pancrazio, 1811, in ACV.
5* Nella cappella dei Tasca nel cimitero di Brembate ci sono le lapidi della
Nobile Antonia Pellegrini (m. 11 gennaio 1872), che riposa con la sorella
Maria e dell’altra sorella Debora Pellegrini (m 25 settembre 1872 a 24
anni), figlie di Conti Giovanna ved. Pellegrini, moglie in seconde nozze di
Faustino Tasca e madre del nostro Vittore Per poter celebrare il matrimo­
nio tra Faustino Tasca e Giovanna Conti si è ottenuta da Roma la
dispensa sopra il quarto grado di consanguineità, nel quale erano fra di
loro congiunti i suddetti sposi, l'atto del quale si trova unito a fascicolo
degli atti matrimoniali di questo anno. [APSAC, atti di matrimonio, voi. I],
Faustino e Giovanna abitavano a Bergamo in Borgo San Tomaso.
6* Il fratello di Vittore, Benedetto, che nel 1862 era nell’elenco degli Inge­
gneri Architetti Agrimensori civili della città e provincia (in Notizie patrie.
1862, p. 213), abitava con la propria famiglia a Bergamo e mori dopo
lunga infermità. Forse è per questo che i figli avevano un tutore. Lui e la
moglie sono morti e sepolti a Bergamo nel cimitero di San Maurizio, poi
trasportati a Brembate.
7* Il registro delle nascite nel APSAC riporta come data di nascita di Vittore
il 6 ottobre 1821.
8* Di Giovanni Tasca, fratello di Vittore non si sa nulla; nei registri del cata­
sto nell'anno 1852 compare sempre insieme ai fratelli, mentre non è più
nominato nel 1857 quando lo zio don Antonio scrive il testamento. Sulla
lapide della madre Giovanna Conti si scrive che raggiunge con certi figli
e nipoti il marito.
9* La contessa Elisabetta Albani q.m Giovanni, moglie di Isacco Tasca, è
parente di Carlo Medolago Albani che acquisterà la villa nel 1892, un
anno dopo la morte di Vittore Tasca. Ci sono due lettere della contessa,
che si firma Bettina, indirizzate alla nob. signora Paolina Varese dei Conti
di Rosciate (lettera datata 1856) e alla contessa Camilla Albani (lettera
datata 1875). (BCB, R, 100 2 (41)].
10* Il Nob. Faustino Tasca fu, in diversi momenti, sindaco di Brembate. Egli
rappresenterà Ettore nella successione a Vittore Tasca; è lui, infatti, il pro­
curatore generale È in casa sua che si è trovato l’albero genealogico qui
trascritto in corsivo.
11* Camillo è l’ultimo proprietario Tasca della casa in via Pignolo ai numeri
107-109. Alla sua morte ereditano la casa i nipoti Ghislotti e da essi viene
successivamente venduta [L. Pelandi, op. cit.] [Noi siamo a conoscenza
di un solo nipote Ghislotti: Emanuele],
12’ Il colonnello Ghislotti (n.1894 - m 1962) era il marito in prime nozze di Giu­
lia Cecilia (?) Tasca e in seconde nozze di Emma Rubini (n.1920 - m.
1992). Nella cappella Tasca ci sono le loro lapidi.
13* Nel 1876 i fratelli Faustino, Vittore e Camillo, sono indicati negli atti cata­
stali com pupilli in tutela di Colombo Carlo. [ASB, Catasto lombardo­
veneto. Registro dei possesson, foglio 692]. Maddalena e Emanuele in
quel periodo sono già defunti.
14* Cesare ed EttoreTasca, figli di Isacco e della contessa Elisabetta Albani, oltre
ai beni di Vittore Tasca ereditano anche quelli delle zie Teresa e Maria
Felice (sorelle di Vittore). Le due sorelle sono in vita quando Vittore redige
il testamento Teresa morirà però prima di Vittore (il 16 ottobre 1879),
mentre Felice morirà quattro anni dopo di lui.
Franciscus
(1680)
Joseph
(14)
N. Thomas (in Silvia Tassis)
(1779)
*2 *3Victor (1781)
(n.1751 - m4 oli 1829)
sposalo con Giulia Agosti
ìtomo Giuseppe Francesco Mana (n 11 giugno 1779) Donna Camilla m Rosati sposala a Galeazzo Varese conte di Rosale
Nob. Bcncdidus (n. 1796. m. 28 ago 1875)
sposato nel luglio 1821 a Brembate
i Anna Maria Moretti (m aprile 1849?)con
. *10Nob Faustinus
(n 7 giugno 1852 -
m. 2 giugno 1928)
Mana Tommaso Goffredo
(n. 22 giugno 1831 - m 1833)
Maddalena Marianna
(n. 1848)
Nob Camillus (1864 nato)
(n. 1 aprile 1864 -
i m. 4 maggio 1938)
Nob. Emmanuel
(n 1859 - m. 1920)
sposato con Perini Emma
(n 1874 -m. 1950)
Marianna Camilla Maria Felice
(n 1824 - m.1831) (n. 1826 - m 1895)
sepolta a Brembate
Isac
Ulisse Isacco Mose
(n 27 ott. 1828)
sposato il 22 giugno 1864
con la contessa Albani Elisabetta 9 *11
Benedetto Giovanna
(n 1889 - m. 1918) (n 1896 - m. 1930)
morto 1918 in guerra
I
Poiché Ettore e Cesare sono senza figli,
con Benedetto si estingue il ramo dei Tasca di Br
Giulia
(n 20 marzo 1898 -
m. 20 ottobre 1927) «
in Ghislotti (n. 1894 - m. 1962) 12
Emanuc
(n. 1824
Giovanna
(n. 1874)
Ettore Bcnita
in Scrassi
Camilla Maria
(n 1865-m. 1865)
Cesare
(n 1865)
sposato con
Bcrsani Carola di Lodi
eie Ghislotti
- m. 1831)embate
eredi di Vittore Tasca *14
(senza figli)
Nella trascrizione del manoscritto, in corsivo, si è seguito esattamente il
testo anche per quanto riguarda maiuscole, doppie, punteggiature e si
sono riportati gli errori che talora compaiono, mentre la seconda parte
potrebbe risultare incompleta. Purtroppo non siamo riusciti a rintrac­
ciare nessun erede che potesse aiutarci a colmare le lacune.
pella mortuaria dei Tasca nel cimitero di Brembate e dei registri cata­
stali, libro partite e rubriche dei catasti napoleonico e lombardo-veneto
del comune di Brembate conservati negli Archivi di stato di Bergamo e
di Milano.
Per quanto riguarda gli asterischi numerati, vedere le note corrispon­
denti a destra nella pagina.
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16
Facilmente domani in compagnia di Battista Camozzi partirò per costi. Allora meglio tipotrò
raccontare e dettagliatamente quant'è mia cognizione.
Addio caro Andrea, a rivedercipresto
Il tuo aff. Amico e cugino Vittore Tasca.
Da Lugano, li 3 Nov. 1848
P.S. Ora parlasiche valligianidella valle d’Intelvi continuino a molestare ilnemico. Forse que­
sta sera alcuni partiranno in soccorso di quelli che si trovano a Luino"*
Così, ritornati a Lugano, Gabriele Camozzi e Vittore Tasca presentarono al Mazzini docu­
menti inoppugnabili che dimostravano quanto inesatte fossero le relazioni e le notizie in suo
possesso. Di lì a pochi giorni, peraltro, le colonne del generale Luigi D’Apice in valle d’Intelvi
e del Daverio a Luino verranno disperse e allontanate al di là della frontiera; la stessa sorte
toccherà a quelle del Dolcini sullo Spluga presso Chiavenna e dell’Alborghetti sui colli di
Palazzago. A tale proposito, Ottavio Tempini avrà modo di scrivere:
“Questo è un episodio significativo sulla preparazione dei motimazziniani, perché ci mostra
come il Mazzini fosse pronto a dare affidamento ad informazioni che potevano essere date,
come nel nostro caso, da illusi o da traditori. È quindi facile spiegarsi come tutti questi moti
mazziniani dovessero miseramente fallire [...]”32.
in
In seguito, come gran parte degli esuli politici, Vittore Tasca lasciò la Svizzera per il Pie­
monte, nella speranza di una pronta ripresa dei moti insurrezionali. Dimorerà a Genova, a
Torino, e raggiungerà poi i molti emigrati lombardi a Firenze33, dove organizzerà una Milizia
civica composta da esuli di altre regioni d’Italia e che andrà ad aggiungersi all’esistente
Guardia toscana.
Con la proclamazione della Repubblica a Roma, nella primavera del 1849 Vittore Tasca
torna in Piemonte. In marzo Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria, stabilendo di far insor­
gere le popolazioni del Bergamasco e del Bresciano. A tale scopo il governo del Piemonte
fa arrivare una discreta quantità di armi e il ministero della Guerra incarica Gabriele Camozzi
di ispirare e dirigere l’insurrezione nell’alta Lombardia. In quell’occasione, come suo assi­
stente, troviamo Vittore Tasca.
Alcuni tentativi insurrezionali hanno così inizio, tanto che, subito impegnato a fomentare la
rivolta, troviamo Tasca attivo ad Almenno, dove “diede prova del suo animo generoso coll’e-
sporsi a riportare ferita per impedire che da alcuni degli insorti fosse con armi trafitto certo
SchionatP*, uno degli individui stati dal popolo arrestati, perché ritenuti spie deHAustria e
autori delle denuncie per le quali non pochi in Bergamo erano stati condannati alla fucila­
zione ed al capestro [...]"35.
Vittore è infatti ferito in un tafferuglio per salvare la vita a Schionati di Almenno, che gli abi­
tanti del luogo volevano giustiziare per vendicare i concittadini fucilati dagli Austriaci sugli
spalti della Rocca di Bergamo36.
Il 23 marzo 1849, però, l’esercito di Carlo Alberto viene nuovamente sconfìtto a Novara dalle
truppe del maresciallo Radetzky, in una battaglia che chiude la prima guerra d’indipendenza.
Vittore Tasca, uno dei maggiori ricercati dalla polizia, attraverso i monti ripara di nuovo a
Lugano37 con altri esuli che avevano partecipato ai moti rivoluzionari, ma - a causa della
minaccia del governo austriaco di invadere il Canton Ticino - è costretto a spostarsi prima a
Zurigo e poi a Ginevra38.
Intanto la legge marziale voluta dal maresciallo conte Radetzky colpisce chi viene trovato in
possesso di armi. Tra le vittime abbiamo diversi patrioti fucilati tra i mesi di luglio e ottobre del
184939. Ancora, sono condannate a diversi anni di carcere con lavoro forzato e catena nume­
rose persone, mentre si svolgono di continuo processi per i disertori. L’occultamento di armi
Giovanni Carnovali detto il Piccio,
Ritratto della nobile Tasca, 1862-1863,
olio su tela, 24 x 18 cm,
Bergamo, collezione privata
Ponziano Loverini,
Ritratto di Gianbattista Camozzi-Vertova,
1888, olio su tela, 130 x 156 cm,
Bergamo, Municipio (per gentile
concessione della Banca Popolare
di Bergamo-Credito Varesino)
Vittore Tasca e sua sorella,
BCB, Bergamo Illustrata, F. 22. n. 44
17
e la diserzione erano infatti proteste che costavano molto care; le commissioni militari ave­
vano adottato il sistema di considerare fra i reati comuni la diserzione agli obblighi del servi­
zio militare e la ribellione alla pubblica forza, allo scopo di far apparire come comuni delin­
quenti i colpevoli di patriottismo.
Del 12 agosto 1849 è poi il proclama - sempre del maresciallo Radetzky - che permette il
ritorno nel Lombardo-Veneto dei "compromessi politici", esclusi quelli che "per la loro ingiu­
stificabile perseveranza nelle mene rivoluzionarie, e per le sovvertitrici loro tendenze non
possono nell’interesse della pace e della tranquillità generale tollerarsi per ora negli II. RR.
Stati [Imperiali Regi Stati, n.d.a.]"A0. Tra quest’ultimi, per la provincia di Bergamo sono
segnati: "Camozzi nobile Gabriele, Camozzi nobile Battista" e "Ottavio Tasca", quel nobile
Tasca del ramo di Sedate, di ventisei anni più vecchio del nostro Vittore, patriota e poeta, che
dal 1830 al 1860 compose sonetti e poesie patriottiche, molte delle quali, ancora inedite,
sono conservate nella Biblioteca A. Maj di Bergamo41.
Così Vittore, per il forte attaccamento alla famiglia e ritenendo forse di essere più utile in
patria, suo malgrado approfittò deN'amnistia per i reati politici, “sebbene ben forti titoli avesse
per esserne escluso”42.
Con la pace fra Piemonte e Austria del 7 agosto 1849 è distrutta tuttavia ogni speranza dei
patrioti; in quel periodo sarà anche proibito portare cappelli alla calabrese, alla Garibaldi e
altri distintivi di partiti antipolitici.
Contemporaneamente, a peggiorare la situazione, scoppia verso la fine dell'estate una grave
epidemia di colera, che causa numerosi morti. Tra agosto e novembre, esclusi i militari di
guarnigione, si registrano tra la popolazione di Bergamo 1155 casi, 723 dei quali mortali43.
Il 5 settembre del 1849 Vittore è ancora a Lugano, dove scrive una lettera ad Ambrogio
Camozzi, fratello maggiore di Battista e Gabriele, che si trova a Zurigo, per annunciargli il suo
viaggio verso casa.
Rientrato a Brembate, il 20 settembre scriverà invece aH’amico Battista:
"Carissimo Battista!
Dopo un viaggio buonissimo ieri mattina arrivavo qui a Brembate. Si entrava per la parte di
Palazzo^] dove t’assicuro non ebbe d'arrecarmiincomodo. Benché abbia provato il massimo
piacere nel riabbracciare i miei di casa e molti amici, io mi trovo in tale stato di avvilimento
che quasi arrossisco a guardare in faccia persone. Per questo io per tempo molto non mi
allontanerò da Brembate [...]"44.
L'importanza che riveste Brembate per Vittore Tasca è evidente già da queste poche righe.
A quell’epoca egli non ha ancora compiuto trent’anni, è laureato in legge ma ha già capito
che non eserciterà mai la professione e noi, fatta eccezione per queste poche note e per le
informazioni circa il suo impegno politico, poco sappiamo ancora del suo carattere e della sua
indole.
Sono però le lettere inviate agli amici Camozzi a venirci incontro; esse rivelano l'uomo con
tutte le sue debolezze, ma ci restituiscono anche una persona generosa, onesta, leale.
Già in una lettera a Battista inviata da Lugano il 5 giugno 1848 vediamo Tasca prodigarsi ad
aiutare la moglie e la cognata di Camozzi per permettere loro di raggiungere il marito e
cognato a Torino. In altre ancora, inviate dalla Toscana prima, e da Ginevra poi, oltre alle
comunicazioni dei fatti politici, non mancano mai le notizie della famiglia e i saluti a tutti i fami­
liari e agli amici; sempre sono presenti saluti particolari per Gabriele.
Di carattere schivo, Vittore rifiutava ogni forma di esibizionismo e, nonostante l’aspetto bur­
bero, sembra che amasse i bambini; inoltre, era sicuramente simpatico e anche ironico: un
amico milanese, con villa a Brembate Sotto, un inverno si vide recapitare a Milano l’imposta
di una finestra della casa suddetta con le raccomandazioni dello speditore (Vittore Tasca) di
18
provvedere in tempo a riparare il piccolo danno che l’imposta aveva subito per evitare che il
guaio diventasse maggiore45.
In una lettera del 21 novembre 1850 spedita a Giovan Battista a Pallanza, il Tasca racconta
di essere stato alla Ranica (la villa di campagna dei Camozzi) a trovare Ambrogio, e di come
si fossero tutti divertiti nell’apprendere aneddoti su di lui raccontati da Giovan Battista e da
Gabriele46.
Al contrario, il Vittore che si rifugia nella sua villa al ritorno in patria in seguito all’amnistia
per i reati politici è un uomo prostrato, depresso, umiliato. Accettare questa opportunità non
fu certo una scelta facile per lui, che lasciava in esilio alcuni dei suoi migliori amici e com­
pagni di lotta politica, quali Gabriele e Battista Camozzi. Inoltre, la situazione in patria non
era certo tranquilla. Erano ripresi i processi sommari; all’elenco dei fucilati sul piazzale della
Rocca si aggiunsero quelli sullo spalto di Sant’Agostino e gli impiccati alla Fara. La crudeltà
degli Austriaci, sembra non avesse limiti: le commutazioni di pena e le grazie venivano
segnalate solo all’ultimo istante, quando già bendati i prigionieri attendevano la scarica dei
fucili; si arrestarono anche sacerdoti segnalati come liberali per non aver nascosto la pro­
pria gioia per la rivoluzione del '48 e per non aver fatto cantare il Te Deum in chiesa alla fine
della guerra47.
In ogni modo da Brembate, nonostante la stretta sorveglianza operata dalla polizia, Vittore
mantiene sempre stretti contatti con i patrioti, e con Giovan Battista Camozzi in particolare.
Il 27 novembre 1849, sempre più avvilito ma confortato dal suo essere a Brembate, scrive
pertanto all’amico che si trova a Pallanza, in Piemonte:
“Carissimo Battista!
benché io possa assicurare a me stesso che il non averti da tanto tempo scritto, lungi dal­
l'essere frutto di momentanea dimenticanza, sia solo conseguenza involontaria di quello
stato di avvilimento, di quella specie di stupidità in cui mi trovo dacché rimpatriai, non so
come e perché a stento ora mi faccia a scriverti: e se io anche fossi certo che tu mi saprai
perdonare lascerò forse ancora dallo scriverti, facendo così colpa quello che sia non è che
involontario fatto. A tutta ragione tu ti sarai lamentato di me soprattutto quando mi vedesti
muto persino di quelle parole di valore e di conforto, che è dovere dell'amico dire all'amico
quando questi si trova colpito da tanta disgrazia; ma che vuoi, se ho mancato, non mi saprai
tu perdonare? Faccio torto al tuo bel cuore se di ciò dubitassi.
Per quanto desiderio io avessi di vedere i più cari amici, nel timore di incontrarmi con certi
tali, non mi seppi mai risolvere di lasciare questo paese. Solo ieri fattami ragione e dovere
faceva di fretta una gita a Boccaleone, a Torre, ed alla Ranica. I tuoi di famiglia che tutti ho
veduto stanno benissimo, lo conto di qui restare tutto l'inverno, comunque molti mi cerchino
persuadere d'andare in città, e mi taccino per questo mio proposito di bell'amore.
lo non ho ancora forza sufficiente di superarmi ed è per questo che amo meglio questa vita
a
solitaria, dove se non altro la mia vista si mantiene pura. Dalla con. Camilla sentivo che tu
sei in forse d’andare quest'inverno in Sardegna; mipare che faresti benissimo [...].
E da Gabriele che c’è? Qui a Bergamo vociferasi che fosse nominato console sardo in Sviz­
zera, questo dicevasiperla tale e la tal’altra ragione; quanto a me non l'ho creduto perché
ritengo certo che il Governo sardo se lo potesse lo spedirebbe in tutt'altro luogo [...]"48.
Le lettere inviate ai Camozzi tra il 1849 e il 1951 sono intrise di un frustrante senso d’impo­
tenza, generato dall’impossibilità o dall’incapacità di poter compiere qualsiasi azione. Del
resto, con la legge marziale in vigore e una sospettosa polizia che controllava i reduci com­
promessi politicamente, non era possibile alcun movimento. Inoltre, nel gennaio 1850 due­
cento ungheresi compivano un'invasione nella villa Camozzi di Ranica, preludio della pe­
sante confisca di beni che sarebbe seguita ai danni della famiglia49.
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L'epistolario ci restituisce cosi un’immagine di Vittore intimista e fragile, ben diversa da quella
figura energica e volitiva che egli si era costruito neH'ambiente risorgimentale e che rinno­
verà di lì a pochi anni sul campo di battaglia prima e in sede politica poi, quando lo si vedrà
come personalità “tutta d’un pezzo", con un fisico prestante, un “corpo gagliardo, atto a sop­
portare i disagi della guerra" e dotato di una vigoria fisica che egli "dovette specialmente alla
caccia esercitata negli anni giovanili e di cui fu amatissimo”50.
Il suo motto sarà infatti: Frangarnon flectar[mi spezzerò ma non mi piegherò]51, a dimostra­
zione che ci troviamo di fronte a un uomo fermo ed energico nei suoi propositi, uno di que­
gli uomini, appunto, come scriverà la “Gazzetta Provinciale di Bergamo" il giorno della sua
morte, "che, quando hanno coscienza di trovarsi nel vero, nel giusto, si spezzano piuttosto
che piegarsi'52.
Il 21 dicembre 1849 tuttavia, in un’altra lettera sempre inviata a Battista (questa volta a
Novara), Vittore Tasca, profondamente rattristato dagli eventi che hanno visto il Camozzi
abbandonare moglie e figlio per fuggire in esilio, confessa tutto lo smarrimento e la rabbia
che lo tormentano e per la prima volta accenna a una non meglio definita “continua occu­
pazione" che gli procura un grande sollievo, senza la quale afferma "non saprei come già
oltre potrei vivere in uno stato di tante miserie".
“[...] Povero Battista! sì tu piangi e c’hai ragione: la necessità o meglio quel destino fatale
che dappertutto, ed in tutto cipersegue, avendotiora allontanato dalla tua cara Metà e dal­
l'amatissimo tuo bimbo (due creature che il cielo ti destinò in sollievo pei molti mali che ti
perseguitano) ed avendoti quindi tolto quel grande conforto, [...], quel destino fatale, certo
ti fa oggi provare in tutta la sua forza l’amarezza del calice d’esilio. Ma s’egli è vero che è
conforto in chi soffre nel vedere altri in dolore, consolati, caro Battista: e da me che pure
piango, ricevi il conforto degli afflitti. Può darsi che tu mi creda più felice di te, perch'io vivo
in patria ed io sono di mia famiglia; t’inganni, sempre isolato, accompagnato solo da una
tristezza, che pure mi è cara, io fuggo la felicità, perché troppo di questa mi reca disin­
gannato: e te pure, lo credo? Quanti ipocriti, quanti falsi amici, che ti facevano bel viso,
quando la fortuna ci era amica; ed ora! Ma è meglio tacere. Qui a Brembate vi è tuttora
buonissima compagnia, perché i signori del paese invernano alla campagna; ed io benis­
simo me ne potrei approfittare, se così non fossi diventato, come mi trovo presente. Tu ti
ricorderai da quale stato in cui ero, quando l’anno scorso a questi giorni facevamo casa
assieme a Torino; Quello era niente al confronto dello stato in cui mi trovo al dì d’oggi; e ti
dico il vero, se non trovassi un grande sollievo nella continua occupazione di cui già ti scri­
veva, non saprei come più oltre potrei vivere in uno stato di tante miserie, lo mi son fatto
a dirti di me, non è per questo ch’io desideri che tu mi compassioni, ma l’ho fatto perché,
facendoti meglio una ragione tu ti possa sentire più forte nel sottostare a tanti mali di cui
siamo fatti bersaglio.
Ero ansioso di sapere se tua signora era arrivata alla Ranica, per poterla visitare, quando
appunto ieri, essendo qui venuto Benedetto con Agliardi a trovarmi, mi disse che stava tut­
tora a Milano. Non so se faccia le feste a Milano, o se conti passarle alla Ranica. Benedetto
che ti saluta mi disse della buona salute di tutti di tua famiglia.
Ringraziami Gabriele della cara sua del 13 che ricevevo l'altro ieri e gli dirai che andando a
Ginevra mi faccia piacere salutarmi Diday e domandargli se abbia ricevuto una mia di que­
sto mese, in cui gli davo una commissione di un piccolo quadro. [...] Ricordami a Gabriele
ed al pittore T., scrivimi presto, e non dimenticarti mai del tuo affezionato amico Vittore
Tasca"50.
La sua continua occupazione è il disegno.
In altri passi della stessa lettera il Tasca chiede notizie circa "la commissione di un piccolo
quadro" che aveva dato al pittore ginevrino Francois Diday e raccomanda a Battista di sam­
pietro Ronzoni, Interno dell’ex convento
dei Francescaniin Bergamo, s.d., in BCB,
Bergamo Illustrata, F. 14, n. 47
Disegno di Vittore Tasca, s.d.,
in BCB, Bergamo Illustrata,
F. 28. in cassaforte 4,13
21
tare per lui il fratello Gabriele e un non meglio definito "pittore T.”, da noi individuato in Gia­
como o in suo fratello Luigi Trècourt54, dato che, nella successiva lettera, chiederà ancora a
Battista di portare i "saluti a Gabriele, Trècourt e Valenti'.
Il primo riferimento che testimonia l’interesse di Vittore Tasca per il disegno è quindi rappre­
sentato dalla figura del pittore di gusto romantico Francois Diday55, che egli conobbe sicura­
mente durante il suo esilio in Svizzera.
Che sia proprio Francois Diday a indurre Vittore a dipingere ne abbiamo conferma nella suc­
cessiva lettera del 29 dicembre 184956. Lo scritto è particolarmente toccante nella descri­
zione della tristezza che sta avvolgendo Vittore, ma anche commovente nella dichiarazione
di amicizia che lo lega a Battista, “quella vera amicizia, [che c’è da] tanto tempo, e che solo
la morte potrà troncare". In particolare, Vittore racconta all’amico di aver ricevuto una lettera
dal Diday, della sua esortazione a non lasciare il disegno, e del consiglio che il pittore gli
diede "di tornare presso lui, che farebbe di me un buon allievo"', confessa pure la sua incer­
tezza nell’intraprendere la nuova strada ed esprime il timore per il giudizio della sua famiglia
qualora avesse deciso di dedicarsi interamente alla pittura; perché, sebbene già in questa
lettera ammetta: "Questo è pure il mio desiderio", in una successiva del 29 gennaio 185057
scriverà: "Questo è in tutto il mio desiderio, giacché mi vedo tolta la speranza di una qua­
lunque carriera sennonché il pensiero di dover essere ancora di peso ai miei genitori, l’in­
certezza di una riuscita mi sconforta e non so come andrei a finire".
Non solo. I saluti al pittoreTrècourt, più probabilmente Luigi piuttosto che Giacomo (che con­
divideva con Vittore l’impegno politico e che in tarda età si ritirerà a Costa Mezzate, dove
morirà, presso i conti Camozzi), sono un altro segnale delle frequentazioni di Vittotre Tasca
con gli artisti del tempo.
Eppure, ravvicinamento alla pittura - passione che lo accompagnerà per tutta la vita e che
lo porterà a essere considerato un artista di valore58 - è sì lento ma costante allo stesso
tempo. Certo, il sentire del nostro in quel periodo è ancora cupo; tuttavia l’uomo pian piano
reagisce. Nella lettera inviata il 6 dicembre del 1949, questa volta a Gabriele Camozzi, esule
con il fratello a Pallanza, sul lago Maggiore, Vittore infatti scrive:
"Com'io qui me la passi, ti puoi immaginare; benché con quasi tutti del paese [Brembate.
n.d.a.] abbia in comune le idee, io cerco di starmene solo più che posso; e nel mio piccolo
studio passo quasi tutto il giorno, leggendo, suonando, scarabocchiando e sporcando
carte [...]”.
E, benché il Raffaelli scriva: “[...] non risulta egli suonasse alcuno strumento", aggiungendo
però che al termine dell’avventura garibaldina, quando si ritirerà a Brembate, "la sua grande
passione per la musica lo portava ad organizzare nella sua villa, veri e propri concerti con
musicistiche gli erano amici[...]’’59, qui, come nella lettera a Gabriele Camozzi del 2 marzo
1850, abbiamo conferma che Vittore suonasse la chitarra60.
Nella missiva del 6 dicembre egli aggiunge anche:
"Con Picio [s/c] solo, che da giorni si è qui portato per fare ritratti, mi trovo più di frequente,
e la sua compagnia ch’è del tutto stramba, trovo che ora mi è più omogenea [...]"61.
È certamente curioso come Vittore, che si trova a contatto con uno dei più importanti pit­
tori dell’Ottocento, non dia a quest'ultimo il giusto risalto ma si limiti a definire “del tutto
stramba" la sua compagnia e a commentare non già le capacità pittoriche di Carnovali,
quanto piuttosto il suo comportamento, che in verità strano era. I biografi riportano infatti
che egli amava entrare nell’acqua, che aveva l'abitudine di spogliarsi, mettere gli abiti in
un ombrello aperto e lasciarsi trasportare dalla corrente con queU'ombrello vicino62.
In ogni modo, il 29 gennaio 185063 Vittore scrive all'aulico Battista, che nel frattempo si era
22
trasferito in Sardegna, esprimendo la sua consolazione nel saperlo più sereno “perché que­
ste nuove tue occupazioni, nel mentre mi ricordano le antiche nostre partite di caccia, e mi
fanno così piacere". Gli comunica inoltre: “Da dieci o dodici giorni io mi trovo meglio quanto
almio stato di malinconia" e aggiunge: “Continuo col disegno e se tutti non miingannano (dei
quali molti pittori) mi fanno credere di avere molta disposizione, e che sarebbe pazzia il
dismettere da questo".
Molti amici e conoscenti, convinti delle capacità di Vittore, cercano infatti di persuadere i suoi
genitori a farlo partire per Ginevra, perché continui gli studi col Diday.
Nella stessa lettera egli perciò scrive:
“Alcuni dei disegni sopra tutti che ultimai in questi giorni, e che spedivo di memoria a mio
Padre ed a mia Madre, da quello mi si dice piacquero, e furono causa che molti persuades­
sero i miei Genitori di farmi ripartire per Ginevra, perquivi continuare glistudi sotto Diday che
pure con lettera m’incita [.. ]".
Tuttavia, il 27 febbraio 1850 Tasca, costretto da una circostanza famigliare che richiedeva la
sua presenza, si trova ancora a Bergamo: egli doveva assistere la madre che necessitava di
un intervento chirurgico a un occhio.
Già nella lettera precedente Vittore si diceva molto preoccupato per la salute della madre:
“A tanti dispiaceri che formano il complesso del mio stato infelice, non sono molti giorni che
se ne aggiunge un altro che [...] colpisce persona che mi è sopr'altra cara, mi fa essa pure
grande dolore. La mia povera Madre ha sofferto di un occhio di catarata, e già si teme del­
l'altro. Nè giorni passati ella si trovava mestissima, e quasi sempre piangeva; ma ora che i
medici me l’hanno assicurata essere questa cataratta chiarissima, e quindi di sicura opera­
zione, facendosi ragione, ella va riprendendo il suo solito umore.
Fu solo per lei che tanto mi desiderava che l’altra sera io mi portavo a Bergamo per trovarla,
da dove poi di buon mattino del dì seguente io ripartiiper qui conservando cosi ancora illesa
la vista”.
È quindi da Bergamo che scrive ancora a Battista, il quale si trova sempre a Cagliari, comu­
nicandogli la sua intenzione di recarsi a Ginevra per riprendere gli studi di pittura64:
“Due giorni di città mi sembrano già due mesi; qui mi sento come un pesce fuor d’acqua. La
C.a Grismondi. che visitavo ieri sera, ti fa tanti saluti. Ricordati che mi sei debitore ancora di
altra risposta, e che l'avere tue nuove mi è del maggiore piacere. Tutti i tuoi di casa, gli amici
tutti, Benedetto e gli altri di mia famiglia, ti fanno tanti e tanti saluti. Addio caro Battista scri­
vimi presto e scrivimi sempre.
Il tuo Aff. Vittore Tasca.
P.S. Da quanto mipare non è improbabile ch’io ritorni a Ginevra. Perdonami se te l’ho scritto
di fretta. Salutami Martinengo Battista, e scrivendo ricordami a Gabriele”.
Della decisione assunta informa poi anche Gabriele, con la raccomandazione di non par­
larne però con nessuno:
“[...] sempre qui in campagna, io schivo di tutto quanto sa di politica, m’occupo non di rado
del disegno e, a seconda delle mie fasi lunari, sto più o meno in società che sempre è qui
buonissima, lo non voglio più saperne di legge, che mi dà noia ilsolo parlarne e gliè perque­
sto che mi sono deciso di ripartire per Ginevra per colà continuare nelle pitture. Perprovarle
tutte, voglio sperimentare anche questa, ma già me la vedo la fortuna che mi segue dap­
pertutto, farà sì che finisca la mia lacrimevole carriera girovagando qua e là e strimpellando
la mia chitarra [...] se non altro ho appreso a tutto sopportare. Da questa mia risoluzione
23
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però non ho fatto parola ai miei genitori che, da quanto mi si dice, già sono a ciò persuasi,
dietro parere dimolti. Sto attendendo la lettera di Diday e se non troverò ostacolipel passa­
porto credo che il tutto andrà a seconda dei miei voti [...].
PS. Di quanto ti scrivo sul mio conto non farne per ora parola perché pochissimi sono di ciò
informati [...]"65.
Il passaporto non verrà tuttavia rilasciato e Vittore non potrà raggiungere il Diday a Ginevra.
Ottenuto comunque il consenso dei genitori a dedicarsi alla pittura, egli si ferma a Bergamo
e prende lezioni da Pietro Ronzoni66 e, benché confermi di condurre “una vita ancorinfelice",
si ritiene comunque "fortunatissimo" di averlo come maestro:
uFu per questo ch'io, volendo poter riprendere la pittura, lasciavo il mio proponimento di
restar sempre in campagna, e benché a malincuore rientrai in città. Ti assicuro, caro Batti­
sta, ch’io qui mi trovo come un pesce fuor d’acqua che di qui mi trovo malissimo e che qui
certo condurrò una vita ancorinfelice. S’io mi sono risolto a questo passo non fu per capric­
cio, o per desiderio ch'io m’avessi di ritornare in città, ma perché mi era necessaria un’oc­
cupazione, e perché ilperdere più tempo sarebbe stato per me un peccato più grave; molte
volte bisogna fare di necessità virtù. In mezzo però a tutto questo posso chiamarmi fortuna­
tissimo di avere a maestro il Ronzoni. Questi che da tempo non voleva scolari, non solo si
prestò volentieri a farmi da maestro, ma come s’io fossi stato amico antico, mi aperse il suo
studio, lasciando ch’io lo frequenti con tutta quella libertà che sipuò dare ad amico. Come la
finirò te lo saprò poi dire".
Più sollevato finalmente nel morale, quando da Bergamo il 9 maggio 185057 scrive all’amico
Battista che si trova a Genova, Vittore - oltre a raccontare la sua nuova vita cittadina -
risponde a tono alle raccomandazioni dell'antico che lo aveva esortato a non dedicarsi com­
pletamente alla pittura, temendo forse che le traversie morali recentemente passate da
Tasca e la via di fuga dallo stesso individuata nel dipingere lo distogliessero completamente
dall’impegno politico. Così, dopo avergli dato notizie di casa, della moglie, del figlio Cesarino,
e dopo l'allusione a un fatto che Battista conosce certo meglio di lui (“dunque si taccia e si
speri'), il nostro così scrive:
“Già mi ero dimenticato di dirti qualche poco della mia nuova via cittadina; abbi pazienza;
benché poco ti possa importare, ascoltami ancora per poco. Da dieci o dodici giorni che
mi trovo qui a Bergamo, io non ho visto ancora i borghi, e l’alta città. La quotidiana mia vita
è questa; di mattina allo studio; di dopo pranzo a casa; di sera piccola passeggiata, e nuo­
vamente a casa. Ed a proposito di studio, non credere mai che i tuoi consigli mi possano
essere sì cari; non rigetto i consigli di chiunque e molto meno quelli dei più cari amici; ma
perdonami, tu mi dici nell’ultima tua di non fare della pittura l'unica mia occupazione per­
ché con maggior profitto mio e degli altri potrei applicarmi ad altri studi, et.3 et et.3, ma
dimmi un po’t’intendi forse tu che questi studi siano la Legge e compagnia? Se tali io non
vedo profitto di sorta per me, e molto meno utile agli altri. Con quelle piccole raccoman­
dazioni che mi stanno alle spalle, posso io sperare un avvenire? Ma tu mi dirai; si possono
cambiare le circostanze; volesse il cielo! Ma è tale la ripugnanza ch’io sento ora per que­
sti studi, che se in altri tempi avreipotuto sperare di fare qualche cosa, ora non posso che
essere certo di una nulla riuscita. Dunque a quali altri studi vuoi tu ch’io mi applichi? Gli è
vero che io conosco pur troppo le circostanze di mia famiglia, e che se non altro per que­
sto avrei dovuto farpiù senno; ma te l’ho detto il perché, e credo m’abbi ben inteso. Non
voglio dirti ch’io sia certo di una riuscita in pittura; ciò, questo sarebbe presuntuoso e ridi­
colo; quello che posso dirtidipositivo è che con questa occupazione la vita miriesce meno
noiosa, che almeno di presente questa mia occupazione mi è di utile. Al futuro Dio vede.
Giovanni Carnovali detto il Piccio,
Paesaggio con fiume e gruppo di case,
s.d. (ma 1835-1840),
matita su carta, 17,3 x 25 cm,
Bergamo, collezione privata
Villa Tasca e il borgo di San Vittore
25
f *
e Dio provvede. Ronzoni più che maestro, mi è amico, e come tale mi fa tutte le parzialità.
Nell’ultima tua mi dici pure di darti un saggio dei miei progressi in pittura. Certo ch’io non
mi sarei dimenticato di dare una memoria al più caro degli amici, ma per il momento per­
donami, io non sono capace di dar saggi
Il pensiero di Vittore è ora quello di trovare un’occupazione che sgravi i genitori del suo man­
tenimento e che lo renda indipendente. Le difficoltà economiche della famiglia, che tra­
spaiono tra le righe della lettera al Camozzi, sono per lui infatti ulteriore fonte di preoccupa­
zione e frustrazione. È in questo periodo, però, che si fa incalzante nelle sue lettere il desi­
derio di raccontare sempre più della sua attività di pittore, attività che - forse per reazione -
cresce di intensità quanto maggiori sono le delusioni che lo affliggono.
Cosi, dal 1850 Tasca, che fino ad allora si era dedicato solo al disegno, inizia a dipingere a
olio; ne darà informazione a Battista scrivendogli che ha "incominciato a sporcare tele”68.
Il 21 novembre 1850 riferisce poi all'amico che il maestro Ronzoni lo va a trovare a casa e
gli porta soggetti a lui cari da copiare; ha sentito inoltre Trècourt, che è in possesso di alcune
“figurine dellAdam''69, e al quale chiederà di averle in prestito per l'inverno che passerà
ancora in città70.
In quell’anno anche il Piccio frequenta probabilmente lo stimato maestro; sembra sia stato
infatti realizzato intorno al 1850 lo splendido ritratto di Pietro Ronzoni dipinto dal Piccio e sco­
perto da Bruno Lorenzelli in occasione della mostra al pittore dedicata nel 197471.
L’assiduo impegno a dipingere non sempre però riesce a distogliere Vittore dalle pene che
prova per l’inattività forzata cui è costretto come sorvegliato politico, pene che lo portano a
scrivere, in un momento di particolare abbattimento, di preferire la morte alla vita che sta
conducendo. In questa circostanza l’unico sollievo a tali sofferenze è dato solo dal rapporto
epistolare con i Camozzi, dalla frequentazione della loro famiglia e dall'affetto verso i fami-
gliari, in particolare verso la contessa Giovanna Camozzi Giulini, moglie di Battista, per la
quale nutre profonda stima.
Così, nell’autunno del 1851 si festeggia il battesimo del figlio di Battista e la cresima del
nipote Andrea, padrino del quale, in sostituzione dello stesso Battista, è proprio Vittore.
Nella lettera del 13 ottobre egli ringrazia dunque il Camozzi per questo gesto di stima e con­
sola l'amico per la recente scomparsa del padre; non rinuncia tuttavia a manifestare ancora
una volta la sua profonda tristezza:
a

“Carissimo Battista!
Da Brembate, 13 ottobre 1851
Non saprei come meglio mostrarti riconoscenza dell’avermi prescelto a supplirti di padrino
al tuo nipotino Andrea, che coll’accettare ch’io di tanto piacere assumo quest'incarico che mi
da certezza assoluta di tua preferenza d'amicizia. Quanto all’abbisognare o meno qualche
prova od altro per supplirti in tale Sacramento, mi sono informato e nulla occorre; basta solo
■ che al momento delle annotazioni sul libro Cresimale dica ch'io sono il tuo incaricato.
Tu sei infelice, è vero e tanto più dopo l'ultima più forte disgrazia [la morte del padre, nobile
Andrea Camozzi de Gherardi, n.d.a], alla quale mi pare presi parte con tutta la più sincera
amicizia. Già prima feci più volte per scrivere a te ed a Gabriele, ma non trovando parola di
consolazione mi stavo mancando così al più sacro dovere di amicizia. Mi avete perdonato?
Né di presente posso meglio consolarti, che coll’accertarti che insieme a te, altri ve n 'ha, e
forse di più infelice, lo caro Battista sono di te più infelice, tutto mi si è oscurato davanti, io
non mi vedo destinato che ad una vita a cui meglio ora preferisco la morte, io... ma non
posso continuare perché in quest’istesso momento io piango [i puntini di sospensione sono
nel testo, n.d.a.].
26
Da dieci o da dodici giorni io sono qui venuto sperando che la campagna mi avrebbe diva­
gato, ma tutt'al contrario essa mi è causa di maggiori dispiaceri. Aggiungi la famiglia divisa,
perché mia sorella ammalata in città, mio padre mezzo ammalato in campagna. Almeno in
città avevo un’occupazione che mi toglieva permolte ore dalpensare, qui in campagna nep­
pure questa, perché avendo il mio proponimento di studiare dal vero, io non so come inco­
minciare, tanto sono preso da tristi pensieri. Se continuo cosi ritornerò presto alla città per
invece d’occuparmi. Ho fatto sapere alla Cont.a Camilla ch’io son sicuramente a sua dispo­
sizione e che non ha che a farmi avvisato perché io mi muova [...]".
A scuotere Vittore è però la morte del padre Faustino, awenuta il 14 gennaio 1852. Egli si
troverà infatti nella situazione di doversi necessariamente occupare deH'amministrazione dei
beni di famiglia. Del resto, il primo fratello di Vittore, Benedetto, ha già una sua professione
ben avviata: è ingegnere agrimensore.
Nelle sue lettere Vittore ci fa sapere che spesso Benedetto, a causa del suo lavoro, non si fa
vedere per diversi giorni: nell’agosto del 1850 lo troviamo infatti a Brembate Sopra per la divi­
sione Zanchi; da altre missive inviate a Genova da Benedetto a Gabriele Camozzi sappiamo
poi che egli si è occupato della stima delle proprietà dei Camozzi in seguito alla divisione del­
l’eredità per la morte del loro padre72; nell'aprile del 1856 è invece ad Almenno San Barto­
lomeo per il collaudo delle opere di adattamento dei locali destinati all'ospedale73; nel 1862,
infine, troviamo il suo nome nell’elenco degli Ingegneri Architetti Agrimensori civili della città
e provincia74.
L’ultimo fratello, Isacco, che alla morte del padre ha ventiquattro anni, pur condividendo con
Vittore l'amministrazione dei beni (probabilmente anche con l’altro fratello Giovanni, che è
sicuramente ancora in vita ma del quale non troviamo traccia nei documenti), non avrà però
le capacità per essere un buon amministratore75, come vedremo più avanti leggendo il
testamento.
È così Vittore che in questo momento si assume l’incarico di gestire le proprietà di famiglia.
In un Registro generale dei certificati dei prezzi di gallette dell’anno 1857 troviamo infatti tra
i produttori e venditori di bozzoli Tasca Vittore e fratelli domiciliati a Bergamo.
L’impegno preso nei confronti della famiglia non lo distoglie però dalla lotta politica.
Nel 1856, benché fosse ancora sorvegliato dalla polizia austriaca, ha dunque l'occasione,
con Giovanni Morelli76, di farsi promotore per la provincia di Bergamo della sottoscrizione
(organizzata da Norberto Rosa di Avigliana77) per aumentare di cento cannoni l'armamento
della fortezza di Alessandria78. Il rischio era molto alto, ma in quegli anni, per la causa nazio­
nale, si poteva solo contribuire al rafforzamento della potenza militare del regno sabaudo.
Con tutto ciò, dobbiamo anche ricordare che a metà Ottocento le risorse economiche della
famiglia di Vittore Tasca avevano ricevuto un duro colpo a seguito di un nubifragio che
distrusse il raccolto di alcuni terreni di loro proprietà, gestiti ancora dal padre. Vittore, in una
sua lettera del 31 luglio 1850 indirizzata sempre all’amico Battista, riferisce infatti che sono
“rozzicati fino all'osso" e che il tempo non viene in loro aiuto per “acquietare almeno in parte
i dolori’. Così racconta i fatti:
“Nel mentre più che mai avessimo bisogno di buon tempo per acquietare almeno in parte i
dolori che ci vengono dall'essere rozzicati fino all’osso, questo pare, sordo ai nostri bisogni,
cipersegue; e, come altri Altissimi, ci favorisce prestiti forzati volontari.
Sabbato sera un terribile uragano cominciando nelle vicinanze di Lecco costeggiando IAI-
benza e venendo a Bergamo, proseguiva il suo viaggio fin presso Sarnico, lasciando dap­
pertutto, dove più dove meno, orribili guasti. Come al solito fortunati, noi fummo favoriti forse
meglio di ogni altro. Dei nostri pochi poderi, Conbarile in Brembate di Sopra e [?] a Brusa [?]
furono sì orribilmente massacrati, che. non parlando di quest'anno, anche nell'anno venturo,
27
possiamo essere sicuri dinon gustare un grappolo d’uva. Il frumento non esiste più neppure
da paglia ed il meliconé'9 è quasi tutto rotto dalla pianta. Che stesse lì! Ma tutti i giorni ven­
gono nuovi temporali, e tuttiigiorniora quiora là lasciano nuoviguasti. Fra idanneggiatiperò
voi siete quellimeno colpiti, e perquesto ne sento piacere. Ad eccezione credo, dipochiron­
chi alla Costa voi la scansaste nel resto dall'uragano di sabbato
Egli, come sempre, intercala informazioni politiche più o meno velate a notizie sulla sua per­
sona o alle novità sulle rispettive famiglie.
In questa lettera riferisce ad esempio al Camozzi che il Consiglio di Bergamo si era rifiutato
di far parte della delegazione che doveva portarsi a Vienna per partecipare ai progetti di una
legge volta a organizzare l'amministrazione politica nel Lombardo-Veneto31. Fa inoltre riferi­
mento alla decisione di Andrea Moretti di accettare la nomina a segretario della camera di
Commercio:
“[...] nomina, come prima dicevo a lui, cui spiace sotto tutti i rapporti. Di questo eglimidisse,
egli pare ancora del parere, ma ha dovuto sottomettersi alla volontà del padre [...]".
A questa data, Vittore non sa ancora che di li a due anni, con la morte del padre, anche lui
avrebbe dovuto “sottomettersi" alla famiglia e occuparsi della produzione e della vendita dei
bozzoli.
La stessa sorte era del resto toccata anche a un altro suo amico e pittore, Andrea Marenzi82,
anch’egli allievo del maestro Ronzoni e che nel 1866 regalerà a Vittore un suo dipinto83. Sulla
“Gazzetta Provinciale di Bergamo" del 22 aprile 1891, in seguito all'articolo Perla morte del-
l’on. Vittore Tasca, compare infatti un altro articolo dal titolo / funerali del nob. Andrea
Marenzi, morto due giorni prima di Vittore. Ebbene, in esso si scrive:
"Perassecondare ai desideri della madre, cui spiaceva che l’amato figlio si allontanasse da
lei, rinunciò al perfezionamento nell’arte prediletta, sacrificando alTamorfigliale le tendenze
dell’Ingegno [...]. Lasciati i pennelli, si dedicò all’agricoltura, seguendo con occhio intelli­
gente iprogressi, e cercando col suo versatile ingegno, di contribuire allo sviluppo di questa
fonte diricchezza nazionale [...]. La provincia diBergamo che ritrae una gran parte della sua
ricchezza dall'allevamento deibachi, perde nel nobile Andrea Marenzi uno dei campioni che
la salvò dalla crisi che sarebbe venuta in conseguenza delle malattie del filugello. Si distinse
pure nell’agricoltura, nella gelsicoltura, nell’introduzione di nuove macchine, di nuovi con­
cimi, di nuove sementi. Non c’era parassita nuovo che da lui non venisse subito studiato ed
applicati quei rimedi che venivano suggeriti [...]".
Quanto al nostro, è del 18 luglio 1853 il contratto di vendita di bozzoli tra i "nobili fratelli Tasca"
e i "nobiliconiugi Caccia". Le firme sul contratto sono infatti di Marianna Lupi Caccia e “Isacco
Tasca anche a nome de’miei fratelli assentr.
Come sappiamo, Isacco è l’ultimo fratello di Vittore; la partita fu raccolta per la maggior
parte nel comune di Brembate, il venditore è lo stesso produttore e si tratta di una grossa
quantità ("pesi 192,2"). Dello stesso anno è anche un altro contratto tra il nobile don Anto­
nio Tasca (venditore della partita), zio di Vittore, e Pietro Moretti. La quantità a "bilancia ber­
gamasca" è di "pesi 128, libbre 8 e quarte T il raccolto proveniva per la maggior parte da
Brembate e in parte da Ciserano. E, confrontando le quantità vendute dai Tasca con quelle
prodotte dagli altri venditori nel distretto di Ponte San Pietro, le prime sono sicuramente tra
le più rilevanti84.
Nell'anno in oggetto, dunque, il padre di Vittore, Faustino Tasca, era già morto e sappiamo
anche dell'impegno del figlio a trovare soluzioni all’epidemia di pebrina che colpì la produ­
zione di bozzoli, quando il baco mediterraneo fu falcidiato e l’industria serica ricevette una
Vittore Tasca.
Traghetto sul fiume Brembo, s.d.,
olio su tela, 37 x 29 cm.
collezione privata (per gentile
concessione della Banca Popolare
di Bergamo-Credito Varesino)
29
vera e propria battuta d'arresto ritrovandosi per diversi anni con il raccolto distrutto; per que­
sto motivo infatti, a partire dal 1856, si avviò un processo di trasformazione forzata dell’in­
tero sistema della produzione, con graduale sparizione delle filande minori e con bacinelle
a fuoco diretto. Così, nella nostra zona, le piccole filande presenti in ogni comunità vennero
concentrate a Brembate Inferiore, Presezzo e Ponte San Pietro; negli anni sessanta dell’Ot­
tocento il distretto di Ponte San Pietro si ritroverà poi con sole quindici filande85, mentre a
Brembate Sotto ne resteranno solo due, contro le sei presenti a inizio secolo86.
In ogni modo, se nell’anno 1857 Vittore e i fratelli vendevano i bozzoli (come compare nel
Registro generale dei certificati dei prezzi di gallette di quell’anno), è anche plausibile che o
non avessero impianti sufficienti per lavorare tutti i bozzoli che producevano, oppure, in virtù
del processo di trasformazione del sistema di produzione della seta di cui abbiamo scritto
poco sopra, che non completassero tutte le fasi della lavorazione del baco per ottenere i filati
di seta, limitandosi semmai a produrre e vendere le gallette87.
Sempre nel giugno del 1857 troviamo quale presidente della “Commissione e la formazione
dell'unico prezzo adeguato generale dei bozzoli della provincia di Bergamo" il brembatese
Andrea Moretti, quel cugino di Vittore del quale abbiamo precedentemente parlato, nonché
altra figura importante per il nostro Risorgimento88, il quale rappresenta i filandieri anche
nella "Congregazione municipale della città di Bergamo".
Non fa meraviglia allora se Vittore viene incaricato da un'associazione di possidenti costitui­
tasi a Bergamo di cercare all’estero nuove qualità di semi immuni da malattia per far rifiorire
l’industria della seta e se quindi nel 1859, al momento dello scoppio della seconda guerra
d’indipendenza89, si trova “sul bastimento russo il Chersoneso, dal mar d'Azov diretto a
Odessa", impegnato in un viaggio ardimentoso, intrapreso, per alcuni suoi biografi, “senza
particolare suo interesse"90, mentre per altri “accettando] di buon grado l'incarico"9'.
Vero è che il buon esito dell’operazione avrebbe migliorato la produzione della seta, con il
conseguente incremento dell’economia nella provincia di Bergamo. Le benefiche conse­
guenze dell'impresa avrebbero dunque risollevato le sorti di molte famiglie di possidenti ber­
gamaschi, buona parte delle quali annoveravano tra i famigliar'! anche più di un patriota che
finanziava i numerosi tentativi rivoluzionari. Non dimentichiamo infatti - come abbiamo scritto
sopra - che “presidente della Commissione e la formazione dell’unico prezzo adeguato gene­
rale dei bozzoli" della provincia di Bergamo nel 1857 è Andrea Moretti; che nella commissione
della “Congregazione municipale della città di Bergamo", per la parte dei filandieri, vi sono
Moretti dott. Andrea, Piccinelli dott. Ercole, Donadoni Filippo, Rampinelli dott. Giovanni, Mor-
lani Luigi92; che Giovan Battista Camozzi-Vertova invierà nello stesso anno, alla Camera di
commercio, le “Osservazioni fatte durante l'allevamento dei bachi nel 1857" nelle sue pro­
prietà93. Ancora: la famiglia dall’Ovo produceva e commerciava la seta, così come la ditta
Francesco Nullo e C., che aveva un grosso stabilimento a elusone e una rete commerciale
per la vendita dei filati molto estesa. È doveroso anche ricordare che un battaglione di circa
settecento volontari posto agli ordini di Garibaldi sarà equipaggiato a spese dei Camozzi, e
che Giovan Battista acquistò dal governo toscano i fucili per il battaglione della Guardia nazio­
nale mobile. Lo stesso Tasca, al ritorno del viaggio in Oriente, offrirà lire 4.000 per la sotto-
scrizione a beneficio degli esuli veneti mentre, come componente del Comitato per la raccolta
dei fondi, lo vedremo anche promotore della sottoscrizione per un milione di fucili destinati alla
causa italiana. Nell’aprile del 1860 presenta a Garibaldi la somma raccolta a Bergamo e
riceve, il 30 dello stesso mese, la seguente lettera da Garibaldi stesso:
“Carissimo, ho la vostra del 26 e vi ringrazio in nome della Patria della sollecitudine dei vostri
perraccogliere mezziperla compera dei fucili, di cui pure avremo bisogno presto. Son d'ac­
cordo vadano le somme raccolte alla direzione di Milano. Un saluto a tutti e credetemi per la
vita. Vostro G. Garibaldi’9*.
30
i
Comunque, le difficoltà economiche per bachicoltori e filandieri si protrassero per quasi quin­
dici anni, visto che nel Bergamasco, come nel resto della Lombardia, un ritorno alla produ­
zione di bozzoli si ebbe soltanto alla fine del 1860. Cosi, la diminuzione della quantità dei
bozzoli disponibili sul mercato e il conseguente aumento di valore degli stessi e delle spese
per l’allevamento (che richiedeva ora una particolare cura e attenzione per non incorrere in
altre nefaste epidemie) fece sì che gli allevatori orientassero la ricerca verso nuove specie
animali, più resistenti, da allevare sul territorio. A questo punto, mentre escono di scena
alcuni nomi da tempo protagonisti nelle attività seriche del Bergamasco quali Luigi Sozzi,
Giuseppe Caffi, la ditta A.F. Donadoni, nuovi protagonisti si affacciano sulla scena con un’at­
tività imprenditoriale rinnovata nelle forme: la confezione e commercializzazione su vasta
scala del seme baco55. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, in seguito alla concorrenza
delle sete orientali, verso la fine dell’Ottocento si verificò il deprezzamento dei bozzoli; tale
fenomeno, insieme al declino della viticoltura causato dall’oidio e dalla peronospora, acuì il
profondo rancore antipadronale dei contadini maturato nel corso dell’Ottocento e che portò
poi a violente manifestazioni di protesta con richieste di attenuazione degli aspetti più ves­
santi dei contratti agrari96.
In ogni modo, tornando a noi, già in precedenza la ricerca all’estero di nuovi tipi di seme
aveva mosso molti agenti lombardi. Il 7 luglio 1858, dalla Camera di commercio e d’industria
della Provincia di Como viene infatti inviata una lettera all’Onorevole Camera di Commercio
e d'industria di Bergamo firmata dal presidente:
“Interessando allo scrivente di sapere se, come viene assicurato, siasi costì formata un'as­
sociazione dipossidenti onde ottenere dall’estero seme di bachi immune da malattia perl'al­
levamento del prossimo anno 1859, ed al caso quali pratiche abbia attivate a tale beneficio
scopo e finora con quale risultato, prego la gentilezza di codesta Onorevole Camera a for­
nire in proposito dettagliate informazioni colla maggiore possibile sollecitudine.
Nella fiducia d’essere favorito ne anticipo i più vivi ringraziamenti. Il presidente”.
A sua volta, il 23 agosto 1858 il consigliere del luogotenente Pagliari invia alla Camera di
commercio e d'industria di Milano il decreto 23 agosto n. 24837/3183, nel quale è specifi­
cato: Molti agenti lombardi e francesi si sono recati nelle regioni meridionali del Caucaso, e
fino nella Persia, dove dicesi che principalmente in Shiruan e Ghilan l'esito del raccolto sia
stato favorevolissimo [...].
Ed ecco, nel 1859, il viaggio di Vittore proprio nel Caucaso.
A tale proposito, Giuseppe Locatelli trascrive alcune pagine del diario di Vittore Tasca, con­
tenenti le annotazioni dell’esplorazione attraverso la Persia, il Caucaso e gli Urali. Vittore
registrava infatti giornalmente le impressioni che ricavava dal viaggio attorno alla penisola
della Tauride e in altri punti dell’Eusino, e lo faceva arricchendole sovente con schizzi al vero
e disegni di marine. Sappiamo così che a Kertsch visita la tomba di Mitridate, a Theodosia
(Kaffa) vede i resti delle antiche fortezze genovesi, mentre a Balaclava, il luogo dove sbarcò
la spedizione condotta da Alfonso Lamarmora, rievoca la guerra di Crimea da poco tempo
combattuta.
Particolare impressione desta poi in lui Sebastopoli, con i segni del terribile assedio che
tenne in scacco la città per undici mesi, dall’ottobre 1854 all'8 settembre 1855, a opera degli
eserciti piemontese, francese, inglese e ottomano97. In tale circostanza, lo colpisce soprat­
tutto il fatto che la città, abitata da quarantamila persone prima dell’assedio, al momento
della sua visita contasse solo tredici case.
Così scrive infatti Tasca:
"Insieme ad un ufficiale russo, col quale avevo stretto amicizia e con altri compagni di viag­
gio, andai a vedere le immense rovine e quali’altro di interessante racchiude Sebastopoli.
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Fu una gita che mi fece provare sensazioni inenarrabili. Tutta la città e dintorni non è che
un mucchio dirovine. Impossibile trovare una sola delle moltissime case che non sia quasi
totalmente distrutta. Vicino alle sponde dei due canali che ripartono la città, si vedono
mucchi di proiettili di ogni sorta, ancore, ferramenta d'ogni qualità già appartenente ai
molti vascelli che furono colati a fondo nel porto, al tempo della guerra, e che attualmente
si vanno estraendo.
Più avanti, oltre il Redan, non vedemmo il forte Malakoff. Della terribile torre che costò tanto
sangue, non restano che gli avanzi. La bellissima posizione di questo forte, giustifica le
immense carneficine dicui fu causa. Essa domina da ogni lato la città e la guarda d’ognisor­
presa dalla parte di terra. Di facciata al forte Malakoff, si vedono quelli degli inglesi, e dalla
parte di sud le posizioni tenute dai francesi".
Oltre che dall’orrore per le distruzioni, Vittore sembra anche attratto dal campo di battaglia,
al punto che continua gli appunti descrivendo il territorio con occhio militare e cercando di
individuare quali fossero le posizioni occupate dagli inglesi e quali quelle prese dai francesi:
“Noi fummo sino al forte Vittoria (inglese), che sta a molta distanza dal Malakoff. Il terreno in
tutti questi contorni è ondulato leggermente, e passando dalle posizioni degliinglesi a quelle
occupate dai francesi, il terreno è diviso da un piccolo tortuoso fosso, dell’altezza di 50 o 60
braccia, che si inoltra ad ovest nell’immensa campagna.
In questi luoghi potemmo vedere tutte le posizioni degli alleati, le fortificazioni che vi furono
costruite perla collocazione delle batterie e le immense parallele scavate pervincere le posi­
zioni nemiche. L'ultima parallela degli inglesi sotto Malakoff, sta a non più di sessanta passi
da quel forte. Tutte le parallele sono, quasi per intero, scavate nella nuda roccia.
Essendo fatta ora tarda, noi non potemmo proseguire la gita e vedere, perdettaglio, le posi­
zioni già occupate dai francesi e dai sardi.
Dall’alto di Malakoff, io potei formarmi un’esatta idea anche di tutte le altre posizioni,
mostrandomi il conduttore del calesse quanto mi poteva interessare e facendo di tutto si
esatta descrizione da sbalordire perle cognizioni di cuiera edotto: cognizioni assolutamente
superiori all’ordinaria intelligenza di un vetturale.
Scendendo dal forte Malakoff, passammo un’altra volta il Redan per ritornare in città.
Per concepire un’idea dei numerosiproiettili lanciati contro gli edifici di Sebastopoli, special-
mente dalle batterie francesi che stavangli di rimpetto, basti ricordare che una parte della
muraglia che difendeva il dock, tuttora in piedi, è talmente forata da ogni parte dalle palle di
cannone, da presentarsi, a chi passa, come un crivello. Dipresente la città va ricostruendosi
e già si vedono molti e belli edifici. Si vedono pure ancora le bellissime baracche di legno già
appartenenti al campo francese, le quali, trasportate in città dopo la presa, servono attual­
mente da botteghe
Vittore Tasca,
dipinto senza titolo del borgo di Brembate
ripreso da valle con dedica Alla nob. sig.a
Teresa Gritti Morlacchi nata
march,a Zurla in attestato di sincera
amicizia e stima, Vittore Tasca, 1869.
olio su tavola, 29 x 42 cm,
Brembate. collezione privata
(foto E. Bucherato)
Lo scritto non è certo privo di poesia e, leggendone alcuni passi, la sensibilità dell’artista
emerge in tutta la sua immediatezza e semplicità, specie quando passa dal rammarico
per lo “spargimento di tanto sangue” al desiderio di apprendere le tecniche utilizzate nella
battaglia, oppure quando ci fa percepire, nella città che va ricostruendosi, la speranza
della pace.
"Ritornato a bordo, io non poteva distogliere gli sguardi dagliimmensi avanzi di questa città,
piena di tante gloriose memorie. La luna che, nella sua pienezza, spandeva ilpoetico lume,
serviva a rendere sempre più interessante la vista ed a farmi provare commozioni che mai
fino ad ora, provai di eguali.
Erano le nove di sera, quando, ottenuto ilpermesso dal capitano di bordo, lasciavo il battello
per fare, al chiaro di luna, un giro sui bastioni, che si stendono lungo il mare. Tutto questo
Vittore Tasca,
dipinto senza titolo del borgo di Brembate
ripreso da monte con dedica Alla nob. sig.a
Teresa Gritti Morlacchi nata march,a
Zurla in attestato di sincera amicizia
e stima. Vittore Tasca, 1869,
olio su tavola, 29 x 42 cm.
Brembate. collezione privata
(foto E. Bucherato)
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passeggio non può essere più bello. La larghezza dei bastioni è presso a poco, quella dei
nostri di Bergamo.
In un certo punto, vitrovai i tre monumenti che mi dissero essere quelli dei tre ammiragli russi
morti nella difesa. Anche lungo tutti questi bastioni non si vedono che mucchi di rovine.
Circa la mezzanotte ritornai a bordo e ne passai il resto assistendo un ufficiale preso d'im­
provviso dai dolori colici.
Dopo aver riposato poche ore, mi alzai per osservare più minutamente il bellissimo porto
della città, alla cui imboccatura si vedono gli unici due forti stati risparmiati all'epoca della
guerra: il forte Costantino, e l’altro che gli sta dappresso.
Nelporto si vedono ancora spuntare, qua e là, dall'onde molti alberi di bastimenti che furono
calati a fondo durante l’assedio. Bellissimo è il vedere le macchine di cui ora si servono per
estrarre quei bastimenti. Certo colonnello americano, col quale da Sebastopoli ho fatto il
viaggio fino a Odessa, è incaricato di questi lavori'98.
Un dato è certo: la profonda cultura fondata su solidi studi classici, la grande sensibilità pro­
pria dell’artista, la straordinaria energia con la quale affrontava la vita permisero a Vittore di
cogliere alcuni aspetti del viaggio in Oriente che gli favoriranno più tardi l’amicizia con
Alexandre Dumas (padre99) quando, durante la spedizione dei Mille, furono entrambi ospiti
per un breve periodo dei baroni Fiandracca a Caltanissetta. Qui il romanziere francese
ascoltò con grande interesse i racconti di Vittore e del suo viaggio in Oriente, traendone
spunto - così scrive Adamoli - per alcuni episodi che apparvero poi nei libri di Dumas
ambientati nelle regioni orientali100. Sappiamo infatti che tra le Impressions de voyage di
Dumas, vi sono anche quelle sul Caucaso101.
Non siamo invece a conoscenza se il Tasca abbia effettivamente raggiunto l'obiettivo per il
quale aveva intrapreso il diffìcile viaggio; vero è che pare stesse per intraprenderne un altro
quando sentì della spedizione garibaldina, che determinerà la tanto agognata svolta della
sua vita. In ogni modo, dal 1859 in poi in Lombardia si era verificato qualche miglioramento
circa la produzione dei bozzoli, mentre il Caucaso e l’Asia furono colpiti a loro volta da un
analogo flagello102.
Facciamo ora un passo indietro. Vittore, lo abbiamo già ricordato, nell’aprile del 1860 fu tra i
promotori della sottoscrizione per l’acquisto di un milione di fucili per la causa italiana, ma
soprattutto si interessò della costituzione della Guardia nazionale e del reclutamento dei
volontari garibaldini, che avvenne nel teatrino dei Filodrammatici di via Borfuro:
“Un tavolo sgangherato nascosto dalla prima quinta delpalcoscenico rischiarato da un lume
ad olio dietro il quale sedevano Francesco Nullo e Luigi Cucchi era l’Ufficio Arruolamenti
dove si raccoglievano le adesioni dei volontari reclutati da Vittore Tasca e Daniele Piccinini
membri del Comitato d’Azione bergamasco [...]"103.
Il 5 maggio del 1860104, a fianco di Francesco Nullo, di Francesco Cucchi105 e di Luigi Enrico
Dall’Ovo (quest'ultimo dividerà con lui il vicecomando dell'8a compagnia dei Mille, composta
in prevalenza da bergamaschi e comandata dal pavese Angelo Bassini poiché Nullo, desi­
deroso di trovarsi più vicino a Garibaldi, rimase allo Stato maggiore e non accettò l'offertogli
comando dell’8a compagnia106), il nostro si imbarca da Quarto al seguito di Giuseppe Gari­
baldi del quale, come ci fa sapere l’amico Giovan Battista Camozzi nelle sue note mano­
scritte al libretto di Giuseppe Locatelli, il Tasca è un "ammiratore, e dirò quasi adoratore"'07.
In tale frangente villa Tasca ritorna allora protagonista, questa volta come punto di riferi­
mento di parenti e amici per la lettura delle lettere di Vittore. Bettina Albani (la contessa Eli­
sabetta Albani che il 22 giugno 1864 andrà sposa al fratello minore di Vittore, Isacco) così
scrive il 9 giugno 1860 alla zia, la nobile signora contessa Paolina Varese di Rosciate:
34
"In questo punto siamo state in casa Tasca a sentire la lettura delle lettere di Vittore, arri­
vate pochi momenti sono: tutto colà arride alla nostra causa; i regi sono quegli che conti­
nuano a cercare il prolungamento delTarmistizio, e frattanto nelle loro truppe vi è una con­
tinua diserzione; là si tiene per sicura tra non molto tempo l'annessione delle due Sicilie al
nostro regno cioè al Piemonte. In ogni modo questa è l’idea di Garibaldi, e se non vorranno
arrendersi nella maniera che Egli è stato vittorioso fino al presente, Dio speriamo lo pro­
teggerà fino alla fine. Vittore dice che Garibaldi è l'ideale di tutte quelle nazioni e che esse
corrono sotto la sua bandiera come per incantesimo. Il medesimo Tasca è stato illeso da
ogni minima ferita benché abbia preso parte ad ogni combattimento. Sonvi alcuni feriti Ber­
gamaschi ma per tutti ewi speranza di vita. Eccoti che notizie fresche freschissime appena
giunte tu le hai prima di qualunque altro bergamasco perché noi fummo presenti all’aper­
tura delle lettere.
Addio, perdonami se ho scritto da gallina, ma ho scritto con una gran fretta, poiché sento
voglia di scrivere anche a Alzano. Ricevi un bacio dalla tua Bettina"1C8.
Quanto ai fatti, dallo sbarco a Marsala dell’11 maggio, perVittore è tutto un crescendo di suc­
cessi e promozioni. Il 15 si svolge la battaglia di Calatafimi: il suo comportamento in questa
circostanza gli vale la nomina di tenente e successivamente l'incarico di capitano coman­
dante dell’8a compagnia, quando Bassini passò a comandare il 2° battaglione. Vittore avrà
modo di narrare la giornata in una lettera inviata da Palermo e apparsa il 15 giugno sul sup­
plemento straordinario della "Gazzetta di Bergamo":
"[...] in questa occasione la mia Compagnia che è composta tutta da Bergamaschi ha dato
prova di vero valore. Il Generale ne fece le più grandi lodi. Della Compagnia suddetta furono
messi fuori combattimento tre morti e feriti trentadue soldati. Mi dimenticavo di dirvi che il
nostro Corpo era allora di poco più di mille uomini e male armati [...]"109.
Dal 27 al 30 maggio si combatte poi la battaglia di Palermo e Tasca difende una barricata nei
pressi di porta Termini; qui, presso il convento dei cappuccini, Vittore, ferito leggermente
all'occhio sinistro, continua a combattere per più di sei ore consecutive, “riportando tale con­
tusione alle reni che m'impediva quasi di camminare"', il giorno successivo il soldato Crescini
gli salva la vita, come annota nel suo diario scritto a matita, diario che documenta però solo
metà dell’avventura (e anche questa con alcune pagine bianche) e che Locateli! cercherà di
colmare nel suo scritto110.
Così, infatti, scrive Tasca:
"Dopo aver ucciso un ufficiale che s'avanzava a passo accelerato all’assalto, io mi vidi quasi
faccia a faccia con un capitano, che fu il primo ad entrare nella barricata. Subito dietro di lui
veniva un sergente che, mentre io mi scagliava contro il capitano, mi tirò un colpo di baio­
netta, dal quale fuisalvato dalmio soldato Crescini. Subito dopo, alla distanza dipochipassi,
mi si fece una scarica di molte fucilate. Seguì poi un armistizio [...]”.
Sempre dal diario di Vittore Tasca sappiamo che l'8 giugno si costituisce la XV divisione Cac­
ciatori delle Alpi [le prime quattordici facevano parte dell'esercito piemontese, n.d.a.], com­
posta da due brigate divise in tre battaglioni ciascuna; la 1a compagnia del 3° battaglione
della 2a brigata è affidata al suo comando.
Il 20 giugno la 2a brigata lascia Palermo e il 3 luglio Tasca è a Caltanisetta, ospite del barone
Fiandracca, dove si intrattiene con Dumas.
Il 15 luglio la 2a brigata arriva a Catania, dove viene istituito un 4° battaglione affidato a
Tasca, nel frattempo promosso maggiore; poi, tra il 24 e il 25 agosto i volontari attraversano
lo stretto di Messina e il 15 settembre arrivano a Caserta.
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Vittore Tasca e la Villa di Brembate
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Vittore Tasca e la Villa di Brembate

  • 1. Maria Cornelia Cariessi Gualtiero Oberti »ITT'------ -“T r? VITTORE TASCA E LA SUA VILLA DI BREMBATE■ili; ::|K 4ÌÌfv L' ?• :ìi V ' i & (re $-7 •» fy.< ; ’ V I i :
  • 3. Questo libro è dedicato a tutti coloro che amano ilproprio paese: perla sua gente, perla sua storia, perla sua cultura, perle sue radici. È dedicato a coloro che credono che trasmettere questivalorialle nuove generazioni sia un dovere fondamentale di tutti, perché il senso di appartenenza alla propria terra e alle proprie origini non si disperda neH'inesorabilità del tempo che passa. Il Sindaco Angelo Bonetti L'Assessore alla Cultura Gabriella Piati
  • 5. VITTORE TASCA E LA SUA VILLA DI BREMBATE
  • 6. 1 : » i ; i i Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di: ; © VIRGILIO GHERARDI «ri Provincia di Bergamo
  • 7. Maria Cornelia Cariessi Gualtiero Oberti VITTORE TASCA E LA SUA VILLA DI BREMBATE Ià i) COMUNE DI BREMBATE
  • 8. VITTORE TASCA E LA SUA VILLA DI BREMBATE di Maria Cornelia Cariessi e Gualtiero Oberti Rilievi Paola Belussi, Ivana Lacagnina, Stefania Magaldi, Paolo Masotti Copertina Giovanni Oberti : : >i ; . ; ©Silvana Editoriale Direzione editoriale Dario Cimorelli t Coordinamento Francesco Mandressi Impaginazione Break Point Ufficio stampa cip relazioni pubbliche. Milano Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l'autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore * L'editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare © Autori © 2004 Silvana Editoriale SpA Cinisello Balsamo. Milano »
  • 9. Sommario 9 Vittore Tasca: l'uomo, il patriota, l’artista 39 Dopo le imprese militari Tasca si ritira nella villa di Brembate 50 I bassorilievi lungo le due balaustrate di villa Tasca 62 I funerali di Vittore Tasca 79 La villa neoclassica 113 II parco
  • 10. . j ■ & i • • ■ è'«Ri:*-:
  • 11. Vittore Tasca: l’uomo, il patriota, l’artista “Chi è quel non più giovane moschettiere gallonato che sale superle balze come se andasse a nozze?’ chiede la Montmasson2 al dottorPietro Ripari che poco lontano dal fuoco [la bat­ taglia di Calatafimi, n.d.a.] presta le prime cure ai feriti. “È il sottocomandante dell’8a compagnia”, risponde il tesoriere Ippolito Nievo. “È Vittore Tasca, ha trentanove anni ed è avvocato, è buon pittore, ma questi, dice, sono tempida fucile e non da pennelli, è anche agricoltore ma pensa che la terra schiava non dà frutti, bisogna liberarla. Osservate la sua camicia color sangue vivo, se l’è fatta confezionare prima dipar­ tire con ilmigliorpanno di Gandino e la sua carabina tirolese, la più lucente della Spedizione, l’ha comperata l’anno scorso in Austria di ritorno da un viaggio in Oriente’’2. Vittore Giuseppe Maria Tasca nasce a Bergamo, in borgo San Tomaso, il 7 settembre 1821, quarto dei nove figli4 (tre dei quali morti in tenera età) di Giovanna Conti e del nobile Fau­ stino, discendente della famiglia milanese dei Tascha de Meda (il cui nome nel XVI secolo fu modificato in quello attuale), che possedevano feudi e privilegi fin dai tempi dell’arcivescovo Ariberto e che erano i padroni del castello di Brembate (oggi proprietà Moretti5), delle cave di Ceppo e di buona parte dei fondi in Brembate6. Il nostro compie gli studi classici a Bergamo; nei registri dell'archivio del R. Liceo Ginnasio (anno 1835) lo troviamo infatti come studente del ''corso IV di Grammatica”, mentre nel 1839 è ammesso come socio alunno all’ateneo bergamasco7. Tra il 1839 e il 1843 è a Pavia dove conclude i primi tre anni di studi politico-legali; il quarto anno lo completa invece a Padova. Torna a Pavia nel 1845 per sostenere gli uesami rigorosi" che conclude nel luglio 1846, mese in cui consegue la “Laurea Dottorale in ambo le leggF [Giurisprudenza e scienze politiche, n.d.a.]2. Questi sono gli anni fondamentali per la formazione di Vittore. A Pavia è tra gli spiriti irrequieti che preoccupavano l’imperatore Francesco Giuseppe, il quale ebbe a dire di non avere biso­ gno di letterati, di gente di studio, ma di “sudditi fedeli a me e alla mia Casa”, aggiungendo anche: “Bisogna che i Lombardi dimentichino di essere Italiani'2. Nell’ambiente universitario pavese e nell’ambiente medio borghese bergamasco, infatti, Vit­ tore avrà modo di maturare le due intense passioni che lo accompagneranno lungo tutta la vita: il patriottismo e l’arte. Suoi compagni di studi a Pavia sono i fratelli Giovan Battista e Gabriele Camozzi10, i due glo­ riosi patrioti bergamaschi nonché suoi grandi amici (Gabriele si laurea nello stesso anno di Vittore in "ambo le leggi', come confermato dal documento in ASP, dopo un percorso di studi probabilmente simile, con il quarto anno cioè concluso a Padova); Benedetto Cairoli e Angelo Bassini11, sono invece i suoi amici pavesi: l’uno, primogenito di cinque fratelli tutti patrioti e volontario nella guerra del '48, fu costretto a passare in Piemonte e poi a rifugiarsi in Svizzera come Tasca e i Camozzi (condividerà con Vittore anche l'impegno politico dopo l’unità d’Italia e sarà ricordato con un monumento e un’epigrafe nella villa Tasca12); l'altro, anch’egli presente nella campagna del 1848, comandò durante la spedizione dei Mille l’8a compagnia, quella composta per la maggior parte da patrioti Bergamaschi e della quale Vit­ tore Tasca (insieme a Luigi Enrico Dall’Ovo13) era vicecomandante. In campo artistico poi, dal 1842 e fino al 1878, troviamo come professore di pittura presso la Civica scuola di Pavia il pittore bergamasco Giacomo Trécourt14: maestro del Piccio (altro amico di Tasca) e di Tranquillo Cremona (che fonderà a Milano il movimento della Scapi- Giovanni Carnovali detto il Piccio, Ritratto di Vittore Tasca, 1862, olio su tela, 63 x 51 cm. Milano, collezione privata 9
  • 12. gliatura), nonché patriota insieme al fratello Luigi, anch'egli grande amico di Vittore Tasca. Ciò premesso, va ricordato che la bibliografia, anche recente, relativa alla figura di Vittore ha spesso pertanto assunto aspetti mitografici e annedottici, che non ci hanno comunque impedito di comprendere appieno lo spessore morale e la carica vitale del protagonista. In questa chiave vanno letti, infatti, sia i lavori di Ottavio Tempini15 e di Pietro Raffaelli16, sia quelli precedenti di Giovan Battista Camozzi-Vertova17 e di Giuseppe Locatelli18, dai quali abbiamo comunque messo a profitto le numerose informazioni sulla vita di Vittore Tasca. Sappiamo così che Vittore partecipò attivamente alle riunioni segrete che portarono ai moti del 184819.Tra l'altro, in una di queste adunanze svoltasi a Milano poco tempo prima delle Cinque giornate, egli intervenne smascherando una spia presente alla riunione: “Vittore si alzò e, additando uno dei presenti, disse: 'Com’è vero che io sono italiano nell’anima e nel cuore, Attilio Partesotti è una spia’ ”20. In tale occasione, le precise informazioni di Vittore Tasca, che aveva visto uscire dal Commissariato di polizia il Partesotti, resero drammatica la situazione, con l’accusato che cercava in ogni modo di difendersi sostenendo di poter dimostrare l’infondatezza dell'accusa; ma, poiché l’individuo sparì dalla circolazione, si ebbe la conferma che Vittore avesse detto il vero. Nello stesso anno, su proposta del conte Francesco Roncalli21 - che il popolo aveva scelto come proprio rappresentante per trattare con l’arciduca Sigismondo Ranieri, figlio del viceré del Lombardo-Veneto e comandante del Presidio di Bergamo -, Tasca fu nominato membro della Commissione creata per istituire un corpo di Guardia civica22 e fortemente voluta per •permettere ai cittadini di uscire armati. Si deve così alla risolutezza del ventisettenne Vittore se i bergamaschi ottennero dall'arciduca di armare un numero illimitato di guardie per tute­ lare i cittadini dalle prepotenze e dagli eccessi dei soldati. L’arciduca Ranieri, infatti, aveva cercato di eludere la prima concessione da lui fatta alla Commissione per la costituzione della Guardia, intimando di limitare a cento il numero delle guardie civiche23. Non solo. Potendo osservare i movimenti dei soldati croati da una finestra della sua abitazione in San Tomaso, più precisamente in via Pignolo alta ai numeri 107-10924, il Tasca, nell'assalto al deposito di munizioni di San Maurizio, si rese anche protagonista di un fatto d'armi che segnalò quelle doti di prontezza e decisione che lo porteranno più tardi a ricoprire ruoli di comando prima nell’esercito piemontese, e successivamente nella spedizione dei Mille25. Cacciati gli Austriaci e costituitosi il Governo provvisorio, Vittore fu un attivo organizzatore della Guardia nazionale; nonostante ciò, poiché altrove si combatteva per l’Italia, ferma­ mente convinto della necessità di prendere parte attiva alla battaglia contro l’Impero austriaco, nel luglio 1848 egli si presenterà al quartier generale di Carlo Alberto a Roverbella, nei pressi di Mantova (e non a Pastrengo, come scrive Locatelli), per arruolarsi nei bersa­ glieri di Alessandro Lamamora; qui riceverà da Carlo Alberto il grado di sottotenente dei ber­ saglieri dell’esercito piemontese26. Tuttavia, dopo le vittorie piemontesi a Goito e Pastrengo (9 e 30 aprile), che coronarono la fase iniziale della prima guerra d’indipendenza (caratterizzata da grande entusiasmo e da una partecipazione unitaria dei sovrani e del popolo italiano, tanto che da ogni parte d’Italia combattenti volontari, studenti e intellettuali accorsero numerosissimi fuori dalle file degli eserciti regolari27), la situazione si rovesciò quando gli Austriaci ritornarono in Lombardia in seguito alla battaglia di Custoza del 25 luglio 1848 per opera delle truppe del maresciallo Radetzky. In tale frangente Vittore Tasca, come tanti altri, prese la via dell’esilio e riparò a Lugano, dove giunse P8 agosto. Sono con lui i due fratelli, Benedetto e Isacco, e l'amico Gabriele Camozzi28. Li, gli animi erano infervorati soprattutto da Giuseppe Mazzini, anch’egli esule in Svizzera, che voleva far insorgere la Lombardia sostituendo alla "guerra regia" la "guerra del popolo". Così, quando corse voce che a Bergamo stava maturando una nuova insurrezione, Vittore j I ! I 10
  • 13. Tasca e Gabriele Camozzi furono convocati dal fondatore della Giovine Italia il quale, con­ vinto dell’attendibilità della notizia, acconsentì al rientro in patria degli esuli - che godevano di grande prestigio fra la gente della loro terra -, al fine di guidare la rivolta. Il tam tam di noti­ zie sulla situazione in Lombardia che giungeva nel territorio della Confederazione Elvetica aveva infatti trasformato l’iniziale resistenza di Federico Alborghetti e dei suoi pochi compa­ gni nei pressi di Palazzago in un’intera popolazione in fermento pronta a esplodere al minimo cenno. Così, di fronte alle perplessità espresse dai due patrioti bergamaschi, che meglio conoscevano la situazione, e dopo un'accesa discussione con Mazzini che li tacciava di viltà, Gabriele Camozzi e Vittore Tasca si recarono sui luoghi per verificare l'esatto stato delle cose. Travestiti da muratori, esponendosi al pericolo della fucilazione e correndo il rischio di essere denunciati alla polizia austriaca che sorvegliava le mosse degli emigrati, passarono segretamente il confine e, raggiunto Almenno San Salvatore, incontrarono alcuni patrioti29 presso la residenza del conte Asperti. Qui ricavarono l’informazione che ogni tentativo rivo­ luzionario, stante la situazione, sarebbe stato destinato al fallimento. Mancavano infatti armi, munizioni e denaro. Dell’incontro, oltre allo scritto di Giovan Battista Camozzi (riportato in nota), abbiamo la cro­ naca di don Bernardino Brignoli, che, casualmente, era presente in casa Asperti aH'arrivo di Tasca e di Camozzi: "Narro un fatto di qualche importanza, che tuttavia non si conosce e non è accennato, ch'io sappia, da nessuna storia dell'epoca nella quale avvenne; sta bene quindi che ne sia in qual­ che modo conservata la memoria. Il fatto avvenne sotto i miei occhi stessi ed io lo racconto colla più rigorosa fedeltà. Si tratta di un Consiglio di Guerra che salvò il Lombardo-Veneto da chi sa quali sciagure. Verso la fine dell'ottobre 1848 mi trovavo ospitato nella casa di villeggiatura del fu nob. co. Giuseppe Asperti, posta in Almenno S. Salvatore, lontana pochi passi dalla chiesa parroc­ chiale verso monte. Secondo il mio costume in quei giorni di sollievo, una mattina al farsi del giorno esco dalla casa perrecarmi al roccolo del detto sig. conte. NeH’aprire la porta mi si affaccia il sig. Vittore Tasca amico mio fin dalla fanciullezza e mi domanda notizie del conte Asperti. Mentre rispondo ecco si unisce a lui il nostro Gabriele Camozzi. Siccome il conte era tuttora a letto, miincarico dei doveri di casa; li accolgo in una sala delpiano superiore e faccio accendere il fuoco giacché la stagione si faceva fredda. Non potevo intanto rinvenire dallo stupore trovando costoro che supponevo esuli nelle schiere di Garibaldi. Dopo qualche istante entrò nella sala il conte Asperti e quindi successivamente ad uno ad uno i forestieri... Ecco in qual modo potei essere testimonio oculare ed auricolare di questo fatto importante. Gabriele Camozzi messosi davanti a un tavolo aprì la seduta e disse: ‘Mazzini michiamò l’altro giorno. Midisse che era già pronto ilsollevamento generale di tutto il Lombardo-Veneto; che ogni uomo in questa decisiva rivolta doveva fare ilproprio dovere e non potendo coi fucili, coifalcetti, con tridenti e con badili; che ilgiorno fissato perla riscossa era il dì di tutti i Santi; che io però dovessi venire in Lombardia a dare il segnale e l’ordine di tale decisivo combattimento. Ho detto che egli vedeva troppo bene, che gli Austriaci rifatti dalle recenti vittorie si erano stabiliti poderosamente nel Lombardo-Veneto, che il promuo­ vere in tali condizioni una rivolta, era rendersi responsabile di un inutile grande massacro. Mazzini pertutta risposta mi disse che io ero un vile, che pertimore della mia vita io cercava di stornare un partito che doveva essere la risorsa della causa nazionale. Vi fu gran vivezza di discorso a tali provocazioni, finché siamo venuti in accordo su questo partito di transa­ zione. Per mostrare che non per viltà ma per puro principio di umanità io rifiutava di accet­ tare ed eseguire un tal mandato dissi; ‘Andrò in Lombardia coll'amico Tasca ed esporrò la vita; ma vedrò sul luogo lo stato delle cose. 11
  • 14. Se si offrirà qualche speranza di riuscita daremo fuoco alla miccia e provocheremo la rivo­ luzione. In caso diverso sospenderemo ogni moto e penseremo tutti ai casi nostri'. Questa risposta è stata accolta, siamo partiti, abbiamo indetto questo Consiglio però non abbiamo potuto darne avviso al conte Asperti e lo preghiamo diperdonarci. Appena tacque il Camozzi, gli sconosciuti presero sopra il tavolo alcuni plichi. Erano rela­ zioni provenienti da varie città del Lombardo-Veneto. Esprimevano minutamente lo stato, il numero, le armi delle truppe austriache, e dopo averbilanciato ilprò e il contro del progetto disollevazione, conchiudevano che la sollevazione in tali circostanze avrebbe avuto un esito molto dubbio, oppure era impossibile. Lette le relazioni il Camozzi disse: ‘In faccia a talidichiarazioniilpartito da prendere non può esserdubbio’. Tutti annuirono con­ cordi: gli sconosciuti ebbero l'incarico di recar tosto la notizia di tal partito a chi ne stava in attesa e subito tutti sparirono. Rimastisoli, io e il conte partiiperrecarmiall'uccellanda quando uno stormirdi fronde ed un bisbiglio molto concitato richiamò la mia attenzione verso il roccolo del sig. Giacomo Pelle­ grini. Alzaiilcapo e vidibrulicarilroccolo diarmati. Erano imilitidella guerriglia diPalazzago. In mezzo alprato del roccolo il Camozziparlava col capitano che doveva esserTAIborghetti. Immaginai diche dovessero parlare in quell'abboccamento. Naturale conseguenza del Con­ siglio di Guerra della casa Aspertiera anche lo scioglimento diquella milizia. Dopo due giorni si seppe infatti che le guerriglie di Palazzago si erano disperse. Ritornato a Bergamo udiva da tuttipreannunciarsila rivoluzione peril Giorno dei Santi. Ero sicuro che non ne sarebbe stato nulla, ma tacqui per non compromettermi cogli Austriaci, i qualise avessero potuto pensare che un Consiglio di Guerra avesse avuto luogo nella casa Asperti di Almenno S. Salvatore, e che col conte eravamo in quel Consiglio, ci avrebbero raggiunti e saremmo entrati certo nel bel numero dei fucilati di quel tempo. Ordinato lo scioglimento della Banda ‘eravamo trentadue pazzi da collocare in manicomio se ci fossimo incaponiti a continuare la Guerra’dice ancora TAIborghetti, Tasca e Camozzi riprendono la via di Lugano. Passano da Pontida. Il monastero benedettino che sta all'inizio del paese è occupato dagli Austriaci che dalle finestre controllano la strada. Costeggiano il muro di cinta e scompaiono nei castagneti della valle. A Mazzini riferiscono il vero stato della nostra provincia. Addio sogni di libertà, di indipendenza, di rivoluzione"30. Un'altra descrizione dell’incontro di Vittore Tasca e Gabriele Camozzi con Giuseppe Maz­ zini, della riunione in terra bergamasca di quei patrioti, dal Tasca definiti “fra i più caldi per la causa comune", e dei tentativi rivoluzionari a opera di piccole colonne armate sotto l’impulso dell’agitatore Mazzini, è restituita anche da una lettera che Vittore Tasca, al suo ritorno a Lugano il 3 novembre 1848, invierà ad Andrea Moretti che si trovava a Torino: “Carissimo Andrea! Come già potraiconoscere da una che ti scrisse giornisono Battista Camozzi, io assieme a Gabriele Camozzi ricevetti ordine venerdì 28 ottobre di partire immediatamente per Ber­ gamo. Scopo diquesta nostra andata a Bergamo doveva essere, secondo le fantastiche idee di Mazzini, la direzione delTinsurrezione di Bergamo e rispettiva provincia; insurrezione che secondo lui sarebbe stata perii giorno 30 o 31 al più infallantemente cominciata. Prima di partire noi credemmo bene d'esporre chiaramente e con tutta franchezza ilnostro parere al detto S.r Mazzinied alla Giunta d'insurrezione, pertoglierci quella grande responsabilità che già conoscevamo conseguenza di sì immaturo movimento. Gli abbiamo quindi detto come noidissentissimo dalla loro determinazione perle moltiragioni, che credo inutili ripeterti; che se ciò nullameno essi credevano che la nostra opera potesse tornare utile per la causa 12
  • 15. comune, noi saremmo tosto partiti, sotto l'espressa condizione però, di volerciprima accer­ tare dello stato a disposizione della popolazione diBergamo e rispettiva Provincia, perquindi procedere alla regolare insurrezione, se la trovassimo fornita di tutti gli elementi necessari. Dietro questa condizione, noipartimmo perBergamo sabbato 29 andante, e siamo colà arri­ vati la mattina delgiorno seguente. È inutile che midilunghi nel ragguagliarti minutamente di quanto facemmo per accertarci della verità dello stato di maturità insurrezionale. Ti basti sapere che nelgiorno dilunedì p.°p.° abbiamo tenuto a S.t Michele di Valle Imagna una spe­ cie di riunione insurrezionale; riunione che fu composta di tutti i più caldi per la causa comune, e di tutti coloro che nel caso sarebbero stati alla testa del movimento. Tutti questi unanimemente si pronunciarono per l'opinione, che cioè è impossibile ed imprudentissima, nello stato attuale di cose, una insurrezione, perché mancano elementi assolutamente indi­ spensabili alla medesima, quali sono armi, munizioni, denari, e più che tutto incertezza di forza armata che sostenga il movimento. Per nostra garanzia vennero stesi regolari proto­ colli, vennero scritte coscienziose dichiarazioni. Come ci abbiamo potuto cosi accertare dello stato delle cose, ripartimmo immediatamente per Lugano, per sospendere al corso si immaturo ed irragionevole movimento. Secondo questi fantastici teorici deffensori della libertà, tutto era combinato, tutto era sicuro; il movimento doveva essere contemporaneo a Bergamo, Brescia, Como e rispettive province; la fuga e la rovina del nemico la vedevano chiarissima e inevitabile. Per nostra fortuna però ora son ben persuasi della differenza che passa tra la teoria e la pratica, tra l’ideale ed ilpositivo. Ora si vedono confusi e svergognati. Arrivati qui a Lugano la mattina di mercoledì p.° p.° noi non mancammo di mostrare il nostro operato alla giunta d’insurrezione ed al Mazzini. Questi si scusava col dire che era stato ingannato sullo stato delle popolazioni, adduceva molte altre scuse che, a mio parere, erano assolutamente inattendibili, lo ritengo però fermo ch'egli sia in perfetta buona fede. Venendotiora a dire delle spedizioni che si fecero persostenere ed estendere l’insurrezione, comincerò da quella del Dapice. Questo generale alla testa di non più di 400 uomini venne spedito nella valle d’Intelvi, che come ben sai era libera dal tedesco per l’insurrezione già seguita. La mattina del mercoledì inoltratosi questo nella valle, s’incontrò col nemico, il quale era in numero assai superiore. Dopo circa un’ora di combattimento questo generale fu costretto alla ritirata dalla parte della Svizzera;ritirata che fuprecipitosa e disordinata, e che lasciò (da quanto perora si conosce) tra morti feriti e prigionieri numero di circa trenta individui. Fu appunto nella giornata di mercoledì sera che questi sfortunati nostri fratelli arrivarono qui a Lugano. L'ospitalità della Svizzera, che ormai si può chiamare eguale all’austriaca, li accolse con le baionette in canna, e le condusse, quasi malfattori, circondati d’armati nella caserma del Paradiso, dove tuttora si trovano in qualità diprigionieri. Questo atto d’inospita­ lità getta sulla faccia della Svizzera una macchia d'infamia che difficilmente potrà cancellare. A giustificazione però del Canton Ticino, devi sapere che tutto questo fu eseguito dietro ordine di due Commissari Federali. Fra i dettiprigionieri si contano molti ufficiali, ed il gene­ rale Dapice. Quale sia il destino che lo aspetta non lo saprei dire. Un’altra spedizione condotta dal Medici fu sopra Luino. Da notizie diquesta mattina pare che tuttora si sostengono. Dalle ultime notizie di valle Tellina, Chiavenna fino da lunedì fu presa, ed ora in possesso degliAustriaci. Da quanto sisa Brescia e Como sono in perfetto stato di quiete. Le sponde dellago di Como, dopo la ritirata d’Intelvi, pare che abbiano cessato di molestare i vapori. Eccoti in breve l’insurrezione Mazziniana. Questa mattina ho spedito copia delle tue lettere 30 e 31 a Bergamo. Spero che saranno ben sentite. S/s.. tu )K»Ct S^ ; So ffe-yi-ww* 1 Stemma della famiglia Tasca di Brembate, in G. Baracchiti (a cura di), Stemmi delle famiglie bergamasche, 1994 13
  • 16. Albero genealogico / della Famiglia / Tasca de Meda / Copia conforme / alla esistente in / casa Nob. Fausto Tasca / 1929 / D. A. Poloni. Sull'albero genealogico; Documenta probationis Nobilis Familia Tasclia de Meda / cuius cognonuum antiquissimum erat de Airoldis / Nobilis Mediolanensis ut dimoratur in Anphiteatro I Romano. Pianta prima folio 79: ex Corio / de anno 1196 in Bib.teca Ambrosiana [...] Dominus Jordanus De Tascha do Meda Civis Borgomi 1 = 1384 - 9 Jannuarii in actis Manfredini Zampaite Not. Bergorrn. 2 - 1401 - 13 Jannuarii in actis Manfredini Zampaile Not. ecc. 3. 1452 - 2 Maji in actis Antonii de Cerro Not. Berg. 4. 1484 - 6 decembrii in actis lacobi Tascha de Meda Not. Berg. 5. 1503 - 8 febbrarii in actis Bernardi de Sancto Gallo. 6. 1546 - In actis Joanni de Vavassoribus de Medolaco Not. 7. 1575 - 30 Decembris Politia extimatii in Civitate. 8 1608 - 15 Juliis in acti lulii de Zanchis Not Bergomi. 9. 1600 - Fides Baptesimi Parocchia Brembate Inferiore. 10 1643 - In actis lo Dominici [...]. 11. 1646- Fides Baptesimi Parocchia Brembate Inferiore. 12 1665 - 18 Aprilis Matrimonium in acti Antonii Facheris. 13. 1685 - Fides Baptesimim Par. S. Alexander Colonna. 14. 1704 - 4 aprilis in actis Jo Bartolomei Regazzoni. 15. 1745 - Fides matrimonii Par. Bulteni. 16. 1756 - Fides Bapt. Par. Bremb. Inf. 17. 1777 - Fides Matrim. Par. S. Alex. Croce. 18. 1786 - Fides Bapt. Par. S. Alex. Croce. 19. 1788 - Idem. 20. 1796 - Fides Bapt Par. Bremb Inferiore. A. 1593 - Fides Bapt. Par. Bremb. Inf B. 1663 - In actis Antonii facheris Notari Bergomi. C. 1680 - Idem Idem Zambollus ... I : Antonius Nediuus Mapheu Marchesius Petersolus (1) 1384 fi) (1) (2) Giulianus Florius (1) (1) (1401) (1) Botinus loannes Tomas (3) (1452) Nob. Michael Nobile Jacobus (4) (1484)I N Bemardus N. Andreas N Faushnus Tomas (6) (1546) N. Victor (5) (1503) Alexander I Il primo trovalo col titolo di nobile (anno 1484) Il Questo Tasca Faustino è colui che fa i più degli acquisti. Arricchisce di molto la famiglia Jacobus N.G N NicolasN Faustinus (7) (1575) ■ (n 1570, m 1644) (8) (160Ó) N Victor N. Faustinus (n 1600. m.1663) Il (9) (19) (1600) (1643) in Caeciliam Avogadram (10) (2 suore) Orsola Suor Catenna Nob. Tomas (n 1593, (A) (1628) m 1649)Paola SuorRev Maria N Victor (n 1646. m 1709) . (11) (12) (1646) (1665) *1 in Camillam Fuginclli (i2) Il famoso Capitano do' Dragoni Victor Tasca (Francoscam in Francoscum Piatti) (B) (n 1646, m. 1709) : Canonico Lconardus Petrus (14) (1704) N. Antonius (13) (14) (15) (16851(1704) (1745) in Barbaram Adclasiam (14) N.Benedidus (n 1756, m. 1777) sposato il 22 luglio 1777 con Teresa Moretti A, Anna Maria Eiena Elisabetta Barba sposata Paola Antonia Camilla (n 1779-m 1939) (n 1779) (n. 1780-m 1874) ha sposato nel 1811 Lorenzo Gambarini poi maritata Caccia ** Chiara N. Antonius N Faustinus ved. Moretti (n.1786 -m 1865) (n.1788. m. Brembate 14 giugno 1852) *c (n. 1787 - m 1865) sacerdote sposato con Conti Giovanna v Pellegrini (n Bergamo 1787 - m. Brembate 5 agosto 1866) ara Pavesi Teresa Marianna (n. 9giuqno1818 - m. 16 ott. 1879) rfubiTe. sepolta a Brembate Joannes , G. Battista ’É (n 1823) Benedictus *c Vittore Benedetto w (n. 9 ago 1819 - m. 13 genn 1871) sposato con Vitali Giovannina (n. 1821 - m. 1895) VictorThomas maso Vittore Michele (n. 11 luglio 1820 - m. 1830) Vittore Giuseppe Maria 7 (n. 7 settembre 1821 - m 21 apnie 1891) morto e sepolto a Brembate Tom Maddalena Marianna Camillo Elisabetta EmanueleFaustino Vittorio ‘13*13 *13 paiono nell’albero genealogico a fianco del nominativo cui si riferiscono. Per la ricostruzione della seconda parte, invece, sono stati consultati i registri delle nascite, dei matrimoni e delle morti delle parrocchie di Sant’ Alessandro e di San Pancrazio in Bergamo (i registri di San Pan­ crazio sono conservati nell'ACVB) e quelli della chiesa parrocchiale di Brembate. Ci siamo avvalsi inoltre delle iscrizioni sulle lapidi nella cap- La prima parte dell'albero genealogico, in corsivo, è la trascrizione di un documento conservato nell'archivio parrocchiale di Brembate. Nel manoscritto sono elencate in ordine cronologico le date degli atti nota­ rili. con i nomi dei notai, e quelle riportate nei registri delle nascite e dei matrimoni, dai quali è tratta l’informazione (note a sinistra della pagina); le stesse date, con i numeri in ordine cronologico tra parentesi, com- 14
  • 17. V II 14 aprile 1698 Vittore Tasca, sposato Camilla, dà uno schiaffo alla figlia Cecilia, maritata, a causa della persona del rev. Curato di Brembate Sotto con il quale, pare, la giovane s'incontrava. (...) Da un manoscritto di casa Tasca del 1705: Eugenio Savoia, di passaggio con le sue truppe, alloggia nel castello dei Tasca. Di fronte al castello c'è la casa del Cav. Tassis, ora casa Rosa [APB, Capitoli). Nel 1648 già si lavora nelle cave ed erano in mano a Vittore Tasca (APB. busta Tasca]. In data 26 agosto 1687 c'è un castello in Brembate di Sotto colle fosse sino al Brembo (BCB, Estimi. 5 30 199], 2* Vittore Tasca q m Antonio, era il proprietario della casa contrassegnata nei registri catastali con il n. 362 Alla sua morte la casa è ereditata dalla moglie Giulia Agosti . usufruttuaria, e dai nipoti sac. Antonio. Faustino (padre del nostro Vittore) e Benedetto. I fratelli Benedetto (nonno di Vit­ tore) e Vittore Tasca q.m Antonio ottennero il riconoscimento della nobiltà il 9 dicembre 1819. 3* Nel 1782 godono d'indulto per l'oratorio privato in Bergamo, ma siccome abitano in campagna, nella Diocesi di Milano, chiedono l'estensione del­ l'indulto anche per l'abitatioms in loco Brembatiplebis Verdelli [...]. [BCB. famiglia Tasca. R 100/2 (1)] Alla sua morte Tommaso lascia tutti i suoi beni all'unica figlia Camilla, tra questi beni c'è anche il castello. 4* Cfr. Registro matrimoni, chiesa di S. Pancrazio, 1811, in ACV. 5* Nella cappella dei Tasca nel cimitero di Brembate ci sono le lapidi della Nobile Antonia Pellegrini (m. 11 gennaio 1872), che riposa con la sorella Maria e dell’altra sorella Debora Pellegrini (m 25 settembre 1872 a 24 anni), figlie di Conti Giovanna ved. Pellegrini, moglie in seconde nozze di Faustino Tasca e madre del nostro Vittore Per poter celebrare il matrimo­ nio tra Faustino Tasca e Giovanna Conti si è ottenuta da Roma la dispensa sopra il quarto grado di consanguineità, nel quale erano fra di loro congiunti i suddetti sposi, l'atto del quale si trova unito a fascicolo degli atti matrimoniali di questo anno. [APSAC, atti di matrimonio, voi. I], Faustino e Giovanna abitavano a Bergamo in Borgo San Tomaso. 6* Il fratello di Vittore, Benedetto, che nel 1862 era nell’elenco degli Inge­ gneri Architetti Agrimensori civili della città e provincia (in Notizie patrie. 1862, p. 213), abitava con la propria famiglia a Bergamo e mori dopo lunga infermità. Forse è per questo che i figli avevano un tutore. Lui e la moglie sono morti e sepolti a Bergamo nel cimitero di San Maurizio, poi trasportati a Brembate. 7* Il registro delle nascite nel APSAC riporta come data di nascita di Vittore il 6 ottobre 1821. 8* Di Giovanni Tasca, fratello di Vittore non si sa nulla; nei registri del cata­ sto nell'anno 1852 compare sempre insieme ai fratelli, mentre non è più nominato nel 1857 quando lo zio don Antonio scrive il testamento. Sulla lapide della madre Giovanna Conti si scrive che raggiunge con certi figli e nipoti il marito. 9* La contessa Elisabetta Albani q.m Giovanni, moglie di Isacco Tasca, è parente di Carlo Medolago Albani che acquisterà la villa nel 1892, un anno dopo la morte di Vittore Tasca. Ci sono due lettere della contessa, che si firma Bettina, indirizzate alla nob. signora Paolina Varese dei Conti di Rosciate (lettera datata 1856) e alla contessa Camilla Albani (lettera datata 1875). (BCB, R, 100 2 (41)]. 10* Il Nob. Faustino Tasca fu, in diversi momenti, sindaco di Brembate. Egli rappresenterà Ettore nella successione a Vittore Tasca; è lui, infatti, il pro­ curatore generale È in casa sua che si è trovato l’albero genealogico qui trascritto in corsivo. 11* Camillo è l’ultimo proprietario Tasca della casa in via Pignolo ai numeri 107-109. Alla sua morte ereditano la casa i nipoti Ghislotti e da essi viene successivamente venduta [L. Pelandi, op. cit.] [Noi siamo a conoscenza di un solo nipote Ghislotti: Emanuele], 12’ Il colonnello Ghislotti (n.1894 - m 1962) era il marito in prime nozze di Giu­ lia Cecilia (?) Tasca e in seconde nozze di Emma Rubini (n.1920 - m. 1992). Nella cappella Tasca ci sono le loro lapidi. 13* Nel 1876 i fratelli Faustino, Vittore e Camillo, sono indicati negli atti cata­ stali com pupilli in tutela di Colombo Carlo. [ASB, Catasto lombardo­ veneto. Registro dei possesson, foglio 692]. Maddalena e Emanuele in quel periodo sono già defunti. 14* Cesare ed EttoreTasca, figli di Isacco e della contessa Elisabetta Albani, oltre ai beni di Vittore Tasca ereditano anche quelli delle zie Teresa e Maria Felice (sorelle di Vittore). Le due sorelle sono in vita quando Vittore redige il testamento Teresa morirà però prima di Vittore (il 16 ottobre 1879), mentre Felice morirà quattro anni dopo di lui. Franciscus (1680) Joseph (14) N. Thomas (in Silvia Tassis) (1779) *2 *3Victor (1781) (n.1751 - m4 oli 1829) sposalo con Giulia Agosti ìtomo Giuseppe Francesco Mana (n 11 giugno 1779) Donna Camilla m Rosati sposala a Galeazzo Varese conte di Rosale Nob. Bcncdidus (n. 1796. m. 28 ago 1875) sposato nel luglio 1821 a Brembate i Anna Maria Moretti (m aprile 1849?)con . *10Nob Faustinus (n 7 giugno 1852 - m. 2 giugno 1928) Mana Tommaso Goffredo (n. 22 giugno 1831 - m 1833) Maddalena Marianna (n. 1848) Nob Camillus (1864 nato) (n. 1 aprile 1864 - i m. 4 maggio 1938) Nob. Emmanuel (n 1859 - m. 1920) sposato con Perini Emma (n 1874 -m. 1950) Marianna Camilla Maria Felice (n 1824 - m.1831) (n. 1826 - m 1895) sepolta a Brembate Isac Ulisse Isacco Mose (n 27 ott. 1828) sposato il 22 giugno 1864 con la contessa Albani Elisabetta 9 *11 Benedetto Giovanna (n 1889 - m. 1918) (n 1896 - m. 1930) morto 1918 in guerra I Poiché Ettore e Cesare sono senza figli, con Benedetto si estingue il ramo dei Tasca di Br Giulia (n 20 marzo 1898 - m. 20 ottobre 1927) « in Ghislotti (n. 1894 - m. 1962) 12 Emanuc (n. 1824 Giovanna (n. 1874) Ettore Bcnita in Scrassi Camilla Maria (n 1865-m. 1865) Cesare (n 1865) sposato con Bcrsani Carola di Lodi eie Ghislotti - m. 1831)embate eredi di Vittore Tasca *14 (senza figli) Nella trascrizione del manoscritto, in corsivo, si è seguito esattamente il testo anche per quanto riguarda maiuscole, doppie, punteggiature e si sono riportati gli errori che talora compaiono, mentre la seconda parte potrebbe risultare incompleta. Purtroppo non siamo riusciti a rintrac­ ciare nessun erede che potesse aiutarci a colmare le lacune. pella mortuaria dei Tasca nel cimitero di Brembate e dei registri cata­ stali, libro partite e rubriche dei catasti napoleonico e lombardo-veneto del comune di Brembate conservati negli Archivi di stato di Bergamo e di Milano. Per quanto riguarda gli asterischi numerati, vedere le note corrispon­ denti a destra nella pagina. 15
  • 18. A**' .-3 *?{? ■■■'.• • i *k.*3 2 ir- V >* r;»> ' >/ , . (Off* ’ ; ? ; v ’/p ••/ * K V .. fcfc . f i *■ ; •t • v - ». *•- •• -fi V' t y-*. - •v i ;i ■ X • I*• ' ^VYV / ;•• • * . • ; , a t f • *4 * '■ Am& ii// >* -.nt.jaì i fi us a • ' * •• -i .« -* H *■ * '• -* * 1 5 V, , - , « ; •'■* < * ! * r. * i * i x 5 •• M * *„ .* f' - 3 x * : ;tlj - ' e a" il» - .. A « . -• -j;i ''j!ì li*' 1* v$-# -4 - <* $ A *: AM« a ..- & •' %'** * -ì «esa*^.ss C* r l?. ■ * k « ;«//.iJ rrf. 16
  • 19. Facilmente domani in compagnia di Battista Camozzi partirò per costi. Allora meglio tipotrò raccontare e dettagliatamente quant'è mia cognizione. Addio caro Andrea, a rivedercipresto Il tuo aff. Amico e cugino Vittore Tasca. Da Lugano, li 3 Nov. 1848 P.S. Ora parlasiche valligianidella valle d’Intelvi continuino a molestare ilnemico. Forse que­ sta sera alcuni partiranno in soccorso di quelli che si trovano a Luino"* Così, ritornati a Lugano, Gabriele Camozzi e Vittore Tasca presentarono al Mazzini docu­ menti inoppugnabili che dimostravano quanto inesatte fossero le relazioni e le notizie in suo possesso. Di lì a pochi giorni, peraltro, le colonne del generale Luigi D’Apice in valle d’Intelvi e del Daverio a Luino verranno disperse e allontanate al di là della frontiera; la stessa sorte toccherà a quelle del Dolcini sullo Spluga presso Chiavenna e dell’Alborghetti sui colli di Palazzago. A tale proposito, Ottavio Tempini avrà modo di scrivere: “Questo è un episodio significativo sulla preparazione dei motimazziniani, perché ci mostra come il Mazzini fosse pronto a dare affidamento ad informazioni che potevano essere date, come nel nostro caso, da illusi o da traditori. È quindi facile spiegarsi come tutti questi moti mazziniani dovessero miseramente fallire [...]”32. in In seguito, come gran parte degli esuli politici, Vittore Tasca lasciò la Svizzera per il Pie­ monte, nella speranza di una pronta ripresa dei moti insurrezionali. Dimorerà a Genova, a Torino, e raggiungerà poi i molti emigrati lombardi a Firenze33, dove organizzerà una Milizia civica composta da esuli di altre regioni d’Italia e che andrà ad aggiungersi all’esistente Guardia toscana. Con la proclamazione della Repubblica a Roma, nella primavera del 1849 Vittore Tasca torna in Piemonte. In marzo Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria, stabilendo di far insor­ gere le popolazioni del Bergamasco e del Bresciano. A tale scopo il governo del Piemonte fa arrivare una discreta quantità di armi e il ministero della Guerra incarica Gabriele Camozzi di ispirare e dirigere l’insurrezione nell’alta Lombardia. In quell’occasione, come suo assi­ stente, troviamo Vittore Tasca. Alcuni tentativi insurrezionali hanno così inizio, tanto che, subito impegnato a fomentare la rivolta, troviamo Tasca attivo ad Almenno, dove “diede prova del suo animo generoso coll’e- sporsi a riportare ferita per impedire che da alcuni degli insorti fosse con armi trafitto certo SchionatP*, uno degli individui stati dal popolo arrestati, perché ritenuti spie deHAustria e autori delle denuncie per le quali non pochi in Bergamo erano stati condannati alla fucila­ zione ed al capestro [...]"35. Vittore è infatti ferito in un tafferuglio per salvare la vita a Schionati di Almenno, che gli abi­ tanti del luogo volevano giustiziare per vendicare i concittadini fucilati dagli Austriaci sugli spalti della Rocca di Bergamo36. Il 23 marzo 1849, però, l’esercito di Carlo Alberto viene nuovamente sconfìtto a Novara dalle truppe del maresciallo Radetzky, in una battaglia che chiude la prima guerra d’indipendenza. Vittore Tasca, uno dei maggiori ricercati dalla polizia, attraverso i monti ripara di nuovo a Lugano37 con altri esuli che avevano partecipato ai moti rivoluzionari, ma - a causa della minaccia del governo austriaco di invadere il Canton Ticino - è costretto a spostarsi prima a Zurigo e poi a Ginevra38. Intanto la legge marziale voluta dal maresciallo conte Radetzky colpisce chi viene trovato in possesso di armi. Tra le vittime abbiamo diversi patrioti fucilati tra i mesi di luglio e ottobre del 184939. Ancora, sono condannate a diversi anni di carcere con lavoro forzato e catena nume­ rose persone, mentre si svolgono di continuo processi per i disertori. L’occultamento di armi Giovanni Carnovali detto il Piccio, Ritratto della nobile Tasca, 1862-1863, olio su tela, 24 x 18 cm, Bergamo, collezione privata Ponziano Loverini, Ritratto di Gianbattista Camozzi-Vertova, 1888, olio su tela, 130 x 156 cm, Bergamo, Municipio (per gentile concessione della Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino) Vittore Tasca e sua sorella, BCB, Bergamo Illustrata, F. 22. n. 44 17
  • 20. e la diserzione erano infatti proteste che costavano molto care; le commissioni militari ave­ vano adottato il sistema di considerare fra i reati comuni la diserzione agli obblighi del servi­ zio militare e la ribellione alla pubblica forza, allo scopo di far apparire come comuni delin­ quenti i colpevoli di patriottismo. Del 12 agosto 1849 è poi il proclama - sempre del maresciallo Radetzky - che permette il ritorno nel Lombardo-Veneto dei "compromessi politici", esclusi quelli che "per la loro ingiu­ stificabile perseveranza nelle mene rivoluzionarie, e per le sovvertitrici loro tendenze non possono nell’interesse della pace e della tranquillità generale tollerarsi per ora negli II. RR. Stati [Imperiali Regi Stati, n.d.a.]"A0. Tra quest’ultimi, per la provincia di Bergamo sono segnati: "Camozzi nobile Gabriele, Camozzi nobile Battista" e "Ottavio Tasca", quel nobile Tasca del ramo di Sedate, di ventisei anni più vecchio del nostro Vittore, patriota e poeta, che dal 1830 al 1860 compose sonetti e poesie patriottiche, molte delle quali, ancora inedite, sono conservate nella Biblioteca A. Maj di Bergamo41. Così Vittore, per il forte attaccamento alla famiglia e ritenendo forse di essere più utile in patria, suo malgrado approfittò deN'amnistia per i reati politici, “sebbene ben forti titoli avesse per esserne escluso”42. Con la pace fra Piemonte e Austria del 7 agosto 1849 è distrutta tuttavia ogni speranza dei patrioti; in quel periodo sarà anche proibito portare cappelli alla calabrese, alla Garibaldi e altri distintivi di partiti antipolitici. Contemporaneamente, a peggiorare la situazione, scoppia verso la fine dell'estate una grave epidemia di colera, che causa numerosi morti. Tra agosto e novembre, esclusi i militari di guarnigione, si registrano tra la popolazione di Bergamo 1155 casi, 723 dei quali mortali43. Il 5 settembre del 1849 Vittore è ancora a Lugano, dove scrive una lettera ad Ambrogio Camozzi, fratello maggiore di Battista e Gabriele, che si trova a Zurigo, per annunciargli il suo viaggio verso casa. Rientrato a Brembate, il 20 settembre scriverà invece aH’amico Battista: "Carissimo Battista! Dopo un viaggio buonissimo ieri mattina arrivavo qui a Brembate. Si entrava per la parte di Palazzo^] dove t’assicuro non ebbe d'arrecarmiincomodo. Benché abbia provato il massimo piacere nel riabbracciare i miei di casa e molti amici, io mi trovo in tale stato di avvilimento che quasi arrossisco a guardare in faccia persone. Per questo io per tempo molto non mi allontanerò da Brembate [...]"44. L'importanza che riveste Brembate per Vittore Tasca è evidente già da queste poche righe. A quell’epoca egli non ha ancora compiuto trent’anni, è laureato in legge ma ha già capito che non eserciterà mai la professione e noi, fatta eccezione per queste poche note e per le informazioni circa il suo impegno politico, poco sappiamo ancora del suo carattere e della sua indole. Sono però le lettere inviate agli amici Camozzi a venirci incontro; esse rivelano l'uomo con tutte le sue debolezze, ma ci restituiscono anche una persona generosa, onesta, leale. Già in una lettera a Battista inviata da Lugano il 5 giugno 1848 vediamo Tasca prodigarsi ad aiutare la moglie e la cognata di Camozzi per permettere loro di raggiungere il marito e cognato a Torino. In altre ancora, inviate dalla Toscana prima, e da Ginevra poi, oltre alle comunicazioni dei fatti politici, non mancano mai le notizie della famiglia e i saluti a tutti i fami­ liari e agli amici; sempre sono presenti saluti particolari per Gabriele. Di carattere schivo, Vittore rifiutava ogni forma di esibizionismo e, nonostante l’aspetto bur­ bero, sembra che amasse i bambini; inoltre, era sicuramente simpatico e anche ironico: un amico milanese, con villa a Brembate Sotto, un inverno si vide recapitare a Milano l’imposta di una finestra della casa suddetta con le raccomandazioni dello speditore (Vittore Tasca) di 18
  • 21. provvedere in tempo a riparare il piccolo danno che l’imposta aveva subito per evitare che il guaio diventasse maggiore45. In una lettera del 21 novembre 1850 spedita a Giovan Battista a Pallanza, il Tasca racconta di essere stato alla Ranica (la villa di campagna dei Camozzi) a trovare Ambrogio, e di come si fossero tutti divertiti nell’apprendere aneddoti su di lui raccontati da Giovan Battista e da Gabriele46. Al contrario, il Vittore che si rifugia nella sua villa al ritorno in patria in seguito all’amnistia per i reati politici è un uomo prostrato, depresso, umiliato. Accettare questa opportunità non fu certo una scelta facile per lui, che lasciava in esilio alcuni dei suoi migliori amici e com­ pagni di lotta politica, quali Gabriele e Battista Camozzi. Inoltre, la situazione in patria non era certo tranquilla. Erano ripresi i processi sommari; all’elenco dei fucilati sul piazzale della Rocca si aggiunsero quelli sullo spalto di Sant’Agostino e gli impiccati alla Fara. La crudeltà degli Austriaci, sembra non avesse limiti: le commutazioni di pena e le grazie venivano segnalate solo all’ultimo istante, quando già bendati i prigionieri attendevano la scarica dei fucili; si arrestarono anche sacerdoti segnalati come liberali per non aver nascosto la pro­ pria gioia per la rivoluzione del '48 e per non aver fatto cantare il Te Deum in chiesa alla fine della guerra47. In ogni modo da Brembate, nonostante la stretta sorveglianza operata dalla polizia, Vittore mantiene sempre stretti contatti con i patrioti, e con Giovan Battista Camozzi in particolare. Il 27 novembre 1849, sempre più avvilito ma confortato dal suo essere a Brembate, scrive pertanto all’amico che si trova a Pallanza, in Piemonte: “Carissimo Battista! benché io possa assicurare a me stesso che il non averti da tanto tempo scritto, lungi dal­ l'essere frutto di momentanea dimenticanza, sia solo conseguenza involontaria di quello stato di avvilimento, di quella specie di stupidità in cui mi trovo dacché rimpatriai, non so come e perché a stento ora mi faccia a scriverti: e se io anche fossi certo che tu mi saprai perdonare lascerò forse ancora dallo scriverti, facendo così colpa quello che sia non è che involontario fatto. A tutta ragione tu ti sarai lamentato di me soprattutto quando mi vedesti muto persino di quelle parole di valore e di conforto, che è dovere dell'amico dire all'amico quando questi si trova colpito da tanta disgrazia; ma che vuoi, se ho mancato, non mi saprai tu perdonare? Faccio torto al tuo bel cuore se di ciò dubitassi. Per quanto desiderio io avessi di vedere i più cari amici, nel timore di incontrarmi con certi tali, non mi seppi mai risolvere di lasciare questo paese. Solo ieri fattami ragione e dovere faceva di fretta una gita a Boccaleone, a Torre, ed alla Ranica. I tuoi di famiglia che tutti ho veduto stanno benissimo, lo conto di qui restare tutto l'inverno, comunque molti mi cerchino persuadere d'andare in città, e mi taccino per questo mio proposito di bell'amore. lo non ho ancora forza sufficiente di superarmi ed è per questo che amo meglio questa vita a solitaria, dove se non altro la mia vista si mantiene pura. Dalla con. Camilla sentivo che tu sei in forse d’andare quest'inverno in Sardegna; mipare che faresti benissimo [...]. E da Gabriele che c’è? Qui a Bergamo vociferasi che fosse nominato console sardo in Sviz­ zera, questo dicevasiperla tale e la tal’altra ragione; quanto a me non l'ho creduto perché ritengo certo che il Governo sardo se lo potesse lo spedirebbe in tutt'altro luogo [...]"48. Le lettere inviate ai Camozzi tra il 1849 e il 1951 sono intrise di un frustrante senso d’impo­ tenza, generato dall’impossibilità o dall’incapacità di poter compiere qualsiasi azione. Del resto, con la legge marziale in vigore e una sospettosa polizia che controllava i reduci com­ promessi politicamente, non era possibile alcun movimento. Inoltre, nel gennaio 1850 due­ cento ungheresi compivano un'invasione nella villa Camozzi di Ranica, preludio della pe­ sante confisca di beni che sarebbe seguita ai danni della famiglia49. 19
  • 22. r Vfrtf<•/.»!,itfxt i/«i. b. WUnu 'jiù Cx-UvJcuft lù y^wujò^ivt 111 CU fc/nv* :•:• . a J 'ì • . .• ) i; » 3 : > • V' «—» 20
  • 23. L'epistolario ci restituisce cosi un’immagine di Vittore intimista e fragile, ben diversa da quella figura energica e volitiva che egli si era costruito neH'ambiente risorgimentale e che rinno­ verà di lì a pochi anni sul campo di battaglia prima e in sede politica poi, quando lo si vedrà come personalità “tutta d’un pezzo", con un fisico prestante, un “corpo gagliardo, atto a sop­ portare i disagi della guerra" e dotato di una vigoria fisica che egli "dovette specialmente alla caccia esercitata negli anni giovanili e di cui fu amatissimo”50. Il suo motto sarà infatti: Frangarnon flectar[mi spezzerò ma non mi piegherò]51, a dimostra­ zione che ci troviamo di fronte a un uomo fermo ed energico nei suoi propositi, uno di que­ gli uomini, appunto, come scriverà la “Gazzetta Provinciale di Bergamo" il giorno della sua morte, "che, quando hanno coscienza di trovarsi nel vero, nel giusto, si spezzano piuttosto che piegarsi'52. Il 21 dicembre 1849 tuttavia, in un’altra lettera sempre inviata a Battista (questa volta a Novara), Vittore Tasca, profondamente rattristato dagli eventi che hanno visto il Camozzi abbandonare moglie e figlio per fuggire in esilio, confessa tutto lo smarrimento e la rabbia che lo tormentano e per la prima volta accenna a una non meglio definita “continua occu­ pazione" che gli procura un grande sollievo, senza la quale afferma "non saprei come già oltre potrei vivere in uno stato di tante miserie". “[...] Povero Battista! sì tu piangi e c’hai ragione: la necessità o meglio quel destino fatale che dappertutto, ed in tutto cipersegue, avendotiora allontanato dalla tua cara Metà e dal­ l'amatissimo tuo bimbo (due creature che il cielo ti destinò in sollievo pei molti mali che ti perseguitano) ed avendoti quindi tolto quel grande conforto, [...], quel destino fatale, certo ti fa oggi provare in tutta la sua forza l’amarezza del calice d’esilio. Ma s’egli è vero che è conforto in chi soffre nel vedere altri in dolore, consolati, caro Battista: e da me che pure piango, ricevi il conforto degli afflitti. Può darsi che tu mi creda più felice di te, perch'io vivo in patria ed io sono di mia famiglia; t’inganni, sempre isolato, accompagnato solo da una tristezza, che pure mi è cara, io fuggo la felicità, perché troppo di questa mi reca disin­ gannato: e te pure, lo credo? Quanti ipocriti, quanti falsi amici, che ti facevano bel viso, quando la fortuna ci era amica; ed ora! Ma è meglio tacere. Qui a Brembate vi è tuttora buonissima compagnia, perché i signori del paese invernano alla campagna; ed io benis­ simo me ne potrei approfittare, se così non fossi diventato, come mi trovo presente. Tu ti ricorderai da quale stato in cui ero, quando l’anno scorso a questi giorni facevamo casa assieme a Torino; Quello era niente al confronto dello stato in cui mi trovo al dì d’oggi; e ti dico il vero, se non trovassi un grande sollievo nella continua occupazione di cui già ti scri­ veva, non saprei come più oltre potrei vivere in uno stato di tante miserie, lo mi son fatto a dirti di me, non è per questo ch’io desideri che tu mi compassioni, ma l’ho fatto perché, facendoti meglio una ragione tu ti possa sentire più forte nel sottostare a tanti mali di cui siamo fatti bersaglio. Ero ansioso di sapere se tua signora era arrivata alla Ranica, per poterla visitare, quando appunto ieri, essendo qui venuto Benedetto con Agliardi a trovarmi, mi disse che stava tut­ tora a Milano. Non so se faccia le feste a Milano, o se conti passarle alla Ranica. Benedetto che ti saluta mi disse della buona salute di tutti di tua famiglia. Ringraziami Gabriele della cara sua del 13 che ricevevo l'altro ieri e gli dirai che andando a Ginevra mi faccia piacere salutarmi Diday e domandargli se abbia ricevuto una mia di que­ sto mese, in cui gli davo una commissione di un piccolo quadro. [...] Ricordami a Gabriele ed al pittore T., scrivimi presto, e non dimenticarti mai del tuo affezionato amico Vittore Tasca"50. La sua continua occupazione è il disegno. In altri passi della stessa lettera il Tasca chiede notizie circa "la commissione di un piccolo quadro" che aveva dato al pittore ginevrino Francois Diday e raccomanda a Battista di sam­ pietro Ronzoni, Interno dell’ex convento dei Francescaniin Bergamo, s.d., in BCB, Bergamo Illustrata, F. 14, n. 47 Disegno di Vittore Tasca, s.d., in BCB, Bergamo Illustrata, F. 28. in cassaforte 4,13 21
  • 24. tare per lui il fratello Gabriele e un non meglio definito "pittore T.”, da noi individuato in Gia­ como o in suo fratello Luigi Trècourt54, dato che, nella successiva lettera, chiederà ancora a Battista di portare i "saluti a Gabriele, Trècourt e Valenti'. Il primo riferimento che testimonia l’interesse di Vittore Tasca per il disegno è quindi rappre­ sentato dalla figura del pittore di gusto romantico Francois Diday55, che egli conobbe sicura­ mente durante il suo esilio in Svizzera. Che sia proprio Francois Diday a indurre Vittore a dipingere ne abbiamo conferma nella suc­ cessiva lettera del 29 dicembre 184956. Lo scritto è particolarmente toccante nella descri­ zione della tristezza che sta avvolgendo Vittore, ma anche commovente nella dichiarazione di amicizia che lo lega a Battista, “quella vera amicizia, [che c’è da] tanto tempo, e che solo la morte potrà troncare". In particolare, Vittore racconta all’amico di aver ricevuto una lettera dal Diday, della sua esortazione a non lasciare il disegno, e del consiglio che il pittore gli diede "di tornare presso lui, che farebbe di me un buon allievo"', confessa pure la sua incer­ tezza nell’intraprendere la nuova strada ed esprime il timore per il giudizio della sua famiglia qualora avesse deciso di dedicarsi interamente alla pittura; perché, sebbene già in questa lettera ammetta: "Questo è pure il mio desiderio", in una successiva del 29 gennaio 185057 scriverà: "Questo è in tutto il mio desiderio, giacché mi vedo tolta la speranza di una qua­ lunque carriera sennonché il pensiero di dover essere ancora di peso ai miei genitori, l’in­ certezza di una riuscita mi sconforta e non so come andrei a finire". Non solo. I saluti al pittoreTrècourt, più probabilmente Luigi piuttosto che Giacomo (che con­ divideva con Vittore l’impegno politico e che in tarda età si ritirerà a Costa Mezzate, dove morirà, presso i conti Camozzi), sono un altro segnale delle frequentazioni di Vittotre Tasca con gli artisti del tempo. Eppure, ravvicinamento alla pittura - passione che lo accompagnerà per tutta la vita e che lo porterà a essere considerato un artista di valore58 - è sì lento ma costante allo stesso tempo. Certo, il sentire del nostro in quel periodo è ancora cupo; tuttavia l’uomo pian piano reagisce. Nella lettera inviata il 6 dicembre del 1949, questa volta a Gabriele Camozzi, esule con il fratello a Pallanza, sul lago Maggiore, Vittore infatti scrive: "Com'io qui me la passi, ti puoi immaginare; benché con quasi tutti del paese [Brembate. n.d.a.] abbia in comune le idee, io cerco di starmene solo più che posso; e nel mio piccolo studio passo quasi tutto il giorno, leggendo, suonando, scarabocchiando e sporcando carte [...]”. E, benché il Raffaelli scriva: “[...] non risulta egli suonasse alcuno strumento", aggiungendo però che al termine dell’avventura garibaldina, quando si ritirerà a Brembate, "la sua grande passione per la musica lo portava ad organizzare nella sua villa, veri e propri concerti con musicistiche gli erano amici[...]’’59, qui, come nella lettera a Gabriele Camozzi del 2 marzo 1850, abbiamo conferma che Vittore suonasse la chitarra60. Nella missiva del 6 dicembre egli aggiunge anche: "Con Picio [s/c] solo, che da giorni si è qui portato per fare ritratti, mi trovo più di frequente, e la sua compagnia ch’è del tutto stramba, trovo che ora mi è più omogenea [...]"61. È certamente curioso come Vittore, che si trova a contatto con uno dei più importanti pit­ tori dell’Ottocento, non dia a quest'ultimo il giusto risalto ma si limiti a definire “del tutto stramba" la sua compagnia e a commentare non già le capacità pittoriche di Carnovali, quanto piuttosto il suo comportamento, che in verità strano era. I biografi riportano infatti che egli amava entrare nell’acqua, che aveva l'abitudine di spogliarsi, mettere gli abiti in un ombrello aperto e lasciarsi trasportare dalla corrente con queU'ombrello vicino62. In ogni modo, il 29 gennaio 185063 Vittore scrive all'aulico Battista, che nel frattempo si era 22
  • 25. trasferito in Sardegna, esprimendo la sua consolazione nel saperlo più sereno “perché que­ ste nuove tue occupazioni, nel mentre mi ricordano le antiche nostre partite di caccia, e mi fanno così piacere". Gli comunica inoltre: “Da dieci o dodici giorni io mi trovo meglio quanto almio stato di malinconia" e aggiunge: “Continuo col disegno e se tutti non miingannano (dei quali molti pittori) mi fanno credere di avere molta disposizione, e che sarebbe pazzia il dismettere da questo". Molti amici e conoscenti, convinti delle capacità di Vittore, cercano infatti di persuadere i suoi genitori a farlo partire per Ginevra, perché continui gli studi col Diday. Nella stessa lettera egli perciò scrive: “Alcuni dei disegni sopra tutti che ultimai in questi giorni, e che spedivo di memoria a mio Padre ed a mia Madre, da quello mi si dice piacquero, e furono causa che molti persuades­ sero i miei Genitori di farmi ripartire per Ginevra, perquivi continuare glistudi sotto Diday che pure con lettera m’incita [.. ]". Tuttavia, il 27 febbraio 1850 Tasca, costretto da una circostanza famigliare che richiedeva la sua presenza, si trova ancora a Bergamo: egli doveva assistere la madre che necessitava di un intervento chirurgico a un occhio. Già nella lettera precedente Vittore si diceva molto preoccupato per la salute della madre: “A tanti dispiaceri che formano il complesso del mio stato infelice, non sono molti giorni che se ne aggiunge un altro che [...] colpisce persona che mi è sopr'altra cara, mi fa essa pure grande dolore. La mia povera Madre ha sofferto di un occhio di catarata, e già si teme del­ l'altro. Nè giorni passati ella si trovava mestissima, e quasi sempre piangeva; ma ora che i medici me l’hanno assicurata essere questa cataratta chiarissima, e quindi di sicura opera­ zione, facendosi ragione, ella va riprendendo il suo solito umore. Fu solo per lei che tanto mi desiderava che l’altra sera io mi portavo a Bergamo per trovarla, da dove poi di buon mattino del dì seguente io ripartiiper qui conservando cosi ancora illesa la vista”. È quindi da Bergamo che scrive ancora a Battista, il quale si trova sempre a Cagliari, comu­ nicandogli la sua intenzione di recarsi a Ginevra per riprendere gli studi di pittura64: “Due giorni di città mi sembrano già due mesi; qui mi sento come un pesce fuor d’acqua. La C.a Grismondi. che visitavo ieri sera, ti fa tanti saluti. Ricordati che mi sei debitore ancora di altra risposta, e che l'avere tue nuove mi è del maggiore piacere. Tutti i tuoi di casa, gli amici tutti, Benedetto e gli altri di mia famiglia, ti fanno tanti e tanti saluti. Addio caro Battista scri­ vimi presto e scrivimi sempre. Il tuo Aff. Vittore Tasca. P.S. Da quanto mipare non è improbabile ch’io ritorni a Ginevra. Perdonami se te l’ho scritto di fretta. Salutami Martinengo Battista, e scrivendo ricordami a Gabriele”. Della decisione assunta informa poi anche Gabriele, con la raccomandazione di non par­ larne però con nessuno: “[...] sempre qui in campagna, io schivo di tutto quanto sa di politica, m’occupo non di rado del disegno e, a seconda delle mie fasi lunari, sto più o meno in società che sempre è qui buonissima, lo non voglio più saperne di legge, che mi dà noia ilsolo parlarne e gliè perque­ sto che mi sono deciso di ripartire per Ginevra per colà continuare nelle pitture. Perprovarle tutte, voglio sperimentare anche questa, ma già me la vedo la fortuna che mi segue dap­ pertutto, farà sì che finisca la mia lacrimevole carriera girovagando qua e là e strimpellando la mia chitarra [...] se non altro ho appreso a tutto sopportare. Da questa mia risoluzione 23
  • 26. .^r-ÌW^ Av t $V ■ •• Sjpte^W^'^'X, - * "'. V^ * : * -:x --i?g. •*«» k. i&Jfcr< '*~V _1!..._"• *.;--yy -•2^; • y - -> ,.-; • - > 'J?jj. /, W é'X; -’y r>*w»’ • Jfri 24
  • 27. però non ho fatto parola ai miei genitori che, da quanto mi si dice, già sono a ciò persuasi, dietro parere dimolti. Sto attendendo la lettera di Diday e se non troverò ostacolipel passa­ porto credo che il tutto andrà a seconda dei miei voti [...]. PS. Di quanto ti scrivo sul mio conto non farne per ora parola perché pochissimi sono di ciò informati [...]"65. Il passaporto non verrà tuttavia rilasciato e Vittore non potrà raggiungere il Diday a Ginevra. Ottenuto comunque il consenso dei genitori a dedicarsi alla pittura, egli si ferma a Bergamo e prende lezioni da Pietro Ronzoni66 e, benché confermi di condurre “una vita ancorinfelice", si ritiene comunque "fortunatissimo" di averlo come maestro: uFu per questo ch'io, volendo poter riprendere la pittura, lasciavo il mio proponimento di restar sempre in campagna, e benché a malincuore rientrai in città. Ti assicuro, caro Batti­ sta, ch’io qui mi trovo come un pesce fuor d’acqua che di qui mi trovo malissimo e che qui certo condurrò una vita ancorinfelice. S’io mi sono risolto a questo passo non fu per capric­ cio, o per desiderio ch'io m’avessi di ritornare in città, ma perché mi era necessaria un’oc­ cupazione, e perché ilperdere più tempo sarebbe stato per me un peccato più grave; molte volte bisogna fare di necessità virtù. In mezzo però a tutto questo posso chiamarmi fortuna­ tissimo di avere a maestro il Ronzoni. Questi che da tempo non voleva scolari, non solo si prestò volentieri a farmi da maestro, ma come s’io fossi stato amico antico, mi aperse il suo studio, lasciando ch’io lo frequenti con tutta quella libertà che sipuò dare ad amico. Come la finirò te lo saprò poi dire". Più sollevato finalmente nel morale, quando da Bergamo il 9 maggio 185057 scrive all’amico Battista che si trova a Genova, Vittore - oltre a raccontare la sua nuova vita cittadina - risponde a tono alle raccomandazioni dell'antico che lo aveva esortato a non dedicarsi com­ pletamente alla pittura, temendo forse che le traversie morali recentemente passate da Tasca e la via di fuga dallo stesso individuata nel dipingere lo distogliessero completamente dall’impegno politico. Così, dopo avergli dato notizie di casa, della moglie, del figlio Cesarino, e dopo l'allusione a un fatto che Battista conosce certo meglio di lui (“dunque si taccia e si speri'), il nostro così scrive: “Già mi ero dimenticato di dirti qualche poco della mia nuova via cittadina; abbi pazienza; benché poco ti possa importare, ascoltami ancora per poco. Da dieci o dodici giorni che mi trovo qui a Bergamo, io non ho visto ancora i borghi, e l’alta città. La quotidiana mia vita è questa; di mattina allo studio; di dopo pranzo a casa; di sera piccola passeggiata, e nuo­ vamente a casa. Ed a proposito di studio, non credere mai che i tuoi consigli mi possano essere sì cari; non rigetto i consigli di chiunque e molto meno quelli dei più cari amici; ma perdonami, tu mi dici nell’ultima tua di non fare della pittura l'unica mia occupazione per­ ché con maggior profitto mio e degli altri potrei applicarmi ad altri studi, et.3 et et.3, ma dimmi un po’t’intendi forse tu che questi studi siano la Legge e compagnia? Se tali io non vedo profitto di sorta per me, e molto meno utile agli altri. Con quelle piccole raccoman­ dazioni che mi stanno alle spalle, posso io sperare un avvenire? Ma tu mi dirai; si possono cambiare le circostanze; volesse il cielo! Ma è tale la ripugnanza ch’io sento ora per que­ sti studi, che se in altri tempi avreipotuto sperare di fare qualche cosa, ora non posso che essere certo di una nulla riuscita. Dunque a quali altri studi vuoi tu ch’io mi applichi? Gli è vero che io conosco pur troppo le circostanze di mia famiglia, e che se non altro per que­ sto avrei dovuto farpiù senno; ma te l’ho detto il perché, e credo m’abbi ben inteso. Non voglio dirti ch’io sia certo di una riuscita in pittura; ciò, questo sarebbe presuntuoso e ridi­ colo; quello che posso dirtidipositivo è che con questa occupazione la vita miriesce meno noiosa, che almeno di presente questa mia occupazione mi è di utile. Al futuro Dio vede. Giovanni Carnovali detto il Piccio, Paesaggio con fiume e gruppo di case, s.d. (ma 1835-1840), matita su carta, 17,3 x 25 cm, Bergamo, collezione privata Villa Tasca e il borgo di San Vittore 25
  • 28. f * e Dio provvede. Ronzoni più che maestro, mi è amico, e come tale mi fa tutte le parzialità. Nell’ultima tua mi dici pure di darti un saggio dei miei progressi in pittura. Certo ch’io non mi sarei dimenticato di dare una memoria al più caro degli amici, ma per il momento per­ donami, io non sono capace di dar saggi Il pensiero di Vittore è ora quello di trovare un’occupazione che sgravi i genitori del suo man­ tenimento e che lo renda indipendente. Le difficoltà economiche della famiglia, che tra­ spaiono tra le righe della lettera al Camozzi, sono per lui infatti ulteriore fonte di preoccupa­ zione e frustrazione. È in questo periodo, però, che si fa incalzante nelle sue lettere il desi­ derio di raccontare sempre più della sua attività di pittore, attività che - forse per reazione - cresce di intensità quanto maggiori sono le delusioni che lo affliggono. Cosi, dal 1850 Tasca, che fino ad allora si era dedicato solo al disegno, inizia a dipingere a olio; ne darà informazione a Battista scrivendogli che ha "incominciato a sporcare tele”68. Il 21 novembre 1850 riferisce poi all'amico che il maestro Ronzoni lo va a trovare a casa e gli porta soggetti a lui cari da copiare; ha sentito inoltre Trècourt, che è in possesso di alcune “figurine dellAdam''69, e al quale chiederà di averle in prestito per l'inverno che passerà ancora in città70. In quell’anno anche il Piccio frequenta probabilmente lo stimato maestro; sembra sia stato infatti realizzato intorno al 1850 lo splendido ritratto di Pietro Ronzoni dipinto dal Piccio e sco­ perto da Bruno Lorenzelli in occasione della mostra al pittore dedicata nel 197471. L’assiduo impegno a dipingere non sempre però riesce a distogliere Vittore dalle pene che prova per l’inattività forzata cui è costretto come sorvegliato politico, pene che lo portano a scrivere, in un momento di particolare abbattimento, di preferire la morte alla vita che sta conducendo. In questa circostanza l’unico sollievo a tali sofferenze è dato solo dal rapporto epistolare con i Camozzi, dalla frequentazione della loro famiglia e dall'affetto verso i fami- gliari, in particolare verso la contessa Giovanna Camozzi Giulini, moglie di Battista, per la quale nutre profonda stima. Così, nell’autunno del 1851 si festeggia il battesimo del figlio di Battista e la cresima del nipote Andrea, padrino del quale, in sostituzione dello stesso Battista, è proprio Vittore. Nella lettera del 13 ottobre egli ringrazia dunque il Camozzi per questo gesto di stima e con­ sola l'amico per la recente scomparsa del padre; non rinuncia tuttavia a manifestare ancora una volta la sua profonda tristezza: a “Carissimo Battista! Da Brembate, 13 ottobre 1851 Non saprei come meglio mostrarti riconoscenza dell’avermi prescelto a supplirti di padrino al tuo nipotino Andrea, che coll’accettare ch’io di tanto piacere assumo quest'incarico che mi da certezza assoluta di tua preferenza d'amicizia. Quanto all’abbisognare o meno qualche prova od altro per supplirti in tale Sacramento, mi sono informato e nulla occorre; basta solo ■ che al momento delle annotazioni sul libro Cresimale dica ch'io sono il tuo incaricato. Tu sei infelice, è vero e tanto più dopo l'ultima più forte disgrazia [la morte del padre, nobile Andrea Camozzi de Gherardi, n.d.a], alla quale mi pare presi parte con tutta la più sincera amicizia. Già prima feci più volte per scrivere a te ed a Gabriele, ma non trovando parola di consolazione mi stavo mancando così al più sacro dovere di amicizia. Mi avete perdonato? Né di presente posso meglio consolarti, che coll’accertarti che insieme a te, altri ve n 'ha, e forse di più infelice, lo caro Battista sono di te più infelice, tutto mi si è oscurato davanti, io non mi vedo destinato che ad una vita a cui meglio ora preferisco la morte, io... ma non posso continuare perché in quest’istesso momento io piango [i puntini di sospensione sono nel testo, n.d.a.]. 26
  • 29. Da dieci o da dodici giorni io sono qui venuto sperando che la campagna mi avrebbe diva­ gato, ma tutt'al contrario essa mi è causa di maggiori dispiaceri. Aggiungi la famiglia divisa, perché mia sorella ammalata in città, mio padre mezzo ammalato in campagna. Almeno in città avevo un’occupazione che mi toglieva permolte ore dalpensare, qui in campagna nep­ pure questa, perché avendo il mio proponimento di studiare dal vero, io non so come inco­ minciare, tanto sono preso da tristi pensieri. Se continuo cosi ritornerò presto alla città per invece d’occuparmi. Ho fatto sapere alla Cont.a Camilla ch’io son sicuramente a sua dispo­ sizione e che non ha che a farmi avvisato perché io mi muova [...]". A scuotere Vittore è però la morte del padre Faustino, awenuta il 14 gennaio 1852. Egli si troverà infatti nella situazione di doversi necessariamente occupare deH'amministrazione dei beni di famiglia. Del resto, il primo fratello di Vittore, Benedetto, ha già una sua professione ben avviata: è ingegnere agrimensore. Nelle sue lettere Vittore ci fa sapere che spesso Benedetto, a causa del suo lavoro, non si fa vedere per diversi giorni: nell’agosto del 1850 lo troviamo infatti a Brembate Sopra per la divi­ sione Zanchi; da altre missive inviate a Genova da Benedetto a Gabriele Camozzi sappiamo poi che egli si è occupato della stima delle proprietà dei Camozzi in seguito alla divisione del­ l’eredità per la morte del loro padre72; nell'aprile del 1856 è invece ad Almenno San Barto­ lomeo per il collaudo delle opere di adattamento dei locali destinati all'ospedale73; nel 1862, infine, troviamo il suo nome nell’elenco degli Ingegneri Architetti Agrimensori civili della città e provincia74. L’ultimo fratello, Isacco, che alla morte del padre ha ventiquattro anni, pur condividendo con Vittore l'amministrazione dei beni (probabilmente anche con l’altro fratello Giovanni, che è sicuramente ancora in vita ma del quale non troviamo traccia nei documenti), non avrà però le capacità per essere un buon amministratore75, come vedremo più avanti leggendo il testamento. È così Vittore che in questo momento si assume l’incarico di gestire le proprietà di famiglia. In un Registro generale dei certificati dei prezzi di gallette dell’anno 1857 troviamo infatti tra i produttori e venditori di bozzoli Tasca Vittore e fratelli domiciliati a Bergamo. L’impegno preso nei confronti della famiglia non lo distoglie però dalla lotta politica. Nel 1856, benché fosse ancora sorvegliato dalla polizia austriaca, ha dunque l'occasione, con Giovanni Morelli76, di farsi promotore per la provincia di Bergamo della sottoscrizione (organizzata da Norberto Rosa di Avigliana77) per aumentare di cento cannoni l'armamento della fortezza di Alessandria78. Il rischio era molto alto, ma in quegli anni, per la causa nazio­ nale, si poteva solo contribuire al rafforzamento della potenza militare del regno sabaudo. Con tutto ciò, dobbiamo anche ricordare che a metà Ottocento le risorse economiche della famiglia di Vittore Tasca avevano ricevuto un duro colpo a seguito di un nubifragio che distrusse il raccolto di alcuni terreni di loro proprietà, gestiti ancora dal padre. Vittore, in una sua lettera del 31 luglio 1850 indirizzata sempre all’amico Battista, riferisce infatti che sono “rozzicati fino all'osso" e che il tempo non viene in loro aiuto per “acquietare almeno in parte i dolori’. Così racconta i fatti: “Nel mentre più che mai avessimo bisogno di buon tempo per acquietare almeno in parte i dolori che ci vengono dall'essere rozzicati fino all’osso, questo pare, sordo ai nostri bisogni, cipersegue; e, come altri Altissimi, ci favorisce prestiti forzati volontari. Sabbato sera un terribile uragano cominciando nelle vicinanze di Lecco costeggiando IAI- benza e venendo a Bergamo, proseguiva il suo viaggio fin presso Sarnico, lasciando dap­ pertutto, dove più dove meno, orribili guasti. Come al solito fortunati, noi fummo favoriti forse meglio di ogni altro. Dei nostri pochi poderi, Conbarile in Brembate di Sopra e [?] a Brusa [?] furono sì orribilmente massacrati, che. non parlando di quest'anno, anche nell'anno venturo, 27
  • 30.
  • 31. possiamo essere sicuri dinon gustare un grappolo d’uva. Il frumento non esiste più neppure da paglia ed il meliconé'9 è quasi tutto rotto dalla pianta. Che stesse lì! Ma tutti i giorni ven­ gono nuovi temporali, e tuttiigiorniora quiora là lasciano nuoviguasti. Fra idanneggiatiperò voi siete quellimeno colpiti, e perquesto ne sento piacere. Ad eccezione credo, dipochiron­ chi alla Costa voi la scansaste nel resto dall'uragano di sabbato Egli, come sempre, intercala informazioni politiche più o meno velate a notizie sulla sua per­ sona o alle novità sulle rispettive famiglie. In questa lettera riferisce ad esempio al Camozzi che il Consiglio di Bergamo si era rifiutato di far parte della delegazione che doveva portarsi a Vienna per partecipare ai progetti di una legge volta a organizzare l'amministrazione politica nel Lombardo-Veneto31. Fa inoltre riferi­ mento alla decisione di Andrea Moretti di accettare la nomina a segretario della camera di Commercio: “[...] nomina, come prima dicevo a lui, cui spiace sotto tutti i rapporti. Di questo eglimidisse, egli pare ancora del parere, ma ha dovuto sottomettersi alla volontà del padre [...]". A questa data, Vittore non sa ancora che di li a due anni, con la morte del padre, anche lui avrebbe dovuto “sottomettersi" alla famiglia e occuparsi della produzione e della vendita dei bozzoli. La stessa sorte era del resto toccata anche a un altro suo amico e pittore, Andrea Marenzi82, anch’egli allievo del maestro Ronzoni e che nel 1866 regalerà a Vittore un suo dipinto83. Sulla “Gazzetta Provinciale di Bergamo" del 22 aprile 1891, in seguito all'articolo Perla morte del- l’on. Vittore Tasca, compare infatti un altro articolo dal titolo / funerali del nob. Andrea Marenzi, morto due giorni prima di Vittore. Ebbene, in esso si scrive: "Perassecondare ai desideri della madre, cui spiaceva che l’amato figlio si allontanasse da lei, rinunciò al perfezionamento nell’arte prediletta, sacrificando alTamorfigliale le tendenze dell’Ingegno [...]. Lasciati i pennelli, si dedicò all’agricoltura, seguendo con occhio intelli­ gente iprogressi, e cercando col suo versatile ingegno, di contribuire allo sviluppo di questa fonte diricchezza nazionale [...]. La provincia diBergamo che ritrae una gran parte della sua ricchezza dall'allevamento deibachi, perde nel nobile Andrea Marenzi uno dei campioni che la salvò dalla crisi che sarebbe venuta in conseguenza delle malattie del filugello. Si distinse pure nell’agricoltura, nella gelsicoltura, nell’introduzione di nuove macchine, di nuovi con­ cimi, di nuove sementi. Non c’era parassita nuovo che da lui non venisse subito studiato ed applicati quei rimedi che venivano suggeriti [...]". Quanto al nostro, è del 18 luglio 1853 il contratto di vendita di bozzoli tra i "nobili fratelli Tasca" e i "nobiliconiugi Caccia". Le firme sul contratto sono infatti di Marianna Lupi Caccia e “Isacco Tasca anche a nome de’miei fratelli assentr. Come sappiamo, Isacco è l’ultimo fratello di Vittore; la partita fu raccolta per la maggior parte nel comune di Brembate, il venditore è lo stesso produttore e si tratta di una grossa quantità ("pesi 192,2"). Dello stesso anno è anche un altro contratto tra il nobile don Anto­ nio Tasca (venditore della partita), zio di Vittore, e Pietro Moretti. La quantità a "bilancia ber­ gamasca" è di "pesi 128, libbre 8 e quarte T il raccolto proveniva per la maggior parte da Brembate e in parte da Ciserano. E, confrontando le quantità vendute dai Tasca con quelle prodotte dagli altri venditori nel distretto di Ponte San Pietro, le prime sono sicuramente tra le più rilevanti84. Nell'anno in oggetto, dunque, il padre di Vittore, Faustino Tasca, era già morto e sappiamo anche dell'impegno del figlio a trovare soluzioni all’epidemia di pebrina che colpì la produ­ zione di bozzoli, quando il baco mediterraneo fu falcidiato e l’industria serica ricevette una Vittore Tasca. Traghetto sul fiume Brembo, s.d., olio su tela, 37 x 29 cm. collezione privata (per gentile concessione della Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino) 29
  • 32. vera e propria battuta d'arresto ritrovandosi per diversi anni con il raccolto distrutto; per que­ sto motivo infatti, a partire dal 1856, si avviò un processo di trasformazione forzata dell’in­ tero sistema della produzione, con graduale sparizione delle filande minori e con bacinelle a fuoco diretto. Così, nella nostra zona, le piccole filande presenti in ogni comunità vennero concentrate a Brembate Inferiore, Presezzo e Ponte San Pietro; negli anni sessanta dell’Ot­ tocento il distretto di Ponte San Pietro si ritroverà poi con sole quindici filande85, mentre a Brembate Sotto ne resteranno solo due, contro le sei presenti a inizio secolo86. In ogni modo, se nell’anno 1857 Vittore e i fratelli vendevano i bozzoli (come compare nel Registro generale dei certificati dei prezzi di gallette di quell’anno), è anche plausibile che o non avessero impianti sufficienti per lavorare tutti i bozzoli che producevano, oppure, in virtù del processo di trasformazione del sistema di produzione della seta di cui abbiamo scritto poco sopra, che non completassero tutte le fasi della lavorazione del baco per ottenere i filati di seta, limitandosi semmai a produrre e vendere le gallette87. Sempre nel giugno del 1857 troviamo quale presidente della “Commissione e la formazione dell'unico prezzo adeguato generale dei bozzoli della provincia di Bergamo" il brembatese Andrea Moretti, quel cugino di Vittore del quale abbiamo precedentemente parlato, nonché altra figura importante per il nostro Risorgimento88, il quale rappresenta i filandieri anche nella "Congregazione municipale della città di Bergamo". Non fa meraviglia allora se Vittore viene incaricato da un'associazione di possidenti costitui­ tasi a Bergamo di cercare all’estero nuove qualità di semi immuni da malattia per far rifiorire l’industria della seta e se quindi nel 1859, al momento dello scoppio della seconda guerra d’indipendenza89, si trova “sul bastimento russo il Chersoneso, dal mar d'Azov diretto a Odessa", impegnato in un viaggio ardimentoso, intrapreso, per alcuni suoi biografi, “senza particolare suo interesse"90, mentre per altri “accettando] di buon grado l'incarico"9'. Vero è che il buon esito dell’operazione avrebbe migliorato la produzione della seta, con il conseguente incremento dell’economia nella provincia di Bergamo. Le benefiche conse­ guenze dell'impresa avrebbero dunque risollevato le sorti di molte famiglie di possidenti ber­ gamaschi, buona parte delle quali annoveravano tra i famigliar'! anche più di un patriota che finanziava i numerosi tentativi rivoluzionari. Non dimentichiamo infatti - come abbiamo scritto sopra - che “presidente della Commissione e la formazione dell’unico prezzo adeguato gene­ rale dei bozzoli" della provincia di Bergamo nel 1857 è Andrea Moretti; che nella commissione della “Congregazione municipale della città di Bergamo", per la parte dei filandieri, vi sono Moretti dott. Andrea, Piccinelli dott. Ercole, Donadoni Filippo, Rampinelli dott. Giovanni, Mor- lani Luigi92; che Giovan Battista Camozzi-Vertova invierà nello stesso anno, alla Camera di commercio, le “Osservazioni fatte durante l'allevamento dei bachi nel 1857" nelle sue pro­ prietà93. Ancora: la famiglia dall’Ovo produceva e commerciava la seta, così come la ditta Francesco Nullo e C., che aveva un grosso stabilimento a elusone e una rete commerciale per la vendita dei filati molto estesa. È doveroso anche ricordare che un battaglione di circa settecento volontari posto agli ordini di Garibaldi sarà equipaggiato a spese dei Camozzi, e che Giovan Battista acquistò dal governo toscano i fucili per il battaglione della Guardia nazio­ nale mobile. Lo stesso Tasca, al ritorno del viaggio in Oriente, offrirà lire 4.000 per la sotto- scrizione a beneficio degli esuli veneti mentre, come componente del Comitato per la raccolta dei fondi, lo vedremo anche promotore della sottoscrizione per un milione di fucili destinati alla causa italiana. Nell’aprile del 1860 presenta a Garibaldi la somma raccolta a Bergamo e riceve, il 30 dello stesso mese, la seguente lettera da Garibaldi stesso: “Carissimo, ho la vostra del 26 e vi ringrazio in nome della Patria della sollecitudine dei vostri perraccogliere mezziperla compera dei fucili, di cui pure avremo bisogno presto. Son d'ac­ cordo vadano le somme raccolte alla direzione di Milano. Un saluto a tutti e credetemi per la vita. Vostro G. Garibaldi’9*. 30 i
  • 33. Comunque, le difficoltà economiche per bachicoltori e filandieri si protrassero per quasi quin­ dici anni, visto che nel Bergamasco, come nel resto della Lombardia, un ritorno alla produ­ zione di bozzoli si ebbe soltanto alla fine del 1860. Cosi, la diminuzione della quantità dei bozzoli disponibili sul mercato e il conseguente aumento di valore degli stessi e delle spese per l’allevamento (che richiedeva ora una particolare cura e attenzione per non incorrere in altre nefaste epidemie) fece sì che gli allevatori orientassero la ricerca verso nuove specie animali, più resistenti, da allevare sul territorio. A questo punto, mentre escono di scena alcuni nomi da tempo protagonisti nelle attività seriche del Bergamasco quali Luigi Sozzi, Giuseppe Caffi, la ditta A.F. Donadoni, nuovi protagonisti si affacciano sulla scena con un’at­ tività imprenditoriale rinnovata nelle forme: la confezione e commercializzazione su vasta scala del seme baco55. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, in seguito alla concorrenza delle sete orientali, verso la fine dell’Ottocento si verificò il deprezzamento dei bozzoli; tale fenomeno, insieme al declino della viticoltura causato dall’oidio e dalla peronospora, acuì il profondo rancore antipadronale dei contadini maturato nel corso dell’Ottocento e che portò poi a violente manifestazioni di protesta con richieste di attenuazione degli aspetti più ves­ santi dei contratti agrari96. In ogni modo, tornando a noi, già in precedenza la ricerca all’estero di nuovi tipi di seme aveva mosso molti agenti lombardi. Il 7 luglio 1858, dalla Camera di commercio e d’industria della Provincia di Como viene infatti inviata una lettera all’Onorevole Camera di Commercio e d'industria di Bergamo firmata dal presidente: “Interessando allo scrivente di sapere se, come viene assicurato, siasi costì formata un'as­ sociazione dipossidenti onde ottenere dall’estero seme di bachi immune da malattia perl'al­ levamento del prossimo anno 1859, ed al caso quali pratiche abbia attivate a tale beneficio scopo e finora con quale risultato, prego la gentilezza di codesta Onorevole Camera a for­ nire in proposito dettagliate informazioni colla maggiore possibile sollecitudine. Nella fiducia d’essere favorito ne anticipo i più vivi ringraziamenti. Il presidente”. A sua volta, il 23 agosto 1858 il consigliere del luogotenente Pagliari invia alla Camera di commercio e d'industria di Milano il decreto 23 agosto n. 24837/3183, nel quale è specifi­ cato: Molti agenti lombardi e francesi si sono recati nelle regioni meridionali del Caucaso, e fino nella Persia, dove dicesi che principalmente in Shiruan e Ghilan l'esito del raccolto sia stato favorevolissimo [...]. Ed ecco, nel 1859, il viaggio di Vittore proprio nel Caucaso. A tale proposito, Giuseppe Locatelli trascrive alcune pagine del diario di Vittore Tasca, con­ tenenti le annotazioni dell’esplorazione attraverso la Persia, il Caucaso e gli Urali. Vittore registrava infatti giornalmente le impressioni che ricavava dal viaggio attorno alla penisola della Tauride e in altri punti dell’Eusino, e lo faceva arricchendole sovente con schizzi al vero e disegni di marine. Sappiamo così che a Kertsch visita la tomba di Mitridate, a Theodosia (Kaffa) vede i resti delle antiche fortezze genovesi, mentre a Balaclava, il luogo dove sbarcò la spedizione condotta da Alfonso Lamarmora, rievoca la guerra di Crimea da poco tempo combattuta. Particolare impressione desta poi in lui Sebastopoli, con i segni del terribile assedio che tenne in scacco la città per undici mesi, dall’ottobre 1854 all'8 settembre 1855, a opera degli eserciti piemontese, francese, inglese e ottomano97. In tale circostanza, lo colpisce soprat­ tutto il fatto che la città, abitata da quarantamila persone prima dell’assedio, al momento della sua visita contasse solo tredici case. Così scrive infatti Tasca: "Insieme ad un ufficiale russo, col quale avevo stretto amicizia e con altri compagni di viag­ gio, andai a vedere le immense rovine e quali’altro di interessante racchiude Sebastopoli. 31
  • 35. Fu una gita che mi fece provare sensazioni inenarrabili. Tutta la città e dintorni non è che un mucchio dirovine. Impossibile trovare una sola delle moltissime case che non sia quasi totalmente distrutta. Vicino alle sponde dei due canali che ripartono la città, si vedono mucchi di proiettili di ogni sorta, ancore, ferramenta d'ogni qualità già appartenente ai molti vascelli che furono colati a fondo nel porto, al tempo della guerra, e che attualmente si vanno estraendo. Più avanti, oltre il Redan, non vedemmo il forte Malakoff. Della terribile torre che costò tanto sangue, non restano che gli avanzi. La bellissima posizione di questo forte, giustifica le immense carneficine dicui fu causa. Essa domina da ogni lato la città e la guarda d’ognisor­ presa dalla parte di terra. Di facciata al forte Malakoff, si vedono quelli degli inglesi, e dalla parte di sud le posizioni tenute dai francesi". Oltre che dall’orrore per le distruzioni, Vittore sembra anche attratto dal campo di battaglia, al punto che continua gli appunti descrivendo il territorio con occhio militare e cercando di individuare quali fossero le posizioni occupate dagli inglesi e quali quelle prese dai francesi: “Noi fummo sino al forte Vittoria (inglese), che sta a molta distanza dal Malakoff. Il terreno in tutti questi contorni è ondulato leggermente, e passando dalle posizioni degliinglesi a quelle occupate dai francesi, il terreno è diviso da un piccolo tortuoso fosso, dell’altezza di 50 o 60 braccia, che si inoltra ad ovest nell’immensa campagna. In questi luoghi potemmo vedere tutte le posizioni degli alleati, le fortificazioni che vi furono costruite perla collocazione delle batterie e le immense parallele scavate pervincere le posi­ zioni nemiche. L'ultima parallela degli inglesi sotto Malakoff, sta a non più di sessanta passi da quel forte. Tutte le parallele sono, quasi per intero, scavate nella nuda roccia. Essendo fatta ora tarda, noi non potemmo proseguire la gita e vedere, perdettaglio, le posi­ zioni già occupate dai francesi e dai sardi. Dall’alto di Malakoff, io potei formarmi un’esatta idea anche di tutte le altre posizioni, mostrandomi il conduttore del calesse quanto mi poteva interessare e facendo di tutto si esatta descrizione da sbalordire perle cognizioni di cuiera edotto: cognizioni assolutamente superiori all’ordinaria intelligenza di un vetturale. Scendendo dal forte Malakoff, passammo un’altra volta il Redan per ritornare in città. Per concepire un’idea dei numerosiproiettili lanciati contro gli edifici di Sebastopoli, special- mente dalle batterie francesi che stavangli di rimpetto, basti ricordare che una parte della muraglia che difendeva il dock, tuttora in piedi, è talmente forata da ogni parte dalle palle di cannone, da presentarsi, a chi passa, come un crivello. Dipresente la città va ricostruendosi e già si vedono molti e belli edifici. Si vedono pure ancora le bellissime baracche di legno già appartenenti al campo francese, le quali, trasportate in città dopo la presa, servono attual­ mente da botteghe Vittore Tasca, dipinto senza titolo del borgo di Brembate ripreso da valle con dedica Alla nob. sig.a Teresa Gritti Morlacchi nata march,a Zurla in attestato di sincera amicizia e stima, Vittore Tasca, 1869. olio su tavola, 29 x 42 cm, Brembate. collezione privata (foto E. Bucherato) Lo scritto non è certo privo di poesia e, leggendone alcuni passi, la sensibilità dell’artista emerge in tutta la sua immediatezza e semplicità, specie quando passa dal rammarico per lo “spargimento di tanto sangue” al desiderio di apprendere le tecniche utilizzate nella battaglia, oppure quando ci fa percepire, nella città che va ricostruendosi, la speranza della pace. "Ritornato a bordo, io non poteva distogliere gli sguardi dagliimmensi avanzi di questa città, piena di tante gloriose memorie. La luna che, nella sua pienezza, spandeva ilpoetico lume, serviva a rendere sempre più interessante la vista ed a farmi provare commozioni che mai fino ad ora, provai di eguali. Erano le nove di sera, quando, ottenuto ilpermesso dal capitano di bordo, lasciavo il battello per fare, al chiaro di luna, un giro sui bastioni, che si stendono lungo il mare. Tutto questo Vittore Tasca, dipinto senza titolo del borgo di Brembate ripreso da monte con dedica Alla nob. sig.a Teresa Gritti Morlacchi nata march,a Zurla in attestato di sincera amicizia e stima. Vittore Tasca, 1869, olio su tavola, 29 x 42 cm. Brembate. collezione privata (foto E. Bucherato) 33
  • 36. passeggio non può essere più bello. La larghezza dei bastioni è presso a poco, quella dei nostri di Bergamo. In un certo punto, vitrovai i tre monumenti che mi dissero essere quelli dei tre ammiragli russi morti nella difesa. Anche lungo tutti questi bastioni non si vedono che mucchi di rovine. Circa la mezzanotte ritornai a bordo e ne passai il resto assistendo un ufficiale preso d'im­ provviso dai dolori colici. Dopo aver riposato poche ore, mi alzai per osservare più minutamente il bellissimo porto della città, alla cui imboccatura si vedono gli unici due forti stati risparmiati all'epoca della guerra: il forte Costantino, e l’altro che gli sta dappresso. Nelporto si vedono ancora spuntare, qua e là, dall'onde molti alberi di bastimenti che furono calati a fondo durante l’assedio. Bellissimo è il vedere le macchine di cui ora si servono per estrarre quei bastimenti. Certo colonnello americano, col quale da Sebastopoli ho fatto il viaggio fino a Odessa, è incaricato di questi lavori'98. Un dato è certo: la profonda cultura fondata su solidi studi classici, la grande sensibilità pro­ pria dell’artista, la straordinaria energia con la quale affrontava la vita permisero a Vittore di cogliere alcuni aspetti del viaggio in Oriente che gli favoriranno più tardi l’amicizia con Alexandre Dumas (padre99) quando, durante la spedizione dei Mille, furono entrambi ospiti per un breve periodo dei baroni Fiandracca a Caltanissetta. Qui il romanziere francese ascoltò con grande interesse i racconti di Vittore e del suo viaggio in Oriente, traendone spunto - così scrive Adamoli - per alcuni episodi che apparvero poi nei libri di Dumas ambientati nelle regioni orientali100. Sappiamo infatti che tra le Impressions de voyage di Dumas, vi sono anche quelle sul Caucaso101. Non siamo invece a conoscenza se il Tasca abbia effettivamente raggiunto l'obiettivo per il quale aveva intrapreso il diffìcile viaggio; vero è che pare stesse per intraprenderne un altro quando sentì della spedizione garibaldina, che determinerà la tanto agognata svolta della sua vita. In ogni modo, dal 1859 in poi in Lombardia si era verificato qualche miglioramento circa la produzione dei bozzoli, mentre il Caucaso e l’Asia furono colpiti a loro volta da un analogo flagello102. Facciamo ora un passo indietro. Vittore, lo abbiamo già ricordato, nell’aprile del 1860 fu tra i promotori della sottoscrizione per l’acquisto di un milione di fucili per la causa italiana, ma soprattutto si interessò della costituzione della Guardia nazionale e del reclutamento dei volontari garibaldini, che avvenne nel teatrino dei Filodrammatici di via Borfuro: “Un tavolo sgangherato nascosto dalla prima quinta delpalcoscenico rischiarato da un lume ad olio dietro il quale sedevano Francesco Nullo e Luigi Cucchi era l’Ufficio Arruolamenti dove si raccoglievano le adesioni dei volontari reclutati da Vittore Tasca e Daniele Piccinini membri del Comitato d’Azione bergamasco [...]"103. Il 5 maggio del 1860104, a fianco di Francesco Nullo, di Francesco Cucchi105 e di Luigi Enrico Dall’Ovo (quest'ultimo dividerà con lui il vicecomando dell'8a compagnia dei Mille, composta in prevalenza da bergamaschi e comandata dal pavese Angelo Bassini poiché Nullo, desi­ deroso di trovarsi più vicino a Garibaldi, rimase allo Stato maggiore e non accettò l'offertogli comando dell’8a compagnia106), il nostro si imbarca da Quarto al seguito di Giuseppe Gari­ baldi del quale, come ci fa sapere l’amico Giovan Battista Camozzi nelle sue note mano­ scritte al libretto di Giuseppe Locatelli, il Tasca è un "ammiratore, e dirò quasi adoratore"'07. In tale frangente villa Tasca ritorna allora protagonista, questa volta come punto di riferi­ mento di parenti e amici per la lettura delle lettere di Vittore. Bettina Albani (la contessa Eli­ sabetta Albani che il 22 giugno 1864 andrà sposa al fratello minore di Vittore, Isacco) così scrive il 9 giugno 1860 alla zia, la nobile signora contessa Paolina Varese di Rosciate: 34
  • 37. "In questo punto siamo state in casa Tasca a sentire la lettura delle lettere di Vittore, arri­ vate pochi momenti sono: tutto colà arride alla nostra causa; i regi sono quegli che conti­ nuano a cercare il prolungamento delTarmistizio, e frattanto nelle loro truppe vi è una con­ tinua diserzione; là si tiene per sicura tra non molto tempo l'annessione delle due Sicilie al nostro regno cioè al Piemonte. In ogni modo questa è l’idea di Garibaldi, e se non vorranno arrendersi nella maniera che Egli è stato vittorioso fino al presente, Dio speriamo lo pro­ teggerà fino alla fine. Vittore dice che Garibaldi è l'ideale di tutte quelle nazioni e che esse corrono sotto la sua bandiera come per incantesimo. Il medesimo Tasca è stato illeso da ogni minima ferita benché abbia preso parte ad ogni combattimento. Sonvi alcuni feriti Ber­ gamaschi ma per tutti ewi speranza di vita. Eccoti che notizie fresche freschissime appena giunte tu le hai prima di qualunque altro bergamasco perché noi fummo presenti all’aper­ tura delle lettere. Addio, perdonami se ho scritto da gallina, ma ho scritto con una gran fretta, poiché sento voglia di scrivere anche a Alzano. Ricevi un bacio dalla tua Bettina"1C8. Quanto ai fatti, dallo sbarco a Marsala dell’11 maggio, perVittore è tutto un crescendo di suc­ cessi e promozioni. Il 15 si svolge la battaglia di Calatafimi: il suo comportamento in questa circostanza gli vale la nomina di tenente e successivamente l'incarico di capitano coman­ dante dell’8a compagnia, quando Bassini passò a comandare il 2° battaglione. Vittore avrà modo di narrare la giornata in una lettera inviata da Palermo e apparsa il 15 giugno sul sup­ plemento straordinario della "Gazzetta di Bergamo": "[...] in questa occasione la mia Compagnia che è composta tutta da Bergamaschi ha dato prova di vero valore. Il Generale ne fece le più grandi lodi. Della Compagnia suddetta furono messi fuori combattimento tre morti e feriti trentadue soldati. Mi dimenticavo di dirvi che il nostro Corpo era allora di poco più di mille uomini e male armati [...]"109. Dal 27 al 30 maggio si combatte poi la battaglia di Palermo e Tasca difende una barricata nei pressi di porta Termini; qui, presso il convento dei cappuccini, Vittore, ferito leggermente all'occhio sinistro, continua a combattere per più di sei ore consecutive, “riportando tale con­ tusione alle reni che m'impediva quasi di camminare"', il giorno successivo il soldato Crescini gli salva la vita, come annota nel suo diario scritto a matita, diario che documenta però solo metà dell’avventura (e anche questa con alcune pagine bianche) e che Locateli! cercherà di colmare nel suo scritto110. Così, infatti, scrive Tasca: "Dopo aver ucciso un ufficiale che s'avanzava a passo accelerato all’assalto, io mi vidi quasi faccia a faccia con un capitano, che fu il primo ad entrare nella barricata. Subito dietro di lui veniva un sergente che, mentre io mi scagliava contro il capitano, mi tirò un colpo di baio­ netta, dal quale fuisalvato dalmio soldato Crescini. Subito dopo, alla distanza dipochipassi, mi si fece una scarica di molte fucilate. Seguì poi un armistizio [...]”. Sempre dal diario di Vittore Tasca sappiamo che l'8 giugno si costituisce la XV divisione Cac­ ciatori delle Alpi [le prime quattordici facevano parte dell'esercito piemontese, n.d.a.], com­ posta da due brigate divise in tre battaglioni ciascuna; la 1a compagnia del 3° battaglione della 2a brigata è affidata al suo comando. Il 20 giugno la 2a brigata lascia Palermo e il 3 luglio Tasca è a Caltanisetta, ospite del barone Fiandracca, dove si intrattiene con Dumas. Il 15 luglio la 2a brigata arriva a Catania, dove viene istituito un 4° battaglione affidato a Tasca, nel frattempo promosso maggiore; poi, tra il 24 e il 25 agosto i volontari attraversano lo stretto di Messina e il 15 settembre arrivano a Caserta. 35