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QUI SI FA
IL PONTE!
Nel 1864 nasceva la “Società Bergamasca per la Fabbricazione
del Cemento e della Calce Idraulica”.
Oggi Italcementi è a capo di un Gruppo con 60 cementerie,
547 impianti di calcestruzzo e 155 cave di inerti.
Con un fatturato di oltre 4 miliardi di euro e più di 17.000
dipendenti in 19 paesi, è tra i leader mondiali nella produzione
e distribuzione di cemento.
A world class local business
www.italcementigroup.com
www.italcementi.it
Aerotermica Bergamasca srl – Songavazzo
Arredamenti Brasi – Songavazzo
Azienda agricola Cà di Lene di Covelli Davide – Songavazzo
Banca Popolare di Bergamo Spa – Clusone
Bar Palù di Zamboni Ennio – Songavazzo
Benzoni Moto – Songavazzo
Carrozzeria Ferri Mario – Songavazzo
Co.Ge.Pe. srl – Songavazzo
Derby snc Bar Pizzeria di Giacometti Giovanni – Songavazzo
Ecogeo srl – Bergamo
Esseti snc – Songavazzo
Fap Auto scarl di Ferri Silvano – Songavazzo
Gabrieli Marino – Songavazzo
Gruppo Bonaventura S.B. srl – Gorno
Impresa Edile Zamboni Giacomo – Rovetta
Lineall srl di Enrico Pellegrini – Cerete
Merletti Mario srl – Clusone
Studio 92 di Covelli geometra Giovanni – Songavazzo
Studio Associato Gasparini – Oprandi – Clusone
Tecnoarreda di Benzoni & Pezzoli snc – Songavazzo
Comune di Songavazzo Centro Studi e Ricerche
QUI SI FA
IL PONTE!
La storia di un’innovativa
opera in cemento armato:
il ponte del 1910 di Cortese
in Val Borlezza
a cura di
Sergio Del Bello
Gennaro Guala
Comune di Songavazzo Bg
Ideazione e progettazione
Centro Studi e Ricerche
“Archivio Bergamasco”
www.archiviobergamasco.it
Direzione e coordinamento
Sergio Del Bello
s.delbello@tiscali.it
Assistenza alle ricerche documentarie e iconografiche
Marco Duina
Finanziatori
Comune di Songavazzo
Italcementi Group
Enti sostenitori
Provincia di Bergamo
Comunità Montana Valle Seriana Superiore
Comune di Castione
Comune di Cerete
Comune di Clusone
Comune di Fino del Monte
Comune di Gorno
Comune di Onore
Comune di Rovetta
Parrocchia di S. Bartolomeo Apostolo
di Songavazzo
AVS Associazione Volontari Songavazzo:
Gruppo Alpini,
Protezione Civile,
FIDAS.
Introduzione
Giorgio Bigatti, docente,
Storia economica Università Bocconi di Milano
Autori
Maurizio Acito, ingegnere,
professore a c., Politecnico Milano
Sara Belviso, laureata in Pedagogia e Filosofia,
insegnante di Rovetta
Stefano Cangiano, ingegnere,
CTG-Italcementi Group
Tiziana Carrara, geologo, professionista
Museo di Scienze Naturali di Lovere Bg
Sergio Chiesa, geologo,
Primo Ricercatore del CNR - IDPA
Cristina Citroni, antropologa,
Università di Bologna
Umberto Costa, ingegnere,
CTG-Italcementi Group
Sergio Del Bello, archivista,
ricercatore di storia locale
Omar Fantini, ingegnere, professinista
Carla Ferliga, geologo
Carla Fausti, architetto
Coop. A.R.C.A. Gardone Val Trompia Bs
Gennaro Guala, ingegnere
CTG-Italcementi Group
Diego Marsetti, geologo,
Ecogeo srl di Bergamo
Antonio Migliacci, ingegnere,
Politecnico di Milano
Tullia Iori, ingegnere,
Università degli Studi Tor Vergata di Roma
Simona Nogara, laureata in Scienze
Ambientali, professionista
Paolo Oscar, architetto,
Cartografia derivata e sistemi informativi
territoriali
Paolo Pezzoli, ingegnere, professionista
Cesare Ravazzi. Dottore di Ricerca in Scienze
della Terra, CNR - IDPA.
Collaboratori e autori di contributi scritti
Alberto Benzoni, geometra,
tecnico comunale di Songavazzo
Giacomo Benzoni, laureato in Lingue,
insegnante di Castione della Presolana
Nello Camozzi, art director
Marco Cortese, ingegnere,
nipote di Luigi Cortese
Adriana Covelli, già impiegata comunale
di Songavazzo
Bruno Covelli di Songavazzo
Carlo D’Agata, geologo, dottorando
Marco Duina, geometra
Silvia Marinoni, laureata in Scienze Naturali,
insegnante di Rovetta
Sonia Mazzeschi, moglie di Marco Cortese
Carlo Meller di Songavazzo
Stefano Mora, ingegnere, professionista
Giuseppe Moro, ingegnere, già dirigente della
Provincia di Bergamo
Riccardo Nelva, ingegnere,
Politecnico di Torino
Camillo Pezzoli, storico locale di Rovetta,
Circolo Culturale Baradello di Clusone
Giovanni Re, geometra, topografo,
professionista.
Altri collaboratori, qui non riportati, sono
citati nei singoli saggi.
ISBN - 88-901581-0-7
Copyright © 2004
by Comune di Songavazzo Bg – Italia
I diritti di traduzione, memorizzazione
elettronica, riproduzione e adattamento totale
o parziale, con qualsiasi mezzo (compreso i
microfilm, le copie fotostatiche e le scansioni),
sono riservati per tutti i paesi.
• Il volume è consultabile in formato digitale,
sul sito internet dell’Archivio Bergamasco.
Grafica, impaginazione e scansione fotografie
Gianluca Brambati, grafico e web designer
www.bybite.it
Scansioni tavole dei progetti storici
Archivio Disegni - Italcementi Group
Aerofotografie
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Ortofoto di p. 31, 35: Terraitaly™ - ©
Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.a. -
Parma - www.terraitaly.it
V
SOMMARIO
Presentazione di Sergio Del Bello
Introduzione di Giorgio Bigatti
Comune di Songavazzo
Scheda di Giacomo Benzoni e Adriana Covelli
Comune di Rovetta
Scheda di Camillo Pezzoli
Analisi storica
Premessa di Gennaro Guala
Cristina Citroni
Il ponte di Songavazzo tra immaginario e realtà.
Una lettura in chiave simbolica delle tradizioni orali
Sara Belviso
Una raccolta di fonti orali sul ponte di Songavazzo.
Ricerca scolastica
Carla Fausti
I ponti ottocenteschi sul Valeggia.
Vicende storiche e indagine architettonica
Tullia Iori
Il ponte sul torrente Valleggia nello sviluppo del cemento armato in Italia
Gennaro Guala
Il ponte in cemento armato di Luigi Cortese
Analisi tecnica
Premessa di Gennaro Guala e Antonio Migliacci
Diego Marsetti
Caratteristiche geotecniche in corrispondenza del ponte vecchio fra Rovetta e
Songavazzo
Luigi Cassar, Stefano Cangiano, Umberto Costa
Caratteristiche fisico-meccaniche e miscrostrutturali dei calcestruzzi del ponte
del 1910
Maurizio Acito, Gennaro Guala, Antonio Migliacci, Paolo Pezzoli
Studio sperimentale-teorico del ponte in calcestruzzo armato del 1910
P A R T E P R I M A
PARTE SECONDA
pag. XI
XIII
XX
XXIV
pag. 1
11
15
27
89
95
pag. 197
215
225
233
VI
Analisi idro - geologica
Premessa di Sergio Chiesa
Diego Marsetti
Assetto idrogeologico e geologico tra Onore e Songavazzo
Carla Ferliga
Dall’emersione della catena orobica alla dinamica attuale.
Storia del modellamento “postorogenico” del territorio
Sergio Chiesa, Cesare Ravazzi, Carlo D’Agata, Silvia Marinoni, Paolo Oscar
L’evoluzione geomorfologica e ambientale della Valle del Valeggia
con particolare riguardo al tratto tra Songavazzo e Rovetta negli ultimi due secoli
Tiziana Carrara, Simona Nogara, Omar Fantini
Idrogeologia e climatologia della Valle Borlezza.
Gli effetti sul ponte di un possibile evento di piena
P A R T E T E R Z A
pag. 261
267
297
323
345
VII
Con molta soddisfazione la nuova amministrazione comunale porta a compimento il
progetto, avviato nel 1998, di studio del ponte “vecchio” di Songavazzo. Abbiamo volen-
tieri raccolto quanto ci hanno trasmesso su questa iniziativa le due precedenti
amministrazioni guidate da Giacomo Benzoni. É stato un cammino lungo ed impegna-
tivo. A noi è toccata, proprio come è avvenuto nel 1910 per la costruzione del ponte,
la responsabilità di portarlo in porto. A chi ci ha preceduto va il merito non solo di aver-
la avviata e sostenuta, ma di aver creduto nella sua validità ed importanza.
Una riconoscenza particolare va al Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”
che, nella persona di Sergio Del Bello, all’epoca presidente del sodalizio, ha ideato e coor-
dinato il progetto con attenzione e competenza. Per quasi sei anni il Centro studi ha
seguito tutte le fasi della ricerca, curando i rapporti con gli studiosi e gli specialisti,
fornendo assistenza per l’individuazione e la selezione della documentazione archivi-
stica, bibliografica ed iconografica.
Al progetto hanno aderito e fornito contributi oltre a tutte i comuni limitrofi, la Comu-
nità Montana Valle Seriana Superiore e la Provincia di Bergamo. Al conseguimento
di questo ampio consenso ha contribuito lo stesso Centro studi, che ha voluto sempre
far presente il significato simbolico e reale del ponte: un collegamento fra le comunità
delle due sponde della Valle del Valeggia.
Ad oltre novant’anni dalla sua costruzione il “nostro” ponte ancora oggi affascina e stu-
pisce per la sua arditezza, spettacolarità e contemporaneità. Un’opera d’ingegno e
nello stesso tempo la testimonianza della capacità dell’amministrazione di allora di supe-
rare se stessa. Il bilancio comunale di quegli anni non avrebbe mai permesso di sostenere
la spesa preventivata. La ricchezza costituita in prevalenza dai boschi comunali era tale
che si potè, con l’aiuto ministeriale, finanziare la più grande e costosa opera edilizia
mai edificata in Songavazzo dopo la parrocchiale.
I risultati delle ricerche condotte hanno permesso di identificare il vero progettista del
ponte, l’ing. Luigi Cortese, mentre fino ad ora la credenza popolare lo identificava nel
sostituto dell’appaltatore, l’ing. Giorgio Neumann.
Altri importanti aspetti della storia delle comunità di Rovetta e Songavazzo sono stati
affrontati dagli autori: la storia dei precedenti progetti ed un approfondito studio
ingegneristico del ponte e geologico della valle.
Un cordiale ringraziamento va alla società Italcementi Group che ha condiviso da subi-
to il progetto fornendo una collaborazione via via sempre più intensa e determinante.
Dalle analisi sullo stato di salute del ponte, allo studio della sua progettazione e rea-
lizzazione fino alla proposta di un modello di riferimento per future analisi di manufatti
storici simili. Oggi come allora l’Italcementi è stata protagonista della vicenda del
ponte e della sua epoca, a testimoniare una continuità storica dell’azienda unica
nella nostra provincia e fra le poche del territorio lombardo.
Doveroso è anche un riconoscimento infine ai ricercatori del CNR- IDPA sede di Dal-
mine, che hanno diretto e coordinato gli studi geologici e idrologici del Valeggia; forse
il più importante e articolato lavoro di questo genere condotto su questo territorio, che
ha saputo raccogliere e sviluppare i risultati del gruppo “Storie di ghiaccio, di pietre,
di foreste”.
Songavazzo, 30 ottobre 2004
Paolo Zorzi
Sindaco di Songavazzo
VIII
IX
È giunto a compimento il progetto di ricerca e studio storico scientifico sul ponte di
Songavazzo, avviato nel 1998 dall’Amministrazione comunale di Songavazzo su pro-
posta del Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”.
Ad Italcementi è stato richiesto di affiancare i ricercatori e gli specialisti del gruppo”Sto-
rie di pietre, di ghiaccio, di foreste” che, avvalendosi anche delle fonti orali ed archivistiche,
hanno condotto una approfondita indagine storica, idrogeologica e geotecnica del
sito su cui è stato edificato e dell’ ambiente che lo include.
Abbiamo accolto di buon grado questo invito, sicuri che le analisi e le indagini speci-
fiche sul manufatto avrebbero completato un quadro che, nel ricco contesto delineato,
avrebbe dato al ponte la centralità che si merita.
Di buon grado, ripeto, in quanto questo ponte, realizzato nel 1910, era allora, ma rima-
ne ancora oggi, un’opera d’arte e di ingegno nel campo del costruire; contemporaneamente
ci premeva verificare lo stato di conservazione di una struttura, che sta avvicinandosi
ad un secolo di vita, realizzata con il cemento prodotto nel cementificio di Alzano Mag-
giore, dalla “Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche – Società Riunite Italiane
e Fratelli Pesenti” divenuta Italcementi nel 1927.
Produrre cemento di buona qualità non è cosa facile. Non lo era ieri e non lo è oggi;
basta tener conto delle difficoltà che si incontrano nel reperimento delle materie prime,
della complessità degli impianti moderni, della serie di severi controlli che caratterizza-
no ogni fase produttiva e delle continue sperimentazioni e studi necessari all’affinamento
e alla diversificazione del materiale, per renderlo idoneo agli impieghi più svariati in
calcestruzzi esposti in ambienti caratterizzati anche da elevati livelli di aggressività.
Quindi, anche in considerazione delle difficoltà che si incontrano nel produrre questo
materiale che è alla base dello sviluppo edilizio e urbanistico di ogni moderna società
civile, siamo lieti quando possiamo constatare che – in senso strettamente tecnologico
e non – il cemento viene ben utilizzato.
Così come siamo stati lieti di aver potuto verificare che il buon cemento ed il buon cal-
cestruzzo con cui è stato realizzato questo ponte hanno assicurato per così tanto tempo
la sua funzionalità.
Si è giunti a queste conclusioni in base ai risultati positivi di una serie di approfondite
indagini, concordate con l’Amministrazione comunale di Songavazzo, parte eseguite
dai nostri laboratori e parte da ditte specializzate esterne da noi incaricate ed alle
verifiche teoriche che, partendo dalle informazioni e dai dati ricavati dalle citate
indagini, sono state fatte presso la Scuola di Specializzazione in strutture in cemento
armato “Fratelli Pesenti” del Politecnico di Milano. L’insieme di questi studi e gli interes-
santi risultati ottenuti sono riportati in questo volume, che, oltre ad essere uno strumento
prezioso a disposizione di chi ha in carico la gestione del manufatto, può servire ai
tecnici del settore come traccia operativa per la valutazione della capacità portante attua-
le di strutture costruite nel passato e di cui non si conosce la storia né dei carichi cui
sono state assoggettate né dei “traumi”che possono aver subito durante il loro eserci-
zio. Non è fuori luogo ricordare che l’analisi ed il recupero delle opere tramandateci
dalle generazioni passate al fine di poterle utilizzare in tutta sicurezza è un impegno
a cui non ci si può sottrarre oggi, e sarà sempre più impegnativo nel futuro.
Convinto della valenza culturale e scientifica di questo lavoro, desidero ringraziare il
Comune di Songavazzo, che ha sostenuto l’iniziativa e ha messo a disposizione il suo
archivio esemplarmente conservato, il Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”
e tutti coloro che con impegno e competenza hanno svolto e approfondito le ricerche e
hanno esaurientemente trattato i vari temi che costituiscono i capitoli di questa inter-
disciplinare, ma organica, opera, considerando beneaugurate la coincidenza, nel 2004,
tra la sua stampa ed i centoquaranta anni di vita della nostra Società.
Bergamo, 30 ottobre 2004
Carlo Pesenti
Consigliere Delegato Italcementi S.p.A.
X
XI
PRESENTAZIONE
Sergio Del Bello
Nel corso del lavoro di riordino ed inventariazione dell’archivio storico del Comu-
ne di Songavazzo, avviato alla fine del 1996 e terminato nel 1999, ho avuto la fortuna
di consultare la documentazione riguardante la storia della comunità lì conservata.
L’archivio conserva infatti una ricca ed interessante documentazione ottocentesca fra
cui in particolare quella riguardante il problema del collegamento stradale fra le
comunità di Rovetta e Songavazzo, poste sulle due sponde opposte del torrente Valeg-
gia. Vi sono tutti i progetti di costruzione di nuovi raccordi stradali e dei relativi
ponti. Non solo, è presente pure un consistente carteggio riguardante le contese
fra i possidenti delle comunità interessate, le pratiche per le autorizzazioni con le
autorità sovracomunali, i problemi del reperimento delle risorse finanziarie ed i rap-
porti con i progettisti. Questa abbondante quantità di documentazione si è rilevata
straordinaria e singolare rispetto a quanto di norma si conserva nell’archivio di
una piccola comunità di montagna. In specifico la maggiore concentrazione di mate-
riale è stata trovata nei fascicoli relativi agli unici due progetti realizzati: il primo,
quello di Fedrighini, iniziato nel 1826 e l’ultimo, quello di Cortese completato nel
1910. Nel mezzo altri progetti mai realizzati ma costati alla piccola amministrazio-
ne molto in termini economici e di sviluppo. Arricchiscono inoltre la documentazione
una serie di pregevoli tavole di disegno, acquarellate a colori, con le planimetrie, i
prospetti e le sezioni delle opere in progetto, qui quasi tutte riprodotte.
Stimolato da questa considerevole concentrazione di documenti d’interesse storico
e spinto dalla curiosità di scoprire quali siano state le motivazioni che hanno por-
tato l’Amministrazione a sostenere così tanti sforzi e spese e per così lungo tempo,
ho iniziato ad indagare sulla questione. Mi sono trovato così subito in un campo
pressoché inesplorato: nessuna pubblicazione e studio sull’argomento. Solo qualche
notizia nelle pubblicazioni di storia locale e nei bollettini parrocchiali di Rovetta e
S. Lorenzo. Inoltre non mi era di aiuto quanto tramandato dalla tradizione popola-
re poiché fondato più su leggende e superstizioni che su verità storiche. La pila
superstite, ad esempio, di quello che poi si scoprirà essere il ponte Fedrighini, era
ritenuta di origini molto antiche, forse addirittura romane e il ponte del 1910 lo si
voleva progettato da un ingegnere tedesco. Altra componente di grande interesse ed
attualità era il comportamento anomalo del Valeggia. Un torrente normalmente in
secca ma che diviene particolarmente impetuoso e addirittura devastante in caso
di forti piogge. Raccoglie infatti le acque dell’intero bacino idrografico prealpino del
Borlezza, la cui portata poi si scoprirà essere particolarmente consistente e volu-
minosa. Parecchi infatti sono i casi documentati in archivio di eventi di piena che
hanno procurato danni anche molto consistenti alle opere stradali poste lungo il suo
corso. Fra questi vi è lo stesso ponte di Fedrighini distrutto definitivamente nel 1842.
Mi è d’obbligo citare l’esperienza del gruppo di ricercatori interdisciplinari forma-
tosi per la pubblicazione nel 1996 del catalogo della mostra “Storie di ghiaccio, di
pietre, di foreste”, ideata e coordinata da Nello Camozzi, a cui sono stato chiamato
a collaborare. La partecipazione ai lavori successivi del gruppo, quali quelli per la
ripresentazione della mostra a Castione della Presolana, nel 1997 e ancora a Ber-
gamo nel 2001, mi avevano di fatto portato a coinvolgere nella mia indagine i
componenti dello stesso. E’ in questo contesto che assieme a Nello Camozzi, a
XII
questo gruppo di ricercatori e al Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”, pro-
pongo all’Amministrazione Comunale di Songavazzo di allestire una nuova mostra
sulla storia dei ponti e del Valeggia. La proposta ottiene subito il parere favorevole
ed un primo importante finanziamento. Iniziano così le prime ricerche sui ponti e
la valle e si assegnano gli studi secondo le competenze dei vari componenti del grup-
po. Fatta una prima verifica ci si rende conto che le risposte ai miei iniziali interrogativi
rappresentano un problema non facilmente risolvibile. A questo punto si decide di
coinvolgere altri specialisti e il gruppo dei ricercatori viene ampliato. Fra questi è
di rilievo il coinvolgimento dell’ing. Gennaro Guala dell’Italcementi, dell’arch.
Carla Fausti della Cooperativa ARCA di Brescia e del geom. Marco Duina di Cluso-
ne. Il primo seguirà la vicenda del ponte progettato dall’ing. Luigi Cortese, la seconda
quella del ponte Fedrighini e dei successivi poi mai realizzati e il terzo le verifiche
sul territorio, le ricerche archivistiche e l’analisi tecnica dei progetti. Il nuovo grup-
po avvia i lavori di ricerca nel 1999 avvalendosi prevalentemente della documentazione
presente nell’archivio comunale di Songavazzo, che, essendo riordinata, è ora facil-
mente consultabile. A Sergio Chiesa e Cesare Ravazzi del CNR - IDPA Istituto per
la Dinamica dei Processi Ambientali, sezione di Milano (all’epoca ancora Centro di
Studio per la Geodinamica Alpina e Quaternaria), si affida il coordinamento degli
studi geologici, geotecnici e idrologici, condotti dai componenti del gruppo “Storie
di ghiaccio, di pietre, di foreste”. Nel frattempo la società Italcementi, che nel 1910
aveva fornito il cemento per la costruzione del ponte, effettua un’importante diagno-
si del ponte sottoponendolo ad una serie di particolari prove e test. L’esito delle
analisi, che formano quasi tutta la seconda parte del volume, risulta positivo e
conferma che il ponte si trova in buon stato di conservazione e stabilità.
Le ricerche e gli studi continuano con nuove scoperte ed importanti novità. Carla
Fausti conclude la ricostruzione storica del ponte Fedrighini, posto sulla vecchia stra-
da Songavazzo – S. Lorenzo – Clusone e, finalmente, ad appurare che la famosa pila,
oggi inesistente, è il rudere superstite di questo ponte, e Gennaro Guala, con tanto
di prove documentali, attribuisce il progetto originario del ponte non a Giorgio Neu-
mann (che fra l’altro non è tedesco ma di Firenze) ma all’ing. Luigi Cortese di Clusone.
Il luogo scelto per la costruzione del ponte in cemento armato è il risultato di una
lunga ed altalenante diatriba fra più progettisti e fazioni sia interne al comune che
fra i comuni limitrofi. Le contrapposizioni sorgono fra chi sostiene la soluzione
con la linea alta e chi quella bassa, chi vuole il riutilizzo della pila superstite del
ponte Fedrighini e chi vuole un nuovo ponte, fra chi sceglie un nuovo tracciato stra-
dale e invece chi sollecita il potenziamento di quello esistente. Dopo quasi settant’anni
di discussioni, polemiche e scontri, ecco finalmente il Genio Civile e di seguito il sin-
daco e il progettista, prendono una decisione storica: stabiliscono definitivamente
dove si costruirà il ponte (Qui si fa il ponte!).
Il gruppo dei geologi conduce distintamente indagini sull’origine e formazione della
valle, sul bacino idrografico, la dinamica del modellamento del territorio oltre ad
analisi geotecniche localizzate nella zona del ponte Cortese. Si effettuano inoltre
studi sulla portata ed entità degli eventi di piena del bacino. La scelta del sito per
il nuovo ponte non è quindi risultata casuale ma determinata dalla natura del ter-
reno, come qui si dimostra: sfrutta la presenza di formazioni rocciose (più esattamente
conglomerati) e si situa in una posizione strategica.
Occorre far presente che nel frattempo viene pubblicata la Carta Geologica provin-
ciale e si concludono le analisi geologiche effettuate per la ricerca delle origini delle
scosse di Rovetta (i “botti”) di cui si da conto nella premessa della terza parte di
Sergio Chiesa. A corredo dello studio sulla trasformazione geomorfologica e ambien-
tale del paesaggio sono presentate dall’arch. Paolo Oscar una serie di tavole prodotte
utilizzando i dati delle fonti catastali ottocentesche, risultate molto utili anche per
l’identificazione dei toponimi, molti ormai oggi scomparsi e della rete viaria ori-
ginaria. Nonostante il consistente contributo fornito dagli studi qui presentati abbia
fornito una risposta esauriente alle questioni sollevate inizialmente, rimangono aper-
ti o ancora irrisolti altri problemi: sulle imprese appaltatrici coinvolte,
sull’abbassamento dell’alveo del Valeggia, sulla rete viaria dell’altopiano, ad esem-
pio, che ci ricordano che la ricerca, anche solo in un ambito così locale, non è
mai compiuta.
XIII
Nell’introduzione alle Notizie naturali e civili su la Lombardia (1844), dopo
aver descritto le condizioni climatiche e geomorfologiche della regione, Carlo
Cattaneo arrivava alla conclusione, allora per nulla scontata, che nella con-
figurazione territoriale della Lombardia vi fosse in realtà ben poco di naturale.
Ciò era vero in particolare per le terre di pianura, famose per la loro “fera-
cità” tanto da essere state definite in passato il “Paradiso della cristianità”.
Ma tale fertilità, ammoniva Cattaneo, non era il dono di una natura benigna,
ma il frutto della “della cura e dell’industria dei suoi abitanti” che avevano
saputo mettere a profitto, in una felice sintesi, le “attitudini della terra, delle
acque e del cielo” arrivando a plasmare una perfetta “macchina agraria”.
Cattaneo diede forma alla sua tesi in un celebre passo, che merita di esse-
re attentamente riletto:
“Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi
rifatta dalle nostre mani; sicchè il botànico si lagna dell’agricultura, che trafi-
gurò ogni vestigio della vegetazione primitiva. Abbiamo preso le aque dagli alvei
profondi dei fiumi e dagli avvallamenti palustri, e le abbiamo diffuse sulle àride
lande. La metà della nostra pianura, più di quattro mila chilòmetri, è dotata
d’irrigazione; e vi si dirama per canali artefatti un volume d’acqua che si
valuta a più di trenta milioni di metri cùbici ogni giorno. Una parte del piano,
per arte ch’è tutta nostra, verdeggia anche nel verno, quando all’intorno ogni
cosa è neve e gelo. Le terre più uliginose sono mutate in risaie [...] Le aque sot-
terranee, tratte per arte alla luce del sole, e condutte sui sottoposti piani, poi
raccolte di nuovo e diffuse sovra campi più bassi, scòrrono a diversi livelli con
calcolate velocità, s’incòntrano, si sorpàssano a ponte-canale, si sottopàssano
a sifone, s’intrècciano in mille modi”.
Una “patria artificiale”, dunque, il piano di Lombardia, edificata dalla fatica
di generazioni di contadini che non solo avevano scavato centinaia di chi-
lometri di rogge, ma avevano anche dissodato, livellato, adattato i fondi
per metterli in condizione di godere del beneficio delle acque:
“ogni palmo di terreno [era stato] predisposto in pendii artificiali acciocché [potes-
se] ricevere le acque irrigatrici a periodi determinati, e trasmetterle ulteriormente
al fondo vicino; e ciò nel modo più economico e in armonia colla vasta rete e
col complicato sistema dei condotti idraulici derivatori, dispensatori, scarica-
tori, raccoglitori e restitutori, i quali coll’aiuto di chiuse, di chiaviche, d’incastri,
di tombini, di ponti canali, di sifoni, sono destinati a distribuire le acque sulla
maggiore superficie possibile”.
I N T R O D U Z I O N E Giorgio Bigatti
XIV
Queste parole di Stefano Jacini, figlio di un illuminato proprietario del Cre-
monese, danno conto del lavoro necessario per permettere lo scorrimento
continuo dell’acqua e la sua capillare distribuzione all’interno dei campi.
Un’impresa straordinaria, che presupponeva la presenza di un ampio tes-
suto di competenze tecniche per la direzione dei lavori di scavo e per il
successivo governo dell’acqua.
La regolazione dell’“edificio irriguo” e la distribuzione dell’acqua ai poderi
secondo turni e modalità prestabilite (le cosiddette “ruote d’acqua”) era
affidata ai “campari” (altrimenti detti “prataroli” o “adacquaioli”), una figura
cardine delle campagne della Bassa. Apprendendo “ogni più minuta parti-
colarità del servizio” in seno alla famiglia fin dalla più tenera età, i campari,
benché privi di istruzione e spesso analfabeti, sapevano “leggere” perfetta-
mente “il moto delle acque”, così come conoscevano il percorso di ogni roggia
e le diverse qualità dei terreni da irrigare. Manovrando paratie, tombini e sca-
ricatori assicuravano a ogni roggia la giusta competenza di acqua e ne curavano
l’ordinaria manutenzione; nel caso di “guasti” provvedevano a “subitanei ripa-
ri”. Talvolta si avvalevano della loro posizione per ricavarne illeciti profitti.
Accompagnati dall’inseparabile badile giravano le campagne prestandosi
volentieri ad “aprire prestamente uno scannone nella costiera, per dare
soccorso di acqua a chi, colla borsa alla mano, li e ne fa graziosa doman-
da”, come lamentavano gli ingegneri, a cui era affidata la “suprema ispezione”
dei cavi.
Responsabili ultimi della distribuzione dell’acqua, erano infatti gli ingegne-
ri. Questi, ci dice Cattaneo, “senza avvedersene” avevano finito per assumere
una funzione di supporto tecnico alla gestione aziendale che andava ben
al di là della cura e del continuo adeguamento della rete irrigatoria. Tutta
la trattatistica ottocentesca sottolinea il ruolo cruciale degli ingegneri nell’or-
ganizzazione aziendale della Bassa, ma nessuno come Cattaneo è riuscito a
dare conto in poche frasi del loro decisivo contributo all’affermazione del-
l’agricoltura irrigua:
“Non erano addottrinati nell’agricoltura come scienza. Nè per anco era scien-
za che potesse dar conto de’ suoi principj; e che era mai la scienza agraria prima
che nascesse la chimica? [...] Ma iniziati nelle scienze matematiche e fisiche, e
addestrati nell’analisi di complicati problemi, e posti nelle loro perlustrazioni
al cospetto di gran numero e grande varietà di fatti, potevano afferrare e inten-
dere quelle risultanze alle quali l’agricoltore più sagace colla solitaria sua pratica
giungeva tentone. Le buone esperienze e le tristi viaggiavano seco loro di pode-
re in podere; si comunicavano nell’intimità delle serate campestri alle famiglie
dei fittuarj; si riducevano, col paragone d’altre esperienze. E nel corso degli anni
venivano a prender forma imperativa nelle stime, nelle sentenze, nelle nuove
convenzioni d’affitti”.
In questo passo dell’Agricultura inglese paragonata alla nostra Cattaneo,
che con Jacini è stato senza dubbio l’interprete più acuto delle vicende
delle campagne lombarde della prima metà dell’Ottocento, coglieva con gran-
de precisione le modalità di diffusione della conoscenza in un mondo in
cui la lettura era patrimonio di pochi e dove dominava una generica avver-
sione per quanto avesse sentore di novità. In queste condizioni lo scambio
delle esperienze e la circolazione del sapere avveniva di preferenza in forme
orali o attraverso l’esempio nel quotidiano esercizio del lavoro. Era “nell’in-
timità delle serate campestri” che aveva preso forma l’insieme di norme e
consuetudini che regolava la distribuzione dell’acqua, stabiliva oneri e dirit-
XV
ti di ciascuno dei coutenti di una roggia, determinava l’avvicendamento delle
colture, fissava gli obblighi reciproci tra i proprietari e i conduttori.
Mi rendo conto di come tutto ciò possa sembra sembrare incongruo per un’in-
troduzione a un volume dedicato alla storia di un artefatto tecnico come
un ponte sul torrente Valeggia dell’alta Val Seriana, che per il contesto ter-
ritoriale e per tempi della sua realizzazione appare, ed è, assai distante dal
mondo evocato fin qui. Ma si tratta di impressione fallace. I diversi piani sono
infatti legati fra loro da robusti fili, come ora cercherò di mostrare, richia-
mandomi ancora a Cattaneo.
“Patria artificiale”, ma anche “immenso deposito di fatiche”, il paesaggio della
Bassa irrigua era il risultato di una ininterrotta catena di investimenti che
aveva preso avvio dalle prime realizzazioni dell’età comunale. Un’azione di
progressivo addomesticamento del paesaggio che non era rimasta confina-
ta, né avrebbe potuto rimanerlo considerate le ricadute sociali ed economiche
di tale azione, al piano dell’organizzazione idraulica del territorio.
“Una volta impresso il moto, quest’òrdine di cose si continuò uniforme attra-
verso le più varie vicissitùdini dei tempi. Ogni anno segnò sempre per noi qualche
nuovo grado di prosperità; ogni anno più vasta la rete stradale; ogni anno più
folta la piantagione dei gelsi, prima riservata ai colli, poi distesa in veri boschi
sui piani dell’Ollio e dell’Adda, e salita fino a mille metri d’altezza nelle valli
alpine [...] si mùtano in buone case i tugurj dei contadini; penetra in tutte le
communi rurali il principio dell’istruzione; tolta cogli asili dell’infanzia l’ab-
jetta ferocia e la rozzezza ai figli della plebe; gli studj delle lèttere e delle arti
accommunati al sesso gentile; e colle solenni mostre diffuso l’amor delle belle arti
nel pòpolo, e un àbito d’eleganza negli ùtili mestieri”.
Riflesso di una visione dello svolgersi della storia all’interno di un lineare
“incivilimento” del vivere che denuncia la propria matrice ottocentesca, le
parole di Cattaneo conservano tuttavia la loro pregnanza nel sottolineare i
nessi e la circolarità delle esperienze e dei rimandi all’interno di un siste-
ma sociale investito, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento,
da un profondo rivolgimento delle istituzioni e dalla comparsa di nuove forze
che ne avrebbero gradualmente riplasmato la base economica. In questo qua-
dro rilievo non secondario avrebbe continuato a rivestire l’opera di edificazione
del territorio: accanto a rogge e canali, ora si sarebbe trattato sempre più
di strade e di ferrovie, in un fervore di lavori che avrebbe raggiunto anche
le lontane vallate alpine, la cui vita, del resto, era da sempre collegata a quel-
la dei centri della pianura in virtù dei flussi migratori stagionali e dei ritmi
della transumanza delle bergamine.
“Il tempo, l’ingegno e il capitale”: da questi tre fattori e dal loro diverso com-
binarsi dipendeva, secondo Cattaneo, la dotazione di opere pubbliche di
un territorio e correlativamente il grado di prosperità della popolazione. E
se è vero che “le opere pubbliche che più influiscono sulla popolazione sono
le acque, i ponti e le strade d’ogni maniera”, sotto questo profilo la situa-
zione della Lombardia poteva dirsi buona, malgrado il ritardo e le incertezze
delle prime realizzazioni in campo ferroviario. “Le strade sono un giusto vanto
delle nostre provincie e per il numero e per la bontà”, osservava nel 1839
Cattaneo in un magistrale saggio Sulla densità della popolazione in Lombar-
dia e sulla sua relazione alle opere pubbliche inserito nel primo fascicolo del
“Politecnico”. Gli avrebbe fatto eco nel 1850 l’ingegner Luigi Tatti che, nel
XVI
presentare ai lettori degli “Annali universali di statistica” il Prospetto storico-
statistico delle strade di Lombardia del collega Antonio Cantalupi, ricordava
come la Lombardia fosse “a ragione celebrata per le molte e belle sue stra-
de comuni”. Non si trattava di valutazioni esagerate.
Nel periodo della Restaurazione la rete stradale lombarda (la condizione
del Veneto sotto questo profilo era assai peggiore) si presentava come una
delle più sviluppate della Monarchia austriaca. Le fatiche dei viaggiatori
settecenteschi, costretti a ripetute soste a causa dell’impraticabilità delle stra-
de o del cattivo stato di manutenzione di ponti e carreggiate erano un ricordo
lontano. Polvere e fango restavano fastidiosi compagni di viaggio, ma gra-
zie al Piano stradale del conte Francesco D’Adda (1777), che aveva definito
le varie categorie delle strade e ridotto “ad unità di principj e di sistemi
questa parte della pubblica azienda”, e alle successive riforme napoleoniche,
tutte le principali strade, in pianura anche quelle tra borgo e borgo, erano
“carreggiabili” e rese più scorrevoli dall’opera di ben 486 “stradaiuoli” addet-
ti “allo “spandimento” della ghiaia; e regolari servizi di diligenza percorrevano
le principali arterie a cadenze regolari.
“Su la nostra pianura tutti gli abitati si collègano con buone strade – scriveva
Cattaneo nella citata introduzione del 1844 alle Notizie naturali e civili –, che
ragguàgliano in circa un chilòmetro di lunghezza per ogni chilòmetro di super-
ficie. La rete stradale involge ormài tutte le colline, sino all’altitùdine d’ottocento
metri; trafora con gallerìe le rupi verticali che interròmpono le riviere dei
laghi; s’insinua nelle valli alpine, raggiunge i sommi gioghi; difende contro le
vallanghe i più alti passi carrozzàbili che sìano sul globo. La via del Sempio-
ne, che fu il modello di tutte, è òpera de’ nostri ingegneri, che condùssero
anche quelle della Spluga e dello Stelvio [...] Le nostre òpere stradali portano trat-
to tratto i segnali d’una magnificenza romana; il ponte che congiunge le due
rive del Ticino, a Buffalora, si stende per trecento e più metri con ùndici arca-
te di granito”.
Leggi e regolamenti distinguevano ora con precisione tra strade regie (altre
volte chiamate provinciali o nazionali), “destinate a tenere in comunicazio-
ne le principali città del ducato tra di loro e colle parti più importanti dei
finitimi stati” e per questo a carico dell’erario, e le altre, a carico esclusivo
dei comuni o private.
Pochi dati sono sufficienti a dar conto della consistenza e dei miglioramen-
ti della rete stradale nella prima metà del secolo.
Alla sostanziale maturità raggiunta dal comparto della viabilità maggiore, pari
a 2827 km nel 1827 (cresciuta di poco nel 1856), corrispose un incremento
senza precedenti della rete della viabilità minore, circa otto volte più este-
sa di quella a carico dello Stato, passata dai circa 11.000 km del 1814 ai quasi
25.000 del 1850. Nel solo intervallo 1814-29 i comuni lombardi investirono
oltre 20 milioni di lire per agevolare “la circolazione dei prodotti dalle più
povere terre ai più animati mercati ed alle più popolose città”. E in paralle-
lo erano cresciute anche gli stanziamenti per la manutenzione della rete, con
un incremento della spesa per chilometro di quasi il 30 per cento.
L’effetto combinato degli investimenti erariali e di quelli comunali, tramite
l’applicazione delle sovrimposte d’estimo, fu rilevante e tale da porre la Lom-
bardia e lo stesso Veneto in posizione eminente nel quadro delle province
asburgiche, come attestano i seguenti dati riferiti al chilometraggio comples-
sivo della rete stradale nel 1850: Austria inferiore, 3351; Boemia 14.349;
Lombardia 27.956; Veneto 18.813. Cifre che assumono una loro maggiore elo-
XVII
quenza se espresse in metri per chilometro quadrato, indice che vedeva la
Lombardia svettare a 1295 contro 787, 276 e 169 rispettivamente di Veneto,
Boemia e bassa Austria.
E se nel 1839 si lamentava che “i ponti [fossero] tuttora assai scarsi sui
grandi fiumi”, per attraversare i quali ci si doveva servire dei tradizionali “porti
natanti”, era però vero che a causa dei molti fiumi, torrenti e canali che inter-
secavano la regione, i ponti a carico dello Stato, senza contare quelli comunali
per i quali manca un attendibile conto, erano oltre seicento. Di questi,
parte in legno, parte in muratura e parte in struttura mista, ben centodieci
con una lunghezza maggiore di 20 metri.
Anche in questo settore, che dopo le grandi realizzazioni dell’età viscon-
tea, secondo le valutazioni di un tecnico come l’ingegner Cantalupi, non aveva
più conosciuto opere degne di particolare menzione, i primi decenni dell’Ot-
tocento rappresentarono l’inizio di una nuova ed esaltante stagione. Annunciata
nel 1809 dall’avvio dei lavori di costruzione del grande ponte in pietra di
Boffalora sul Ticino, uno “dei più magnifici d’Europa”, “aperto al passo nel
1828” e costato alla fine la ragguardevole cifra di oltre 3 milioni di lire. Opera
grandiosa, ma presto superata da altre realizzazioni a cominciare dal gran-
de ponte ferroviario sul Po della linea Milano-Piacenza costruito nei primi
anni sessanta, primo di una lunga serie di manufatti che avrebbero accom-
pagnato lo sviluppo della costruzione della rete ferroviaria nazionale,
usufruendo di cospicui finanziamenti pubblici e delle nuove possibilità costrut-
tive dischiuse dall’uso di materiali come la ghisa, l’acciaio, le calci idrauliche
e il cemento armato.
È questo lo scenario che fa da sfondo alla costruzione del ponte di Songa-
vazzo protagonista del bel volume curato con sensibilità, passione e
competenza da Sergio Del Bello e Gennaro Guala. Un volume che si segna-
la per l’intelligente taglio multidisciplinare, capace di far emergere le diverse
valenze racchiuse da un’opera destinata a incidere sulla vita e l’immagina-
rio di una intera comunità; per l’acribia documentaria e infine per la qualità
dell’apparato iconografico. Quest’ultimo si configura come una sorta di
percorso parallelo capace di appagare l’occhio del lettore e insieme di aiu-
tarlo a comprendere meglio le intricate questioni tecniche che accompagnarono
la costruzione del ponte.
Sfogliando distrattamente le pagine qualcuno potrebbe pensare di avere tra
le mani uno dei molti libri di storia locale di cui sono piene – ed è bene
sia così – le biblioteche. Di storia locale certamente si tratta, ma nell’ac-
cezione nobile del termine. Non vi è nulla di encomiastico e banalmente
celebrativo nei saggi che compongono il volume. Quella che si squaderna
davanti al lettore è sì una vicenda radicata nella realtà di una piccola comu-
nità amministrativamente appartenente all’alta Val Seriana, ma è insieme un
episodio di quel processo di costruzione del territorio che, come si è visto,
ha origini lontane: e come tale presuppone e rimanda a un contesto più
generale.
Lascio a chi legge il piacere di seguire le contrastate tappe che scandisco-
no una vicenda che troverà soluzione solamente all’inizio del Novecento,
quando con la costruzione del ponte in cemento armato dell’ingegner Luigi
Cortese, verrà finalmente sanata la ferita provocata nel 1839-1842 dalla distru-
zione del ponte in legno (inaugurato meno di un decennio prima), travolto
dalla furia delle acque del torrente. Concludo queste note con un’osservazio-
ne di carattere più generale.
Seguendo la successione dei progetti presentati, ben nove dal 1826 al 1907,
ci si snoda davanti una storia di grande complessità e ricchezza. La costru-
XVIII
zione del ponte di Songavazzo, come molte opere consimili, sconta le diffi-
coltà connesse alla scelta dei materiali, della miglior soluzione tecnica e delle
linee di accesso. Suscita conflitti di ordine istituzionale fra i diversi livelli
(comunale, statale) coinvolti nella gestione e nel controllo dell’opera in
un uno schema di non sempre lineare collaborazione. Innesca contrasti
tra gli attori chiamati a sostenerne interamente i costi in quanto opera di
esclusivo interesse locale, secondo uno schema normativo trapassato nei
nuovi ordinamenti senza troppe variazioni rispetto al precedente austria-
co. Osservo in proposito che non appare casuale il fatto che, dopo lunghe
discussioni, l’opera sarà realizzata solo nel momento in cui potrà godere
di un finanziamento statale nell’ambito del progetto di raccordo della via-
bilità dell’alta valle con la ferrovia Bergamo-Clusone. Mi preme, infine,
sottolineare un altro elemento importante. La costruzione del ponte di
Songavazzo è una chiara testimonianza del dinamismo e della determina-
zione di una comunità decisa a superare quella che rischiava di configurarsi
come un freno allo sviluppo della valle, e capace per questo di mobilitare
importanti risorse tecniche e umane. Questo mi sembra davvero uno degli
aspetti più interessanti della vicenda. Non è facile vedere concretamente
operante quel tessuto di competenze tecniche di cui prima si è ricordato
il contributo alla costruzione della “patria artificiale” e non lo è in partico-
lare nel settore dei lavori stradali direttamente gestiti dai comuni, con
larga autonomia decisionale.
Segnalo un nome in particolare fra quanti si sono cimentati con il proget-
to del ponte di Songavazzo, quello di Antonio Cantalupi, un ingegnere la
cui vicenda terrena copre pressoché tutto il secolo. Tipica figura di ingegne-
re funzionario, Cantalupi, nato a Treviglio nel 1811, percorse tutti i gradini
della carriera negli uffici delle Pubbliche costruzioni (poi Genio civile) arri-
vando al grado di ingegnere capo della delegazione di Bergamo. Tuttavia
più che alle numerose incombenze del servizio o ai singoli progetti a cui
legò il suo nome (dalla ricostruzione del ponte di Lodi sull’Adda distrutto
dagli austriaci nel 1859 alla direzione dei lavori per la costruzione del nuovo
carcere cellulare di Milano), Cantalupi è ricordato come autore di numero-
se e importanti pubblicazioni tecniche che nell’insieme compongono una
sorta di biblioteca ideale dell’ingegnere civile ottocentesco, degno com-
plemento di quella “Biblioteca scelta dell’ingegnere” pubblicata negli anni
in cui Cantalupi veniva definendo le sue scelte professionali da un altro gran-
de e misconosciuto ingegnere lombardo, Giuseppe Cadolini.
“Spirito eminentemente pratico” e alieno da sottigliezze teoriche, si era
imposto all’attenzione generale nel 1845, ancora giovane, pubblicando un
fortunato Manuale delle leggi, regolamenti e discipline relativi alla profes-
sione di ingegnere e architetto. Da questo momento la sua produzione
editoriale non conobbe soste riflettendo nella sua successione l’evolu-
zione di una professione che dall’originaria matrice agraria era venuta
aprendosi incessantemente a nuovi campi, dalle strade ferrate all’ingegne-
ria sanitaria, dai ponti ai nuovi materiali ecc. Orbene trovare un uomo
come Cantalupi coinvolto nelle vicende del ponte di un’appartata comu-
nità di montagna mi sembra un’ulteriore conferma sia di quella circolarità
di esperienze a cui aveva fatto riferimento Cattaneo nell’Introduzione
del 1844, sia della vitalità di una società capace di esprimere istanze di
modernizzazione anche in località lontane dai grandi centri. Una volontà
di stare al passo con i tempi che mi pare emerga anche dalla scelta di
un materiale nuovo per l’Italia come il cemento armato e di affidare
l’esecuzione del lavoro a un’impresa tedesca, con filiale in Italia, deci-
XIX
sione coraggiosa e pionieristica come risulta dall’interessante memoria del-
l’ingegner Neumann, supplente dell’appaltatore, inserita nel volume.
Ho provato a indicare alcune delle ragioni che raccomandano la lettura di
questo bel libro, altre se ne potrebbero aggiungere, ma preferisco cede-
re la parola al lettore sicuro che saprà trovare un suo personale percorso
di lettura.
BIBLIOGRAFIA
Ponte sul Ticino presso Boffalora, in “La Biblioteca
italiana”, vol. 49, febbraio 1828.
Prospetto numerico indicante le strade comunali costrut-
te nelle provincie di Lombardia dall’anno 1814 al 1829,
in “Annali universali di statistica”, vol. XVI, fasc. 77-
78, 1830, pp. 315-319.
C. Cattaneo, Sulla densità della popolazione in Lombar-
dia e sulla sua relazione alle opere pubbliche (1839),
ed. cit. C. Cattaneo, Scritti sulla Lombardia, a cura di
A. Moioli, Milano, Mondadori, 2002.
C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia
(1844), ed cit. a cura di F. Livolsi e R. Ghiringhelli,
Milano, Mondadori, 2002.
C. Cattaneo, L’agricultura inglese paragona alla nostra
(1857), ed. cit. C. Cattaneo, Scritti sulla Lombardia, a
cura di A. Moioli, Milano, Mondadori, 2002.
A. Cantalupi, Prospetto storico-statistico delle strade di
Lombardia mantenute dallo Stato, Milano, Angelo Monti,
1850.
L. Tatti, Prospetto storico-statistico delle strade di Lom-
bardia mantenute dallo Stato; di Antonio Cantalupi, in
“Annali universali di statistica”, a. II, vol. 24, fasc.
72, aprile 1850, pp. 229-260.
A. Cantalupi, Le strade comunali in Lombardia, in “Gior-
nale dell’ingegnere architetto agronomo”, luglio 1854,
pp. 117-131.
Relazione del commissario Conte Stefano Jacini sulla
Decima circoscrizione, in Atti della Giunta per l’Inchie-
sta agraria e sulle condizioni delle classi agricole, vol.
VI, t. I,Roma, 1882.
A Cantalupi, La costruzione dei ponti e dei viadotti. Trat-
tato di architettura pratica, Milano, Vallardi, 1884.
M. Meriggi, Il Regno Lombardo-Veneto, Torino, Utet,
1987.
G. Bigatti, La provincia delle acque. Ambiente, istitu-
zione e tecnici in Lombardia tra Sette e Ottocento,
Milano, Franco Angeli, 1995.
G. Bigatti, La matrice di una nuova cultura tecnica.
Storie di ingegneri (1750-1848), in Amministrazione,
formazione e professione: gli ingegneri in Italia tra Sette
e Ottocento, a cura di L. Blanco, Bologna, Il Mulino,
2000.
SCHEDA
XX
Songavazzo è un piccolo centro dell’Alta Valle Seriana, a pochi chilometri oltre
Clusone, ad un’altezza di 640 m, facilmente raggiungibile dalla strada pro-
vinciale che sale al Passo della Presolana (643 abitanti al 31 dicembre 2003).
Piccolo ma molto esteso (1450 ettari) e in posizione particolarmente feli-
ce: al tempo stesso riparato dal freddo che scende dalla Presolana ed esposto
alle correnti d’aria calda che salgono dal Lago di Lovere e al sole che inon-
da l’altopiano. Lo caratterizzano i loggiati delle vecchie case del centro
del paese con le balaustre a struttura portante verticale tutta in legno che
non trovi altrove il silenzio dell’altopiano di Falecchio che sovrasta l’abita-
to immerso nel verde, i boschi, le distese di larici, di abeti e di faggi, gli spazi
aperti dei prati, la visione di un panorama che spazia dalla Presolana
all’intero altopiano di Clusone.
Centro d’impianto medievale documentato nel XII secolo: è del 1144 infat-
ti una sentenza, conservata nell’archivio Vescovile di Bergamo, pronunciata
dai consoli su una vertenza tra il vescovo Gregorio ed i vicini della valle
di Ardesio1
. In cui appre fra i testimoni un Rastellus de Gavazzo, seguito
da Martinus Lazaronis de Fine. L’attuale denominazione deriverebbe dalla
composizione latina “Summus Gavatius”, che vuol dire “la parte superiore
di Gavazzo” in contrapposizione a “Imus Gavatius”, cioè “la parte inferiore
di Gavazzo”. Ancora oggi la parte sottostante il centro abitato viene chiama-
to Gaas. Sul significato del nome vi sono ipotesi contrastanti: bosco d’alto
fusto, dosso oppure corso d’acqua2
.
Per Songavazzo passava la strada che, forse già al tempo dei Romani, veni-
va percorsa per il trasporto dei minerali dalla Valle di Scalve a Lovere. Si
è pensato di identificare l’antico tracciato nell’asse formato dalle attuali
vie Pineta, S. Bartolomeo, Combattenti, Glerola e poi giù dalla località Lumét
(Luinetto)3
e attraverso una strada di campagna ancora esistente, verso Cere-
te passando per Novezio Alto.
Secondo una leggenda locale un primitivo insediamento si formò sull’alto-
piano di Falecchio in posizione dominamene e riparata. Solo successivamente
gli abitanti si sarebbero spostati più a valle, lungo le rive del Valleggia (Inzi-
foto 1.
Cerimonia d’inaugurazione del monumento ai caduti
di guerra. Sul palco, allestito in via Roma, sono
presenti Pietro Pezzoli e Angelo Morandi (1923,
proprietà Gruppo Alpini di Songavazzo).
1. Cfr. Giuseppe Rota, Un artista bergamasco dell’Ot-
tocento: G. M. Benzoni nella storia della scultura e
nell’epistolario famigliare, Bergamo, 1938.
2. Pierino Boselli, Dizionario di toponomastica berga-
masca e cremonese, Firenze, 1990, p. 148.
3. Vedi nella Carta dei toponimi del Catasto Lombar-
do-Veneto, più avanti (fig. 6, p. 334).
SCHEDA
SONGAVAZZO
Giacomo Benzoni, Adriana Covelli
Songavazzo
XXI
ne), la dove poi vi era o sarebbe sorta una fortificazione, in cerca di pro-
tezione formando così il centro abitato attuale.
Gavazzo nel Basso Medioevo apparteneva ad una più ampia comunità.
Nel secolo XIV, Songavazzo, Onore e Fino formavano un comune unico,
mentre sulla destra del Valleggia esisteva l’altra comunità formata da Rovet-
ta e Clusone. Nel 1378 Gavazzo veniva assediato e incendiato assieme a
Rovetta, Fino, Onore e Cerete. Gli abitanti di Gavazzo di fronte alla distru-
zione provocata dalle milizie ghibelline, si rifugiarono nella parte alta di
Gavazzo detta appunto Summus Gavatius. Ancora oggi sull’arco del porto-
ne di ingresso di casa Savoldelli (famiglia Strìsec) è incisa la data 1403.
Nel 1381 “allo scopo di togliere le discordie onde erano disturbati” le tre
comunità si divisero rimanendo da una parte Fino e dall’altra Onore e
Songavazzo. Nella divisione si era lasciato a Fino il diritto di pascolo sul ter-
ritorio del Comune di Songavazzo e Onore: tale diritto diede luogo a liti
fra i due comuni che continuarono fino al secolo XIX. All’inizio del secolo
XV il Comune di Onore e Songavazzo si dota di uno statuto4
. Nel 1404 la
comunità di Songavazzo si stacca dalla chiesa matrice di Onore5
. Ancora nel
1675 comprendeva le due contrade di S. Lorenzo di Rovetta e Novezio di
Cerete. Tale sudditanza viene più volte contestata dalla società dei Capi 90
con sede a Rovetta presieduta dalla famiglia Fantoni6
. Nel 1794 anche Son-
gavazzo e Onore si dividono formando due nuove amministrazioni comunali.
Legato ai rapporti tra Songavazzo e S. Lorenzo è anche il Santuario del-
l’Addolorata sorto nel secolo XVII sulla sponda sinistra del torrente Valleggia,
lungo l’antica strada di collegamento con Clusone, forse a servizio anche
foto 2 e 3.
(A sinistra) Processione della Madonna del Carmine
(luglio) in partenza dalla Chiesa Parrocchiale. La foto
nella sua versione completa è visibile a p. 19 nel
testo di S. Belviso (inizio anni Venti, Archivio
Cristilli, Clusone).
(A destra) L’Asilo infantile “A. Morandi” inaugurato
nel 1923. La presenza del monumento ai caduti,
assente nella foto di sinistra, consente di datare la
fotografia al 1923 o a qualche anno successivo.
L’accostamento delle fotografie è del tutto naturale e
occasionale.
foto 4.
Appena leggibile la data “1403” sull’arco in pietra del
portone d’ingresso di casa Savoldelli in via S.
Bartolomeo (2004, Franco Valoti).
4. Una copia è conservata presso la Biblioteca A. Maj
di Bergamo; cfr. G. Silini, A. Previtali, Statutum de l’Ono-
re. Sec. XV-XVI, Rovetta 1997.
5. Proprio quest’anno ricorre il VI centenario dell’ere-
zione del titolo parrocchiale.
6. Si veda qui la scheda su Rovetta di Camillo Pezzoli.
SCHEDA
XXII
foto 6.
Interno della Chiesa Parrocchiale di S Bartolomeo
(2004, Franco Valoti).
degli abitanti della vicina contrada di S. Lorenzo. In origine di forma quadra-
ta, col portico che scavalcava la strada; non aveva né volta, né campanile.
La tradizione popolare vuole che il santuario sia stato costruito dagli abi-
tanti di Songavazzo quale ringraziamento alla Madonna per averli preservati
dalla peste del Seicento.
La chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, costruita in posizione dominante
rispetto al centro abitato, è stata completamente ristrutturata fra il 1787 e il
1791. All’interno si conservano altari fantoniani fra cui spiccano, all’altare
maggiore gli angeli e le medaglie di Andrea Fantoni del 1731, all’altare del
Rosario le statue di S. Domenico e S. Caterina ed una statua in legno della
Madonna del Carmine sempre del Fantoni. Vi sono dipinti di Domenico e
Marziale Carpinoni, del pittore locale Enrico Benzoni e la statua di S. Giu-
seppe attribuita all’insigne scultore di Songavazzo, G. Maria Benzoni. Da
segnalare fra i paramenti e i reliquari una preziosa “pace” d’argento del
sec. XVI-XVII. L’organo è un Serassi mentre il settecentesco campanile è tutto
in ceppo con originali elementi in serizzo rosso.
Sono originari di Songavazzo gli scultori Giovan Maria Benzoni ed Erme-
negildo Covelli.
Giovan Maria Benzoni (1809 -1873) studia presso la scuola di disegno nella
vicina Lovere, fondata dal Conte Tadini di Crema. Viene presto mandato dallo
stesso Tadini a Roma dove, a soli 23 anni, apre un proprio studio. Oltre
700 opere (di cui 202 produzioni originali) costituiscono il frutto di un’atti-
vità intensa e proficua. Le tappe fondamentali sono rappresentate da Amore
e Psiche (1846), S. Pio V (1850), Eva (1854), il Conte Tadini (1858), Il gruppo
dei Pompeiani (1866), Rebecca velata (1867), l’Addolorata (1871). Gran parte
delle opere gli furono commissionate dall’estero, per cui oggi si trovano
nei musei di tutto il mondo: in Russia, Inghilterra, America, Irlanda, Austria
Germania. A Bergamo si possono ammirare il monumento alla Pace, i meda-
glioni tasseschi di palazzo Medolago, un busto del Tasso ed un proprio busto
donato al Comune. A Songavazzo è conservata la statua dell’Addolorata nella
cappella mortuaria di famiglia all’ingresso del cimitero.
foto 5.
a) Statua della Madonna Addolorata scolpita da G.
M. Benzoni nel 1871; è situata nella cappella di
famiglia all’ingresso del cimitero (2004, Franco
Valoti).
b) Iscrizione funeraria sul fronte del basamento della
stessa statua dedicata ai genitori dello scultore.
Songavazzo
XXIII
Ermenegildo Covelli (1902 - 1976), avviato all’arte dal pittore Arturo Tosi,
ha lasciato una serie di sculture moderne raffiguranti motivi astratti che i
figli, dopo la sua morte, hanno donato al Comune di Songavazzo e che si tro-
vano attualmente dislocate in vari punti del paese.
ASPETTI ISTITUZIONALI
7
Unito dalle origini con il vicino Onore a formare un solo comune detto “Onore
e Songavazzo”, tale risulta ancora alla fine del Cinquecento (Da Lezze una
terra divisa in due terre). La sede del comune era in Onore, mentre Songa-
vazzo formava una vicinia. Fin dalla metà del Duecento è documentata
l’esistenza di un’organizzazione strutturata con consoli ed un consiglio ammi-
nistrativo regolato sulla base di uno statuto della cui esistenza si ha notizia
in fonti dell’archivio della Curia Vescovile di Bergamo resi noti recente-
mente da Giovanni Silini8
Nello statuto Songavazzo risulta essere, come già
detto, una vicinia del comune e come tale ha diritto a far parte, in misura
proporzionale, degli organi di rappresentanza e governo del comune ed a
godere dei beni e delle rendite comunali. Nel 1616 Songavazzo viene fiscal-
mente diviso da Onore a cui era però unito per tutte le altre materie. La
comunità, organizzata in vicinia con propri sindici, può eleggere un pro-
prio console. Accanto alla vicinia vi è la Misericordia, l’unica organizzazione
autonoma di Songavazzo preesistente al comune. Nel Settecento appare alter-
nativamente sia unito che distinto da Onore.
Con una deliberazione del consiglio particolare di Songavazzo del 14 marzo
1790, viene stabilito di dare avvio alla separazione legale dal comune di
Onore. La determinazione genera una lite fra le due comunità soprattutto
in merito alla definizione dei confini territoriali9
. Nel 1794 a conclusione della
causa insorta fra le due comunità viene raggiunto un accordo e si provve-
de alla loro separazione10
. Il nuovo comune possiede una circoscrizione
corrispondente a quella attuale. Con decreto 31 marzo 1809 Fino, Onore e
Cerete Alto e Basso sono aggregati in un solo comune con Songavazzo11
. L’ag-
gregazione dura dal 1810 al 1816. A testimonianza di tale aggregazione nel
verbale del consiglio comunale del 1815, il più antico fra quelli che si sono
conservati in archivio, risultano presenti i consiglieri delle frazioni di Fino
del Monte, Onore e Cerete ed inoltre gli atti di matrimonio di queste comu-
nità, dal 1811 al 1814, sono riportati nei registri di matrimonio di Songavazzo,
oggi dispersi. Con l’Unità d’Italia entra a far parte della Provincia di Berga-
mo.
foto 8.
Aerofotografia scattata dall’elicottero del centro
storico di Songavazzo (ottobre 2003, Lino Olmo).
foto 7.
Campanile della Chiesa Parrocchiale edificato
nel 1766 in ceppo locale su disegno di un Fontana.
Le sculture agli angoli sono in serizzo rosso. Le
campane sono state fuse nel 1838 e consacrate
dal vescovo P. Luigi Speranza nel 1864 e rifuse
dai fratelli Ottolina di Sereno nel 1927.
(2004, Franco Valoti).
7. Cfr. P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territorio
bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e
sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Provin-
cia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000,
p. 277 e Regione Lombardia, Settore Trasparenza e Cul-
tura, Istituzioni del territorio lombardo dal XIV al XIX
secolo. Progetto Civita. Bergamo, Milano, 1997, p. 192
e il suo aggiornamento sul sito della Regione Lom-
bardia – Lombardia storica – Le istituzioni storiche del
territorio lombardo.
8. Cfr. Statutum de l’Honore, cit..
9. Vedi il fascicolo con la raccolta della copia degli atti
della lite in archivio comunale, b. 2, fasc. 7.
10. L’atto divisionale è datato 12 maggio 1794 e redat-
to dal notaio Francesco Pezzoli di Songavazzo (Archivio
di Stato di Bergamo, Archivio Notarile, busta n. 12700).
11. Vedi in archivio comunale, b. 23, fasc. 3.
SCHEDA
XXIV
SCHEDA
ROVETTA
Camillo Pezzoli
Rovetta e la frazione S. Lorenzo sono due centri della Valle Seriana Supe-
riore situati sull’altopiano formatosi alla destra del torrente Valeggia prima
che questo, curvando a sinistra, assuma la denominazione di Borlezza1
. Il
comune di Rovetta, che si trova a circa 700 metri s.l.m., confina con Cluso-
ne, Gandino, Cerete, Songavazzo, Fino del Monte, Castione, Colere, Vilminore
e Oltresenda Alta. Il comune comprende le frazioni di S. Lorenzo, che fa par-
rocchia a sè e la Conca Verde, ormai praticamente collegata a Rovetta, formatasi
a partire dal 1953. Gli abitanti residenti al 31 dicembre 2003 erano 3548. Il
Boselli2
contrariamente alla tesi dell’Olivieri, ritiene che il nome derivi da
roveto mentre lo Zanetti lo ritiene un diminutivo di reca “detrito” (anche
nel senso di “frana”)3
.
Quando arrivarono i Romani, l’altopiano era già abitato e vi fioriva un notevo-
le commercio. Molti nuclei esistevano prima della romanizzazione, che ha lasciato
una traccia nella lingua e nei toponimi. L’abitato è sorto sul via di collegamen-
to con la Val di Scalve dove vi erano le miniere di ferro. Lungo questa strada
di scambio e smistamento del minerale e dei traffici verso Lovere, Nossa e Gromo,
esistevano rispettivamente: mercato, magli e fucine.
Pur essendo un paese di montagna Rovetta ha tratto sempre vantaggio
dalla vasta pianura che si estende ai suoi piedi. Così è stato ad esempio verso
la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo quando si manifestarono gli effet-
ti della crisi della pastorizia e ancor più quella della lavorazione delle lane
e dei minerali di ferro. Questo vasto territorio pianeggiante ha costituito una
ricca riserva e comunque un patrimonio di cui altri paesi della valle non sono
dotati. Ancora tale vantaggio si è verificato dopo la Prima Guerra Mondiale
con la coltivazione della patata.
Clusone, già comune nel secolo XI, è sempre stato il paese più importante
della Valle Seriana Superiore, anche quando nel 1428 Venezia accorderà par-
ticolari privilegi riconoscendogli il titolo di capoluogo della Valle Seriana
Superiore. Un territorio molto vasto e articolato ricco di diversi insedia-
foto 1.
La chiesa parrocchiale di Ognissanti ed il sagrato
(fine secolo XIX, Collezione Camillo Pezzoli).
1. In documenti bassomedievali questo torrente viene
chiamato “ Inzine”, ”Intino” o “Incino”. Almeno a parti-
re dal Seicento lo si distingue con quattro nomi diversi:
la parte alta fino ad Onore, viene denominata Glera o
Gera; da Onore a S. Lorenzo, Valeggia; da S. Lorenzo a
Poltragno, Borlezza; da Poltragno a Castro, Tinazzo. Men-
tre la pertinenza del castello era chiamata Gavazzo.
2. Cfr. P. Boselli, Dizionario di toponomastica bergama-
sca e cremonese, Firenze, 1990, p. 257.
3. Cfr U. Zanetti, Paesi e luoghi di Bergamo. Note di
etimologia di oltre mille toponimi, Bergamo, 1985-1986.
Rovetta
XXV
menti divenuti in seguito autonomi e sede di altrettanti comuni, sorti ini-
zialmente come residenze agricole o a servizio delle attività boschive e
della pastorizia. Comprendeva anche alcuni feudi signorili e castelli, come
per esempio Villa d’Ogna, Fino, S. Lorenzo e Onore.
Percorrendo le vie del paese, si nota forte il contrasto tra le testimonianze di
una civiltà contadina e le costruzioni moderne. Alcuni edifici antichi, tal-
volta restaurati, conservano ancora l’architettura originaria, come la Casa
Magri, la ex Casa Marinoni, il Palazzo Comunale, la Casa Fantoni, la Casa Tosi,
l’ex Albergo Costa d’Oro e i portici di via Fantoni, nonché il Santuario di Som-
maprada sulla via per Clusone. A parte alcuni affreschi votivi che si trovano
su vecchie case nel centro storico, la gran parte del patrimonio artistico si
trova nella chiesa parrocchiale.
La medievale chiesa esistente al momento della separazione dalla Parrocchia
matrice di Clusone avvenuta nel 14094
, viene ampliata e consacrata nel
1444 dedicandola ad Ognissanti. Con gli adeguamenti controriformisti anche
la chiesa di Rovetta viene demolita e riedificata, tra il 1659 e il 1661.
Restaurata nel 1852, è poi ampliata e trasformata nel 1913 su progetto del-
l’arch. Elia Fornoni.
Fra gli affreschi dell’interno spiccano quelli della volta presso il presbiterio
del pittore clusonese Lattanzio Querena. Sulla facciata esterna è ancora
ben conservato un affresco del XV secolo raffigurante una Pietà apparte-
nuta alla vecchia chiesa. Di notevole pregio e rilievo sono le opere fantoniane
considerate fra le più belle opere della bottega: l’altare maggiore, realizza-
to tra il 1712 e il 1722, e, ai fianchi dell’altare, due statue di santi locali, il
beato Marinoni5
, aiutante di S. Gaetano da Thiene, che la tradizione vuole
foto 2.
In primo piano l’alveo del Valeggia e l’abitato di
Rovetta. In lontananza, in fondo alla campagna, è
visibile il Seminario di Clusone (anni Trenta,
Collezione Camillo Pezzoli).
4. La chiesa è documentata in atti dell’archivio dei
Fantoni in Rovetta a partire dal 1409 (cassa perga-
mene).
5. Il beato Marinoni è originario di Cerete, (cfr. L. Ferri,
Cerete, Clusone, 1996, p. 109), ma è imparentato con
i Fantoni per via della nonna e della madre di Andrea
che erano Marinoni di Cerete.
SCHEDA
XXVI
nativo del luogo e, S. Narno, primo vescovo di Bergamo, anch’egli ritenuto
originario del luogo.
Nel 1736 si completa il presbiterio con l’allestimento dell’ancona maggiore
che incornicia la pala di Tutti i santi di G. B. Tiepolo. Del Litterini sono i qua-
dri dell’altare della Madonna e del Suffragio. Di rilievo sono le cariatidi lignee
che dividono gli scranni del coro e sorreggono il cornicione che richiama-
no l’immaginazione dantesca dei superbi6
. Il battistero è stato ricostruito
attorno al 1620 utilizzando elementi quattrocenteschi del precedente, attri-
buiti a Bertulino Fantoni, attivo nel 1460. Di pregio i bancali con statue in
sagrestia, i medaglioni delle cantorie, il grande apparato del Triduo, una croce
d’altare in noce intarsiata di madreperla e una croce processionale in legno
d’ulivo d’altissimo valore. La statua di S. Rocco con il devoto in ginocchio è
opera giovanile di Andrea Fantoni, Da segnalare un dipinto del Cristo risor-
to tra angeli e i Santi Narno e Lorenzo, attribuito a Lorenzo Lotto.
Nella chiesa dei Disciplini, considerata la più antica cappella del luogo,
più volte rimaneggiata, si conserva il gruppo scultoreo ligneo del Com-
pianto sul Cristo morto. Realizzato dalla bottega Fantoni dal 1699 al 1711, è
ritenuto il più emblematico fra i sei eseguiti nel periodo di maggior floridez-
za della bottega (1690 – 1782). Sulla facciata esterna si possono ammirare tre
affreschi raffiguranti: la Crocifissione, la Deposizione e la Resurrezione, dipin-
ti nel 1585.
L’attività artistica della bottega Fantoni di Rovetta è documentata con conti-
nuità dal 1460 fino al 1817. In Europa rappresenta la bottega famigliare
più longeva conosciuta. I Fantoni hanno sempre dimorato in Rovetta nella
casa dove oggi ha sede il Museo che conserva una ricchissima documenta-
zione dell’attività svolta.
Da un’iniziale lavorazione di falegnameria artigianale, i Fantoni passano pro-
gressivamente ad una geniale espressione di intaglio per arrivare ad una
scultura artistica di pregio, prima in legno e successivamente in marmo. La
produzione, dalla limitata cerchia locale e dintorni, si è estesa per fama e
lavoro a moltissime località della bergamasca e del bresciano in prevalen-
za, ma anche su scala nazionale. Il periodo di maggior floridezza e rinomanza,
è stato sotto la direzione, prima di Grazioso, poi del figlio primogenito Andrea
(1659 – 1734), la personalità di maggior spicco del casato, con i numerosi
fratelli (sei maschi e tre femmine) tutti impegnati nella lavorazione di bot-
tega. L’attività termina con Donato Andrea (1746-1817). Luigi Fantoni, figlio
dell’ultimo scultore, avvocato e raccoglitore d’arte, si è dedicato alla ricer-
ca, all’acquisizione, allo studio e alla valorizzazione dell’opera dei suoi avi.
Nell’antica casa Luigi dà vita al primo allestimento museale e pone i pre-
supposti perché ne sia garantita la conservazione e una più larga conoscenza.
Nel 1968 la famiglia istiuisce la “Fondazione Fantoni” con l’intento di conser-
vare ed esporre al pubblico il patrimonio artistico, compresi la casa e i
laboratori.
Attigua alla Casa Fantoni vi è l’abitazione che ha ospitato per più di cinquan-
t’anni il pittore Arturo Tosi (Busto Arsizio,1871, Milano,1956), uno dei più
intensi paesaggisti lombardi. É sepolto nel cimitero di Rovetta.
foto 3.
L’altare maggiore della Chiesa Parrocchiale con la
pala di “Ognissanti” del Tiepolo.
(Collezione Camillo Pezzoli).
foto 4.
Angelo alla destra dell’altare maggiore della
Parrocchiale scolpito da Andrea Fantoni nel 1722
(foto Brighenti, Collezione Camillo Pezzoli).
6. Cfr nella Divina Commedia, canto del Purgatorio,
c. X, v. 130.
Rovetta
XXVII
S. LORENZO
Frazione del comune di Rovetta, che si è sviluppata a partire dalla seconda
metà del secolo XV. Nelle vicinanze della chiesa parrocchiale esisteva un
castello di proprietà della nobile famiglia Suardi di Bergamo distrutto agli
inizi del secolo XV in uno scontro bellico fra Guelfi e Ghibellini. Nella distru-
zione la piccola chiesa viene risparmiata. Il castello e tutto il territorio di sua
pertinenza, circa un terzo dell’attuale territorio comunale, suddiviso in 90
parti viene acquistato e gestito da una società denominata Compagnia dei
Capi 90, attiva dal 14217
al 1817. Attorno alla chiesa si forma il centro abi-
tato il cui nucleo centrale è ancora oggi leggibile8
.
Per la maggiore vicinanza a Songavazzo la chiesa di S. Lorenzo era di ius
patronato del parroco di Songavazzo che la ufficiava, non senza contestazio-
ni da parte della parrocchia di Rovetta che possedeva 4 Capi e di tutta la
Compagnia dei capi 90. Nel 1863 con decreto del vescovo Pier Luigi Spe-
ranza la comunità si stacca definitivamente da Songavazzo. Si costruisce quindi
una nuova chiesa, iniziata però solo nel 1898, edificata di fianco all’antica
che esiste tuttora, sulle rovine del castello, e consacrata il 10 ottobre 1900.
In stile neorinascimentale è stata progettata dall’arch. Virginio Muzio. Possie-
de diverse opere d’arte provenienti dalla vecchia chiesa. Di interesse è la tela
di S. Lorenzo con i santi Rocco e Sebastiano, attribuita a Domenico Carpino-
ni di Clusone, le tre tele del coro, dedicate a S. Lorenzo e alla Prigionia e
martirio dei santi Fermo e Rustico, sono state dipinte nel 1796 dal clusonese
Lattanzio Querena autore anche della pala della Madonna del Rosario. Moder-
no ma prezioso è l’altar maggiore, eseguito nel 1945 con la collaborazione dello
sbalzatore Attilio Nani di Clusone. Il campanile, che incorpora quello prece-
dente, è del 1913 ed è stato progettato con il concorso di Luigi Angelini.
Un’antica fabbrica di coltelli e piccoli attrezzi agricoli di proprietà della fami-
glia Marinoni Mesì di Rovetta esisteva fin dai primi anni dell’Ottocento lungo
il torrente sotto le rovine dell’antico castello con mola e piccoli magli azio-
nati dall’acqua; ma le piene del Valeggia e l’erosione degli argini costrinsero
i proprietari ad abbandonarla.
ASPETTI ISTITUZIONALI
9
Rovetta
É menzionata come contrada di Clusone nello statuto del Comune di Ber-
gamo del 1331 mentre in quelli del 1353 e 1391 vi appare come comune
autonomo. Il territorio di Clusone si estendeva verso la Presolana fino al con-
foto 5.
L’imponente apparato ligneo del Triduo della
Parrocchiale realizzato nel 1780-90 dalla bottega di
Donato Andrea Fantoni (Collezione Camillo Pezzoli).
7. Stampa della Compagnia dei Capi 90 di S. Lorenzo,
testo a stampa, non datato, fine del sec. XVII, elenca
in approssimativo ordine di data, documenti riguardan-
ti la Compagnia dei Capi 90 a partire dal 1392 fino
al 1765 (Archivi parrocchiali di Rovetta e Songavazzo).
8. Nell’anno 1700 a S. Lorenzo c’erano 18 famiglie
che possedevano in totale 1525 pecore, 28 buoi e 32
vacche (Bollettino Parrocchiale di S. Lorenzo).
9. Cfr. P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territo-
rio bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali
e sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Pro-
vincia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000,
p. 252 e Regione Lombardia, Settore Trasparenza e Cul-
tura, Istituzioni del territorio lombardo dal XIV al XIX
secolo. Progetto Civita. Bergamo, Milano, 1997, p. 192
e il suo aggiornamento sul sito internet della Regio-
ne Lombardia.
SCHEDA
XXVIII
foto 5.
Aereofotografia scattata dall’elicottero dell’Agro
di Rovetta. In primo piano al centro la frazione di
S. Lorenzo, a destra il Valeggia, la contrada
Maninetti, e in alto, il capoluogo comunale.
A destra l’abitato di Songavazzo.
(Ottobre 2003, Lino Olmo).
fine con il comune di Onore e Songavazzo. Nell’estimazione generale del
1476 e nella relazione finale del Da Lezze nel 1596 è ancora appartenente
a Clusone assieme a Piario, Villa, Ogna, Nasolino e Valzurio. Il definitivo
distacco è ufficializzato con un atto divisione nel 1636. Nel 1809 con il decre-
to del 31 marzo sulla concentrazione dei comuni, viene di nuovo aggregato
a Clusone assieme a Oltressenda Alta, Oltressenda Bassa e Piario. Riacqui-
sta l’autonomia nel 1816. Con il regio decreto del 21 marzo 1929, n. 568
aggrega il vicino Fino del Monte assumendo la denominazione di Rovetta
con Fino. Nel 1947 viene ricostituito il comune autonomo di Rovetta.
S. Lorenzo
Sec. XVIII-1797
San Lorenzo, nella valle Seriana Superiore, era stato comune nel primo Tre-
cento sotto il nome di “Gavazio”. In seguito fu contrada di Clusone, anche se
nel 1621 il capitano di Bergamo lo dichiarò contrada del comune di L’Ono-
re e Songavazzo. Per il Maironi da Ponte é contrada di Clusone (Maironi
da Ponte 1776), mentre é comune per il Formaleoni: “Secondo la nota del-
l’Offizio fiscale, é comune distinto da Barziza di Val Gandino ed appartiene
alla val Seriana Superiore; Ne’ registri antichi trovo notata Barziza stesso tito-
lare di S. Lorenzo, mentre ora ha per titolo S. Nicolò. Perciò suppongo che
sia nata qualche innovazione per cui dalla Parrocchia di Barziza sia stato
smembrato il luogo che ora chiamasi Comune di S. Lorenzo” (Formaleoni
1777). Non ottenne mai l’autonomia comunale.
Confini
comunali
e
viabilità
XXIX
SCHEDA
CONFINI
COMUNALI
E VIABILITÀ
Sergio Del Bello, Marco Duina
Nei riquadri i confini delle circoscri-
zioni territoriali dei comuni del
Valeggia alle date storiche indicate.
Essi rappresentano la ricostruzione
storico-geografica degli ordinamenti
territoriali alle soglie temporali che
hanno segnato significativi mutamen-
ti di carattere istituzionale1
.
In tratteggio i limiti amministrativi
attuali. Per la descrizione storica del-
l’assetto istituzionale di Songavazzo e
Rovetta dal secolo XIV ad oggi si
vedano le due schede qui a p. XX e
XXIV.
Fonte: Confini dei comuni del territorio di Bergamo
(1392-1395), trascrizione del “Codice Patetta n. 1387”
della Biblioteca apostolica Vaticana, a cura di V.
Marchetti, Provincia di Bergamo, Bergamo 1996
(Fonti per lo studio del territorio Bergamasco, 13).
Fonte: Legge 6 marzo 1798, Organizzazione del
Dipartimento del Serio; Riparto del Dipartimento
dell’Oglio e Adda (marzo 1798).
Fonte: ISTAT, X Censimento della popolazione, 15
ottobre 1961, vol. III, “Dati Sommari per comuni”,
fasc. 16 – Provincia di Bergamo.
1392 1798 1961
Limite amministrativo provinciale attuale
LEGENDA
Limite amministrativo sovracomunale
storico
Limite amministrativo comunale attuale
Limite di comune censuario (catasto
Lombardo-Veneto, 1853) assunto come
limite amministrativo storico
Limite ipotetico di comune storico
Comune storico
Frazione geografica del comune storico,
ora comune amministrativo
Frazione geografica o località abitata
Nei riquadri i colori evidenziano la distinzione tra le
diverse circoscrizioni comunali
scala 1 : 250 000
1. Per le carte storico-ricostruttive qui riprodotte a stral-
cio cfr., P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territorio
bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e
sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Provin-
cia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000,
pp. 441-460. Non sono state illustrate le variazioni avve-
nute negli intervalli 1810-1816 e quelle del periodo
fascista in quanto relative a brevi escursioni di tempo.
Per Songavazzo dopo il 1805 non è avvenuto più alcun
cambiamento.
SCHEDA
Secondo la classificazione basata sulle
procedure di realizzazione, le carte
si suddividono in carte rilevate e carte
derivate. Le prime sono quelle che si
producono attraverso le tecniche di
rilievo diretto del terreno; le secon-
de invece si ottengono partendo da
carte già realizzate, dalle quali, come
indica il loro nome, vengono derivate
attraverso procedimenti di semplifica-
zione e sfoltimento di particolari con
la cosiddetta “generalizzazione”, ovve-
ro il processo di assimilazione e
ri-simbolizzazione dei particolari geo-
grafici. Il processo di derivazione si
applica per ottenere carte tematiche e
carte a scala in genere più piccola
delle carte di partenza. La Carta topo-
grafica del Regno Lombardo-Veneto
del 1833 è una carta derivata: per la
sua realizzazione i cartografi dello
Stato Maggiore austriaco si basarono
sulle corografie distrettuali (come quel-
la riprodotta a stralcio nella fig. 13 nel
testo di Fausti) del 1826 di cui si con-
serva la collezione completa presso
l’Archivio di Stato di Bergamo2
, deri-
vate a loro volta dalla mosaicatura
delle carte catastali napoleoniche in
scala 1 : 2 000 (opportunamente ridot-
te alla scala 1 : 28 000).
Per garantire la correttezza geome-
trica della carta – che avrebbe
senz’altro risentito dei numerosi pas-
saggi – i tipografi austriaci provvidero
ad inquadrarla geodeticamente attra-
verso una rete di triangolazioni con
origine sulla base di Somma di 10 km.
Istituto Geografico Militare Austriaco, Carta topogra-
fica del Regno Lombardo-Veneto, 1833, scala 1 : 86 400
(stralcio e unione dei ff. 3C - Sondrio e 4C - Bergamo,
Archivio di Stato di Bergamo).
1833
2. Le carte sono riprodotte a colori in P. Oscar. O. Belot-
ti, Atlante, cit., pp. 441-460.
XXX
Viabilità storica
del settore intermedio
della Val Borlezza
(Valeggia - Borlezze - Cerete)
Confini
comunali
e
viabilità
XXXI
Istituto Geografico Militare, Carta topografica d’Italia,
Serie 50, scala 1 : 50 000
(stralcio e unione dei ff. 77 - Clusone, 1982
e 78 - Breno, 1977; rid. alla scala 1 : 86 400).
Via del “Ferro”: strada storica di collegamen-
to fra la Valle di Scalve e il Lago d’Iseo.
Strada Dipartimentale poi Regia Provinciale
Lovere – Clusone.
Collegamenti stradali fra Songavazzo e Rovet-
ta in direzione di Clusone nella prima metà del
secolo XIX. Situazione documentata almeno
fino al crollo del ponte Fedrighini del 1842.
Strada comunale di collegamento
Cerete Basso – Songavazzo.
0 1000 2000
m
1977-1982
Nelle due carte topografiche sono leg-
gibili i tracciati delle principali vie
di comunicazione della zona. In quel-
la più recente, del 1977-1982, sono
riportati in sovrimpressione i trac-
ciati delle strade storiche.
LEGENDA
XXXII
1
ANALISI
STORICA
PREMESSA
Gennaro Guala
L’evoluzione delle storie dei ponti marcia di pari passo con l’evoluzione delle
civiltà: il ponte è sinonimo d’abbattimento di barriere, di rottura d’isolamen-
ti, d’eliminazione di estraneità fra popolazioni confinanti, separate prima da
una profonda forra o da un fiume vorticoso. È un segnale di mutamento: pro-
fondo un tempo, tale da sconvolgere usi e costumi d’etnie che per radicamen-
to in aree collegate al mondo confinante da guadi avventurosi e spesso
impraticabili, vivevano forme evolutive atipiche; meno avvertibile oggi, tale
comunque da modificare i flussi di traffico, i baricentri degli interessi, gli
assetti territoriali ed urbanistici delle zone, più o meno ampie, su cui il ponte
esercita la sua influenza.
Dal guado al ponte di legno. Uno dei primi, se non il primo, ricordato dagli
storiografi: il ponte “Sublicius”, costruito fra il 639 ed il 614 a.C. dai Ponte-
fici, regnante Anco Marzio, con legname fatto venire dalle boscaglie dei Vosgi
- “sublicis” nel loro gergo sono le grosse travi di legno delle pile e degli impal-
cati – fu realizzato in modo da poter essere smontato per fermare sull’altra
sponda del Tevere temute orde di vicini troppo aggressivi o vendicativi e fino
al 179 a.C. unico collegamento di Roma con i territori del nord. Più tardi, in
terre di conquista, ricordiamo il ponte di Giulio Cesare sul Reno: lungo 430
m, di 56 campate di m 7,70, con impalcato largo 8,30 m e con rostri frangi-
flutti in corrispondenza dei cavalletti. Venne costruito nei dieci giorni di mezzo
del mese di luglio del 55 a.C. per cogliere di sorpresa e punire i Sicambri scor-
tesi e dar prova alle popolazioni germaniche della potenza di Roma; per poter
attaccare e defilarsi ,se il caso, senza doversi affidare all’incerto aiuto dei tra-
ghettatori Ubii, che si dicevano alleati dei Romani solo in odio agli Svevi.
Di questo possiamo essere certi: nel mondo occidentale la tecnica dei ponti,
se per ponte intendiamo qualcosa di diverso di un tronco gettato attraverso
un torrente, nasce in Roma ed acquista con Roma una gran valenza tecnica
ed artistica. Furono, i “Pontifices”, che, dall’attento studio del comportamen-
to delle acque, dei materiali impiegati, delle condizioni statiche implicite in
ogni soluzione, affidando ad una gelosa tradizione le norme costruttive affi-
nate nel tempo, prima con il legno e poi con la pietra, consentirono alle vie
consolari di raggiungere tutte le contrade del mondo conosciute all’epoca
Romana. Il primo ponte in pietra fu la ricostruzione del ponte Sublicio, volu-
ta nel 179 a.C. da Emilio Censore quando ormai Roma si sentiva sicura della
propria immensa forza. Da allora l’arco divenne l’elemento fondamentale del
ponte, e la pietra – talvolta il mattone – l’elemento per costruirlo.
Il ponte in pietra, nato allora, è stato il protagonista per più di 2000 anni del col-
P A R T E P R I M A
2 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA
legar una all’altra le sponde di un fiume o di un orrido, affiancato da confratel-
li in legno, cui va riconosciuta l’ingegnosità e la fantasia che caratterizza le opere
che, nel subcosciente individuale e collettivo, si considerano per certi versi preca-
rie. Così è stato fino all’ultimo ventennio dell’ottocento, quando lo sviluppo della
tecnica - nella produzione e nella lavorazione dei materiali - e della scienza delle
costruzioni, gli oppose le ardite, innovative ed arroganti strutture in ferro. Quan-
to è durata la certezza che il ricorso a questo materiale antico, ma mai come ora
così facilmente producibile e lavorabile, sarebbe stato, per questo tipo di struttu-
ra, il dominatore incontrastato? Forse venticinque, forse trent’anni.
Ai primi del Novecento si affacciano alla ribalta i primi ponti in calcestruzzo.
Utilizzato all’inizio come puro e semplice conglomerato, con le sue caratteristi-
che di pietra artificiale, pur se più economico e più facilmente plasmabile, il cal-
cestruzzo consentiva di ricalcare la configurazione dei ponti in pietra, ne imitava
le geometrie e senza troppe difficoltà oltre le spingeva.Quasi contemporaneamen-
te, dalla geniale accoppiata calcestruzzo-acciaio, nasce il ponte in cemento arma-
to: i ponti in cemento armato sorgono, in tutta Europa, a decine, a centinaia, a
migliaia. Nasce l’epoca della gran mobilità degli uomini e dei prodotti; dell’in-
terscambio continuo, talvolta frenetico, che non riguarda solo le merci e le per-
sone, ma anche le idee. Nasce l’evo in cui viviamo, che amiamo e nello stesso
tempo critichiamo, ma che non abbiamo imparato ad apprezzare come si meri-
ta, perché dimentichiamo quanto sforzo è costato alle generazioni che ci hanno
preceduto, perché non sappiamo valutare fino in fondo che salto in avanti rap-
presenti sul piano economico e sociale rispetto al passato; perché, infine, con
comportamenti immaturi, tanto sul piano individuale quanto su quello colletti-
vo, ne esasperiamo, anziché mitigarli, gli aspetti critici, sempre presenti come
effetti di secondo ordine in qualsiasi processo di cambiamento.
Per capire questa trasformazione di enorme portata bisogna fare un passo indie-
tro: risalire alla metà dell’ottocento, quando ad un mondo che si era avvalso per
secoli e secoli di tecniche consolidate, che rifaceva quello che già i Romani ave-
vano fatto, subentra una nuova generazione che progetta le sue opere in base
alle più recenti scoperte ed alle nuove conoscenze tecnico - scientifiche. La loro
diffusione è avvenuta nei modi più disparati. Per quanto riguarda l’evolversi
delle tecniche costruttive nelle nostre aree montane, ma soprattutto il loro radi-
carsi capillarmente e diventare patrimonio comune, non si è ancora dato il giu-
sto peso al contributo arrecato dalla realizzazione della rete delle ferrovie
secondarie.
Il risalire delle strade ferrate lungo le valli era un chiaro sintomo che il mondo
stava realmente cambiando, che si potevano affrontare i problemi in un’ottica
diversa da quella tradizionale, che – per limitarci al campo del costruire - era
possibile ubicare un ponte esattamente dove serviva, e non dove la presenza di
due roccioni sulle rive opposte avevano, fino a ieri, imposto.Con la possibilità di
aumentare la distanza fra le spalle dei manufatti a costi ragionevoli, diventava
possibile progettare in modo razionale l’intero tracciato, il collegamento fra il
paese e il capoluogo del circondario, un gruppo di paesi alla più vicina stazio-
ne ferroviaria , e non esser costretti a transitare per l’unico punto in cui la tra-
dizione diceva si sarebbe potuto costruire il ponte, per poi raggiungerlo da entrambi
i lati con una viabilità tortuosa ed irrazionale.
Nell’Ottocento, per quanto concerne il progettare e costruire ponti, Songavazzo
ha ripercorso duemila anni di esperienze. Il ponte in legno, progettato da Fedri-
ghini nel 1826, realizzato subito dopo e già distrutto dalla furia di una piena
prima del 1840 e le varie proposte di ponti in pietra – i due progetti di Santo
Grassi, quello di Palvis (siamo nel 1880 e ancora quasi si teme di ardire troppo
nel disegnare un arco in pietra di 20 m di luce) ed una sua ulteriore rielabora-
3 PREMESSA DI GENNARO GUALA
zione, sempre negli anni Ottanta, che propone una travata in acciaio accoppia-
ta ad un arco in pietra - sono descritti ed illustri nel capitolo che segue, frutto di
un’approfondita ricerca dell’architetto Carla Fausti.
Vent’anni dopo veniva realizzato il ponte in cemento armato di Cortese. La sua
storia, dall’approvazione in consiglio comunale all’inaugurazione, l’iter ammi-
nistrativo, i personaggi politici che hanno appoggiato l’iniziativa presso enti e
ministeri, le fasi progettuali e costruttive dell’opera, le figure dei tre ingegneri
che, ognuno per quanto di propria competenza, hanno partecipato alla sua rea-
lizzazione – l’ingegner Cortese progettista e direttore dei lavori, l’ingegner New-
man responsabile dell’impresa costruttrice, l’ingegner Pesenti produttore e fornitore
del cemento e studioso del cemento armato e delle sue applicazioni – sono ripor-
tati nel capitolo “Il ponte in cemento armato del 1910 di Luigi Cortese”.
Quanto è successo in Songavazzo, con motivazioni diverse e conclusioni solo
formalmente differenti, si è ripetuto in cento, mille siti d’Europa. Da queste espe-
rienze, dobbiamo ricordarlo, è nato e si è evoluto quel sapere costruttivo che, se
per un certo verso ha chiuso la lunga epoca del ponte in pietra - di cui si è volu-
to nella scheda a seguito sintetizzare la storia gloriosa - oggi permette di realiz-
zare opere quali il ponte di Normandia e ci fa convinti di poter realizzare il ponte
sullo stretto di Messina. Sono derivate anche tutte quelle conoscenze, legate a
quasi un secolo di osservazioni ed approfondimenti, che consentono di valuta-
re e prevenire le azioni di degrado cui vanno soggette queste opere realizzate, o
da realizzare, in ambienti non di rado aggressivi e assoggettate a carichi dina-
mici sempre crescenti.
Nel capitolo “L’evoluzione del ponte in cemento armato: l’impegno di progettisti
e costruttori” vengono affrontate queste tematiche. Una premessa, arricchita da
una nota del professor ingegner Antonio Migliacci, fa da introduzione e avval-
la sul piano teorico gli studi e le sperimentazioni, che completano questa parte
del testo, mirate a stabilire il grado di conservazione e funzionalità ad oggi del
ponte di Songavazzo. È un capitolo indirizzato, almeno nella seconda parte, a
tecnici che operano nel settore delle costruzioni; una rapida scorsa può eviden-
ziare ad ogni lettore i mezzi sofisticati di cui oggi si dispone per condurre le
indagini su strutture di cui si vogliono testare le capacità portanti residue ed
individuare gli accorgimenti per incrementarle.Applicate al ponte in cemento
armato di Cortese, confermano che il tempo non ha alterato le ottime qualità
del materiale impiegato e l’accuratezza con cui è stato posto in opera.
Data progetto Eretto Disegni Luce (m)
Altezza (m)
Costo*
Fedrighini 1827
1829
SI 25
9.50
L. 3524
austriache
Grassi 1847 NO 42
7
L. 19.914
Grassi 1851 NO 38
7
L. 22.546
Cantalupi 1866 Proposte
raccordo
stradale
senza
ponte
Marinoni 1873 NO 62.5
11.85
L. 33.597
Palvis
linea bassa
1877 NO 50
12 - 13
L. 44.000
Palvis
linea alta
1877 NO 50
18.60
L. 29.900
Pesenti 1890 NO 61
11.59 -
12.30
L. 66.500
Cortese 1907 SI 90
13
111,5
18,5
L. 72.500
L. 45.304,45
appaltato 1909**
L. 58.416,19
consuntivato 1910**
4 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA
Prospetto dei progetti dei ponti sul Valeggia
* Comprensivo delle strade di raccordo. ** Riferiti ai lavori per la costruzione solo del ponte.
5 PREMESSA DI GENNARO GUALA
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MANINETTI
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via Graziola
ex via Catelù
Santuario
Addolorata
sito
ex ponte
Fedrighini
S.Bartolomeo
Asilo
Morandi
Addolorata
del Benzoni
bivio
Graziola
tombotto
vecchio
tracciato
stradale
Corno di
Scannacapra
Valzello
di Camerolo
Ripa
Paleu
Paleu
vecchia pila
strada com.
della Grossa
P o n t e
L . C o r t e s e
0 50 100
m
Planimetria dei progetti dei ponti e dei raccordi stradali sul Valeggia
SCHEDA
6 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA
SCHEDA
PONTI IN PIETRA
DI GRANDE LUCE
Gennaro Guala
La pietra è stato il materiale più uti-
lizzato, in epoche storiche, nella rea-
lizzazione dei ponti.
Fra i ponti stradali in pietra possiamo
ricordare con un certo orgoglio che il
ponte di Trezzo sull’Adda - costruito
nel 1337 da Barnabò Visconti assieme
alla riedificazione del castello, pur-
troppo distrutto dal Carmagnola il 21
dicembre del 1416 per impedire il
flusso dei rifornimenti dal territorio
bergamasco - ha conservato per più
di 500 anni il record per la maggior
luce d’arco mai realizzato.
Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei
primissimi anni del Novecento il ponte
in pietra è ancora utilizzato soprattut-
to per la realizzazione delle nuove
linee ferroviarie: è il suo ultimo breve
periodo di grande splendore.
Sono proprio i primi anni del Nove-
cento che consegnano alla storia il
ponte in pietra; resta come testimo-
nianza di una perizia nel costruire dif-
ficilmente uguagliabile. Molte sono le
ragioni di questa subitanea caduta in
disuso di una tecnica millenaria; su
tutte prevale una evidente ed incon-
futabile ragione economica sbilancia-
ta in modo irreversibile a favore
Tabella 1. I più grandi ponti stradali in pietra esistenti al mondo
Anno di costruzione Località Luce dell’arco
in metri Larghezza Durata del primato di lunghezza Nazione
1339 Cèret-Ponte Vecchio 45,45 _ 17 Francia
1356 Verona 48,7 3,25 21 Italia
1377 Trezzo 72 23,3 39 (526)* Italia
1416 Verona** 48,7 - 63 Italia
1479 Vieille-Brioude 54,26 5,56 343 Francia
1822 Tournon 49,2 - 12 Francia
1834 Chester 60,96 17,76 28 Inghilterra
1862 Cabin-John 67,1 6,14 41 U.S.A.
1903 Pont-d’Adolphe 84,65 17,55 2 Lussemburgo
1905 Plauen 5,35 5,35 Germania
* In realtà il ponte di Trezzo è stato per 526 anni il ponte con luce maggiore mai realizzato
** Ritorno al primato per la demolizione del ponte di Trezzo
Ponti
in
pietra
di
grande
luce
7 PREMESSA DI GENNARO GUALA
fig. 1.
I ruderi del ponte di Trezzo di 72 m. di luce (Gorazd
Humar, Kammiti velikan na Soči [Il gigante di pietra
sull’Isonzo], Nova Gorica (Slovenia), 1996, p. 248).
fig. 2.
Il Castello di Trezzo d’Adda. Disegno acquerellato,
1898 (cm 43x540). Ricostruzione dell’ing. Pietro
Brunati (Albese Co, 1854-1933). (Riproduzione di
Rino Tinelli; cfr. R. Tinelli, Trezzo sull’Adda.
Cartografie e vedute dal Cinque all’Ottocento, Capriate
S. Gervasio, 2001, p. 227).
SCHEDA
8 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA
dell’utilizzo del ferro o del calcestruz-
zo. Come conseguenza è stato abban-
donato qualsiasi tentativo tendente al
miglioramento di questa tecnica tra-
dizionale, reso possibile sia dai nuovi
mezzi operativi, sia dalla possibilità
di sfruttare appieno l’elevatissima resi-
stenza della pietra e delle nuove malte
di giunzione, affinando la progetta-
zione sulla base dei progressi fatti
dalla scienza e dalla tecnica delle
costruzioni. Sarebbe stato tuttavia
molto arduo superare di molto le
grandi luci raggiunte negli ultimi ponti
in pietra, perché sul funzionamento
ad arco di una struttura molto poco
c’era ancora da apprendere già nei
secoli passati.
Vale la pena di spendere due parole
sull’ultimo grande arco in pietra
costruito a Solkan, nei pressi di Gori-
zia che, con la sua luce di 85.00 metri,
ha superato l’Isonzo collegando i due
tronconi del viadotto su cui corre la
linea Trieste – Vienna. Detiene il
record del più lungo ponte in pietra
mai realizzato per una ferrovia a scar-
tamento normale. A dire il vero, non
costruito una, bensì due volte. Realiz-
zato dagli austriaci nel 1905, fu demo-
lito durante la prima guerra mondiale
nella battaglia per Gorizia del 1916.
Nel 1918, alla fine delle ostilità, per
riattivare la linea fu messo in opera
un ponte in ferro provvisorio, mante-
nuto in servizio fino al 1927. Per il
suo rifacimento definitivo furono stu-
diate parecchie soluzioni: una in ferro,
abbandonata per il peso eccessivo che
avrebbe scaricato sulla pila, senza con-
trospinta orizzontale; una seconda in
pietra, con 3 o 5 archi sull’Isonzo,
scartata per ragioni idrauliche e timo-
re di scalzamenti. Una terza, infine,
proposta nel 1923 dall’impresa Maso-
rana di Trieste, da realizzarsi in calce-
foto 1.
In primo piano il ponte ferroviario in pietra di
Solkan.
A valle il recente ponte stradale in cemento armato.
(Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante],
cit., p. 115).
Ponti
in
pietra
di
grande
luce
9 PREMESSA DI GENNARO GUALA
struzzo armato. Interessante annotar-
ne il costo di L. 1.650.000.
Le ragioni “ storiche “, il rispetto per
quest’opera unica al mondo, alla fine
prevalsero sulle ragioni economiche.
Le Ferrovie dello Stato, operando
attraverso il compartimento di Udine,
decisero di ricostruire il ponte tal
quale, ridando a tutto il viadotto l’ori-
ginale identità architettonica e strut-
turale.Con pietra cavata a Chiamp e
sul Carso, l’impresa dell’ingegner Atti-
lio Ragazzi di Milano (che si era aggiu-
dicata la gara al prezzo di
L. 2.585.700) ultimò l’arco in 450 gior-
ni, molto meno dei 650 che aveva a
disposizione per dare il lavoro ultima-
to e l’Isonzo ripulito dalle macerie del
ponte distrutto e dalle opere provvi-
sionali (pilone intermedio) necessarie
alla realizzazione della nuova opera.
È tuttavia il ponte stradale di Plauen,
con i suoi 90 m, che detiene il record
della maggior luce per un ponte in
pietra. La grande differenza fra il
ponte di Solkan e il viadotto stradale
di Plauen sta’ in questo. Il ponte di
Solkan è costruito completamente con
blocchi di pietra squadrata, con una
geometria ben stabilita, il cui sapien-
te accostamento ed incastro garanti-
sce la stabilità dell’opera: la forma di
ogni singola pietra, ricavata dal masso
dall’abilità e dalla fatica di valenti arti-
giani, è parte determinante della
forma architettonica dell’insieme.
Il ponte di Plauen è un’opera in cui il
legante di calcestruzzo gioca un ruolo
fondamentale, entrando a pieno tito-
lo a far parte della struttura portante;
la pietra squadrata è utilizzata solo
come rivestimento. Si può dire che a
Plauen la pietra incominci a giocare il
ruolo che l’inerte ghiaioso ha nel
foto 2.
L’impalcatura di sostegno del grande arco del ponte
sull’Isonzo (Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči,
[Il gigante], cit., p. 66).
fig. 3.
Prospetto del ponte in pietra sull’Isonzo.
(Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante],
cit., p. 196).
SCHEDA
10 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA
moderno calcestruzzo; ha dimensioni
molto maggiori e non entra a far parte
dell’impasto, ma nell’impasto cemen-
tizio alla rinfusa viene conglobata.
Se il ponte di Solkan è l’ultimo gran-
de ponte in pietra, il ponte di Plauen
può essere considerato, a ragione, uno
dei primi grandi ponti in calcestruzzo
non armato.
foto 3.
Il ponte di Plaunen in Germania, 1903-1905
(1906, Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči,
[Il gigante], cit., p. 66).
Tabella 2. I più grandi ponti in pietra per ferrovia a scartamento normale
Anno di costruzione Località Luce dell’arco
in metri
Tipo di pietra
utilizzato Graduatoria Nazione
1905 ricostruito nel
1927
Solkan 85 calcare 1 Slovenia
1903 Morbegno 70 granito 2° - 3° Italia
1905 Steyrling 70 granito 2° - 3° Austria
1894 Jaremcze 65 arenaria 4 Ucraina
1906 Kempten, 1 64,5 _ 5 Germania
1900 Gutach 64 arenaria 6 Germania
1906 Kempten, 2 63,8 7 Germania
1911 Krummenau 63,26 arenaria 8 Serbia
1889 Gour - Noir 62 granito 9 Francia
1884 Lavaur 61,5 calcare 10 Francia
"Qui si fa il ponte!" La storia di un’innovativa opera in cemento armato: il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza
"Qui si fa il ponte!" La storia di un’innovativa opera in cemento armato: il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza
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"Qui si fa il ponte!" La storia di un’innovativa opera in cemento armato: il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza

  • 1.
  • 2. QUI SI FA IL PONTE!
  • 3.
  • 4. Nel 1864 nasceva la “Società Bergamasca per la Fabbricazione del Cemento e della Calce Idraulica”. Oggi Italcementi è a capo di un Gruppo con 60 cementerie, 547 impianti di calcestruzzo e 155 cave di inerti. Con un fatturato di oltre 4 miliardi di euro e più di 17.000 dipendenti in 19 paesi, è tra i leader mondiali nella produzione e distribuzione di cemento. A world class local business www.italcementigroup.com www.italcementi.it
  • 5. Aerotermica Bergamasca srl – Songavazzo Arredamenti Brasi – Songavazzo Azienda agricola Cà di Lene di Covelli Davide – Songavazzo Banca Popolare di Bergamo Spa – Clusone Bar Palù di Zamboni Ennio – Songavazzo Benzoni Moto – Songavazzo Carrozzeria Ferri Mario – Songavazzo Co.Ge.Pe. srl – Songavazzo Derby snc Bar Pizzeria di Giacometti Giovanni – Songavazzo Ecogeo srl – Bergamo Esseti snc – Songavazzo Fap Auto scarl di Ferri Silvano – Songavazzo Gabrieli Marino – Songavazzo Gruppo Bonaventura S.B. srl – Gorno Impresa Edile Zamboni Giacomo – Rovetta Lineall srl di Enrico Pellegrini – Cerete Merletti Mario srl – Clusone Studio 92 di Covelli geometra Giovanni – Songavazzo Studio Associato Gasparini – Oprandi – Clusone Tecnoarreda di Benzoni & Pezzoli snc – Songavazzo Comune di Songavazzo Centro Studi e Ricerche
  • 6. QUI SI FA IL PONTE! La storia di un’innovativa opera in cemento armato: il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza a cura di Sergio Del Bello Gennaro Guala Comune di Songavazzo Bg
  • 7. Ideazione e progettazione Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco” www.archiviobergamasco.it Direzione e coordinamento Sergio Del Bello s.delbello@tiscali.it Assistenza alle ricerche documentarie e iconografiche Marco Duina Finanziatori Comune di Songavazzo Italcementi Group Enti sostenitori Provincia di Bergamo Comunità Montana Valle Seriana Superiore Comune di Castione Comune di Cerete Comune di Clusone Comune di Fino del Monte Comune di Gorno Comune di Onore Comune di Rovetta Parrocchia di S. Bartolomeo Apostolo di Songavazzo AVS Associazione Volontari Songavazzo: Gruppo Alpini, Protezione Civile, FIDAS. Introduzione Giorgio Bigatti, docente, Storia economica Università Bocconi di Milano Autori Maurizio Acito, ingegnere, professore a c., Politecnico Milano Sara Belviso, laureata in Pedagogia e Filosofia, insegnante di Rovetta Stefano Cangiano, ingegnere, CTG-Italcementi Group Tiziana Carrara, geologo, professionista Museo di Scienze Naturali di Lovere Bg Sergio Chiesa, geologo, Primo Ricercatore del CNR - IDPA Cristina Citroni, antropologa, Università di Bologna Umberto Costa, ingegnere, CTG-Italcementi Group Sergio Del Bello, archivista, ricercatore di storia locale Omar Fantini, ingegnere, professinista Carla Ferliga, geologo Carla Fausti, architetto Coop. A.R.C.A. Gardone Val Trompia Bs Gennaro Guala, ingegnere CTG-Italcementi Group Diego Marsetti, geologo, Ecogeo srl di Bergamo Antonio Migliacci, ingegnere, Politecnico di Milano Tullia Iori, ingegnere, Università degli Studi Tor Vergata di Roma Simona Nogara, laureata in Scienze Ambientali, professionista Paolo Oscar, architetto, Cartografia derivata e sistemi informativi territoriali Paolo Pezzoli, ingegnere, professionista Cesare Ravazzi. Dottore di Ricerca in Scienze della Terra, CNR - IDPA. Collaboratori e autori di contributi scritti Alberto Benzoni, geometra, tecnico comunale di Songavazzo Giacomo Benzoni, laureato in Lingue, insegnante di Castione della Presolana Nello Camozzi, art director Marco Cortese, ingegnere, nipote di Luigi Cortese Adriana Covelli, già impiegata comunale di Songavazzo Bruno Covelli di Songavazzo Carlo D’Agata, geologo, dottorando Marco Duina, geometra Silvia Marinoni, laureata in Scienze Naturali, insegnante di Rovetta Sonia Mazzeschi, moglie di Marco Cortese Carlo Meller di Songavazzo Stefano Mora, ingegnere, professionista Giuseppe Moro, ingegnere, già dirigente della Provincia di Bergamo Riccardo Nelva, ingegnere, Politecnico di Torino Camillo Pezzoli, storico locale di Rovetta, Circolo Culturale Baradello di Clusone Giovanni Re, geometra, topografo, professionista. Altri collaboratori, qui non riportati, sono citati nei singoli saggi. ISBN - 88-901581-0-7 Copyright © 2004 by Comune di Songavazzo Bg – Italia I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compreso i microfilm, le copie fotostatiche e le scansioni), sono riservati per tutti i paesi. • Il volume è consultabile in formato digitale, sul sito internet dell’Archivio Bergamasco. Grafica, impaginazione e scansione fotografie Gianluca Brambati, grafico e web designer www.bybite.it Scansioni tavole dei progetti storici Archivio Disegni - Italcementi Group Aerofotografie Air Photo Studio - Lino Olmo Ortofoto di p. 31, 35: Terraitaly™ - © Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.a. - Parma - www.terraitaly.it
  • 8. V SOMMARIO Presentazione di Sergio Del Bello Introduzione di Giorgio Bigatti Comune di Songavazzo Scheda di Giacomo Benzoni e Adriana Covelli Comune di Rovetta Scheda di Camillo Pezzoli Analisi storica Premessa di Gennaro Guala Cristina Citroni Il ponte di Songavazzo tra immaginario e realtà. Una lettura in chiave simbolica delle tradizioni orali Sara Belviso Una raccolta di fonti orali sul ponte di Songavazzo. Ricerca scolastica Carla Fausti I ponti ottocenteschi sul Valeggia. Vicende storiche e indagine architettonica Tullia Iori Il ponte sul torrente Valleggia nello sviluppo del cemento armato in Italia Gennaro Guala Il ponte in cemento armato di Luigi Cortese Analisi tecnica Premessa di Gennaro Guala e Antonio Migliacci Diego Marsetti Caratteristiche geotecniche in corrispondenza del ponte vecchio fra Rovetta e Songavazzo Luigi Cassar, Stefano Cangiano, Umberto Costa Caratteristiche fisico-meccaniche e miscrostrutturali dei calcestruzzi del ponte del 1910 Maurizio Acito, Gennaro Guala, Antonio Migliacci, Paolo Pezzoli Studio sperimentale-teorico del ponte in calcestruzzo armato del 1910 P A R T E P R I M A PARTE SECONDA pag. XI XIII XX XXIV pag. 1 11 15 27 89 95 pag. 197 215 225 233
  • 9. VI Analisi idro - geologica Premessa di Sergio Chiesa Diego Marsetti Assetto idrogeologico e geologico tra Onore e Songavazzo Carla Ferliga Dall’emersione della catena orobica alla dinamica attuale. Storia del modellamento “postorogenico” del territorio Sergio Chiesa, Cesare Ravazzi, Carlo D’Agata, Silvia Marinoni, Paolo Oscar L’evoluzione geomorfologica e ambientale della Valle del Valeggia con particolare riguardo al tratto tra Songavazzo e Rovetta negli ultimi due secoli Tiziana Carrara, Simona Nogara, Omar Fantini Idrogeologia e climatologia della Valle Borlezza. Gli effetti sul ponte di un possibile evento di piena P A R T E T E R Z A pag. 261 267 297 323 345
  • 10. VII Con molta soddisfazione la nuova amministrazione comunale porta a compimento il progetto, avviato nel 1998, di studio del ponte “vecchio” di Songavazzo. Abbiamo volen- tieri raccolto quanto ci hanno trasmesso su questa iniziativa le due precedenti amministrazioni guidate da Giacomo Benzoni. É stato un cammino lungo ed impegna- tivo. A noi è toccata, proprio come è avvenuto nel 1910 per la costruzione del ponte, la responsabilità di portarlo in porto. A chi ci ha preceduto va il merito non solo di aver- la avviata e sostenuta, ma di aver creduto nella sua validità ed importanza. Una riconoscenza particolare va al Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco” che, nella persona di Sergio Del Bello, all’epoca presidente del sodalizio, ha ideato e coor- dinato il progetto con attenzione e competenza. Per quasi sei anni il Centro studi ha seguito tutte le fasi della ricerca, curando i rapporti con gli studiosi e gli specialisti, fornendo assistenza per l’individuazione e la selezione della documentazione archivi- stica, bibliografica ed iconografica. Al progetto hanno aderito e fornito contributi oltre a tutte i comuni limitrofi, la Comu- nità Montana Valle Seriana Superiore e la Provincia di Bergamo. Al conseguimento di questo ampio consenso ha contribuito lo stesso Centro studi, che ha voluto sempre far presente il significato simbolico e reale del ponte: un collegamento fra le comunità delle due sponde della Valle del Valeggia. Ad oltre novant’anni dalla sua costruzione il “nostro” ponte ancora oggi affascina e stu- pisce per la sua arditezza, spettacolarità e contemporaneità. Un’opera d’ingegno e nello stesso tempo la testimonianza della capacità dell’amministrazione di allora di supe- rare se stessa. Il bilancio comunale di quegli anni non avrebbe mai permesso di sostenere la spesa preventivata. La ricchezza costituita in prevalenza dai boschi comunali era tale che si potè, con l’aiuto ministeriale, finanziare la più grande e costosa opera edilizia mai edificata in Songavazzo dopo la parrocchiale. I risultati delle ricerche condotte hanno permesso di identificare il vero progettista del ponte, l’ing. Luigi Cortese, mentre fino ad ora la credenza popolare lo identificava nel sostituto dell’appaltatore, l’ing. Giorgio Neumann. Altri importanti aspetti della storia delle comunità di Rovetta e Songavazzo sono stati affrontati dagli autori: la storia dei precedenti progetti ed un approfondito studio ingegneristico del ponte e geologico della valle. Un cordiale ringraziamento va alla società Italcementi Group che ha condiviso da subi- to il progetto fornendo una collaborazione via via sempre più intensa e determinante. Dalle analisi sullo stato di salute del ponte, allo studio della sua progettazione e rea- lizzazione fino alla proposta di un modello di riferimento per future analisi di manufatti storici simili. Oggi come allora l’Italcementi è stata protagonista della vicenda del ponte e della sua epoca, a testimoniare una continuità storica dell’azienda unica nella nostra provincia e fra le poche del territorio lombardo. Doveroso è anche un riconoscimento infine ai ricercatori del CNR- IDPA sede di Dal- mine, che hanno diretto e coordinato gli studi geologici e idrologici del Valeggia; forse il più importante e articolato lavoro di questo genere condotto su questo territorio, che ha saputo raccogliere e sviluppare i risultati del gruppo “Storie di ghiaccio, di pietre, di foreste”. Songavazzo, 30 ottobre 2004 Paolo Zorzi Sindaco di Songavazzo
  • 11. VIII
  • 12. IX È giunto a compimento il progetto di ricerca e studio storico scientifico sul ponte di Songavazzo, avviato nel 1998 dall’Amministrazione comunale di Songavazzo su pro- posta del Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”. Ad Italcementi è stato richiesto di affiancare i ricercatori e gli specialisti del gruppo”Sto- rie di pietre, di ghiaccio, di foreste” che, avvalendosi anche delle fonti orali ed archivistiche, hanno condotto una approfondita indagine storica, idrogeologica e geotecnica del sito su cui è stato edificato e dell’ ambiente che lo include. Abbiamo accolto di buon grado questo invito, sicuri che le analisi e le indagini speci- fiche sul manufatto avrebbero completato un quadro che, nel ricco contesto delineato, avrebbe dato al ponte la centralità che si merita. Di buon grado, ripeto, in quanto questo ponte, realizzato nel 1910, era allora, ma rima- ne ancora oggi, un’opera d’arte e di ingegno nel campo del costruire; contemporaneamente ci premeva verificare lo stato di conservazione di una struttura, che sta avvicinandosi ad un secolo di vita, realizzata con il cemento prodotto nel cementificio di Alzano Mag- giore, dalla “Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche – Società Riunite Italiane e Fratelli Pesenti” divenuta Italcementi nel 1927. Produrre cemento di buona qualità non è cosa facile. Non lo era ieri e non lo è oggi; basta tener conto delle difficoltà che si incontrano nel reperimento delle materie prime, della complessità degli impianti moderni, della serie di severi controlli che caratterizza- no ogni fase produttiva e delle continue sperimentazioni e studi necessari all’affinamento e alla diversificazione del materiale, per renderlo idoneo agli impieghi più svariati in calcestruzzi esposti in ambienti caratterizzati anche da elevati livelli di aggressività. Quindi, anche in considerazione delle difficoltà che si incontrano nel produrre questo materiale che è alla base dello sviluppo edilizio e urbanistico di ogni moderna società civile, siamo lieti quando possiamo constatare che – in senso strettamente tecnologico e non – il cemento viene ben utilizzato. Così come siamo stati lieti di aver potuto verificare che il buon cemento ed il buon cal- cestruzzo con cui è stato realizzato questo ponte hanno assicurato per così tanto tempo la sua funzionalità. Si è giunti a queste conclusioni in base ai risultati positivi di una serie di approfondite indagini, concordate con l’Amministrazione comunale di Songavazzo, parte eseguite dai nostri laboratori e parte da ditte specializzate esterne da noi incaricate ed alle verifiche teoriche che, partendo dalle informazioni e dai dati ricavati dalle citate indagini, sono state fatte presso la Scuola di Specializzazione in strutture in cemento armato “Fratelli Pesenti” del Politecnico di Milano. L’insieme di questi studi e gli interes- santi risultati ottenuti sono riportati in questo volume, che, oltre ad essere uno strumento prezioso a disposizione di chi ha in carico la gestione del manufatto, può servire ai tecnici del settore come traccia operativa per la valutazione della capacità portante attua- le di strutture costruite nel passato e di cui non si conosce la storia né dei carichi cui sono state assoggettate né dei “traumi”che possono aver subito durante il loro eserci- zio. Non è fuori luogo ricordare che l’analisi ed il recupero delle opere tramandateci dalle generazioni passate al fine di poterle utilizzare in tutta sicurezza è un impegno a cui non ci si può sottrarre oggi, e sarà sempre più impegnativo nel futuro. Convinto della valenza culturale e scientifica di questo lavoro, desidero ringraziare il Comune di Songavazzo, che ha sostenuto l’iniziativa e ha messo a disposizione il suo archivio esemplarmente conservato, il Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco” e tutti coloro che con impegno e competenza hanno svolto e approfondito le ricerche e hanno esaurientemente trattato i vari temi che costituiscono i capitoli di questa inter- disciplinare, ma organica, opera, considerando beneaugurate la coincidenza, nel 2004, tra la sua stampa ed i centoquaranta anni di vita della nostra Società. Bergamo, 30 ottobre 2004 Carlo Pesenti Consigliere Delegato Italcementi S.p.A.
  • 13. X
  • 14. XI PRESENTAZIONE Sergio Del Bello Nel corso del lavoro di riordino ed inventariazione dell’archivio storico del Comu- ne di Songavazzo, avviato alla fine del 1996 e terminato nel 1999, ho avuto la fortuna di consultare la documentazione riguardante la storia della comunità lì conservata. L’archivio conserva infatti una ricca ed interessante documentazione ottocentesca fra cui in particolare quella riguardante il problema del collegamento stradale fra le comunità di Rovetta e Songavazzo, poste sulle due sponde opposte del torrente Valeg- gia. Vi sono tutti i progetti di costruzione di nuovi raccordi stradali e dei relativi ponti. Non solo, è presente pure un consistente carteggio riguardante le contese fra i possidenti delle comunità interessate, le pratiche per le autorizzazioni con le autorità sovracomunali, i problemi del reperimento delle risorse finanziarie ed i rap- porti con i progettisti. Questa abbondante quantità di documentazione si è rilevata straordinaria e singolare rispetto a quanto di norma si conserva nell’archivio di una piccola comunità di montagna. In specifico la maggiore concentrazione di mate- riale è stata trovata nei fascicoli relativi agli unici due progetti realizzati: il primo, quello di Fedrighini, iniziato nel 1826 e l’ultimo, quello di Cortese completato nel 1910. Nel mezzo altri progetti mai realizzati ma costati alla piccola amministrazio- ne molto in termini economici e di sviluppo. Arricchiscono inoltre la documentazione una serie di pregevoli tavole di disegno, acquarellate a colori, con le planimetrie, i prospetti e le sezioni delle opere in progetto, qui quasi tutte riprodotte. Stimolato da questa considerevole concentrazione di documenti d’interesse storico e spinto dalla curiosità di scoprire quali siano state le motivazioni che hanno por- tato l’Amministrazione a sostenere così tanti sforzi e spese e per così lungo tempo, ho iniziato ad indagare sulla questione. Mi sono trovato così subito in un campo pressoché inesplorato: nessuna pubblicazione e studio sull’argomento. Solo qualche notizia nelle pubblicazioni di storia locale e nei bollettini parrocchiali di Rovetta e S. Lorenzo. Inoltre non mi era di aiuto quanto tramandato dalla tradizione popola- re poiché fondato più su leggende e superstizioni che su verità storiche. La pila superstite, ad esempio, di quello che poi si scoprirà essere il ponte Fedrighini, era ritenuta di origini molto antiche, forse addirittura romane e il ponte del 1910 lo si voleva progettato da un ingegnere tedesco. Altra componente di grande interesse ed attualità era il comportamento anomalo del Valeggia. Un torrente normalmente in secca ma che diviene particolarmente impetuoso e addirittura devastante in caso di forti piogge. Raccoglie infatti le acque dell’intero bacino idrografico prealpino del Borlezza, la cui portata poi si scoprirà essere particolarmente consistente e volu- minosa. Parecchi infatti sono i casi documentati in archivio di eventi di piena che hanno procurato danni anche molto consistenti alle opere stradali poste lungo il suo corso. Fra questi vi è lo stesso ponte di Fedrighini distrutto definitivamente nel 1842. Mi è d’obbligo citare l’esperienza del gruppo di ricercatori interdisciplinari forma- tosi per la pubblicazione nel 1996 del catalogo della mostra “Storie di ghiaccio, di pietre, di foreste”, ideata e coordinata da Nello Camozzi, a cui sono stato chiamato a collaborare. La partecipazione ai lavori successivi del gruppo, quali quelli per la ripresentazione della mostra a Castione della Presolana, nel 1997 e ancora a Ber- gamo nel 2001, mi avevano di fatto portato a coinvolgere nella mia indagine i componenti dello stesso. E’ in questo contesto che assieme a Nello Camozzi, a
  • 15. XII questo gruppo di ricercatori e al Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”, pro- pongo all’Amministrazione Comunale di Songavazzo di allestire una nuova mostra sulla storia dei ponti e del Valeggia. La proposta ottiene subito il parere favorevole ed un primo importante finanziamento. Iniziano così le prime ricerche sui ponti e la valle e si assegnano gli studi secondo le competenze dei vari componenti del grup- po. Fatta una prima verifica ci si rende conto che le risposte ai miei iniziali interrogativi rappresentano un problema non facilmente risolvibile. A questo punto si decide di coinvolgere altri specialisti e il gruppo dei ricercatori viene ampliato. Fra questi è di rilievo il coinvolgimento dell’ing. Gennaro Guala dell’Italcementi, dell’arch. Carla Fausti della Cooperativa ARCA di Brescia e del geom. Marco Duina di Cluso- ne. Il primo seguirà la vicenda del ponte progettato dall’ing. Luigi Cortese, la seconda quella del ponte Fedrighini e dei successivi poi mai realizzati e il terzo le verifiche sul territorio, le ricerche archivistiche e l’analisi tecnica dei progetti. Il nuovo grup- po avvia i lavori di ricerca nel 1999 avvalendosi prevalentemente della documentazione presente nell’archivio comunale di Songavazzo, che, essendo riordinata, è ora facil- mente consultabile. A Sergio Chiesa e Cesare Ravazzi del CNR - IDPA Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, sezione di Milano (all’epoca ancora Centro di Studio per la Geodinamica Alpina e Quaternaria), si affida il coordinamento degli studi geologici, geotecnici e idrologici, condotti dai componenti del gruppo “Storie di ghiaccio, di pietre, di foreste”. Nel frattempo la società Italcementi, che nel 1910 aveva fornito il cemento per la costruzione del ponte, effettua un’importante diagno- si del ponte sottoponendolo ad una serie di particolari prove e test. L’esito delle analisi, che formano quasi tutta la seconda parte del volume, risulta positivo e conferma che il ponte si trova in buon stato di conservazione e stabilità. Le ricerche e gli studi continuano con nuove scoperte ed importanti novità. Carla Fausti conclude la ricostruzione storica del ponte Fedrighini, posto sulla vecchia stra- da Songavazzo – S. Lorenzo – Clusone e, finalmente, ad appurare che la famosa pila, oggi inesistente, è il rudere superstite di questo ponte, e Gennaro Guala, con tanto di prove documentali, attribuisce il progetto originario del ponte non a Giorgio Neu- mann (che fra l’altro non è tedesco ma di Firenze) ma all’ing. Luigi Cortese di Clusone. Il luogo scelto per la costruzione del ponte in cemento armato è il risultato di una lunga ed altalenante diatriba fra più progettisti e fazioni sia interne al comune che fra i comuni limitrofi. Le contrapposizioni sorgono fra chi sostiene la soluzione con la linea alta e chi quella bassa, chi vuole il riutilizzo della pila superstite del ponte Fedrighini e chi vuole un nuovo ponte, fra chi sceglie un nuovo tracciato stra- dale e invece chi sollecita il potenziamento di quello esistente. Dopo quasi settant’anni di discussioni, polemiche e scontri, ecco finalmente il Genio Civile e di seguito il sin- daco e il progettista, prendono una decisione storica: stabiliscono definitivamente dove si costruirà il ponte (Qui si fa il ponte!). Il gruppo dei geologi conduce distintamente indagini sull’origine e formazione della valle, sul bacino idrografico, la dinamica del modellamento del territorio oltre ad analisi geotecniche localizzate nella zona del ponte Cortese. Si effettuano inoltre studi sulla portata ed entità degli eventi di piena del bacino. La scelta del sito per il nuovo ponte non è quindi risultata casuale ma determinata dalla natura del ter- reno, come qui si dimostra: sfrutta la presenza di formazioni rocciose (più esattamente conglomerati) e si situa in una posizione strategica. Occorre far presente che nel frattempo viene pubblicata la Carta Geologica provin- ciale e si concludono le analisi geologiche effettuate per la ricerca delle origini delle scosse di Rovetta (i “botti”) di cui si da conto nella premessa della terza parte di Sergio Chiesa. A corredo dello studio sulla trasformazione geomorfologica e ambien- tale del paesaggio sono presentate dall’arch. Paolo Oscar una serie di tavole prodotte utilizzando i dati delle fonti catastali ottocentesche, risultate molto utili anche per l’identificazione dei toponimi, molti ormai oggi scomparsi e della rete viaria ori- ginaria. Nonostante il consistente contributo fornito dagli studi qui presentati abbia fornito una risposta esauriente alle questioni sollevate inizialmente, rimangono aper- ti o ancora irrisolti altri problemi: sulle imprese appaltatrici coinvolte, sull’abbassamento dell’alveo del Valeggia, sulla rete viaria dell’altopiano, ad esem- pio, che ci ricordano che la ricerca, anche solo in un ambito così locale, non è mai compiuta.
  • 16. XIII Nell’introduzione alle Notizie naturali e civili su la Lombardia (1844), dopo aver descritto le condizioni climatiche e geomorfologiche della regione, Carlo Cattaneo arrivava alla conclusione, allora per nulla scontata, che nella con- figurazione territoriale della Lombardia vi fosse in realtà ben poco di naturale. Ciò era vero in particolare per le terre di pianura, famose per la loro “fera- cità” tanto da essere state definite in passato il “Paradiso della cristianità”. Ma tale fertilità, ammoniva Cattaneo, non era il dono di una natura benigna, ma il frutto della “della cura e dell’industria dei suoi abitanti” che avevano saputo mettere a profitto, in una felice sintesi, le “attitudini della terra, delle acque e del cielo” arrivando a plasmare una perfetta “macchina agraria”. Cattaneo diede forma alla sua tesi in un celebre passo, che merita di esse- re attentamente riletto: “Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani; sicchè il botànico si lagna dell’agricultura, che trafi- gurò ogni vestigio della vegetazione primitiva. Abbiamo preso le aque dagli alvei profondi dei fiumi e dagli avvallamenti palustri, e le abbiamo diffuse sulle àride lande. La metà della nostra pianura, più di quattro mila chilòmetri, è dotata d’irrigazione; e vi si dirama per canali artefatti un volume d’acqua che si valuta a più di trenta milioni di metri cùbici ogni giorno. Una parte del piano, per arte ch’è tutta nostra, verdeggia anche nel verno, quando all’intorno ogni cosa è neve e gelo. Le terre più uliginose sono mutate in risaie [...] Le aque sot- terranee, tratte per arte alla luce del sole, e condutte sui sottoposti piani, poi raccolte di nuovo e diffuse sovra campi più bassi, scòrrono a diversi livelli con calcolate velocità, s’incòntrano, si sorpàssano a ponte-canale, si sottopàssano a sifone, s’intrècciano in mille modi”. Una “patria artificiale”, dunque, il piano di Lombardia, edificata dalla fatica di generazioni di contadini che non solo avevano scavato centinaia di chi- lometri di rogge, ma avevano anche dissodato, livellato, adattato i fondi per metterli in condizione di godere del beneficio delle acque: “ogni palmo di terreno [era stato] predisposto in pendii artificiali acciocché [potes- se] ricevere le acque irrigatrici a periodi determinati, e trasmetterle ulteriormente al fondo vicino; e ciò nel modo più economico e in armonia colla vasta rete e col complicato sistema dei condotti idraulici derivatori, dispensatori, scarica- tori, raccoglitori e restitutori, i quali coll’aiuto di chiuse, di chiaviche, d’incastri, di tombini, di ponti canali, di sifoni, sono destinati a distribuire le acque sulla maggiore superficie possibile”. I N T R O D U Z I O N E Giorgio Bigatti
  • 17. XIV Queste parole di Stefano Jacini, figlio di un illuminato proprietario del Cre- monese, danno conto del lavoro necessario per permettere lo scorrimento continuo dell’acqua e la sua capillare distribuzione all’interno dei campi. Un’impresa straordinaria, che presupponeva la presenza di un ampio tes- suto di competenze tecniche per la direzione dei lavori di scavo e per il successivo governo dell’acqua. La regolazione dell’“edificio irriguo” e la distribuzione dell’acqua ai poderi secondo turni e modalità prestabilite (le cosiddette “ruote d’acqua”) era affidata ai “campari” (altrimenti detti “prataroli” o “adacquaioli”), una figura cardine delle campagne della Bassa. Apprendendo “ogni più minuta parti- colarità del servizio” in seno alla famiglia fin dalla più tenera età, i campari, benché privi di istruzione e spesso analfabeti, sapevano “leggere” perfetta- mente “il moto delle acque”, così come conoscevano il percorso di ogni roggia e le diverse qualità dei terreni da irrigare. Manovrando paratie, tombini e sca- ricatori assicuravano a ogni roggia la giusta competenza di acqua e ne curavano l’ordinaria manutenzione; nel caso di “guasti” provvedevano a “subitanei ripa- ri”. Talvolta si avvalevano della loro posizione per ricavarne illeciti profitti. Accompagnati dall’inseparabile badile giravano le campagne prestandosi volentieri ad “aprire prestamente uno scannone nella costiera, per dare soccorso di acqua a chi, colla borsa alla mano, li e ne fa graziosa doman- da”, come lamentavano gli ingegneri, a cui era affidata la “suprema ispezione” dei cavi. Responsabili ultimi della distribuzione dell’acqua, erano infatti gli ingegne- ri. Questi, ci dice Cattaneo, “senza avvedersene” avevano finito per assumere una funzione di supporto tecnico alla gestione aziendale che andava ben al di là della cura e del continuo adeguamento della rete irrigatoria. Tutta la trattatistica ottocentesca sottolinea il ruolo cruciale degli ingegneri nell’or- ganizzazione aziendale della Bassa, ma nessuno come Cattaneo è riuscito a dare conto in poche frasi del loro decisivo contributo all’affermazione del- l’agricoltura irrigua: “Non erano addottrinati nell’agricoltura come scienza. Nè per anco era scien- za che potesse dar conto de’ suoi principj; e che era mai la scienza agraria prima che nascesse la chimica? [...] Ma iniziati nelle scienze matematiche e fisiche, e addestrati nell’analisi di complicati problemi, e posti nelle loro perlustrazioni al cospetto di gran numero e grande varietà di fatti, potevano afferrare e inten- dere quelle risultanze alle quali l’agricoltore più sagace colla solitaria sua pratica giungeva tentone. Le buone esperienze e le tristi viaggiavano seco loro di pode- re in podere; si comunicavano nell’intimità delle serate campestri alle famiglie dei fittuarj; si riducevano, col paragone d’altre esperienze. E nel corso degli anni venivano a prender forma imperativa nelle stime, nelle sentenze, nelle nuove convenzioni d’affitti”. In questo passo dell’Agricultura inglese paragonata alla nostra Cattaneo, che con Jacini è stato senza dubbio l’interprete più acuto delle vicende delle campagne lombarde della prima metà dell’Ottocento, coglieva con gran- de precisione le modalità di diffusione della conoscenza in un mondo in cui la lettura era patrimonio di pochi e dove dominava una generica avver- sione per quanto avesse sentore di novità. In queste condizioni lo scambio delle esperienze e la circolazione del sapere avveniva di preferenza in forme orali o attraverso l’esempio nel quotidiano esercizio del lavoro. Era “nell’in- timità delle serate campestri” che aveva preso forma l’insieme di norme e consuetudini che regolava la distribuzione dell’acqua, stabiliva oneri e dirit-
  • 18. XV ti di ciascuno dei coutenti di una roggia, determinava l’avvicendamento delle colture, fissava gli obblighi reciproci tra i proprietari e i conduttori. Mi rendo conto di come tutto ciò possa sembra sembrare incongruo per un’in- troduzione a un volume dedicato alla storia di un artefatto tecnico come un ponte sul torrente Valeggia dell’alta Val Seriana, che per il contesto ter- ritoriale e per tempi della sua realizzazione appare, ed è, assai distante dal mondo evocato fin qui. Ma si tratta di impressione fallace. I diversi piani sono infatti legati fra loro da robusti fili, come ora cercherò di mostrare, richia- mandomi ancora a Cattaneo. “Patria artificiale”, ma anche “immenso deposito di fatiche”, il paesaggio della Bassa irrigua era il risultato di una ininterrotta catena di investimenti che aveva preso avvio dalle prime realizzazioni dell’età comunale. Un’azione di progressivo addomesticamento del paesaggio che non era rimasta confina- ta, né avrebbe potuto rimanerlo considerate le ricadute sociali ed economiche di tale azione, al piano dell’organizzazione idraulica del territorio. “Una volta impresso il moto, quest’òrdine di cose si continuò uniforme attra- verso le più varie vicissitùdini dei tempi. Ogni anno segnò sempre per noi qualche nuovo grado di prosperità; ogni anno più vasta la rete stradale; ogni anno più folta la piantagione dei gelsi, prima riservata ai colli, poi distesa in veri boschi sui piani dell’Ollio e dell’Adda, e salita fino a mille metri d’altezza nelle valli alpine [...] si mùtano in buone case i tugurj dei contadini; penetra in tutte le communi rurali il principio dell’istruzione; tolta cogli asili dell’infanzia l’ab- jetta ferocia e la rozzezza ai figli della plebe; gli studj delle lèttere e delle arti accommunati al sesso gentile; e colle solenni mostre diffuso l’amor delle belle arti nel pòpolo, e un àbito d’eleganza negli ùtili mestieri”. Riflesso di una visione dello svolgersi della storia all’interno di un lineare “incivilimento” del vivere che denuncia la propria matrice ottocentesca, le parole di Cattaneo conservano tuttavia la loro pregnanza nel sottolineare i nessi e la circolarità delle esperienze e dei rimandi all’interno di un siste- ma sociale investito, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, da un profondo rivolgimento delle istituzioni e dalla comparsa di nuove forze che ne avrebbero gradualmente riplasmato la base economica. In questo qua- dro rilievo non secondario avrebbe continuato a rivestire l’opera di edificazione del territorio: accanto a rogge e canali, ora si sarebbe trattato sempre più di strade e di ferrovie, in un fervore di lavori che avrebbe raggiunto anche le lontane vallate alpine, la cui vita, del resto, era da sempre collegata a quel- la dei centri della pianura in virtù dei flussi migratori stagionali e dei ritmi della transumanza delle bergamine. “Il tempo, l’ingegno e il capitale”: da questi tre fattori e dal loro diverso com- binarsi dipendeva, secondo Cattaneo, la dotazione di opere pubbliche di un territorio e correlativamente il grado di prosperità della popolazione. E se è vero che “le opere pubbliche che più influiscono sulla popolazione sono le acque, i ponti e le strade d’ogni maniera”, sotto questo profilo la situa- zione della Lombardia poteva dirsi buona, malgrado il ritardo e le incertezze delle prime realizzazioni in campo ferroviario. “Le strade sono un giusto vanto delle nostre provincie e per il numero e per la bontà”, osservava nel 1839 Cattaneo in un magistrale saggio Sulla densità della popolazione in Lombar- dia e sulla sua relazione alle opere pubbliche inserito nel primo fascicolo del “Politecnico”. Gli avrebbe fatto eco nel 1850 l’ingegner Luigi Tatti che, nel
  • 19. XVI presentare ai lettori degli “Annali universali di statistica” il Prospetto storico- statistico delle strade di Lombardia del collega Antonio Cantalupi, ricordava come la Lombardia fosse “a ragione celebrata per le molte e belle sue stra- de comuni”. Non si trattava di valutazioni esagerate. Nel periodo della Restaurazione la rete stradale lombarda (la condizione del Veneto sotto questo profilo era assai peggiore) si presentava come una delle più sviluppate della Monarchia austriaca. Le fatiche dei viaggiatori settecenteschi, costretti a ripetute soste a causa dell’impraticabilità delle stra- de o del cattivo stato di manutenzione di ponti e carreggiate erano un ricordo lontano. Polvere e fango restavano fastidiosi compagni di viaggio, ma gra- zie al Piano stradale del conte Francesco D’Adda (1777), che aveva definito le varie categorie delle strade e ridotto “ad unità di principj e di sistemi questa parte della pubblica azienda”, e alle successive riforme napoleoniche, tutte le principali strade, in pianura anche quelle tra borgo e borgo, erano “carreggiabili” e rese più scorrevoli dall’opera di ben 486 “stradaiuoli” addet- ti “allo “spandimento” della ghiaia; e regolari servizi di diligenza percorrevano le principali arterie a cadenze regolari. “Su la nostra pianura tutti gli abitati si collègano con buone strade – scriveva Cattaneo nella citata introduzione del 1844 alle Notizie naturali e civili –, che ragguàgliano in circa un chilòmetro di lunghezza per ogni chilòmetro di super- ficie. La rete stradale involge ormài tutte le colline, sino all’altitùdine d’ottocento metri; trafora con gallerìe le rupi verticali che interròmpono le riviere dei laghi; s’insinua nelle valli alpine, raggiunge i sommi gioghi; difende contro le vallanghe i più alti passi carrozzàbili che sìano sul globo. La via del Sempio- ne, che fu il modello di tutte, è òpera de’ nostri ingegneri, che condùssero anche quelle della Spluga e dello Stelvio [...] Le nostre òpere stradali portano trat- to tratto i segnali d’una magnificenza romana; il ponte che congiunge le due rive del Ticino, a Buffalora, si stende per trecento e più metri con ùndici arca- te di granito”. Leggi e regolamenti distinguevano ora con precisione tra strade regie (altre volte chiamate provinciali o nazionali), “destinate a tenere in comunicazio- ne le principali città del ducato tra di loro e colle parti più importanti dei finitimi stati” e per questo a carico dell’erario, e le altre, a carico esclusivo dei comuni o private. Pochi dati sono sufficienti a dar conto della consistenza e dei miglioramen- ti della rete stradale nella prima metà del secolo. Alla sostanziale maturità raggiunta dal comparto della viabilità maggiore, pari a 2827 km nel 1827 (cresciuta di poco nel 1856), corrispose un incremento senza precedenti della rete della viabilità minore, circa otto volte più este- sa di quella a carico dello Stato, passata dai circa 11.000 km del 1814 ai quasi 25.000 del 1850. Nel solo intervallo 1814-29 i comuni lombardi investirono oltre 20 milioni di lire per agevolare “la circolazione dei prodotti dalle più povere terre ai più animati mercati ed alle più popolose città”. E in paralle- lo erano cresciute anche gli stanziamenti per la manutenzione della rete, con un incremento della spesa per chilometro di quasi il 30 per cento. L’effetto combinato degli investimenti erariali e di quelli comunali, tramite l’applicazione delle sovrimposte d’estimo, fu rilevante e tale da porre la Lom- bardia e lo stesso Veneto in posizione eminente nel quadro delle province asburgiche, come attestano i seguenti dati riferiti al chilometraggio comples- sivo della rete stradale nel 1850: Austria inferiore, 3351; Boemia 14.349; Lombardia 27.956; Veneto 18.813. Cifre che assumono una loro maggiore elo-
  • 20. XVII quenza se espresse in metri per chilometro quadrato, indice che vedeva la Lombardia svettare a 1295 contro 787, 276 e 169 rispettivamente di Veneto, Boemia e bassa Austria. E se nel 1839 si lamentava che “i ponti [fossero] tuttora assai scarsi sui grandi fiumi”, per attraversare i quali ci si doveva servire dei tradizionali “porti natanti”, era però vero che a causa dei molti fiumi, torrenti e canali che inter- secavano la regione, i ponti a carico dello Stato, senza contare quelli comunali per i quali manca un attendibile conto, erano oltre seicento. Di questi, parte in legno, parte in muratura e parte in struttura mista, ben centodieci con una lunghezza maggiore di 20 metri. Anche in questo settore, che dopo le grandi realizzazioni dell’età viscon- tea, secondo le valutazioni di un tecnico come l’ingegner Cantalupi, non aveva più conosciuto opere degne di particolare menzione, i primi decenni dell’Ot- tocento rappresentarono l’inizio di una nuova ed esaltante stagione. Annunciata nel 1809 dall’avvio dei lavori di costruzione del grande ponte in pietra di Boffalora sul Ticino, uno “dei più magnifici d’Europa”, “aperto al passo nel 1828” e costato alla fine la ragguardevole cifra di oltre 3 milioni di lire. Opera grandiosa, ma presto superata da altre realizzazioni a cominciare dal gran- de ponte ferroviario sul Po della linea Milano-Piacenza costruito nei primi anni sessanta, primo di una lunga serie di manufatti che avrebbero accom- pagnato lo sviluppo della costruzione della rete ferroviaria nazionale, usufruendo di cospicui finanziamenti pubblici e delle nuove possibilità costrut- tive dischiuse dall’uso di materiali come la ghisa, l’acciaio, le calci idrauliche e il cemento armato. È questo lo scenario che fa da sfondo alla costruzione del ponte di Songa- vazzo protagonista del bel volume curato con sensibilità, passione e competenza da Sergio Del Bello e Gennaro Guala. Un volume che si segna- la per l’intelligente taglio multidisciplinare, capace di far emergere le diverse valenze racchiuse da un’opera destinata a incidere sulla vita e l’immagina- rio di una intera comunità; per l’acribia documentaria e infine per la qualità dell’apparato iconografico. Quest’ultimo si configura come una sorta di percorso parallelo capace di appagare l’occhio del lettore e insieme di aiu- tarlo a comprendere meglio le intricate questioni tecniche che accompagnarono la costruzione del ponte. Sfogliando distrattamente le pagine qualcuno potrebbe pensare di avere tra le mani uno dei molti libri di storia locale di cui sono piene – ed è bene sia così – le biblioteche. Di storia locale certamente si tratta, ma nell’ac- cezione nobile del termine. Non vi è nulla di encomiastico e banalmente celebrativo nei saggi che compongono il volume. Quella che si squaderna davanti al lettore è sì una vicenda radicata nella realtà di una piccola comu- nità amministrativamente appartenente all’alta Val Seriana, ma è insieme un episodio di quel processo di costruzione del territorio che, come si è visto, ha origini lontane: e come tale presuppone e rimanda a un contesto più generale. Lascio a chi legge il piacere di seguire le contrastate tappe che scandisco- no una vicenda che troverà soluzione solamente all’inizio del Novecento, quando con la costruzione del ponte in cemento armato dell’ingegner Luigi Cortese, verrà finalmente sanata la ferita provocata nel 1839-1842 dalla distru- zione del ponte in legno (inaugurato meno di un decennio prima), travolto dalla furia delle acque del torrente. Concludo queste note con un’osservazio- ne di carattere più generale. Seguendo la successione dei progetti presentati, ben nove dal 1826 al 1907, ci si snoda davanti una storia di grande complessità e ricchezza. La costru-
  • 21. XVIII zione del ponte di Songavazzo, come molte opere consimili, sconta le diffi- coltà connesse alla scelta dei materiali, della miglior soluzione tecnica e delle linee di accesso. Suscita conflitti di ordine istituzionale fra i diversi livelli (comunale, statale) coinvolti nella gestione e nel controllo dell’opera in un uno schema di non sempre lineare collaborazione. Innesca contrasti tra gli attori chiamati a sostenerne interamente i costi in quanto opera di esclusivo interesse locale, secondo uno schema normativo trapassato nei nuovi ordinamenti senza troppe variazioni rispetto al precedente austria- co. Osservo in proposito che non appare casuale il fatto che, dopo lunghe discussioni, l’opera sarà realizzata solo nel momento in cui potrà godere di un finanziamento statale nell’ambito del progetto di raccordo della via- bilità dell’alta valle con la ferrovia Bergamo-Clusone. Mi preme, infine, sottolineare un altro elemento importante. La costruzione del ponte di Songavazzo è una chiara testimonianza del dinamismo e della determina- zione di una comunità decisa a superare quella che rischiava di configurarsi come un freno allo sviluppo della valle, e capace per questo di mobilitare importanti risorse tecniche e umane. Questo mi sembra davvero uno degli aspetti più interessanti della vicenda. Non è facile vedere concretamente operante quel tessuto di competenze tecniche di cui prima si è ricordato il contributo alla costruzione della “patria artificiale” e non lo è in partico- lare nel settore dei lavori stradali direttamente gestiti dai comuni, con larga autonomia decisionale. Segnalo un nome in particolare fra quanti si sono cimentati con il proget- to del ponte di Songavazzo, quello di Antonio Cantalupi, un ingegnere la cui vicenda terrena copre pressoché tutto il secolo. Tipica figura di ingegne- re funzionario, Cantalupi, nato a Treviglio nel 1811, percorse tutti i gradini della carriera negli uffici delle Pubbliche costruzioni (poi Genio civile) arri- vando al grado di ingegnere capo della delegazione di Bergamo. Tuttavia più che alle numerose incombenze del servizio o ai singoli progetti a cui legò il suo nome (dalla ricostruzione del ponte di Lodi sull’Adda distrutto dagli austriaci nel 1859 alla direzione dei lavori per la costruzione del nuovo carcere cellulare di Milano), Cantalupi è ricordato come autore di numero- se e importanti pubblicazioni tecniche che nell’insieme compongono una sorta di biblioteca ideale dell’ingegnere civile ottocentesco, degno com- plemento di quella “Biblioteca scelta dell’ingegnere” pubblicata negli anni in cui Cantalupi veniva definendo le sue scelte professionali da un altro gran- de e misconosciuto ingegnere lombardo, Giuseppe Cadolini. “Spirito eminentemente pratico” e alieno da sottigliezze teoriche, si era imposto all’attenzione generale nel 1845, ancora giovane, pubblicando un fortunato Manuale delle leggi, regolamenti e discipline relativi alla profes- sione di ingegnere e architetto. Da questo momento la sua produzione editoriale non conobbe soste riflettendo nella sua successione l’evolu- zione di una professione che dall’originaria matrice agraria era venuta aprendosi incessantemente a nuovi campi, dalle strade ferrate all’ingegne- ria sanitaria, dai ponti ai nuovi materiali ecc. Orbene trovare un uomo come Cantalupi coinvolto nelle vicende del ponte di un’appartata comu- nità di montagna mi sembra un’ulteriore conferma sia di quella circolarità di esperienze a cui aveva fatto riferimento Cattaneo nell’Introduzione del 1844, sia della vitalità di una società capace di esprimere istanze di modernizzazione anche in località lontane dai grandi centri. Una volontà di stare al passo con i tempi che mi pare emerga anche dalla scelta di un materiale nuovo per l’Italia come il cemento armato e di affidare l’esecuzione del lavoro a un’impresa tedesca, con filiale in Italia, deci-
  • 22. XIX sione coraggiosa e pionieristica come risulta dall’interessante memoria del- l’ingegner Neumann, supplente dell’appaltatore, inserita nel volume. Ho provato a indicare alcune delle ragioni che raccomandano la lettura di questo bel libro, altre se ne potrebbero aggiungere, ma preferisco cede- re la parola al lettore sicuro che saprà trovare un suo personale percorso di lettura. BIBLIOGRAFIA Ponte sul Ticino presso Boffalora, in “La Biblioteca italiana”, vol. 49, febbraio 1828. Prospetto numerico indicante le strade comunali costrut- te nelle provincie di Lombardia dall’anno 1814 al 1829, in “Annali universali di statistica”, vol. XVI, fasc. 77- 78, 1830, pp. 315-319. C. Cattaneo, Sulla densità della popolazione in Lombar- dia e sulla sua relazione alle opere pubbliche (1839), ed. cit. C. Cattaneo, Scritti sulla Lombardia, a cura di A. Moioli, Milano, Mondadori, 2002. C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia (1844), ed cit. a cura di F. Livolsi e R. Ghiringhelli, Milano, Mondadori, 2002. C. Cattaneo, L’agricultura inglese paragona alla nostra (1857), ed. cit. C. Cattaneo, Scritti sulla Lombardia, a cura di A. Moioli, Milano, Mondadori, 2002. A. Cantalupi, Prospetto storico-statistico delle strade di Lombardia mantenute dallo Stato, Milano, Angelo Monti, 1850. L. Tatti, Prospetto storico-statistico delle strade di Lom- bardia mantenute dallo Stato; di Antonio Cantalupi, in “Annali universali di statistica”, a. II, vol. 24, fasc. 72, aprile 1850, pp. 229-260. A. Cantalupi, Le strade comunali in Lombardia, in “Gior- nale dell’ingegnere architetto agronomo”, luglio 1854, pp. 117-131. Relazione del commissario Conte Stefano Jacini sulla Decima circoscrizione, in Atti della Giunta per l’Inchie- sta agraria e sulle condizioni delle classi agricole, vol. VI, t. I,Roma, 1882. A Cantalupi, La costruzione dei ponti e dei viadotti. Trat- tato di architettura pratica, Milano, Vallardi, 1884. M. Meriggi, Il Regno Lombardo-Veneto, Torino, Utet, 1987. G. Bigatti, La provincia delle acque. Ambiente, istitu- zione e tecnici in Lombardia tra Sette e Ottocento, Milano, Franco Angeli, 1995. G. Bigatti, La matrice di una nuova cultura tecnica. Storie di ingegneri (1750-1848), in Amministrazione, formazione e professione: gli ingegneri in Italia tra Sette e Ottocento, a cura di L. Blanco, Bologna, Il Mulino, 2000.
  • 23. SCHEDA XX Songavazzo è un piccolo centro dell’Alta Valle Seriana, a pochi chilometri oltre Clusone, ad un’altezza di 640 m, facilmente raggiungibile dalla strada pro- vinciale che sale al Passo della Presolana (643 abitanti al 31 dicembre 2003). Piccolo ma molto esteso (1450 ettari) e in posizione particolarmente feli- ce: al tempo stesso riparato dal freddo che scende dalla Presolana ed esposto alle correnti d’aria calda che salgono dal Lago di Lovere e al sole che inon- da l’altopiano. Lo caratterizzano i loggiati delle vecchie case del centro del paese con le balaustre a struttura portante verticale tutta in legno che non trovi altrove il silenzio dell’altopiano di Falecchio che sovrasta l’abita- to immerso nel verde, i boschi, le distese di larici, di abeti e di faggi, gli spazi aperti dei prati, la visione di un panorama che spazia dalla Presolana all’intero altopiano di Clusone. Centro d’impianto medievale documentato nel XII secolo: è del 1144 infat- ti una sentenza, conservata nell’archivio Vescovile di Bergamo, pronunciata dai consoli su una vertenza tra il vescovo Gregorio ed i vicini della valle di Ardesio1 . In cui appre fra i testimoni un Rastellus de Gavazzo, seguito da Martinus Lazaronis de Fine. L’attuale denominazione deriverebbe dalla composizione latina “Summus Gavatius”, che vuol dire “la parte superiore di Gavazzo” in contrapposizione a “Imus Gavatius”, cioè “la parte inferiore di Gavazzo”. Ancora oggi la parte sottostante il centro abitato viene chiama- to Gaas. Sul significato del nome vi sono ipotesi contrastanti: bosco d’alto fusto, dosso oppure corso d’acqua2 . Per Songavazzo passava la strada che, forse già al tempo dei Romani, veni- va percorsa per il trasporto dei minerali dalla Valle di Scalve a Lovere. Si è pensato di identificare l’antico tracciato nell’asse formato dalle attuali vie Pineta, S. Bartolomeo, Combattenti, Glerola e poi giù dalla località Lumét (Luinetto)3 e attraverso una strada di campagna ancora esistente, verso Cere- te passando per Novezio Alto. Secondo una leggenda locale un primitivo insediamento si formò sull’alto- piano di Falecchio in posizione dominamene e riparata. Solo successivamente gli abitanti si sarebbero spostati più a valle, lungo le rive del Valleggia (Inzi- foto 1. Cerimonia d’inaugurazione del monumento ai caduti di guerra. Sul palco, allestito in via Roma, sono presenti Pietro Pezzoli e Angelo Morandi (1923, proprietà Gruppo Alpini di Songavazzo). 1. Cfr. Giuseppe Rota, Un artista bergamasco dell’Ot- tocento: G. M. Benzoni nella storia della scultura e nell’epistolario famigliare, Bergamo, 1938. 2. Pierino Boselli, Dizionario di toponomastica berga- masca e cremonese, Firenze, 1990, p. 148. 3. Vedi nella Carta dei toponimi del Catasto Lombar- do-Veneto, più avanti (fig. 6, p. 334). SCHEDA SONGAVAZZO Giacomo Benzoni, Adriana Covelli
  • 24. Songavazzo XXI ne), la dove poi vi era o sarebbe sorta una fortificazione, in cerca di pro- tezione formando così il centro abitato attuale. Gavazzo nel Basso Medioevo apparteneva ad una più ampia comunità. Nel secolo XIV, Songavazzo, Onore e Fino formavano un comune unico, mentre sulla destra del Valleggia esisteva l’altra comunità formata da Rovet- ta e Clusone. Nel 1378 Gavazzo veniva assediato e incendiato assieme a Rovetta, Fino, Onore e Cerete. Gli abitanti di Gavazzo di fronte alla distru- zione provocata dalle milizie ghibelline, si rifugiarono nella parte alta di Gavazzo detta appunto Summus Gavatius. Ancora oggi sull’arco del porto- ne di ingresso di casa Savoldelli (famiglia Strìsec) è incisa la data 1403. Nel 1381 “allo scopo di togliere le discordie onde erano disturbati” le tre comunità si divisero rimanendo da una parte Fino e dall’altra Onore e Songavazzo. Nella divisione si era lasciato a Fino il diritto di pascolo sul ter- ritorio del Comune di Songavazzo e Onore: tale diritto diede luogo a liti fra i due comuni che continuarono fino al secolo XIX. All’inizio del secolo XV il Comune di Onore e Songavazzo si dota di uno statuto4 . Nel 1404 la comunità di Songavazzo si stacca dalla chiesa matrice di Onore5 . Ancora nel 1675 comprendeva le due contrade di S. Lorenzo di Rovetta e Novezio di Cerete. Tale sudditanza viene più volte contestata dalla società dei Capi 90 con sede a Rovetta presieduta dalla famiglia Fantoni6 . Nel 1794 anche Son- gavazzo e Onore si dividono formando due nuove amministrazioni comunali. Legato ai rapporti tra Songavazzo e S. Lorenzo è anche il Santuario del- l’Addolorata sorto nel secolo XVII sulla sponda sinistra del torrente Valleggia, lungo l’antica strada di collegamento con Clusone, forse a servizio anche foto 2 e 3. (A sinistra) Processione della Madonna del Carmine (luglio) in partenza dalla Chiesa Parrocchiale. La foto nella sua versione completa è visibile a p. 19 nel testo di S. Belviso (inizio anni Venti, Archivio Cristilli, Clusone). (A destra) L’Asilo infantile “A. Morandi” inaugurato nel 1923. La presenza del monumento ai caduti, assente nella foto di sinistra, consente di datare la fotografia al 1923 o a qualche anno successivo. L’accostamento delle fotografie è del tutto naturale e occasionale. foto 4. Appena leggibile la data “1403” sull’arco in pietra del portone d’ingresso di casa Savoldelli in via S. Bartolomeo (2004, Franco Valoti). 4. Una copia è conservata presso la Biblioteca A. Maj di Bergamo; cfr. G. Silini, A. Previtali, Statutum de l’Ono- re. Sec. XV-XVI, Rovetta 1997. 5. Proprio quest’anno ricorre il VI centenario dell’ere- zione del titolo parrocchiale. 6. Si veda qui la scheda su Rovetta di Camillo Pezzoli.
  • 25. SCHEDA XXII foto 6. Interno della Chiesa Parrocchiale di S Bartolomeo (2004, Franco Valoti). degli abitanti della vicina contrada di S. Lorenzo. In origine di forma quadra- ta, col portico che scavalcava la strada; non aveva né volta, né campanile. La tradizione popolare vuole che il santuario sia stato costruito dagli abi- tanti di Songavazzo quale ringraziamento alla Madonna per averli preservati dalla peste del Seicento. La chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, costruita in posizione dominante rispetto al centro abitato, è stata completamente ristrutturata fra il 1787 e il 1791. All’interno si conservano altari fantoniani fra cui spiccano, all’altare maggiore gli angeli e le medaglie di Andrea Fantoni del 1731, all’altare del Rosario le statue di S. Domenico e S. Caterina ed una statua in legno della Madonna del Carmine sempre del Fantoni. Vi sono dipinti di Domenico e Marziale Carpinoni, del pittore locale Enrico Benzoni e la statua di S. Giu- seppe attribuita all’insigne scultore di Songavazzo, G. Maria Benzoni. Da segnalare fra i paramenti e i reliquari una preziosa “pace” d’argento del sec. XVI-XVII. L’organo è un Serassi mentre il settecentesco campanile è tutto in ceppo con originali elementi in serizzo rosso. Sono originari di Songavazzo gli scultori Giovan Maria Benzoni ed Erme- negildo Covelli. Giovan Maria Benzoni (1809 -1873) studia presso la scuola di disegno nella vicina Lovere, fondata dal Conte Tadini di Crema. Viene presto mandato dallo stesso Tadini a Roma dove, a soli 23 anni, apre un proprio studio. Oltre 700 opere (di cui 202 produzioni originali) costituiscono il frutto di un’atti- vità intensa e proficua. Le tappe fondamentali sono rappresentate da Amore e Psiche (1846), S. Pio V (1850), Eva (1854), il Conte Tadini (1858), Il gruppo dei Pompeiani (1866), Rebecca velata (1867), l’Addolorata (1871). Gran parte delle opere gli furono commissionate dall’estero, per cui oggi si trovano nei musei di tutto il mondo: in Russia, Inghilterra, America, Irlanda, Austria Germania. A Bergamo si possono ammirare il monumento alla Pace, i meda- glioni tasseschi di palazzo Medolago, un busto del Tasso ed un proprio busto donato al Comune. A Songavazzo è conservata la statua dell’Addolorata nella cappella mortuaria di famiglia all’ingresso del cimitero. foto 5. a) Statua della Madonna Addolorata scolpita da G. M. Benzoni nel 1871; è situata nella cappella di famiglia all’ingresso del cimitero (2004, Franco Valoti). b) Iscrizione funeraria sul fronte del basamento della stessa statua dedicata ai genitori dello scultore.
  • 26. Songavazzo XXIII Ermenegildo Covelli (1902 - 1976), avviato all’arte dal pittore Arturo Tosi, ha lasciato una serie di sculture moderne raffiguranti motivi astratti che i figli, dopo la sua morte, hanno donato al Comune di Songavazzo e che si tro- vano attualmente dislocate in vari punti del paese. ASPETTI ISTITUZIONALI 7 Unito dalle origini con il vicino Onore a formare un solo comune detto “Onore e Songavazzo”, tale risulta ancora alla fine del Cinquecento (Da Lezze una terra divisa in due terre). La sede del comune era in Onore, mentre Songa- vazzo formava una vicinia. Fin dalla metà del Duecento è documentata l’esistenza di un’organizzazione strutturata con consoli ed un consiglio ammi- nistrativo regolato sulla base di uno statuto della cui esistenza si ha notizia in fonti dell’archivio della Curia Vescovile di Bergamo resi noti recente- mente da Giovanni Silini8 Nello statuto Songavazzo risulta essere, come già detto, una vicinia del comune e come tale ha diritto a far parte, in misura proporzionale, degli organi di rappresentanza e governo del comune ed a godere dei beni e delle rendite comunali. Nel 1616 Songavazzo viene fiscal- mente diviso da Onore a cui era però unito per tutte le altre materie. La comunità, organizzata in vicinia con propri sindici, può eleggere un pro- prio console. Accanto alla vicinia vi è la Misericordia, l’unica organizzazione autonoma di Songavazzo preesistente al comune. Nel Settecento appare alter- nativamente sia unito che distinto da Onore. Con una deliberazione del consiglio particolare di Songavazzo del 14 marzo 1790, viene stabilito di dare avvio alla separazione legale dal comune di Onore. La determinazione genera una lite fra le due comunità soprattutto in merito alla definizione dei confini territoriali9 . Nel 1794 a conclusione della causa insorta fra le due comunità viene raggiunto un accordo e si provve- de alla loro separazione10 . Il nuovo comune possiede una circoscrizione corrispondente a quella attuale. Con decreto 31 marzo 1809 Fino, Onore e Cerete Alto e Basso sono aggregati in un solo comune con Songavazzo11 . L’ag- gregazione dura dal 1810 al 1816. A testimonianza di tale aggregazione nel verbale del consiglio comunale del 1815, il più antico fra quelli che si sono conservati in archivio, risultano presenti i consiglieri delle frazioni di Fino del Monte, Onore e Cerete ed inoltre gli atti di matrimonio di queste comu- nità, dal 1811 al 1814, sono riportati nei registri di matrimonio di Songavazzo, oggi dispersi. Con l’Unità d’Italia entra a far parte della Provincia di Berga- mo. foto 8. Aerofotografia scattata dall’elicottero del centro storico di Songavazzo (ottobre 2003, Lino Olmo). foto 7. Campanile della Chiesa Parrocchiale edificato nel 1766 in ceppo locale su disegno di un Fontana. Le sculture agli angoli sono in serizzo rosso. Le campane sono state fuse nel 1838 e consacrate dal vescovo P. Luigi Speranza nel 1864 e rifuse dai fratelli Ottolina di Sereno nel 1927. (2004, Franco Valoti). 7. Cfr. P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territorio bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Provin- cia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000, p. 277 e Regione Lombardia, Settore Trasparenza e Cul- tura, Istituzioni del territorio lombardo dal XIV al XIX secolo. Progetto Civita. Bergamo, Milano, 1997, p. 192 e il suo aggiornamento sul sito della Regione Lom- bardia – Lombardia storica – Le istituzioni storiche del territorio lombardo. 8. Cfr. Statutum de l’Honore, cit.. 9. Vedi il fascicolo con la raccolta della copia degli atti della lite in archivio comunale, b. 2, fasc. 7. 10. L’atto divisionale è datato 12 maggio 1794 e redat- to dal notaio Francesco Pezzoli di Songavazzo (Archivio di Stato di Bergamo, Archivio Notarile, busta n. 12700). 11. Vedi in archivio comunale, b. 23, fasc. 3.
  • 27. SCHEDA XXIV SCHEDA ROVETTA Camillo Pezzoli Rovetta e la frazione S. Lorenzo sono due centri della Valle Seriana Supe- riore situati sull’altopiano formatosi alla destra del torrente Valeggia prima che questo, curvando a sinistra, assuma la denominazione di Borlezza1 . Il comune di Rovetta, che si trova a circa 700 metri s.l.m., confina con Cluso- ne, Gandino, Cerete, Songavazzo, Fino del Monte, Castione, Colere, Vilminore e Oltresenda Alta. Il comune comprende le frazioni di S. Lorenzo, che fa par- rocchia a sè e la Conca Verde, ormai praticamente collegata a Rovetta, formatasi a partire dal 1953. Gli abitanti residenti al 31 dicembre 2003 erano 3548. Il Boselli2 contrariamente alla tesi dell’Olivieri, ritiene che il nome derivi da roveto mentre lo Zanetti lo ritiene un diminutivo di reca “detrito” (anche nel senso di “frana”)3 . Quando arrivarono i Romani, l’altopiano era già abitato e vi fioriva un notevo- le commercio. Molti nuclei esistevano prima della romanizzazione, che ha lasciato una traccia nella lingua e nei toponimi. L’abitato è sorto sul via di collegamen- to con la Val di Scalve dove vi erano le miniere di ferro. Lungo questa strada di scambio e smistamento del minerale e dei traffici verso Lovere, Nossa e Gromo, esistevano rispettivamente: mercato, magli e fucine. Pur essendo un paese di montagna Rovetta ha tratto sempre vantaggio dalla vasta pianura che si estende ai suoi piedi. Così è stato ad esempio verso la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo quando si manifestarono gli effet- ti della crisi della pastorizia e ancor più quella della lavorazione delle lane e dei minerali di ferro. Questo vasto territorio pianeggiante ha costituito una ricca riserva e comunque un patrimonio di cui altri paesi della valle non sono dotati. Ancora tale vantaggio si è verificato dopo la Prima Guerra Mondiale con la coltivazione della patata. Clusone, già comune nel secolo XI, è sempre stato il paese più importante della Valle Seriana Superiore, anche quando nel 1428 Venezia accorderà par- ticolari privilegi riconoscendogli il titolo di capoluogo della Valle Seriana Superiore. Un territorio molto vasto e articolato ricco di diversi insedia- foto 1. La chiesa parrocchiale di Ognissanti ed il sagrato (fine secolo XIX, Collezione Camillo Pezzoli). 1. In documenti bassomedievali questo torrente viene chiamato “ Inzine”, ”Intino” o “Incino”. Almeno a parti- re dal Seicento lo si distingue con quattro nomi diversi: la parte alta fino ad Onore, viene denominata Glera o Gera; da Onore a S. Lorenzo, Valeggia; da S. Lorenzo a Poltragno, Borlezza; da Poltragno a Castro, Tinazzo. Men- tre la pertinenza del castello era chiamata Gavazzo. 2. Cfr. P. Boselli, Dizionario di toponomastica bergama- sca e cremonese, Firenze, 1990, p. 257. 3. Cfr U. Zanetti, Paesi e luoghi di Bergamo. Note di etimologia di oltre mille toponimi, Bergamo, 1985-1986.
  • 28. Rovetta XXV menti divenuti in seguito autonomi e sede di altrettanti comuni, sorti ini- zialmente come residenze agricole o a servizio delle attività boschive e della pastorizia. Comprendeva anche alcuni feudi signorili e castelli, come per esempio Villa d’Ogna, Fino, S. Lorenzo e Onore. Percorrendo le vie del paese, si nota forte il contrasto tra le testimonianze di una civiltà contadina e le costruzioni moderne. Alcuni edifici antichi, tal- volta restaurati, conservano ancora l’architettura originaria, come la Casa Magri, la ex Casa Marinoni, il Palazzo Comunale, la Casa Fantoni, la Casa Tosi, l’ex Albergo Costa d’Oro e i portici di via Fantoni, nonché il Santuario di Som- maprada sulla via per Clusone. A parte alcuni affreschi votivi che si trovano su vecchie case nel centro storico, la gran parte del patrimonio artistico si trova nella chiesa parrocchiale. La medievale chiesa esistente al momento della separazione dalla Parrocchia matrice di Clusone avvenuta nel 14094 , viene ampliata e consacrata nel 1444 dedicandola ad Ognissanti. Con gli adeguamenti controriformisti anche la chiesa di Rovetta viene demolita e riedificata, tra il 1659 e il 1661. Restaurata nel 1852, è poi ampliata e trasformata nel 1913 su progetto del- l’arch. Elia Fornoni. Fra gli affreschi dell’interno spiccano quelli della volta presso il presbiterio del pittore clusonese Lattanzio Querena. Sulla facciata esterna è ancora ben conservato un affresco del XV secolo raffigurante una Pietà apparte- nuta alla vecchia chiesa. Di notevole pregio e rilievo sono le opere fantoniane considerate fra le più belle opere della bottega: l’altare maggiore, realizza- to tra il 1712 e il 1722, e, ai fianchi dell’altare, due statue di santi locali, il beato Marinoni5 , aiutante di S. Gaetano da Thiene, che la tradizione vuole foto 2. In primo piano l’alveo del Valeggia e l’abitato di Rovetta. In lontananza, in fondo alla campagna, è visibile il Seminario di Clusone (anni Trenta, Collezione Camillo Pezzoli). 4. La chiesa è documentata in atti dell’archivio dei Fantoni in Rovetta a partire dal 1409 (cassa perga- mene). 5. Il beato Marinoni è originario di Cerete, (cfr. L. Ferri, Cerete, Clusone, 1996, p. 109), ma è imparentato con i Fantoni per via della nonna e della madre di Andrea che erano Marinoni di Cerete.
  • 29. SCHEDA XXVI nativo del luogo e, S. Narno, primo vescovo di Bergamo, anch’egli ritenuto originario del luogo. Nel 1736 si completa il presbiterio con l’allestimento dell’ancona maggiore che incornicia la pala di Tutti i santi di G. B. Tiepolo. Del Litterini sono i qua- dri dell’altare della Madonna e del Suffragio. Di rilievo sono le cariatidi lignee che dividono gli scranni del coro e sorreggono il cornicione che richiama- no l’immaginazione dantesca dei superbi6 . Il battistero è stato ricostruito attorno al 1620 utilizzando elementi quattrocenteschi del precedente, attri- buiti a Bertulino Fantoni, attivo nel 1460. Di pregio i bancali con statue in sagrestia, i medaglioni delle cantorie, il grande apparato del Triduo, una croce d’altare in noce intarsiata di madreperla e una croce processionale in legno d’ulivo d’altissimo valore. La statua di S. Rocco con il devoto in ginocchio è opera giovanile di Andrea Fantoni, Da segnalare un dipinto del Cristo risor- to tra angeli e i Santi Narno e Lorenzo, attribuito a Lorenzo Lotto. Nella chiesa dei Disciplini, considerata la più antica cappella del luogo, più volte rimaneggiata, si conserva il gruppo scultoreo ligneo del Com- pianto sul Cristo morto. Realizzato dalla bottega Fantoni dal 1699 al 1711, è ritenuto il più emblematico fra i sei eseguiti nel periodo di maggior floridez- za della bottega (1690 – 1782). Sulla facciata esterna si possono ammirare tre affreschi raffiguranti: la Crocifissione, la Deposizione e la Resurrezione, dipin- ti nel 1585. L’attività artistica della bottega Fantoni di Rovetta è documentata con conti- nuità dal 1460 fino al 1817. In Europa rappresenta la bottega famigliare più longeva conosciuta. I Fantoni hanno sempre dimorato in Rovetta nella casa dove oggi ha sede il Museo che conserva una ricchissima documenta- zione dell’attività svolta. Da un’iniziale lavorazione di falegnameria artigianale, i Fantoni passano pro- gressivamente ad una geniale espressione di intaglio per arrivare ad una scultura artistica di pregio, prima in legno e successivamente in marmo. La produzione, dalla limitata cerchia locale e dintorni, si è estesa per fama e lavoro a moltissime località della bergamasca e del bresciano in prevalen- za, ma anche su scala nazionale. Il periodo di maggior floridezza e rinomanza, è stato sotto la direzione, prima di Grazioso, poi del figlio primogenito Andrea (1659 – 1734), la personalità di maggior spicco del casato, con i numerosi fratelli (sei maschi e tre femmine) tutti impegnati nella lavorazione di bot- tega. L’attività termina con Donato Andrea (1746-1817). Luigi Fantoni, figlio dell’ultimo scultore, avvocato e raccoglitore d’arte, si è dedicato alla ricer- ca, all’acquisizione, allo studio e alla valorizzazione dell’opera dei suoi avi. Nell’antica casa Luigi dà vita al primo allestimento museale e pone i pre- supposti perché ne sia garantita la conservazione e una più larga conoscenza. Nel 1968 la famiglia istiuisce la “Fondazione Fantoni” con l’intento di conser- vare ed esporre al pubblico il patrimonio artistico, compresi la casa e i laboratori. Attigua alla Casa Fantoni vi è l’abitazione che ha ospitato per più di cinquan- t’anni il pittore Arturo Tosi (Busto Arsizio,1871, Milano,1956), uno dei più intensi paesaggisti lombardi. É sepolto nel cimitero di Rovetta. foto 3. L’altare maggiore della Chiesa Parrocchiale con la pala di “Ognissanti” del Tiepolo. (Collezione Camillo Pezzoli). foto 4. Angelo alla destra dell’altare maggiore della Parrocchiale scolpito da Andrea Fantoni nel 1722 (foto Brighenti, Collezione Camillo Pezzoli). 6. Cfr nella Divina Commedia, canto del Purgatorio, c. X, v. 130.
  • 30. Rovetta XXVII S. LORENZO Frazione del comune di Rovetta, che si è sviluppata a partire dalla seconda metà del secolo XV. Nelle vicinanze della chiesa parrocchiale esisteva un castello di proprietà della nobile famiglia Suardi di Bergamo distrutto agli inizi del secolo XV in uno scontro bellico fra Guelfi e Ghibellini. Nella distru- zione la piccola chiesa viene risparmiata. Il castello e tutto il territorio di sua pertinenza, circa un terzo dell’attuale territorio comunale, suddiviso in 90 parti viene acquistato e gestito da una società denominata Compagnia dei Capi 90, attiva dal 14217 al 1817. Attorno alla chiesa si forma il centro abi- tato il cui nucleo centrale è ancora oggi leggibile8 . Per la maggiore vicinanza a Songavazzo la chiesa di S. Lorenzo era di ius patronato del parroco di Songavazzo che la ufficiava, non senza contestazio- ni da parte della parrocchia di Rovetta che possedeva 4 Capi e di tutta la Compagnia dei capi 90. Nel 1863 con decreto del vescovo Pier Luigi Spe- ranza la comunità si stacca definitivamente da Songavazzo. Si costruisce quindi una nuova chiesa, iniziata però solo nel 1898, edificata di fianco all’antica che esiste tuttora, sulle rovine del castello, e consacrata il 10 ottobre 1900. In stile neorinascimentale è stata progettata dall’arch. Virginio Muzio. Possie- de diverse opere d’arte provenienti dalla vecchia chiesa. Di interesse è la tela di S. Lorenzo con i santi Rocco e Sebastiano, attribuita a Domenico Carpino- ni di Clusone, le tre tele del coro, dedicate a S. Lorenzo e alla Prigionia e martirio dei santi Fermo e Rustico, sono state dipinte nel 1796 dal clusonese Lattanzio Querena autore anche della pala della Madonna del Rosario. Moder- no ma prezioso è l’altar maggiore, eseguito nel 1945 con la collaborazione dello sbalzatore Attilio Nani di Clusone. Il campanile, che incorpora quello prece- dente, è del 1913 ed è stato progettato con il concorso di Luigi Angelini. Un’antica fabbrica di coltelli e piccoli attrezzi agricoli di proprietà della fami- glia Marinoni Mesì di Rovetta esisteva fin dai primi anni dell’Ottocento lungo il torrente sotto le rovine dell’antico castello con mola e piccoli magli azio- nati dall’acqua; ma le piene del Valeggia e l’erosione degli argini costrinsero i proprietari ad abbandonarla. ASPETTI ISTITUZIONALI 9 Rovetta É menzionata come contrada di Clusone nello statuto del Comune di Ber- gamo del 1331 mentre in quelli del 1353 e 1391 vi appare come comune autonomo. Il territorio di Clusone si estendeva verso la Presolana fino al con- foto 5. L’imponente apparato ligneo del Triduo della Parrocchiale realizzato nel 1780-90 dalla bottega di Donato Andrea Fantoni (Collezione Camillo Pezzoli). 7. Stampa della Compagnia dei Capi 90 di S. Lorenzo, testo a stampa, non datato, fine del sec. XVII, elenca in approssimativo ordine di data, documenti riguardan- ti la Compagnia dei Capi 90 a partire dal 1392 fino al 1765 (Archivi parrocchiali di Rovetta e Songavazzo). 8. Nell’anno 1700 a S. Lorenzo c’erano 18 famiglie che possedevano in totale 1525 pecore, 28 buoi e 32 vacche (Bollettino Parrocchiale di S. Lorenzo). 9. Cfr. P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territo- rio bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Pro- vincia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000, p. 252 e Regione Lombardia, Settore Trasparenza e Cul- tura, Istituzioni del territorio lombardo dal XIV al XIX secolo. Progetto Civita. Bergamo, Milano, 1997, p. 192 e il suo aggiornamento sul sito internet della Regio- ne Lombardia.
  • 31. SCHEDA XXVIII foto 5. Aereofotografia scattata dall’elicottero dell’Agro di Rovetta. In primo piano al centro la frazione di S. Lorenzo, a destra il Valeggia, la contrada Maninetti, e in alto, il capoluogo comunale. A destra l’abitato di Songavazzo. (Ottobre 2003, Lino Olmo). fine con il comune di Onore e Songavazzo. Nell’estimazione generale del 1476 e nella relazione finale del Da Lezze nel 1596 è ancora appartenente a Clusone assieme a Piario, Villa, Ogna, Nasolino e Valzurio. Il definitivo distacco è ufficializzato con un atto divisione nel 1636. Nel 1809 con il decre- to del 31 marzo sulla concentrazione dei comuni, viene di nuovo aggregato a Clusone assieme a Oltressenda Alta, Oltressenda Bassa e Piario. Riacqui- sta l’autonomia nel 1816. Con il regio decreto del 21 marzo 1929, n. 568 aggrega il vicino Fino del Monte assumendo la denominazione di Rovetta con Fino. Nel 1947 viene ricostituito il comune autonomo di Rovetta. S. Lorenzo Sec. XVIII-1797 San Lorenzo, nella valle Seriana Superiore, era stato comune nel primo Tre- cento sotto il nome di “Gavazio”. In seguito fu contrada di Clusone, anche se nel 1621 il capitano di Bergamo lo dichiarò contrada del comune di L’Ono- re e Songavazzo. Per il Maironi da Ponte é contrada di Clusone (Maironi da Ponte 1776), mentre é comune per il Formaleoni: “Secondo la nota del- l’Offizio fiscale, é comune distinto da Barziza di Val Gandino ed appartiene alla val Seriana Superiore; Ne’ registri antichi trovo notata Barziza stesso tito- lare di S. Lorenzo, mentre ora ha per titolo S. Nicolò. Perciò suppongo che sia nata qualche innovazione per cui dalla Parrocchia di Barziza sia stato smembrato il luogo che ora chiamasi Comune di S. Lorenzo” (Formaleoni 1777). Non ottenne mai l’autonomia comunale.
  • 32. Confini comunali e viabilità XXIX SCHEDA CONFINI COMUNALI E VIABILITÀ Sergio Del Bello, Marco Duina Nei riquadri i confini delle circoscri- zioni territoriali dei comuni del Valeggia alle date storiche indicate. Essi rappresentano la ricostruzione storico-geografica degli ordinamenti territoriali alle soglie temporali che hanno segnato significativi mutamen- ti di carattere istituzionale1 . In tratteggio i limiti amministrativi attuali. Per la descrizione storica del- l’assetto istituzionale di Songavazzo e Rovetta dal secolo XIV ad oggi si vedano le due schede qui a p. XX e XXIV. Fonte: Confini dei comuni del territorio di Bergamo (1392-1395), trascrizione del “Codice Patetta n. 1387” della Biblioteca apostolica Vaticana, a cura di V. Marchetti, Provincia di Bergamo, Bergamo 1996 (Fonti per lo studio del territorio Bergamasco, 13). Fonte: Legge 6 marzo 1798, Organizzazione del Dipartimento del Serio; Riparto del Dipartimento dell’Oglio e Adda (marzo 1798). Fonte: ISTAT, X Censimento della popolazione, 15 ottobre 1961, vol. III, “Dati Sommari per comuni”, fasc. 16 – Provincia di Bergamo. 1392 1798 1961 Limite amministrativo provinciale attuale LEGENDA Limite amministrativo sovracomunale storico Limite amministrativo comunale attuale Limite di comune censuario (catasto Lombardo-Veneto, 1853) assunto come limite amministrativo storico Limite ipotetico di comune storico Comune storico Frazione geografica del comune storico, ora comune amministrativo Frazione geografica o località abitata Nei riquadri i colori evidenziano la distinzione tra le diverse circoscrizioni comunali scala 1 : 250 000 1. Per le carte storico-ricostruttive qui riprodotte a stral- cio cfr., P. Oscar, O. Belotti, Atlante storico del territorio bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e sovracomunali dal XIV secolo ad oggi, Bergamo, Provin- cia di Bergamo, Monumenta Bergomensia LXX, 2000, pp. 441-460. Non sono state illustrate le variazioni avve- nute negli intervalli 1810-1816 e quelle del periodo fascista in quanto relative a brevi escursioni di tempo. Per Songavazzo dopo il 1805 non è avvenuto più alcun cambiamento.
  • 33. SCHEDA Secondo la classificazione basata sulle procedure di realizzazione, le carte si suddividono in carte rilevate e carte derivate. Le prime sono quelle che si producono attraverso le tecniche di rilievo diretto del terreno; le secon- de invece si ottengono partendo da carte già realizzate, dalle quali, come indica il loro nome, vengono derivate attraverso procedimenti di semplifica- zione e sfoltimento di particolari con la cosiddetta “generalizzazione”, ovve- ro il processo di assimilazione e ri-simbolizzazione dei particolari geo- grafici. Il processo di derivazione si applica per ottenere carte tematiche e carte a scala in genere più piccola delle carte di partenza. La Carta topo- grafica del Regno Lombardo-Veneto del 1833 è una carta derivata: per la sua realizzazione i cartografi dello Stato Maggiore austriaco si basarono sulle corografie distrettuali (come quel- la riprodotta a stralcio nella fig. 13 nel testo di Fausti) del 1826 di cui si con- serva la collezione completa presso l’Archivio di Stato di Bergamo2 , deri- vate a loro volta dalla mosaicatura delle carte catastali napoleoniche in scala 1 : 2 000 (opportunamente ridot- te alla scala 1 : 28 000). Per garantire la correttezza geome- trica della carta – che avrebbe senz’altro risentito dei numerosi pas- saggi – i tipografi austriaci provvidero ad inquadrarla geodeticamente attra- verso una rete di triangolazioni con origine sulla base di Somma di 10 km. Istituto Geografico Militare Austriaco, Carta topogra- fica del Regno Lombardo-Veneto, 1833, scala 1 : 86 400 (stralcio e unione dei ff. 3C - Sondrio e 4C - Bergamo, Archivio di Stato di Bergamo). 1833 2. Le carte sono riprodotte a colori in P. Oscar. O. Belot- ti, Atlante, cit., pp. 441-460. XXX Viabilità storica del settore intermedio della Val Borlezza (Valeggia - Borlezze - Cerete)
  • 34. Confini comunali e viabilità XXXI Istituto Geografico Militare, Carta topografica d’Italia, Serie 50, scala 1 : 50 000 (stralcio e unione dei ff. 77 - Clusone, 1982 e 78 - Breno, 1977; rid. alla scala 1 : 86 400). Via del “Ferro”: strada storica di collegamen- to fra la Valle di Scalve e il Lago d’Iseo. Strada Dipartimentale poi Regia Provinciale Lovere – Clusone. Collegamenti stradali fra Songavazzo e Rovet- ta in direzione di Clusone nella prima metà del secolo XIX. Situazione documentata almeno fino al crollo del ponte Fedrighini del 1842. Strada comunale di collegamento Cerete Basso – Songavazzo. 0 1000 2000 m 1977-1982 Nelle due carte topografiche sono leg- gibili i tracciati delle principali vie di comunicazione della zona. In quel- la più recente, del 1977-1982, sono riportati in sovrimpressione i trac- ciati delle strade storiche. LEGENDA
  • 35. XXXII
  • 36. 1 ANALISI STORICA PREMESSA Gennaro Guala L’evoluzione delle storie dei ponti marcia di pari passo con l’evoluzione delle civiltà: il ponte è sinonimo d’abbattimento di barriere, di rottura d’isolamen- ti, d’eliminazione di estraneità fra popolazioni confinanti, separate prima da una profonda forra o da un fiume vorticoso. È un segnale di mutamento: pro- fondo un tempo, tale da sconvolgere usi e costumi d’etnie che per radicamen- to in aree collegate al mondo confinante da guadi avventurosi e spesso impraticabili, vivevano forme evolutive atipiche; meno avvertibile oggi, tale comunque da modificare i flussi di traffico, i baricentri degli interessi, gli assetti territoriali ed urbanistici delle zone, più o meno ampie, su cui il ponte esercita la sua influenza. Dal guado al ponte di legno. Uno dei primi, se non il primo, ricordato dagli storiografi: il ponte “Sublicius”, costruito fra il 639 ed il 614 a.C. dai Ponte- fici, regnante Anco Marzio, con legname fatto venire dalle boscaglie dei Vosgi - “sublicis” nel loro gergo sono le grosse travi di legno delle pile e degli impal- cati – fu realizzato in modo da poter essere smontato per fermare sull’altra sponda del Tevere temute orde di vicini troppo aggressivi o vendicativi e fino al 179 a.C. unico collegamento di Roma con i territori del nord. Più tardi, in terre di conquista, ricordiamo il ponte di Giulio Cesare sul Reno: lungo 430 m, di 56 campate di m 7,70, con impalcato largo 8,30 m e con rostri frangi- flutti in corrispondenza dei cavalletti. Venne costruito nei dieci giorni di mezzo del mese di luglio del 55 a.C. per cogliere di sorpresa e punire i Sicambri scor- tesi e dar prova alle popolazioni germaniche della potenza di Roma; per poter attaccare e defilarsi ,se il caso, senza doversi affidare all’incerto aiuto dei tra- ghettatori Ubii, che si dicevano alleati dei Romani solo in odio agli Svevi. Di questo possiamo essere certi: nel mondo occidentale la tecnica dei ponti, se per ponte intendiamo qualcosa di diverso di un tronco gettato attraverso un torrente, nasce in Roma ed acquista con Roma una gran valenza tecnica ed artistica. Furono, i “Pontifices”, che, dall’attento studio del comportamen- to delle acque, dei materiali impiegati, delle condizioni statiche implicite in ogni soluzione, affidando ad una gelosa tradizione le norme costruttive affi- nate nel tempo, prima con il legno e poi con la pietra, consentirono alle vie consolari di raggiungere tutte le contrade del mondo conosciute all’epoca Romana. Il primo ponte in pietra fu la ricostruzione del ponte Sublicio, volu- ta nel 179 a.C. da Emilio Censore quando ormai Roma si sentiva sicura della propria immensa forza. Da allora l’arco divenne l’elemento fondamentale del ponte, e la pietra – talvolta il mattone – l’elemento per costruirlo. Il ponte in pietra, nato allora, è stato il protagonista per più di 2000 anni del col- P A R T E P R I M A
  • 37. 2 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA legar una all’altra le sponde di un fiume o di un orrido, affiancato da confratel- li in legno, cui va riconosciuta l’ingegnosità e la fantasia che caratterizza le opere che, nel subcosciente individuale e collettivo, si considerano per certi versi preca- rie. Così è stato fino all’ultimo ventennio dell’ottocento, quando lo sviluppo della tecnica - nella produzione e nella lavorazione dei materiali - e della scienza delle costruzioni, gli oppose le ardite, innovative ed arroganti strutture in ferro. Quan- to è durata la certezza che il ricorso a questo materiale antico, ma mai come ora così facilmente producibile e lavorabile, sarebbe stato, per questo tipo di struttu- ra, il dominatore incontrastato? Forse venticinque, forse trent’anni. Ai primi del Novecento si affacciano alla ribalta i primi ponti in calcestruzzo. Utilizzato all’inizio come puro e semplice conglomerato, con le sue caratteristi- che di pietra artificiale, pur se più economico e più facilmente plasmabile, il cal- cestruzzo consentiva di ricalcare la configurazione dei ponti in pietra, ne imitava le geometrie e senza troppe difficoltà oltre le spingeva.Quasi contemporaneamen- te, dalla geniale accoppiata calcestruzzo-acciaio, nasce il ponte in cemento arma- to: i ponti in cemento armato sorgono, in tutta Europa, a decine, a centinaia, a migliaia. Nasce l’epoca della gran mobilità degli uomini e dei prodotti; dell’in- terscambio continuo, talvolta frenetico, che non riguarda solo le merci e le per- sone, ma anche le idee. Nasce l’evo in cui viviamo, che amiamo e nello stesso tempo critichiamo, ma che non abbiamo imparato ad apprezzare come si meri- ta, perché dimentichiamo quanto sforzo è costato alle generazioni che ci hanno preceduto, perché non sappiamo valutare fino in fondo che salto in avanti rap- presenti sul piano economico e sociale rispetto al passato; perché, infine, con comportamenti immaturi, tanto sul piano individuale quanto su quello colletti- vo, ne esasperiamo, anziché mitigarli, gli aspetti critici, sempre presenti come effetti di secondo ordine in qualsiasi processo di cambiamento. Per capire questa trasformazione di enorme portata bisogna fare un passo indie- tro: risalire alla metà dell’ottocento, quando ad un mondo che si era avvalso per secoli e secoli di tecniche consolidate, che rifaceva quello che già i Romani ave- vano fatto, subentra una nuova generazione che progetta le sue opere in base alle più recenti scoperte ed alle nuove conoscenze tecnico - scientifiche. La loro diffusione è avvenuta nei modi più disparati. Per quanto riguarda l’evolversi delle tecniche costruttive nelle nostre aree montane, ma soprattutto il loro radi- carsi capillarmente e diventare patrimonio comune, non si è ancora dato il giu- sto peso al contributo arrecato dalla realizzazione della rete delle ferrovie secondarie. Il risalire delle strade ferrate lungo le valli era un chiaro sintomo che il mondo stava realmente cambiando, che si potevano affrontare i problemi in un’ottica diversa da quella tradizionale, che – per limitarci al campo del costruire - era possibile ubicare un ponte esattamente dove serviva, e non dove la presenza di due roccioni sulle rive opposte avevano, fino a ieri, imposto.Con la possibilità di aumentare la distanza fra le spalle dei manufatti a costi ragionevoli, diventava possibile progettare in modo razionale l’intero tracciato, il collegamento fra il paese e il capoluogo del circondario, un gruppo di paesi alla più vicina stazio- ne ferroviaria , e non esser costretti a transitare per l’unico punto in cui la tra- dizione diceva si sarebbe potuto costruire il ponte, per poi raggiungerlo da entrambi i lati con una viabilità tortuosa ed irrazionale. Nell’Ottocento, per quanto concerne il progettare e costruire ponti, Songavazzo ha ripercorso duemila anni di esperienze. Il ponte in legno, progettato da Fedri- ghini nel 1826, realizzato subito dopo e già distrutto dalla furia di una piena prima del 1840 e le varie proposte di ponti in pietra – i due progetti di Santo Grassi, quello di Palvis (siamo nel 1880 e ancora quasi si teme di ardire troppo nel disegnare un arco in pietra di 20 m di luce) ed una sua ulteriore rielabora-
  • 38. 3 PREMESSA DI GENNARO GUALA zione, sempre negli anni Ottanta, che propone una travata in acciaio accoppia- ta ad un arco in pietra - sono descritti ed illustri nel capitolo che segue, frutto di un’approfondita ricerca dell’architetto Carla Fausti. Vent’anni dopo veniva realizzato il ponte in cemento armato di Cortese. La sua storia, dall’approvazione in consiglio comunale all’inaugurazione, l’iter ammi- nistrativo, i personaggi politici che hanno appoggiato l’iniziativa presso enti e ministeri, le fasi progettuali e costruttive dell’opera, le figure dei tre ingegneri che, ognuno per quanto di propria competenza, hanno partecipato alla sua rea- lizzazione – l’ingegner Cortese progettista e direttore dei lavori, l’ingegner New- man responsabile dell’impresa costruttrice, l’ingegner Pesenti produttore e fornitore del cemento e studioso del cemento armato e delle sue applicazioni – sono ripor- tati nel capitolo “Il ponte in cemento armato del 1910 di Luigi Cortese”. Quanto è successo in Songavazzo, con motivazioni diverse e conclusioni solo formalmente differenti, si è ripetuto in cento, mille siti d’Europa. Da queste espe- rienze, dobbiamo ricordarlo, è nato e si è evoluto quel sapere costruttivo che, se per un certo verso ha chiuso la lunga epoca del ponte in pietra - di cui si è volu- to nella scheda a seguito sintetizzare la storia gloriosa - oggi permette di realiz- zare opere quali il ponte di Normandia e ci fa convinti di poter realizzare il ponte sullo stretto di Messina. Sono derivate anche tutte quelle conoscenze, legate a quasi un secolo di osservazioni ed approfondimenti, che consentono di valuta- re e prevenire le azioni di degrado cui vanno soggette queste opere realizzate, o da realizzare, in ambienti non di rado aggressivi e assoggettate a carichi dina- mici sempre crescenti. Nel capitolo “L’evoluzione del ponte in cemento armato: l’impegno di progettisti e costruttori” vengono affrontate queste tematiche. Una premessa, arricchita da una nota del professor ingegner Antonio Migliacci, fa da introduzione e avval- la sul piano teorico gli studi e le sperimentazioni, che completano questa parte del testo, mirate a stabilire il grado di conservazione e funzionalità ad oggi del ponte di Songavazzo. È un capitolo indirizzato, almeno nella seconda parte, a tecnici che operano nel settore delle costruzioni; una rapida scorsa può eviden- ziare ad ogni lettore i mezzi sofisticati di cui oggi si dispone per condurre le indagini su strutture di cui si vogliono testare le capacità portanti residue ed individuare gli accorgimenti per incrementarle.Applicate al ponte in cemento armato di Cortese, confermano che il tempo non ha alterato le ottime qualità del materiale impiegato e l’accuratezza con cui è stato posto in opera.
  • 39. Data progetto Eretto Disegni Luce (m) Altezza (m) Costo* Fedrighini 1827 1829 SI 25 9.50 L. 3524 austriache Grassi 1847 NO 42 7 L. 19.914 Grassi 1851 NO 38 7 L. 22.546 Cantalupi 1866 Proposte raccordo stradale senza ponte Marinoni 1873 NO 62.5 11.85 L. 33.597 Palvis linea bassa 1877 NO 50 12 - 13 L. 44.000 Palvis linea alta 1877 NO 50 18.60 L. 29.900 Pesenti 1890 NO 61 11.59 - 12.30 L. 66.500 Cortese 1907 SI 90 13 111,5 18,5 L. 72.500 L. 45.304,45 appaltato 1909** L. 58.416,19 consuntivato 1910** 4 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA Prospetto dei progetti dei ponti sul Valeggia * Comprensivo delle strade di raccordo. ** Riferiti ai lavori per la costruzione solo del ponte.
  • 40. 5 PREMESSA DI GENNARO GUALA VIA MANINETTI C H I E S A V I A V E N E T O VIA MONTE F A L E C C H I O V I A V I A V I A C H I E S A V I A VIA D E I MILLE V I T T O R I O VIA BENZONI SAN B A R T O L O M E O P IN E T A V E N E T O DEGLI ALPINI V I A B A T T I S T I VIA P IA V E VIA MORANDI VIA ROMA P.ZA PAPA GIOVANNI XXIII V I A VIA MADONNINA C H I E S A VIA PIAVE VIA VITTORIO V I A STRADA PRO VINCIALE N ^ 5 6 V IA PA GIOVANNI XXIII (S.P. N^ 56) PAPA GIOVANNI XXIII S T R A D A P R O V I N C I A L E N ^ 5 6 VI AL E S O N G A V A Z Z O R O V E T T A S . L o r e n z o M a n i n e t t i g i a B o n a d e i t o r r e n t e V a l e g g i a via Graziola ex via Catelù Santuario Addolorata sito ex ponte Fedrighini S.Bartolomeo Asilo Morandi Addolorata del Benzoni bivio Graziola tombotto vecchio tracciato stradale Corno di Scannacapra Valzello di Camerolo Ripa Paleu Paleu vecchia pila strada com. della Grossa P o n t e L . C o r t e s e 0 50 100 m Planimetria dei progetti dei ponti e dei raccordi stradali sul Valeggia
  • 41. SCHEDA 6 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA SCHEDA PONTI IN PIETRA DI GRANDE LUCE Gennaro Guala La pietra è stato il materiale più uti- lizzato, in epoche storiche, nella rea- lizzazione dei ponti. Fra i ponti stradali in pietra possiamo ricordare con un certo orgoglio che il ponte di Trezzo sull’Adda - costruito nel 1337 da Barnabò Visconti assieme alla riedificazione del castello, pur- troppo distrutto dal Carmagnola il 21 dicembre del 1416 per impedire il flusso dei rifornimenti dal territorio bergamasco - ha conservato per più di 500 anni il record per la maggior luce d’arco mai realizzato. Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primissimi anni del Novecento il ponte in pietra è ancora utilizzato soprattut- to per la realizzazione delle nuove linee ferroviarie: è il suo ultimo breve periodo di grande splendore. Sono proprio i primi anni del Nove- cento che consegnano alla storia il ponte in pietra; resta come testimo- nianza di una perizia nel costruire dif- ficilmente uguagliabile. Molte sono le ragioni di questa subitanea caduta in disuso di una tecnica millenaria; su tutte prevale una evidente ed incon- futabile ragione economica sbilancia- ta in modo irreversibile a favore Tabella 1. I più grandi ponti stradali in pietra esistenti al mondo Anno di costruzione Località Luce dell’arco in metri Larghezza Durata del primato di lunghezza Nazione 1339 Cèret-Ponte Vecchio 45,45 _ 17 Francia 1356 Verona 48,7 3,25 21 Italia 1377 Trezzo 72 23,3 39 (526)* Italia 1416 Verona** 48,7 - 63 Italia 1479 Vieille-Brioude 54,26 5,56 343 Francia 1822 Tournon 49,2 - 12 Francia 1834 Chester 60,96 17,76 28 Inghilterra 1862 Cabin-John 67,1 6,14 41 U.S.A. 1903 Pont-d’Adolphe 84,65 17,55 2 Lussemburgo 1905 Plauen 5,35 5,35 Germania * In realtà il ponte di Trezzo è stato per 526 anni il ponte con luce maggiore mai realizzato ** Ritorno al primato per la demolizione del ponte di Trezzo
  • 42. Ponti in pietra di grande luce 7 PREMESSA DI GENNARO GUALA fig. 1. I ruderi del ponte di Trezzo di 72 m. di luce (Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči [Il gigante di pietra sull’Isonzo], Nova Gorica (Slovenia), 1996, p. 248). fig. 2. Il Castello di Trezzo d’Adda. Disegno acquerellato, 1898 (cm 43x540). Ricostruzione dell’ing. Pietro Brunati (Albese Co, 1854-1933). (Riproduzione di Rino Tinelli; cfr. R. Tinelli, Trezzo sull’Adda. Cartografie e vedute dal Cinque all’Ottocento, Capriate S. Gervasio, 2001, p. 227).
  • 43. SCHEDA 8 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA dell’utilizzo del ferro o del calcestruz- zo. Come conseguenza è stato abban- donato qualsiasi tentativo tendente al miglioramento di questa tecnica tra- dizionale, reso possibile sia dai nuovi mezzi operativi, sia dalla possibilità di sfruttare appieno l’elevatissima resi- stenza della pietra e delle nuove malte di giunzione, affinando la progetta- zione sulla base dei progressi fatti dalla scienza e dalla tecnica delle costruzioni. Sarebbe stato tuttavia molto arduo superare di molto le grandi luci raggiunte negli ultimi ponti in pietra, perché sul funzionamento ad arco di una struttura molto poco c’era ancora da apprendere già nei secoli passati. Vale la pena di spendere due parole sull’ultimo grande arco in pietra costruito a Solkan, nei pressi di Gori- zia che, con la sua luce di 85.00 metri, ha superato l’Isonzo collegando i due tronconi del viadotto su cui corre la linea Trieste – Vienna. Detiene il record del più lungo ponte in pietra mai realizzato per una ferrovia a scar- tamento normale. A dire il vero, non costruito una, bensì due volte. Realiz- zato dagli austriaci nel 1905, fu demo- lito durante la prima guerra mondiale nella battaglia per Gorizia del 1916. Nel 1918, alla fine delle ostilità, per riattivare la linea fu messo in opera un ponte in ferro provvisorio, mante- nuto in servizio fino al 1927. Per il suo rifacimento definitivo furono stu- diate parecchie soluzioni: una in ferro, abbandonata per il peso eccessivo che avrebbe scaricato sulla pila, senza con- trospinta orizzontale; una seconda in pietra, con 3 o 5 archi sull’Isonzo, scartata per ragioni idrauliche e timo- re di scalzamenti. Una terza, infine, proposta nel 1923 dall’impresa Maso- rana di Trieste, da realizzarsi in calce- foto 1. In primo piano il ponte ferroviario in pietra di Solkan. A valle il recente ponte stradale in cemento armato. (Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante], cit., p. 115).
  • 44. Ponti in pietra di grande luce 9 PREMESSA DI GENNARO GUALA struzzo armato. Interessante annotar- ne il costo di L. 1.650.000. Le ragioni “ storiche “, il rispetto per quest’opera unica al mondo, alla fine prevalsero sulle ragioni economiche. Le Ferrovie dello Stato, operando attraverso il compartimento di Udine, decisero di ricostruire il ponte tal quale, ridando a tutto il viadotto l’ori- ginale identità architettonica e strut- turale.Con pietra cavata a Chiamp e sul Carso, l’impresa dell’ingegner Atti- lio Ragazzi di Milano (che si era aggiu- dicata la gara al prezzo di L. 2.585.700) ultimò l’arco in 450 gior- ni, molto meno dei 650 che aveva a disposizione per dare il lavoro ultima- to e l’Isonzo ripulito dalle macerie del ponte distrutto e dalle opere provvi- sionali (pilone intermedio) necessarie alla realizzazione della nuova opera. È tuttavia il ponte stradale di Plauen, con i suoi 90 m, che detiene il record della maggior luce per un ponte in pietra. La grande differenza fra il ponte di Solkan e il viadotto stradale di Plauen sta’ in questo. Il ponte di Solkan è costruito completamente con blocchi di pietra squadrata, con una geometria ben stabilita, il cui sapien- te accostamento ed incastro garanti- sce la stabilità dell’opera: la forma di ogni singola pietra, ricavata dal masso dall’abilità e dalla fatica di valenti arti- giani, è parte determinante della forma architettonica dell’insieme. Il ponte di Plauen è un’opera in cui il legante di calcestruzzo gioca un ruolo fondamentale, entrando a pieno tito- lo a far parte della struttura portante; la pietra squadrata è utilizzata solo come rivestimento. Si può dire che a Plauen la pietra incominci a giocare il ruolo che l’inerte ghiaioso ha nel foto 2. L’impalcatura di sostegno del grande arco del ponte sull’Isonzo (Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante], cit., p. 66). fig. 3. Prospetto del ponte in pietra sull’Isonzo. (Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante], cit., p. 196).
  • 45. SCHEDA 10 PARTE PRIMA: ANALISI STORICA moderno calcestruzzo; ha dimensioni molto maggiori e non entra a far parte dell’impasto, ma nell’impasto cemen- tizio alla rinfusa viene conglobata. Se il ponte di Solkan è l’ultimo gran- de ponte in pietra, il ponte di Plauen può essere considerato, a ragione, uno dei primi grandi ponti in calcestruzzo non armato. foto 3. Il ponte di Plaunen in Germania, 1903-1905 (1906, Gorazd Humar, Kammiti velikan na Soči, [Il gigante], cit., p. 66). Tabella 2. I più grandi ponti in pietra per ferrovia a scartamento normale Anno di costruzione Località Luce dell’arco in metri Tipo di pietra utilizzato Graduatoria Nazione 1905 ricostruito nel 1927 Solkan 85 calcare 1 Slovenia 1903 Morbegno 70 granito 2° - 3° Italia 1905 Steyrling 70 granito 2° - 3° Austria 1894 Jaremcze 65 arenaria 4 Ucraina 1906 Kempten, 1 64,5 _ 5 Germania 1900 Gutach 64 arenaria 6 Germania 1906 Kempten, 2 63,8 7 Germania 1911 Krummenau 63,26 arenaria 8 Serbia 1889 Gour - Noir 62 granito 9 Francia 1884 Lavaur 61,5 calcare 10 Francia