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Gruppo nazionale Nidi e Infanzia
Territoriale MARCHE
TEMPO DI SEMINE
FAR CRESCERE UNA CULTURA
DELL’INFANZIA
SETTEMBRE–OTTOBRE 2
0
2
2
Poste
Italiane
S.p.A.
-
Spedizione
in
Abbonamento
Postale
-
D.L.
353/2003
(conv.
in
L.
27/02/2004
n.46)
art.
1
comma
1,
LO/MI
-
ISSN
2420-7829
-
all.
1
al
n.
4
2022
3 Editoriale.
5 Progetto Semi
6 SEMI Per far crescere insieme una cultura dell’infanzia
8 In su per tra fra … Le relazioni Finestre, mura, radure, ponti.
Quanti e quali passaggi? Lucia Vitali
14 Sottosopra Storie fuori margine alla scoperta di nuovi perimetri
di gioco e diverse prospettive di senso Manuela Bernacchia
18 Quale rete di relazioni? Nascita di un Coordinamento pedagogico
territoriale Federica De Luca
25 Il tempo preso Storia del gruppo di studio Pikler Veronica Paoli,
Valeria Ambrogiani, Gina Iacomucci, Lucia Benvenuti, Maria
Giovanna Ianuario, Valentina Tonucci
31 Contriìbuti sull’espereinza del lavoro aperto Raffaella Primavera,
Michela Seri, Elena Manciola Comune di Macerata
37 Semi diffusi
38 Fili: cucire relazioni. 06 una sfida educativa da cogliere
Sara Giacomini, Alessandra Patacchini
40 Cura sui cura mundi e l’arte di nutrire la vita
Patrizia Leoni e Luisa Nunziata
44 Anche i grandi fanno la continuità Elisa Polzoni
50 Pachamama: la relazione con le famiglie: educazione attiva
Elena Chiarillo
54 Storia di luoghi e persone Giulia Donninelli
56 Protocollo d’intesa CPT 0/6 d’interambito provinciale Piceno
Rita Tancredi
61 I fatti ci cosano: imparare dal quotidiano
Monica Saja ed Elisabetta Saja
66 La continuità educativa zerosei: un percorso a più voci sul
territorio, un percorso di crescita comune Coordinamento
pedagogico Comune di Ancona Lisa Bacchia ed Erica Monina
72 La Comunicazione Aumentativa Alternativa nelle scuole
dell’infanzia del comune di Pesaro Clelia Ciccalè, Antonietta Italia
78 L’importante è seminare don Ottaviano Menato
C
i sono i giorni in cui
vai di fretta,
da un appuntamento
all’altro, da una
formazione all’altra,
da un’attività all’altra.
Ci sono i giorni confusi, in cui ti
arrabbi, vuoi fare la guerra,
vuoi distruggere, vuoi incendiare.
Giorni in cui ami e in cui odi.
Ridi. Piangi.
Questi giorni in cui vivi e tremi,
ti preoccupi e speri.
Giorni in cui non smetti mai di
fare quello che c’è da fare.
C’ è da finire, da proseguire, c’è
da cominciare
Inizierai in un altro giorno...
… No inizi ora.
Che confusione questi giorni!
Ci sono i giorni felici,
dove ti sembra di essere ritornata
alla normalità
ma poi quelle mascherine tatuate
sui volti ci ricordano che non è
così.
O forse è questa la normalità?!
Ci sono i giorni di parole pesanti,
quelle parole che accendono
e poi dividono.
E poi ci sono giorni di attesa, di
sospiri.
di voglia di cambiare
che fanno nascere domande e
richieste speciali:
“Quanto manca a Natale?
Prepariamo il calendario
dell’avvento?”
Sono proprio quei giorni in cui
capisci che in quelle piccole mani
e in quei grandi occhi
c’è la speranza.
Sono quei giorni in cui realizzi
che stavi facendo una cosa e che
avresti dovuto farne un’altra!
Allora ascolti con occhi nuovi...
ti lasci prendere per mano
e guidare in quella magia e
stupore.
Ci sono giorni in cui un
minuscolo seme di grano
saraceno
a forma di cuore
può innescare ricerche e voglia di
collaborare.
E allora impariamo a guardare,
ad osservare bene e a gioire
perché di semi ce ne sono davvero
tanti intorno a noi:
in frigo, nella dispensa, sui nostri
piatti, ma anche per le scale,
e poi su, in alto in alto.
che per raccoglierli è necessario
salire sulle spalle di qualcuno!
E così dobbiamo chiedere aiuto,
con il sorriso negli occhi e
abbassarci e poi allungarci,
su su fino ad afferrare quel
piccolo seme.
Ci sono giorni in cui
sguardi perplessi di adulti
apparentemente indifferenti
si trasformano in parole e voglia
di giocare
e allora...
“Posso portarti i semi di
cocomero che ho messo da parte
questa estate?”
“Domani vi porto la pigna della
magnolia. Ha dei semi rossi rossi.
Li avete mai visti?”
E così da un piccolo seme a
forma di cuore,
impariamo a contarne più di 50
tipi: neri, gialli, verdi,
rossi, marroni, bianchi, a stella,
a forma di formica, di verme, di
goccia, nascosti in un batuffolo di
ovatta...
Ci sono i giorni in cui un piccolo
gesto ha trovato spazio nel cuore
e nella mente di qualcuno
ed è riuscito a fare la differenza,
a creare spazi di dialogo,
di curiosità, di ricerche, di
divertimento, di conoscenza con
persone nuove
e allora capisci che ognuno di noi
ha bisogno di creare quel seme di
speranza....
… ma ancor di più ha voglia di
condividerlo!! 1
●
Ritrovarsi e condividere è ciò di
cui avevamo profondo bisogno
nell’autunno del 2021. Accen-
dere quei monitor e scorgere i
volti di chi ci era tanto mancato
in quel periodo così particolare
dove isolamento e preoccupazio-
ne la facevano da padrone.
Le storie... avevamo bisogno di
storie, di raccontarci per poter
alleggerire il cuore dai timori,
dalle stanchezze, dalle moltepli-
ci contrastanti emozioni che ci
facevano sentire così fragili, per
poter ritornare a svolgere il no-
stro lavoro “come prima”... per i
prossimi quarant’anni”! 2
Sentivamo di muoverci tra tan-
te incertezze: una professione,
quella educativa, frammentata e
fragile, un’offerta di servizi 0-3
ancora tanto disomogenea, un
sistema 0-6 complesso, in gran
parte da costruire ed eravamo in
mezzo alla pandemia!
Una frase in mezzo a tutto que-
sto ci risuonava. “La certezza che
1 Dal Seme di Cecilia Cirilli, educatrice
e coordinatrice presso la Cooperativa
Sociale K.o.i.n.e. di Jesi, liberamente
ispirato al libro “Il Catalogo dei giorni”
di L. Tortolini e D. Tieni, Kite edizioni
2 “Per i prossimi 40 anni”- Gruppo
Nazionale Nidi e Infanzia-Zeroseiup
EDITORIALE
SOMMARIO
SETTEMBRE – OTTOBRE 2022
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
SUPPL. N. 4 /2022
Che seme è? Catolina
Zeroseiup Magazine
Zeroseiup Magazine
Direttore responsabile:
Direttore responsabile:
Ferruccio Cremaschi
Ferruccio Cremaschi
Pubblicazione autorizzata dal
Pubblicazione autorizzata dal
Tribunale di Bergamo n. 1963/2015
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reg. stampa 14 del 26/05/2015
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IVA assolta dall’editore a norma
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dell’art. 74/DPR 633 del 26-10-1972
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Poste Italiane Spa - Spedizione in
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A.P. - D.L. 353/2003
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(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1,
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comma 1, LO/MI
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Direzione e Redazione: Zeroseiup,
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Rotonda dei Mille 1, 24122 Bergamo
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i loro diritti rivolgendosi a:
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Zeroseiup s.r.l., Rotonda dei Mille
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Coordinamento redazionale e
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supervisione: Enrica Fontani
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Progetto grafico e impaginazione:
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Alessia Tinelli
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ISSN: 2420-7829 © 2021 Zeroseiup s.r.l.
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Chiuso in tipografia
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il 10 settembre 2022
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Tutti i diritti sono riservati.
Tutti i diritti sono riservati. È
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vietata la riproduzione dell’opera
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o di parti di essa, con qualsiasi
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mezzo, compresa stampa,
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non espressamente autorizzata
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non e stato possibile comunicare,
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nonché per eventuali omissioni o
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inesattezze nella citazione delle fonti.
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Direzione.
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Stampato presso:
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Fotolito Graphicolor,
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Città di Castello (PG)
Città di Castello (PG)
4 5
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
un impegno di potenziale trasfor-
mazione deve essere una scom-
messa collettiva”, la certezza che
l’educazione non può che essere
“…un’educazione emancipatrice
della comunità intera: bambini,
professionisti, famiglie, società.
Tutti attivi di un processo di ap-
prendimento comune.” 3
Capimmo che dovevamo “inter-
rogare i luoghi che suggerivano
partenze”4
per ri-cominciare e
stare anche in quel senso di spa-
esamento. E così, con la forza del
pensiero di Irene Balaguer, Ma-
ria Lai e il nostro bisogno di ri-
scatto nasce il percorso “SEMI”.
Nel dialogo di un bambino con
la sua mamma:
“Avvicina la tazza” “Perché?“
“Così fai fare un viaggio più corto
al latte e ai biscotti !” “A me piace
fare il viaggio lungo!”, (N. 3 anni
e mezzo), abbiamo ascoltato il
piacere del quotidiano.
Così, di “mese, in mese, di luogo
in luogo”, abbiamo scelto di of-
frire mensilmente la possibilità
di narrarsi ad una esperienza lo-
cale 06 all’interno di incontri or-
ganizzati on line a distanza, rac-
cogliendo ogni volta domande
sull’infanzia che la storia educa-
tiva sollecitava nei partecipanti
di servizi e scuole 06 del sistema
integrato marchigiano, insieme,
in dialogo. E come i contadini
seguono il calendario lunare per
piantare, potare e raccogliere,
3 “La certezza dell’impegno di fronte
all’incertezza dell’orizzonte” uno stralcio
dell’intervento Irene Balaguer al XIX
convegno del GNNI a Reggio Emilia nel
2014, Irene Balaguer per molti anni
presidente dellAssociaciò de Mestres
Rosa Sensat, ha sempre mantenuto
stretti legami con il GNNI condividen-
done idee e progetti (riportato nella
pubblicazione per i prossimi 40 anni)
4 “...interrogo i luoghi che mi sugge-
riscono partenze che non so mai dove
mi porteranno, non c’è mai un progetto
definito, c’è solo una partenza” I luoghi
dell’arte a portata di mano” Maria Lai –
Cinque Continenti
noi abbiamo seguito un percorso,
un ritmo, ogni mese, da gennaio
a giugno, abbiamo fatto una se-
mina e da ogni seme si sono ge-
nerati scambi e confronti.
Un filo rosso unisce il percorso
evolutivo d questa attività pro-
gettuale del Gruppo Territoriale
Nidi Infanzia Marche ed è quello
delle Relazioni.
Il tema della relazione, inequivo-
cabilmente, ha generato intrecci
e rimandi in un gioco di “rea-
zioni a catena”. Ogni contribu-
to prodotto dalla semina ci ha
permesso e permette di mettere
a fuoco ancora una volta il bi-
sogno di approfondimento sul
sistema ricco e variegato delle
relazioni nei servizi; del resto da
sempre soggette di interesse ma
indubbiamente acuito, in questi
ultimi due anni, dalle vicende
della pandemia.
Il vissuto di incertezza dovuto
ai cambiamenti nell’organizza-
zione interna ai servizi educativi
per ovvie ragioni di sicurezza,
non ha però inciso sulla nostra
certezza di agire e progettare in-
terventi che non minassero i bi-
sogni emotivi di piccoli e grandi
e dai Semi emerge questa neces-
sità cui segue, a nostro avviso,
attenzione e cura.
Tra maggio e giugno abbiamo
iniziato a cercare un modo per
portare domande e condividere
pensieri. Ci sono venute in mente
delle cartoline perché come i semi
possono viaggiare e come i semi
sono leggere, capaci di contenere
pensieri e mantenere legami.
Alla fine di giugno è arrivata una
inaspettata proposta dal GNNI e
da ZeroSeiup: un numero specia-
le della rivista in occasione del
convegno “Ri-Pensare ai bam-
bini nell’incertezza della nostra
epoca. Educare alla complessità.
Il futuro dell’educazione tra in-
certezza e complessità”. Abbiamo
deciso che, oltre a documentare
il percorso semi, dovevamo cer-
care di raggiungere coordinato-
ri, responsabili, amministratori,
persone perché c’era un terreno
fertile per essere disseminato, per
fare crescere insieme una cultura
dell’infanzia.
Quanti altri “semi-esperienza”
che circolavano sicuramente nei
fertili terreni dei servizi regiona-
li non avevano ancora avuto il
modo di essere conosciuti e con-
divisi?!
Per raggiungere i territori abbia-
mo inviato una lettera a tutti gli
Ambiti territoriali-sociali mar-
chigiani, invitando i referenti dei
Coordinamenti pedagogici terri-
toriali ad informare del progetto
semi i loro servizi e scuole 06, così
da farci inviare altre esperienze.
Dalla raccolta di numerosi con-
tributi nasce così la terza sezione
della rivista “Semi diffusi”, che
consideriamo solo una tappa in-
termedia di ulteriore scambio re-
gionale, in attesa di riprendere il
percorso semi dopo il Convegno
di Pesaro, speriamo, questa volta,
in presenza.
“…Così come i contadini seguono
il calendario lunare per piantare,
potare e raccogliere, noi abbiamo
seguito un percorso, un ritmo, ogni
mese, da gennaio a giugno, abbiamo
fatto una semina e da ogni seme si
sono generati scambi e confronti.”
PROGETTO SEMI
Durante una torrida estate,
“rinfrescata”dagli incontri, i pensieri,
i dubbi, i cambiamenti, le soluzioni
creative, hanno curato questo
numero speciale regionale le socie
del Gruppo territoriale Marche:
Cathi Baglioni
Lucia Benvenuti
Emanulela Bernacchia
Alda Bonetti
Francesca Ciabotti
Cecilia Cirilli
Marzia Fratini
Gina Iacomucci
Veronica Paoli
ValentinaTonucci
LuciaVitali
Ringraziamo Ferruccio Cremaschi
che ci aiuta sempre e AlessiaTinelli
per la pazienza e l’impaginazione.
Pexels.com
6 7
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
SEMI
Per far crescere insieme una cultura dell’infanzia
di processi e prospettive
Riflessioni intorno alla natura dei bambini, delle fa-
miglie, dei servizi per continuare con meraviglia, con
determinazione e consapevolezza a costruire una
cultura dell’infanzia insieme.
“Mio padre mi portava con sé nel bosco sin da
quando ero piccolina, insegnandomi con instancabile
pazienza i nomi degli animali, delle piante e dei funghi.
Pensava che se si sanno nominare le cose, gli si dà
maggiore valore. Ma che cos’è la natura? Quale
rapporto abbiamo con lei? Può minacciarci? E perché
ne abbiamo bisogno? Come possiamo proteggerla e
conservarla?”
(tratto da “Cosa diventeremo? di Antie Damm,
ed. orecchio acerbo)
di mese in mese
e poi?
di luogo in luogo
•Ancona e piccoli comuni
•Macerata e piccoli comuni
•Ascoli Piceno e piccoli comuni
•Fermo e piccoli comuni
•Pesaro e piccoli comuni
•Urbino e piccoli comuni
Azioni da intraprendere
“La Semina”
STORIE DI RELAZIONI...STORIE IN RELAZIONE
Ogni mese verranno presentate esperienze di servizi
educativi e integrativi appartenenti ad una provincia
che possano aprire a spunti di riflessione sul tema
delle relazioni (tra bambini, adulti-bambini, tra adul-
ti, con lo spazio, con il tempo, con il territorio, con le
famiglie......).
Le storie, come i semi, possono arrivare in differenti
modi e forme:
• racconti, riflessioni da portare ad incontri pro-
grammati
•narrazioni, spunti, pensieri da inviare per mail
•testimonianze da raccogliere attraverso interviste
CERCATORI DI DOMANDE
Ognuno di noi può trasformarsi in un attento ascolta-
tore e raccogliere domande aperte intorno all’infan-
zia partendo dal piccolo (le domande dei bambini
sul mondo? Le domande dei grandi sui bambini?....)
Questa prima fase sarà caratterizzata da tempi aperti,
apparentemente non lineari, dalla capacità di so-sta-
re nei nostri servizi cercando di cogliere quello che
c’è, quando c’è e che viene in termini di bellezza, dif-
ficoltà, forza, incertezza.
Per poter parlare ri-pensare al nuovo che c’è, abbia-
mo bisogno di lasciare questo spazio aperto, per ri-
cercare, intrecciare le differenze e le connessioni tra
luoghi, persone e saperi che possono portare e rac-
contare quel che si sente e succede nel quotidiano,
nelle crisi e nei successi, nei movimenti (precari? di
sviluppo? di stasi? di regresso?...), nelle contamina-
zioni...
PER UNA CULTURA dell’INFANZIA
Come aprirsi al territorio?
•Cineforum
•manifesti per le città con sollecitazioni “imperti-
nenti”sull’infanzia
•letture cittadine sul tema dell’educazione rivolte
agli adulti
•pubblicazione
•padlet.
Illustrazioni tratte da
In un seme - manuale per
piccoli collezionisti
di meraviglie.
Piotto & Marchegiani,
ed. Topipittori.
Il perché di una metafora
Avvertiamo l’esigenza di raccontare la biodiversità
educativa del nostro territorio per ridisegnare “una
mappa educativa dei servizi 0-6 marchigiani“ fatti di
tante particolarità in cui potersi ri-conoscere, parten-
do proprio dalle“semplici”esperienze dei servizi.
I SEMI, proprio nella loro apparente semplicità indivi-
duale, sono l’emblema perfetto della vita: hanno infini-
te e sorprendenti forme, sono avventurosi, intelligenti,
generosi, sanno spostarsi e adattarsi all’ambiente,
difendersi e fare amicizia con molte specie viventi. Un
seme, piccolo o grande contiene tutto ciò che serve per
vivere. La nostra vita sulla Terra dipende dalle piante, e
la vita delle piante, dipende dalla capacità dei loro semi
di farla nascere; per questo è fondamentale conoscere
la Storia e le storie dei semi, la loro importanza, e la loro
sbalorditivavarietà.(trattoda“Inunseme,manualeper
piccoli collezionisti di meraviglie di Beti Piotto & Gioia
Marchegiani)
I semi sono dappertutto con le loro peculiarità, le
loro risorse e le loro esigenze.
8 9
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
S
ono Lucia Vitali, educa-
trice e mamma di una
bambina che frequenta
una scuola dell’infanzia
a Jesi (An).
Vi ringrazio per questa opportu-
nità di presentare quelle che sono
state le mie riflessioni in que-
sti giorni, a proposito del tema
delle relazioni, che è un tema
molto grande e anche molto im-
portante. Volevo partire da degli
elementi concreti, a livello meta-
forico, che potevano aiutarmi in
questo momento di racconto e
piano piano cercherò di spiegar-
mi in questo che è stato un flusso
di pensiero.
Vorrei partire da una piccola sto-
ria: in questi giorni in cui siamo
state a casa, che le scuole erano
chiuse per le feste natalizie, io e
mia figlia siamo uscite a fare del-
le passeggiate qui nel quartiere e
un giorno, mentre ritornavo ver-
so casa mi sono fermata in uno
di quei negozi dell’emporio, dove
si trovano tutte quelle piante e
gli articoli per il giardinaggio e
mentre mi avvicinavo – ero così
felice dell’idea che m’era venuta
– di comprare un bulbo. Quan-
do sono andata, ovviamente, la
commessa mi ha detto “Questo,
signora, non è periodo dei bulbi”.
Io sono caduta giù dall’albero e
sono tornata con i piedi per ter-
ra. E non lo sapevo! Però, a casa
avevo dei semini tenuti da parte
dall’anno scorso, di un lavoro
fatto con i bambini… avevo dei
semini di grano e di farro, di cui
sapevo almeno, anche osservan-
do nei campi attorno a noi, era
periodo di semina. Quindi, al-
meno quello, con mia figlia l’ho
fatto.
Piantare dei semini – visto che
siamo proprio nel tema SEMI –
vedere questa trasformazione e
sapere che, la Natura ci insegna,
non tutto è fruibile sempre,
come e quando vorremmo noi
o pensiamo noi. Questo, già, è
stato un grande insegnamento.
Il passaggio successivo, è quello
della conoscenza nella relazione.
Cioè se io avessi conosciuto il fat-
to che i bulbi adesso non ci sono,
non li avrei cercati, ma anzi li
avrei cercati nel momento adat-
to, per sapere che poi avrebbero
fiorito. Se io conosco il fatto che i
semi di grano e di farro adesso è
il momento di seminarli, lo pos-
so agire.
Questo lo intendo come un agi-
re educativo che può diventare
mirato, orientato, che sia sempre
più diretto.
Ci sta che l’esperienza ha tutta
una sua sfera, che le cose si cono-
scono strada facendo, ma sapere
con chi ci si relaziona, secondo
me, è una cosa molto importante.
La prima cosa, quando metti
insieme una famiglia e la scuo-
la, secondo me, per aprire un
dialogo ci deve essere un incon-
tro fatto di scambio e di cono-
scenza.
Qui mi viene in mente la diffe-
renza nella mia esperienza di
genitore: mentre al nido abbia-
mo fatto un incontro con le edu-
catrici per dire: “Da dove viene
Adele? Qual è la sua Storia?” –
IN SU PER TRA FRA…
LE RELAZIONI
Finestre, mura, radure, ponti. Quali e quanti passaggi?
LUCIA VITALI
ognuno di noi è fatto di Storie,
ed è importante – per la scuola
dell’infanzia probabilmente ho
compilato dei moduli, non lo ri-
cordo con esattezza. Quello che
immagino, dall’altra parte, cer-
to che l’insegnante avrà l’occhio
per osservare quelli che sono i
cambiamenti di ogni bambino,
ma ha già meno dettagli di quel-
la che è la Storia del bambino
che ha davanti. Per non parlare
poi, più avanti, della scuola pri-
maria, eccetera. Ciò non toglie
il fatto che poi anche i bambini
acquisiscono una capacità di
linguaggio e di dialogo superio-
re per cui saranno loro stessi in
grado di presentarsi.
●
Un’altra cosa su cui ho riflet-
tuto, è la situazione che stiamo
vivendo adesso che ricade un
po’ sotto tanti fronti. Io, geni-
tore, accompagno mia figlia nel
cortile, quindi si apre il porto-
ne e mentre prima – parlo di
due anni fa – si accompagnava
il bambino o la bambina fino al
piano di sopra, perché la classe
è ad un piano superiore, c’è sta-
to un graduale cambio di rotta,
dato dalle norme, per cui per un
momento ci siamo soffermati
all’ingresso e abbiamo lasciato
i bambini ai collaboratori sco-
lastici. Abbiamo allontanato un
contatto, non dico verbale, quo-
tidiano e diretto, ma anche uno
sguardo visivo con le insegnanti
che è venuto meno. In una fase
successiva, noi accompagnia-
mo i bambini fuori della porta.
Quindi io sento che, a fronte di
questa situazione, la realtà che si
viene a creare è questa: alziamo
un muro.
Questa è la rappresentazione
della sezione del plesso scola-
stico.
Descrizione degli elementi:
Rappresentazione della sezione del plesso scolastico.
1. Il genitore e il figlio arrivano a scuola.
5. Tra la scuola e la famiglia c’è distanza:
si alza un muro.
6. Si colloca una finestra aperta.
3. Il genitore accompagna il figlio
nell’atrio, lo aiuta a cambiarsi e il
collaboratore scolastico lo conduce in
sezione.
4. Il genitore non entra a scuola;
il collaboratore scolastico aiuta il
bambino a cambiarsi e lo conduce in
sezione.
2. Il genitore accompagna il figlio in
sezione.
10 11
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
motivazioni. E poi la domanda
è: “Quale scuola sceglierò come
scuola primaria?”. Quando sen-
to le famiglie intorno a me, quali
sono le domande essenziali? Se fa
il tempo pieno o il tempo norma-
le e se quell’insegnante dà tanti
compiti o meno. Anche la scuo-
la, sotto un certo punto di vista,
mi sembra diventare un pochino
‘privata’, dove io genitore scelgo
– per fortuna se posso scegliere
– quello che penso per mia figlia
possa essere la scuola con l’in-
segnante migliore e quindi mal-
grado la strada, la comodità o la
continuità tra i bambini, perché lì
magari c’è l’insegnante, di cui ho
sentito parlare, che potesse essere
più adatta per la mia famiglia e la
mia situazione. Qual è, allora, il
senso della continuità tra i gradi
di scuola o all’interno dello stes-
so ciclo di scuola? Penso che non
mi aspetterò più che nell’arco dei
tre anni di frequenza della scuo-
• La base marrone rappresenta
l’ambiente interno; la base verde
rappresenta l’ambiente interno, la
base bianca sopra le colonne è lo
spazio di una sezione.
• Il portone d’ingresso è posto tra
la base marrone e la base verde
ed è di colore celeste.
• Il mattoncino azzurro chiaro
sta ad indicare una panca posta
all’ingresso della scuola
• I mattoncini colorati e impilati
stanno ad indicare le scale.
• Il personaggio con il cappello
blu e il bambino con la maglia
rossa rappresentano la diade
genitore – figlio, durante il mo-
mento dell’ingresso a scuola al
mattino.
• Il personaggio con il cappello
marrone rappresenta il collabo-
ratore scolastico.
• Nella sezione ci sono la maestra
e gli alunni.
Questo lo dico non banalizzan-
do la situazione della pandemia;
quello che mi auspico è: riuscia-
mo, noi come famiglie e le inse-
gnanti a porre un nuovo modo di
reinventarsi e poter aprire delle
finestre? Una finestra intesa come
possibilità di incontro, di scambio.
Altrimenti quell’incontro tra me
che sono genitore e l’insegnante
diventa sporadico, occasionale;
diventa difficile costruire un dia-
logo.
Non è tutto negativo: ho notato
il modo di mettersi in gioco delle
insegnanti è stato quello di por-
tare i lavori fatti dai bambini nel
giardino. Il giardino è diventato
quell’ambiente di scambio possi-
bile, all’aperto, in sicurezza, dove
ci si può incontrare. La scuola è
uscita fuori. Questo per me è sta-
to un segnale molto importante.
Sono sicura che ce ne saranno di
tantissimi generi.
●
Un’altra situazione che ho nota-
to – sulla porta – che mi duole
la dell’infanzia possa avere dal
primo anno all’ultimo gli stessi
insegnanti. Questo per me non è
una mancanza, il fatto che ci sarà
un ricambio di personale, a dif-
ferenza di anni fa quando c’erano
persone che accompagnavano gli
alunni durante tutto il ciclo. Mi
auguro, allora, che ci possa essere
continuità. Quali sono quegli ele-
menti che possono accompagna-
re, se non la Storia dei bambini?
Alla fine quello che per me è im-
portante è che tutto sia orientato
rispetto a chi hai davanti, calato
su quelle situazioni, nello Stare e
nell’Essere in relazione.
●
Concludo con delle immagini di
alcuni albi illustrati, per rendere
l’idea… come fosse una fotogra-
fia. Pensavo all’albo illustrato de
“L’onda” come idea metaforica
di un incontro, come fosse per
la prima volta che una bambina
un po’ il cuore vedere, è questa:
nella peggiore delle ipotesi io mi
sento un postino che consegna il
pacco, nella migliore delle ipotesi
accompagno mia figlia a scuola,
la posso salutare, le dico “buona
giornata”, le auguro buon diverti-
mento e allo stesso modo la vado
a riprendere. Più complicato è
quando a fianco a me ci sono ge-
nitori in difficoltà e bambini in
difficoltà, che piangono… e sono
sull’uscio della porta. Quella por-
ta ti dice: “Stai dentro o stai fuo-
ri? Sei pronto ad entrare o ancora
no? Stai sulle braccia di mamma,
di babbo, o vai dentro? Un po’
da solo… E comunque sull’uscio
la maggior parte delle volte c’è il
collaboratore scolastico, che è
presente nel ‘sistema scuola’, ma
non è la persona indicata a curare
questo momento di accoglienza.
Ancora, se parliamo dello 0-6,
sono bambini piccoli, e hanno
bisogno di essere accolti, non
solo il primo mese dall’inizio
della scuola, ma magari al rientro
dalle vacanze di Natale, eccetera.
Chiediamo al bambino di fare un
piccolo sforzo, però non perdiamo
di vista quelli che per noi profes-
va al mare, non lo conosce e ci
entra in relazione. C’è una dan-
za tra l’andare e venire del mare
e l’avvicinarsi e allontanarsi della
bambina, ma la cosa che mi inte-
ressa dire alla fine è che il mare
lascia dei tesori (conchiglie, stel-
le marine, ecc…) e la bambina è
lì come a ringraziare per questo
incontro e poi, come sempre i
tesori dei bambini, entrano nella
gonnellina rialzata della bambina
che, immagino, se li porti a casa.
C’è uno scambio, un conoscer-
si reciproco e poi si trovano e si
possono raccogliere dei tesori.
Questa è l’idea nostra di incon-
trarci, anche qui, per far sì che
questi semi possano germogliare.
Un’altra è presa dal libro di Oli-
ver Jeffers, è un’immagine molto
semplice e secondo me molto
bella: ci sono le mani di un adul-
to sotto e le mani del bambino
sopra.
Noi adulti siamo qui per sostene-
re, voi bambini potete crescere, vi
alleggerite, potete giocare, potete
essere bambini e noi siamo qui.
Dall’esperienza
di Lucia Vitali,
riflessioni e confronti
Clara Maccari: “il mio interven-
to prende spunto dall’esperienza
di Lucia Vitali, la mia metafora
riguarda le finestre, probabil-
mente in questo periodo di pan-
sionisti sono i capisaldi, le cose
davvero importanti. Da una parte
ci sono le regole, dall’altra cerchia-
mo i nostri spazi per poter far sì
che, comunque, sia Educazione.
Accogliere… in un’idea contraria
all’azione che farebbe una mac-
china fotografica che è lo zoom,
non mi viene tecnicamente, …al-
larghiamo. Accogliere una fami-
glia è una pluralità di situazioni,
come dicevo prima è un’attenzio-
ne alla Storia di ognuno, è curare
questo, prendersi cura del bam-
bino e della famiglia, messi in-
sieme in una pluralità di famiglie
di situazioni che abbiamo intor-
no, perché sento sia come adulta
immessa nel mondo del lavoro
una grande fluidità, sia nelle re-
lazioni, troviamo tante famiglie
composte ognuna a modo suo…
Dentro la scuola si lavora affinché
siamo tutti uguali? Così che tutti i
bambini che ho nella classe sono
tutti uguali? Oppure sono tutti
diversi? Se conosco, se valorizzo le
loro diversità? O se magari saran-
no tutti e due i paradigmi insieme.
●
Un’altra cosa su cui riflettevo, poi
hofinito,èlacontinuità.Unacosa
che mi è salita alla mente: parlia-
mo di ‘poli dell’infanzia 0-6’. Io
vedo la mia situazione familiare:
io abito in un paese, Monte San
Vito, mia figlia va a scuola in un
altro paese, un esempio molto
semplice. Mi viene un pochino
meno l’idea del ‘quartiere’: io e
la mia famiglia entriamo in con-
tatto con le persone del quartie-
re, vado in quella scuola che mi
sta più vicina, ai giardinetti che
mi stanno più vicini, dove posso
intessere relazioni con altre le fa-
miglie che con me vivono quel-
la zona. Io ho scelto di mandare
mia figlia a scuola a Jesi per dei
motivi, questo fa parte di tut-
ta quella fluidità; noi ci siamo
dentro, ognuno con le proprie
(da“La gigantesca piccola cosa”,
Beatrice Alemagna, Donzelli Editore,
2011)
(da“L’onda”, Suzy
Lee, Corraini, 2008)
12 13
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
insegnati e viceversa. Ora qual-
cosa si è eretto rendendo meno
visibile effettivamente la soglia o
troppo visibile quel confine che
definisce il dentro e il fuori tanto
da aumentare l’oscurità di que-
sto passaggio.. Ma altre è anche
un luogo, di aperture, di grandi
luci, che si possono essere at-
traversate.
E in tutto questo c’è il seme, che
è la seconda esperienza, anche
noi, in questi servizi stiamo ra-
gionando, in questo periodo
dell’inverno sui semi. Molti semi
sono custoditi dall’inverno, per-
ché magari piantati in autunno,
come si diceva “il bulbo”, e mi
sono chiesta: “Qual è l’ambien-
te per il seme?” perché abbiamo
parlato di tanti semi, ci siamo
detti di raccogliere esperienze,
che sono semi, che posso essere
messe in relazione, in dialogo.
Però c’è in effetti, un terreno di
semina che non è indifferente
nell’apporre i semi, ci sono anche
delle cure che il seme deve ave-
re oltre, a monte, avere una certa
qualità del seme affinché possa
già in principio poter germoglia-
re e quindi mi sono detta: “questi
semi di futuro, da qui in avanti,
come educatori, insegnanti, di
cosa hanno bisogno?”
Proprio 3 parole, giusto per non
allungarci che però possono esse-
re d’interesse, innanzi tutto pen-
sando a questo tempo dell’inver-
no, hanno bisogno di una hanno
bisogno di calore, se il seme non
ha calore non germoglia, anche
quella soglia, se pensata come
terreno di calore i semi di futuro
possono germogliare, altrimenti
non c’è la possibilità che nasca
qualcosa. Il seme il calore lo por-
ta con sé ma ha bisogno di due
focolari, da una parte la scuola,
dall’altra la famiglia che portino
il calore lì, dove ci sono gli in-
contri, le relazioni. Paradossal-
mente anche la neve, d’inverno,
demia si sono alzati dei muri e
quindi bisogna trovare un modo
per riaprire spazi di dialogo, fi-
nestre, penso sia importante ri-
flettere su questi temi, ora più
che mai. Prima della pandemia
pensavamo che tanti spazi di in-
contro già ci fossero e per il fatto
che le famiglie potevano circola-
re negli ambienti, seguire i figli
mentre entravano nelle sezioni,
negli spazi ecc., non prestavamo
molta attenzione a quello che
gli spazi, gli ambienti, le pare-
ti, i giochi, le nostre presenze, i
nostri messaggi, comunicavano.
Ora che alcuni luoghi non sono
più accessibili, forse, ci stiamo
domandando, con più attenzio-
ne, quali comunicazioni inviamo
alla famiglia e con quali stru-
menti, penso alle documentazio-
ni che mandiamo su WhatsApp
o i filmati che mandiamo dopo
un’esperienza o altre situazioni.
Volevo portare la riflessione sul-
la comunicazione, non solo sulla
necessità, ma soprattutto come e
quali finestre riaprire, perché
ci siamo resi conto che in questi
due anni di pandemia abbiamo
mandato tante cose alle famiglie,
almeno questa è la mia espe-
rienza, ma spesso quello che è
pensiamo per tutti i semi, orzo,
farro, grano è copertina di calore.
Quindi anche quelle situazioni
apparentemente fredde possono
essere una copertina per il seme
e questo ci dà una grande fiducia,
perché il dell‘inverno per i semi è
un freddo formativo, sembra un
paradosso ma è così, è formativo
per molti semi se non ci fosse il
freddo essi non potrebbero ger-
mogliare o addirittura produr-
rebbero meno, pensiamo ai cere-
ali. Allora, anche noi qui, penso
a tutte le difficoltà che stiamo
incontrando e portando in questi
luoghi dell’incontro, se le guar-
diamo come un freddo formativo
cambiamo prospettiva, quindi da
una parte il calore, da una parte il
freddo. Accanto alla dimensione
della cura, ci metterei la fiducia,
la fiducia che il seme di per sé,
in realtà, ha già tutta la poten-
za implicita per poter diventare
qualcosa d’altro, che è già iscrit-
to in sé, però dobbiamo affidar-
lo. Ecco è bellissimo che queste
esperienze, così portate, affidate
a questo gruppo territoriale che
un po’, un terreno possa essere
affidato gli altri perché è lì che ci
può essere la possibilità che pos-
sa germogliare. Sono stata un po’
sulla metafora ma è stato molto
suggestivo!
●
Raffaella Primavera: sono un’e-
ducatrice di un nido di Macerata
che si chiama “Topolino.
L’interessantissimo punto di vista
di questa mamma mi ha proprio
portata a ancor di più a riflettere
di quanto ci stiamo prendendo
cura di questo momento di ini-
zio giornata a cui segue tutto il
resto. Tutte le cose che stiamo
dicendo, tutto l’impegno che
stiamo mettendo per garantire
questa qualità nelle relazioni so-
prattutto. Io ho riflettuto molto
anche sul tema di quello che sarà
arrivato non è stato così curato
e pensato come invece il tempo
avrebbe richiesto: forse bisogna
ripensare i modi, i tempi e i
mezzi della comunicazione . Un
suggerimento ci veniva anche da
Lucia Vitali quando parlava dei
giardini, insomma, ci potremmo
e dovremmo ritornare su questi
argomenti!
●
Federica Di Luca, San Ginesio:
“A me ha molto colpito la meta-
fora dei semi, perché lavorando
in contesti a stretta naturalità
sono un po’ il quotidiano edu-
cativo. Mi sono venuti due pen-
sieri. Uno è sul tema della soglia,
quando ci veniva presentato que-
sto confine tra il dentro e il fuori
della scuola, dove da una parte
c’è il mondo della scuola e dall’al-
tra c’è il mondo della famiglia e
c’è il bambino che transita attra-
verso questa soglia, questa porta
e mi sono chiesta, anche insieme
alle colleghe se queste soglie di
ingresso e di uscita o comunque
di transito tra il dentro e il fuori,
in effetti si siano solo spostate.
Ma soprattutto sono cambiate o
stanno cambiando, ma soprat-
tutto dobbiamo ridirci, ri-carat-
il convegno: sull’incertezza, in-
certezza che sicuramente stiamo
vivendo tutti, che è sicuramente
un tempo di transizione, di gran-
de spaesamento ed è proprio per
questo molto importante, che
comunque abbiamo tutti biso-
gno di fare dei progetti ora, per
costruire questo futuro che vo-
gliamo vedere tutti. In una inte-
ressante trasmissione passata, di
cui non ricordo la data, che pos-
so cercare e condividere, portata
all’attenzione da Radio Rai Tre,
si parlava proprio di questo tema,
l’incertezza, Recalcati ricordava
che Noè quando riuscì a superare
questo diluvio, la prima cosa che
fece fu piantare una vigna, è un
po’ quello che io personalmen-
te sento, ma non solo io, perché
questo sentire lo sto condividen-
do con tante amiche e colleghe,
è questa cosa: pensare al futuro,
adesso, piantando dei semi, ora è
veramente importante. Vi volevo
lasciare invece con uno stralcio
di un brano scritto da questo
straordinario compositore che
si chiama Vinicio Capossela, che
ha scritto una bellissima canzone
che si intitola “La lumaca”, per
parlare del tempo lento e dice
così:
La mia strada lenta e dritta
E’ nuda prima
Ma scintilla dopo
Lasciare un passaggio
Lasciare una scia come una co-
mete
Rallentare il tempo
E godersi la scia
Mi ha molto ispirata nel pensare
come stiamo vivendo ora que-
sta traccia che continuamente
i bambini lasciano al loro pas-
saggio, in ogni momento della
giornata. Credo che sia molto
importante soffermarsi su queste
tracce, su queste scie, sono quelle
che poi determinano il percorso
che stiamo facendo.
terizzare quella che è la qualità
di queste soglie, che sono fonda-
mentalmente dei confini. In ef-
fetti, anche qui l’immagine della
esperienza, durante la presenta-
zione, faceva vedere, che forse si
sono eretti o alzati dei muri. Si,
abbiamo visto anche noi che si
sono alzati dei muri, altre volte
ho visto che non sono solo muri
ma si sono aperte delle radure
popolate, penso popolate di pau-
re, di domande, di incertezza,
di vulnerabilità. Oppure si sono
aperti, per stare sempre nella
dimensione della metafora, dei
veri e propri deserti, con quello
che può esserci nella dimensione
del deserto, non solo rarefazione
della comunità vivente ma del-
la specializzazione se volgiamo,
delle piante e degli animali che
richiede una ricerca più attenta,
più fine, più sottile dell’acqua.
Oppure sono diventate dei bo-
schi fitti perché li si addensavano
delle cose, dei pensieri, delle do-
mande, si concentrava proprio
lo scambio fisico anche delle
persone. Alcune volte, invece, in
alcune esperienze, sono diventa-
ti luoghi di grande ricerca, ab-
biamo visto come i giardini, gli
spazi esterni, si sono “allargati”,
così queste soglie sono diventa-
te spazi molto interessanti per-
ché alcune cose si sono spostate
dalla famiglia verso la scuola e
dalla scuola verso la famiglia e
si sono incontrate e sono diven-
tate, forse, dei luoghi di grandi
avvenimenti, di ricerche. Alcu-
ne volte sono diventate dei luo-
ghi d’ispezione reciproca: non
so se anche da voi è capitato, il
guardarsi da una parte e dall’al-
tra un po’ con l’occhio così: “che
cosa succederà dentro la scuola
che non abbiamo più un’idea di
quello che succede”, le soglie a
sembrano più irte aumentan-
do la dimensione del giudizio
da parte delle famiglie verso le
(da“Cose da fare. Dritte per il nostro futuro insieme”, Oliver Jeffers, Zoolibri, 2021)
14 15
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
SOTTO SOPRA
Storie fuori margine alla scoperta di nuovi
perimetri di gioco e diverse prospettive di senso
MANUELA BERNACCHIA
D
ue sono i semi che
vorrei mettere in
circolo:
Sconfinamenti
Reciprocità
Provo a esplorare questi temi
partendo dal racconto di espe-
rienze realizzate con i bambini
della mia sezione, tutte si svol-
gono in uno spazio particolare
dell’aula: la cattedra delle mae-
stre. La chiamo cattedra e non ta-
volo perché è proprio la classica
cattedra “istituzionale”, chiusa ai
tre lati, con la cassettiera laterale,
aperta in fondo e nella parte sot-
tostante il piano di lavoro.
Da un po’ di tempo mi sono ac-
corta che questo spazio è stato
pian piano colonizzato dai bam-
bini, i quali se ne sono appro-
priati facendolo diventare un
loro spazio: di gioco, relazioni,
lettura…
Spazio lettura
La cattedra è diventata il luogo
privilegiato di lettura per alcuni
bambini, quando hanno voglia
di leggere i loro albi illustrati pre-
feriti, non lo fanno nell’angolo
dei libri, dove ci sono il tavolo, le
poltroncine, né sotto i loro tavoli
(come altri bambini), ma prefe-
riscono stare sotto la cattedra,
dove trovano una concentrazio-
ne intima che vivono in solitaria
ma anche in coppia. I bambini
si rintano sotto e sfogliano più e
più volte i loro libri, e questo suc-
cede anche quando ci sono io ad
occupare la cattedra, spontanea-
mente spostano le mie gambe e si
inseriscono all’interno, io entro
così a far parte del loro spazio di
lettura.
Spazio gioco e di relazione
La cattedra non è solo angolo
di lettura ma anche luogo pri-
vilegiato delle relazioni, delle
confidenze, spazio gioco. Ulti-
mamente il gioco che va per la
maggiore sotto la cattedra è il
gioco della Centrale operativa. I
bambini giocano agli scienziati
che attraverso la centrale (co-
struita con scatole, mattoncini
Lego) comandano una serie di
sensori (grandi mattoncini Lego)
distribuiti in tutta l’aula, i quali
controllano tutte le attività che
facciamo durante la giornata (un
Grande Fratello in miniatura!).
Anche in questa situazione,
quando occupo la cattedra, entro
mio malgrado (con piacere) a far
parte del loro gioco: i miei piedi
diventano una parte della loro
Centrale, spostandoli mandano
comandi ai sensori sparsi nell’au-
la, così mi hanno spiegato.
Spazio teatro e creativo
Il piano di lavoro della cattedra è
diventato il nostro spazio teatra-
le. Quando facciamo teatro con
i burattini o con le sagome co-
struite dai bambini, utilizziamo
questo spazio come palcoscenico
per i nostri personaggi. E proprio
al termine di una drammatizza-
zione, L. un bambino dell’ultimo
anno, mi comunica che vuole
scrivere una “scenografia” da
rappresentare nei giorni seguen-
ti (cosa che è poi avvenuta). Mi
chiede i fogli, matita, gomma e
mi dice spontaneamente “mae-
stra ti sposti che mi serve il tavolo
per scrivere”, io stavo mettendo a
posto i materiali, l’ho guardato
e altrettanto spontaneamente gli
ho lasciato lo spazio, andando a
finire il mio lavoro nei tavoli dei
bambini. L. aveva a disposizione
i suoi tavoli, lo spazio tradiziona-
le che è deputato alle sue attività
e invece ha scelto di fare questo
lavoro, per lui molto importante,
in uno spazio dedicato, diverso.
Dopo quella esperienza, ogni
volta che L. deve fare un lavoro
a cui tiene particolarmente, mi
chiede di utilizzare la cattedra,
ormai divenuta il suo spazio cre-
ativo privilegiato.
●
Che cosa hanno in comune que-
ste esperienze? Tutte sono at-
traversate da un denominatore
comune: la capacità dei bambini
di “sconfinare”, di ridisegnare
confini di spazio, tempo, senso.
In maniera spontanea, istintiva,
improvvisa, i bambini sono in
grado di destrutturare, “mano-
mettere” lo spazio che noi tendia-
mo a rendere strutturato: l’angolo
dei libri, l’angolo morbido, lo spa-
zio della cucina, possono acquisi-
re una nuova destinazione d’uso,
un nuovo senso. Così come un
nuovo senso ce l’ha questa catte-
dra che non è più il tavolo della
maestra ma diventa il teatro, un
angolo di lettura, un luogo di in-
contri ma anche uno spazio di
gioco e di elaborazioni creative.
I bambini “sconfinano”, oltrepas-
sano le barriere di spazio, senso,
tempo, andando oltre le nostre
aspettative, secondo i propri spa-
zi, tempi, interessi.
Credo che lasciare ai bambini
tempi e spazi nuovi per giocare
sia una capacità non semplice per
noi insegnanti, perché comporta
saper attendere, il farsi da parte
e lasciare spazio, mettersi in mo-
dalità di ascolto attento e curioso,
saper dare valore a quello che si
osserva e si accoglie, in definitiva
comporta la capacità di cambiare
la nostra postura di insegnanti.
Tuttavia quando avviene questo
cambiamento la relazione edu-
cativa si arricchisce di un aspetto
fondante: la reciprocità.
A proposito di reciprocità mi pia-
ce ricordare una frase di Donald
Winnicott “Nessuno si accorge
che i bambini hanno molto più
bisogno di dare che di ricevere” e
un frammento di uno scritto di
Franco Lorenzoni che parla pro-
prio dell’“arte del ricevere” nella
relazione educativa, sottoline-
ando l’aspetto della reciprocità:
“L’aggettivo reciproco che a mio
avviso costituisce il cardine d’ogni
relazione educativa, ci dice molte
cose. Viene dal latino recus, che
indica l’andare indietro, e procus,
che evoca l’andare avanti. E’ im-
portante ricordare che prima c’è
l’andare indietro, il lasciare spazio
facendo silenzio, e solo dopo l’an-
dare avanti, in una sorta di danza
che deve trovare un’armonia tra i
due, data dall’ascolto. Noi docen-
ti, come molti genitori, abbiamo
spesso il vizio di pensare che dob-
biamo sempre dare qualcosa e così
troppo raramente facciamo un
passo indietro con i bambini”.
●
Vorrei commentare queste due
citazioni con il racconto di un’al-
tra esperienza fatta con i bambini
della mia sezione.
Una mattina arrivo a scuola e
i bambini stavano facendo con
la mia collega un percorso mo-
torio in sezione, il percorso si
snodava attraverso tunnel, passe-
relle, anelli, birilli. Nel momento
in cui entro i bambini stavano
camminando in equilibrio sulle
passerelle con le braccia aperte,
la prima cosa che ho pensato ve-
dendoli è stata quella di mettere
una musica come sottofondo e
mi è venuto subito in mente un
pezzo di Nino Rota del film Otto
e mezzo (La passerella d’addio).
Era perfetta per quella situazio-
ne, subito due bambini mi hanno
detto “maestra sembra il circo!” e
gli altri “Sii, il circo, maestra fac-
ciamo il circo!”. Dal loro entusia-
smo ho capito che era necessario
“fare il circo”, lasciare spazio alle
Non è un banco.
16 17
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
nuela sembra quasi una cosa
bella che ci ha dato in leggerez-
za e come ha detto anche Lu-
cia ci ha raccontato la sua vita,
una vita di una giornata è come
averlo visto per immagini, però
questo non è assolutamente fa-
cile che tutto questo avvenga e
secondo me, a parte la regia, è
un lungo lavoro dell’educatore,
dell’adulto su se stesso, sulla vi-
sione del bambino, sull’essere
capace di andare avanti, di an-
dare indietro, e questo impli-
ca una grande esperienza, una
competenza, un lavoro su se
stesso e anche secondo me un
lavoro di formazione continua,
di sostegno, perché essere un
po’ gli angeli custodi, i registi,
la parola che userei è veramente
rispetto, essere capaci di e avere
la competenza professionale di
vigilare, di rispettare la voce in-
fantile, non è facile è qualcosa
che si acquisisce mai ed è qual-
cosa che bisogna riapprendere
dall’esperienza continuamente
dalla relazione con il bambino,
dall’osservazione, quindi cre-
do che insomma sia credo che
sia una cosa spontanea ma che
in realtà ha dietro un lungo la-
voro che è la competenza dell’e-
ducatrice che una competenza
relazionale raffinata e profonda,
nella relazione con i bambini, di
questo ti ringrazio perché hai
reso leggero e comprensibile
qualcosa di molto profondo e in
realtà non semplice, come dire
“è facile stare con i bambini, che
conta, cosa volete che sia!” non è
così, perché riuscire a far fare il
circo, riuscire a far destrutturare
un cattedra implica un pensiero
su di sé, sui bambini, sull’educa-
zione, che secondo me deve ma-
turare, e sui cui bisogna conti-
nuare a discutere per difenderlo
e anche per portarlo avanti.
●
loro richieste, fare un passo in-
dietro, cambiare i miei program-
mi per le attività pomeridiane
che erano diventati improvvisa-
mente anacronistici.
Dopo pranzo iniziamo ad orga-
nizzare il circo. I bambini decido-
no i personaggi: clown, giocolie-
ri, equilibristi, mago, spettatori.
Ognuno di loro decide che per-
sonaggio vuole interpretare, a me
affidano il ruolo del presentatore
e di “quella che mette la musica”.
Poi stabiliscono spazi e tem-
pi dello spettacolo: la pista dei
clown, dei giocolieri e del mago
sarebbe stata l’angolo morbido,
la pista degli equilibristi partiva
dall’angolo lettura fino all’angolo
della cucina; gli spettatori si spo-
stavano nei vari angoli seguendo
lo spettacolo. I bambini decido-
no anche che bisognava fare le
prove e quindi la sala mensa (che
è una stanza attigua alla sezio-
ne) è diventata la sala prove dei
clown e del mago, invece la sezio-
ne è diventata la sala prove degli
equilibristi e dei giocolieri.
Dall’angolo cucina e dallo spa-
zio dei materiali strutturati e di
riuso, i bambini hanno ricavato
costumi e strumenti: padelle,
coperchi, piatti, mestoli, sono di-
ventati cappelli, strumenti musi-
cali dei clown, palline di gomma
rossa, i nasi. E così la passerella,
le aste, i birilli, gli anelli, le pal-
le di gomma piuma dei percorsi
motori, gli strumenti degli equi-
libristi e dei giocolieri.
Infine i biglietti, bisognava fare
i biglietti per l’ingresso al circo,
non potendo invitare i bambini
e le maestre delle altre sezioni, i
bambini decidono di coinvolgere
le collaboratrici scolastiche, per
cui realizzano i biglietti (con il
disegno dei clown e il nome del
circo) e mi chiedono di accom-
pagnarli per invitarle allo spetta-
colo, poiché, come si sarà intuito,
in tutto questo tripudio creativo
Raffaella Primavera: “Non è fa-
cile”, sottoscrivo assolutamente
questa cosa, mi è venuta in men-
te un’altra cosa che diceva Fran-
co Lorenzoni, rispetto a tutte
questa cose che volgiamo fare,
che vogliamo mettere in campo,
per cui ci affatichiamo tantissi-
mo, in realtà lui ci invitava e ci
invita tutte le volte, a “fare meno
e andare più in profondità”, per
fare in modo che effettivamente
i bambini, in questo tempo viva-
no, le migliori esperienze possi-
bili perché ragionavamo anche
su quanto è difficile per un bam-
bino, e anche per una famiglia
pensare che questo sia il tem-
po comunque migliore perché
loro possano vivere al meglio la
loro infanzia, perché questo è il
tempo, questo tempo difficile,
questo tempo incerto, questo
tempo che ci ha affaticato tantis-
simo tutti, per cui questo invito
io l’ho fatto mio da sempre, fare
meno e andare più in profondità,
e andare più in profondità come
diceva, Francesca o Alda, è an-
che quello di confrontare tutto
questo con le colleghe, con il
gruppo di lavoro, per poi rilan-
ciare, ma sempre su quello che i
bambini restituiscono e non su
quello che noi abbiamo in testa,
sui bambini felici, competenti,
perché è chiaro perché è chiaro
che i bambini sanno benissimo
dove vogliono andare, cosa cer-
cano, le loro piste di ricerca le
continuano a sottoporre, io lo
vedo anche con i bambini che
frequento, che hanno dagli 8
mesi ai 18 mesi (poi ve lo rac-
conteremo la prossima volta)
loro hanno chiarissimo di che
cosa hanno bisogno per incon-
trare il mondo, è chiaro che è
fondamentale l’adulto che pro-
pone dei materiali dei luoghi
belli, interessanti, dove i mate-
riali dialogano tra loro , dove c’è
un tempo lento e un rispetto
il mio ruolo è stato proprio quel-
lo di facilitare l’andamento dei
vari step dell’organizzazione del-
lo spettacolo, accogliendo le loro
richieste e aiutandoli, quando
necessario, nel portarle a compi-
mento.
Finalmente, terminata la crea-
zione dei costumi, degli attrezzi,
finite le prove, consegnati i bi-
glietti, inizia lo Spettacolo… che
spettacolo!
Chiudo con il nome del circo
scelto dai bambini. Quando ho
chiesto loro che nome dare al cir-
co, un bambino dell’ultimo anno
mi ha detto “maestra mi è venuta
un’idea, chiamiamolo il circo del-
la sorridanza”, e io “sorridanza?
Volevi dire sorriso?”. Lui “No, no,
circo della sorridanza”, sorriden-
domi e facendo ruotare le mani
davanti alla bocca, come ad imi-
tare un movimento circolare.
Penso che questo nome espri-
ma meglio di tante parole il cli-
ma che si era venuto a creare:
la danza delle nostre risate e la
circolazione di benessere conta-
minavano ognuno di noi. In quel
momento io non ero la maestra,
ero il presentatore del circo e i
bambini erano clown, equilibri-
sti, giocolieri, maghi, spettatori.
Eravamo tutti dentro questa re-
lazione in cui ognuno era quello
che il gioco ci chiedeva di essere,
non eravamo più in un’aula sco-
lastica.
Dal seme di Emanuela
confronti e riflessioni
Gina Iacomucci: “Una delle cose
importanti di questa storia è di
quella di lasciare essere gli ogget-
ti, questa sera è stata principal-
mente la cattedra che con il suo
ruolo, anche istituzionale, ha
svolto la parte che spesso è del
tavolo, dove da sempre i bambini
si nascondono e vivono diverse
storie e ci raccontano quanto c’è
profondo per l’unicità di ognuno
di loro , poi loro vanno. E’ que-
sta poi la fiducia che io mi porto
dietro tutti i giorni proprio”.
●
Gina Iacomucci: “E’ quello dice
Raffaella: “Cogliere, fare meno,
perché contiene tanto quel meno.
Questo mi riporta ad percorso di
formazione, all’ osservazione di
un momento della giornata quo-
tidiana: un bambino stava cer-
cando di raggiungere un’oggetto
e seppure non ci fosse da parte
sua nessuna richiesta d’aiuto, l’e-
ducatrice glielo porge. Questa
situazione ci ha dato motivo di
fermaci e riflettere perché in-
dipendentemente dal momento
specifico in cui era avvenuta, in
cui si poteva parzialmente giu-
stificare la difficoltà dell’educa-
trice di osservare, mentre lei stes-
sa era osservata, ci ha permesso
di vedere qualcosa che ricono-
scevamo come parte di un no-
stro modo di fare, non insolito.
Ci siamo dette: - spesso è più
facile fare che stare nell’attesa.
Spesso è difficile non fare tan-
te cose. Facciamo “tanti lavori”
che riempiono luoghi e tempi
già troppo pieni. Cosa vuol dire
prestare attenzione a quel che
accade? Saper stare non è non
fare. Stare è fare, è poter coglie-
re, è saper accogliere quel che
c’è, quel che ci potrebbe essere,
vuol dire permettere. Mi viene
in mente un albo illustrato: “An-
cora niente?” “ancora niente?” è
la domanda ansiosa dell’attesa,
la richiesta di certezze, di ri-
sposte. Ancora niente? E’ la dif-
ficoltà a stare nel momento di
mezzo, intermedio, nel quale ac-
cade qualcosa, i greci lo chiama-
vano kairos, dove succede qual-
cosa che bisogna saper cogliere,
un tempo diverso da Chronos,
sequenziale, l’organizzato, stabi-
lito, quantitativo”.
in ogni persona, una cosa fonda-
mentale per vivere, ancor più
forte nell’età della crescita: la vo-
glia e il bisogno di immaginare e
fare dei progetti. Nella cattedra,
bambini e adulti, hanno avuto la
possibilità di potere incontrarsi
e incrociare caratteri, fare sto-
rie, così come la musica gli ha
accompagnati in cucina a cer-
care nelle utensili gli strumenti.
Gli oggetti e lo spazio sono me-
diatori, mettono in relazione le
cose con i pensieri, la stanza con
le cose, gli uni con gli altri, sono
insieme contenitori di libertà e
di vincoli, possono fare essere
bambini e adulti dei composi-
tori di opportunità.
Quando questo avviene, c’è la
scoperta, stupore, meraviglia
perché si sente che c’è qualcosa di
grande e di bambino in ognuno.
Noi, noi come maestre, educato-
ri, alcune, chiediamo ai bambini
di fare quello a che a loro non in-
teressa tanto, perché pensato e-o
fatto da noi un po’ al posto loro.
Dobbiamo esserci nell’esperien-
za, fare parte dell’incontro.
Come fare?
“Non è facile!”
Tra tutte le parole del racconto di
Emanuela, queste parole sono
quelle che mi sono scritta, mi
hanno fermato:
“Non è facile”, tra certezza e in-
certezza, al di là del momento
che stiamo attraversando, è sem-
pre difficile, questo stare tra cer-
tezza e incertezza “Non è facile”:
“Non è facile!” abbiamo incon-
trato belle esperienze e riflessioni
durante tanti incontri, momenti
di formazione, però” non è facile
passare dall’eccezionale al sape-
re quotidiano, alla saper essere
con, non è facile.”
●
Francesca Ciabotti: “Io sono
d’accordo, non è facile, così
come ce lo ha raccontato Ema-
18 19
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
proprio nel tessere relazioni con
questi soggetti, si è aperta una
nuova strada. Il mandato istitu-
zionale del dott. Valerio Valeriani
è stato: dobbiamo elevare la quali-
tà dei servizi.
Il compito è quello di portare in
luce chi siamo e mettere in rela-
zione i soggetti del sistema 0-6
affinché si possa fare scambio di
esperienze, valorizzare le realtà
che hanno mostrato e mostrano
maggiore intraprendenza e inte-
resse nella ricerca pedagogica ed
educativa e ci si apra all’esterno.
Il mandato era chiaro ma le dif-
ficoltà iniziali sono state non sa-
pere bene come dare forma e vita
pulsante al sistema.
Il primo anno e mezzo è stato de-
dicato a capire cos’era questo si-
stema integrato e chi eravamo. Ci
siamo occupati del piccolo oltre
che nel grande, abbiamo opera-
to con l’intento di aver cura dei
tre ambiti, come tre sottogruppi
del coordinamento associato e
dell’intero sistema insieme.
Il nodo delle figure
di riferimento 06
Rappresentanza per un dialogo
Già definire le figure di riferi-
mento e di rappresentanza ha
richiesto due anni e mezzo per
il segmento 3-6 anni delle scuole
dell’infanzia statali poiché l’uffi-
cio scolastico regionale e provin-
ciale non hanno dato fin dall’ini-
zio indicazioni chiare e rapide.
Poi, su richiesta del coordinatore
d’ambito, è arrivata l’indicazione
che sarebbero stati i dirigenti a
nominare le loro figure interne di
rappresentanza per lo 0-6. Qual-
che dirigente l’ha fatto, ma qual-
cuno ha detto “beh, io ancora
devo ancora capire bene cosa sia
questa cosa”. Dal 2022 abbiamo
finalmente i nominativi dei refe-
renti per tutti i servizi educativi
e le scuole, c’è un gruppo whats
Lucia Benvenuti: “In questo rac-
conto c’è “rispetto” e “ tempo” e
aggiungerei “fiducia”, non pos-
siamo dare rispetto e dare tempo
se non diamo fiducia. La fiducia
è la sicurezza che quel bambino
possa portare qualcosa di nuovo
a quel contesto e a quei bambini
che possano portare qualcosa di
nuovo in quelle relazioni. La fi-
ducia è qualcosa che si dà un po’
alla cieca, a prescindere, al di là
Difficoltà iniziali
La difficoltà iniziale è stata con-
dividere gli elementi istituzionali
e normativi. Nella fase di avvio
del coordinamento, nonostante
i tre ambiti fossero congiunti, li
abbiamo considerati tre territori
da curare ciascuno attentamente.
Sono stati fatti più incontri nei
tre ambiti, tenendo presente l’am-
piezza del territorio, e gli stessi
dirigenti scolastici hanno parte-
cipato all’incontro iniziale di pre-
sentazione sul sistema integrato
0/6 e sulle funzioni del coordi-
namento pedagogico. Interessati
ed a volte anche poco informati
sul nuovo quadro normativo
hanno gradito la presentazione
ed il confronto soprattutto per la
possibilità che il coordinamento
pedagogico potesse diventare un
alleato operativo a supporto della
scuola dell’infanzia statale.
I commenti di alcuni dirigenti
app che si è costruito dopo quat-
tro anni e sta aiutando molto la
comunicazione, creando imme-
diatezza e vicinanza. Sono pic-
cole cose, però quando dai una
risposta immediata a un inse-
gnante che dice “io non ho capito
bene questa cosa. La formazione
dell’ufficio scolastico regionale,
è la stessa che facciamo noi? Si
sovrappone oppure è integrata?”
Quando si riesce a dare una ri-
sposta immediata ad un referen-
te di una scuola dell’infanzia che
poi farà da portavoce con tutto il
team di docenti, l’informazione
passa.
Fintanto che si inviavano solo le
lettere istituzionali dal protocollo
dell’ambito che ci mettevano due
giorni a partire, o tornavano in-
dietro perché l’indirizzo di posta
era errato o la casella del destina-
tario era piena, oppure si ferma-
vano nelle segreterie delle scuole
che magari tardavano a rigirarle
ai vari plessi, le informazioni fa-
cevano fatica a passare.
Ora abbiamo accorciato e otti-
mizzato i fili del contatto con i
referenti di tutti i servizi 0-3 e
delle scuole dell’infanzia, il dia-
logo è più intenso e molto più
efficace.
di quelli che sono i fatti reali: “Mi
fido e quindi ti lascio spazio, ti do
tempo, ti ascolto”.
Dove ci porta questo circo? Ma-
gari non era neanche chiaro, non
so Emanuela, magari all’inizio
poteva anche diventare una gran
confusione: i pagliacci, gli ani-
mali, il mago, la musica; crolla
il circo! E invece è stato un bel
mix e forse proprio perché quei
bambini hanno sentito che c’era
“ah meno male adesso ve ne oc-
cupate voi di questa cosa!” “va
bene, allora cosa possiamo fare?”,
“speriamo che non duri solo
qualche anno!”.
L’impressione è che in generale il
segmento dei bambini 3-6 anni,
soprattutto negli istituti com-
prensivi grandi, rimane il primo
gradino della formazione un po’
dimenticato; ancora di più lo 0-3
che fino ad oggi era considerato
al di fuori del sistema di educa-
zione e istruzione del MIUR.
Nell’emergenza della pandemia
alcune insegnanti ci hanno det-
to: “Guarda, per il lockdown ci
avete chiamato prima voi che il
mio dirigente”. Questo è esem-
plificativo: far arrivare una chia-
mata da parte del coordinamen-
to pedagogico che si interessa
del come stanno le insegnanti e
le educatrici e di cosa sta succe-
dendo nella loro realtà scolastica,
a volte prima ancora del contatto
Continuità educativa e
consulenza pedagogica
Il tavolo di coordinamento pe-
dagogico degli ambiti 16-17-18
dell’alta provincia di Macerata ha
la rappresentanza di tutte le tipo-
logie di servizi educativi, laddove
vi sono: nidi d’infanzia pubbli-
ci e privati, centri infanzia e di
aggregazione, nidi domiciliari,
scuole dell’infanzia e sezioni pri-
mavera (nel nostro territorio ne
abbiamo solo due all’interno del
nido). Il coordinamento pedago-
gico non è rappresentato da una
sola figura che si occupa di tutto.
Io sono la referente dal punto di
vista organizzativo che tengo i fili
organizzativi, lo sviluppo delle
diverse azioni, la parte ammi-
nistrativa e coordino il gruppo
delle sei persone nominate dai
servizi e dalle scuole, rappresen-
tative delle diverse realtà zero-sei
tre-sei, compresi due agri-nido e
agri-infanzia e che danno gli in-
dirizzi pedagogici e operativi del
coordinamento.
Rispetto alla continuità tra nidi
d’infanzia e scuole dell’infanzia:
ci sono percorsi ed esperienze
molto differenziate a seconda
delle realtà territoriali e culturali.
una buona guida, c’era un buon
riferimento, per cui loro si sono
potuti sperimentare, ecco, han-
no sentito: “Qualcuno ha fiducia
in me.”
Dare fiducia è anche dare re-
sponsabilità, perché io ti do fidu-
cia ma poi tu devi fare qualcosa
di questa fiducia. I bambini in
qualche modo l’hanno sentito e
ha funzionato grazie alla relazio-
ne reciproca.
del proprio istituto comprensivo,
mi ha colpito tanto.
Riconoscere i Servizi,
elevare la qualità.
Chi siamo ?
Quindi, il coordinamento pedago-
gico è stato percepito fin dall’inizio
come una possibilità di ascolto, di
attenzione e di riconoscimento
del 3-6; per lo 0-3, ancora di più,
poiché i nidi d’infanzia, i centri
infanzia o i centri di aggregazio-
ne hanno un passaggio formale
con gli ambiti territoriali sociali
nell’approvazione ma poi spesso
rimangono un semplice elenco
nell’offerta dei servizi territoriali
per l’infanzia e poche relazioni di
continuità verticale hanno con le
scuole dell’infanzia.
Quando il coordinatore d’ambito
ha rilanciato e sostenuto la gran-
de opportunità che il coordina-
mento pedagogico poteva avere
Nascita di un Coordinamento pedagogico territoriale
QUALE RETE DI RELAZIONI?
FEDERICA DI LUCA
20 21
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
zero-sei più ampia, coinvolta con
gli interventi per le famiglie, ab-
biano la percezione concreta che
c’è una rete di supporto con pos-
sibilità diverse, non accentrata
ma diffusa e organizzata in nodi
funzionali e di scambio, a vari li-
velli: il gruppo di coordinamen-
to, la referente, il team di consu-
lenza pedagogica, i singoli servizi
e scuole. Negli ultimi due anni
gli interventi del coordinamen-
to sono stati resi possibili grazie
all’implementazione delle risorse
per il sistema integrato 0-6 da
parte delle Unioni dei Comuni,
in varie forme; una strategia di
sistema promossa, motivata e
sostenuta in maniera eccellente
dal coordinatore d’ambito. Non
è scontato che il coordinamento
pedagogico presenti le proprie
azioni nei comitati dei sindaci o
partecipi al processo dialogico
di definizione del piano sociale
dei tre ambiti, per diversi temi:
infanzia e povertà, dipendenze.
Il coordinamento pedagogico
rappresenta il mondo zero-sei
non solo della scuola ma anche
nell’area delle fragilità, delle di-
pendenze, della famiglia.
La partecipazione ai vari tavoli
consente di narrare e diffondere
la strategia del coordinamento
nel piano d’ambito sociale inte-
grandola nella definizione delle
politiche territoriali locali; al-
trimenti rimane una questione
solo tra insegnanti, educatori e
qualche dirigente maggiormente
motivato e tra il tavolo territo-
riale e i coordinatori d’ambito. Se
non esce da questa dimensione
limitata, se non entra nel ricono-
scimento più ampio delle politi-
che territoriali sociali, perde di
rilevanza e efficacia. Un sindaco
sceglie di compartecipare all’in-
vestimento per il coordinamento
pedagogico se riconosce che nel
proprio territorio c’è un ritorno
e se ha cognizione delle azioni e
In generale il tema della continu-
ità dovrà essere esplorato dal no-
stro coordinamento pedagogico
sia nel passaggio nido-infanzia,
sia nel passaggio infanzia-pri-
maria. Lo sviluppo dell’azione
di consulenza pedagogica che
abbiamo da poco avviato per il
primo anno, potrebbe offrire l’oc-
casione per far emergere il tema e
approfondirlo, nonché per docu-
mentarlo e scambiarlo.
Infatti, nella recente azione di
consulenza pedagogica siamo
partiti raccogliendo le manife-
stazioni di interesse di servizi e
scuole negli anni passati su un
ventaglio di tematiche che ri-
mandavano agli items del moni-
toraggio iniziale che ha coinvolto
tutto il sistema 0-6 e sono stati
oggetto della formazione (am-
bientamento, relazioni educati-
ve, tempi e ritmi della giornata
educativa, cura e routines, spazi,
gioco, attività di apprendimen-
to, partecipazione delle famiglie,
cooperazione tra operatori, pro-
getto pedagogico annuale, con-
tinuità). Sono state poste alcune
domande che potevano aiutare
la comprensione dell’intervento
di consulenza pedagogica, nuo-
vo nel panorama dell’offerta pe-
dagogica: “Facendo riferimento
agli item ci sono degli oggetti di
ricerca che interessano la vostra
realtà educativa? Ci sono delle
questioni aperte che volete ap-
profondire?
Degli elementi di criticità che
volete portare all’attenzione della
consulenza pedagogica e per cui
chiedete un supporto esterno? Il
coordinamento pedagogico de-
gli ATS 16-17-18 ha attivato un
gruppo di consulenza ristretto
costituito da tre figure con pro-
fessionalità complementari che
da gennaio stanno lavorando
in team. Le osservazioni nelle
scuole e nei nidi sono state svolte
sempre da almeno due compo-
del senso degli in-
terventi. Il ponte tra
politica ed educa-
zione va costruito e
sostenuto con cura.
Poi penso che ci sia
molto da imparare
da altre esperienze
già avviate. E’ così
che abbiamo inizia-
to: invitando Mar-
zia Fratini di Mace-
rata e Rita Tancredi
di San Benedetto, in
rappresentanza dei
rispettivi coordina-
menti pedagogici,
a raccontare il loro
percorso.
Specifico il tema
della consulenza in
maniera diversa:
ha individuato con
selezione pubblica quattro inca-
richi per l’attività di supervisione
dei gruppi educativi nell’ambito
del coordinamento pedagogico
0/6 con una copertura territoria-
le di tutti i servizi e scuole. Noi
abbiamo optato con la raccolta
di manifestazioni di interesse e
con il coinvolgimento iniziale di
un gruppo pilota e sperimentale
del percorso di consulenza peda-
gogica. Abbiamo privilegiato l’e-
mersione della domanda di aiuto
anziché l’offerta di consulenza a
tutti i servizi viste le fatiche so-
ciali del momento che hanno
rilevato una diffusa reticenza ad
aprire le porte dei servizi e delle
scuole. E queste fatiche sono una
realtà!
Dal seme di Federica
Di Luca: riflessione
e confronti
Francesca Ciabotti
Veramente la costruzione del
coordinamento territoriale è un
lavoro ciclopico, nel senso della
definizione di ciclopico :“gigan-
nenti del gruppo, le supervisioni
utili alle restituzioni sono state
condivise da tutto il team così da
avere uno sguardo plurimo e un
contributo il più ampio possibile.
All’interno della consulenza pe-
dagogica un tema come la “sezio-
ne primavera”, potrebbe diventa-
re domanda di ricerca e trovare
spazio specifico: “Noi vorremmo
aprire una sezione Primavera,
oppure ce l’abbiamo già, cosa
possiamo fare? Ha senso? Non
ha senso? In questo momento
storico, rispetto il territorio e chi
siamo noi”.
●
Comeperaltritemilesezionipri-
mavera ed i passaggi nido-scuola
infanzia e nido-primaria devono
uscire dalla riflessione ordinaria
per essere veramente approfon-
diti; bisogna accendere un faro
di attenzione e di intenzionalità
pedagogica condivisa su questi
temi e ciò non è così facile. Ab-
biamo, infatti, osservato che la
stessa espressione dei bisogni da
parte dei servizi e delle scuole è
complessa sia per l’ampiezza dei
temi che pongono (spesso oltre la
competenza pedagogica), sia per
le modalità nelle quali diventano
espliciti. La definizione del biso-
gno non è chiara e necessita di un
processo di emersione e coscien-
tizzazione.
Uno dei percorsi che stiamo af-
frontando con un gruppo di sei
scuole dell’infanzia, afferenti ad
un unico istituto comprensivo,
è proprio questo. La domanda di
consulenza iniziale non era chia-
rissima e condivisa; è, quindi,
evoluta in corso d’opera, anche
nel confronto con la dirigente
scolastica ed è cambiata ridefi-
nendosi. Il confronto offerto dal-
la consulenza ha aiutato la defini-
zione più puntuale del bisogno e
dell’interesse.
Altro esempio: l’azione della
tesco”, “enorme”, “imponente”,
“molto grande”. Ci troviamo a
lavorare per costruire una rete
sociale, formale, tra istituzioni,
all’interno di un immenso si-
stema che è fatto di tanti piccoli
microsistemi. Questo implica
una enorme capacità di lavorare
all’interno di una definizione di
relazioni molto complessa. Cosa
è venuto alla luce dal seme di Fe-
derica? Intanto le due parole che
porteremo avanti in questo con-
vegno nazionale: la complessità e
l’incertezza. L’incertezza è quel-
la iniziale, nella sfida di questo
lavoro. A parte alcuni paragra-
fi, frasi, tracce nel D.L. 65, si è
iniziato a lavorare per la costru-
zione dei coordinamenti peda-
gogici territoriali in assenza di
modelli e questo significa avere
la capacità di “tenere” l’incertez-
za e andare avanti; Federica l’ha
chiamata anche “sperimentazio-
ne”: incertezza come capacità di
sperimentazione.
L’altra cosa che mi sembrava
importante sottolineare è che
nei vostri Ambiti avete avuto
formazione è un intervento che
raccoglie generalmente un’am-
pia partecipazione ogni anno; si
propone di rispondere agli inte-
ressi prevalenti emergenti anche
dall’indagine valutativa finale dei
percorsi di formazione ma in essa
non sempre trovano spazio le ri-
sposte a domande più puntuali e
specifiche di un team educativo,
come potrebbe essere quella da te
posta sulle sezioni primavera.
Può aiutare occuparsi del tema a
livelli diversi: a livelli micro che
poi tornano al grande gruppo,
al grande sistema e nel caso del
tema della sezione primavera i
diversi passaggi diventerebbero
patrimonio di tutti, il focus si
amplierebbe e da questo si po-
trebbero presentare diverse pos-
sibili risposte.
Il tema verrebbe discusso nel
proprio team, nel gruppo ri-
stretto di consulenza ma potreb-
be essere osservato, riflettuto e
documentato al livello pluridi-
mensionale in tutto il sistema
integrato zero-sei ed essere utile
a molti. Insegnanti ed educatori
partecipano ogni anno ad una o
al massimo due azioni promos-
se dal coordinamento, in forma
diretta ed indiretta; partecipano
a ciò che corrisponde ai loro in-
teressi e necessità, in relazione al
tempo, alle motivazioni e all’in-
vestimento che vogliono fare ma
se il coordinamento è una rete
di funzioni diverse, al quale si
può attingere anche per bisogni
diversi, se è una rete di possibi-
lità che sostiene la professionali-
tà educativa, con informazioni,
scambi, spazi di ascolto e acco-
glienza, oltre a quello già offerto
e disponibile nelle singole realtà
scolastiche, allora si motiva l’in-
teresse, il sentirsi parte ed il coin-
volgimento.
Stiamo tentando di lavorare af-
finché ogni insegnante ed edu-
catore ma anche la popolazione
22 23
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
ed eventi che si susseguivano e
abbiamo recuperato piccoli te-
sori come fa una rete: pesca, rac-
coglie, recupera. C’era la netta
sensazione dello spaesamento,
dell’incertezza, della perdita, del-
la paura e dell’angoscia; il coordi-
namento pedagogico c’era anche
fuori delle consuete prassi isti-
tuzionali, c’era nella cura delle
relazioni, nella presenza, “come
stai tu in questo momento?” Nel-
la sintesi credo si giochi proprio,
in questi specifici passaggi, il nu-
cleo più vero del sistema istitu-
zionale zero-sei, soprattutto nelle
emergenze. Come stai tu come
insegnante e persona? di cosa hai
bisogno e cosa ti manca? Cosa
posso fare per aiutare? Come hai
sentito i genitori? Come stanno i
bambini? Il sistema istituzionale
dello 0-6 è sceso dove il bisogno
c’era. Questo può accadere e ripe-
tersi più volte se si riesce ad avere
una visione sociale del sistema.
Certo, ogni volta ci sono delle
inconsuete incursioni da fare,
molto vicine a quella scuola, a
quel team; sono richiesti percorsi
avventurosi di vicinanza, la sola
che tuttavia consente di percepir-
si in profondità, di sentirsi, allora
la relazione è davvero quello spa-
zio “tra”.
C’è molto da lavorare. Il mio
obiettivo futuro è quello di pas-
sare veramente all’incontro nei
luoghi. Lo avevo immaginato fin
dall’inizio ma, forse, era davvero
prematuro. Bisogna capire quan-
do proporre le cose in relazione
a cosa si sta facendo, a chi hai
di fronte, se il territorio è pron-
to. Vedo, tuttavia, che sta quasi
emergendo da sola questa ne-
cessità perché poi entrando nei
servizi e nelle scuole ci si sente
dire “Sai che mi incuriosisce dav-
vero tanto andare a visitare un’al-
tra realtà! Ma quale?” quella a 5
km, a 10 km” “Certo è bellissima
anche l’esperienza fuori Regione
una grande capacità di autoor-
ganizzazione e siete stati capaci
di trovare al vostro interno una
modalità di percorso. L’altro ele-
mento strategico è che siete stati
in grado di costruire una rap-
presentanza. Credo che anche
questo sia un elemento molto
importante: quando Federica
parlava del lavoro iniziale della
mappatura dei servizi mi sembra
che sia stato fondamentale l’aver
portato a una conoscenza, a en-
trare “dentro”, ma anche a tirare
“fuori” da ogni servizio un rap-
presentante.
All’interno di questo enorme si-
stema complesso che bisogna in
qualche modo autogovernare è
necessario mantenere la capaci-
tà di vicinanza, bisogna essere
veramente idonei e competenti
a rappresentare e a condivide-
re, senza perdersi nelle figure
apicali. Dobbiamo costruire una
rete di relazioni per evitare il ri-
schio di perdersi nel territorio e
soprattutto perdersi le domande
dei territori. Questa esperienza
dimostra che bisogna aver chia-
ri gli obiettivi e la funzione del
coordinamento pedagogico e
conferma la difficoltà del lavoro
del coordinatore che, sia quando
lavora nel piccolo, sia nel grande
ha di fronte un paesaggio così
vasto di cui tenere i fili che ri-
schia di perdersi, ecco questa è la
parola il rischio di perdersi, per-
dere i collegamenti, i fili, i con-
tatti, l’ordito, la trama con tutto
il resto.
●
Federica Di Luca
Farsi carico.
“scendere a fianco di ogni sin-
golo servizio”
Io il rischio di perdersi l’ho vi-
sto in alcuni momenti quando
lo sguardo diventa troppo ma-
cro, cioè guarda troppo dall’alto;
allora si perde inevitabilmente
ma dobbiamo re-
cuperare i legami
corti: in una visi-
ta dialogata, nella
possibilità di essere
osservatori in un
altro servizio, nella
dimensione di in-
tervisione, dentro il
territorio. Ci arrive-
remo pian piano.
●
Gina Iacomucci
Io volevo chiederti
questo, sono pen-
sieri che mi si in-
trecciamo anche
per le suggestioni
degli ultimi giorni
di Paolo Nori per
la censura del cor-
so su Dostoevskij,
(…” che senso ha oggi leggere Do-
stoevskij nel 2021, perché una
persona di 20, di 30 di 40, di 70
anni dovrebbe mettersi a leggere
o rileggere Dostoevskij, ecco do-
manda che non mi mette mini-
mamente in imbarazzo la mia ri-
sposta è “ non lo so”. Uno scrittore
russo Rasosf descrive Dostoevskij
come un arciere nel deserto con
una faretra piena di frecce e si
colpiscono esce sangue. E poi uno
potrebbe chiedermi: “E a te piace
sanguinare?” “In un certo senso
si!”: nel senso che viviamo in un
tempo in cui valgono solo le vitto-
rie i vincenti, un tempo in cui il
participio presente non indica una
condizione temporanea, è un’offe-
sa, un tempo dove se ti chiedo-
no “Come stai? e te lo chiedono
continuamente devi rispondere
“benissimo!” con il punto escla-
mativo. Viviamo in un tempo in
cui devi nascondere le tue ferite,
i tuoi dispiaceri, come se tu non
fossi fatto di quelle di quelli. Mi è
venuto in ” mente Angelo Maria
Ribellino che quand’era in sana-
torio, in repubblica Ceca e si cura-
il particolare, che non va perso
perché nel particolare c’è la carat-
terizzazione specifica del singolo
servizio con quella maestra, con
quella insegnante, quel gruppo di
bambini e genitori. Anche stare
troppo tempo e troppo intensa-
mente nel piccolo può far perde-
re il senso dell’ampiezza, del re-
spiro di sistema e delle relazioni
vitali.
Riflettiamo sul tempo della pan-
demia: alcuni coordinamenti pe-
dagogici erano in caso di strut-
turazione nella nostra Regione e
non sono intervenuti a supporto
del sistema 0/6 nel proprio ter-
ritorio, altri, come noi, avevano
fatto alcuni passi, ma sull’azione
dei coordinamenti pedagogici in
tempi di emergenza non aveva-
mo dei modelli da seguire. An-
che con l’esperienza del terremo-
to nei nostri territori avremmo
potuto fare tanto e nulla perché
risentiamo di una grande stan-
chezza data dalla somma delle
emergenze e dal mancato recu-
pero delle forze. Prima della pan-
demia avevamo già svolto un pri-
mo corso di formazione dedicato
alla documentazione dei processi
educativi nello 0/6 ma come pro-
cedere per sostenere il sistema in
tempi di pandemia, fin da subi-
to? Un coordinamento pedago-
gico non propone solo corsi di
formazione ma si fa carico delle
relazioni fra i soggetti della rete,
soprattutto delle relazioni più
sottili.
●
La pandemia ha messo forte-
mente in crisi i sistemi scuola,
famiglia, sanità, lavoro; in alcuni
casi li ha fatti proprio saltare: la
scuola ha chiuso, per esempio,
insegnanti, bambini e personale
scolastico tutti a casa. E’ come se
la forma dei macrosistemi istitu-
zionali così tanto consolidata ne-
gli anni non funzionasse più e ri-
va, chiamava se stesso e gli altri
ricoverati i “nonostante” l’avverbio
si fa sostantivo a indicare noi tutti
contrassegnati da un numero sbi-
lenchi, gualciti, piegati da raffiche,
opponevamo, la nostra caparbietà
all’insolenza del male…
…. Essere dei “nonostante” perché
come dice un cantante canadese è
attraverso le crepe che si vede la
luce, questa condizione riguarda
tutti noi in ogni tutti noi in ogni
condizione della nostra vita quan-
do provi un sentimento… che non
ha un nome preciso e se ce ‘l’ha io
non lo so”)
Cosi incoraggiata da questo
pensiero delle crepe e delle pie-
ghe, per valore che hanno nel-
la nostra esperienza, domando
quanto nelle diverse esperienze
che abbiamo di coordinamento,
nella costruzione di percorsi tra
servizi educativi, quanto abbia-
mo appreso dalle storte, dalle
crisi, dalle differenze, andando,
attraversando, sostando tra, con
le scuole dell’infanzia statali, i
nidi d’infanzia, scuole private,
servizi a gestione indiretta? Di
chiedeva una ristrutturazione. La
pandemia ha richiesto flessibilità
e resilienza inconsueta ai sistemi
burocratici. Quindi, in teoria, si
sarebbe potuta incrinare anche
l’operatività del coordinamento
pedagogico, quale sistema istitu-
zionale. Più che legittimo! Inve-
ce, come referente mi sono detta,
che facciamo adesso? Mi metto
direttamente in campo io! Ed in
effetti ho mantenuto vivo l’impul-
so sottile e delicato dei fili relazio-
nali chiamando personalmente
tutti i servizi e tutte le scuole, a
casa, sul cellulare della maestra
e dell’educatrice per chiedere cosa
stesse succedendo. “Come stai? Il
servizio o la scuola è chiusa? Hai
contattato i bambini? le famiglie?
Come stai tenendo la comunica-
zione?” Ne è emerso un mondo
estremamente interessante. Im-
mergersi nella fitta rete di rela-
zioni del sistema 0/6 ha messo in
luce le fragilità conseguenti alle
emergenze (terremoto prima e
poi pandemia) e che i traumi a li-
vello collettivo hanno un impatto
diretto sulle esperienze indivi-
duali così come il trauma vissuto
a livello individuale è influenzato
dal trauma vissuto a livello co-
munitario. C’è stata la necessità
di scendere proprio a fianco di
quel singolo servizio e di quella
singola scuola, seppure a distanza
ed anche se non la si conosceva
così bene.
Quella telefonata ha avuto un va-
lore maggiore di tante altre azio-
ni “ Grazie di questa telefonata,
non me l’aspettavo”, hanno rispo-
sto molte insegnanti ed educatri-
ci. La scuola come istituzione era
fragile non sapeva ancora cosa
doveva fare, come intervenire
nel mezzo dell’emergenza pande-
mica. Lì ho avuto la percezione
che avessimo recuperato scuo-
la, insegnanti, bambini e fami-
glie, allontanati e spaventati dal
flusso inaudito di informazioni
24 25
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
cosa è fatta la complessità di un
sistema? Dove sono o sono state
le crepe? Cosa abbiamo fatto con
le crepe, con le fratture?
Cosa hanno permesso tutti i
“nonostante”, quelli che” ci sono
stati” come hanno favorito per
trovare un contatto, un punto
d’incontro rispetto gli inciampi,
le difficoltà, una buona resisten-
za rispetto un comune obiettivo.
Lo chiedo per un bisogno di non
cadere dentro le crepe e scorag-
giarci, per non scoraggiarmi, no-
nostante i blocchi, le retromarce
e le non partenze.
Per pensare che questi “nono-
stante”, sono le differenze, quelle
che fanno la differenza, che fan-
no le ragioni, la tenuta, quelle che
ci possono aiutare, perché questi
ci devono incoraggiare.
●
Federica di Luca
Il gruppo è una grande forza
Personalmente lo sguardo ce
l’ho sempre in una prospettiva
positiva, nonostante i numerosi
elementi di criticità che soprag-
giungono e le ferite che si aprono.
L’esperienza diretta del terremo-
to ha reso necessario far emer-
gere questa visione ed ha, forse,
maturato alcune competenze in
tal senso. Scelgo la dimensione
pratica e intellettuale dell’attra-
versamento della ferita e non
dell’elusione, trovo nella ferita ciò
che può risorgere ed emergere
dall’ombra e non solo quello che
può impantanare e lasciar mori-
re. Se penso alla storia di questo
coordinamento ci sono stati mo-
menti nei quali sarebbe potuto
crollare tutto con grande facilità
ma così non è stato. Bastava solo
che avessi un po’ abbassato il filo
della regia fiduciosa nelle possi-
bilità e sicuramente sarebbe an-
data diversamente!
Ci sono stati momenti di gran-
de scoraggiamento del gruppo
di coordinamento. Tuttavia ho
sempre creduto che il gruppo è
una grande forza: laddove in quel
momento con il mio servizio, la
mia realtà, il mio specifico, la mia
storia sono in affanno, ci può es-
sere un’altra persona del coordi-
namento che può aiutare a ricu-
cire quel filo lacerato e riparare i
legami perché in quel momento
ha le risorse per farlo mentre io
no. Più persone in un gruppo di
coordinamento pedagogico sono
un fattore di resilienza. Porto un
esempio: un momento di difficol-
tà per il nostro coordinamento è
stata la fase di rielaborazione dei
dati del monitoraggio del sistema
integrato 0-6, lavoro durato due
anni.
Quando, dopo la somministra-
zione dei questionari, con il sup-
porto di una sociologa abbiamo
costatato l’inefficacia dei dati rac-
colti per una restituzione statisti-
ca quantitativa, è sopraggiunta
stanchezza e sfiducia: “Buttiamo
via tutto? E cosa restituiamo?”
Sentivamo forte l’esigenza di ren-
dere visibile e riconoscere il lavo-
ro che era stato fatto dalle singole
insegnanti e dai team che tanto
si erano impegnati, che aveva-
no risposto quasi nella totalità,
che avevano osato, rischiando di
esporsi nell’autovalutazione, che
avevano messo in campo dispo-
nibilità di tempo e di persone. I
questionari sono stati portati nei
team e nei collegi docenti; c’è
stato un lavoro ed una partecipa-
zione non scontata.
●
Qualcuno avrebbe potuto dire
“Non mi interessa. Ho altre cose
da fare”. Hanno invece partecipa-
to e non solo per senso del dove-
re. A questo punto del processo
bisognava trovare una diversa
forma di restituzione poiché i
dati raccolti non erano una foto-
grafia reale dello status dei servi-
zi quanto piuttosto lo specchio
dei desiderata. Decidiamo di re-
stituire il processo, puntualizzan-
do dove siamo arrivati, e soprat-
tutto costruiamo una proiezione
di ricerca futura. Il report, per
esempio, ha incluso in un’appen-
dice finale, una carrellata di im-
magini fotografiche degli spazi
dei servizi e delle scuole. Ha un
valore di riconoscimento trova-
re il proprio servizio e scuola in
una pubblicazione del sistema
integrato 0-6 e muove la doman-
da nel confronto. “Guarda un po’
lo spazio esterno del mio nido
com’è? E’ pieno di giochi, l’altro è
libero e organizzato diversamen-
te; il mio è pieno di panchine che
consentono delle comode sedute
ma lascia poco spazio alla corsa
ed al libero movimento; quell’al-
tro non esiste perché non c’è pro-
prio lo spazio esterno”.
Questo è interrogante. Chiedere
di fotografare gli spazi interni
e esterni e farlo con una certa
attenzione è un primo atto con-
creto sulla via della ricerca: quale
idea di educazione e di appren-
dimento emerge dalle scelte di
organizzazione degli spazi e dei
materiali, chi siamo, cosa voglia-
mo mostrare del nostro servizio,
come ci narriamo. Questo è ciò
che intendo quando ho detto di
attraversare la ferita cercando le
possibilità ulteriori, anche quelle
inaspettate.
Abbiamo offerto una restituzione
diversa del monitoraggio rispet-
to a quella immaginata ma alla
fine più interessante perché non
compiuta, anzi aperta e ampia di
possibilità di ricerca, sostenuta
da un’idea articolata e comples-
sa di sistema zero-sei. Abbiamo
messo un primo punto su chi
siamo come sistema 0-6 “Su que-
sto ci riconosciamo. Da qui ri-
partiamo”. Forse, ogni tanto, può
aiutare fare questo: condividere il
punto in cui stiamo.
IL TEMPO PRESO
Storia del gruppo di studio Pikler
VERONICA PAOLI, VALERIA AMBROGIANI, GINA IACOMUCCI,
LUCIA BENVENUTI, MARIA GIOVANNA IANUARIO, VALENTINA TONUCCI
I
l gruppo di studio si è riuni-
to per la prima volta nel feb-
braio 2016, ma il desiderio
di incontrarsi seguiva espe-
rienze avute in precedenza.
Che cosa ha portato alcune
educatrici, che non era la prima
volta che partecipavano insie-
me a percorsi di formazione, a
ritrovarsi per fermarsi a riflet-
tere e studiare?
Riconosciamo che c’è un lega-
me che unisce alcune di noi per
le parole ascoltate durante la
formazione, abbiamo voglia di
ritrovarci per non perderle, per
non perderci, abbiamo desiderio
di frequentarci con costanza per
le cose che abbiamo in comune,
gli scopi, le aspirazioni, la cono-
scenza, per capire, leggere, stu-
diare.
Sicuramente, come ogni inizio,
anche il gruppo studio nasce da
un’onda emotiva: il desiderio, il
piacere di ritrovarsi ma anche
dalla scelta di persone attive e au-
tonome consapevoli dell’impe-
gno che un gruppo richiede.
Una scelta, appunto, attiva e au-
tonoma, sulla quale non posso-
no non avere influito, aver avuto
riflesso, su noi educatrici, i pen-
sieri che avevamo incontrato nei
percorsi di formazione rispetto
alla idea di bambino: fin dalla
nascita soggetto d’azione e non
di reazione, sensibile, aperto al
mondo, pieno di iniziativa, auto-
nomo, solidale, comunicativo, si-
curo di sé, capace di pensare con
una propria logica.
Eravamo consapevoli che i bam-
bini molto piccoli come quelli
che incontriamo nei nidi sono
in un periodo della vita molto
importante e decisivo perciò ri-
tenevamo necessario riformula-
re le nostre pratiche e le nostre
riflessioni. Il gruppo che abbia-
mo chiamato “Gruppo di studio
Pikler” si ispira all’esperienza di
Emmi Pikler a Lòczy, significati-
ve queste poche righe:
“Il “dono” più grande che il bam-
bino può ricevere dall’adulto che
si prende cura di lui fin dalla pri-
missima età sono uno spazio e un
tempo sufficienti per sperimentare
le proprie possibilità autonome di
apprendimento, in una completa
autonomia, in completa armonia
con il proprio livello di maturità,
con gli interessi e le iniziative di
ogni momento.
La capacità di arrivare dalla po-
sizione neonatale a quella eretta
per spinta propria, senza alcun
bisogno di esercizi, anticipazioni,
sollecitazioni dall’esterno, e per
giunta con un ottimo risultato
nella qualità del movimento, ha
cambiato radicalmente il modo di
vedere e di pensare il bambino e il
rapporto che l’adulto stabilisce con
lui. L’aiuto dell’adulto alla crescita
del bambino si trasforma quindi
da una forma di manipolazione,
di fornitura o riempimento, giu-
stificata da una considerazione di
incapacità, a una forma di tute-
la e di supporto ad un delicato e
basilare processo di maturazione
che il bambino continua a fare
dopo la fase di gestazione e la na-
scita.
Questa tutela e supporto si tra-
ducono in conoscenza, e quindi
attenzione, per ciò che il bambino
sta vivendo e facendo, riconosci-
mento e rispetto per la sperimen-
tazione che sta compiendo, ga-
ranzia delle condizioni adeguate,
condivisione di tutto il piacere per
le macro e micro conquiste pro-
Conforto reciproco e confronto acceso.
26 27
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
pendente dall’autorità e sottomes-
so al riconoscimento permanente
dell’altro, timoroso della punizio-
ne e desideroso del premio, un es-
sere competitivo per essere sempre
il primo? Un essere che pensa che
l’identificazione con l’altro è con-
fondersi con l’altro? Allora, con-
sapevoli della nostra scelta: Qual
è il ruolo dell’adulto, della società
e dei professionisti per il rispetto
della persona dalla più precoce
infanzia e il suo diritto a essere
riconosciuto come chi è?” (Il con-
cetto di autonomia nello sviluppo
infantile precoce: coerenza tra teo-
ria e pratica. Myrtha Chokler)
E questi sono i valori che abbia-
mo ri-conosciuto attraverso le
parole dalla nostra formatrice
dottoressa Myrtha Chokler: Ri-
spetto, sicurezza, autonomia.
RISPETTO
per il bambino e la sua famiglia,
per il diritto del bambino ad essere
protagonista del suo sviluppo,
per la maturazione neuropsicolo-
gica del bambino.
SICUREZZA
Affettiva,
posturale, corporea,
umana, ambientale e materiale.
AUTONOMIA
come possibilità di scegliere,
di prendere iniziative,
come fiducia nelle proprie capa-
cità.
(liberamente tratto da “Gli orga-
nizzatori dello sviluppo “ Myrtha
Chokler)
Ritornando all’inizio di questo
racconto, che ci ha portato in
questi giorni, ad andare e tor-
nare, con la memoria, alla storia
del gruppo Pikler, nel ripercorre
il sentiero che abbiamo tracciato
come gruppo, abbiamo ritrovato
nei passaggi, tutte, un comune
incontro: quello con un pensiero
ed un luogo, il pensiero di Emmi
Pikler e Loczy, in particolare,
attraverso la voce, le parole, le
gressive.” (così si legge in “Datemi
tempo” di Emmi Pikler)
Come potevamo noi adulti non
sentirci chiamati ad agire nella
responsabilità dell’educazione?
L’approccio pikleriano contrad-
distingue il gruppo ma ognuna
di noi aveva inizialmente una sua
motivazione particolare per deci-
dere di farne parte:
- un’occasione per avere uno spa-
zio per pensare, studiare, appro-
fondire la parte teorica per ripor-
tarla alla pratica quotidiana;
- condividere l’idea di bambino;
- essere consapevoli di quello che
facciamo;
- bisogno di crescere e conoscer-
si, riconoscendoci un valore reci-
proco;
- un luogo per parlare del nostro
vissuto e delle nostre emozioni di
educatrici, per non sentirci sole e
per prenderci cura di noi stesse.
Il desiderio e il piacere di riunirsi
nasce quindi da una spinta indi-
viduale di educatrici, insegnanti,
provenienti da luoghi differenti
(Pesaro, Fano, Cartoceto, Peglio,
Sant’Angelo in Vado…) e di di-
verse appartenenze (pubblico,
privato, convenzionato) che ini-
ziano ad incontrarsi periodi-
camente (ogni 40 giorni circa),
fuori dell’orario di lavoro e fuori
dalle istituzioni per condividere,
studiare e approfondire quei va-
lori indispensabili all’educazione
e alla crescita dei bambini.
Cosa facciamo nel gruppo stu-
dio?
Cerchiamo di capire e sentiamo
il bisogno di sostare, so-stare, di
stare dentro il pensiero e l’azione,
di tornare costantemente, nell’u-
no e nell’altra, leggere, studiare.
Sentiamo che non basta il desi-
derio, c’è un bisogno, quello di
conoscere: per questo troviamo
un tempo, un tempo non istitu-
zionale, ri-cercato, per fermarci,
immagini che
ci ha portato
Myrtha Chok-
ler. Questo in-
contro ha fatto
la differenza,
non solo per
la curiosità e
l’interesse che
ha portato in
tante educa-
trici favoren-
do così un
avvicinamen-
to o un riav-
vicinamento
all’approccio
Pikler, ma an-
che per quello
che Myrtha ci
ha trasmes-
so: il rigore,
l’impegno, la
responsabilità
per l’educazio-
ne. Ci ha trasmesso, non solo un
sapere, ma ci ha accompagnato
nel suo saper essere insegnan-
te-educatrice, non lo ha mai fatto
con seduzione, ma sempre con
fiducia, rispetto e generosità, non
sostituendo la sua esperienza alla
nostra permettendoci pian piano
di comprendere.
Nel difficile momento della pan-
demia, in particolare durante i
lockdown, ha partecipato ai no-
stri incontri on line donandoci
un grande sostegno. Successi-
vamente, ha condiviso con noi
articoli e testi proponendo di ri-
vederne la traduzione in italiano,
favorendo così non solo l’interes-
se ma anche l’approfondimento e
lo scambio.
“Alla fine di questo strano secolo
Ventesimo che ci ha insegnato tut-
ti i modi scientifici per distruggere
l’individuo, sono estremamen-
te rari i luoghi in questo mondo
dove, come a Loczy, si sa, scienti-
ficamente, come aiutarlo a costru-
irsi” (Bernard Martino)
poiché qui sentiamo una diffe-
renza importante per la cura e la
crescita dei bambini. Nei nostri
incontri, c’è sempre un testo! Il
testo ci permette di rimanere sul
pezzo, sul contenuto, è il nostro
vincolo insieme a quello del con-
fronto.
Testi e materiali ci hanno ac-
compagnate in questo percorso,
tra questi:
1. “I compiti dell’adulto a pro-
posito delle attività di gioco del
bambino” di Anna Tardos.”
2. “Come si gioca il bambino
quando gioca. Concetto di gioco:
le radici dell’attività ludica.”
Myrtha Chokler
3. “L’osservazione del movimento
nel bambino” di Agnes Szanto.
4.“Datemi tempo” di Emmi Pikler
5. “Esperienze intense, paure in
agguato nel cammino di essere e
apprendere” di Myrtha Chokler.
Nel tempo le nostre modalità di
studio sono cambiate, il gruppo
si è aggiustato: inizialmente ci
davamo una lettura da fare da “a
casa”, per poi discuterla insieme
nell’incontro successivo, poi ab-
biamo preferito non lasciarci un
compito, ma ritrovarci e leggere
insieme (questa scelta chiara-
mente non escludeva l’altra).
Andiamo avanti lentamente, per-
ché ci soffermiamo sulle parole e
su queste ci confrontiamo sulle
diverse attribuzioni di significato,
ci facciamo domande, ci scam-
biamo le esperienze. La lettura
ci offre l’opportunità di ripensare
alla pratica quotidiana e il grup-
po di confrontarci. Una parola di
un testo fa scaturire un momen-
to vissuto insieme ai bambini e
alle bambine durante il mattino
e il gruppo offre la possibilità di
verificare, riconoscere, esemplifi-
care e legare un’immagine ad una
frase.
Negli anni diverse persone sono
uscite dal gruppo, altre entrate,
alcune sono rimaste. Durante la
Dalla storia del gruppo
studio Pikler confronti
e riflessioni
Gina Iacomucci: “Il gruppo na-
sce da un comune interesse e dal-
le differenze che lo compongono
e lo mantengono: c’è un rigore
attento e gentile di chi tiene la
cadenza degli appuntamenti e ri-
convoca gli incontri; c’è un buon
intreccio tra presenze costanti e
partecipazioni intermittenti; c’è
sempre il “pensiero di prendere
gli appunti, per chi era presente
e per chi non c’era; c’è la meti-
colosità che porta a soffermarci
sulle singole parole, sui dettagli;
a volte c’è l’abbandono della let-
tura del giorno per il bisogno e il
piacere di condividere l’esperien-
za quotidiana; c’è un procedere nel
cambiamento, imparando dagli
incontri come e cosa è meglio
fare insieme: quando abbiamo
visto che leggere a casa non fun-
zionava, perché c’era chi ci riu-
sciva e chi no, abbiamo scelto di
pandemia alcune di loro sono
ritornate; in questo difficilissi-
mo periodo, il gruppo di studio
è stato di riferimento, sentivamo
il bisogno di trovare una “base
sicura”, un luogo dove poterci
ritrovare con persone di riferi-
mento, di forte aiuto reciproco
e di confronto accesso. Le lettu-
re sono state accantonate perché
avevamo bisogno di raccontarci
le nostre emozioni, le nostre pau-
re, le nostre esperienze e cercare
una strada per incontrare i bam-
bini e le famiglie. Così in quelle
giornate, come in tutto questo
tempo, da quando abbiamo ini-
ziato a incontrarci ad oggi, abbia-
mo sentito e trovato le ragioni
per dare al gruppo “spazio e farlo
durare”.
Questa nostra determinazione
ad andare avanti ci fa pensare alla
frase di Calvino:
“L’inferno dei viventi non è qual-
cosa che sarà; se ce n’è uno, è quel-
lo che è già qui, l’inferno che abi-
tiamo tutti i giorni, che formiamo
stando insieme. Due modi ci sono
per non soffrirne. Il primo riesce
facile a molti: accettare l’inferno
e diventarne parte fino al pun-
to di non vederlo più. Il secondo
è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare
e saper riconoscere chi e cosa, in
mezzo all’inferno, non è inferno, e
farlo durare, e dargli spazio.” (“Le
città invisibili ”Italo Calvino)
Quali sono i valori che condi-
vidiamo?“Che uomo, e quindi,
che tipo di bambino vogliamo
aiutare ad essere e a crescere?
Un soggetto autonomo, libero, con
fiducia in sé stesso, nell’ambiente e
nelle sue proprie competenze per
riuscire a pensare ed elaborare
strategie nel suo livello per la ri-
soluzione dei problemi, ostacoli
e conflitti? Un essere aperto, sen-
sibile, comunicativo e solidale? O
invece un essere ubbidiente, di-
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
Tempo di semine
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  • 1. Gruppo nazionale Nidi e Infanzia Territoriale MARCHE TEMPO DI SEMINE FAR CRESCERE UNA CULTURA DELL’INFANZIA SETTEMBRE–OTTOBRE 2 0 2 2 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1, LO/MI - ISSN 2420-7829 - all. 1 al n. 4 2022
  • 2. 3 Editoriale. 5 Progetto Semi 6 SEMI Per far crescere insieme una cultura dell’infanzia 8 In su per tra fra … Le relazioni Finestre, mura, radure, ponti. Quanti e quali passaggi? Lucia Vitali 14 Sottosopra Storie fuori margine alla scoperta di nuovi perimetri di gioco e diverse prospettive di senso Manuela Bernacchia 18 Quale rete di relazioni? Nascita di un Coordinamento pedagogico territoriale Federica De Luca 25 Il tempo preso Storia del gruppo di studio Pikler Veronica Paoli, Valeria Ambrogiani, Gina Iacomucci, Lucia Benvenuti, Maria Giovanna Ianuario, Valentina Tonucci 31 Contriìbuti sull’espereinza del lavoro aperto Raffaella Primavera, Michela Seri, Elena Manciola Comune di Macerata 37 Semi diffusi 38 Fili: cucire relazioni. 06 una sfida educativa da cogliere Sara Giacomini, Alessandra Patacchini 40 Cura sui cura mundi e l’arte di nutrire la vita Patrizia Leoni e Luisa Nunziata 44 Anche i grandi fanno la continuità Elisa Polzoni 50 Pachamama: la relazione con le famiglie: educazione attiva Elena Chiarillo 54 Storia di luoghi e persone Giulia Donninelli 56 Protocollo d’intesa CPT 0/6 d’interambito provinciale Piceno Rita Tancredi 61 I fatti ci cosano: imparare dal quotidiano Monica Saja ed Elisabetta Saja 66 La continuità educativa zerosei: un percorso a più voci sul territorio, un percorso di crescita comune Coordinamento pedagogico Comune di Ancona Lisa Bacchia ed Erica Monina 72 La Comunicazione Aumentativa Alternativa nelle scuole dell’infanzia del comune di Pesaro Clelia Ciccalè, Antonietta Italia 78 L’importante è seminare don Ottaviano Menato C i sono i giorni in cui vai di fretta, da un appuntamento all’altro, da una formazione all’altra, da un’attività all’altra. Ci sono i giorni confusi, in cui ti arrabbi, vuoi fare la guerra, vuoi distruggere, vuoi incendiare. Giorni in cui ami e in cui odi. Ridi. Piangi. Questi giorni in cui vivi e tremi, ti preoccupi e speri. Giorni in cui non smetti mai di fare quello che c’è da fare. C’ è da finire, da proseguire, c’è da cominciare Inizierai in un altro giorno... … No inizi ora. Che confusione questi giorni! Ci sono i giorni felici, dove ti sembra di essere ritornata alla normalità ma poi quelle mascherine tatuate sui volti ci ricordano che non è così. O forse è questa la normalità?! Ci sono i giorni di parole pesanti, quelle parole che accendono e poi dividono. E poi ci sono giorni di attesa, di sospiri. di voglia di cambiare che fanno nascere domande e richieste speciali: “Quanto manca a Natale? Prepariamo il calendario dell’avvento?” Sono proprio quei giorni in cui capisci che in quelle piccole mani e in quei grandi occhi c’è la speranza. Sono quei giorni in cui realizzi che stavi facendo una cosa e che avresti dovuto farne un’altra! Allora ascolti con occhi nuovi... ti lasci prendere per mano e guidare in quella magia e stupore. Ci sono giorni in cui un minuscolo seme di grano saraceno a forma di cuore può innescare ricerche e voglia di collaborare. E allora impariamo a guardare, ad osservare bene e a gioire perché di semi ce ne sono davvero tanti intorno a noi: in frigo, nella dispensa, sui nostri piatti, ma anche per le scale, e poi su, in alto in alto. che per raccoglierli è necessario salire sulle spalle di qualcuno! E così dobbiamo chiedere aiuto, con il sorriso negli occhi e abbassarci e poi allungarci, su su fino ad afferrare quel piccolo seme. Ci sono giorni in cui sguardi perplessi di adulti apparentemente indifferenti si trasformano in parole e voglia di giocare e allora... “Posso portarti i semi di cocomero che ho messo da parte questa estate?” “Domani vi porto la pigna della magnolia. Ha dei semi rossi rossi. Li avete mai visti?” E così da un piccolo seme a forma di cuore, impariamo a contarne più di 50 tipi: neri, gialli, verdi, rossi, marroni, bianchi, a stella, a forma di formica, di verme, di goccia, nascosti in un batuffolo di ovatta... Ci sono i giorni in cui un piccolo gesto ha trovato spazio nel cuore e nella mente di qualcuno ed è riuscito a fare la differenza, a creare spazi di dialogo, di curiosità, di ricerche, di divertimento, di conoscenza con persone nuove e allora capisci che ognuno di noi ha bisogno di creare quel seme di speranza.... … ma ancor di più ha voglia di condividerlo!! 1 ● Ritrovarsi e condividere è ciò di cui avevamo profondo bisogno nell’autunno del 2021. Accen- dere quei monitor e scorgere i volti di chi ci era tanto mancato in quel periodo così particolare dove isolamento e preoccupazio- ne la facevano da padrone. Le storie... avevamo bisogno di storie, di raccontarci per poter alleggerire il cuore dai timori, dalle stanchezze, dalle moltepli- ci contrastanti emozioni che ci facevano sentire così fragili, per poter ritornare a svolgere il no- stro lavoro “come prima”... per i prossimi quarant’anni”! 2 Sentivamo di muoverci tra tan- te incertezze: una professione, quella educativa, frammentata e fragile, un’offerta di servizi 0-3 ancora tanto disomogenea, un sistema 0-6 complesso, in gran parte da costruire ed eravamo in mezzo alla pandemia! Una frase in mezzo a tutto que- sto ci risuonava. “La certezza che 1 Dal Seme di Cecilia Cirilli, educatrice e coordinatrice presso la Cooperativa Sociale K.o.i.n.e. di Jesi, liberamente ispirato al libro “Il Catalogo dei giorni” di L. Tortolini e D. Tieni, Kite edizioni 2 “Per i prossimi 40 anni”- Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia-Zeroseiup EDITORIALE SOMMARIO SETTEMBRE – OTTOBRE 2022 TEMPO DI SEMINE DOSSIER SUPPL. N. 4 /2022 Che seme è? Catolina Zeroseiup Magazine Zeroseiup Magazine Direttore responsabile: Direttore responsabile: Ferruccio Cremaschi Ferruccio Cremaschi Pubblicazione autorizzata dal Pubblicazione autorizzata dal Tribunale di Bergamo n. 1963/2015 Tribunale di Bergamo n. 1963/2015 reg. stampa 14 del 26/05/2015 reg. stampa 14 del 26/05/2015 IVA assolta dall’editore a norma IVA assolta dall’editore a norma dell’art. 74/DPR 633 del 26-10-1972 dell’art. 74/DPR 633 del 26-10-1972 Poste Italiane Spa - Spedizione in Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LO/MI comma 1, LO/MI Direzione e Redazione: Zeroseiup, Direzione e Redazione: Zeroseiup, Rotonda dei Mille 1, 24122 Bergamo Rotonda dei Mille 1, 24122 Bergamo Quote di abbonamento Quote di abbonamento Zeroseiup edizione cartacea Zeroseiup edizione cartacea da gennaio 2021 a dicembre 2021 da gennaio 2021 a dicembre 2021 (5 numeri) = 45,00 € (5 numeri) = 45,00 € Zeroseiup Online + cartaceo Zeroseiup Online + cartaceo abbonamento annuale abbonamento annuale = 55,00 € = 55,00 € Maggiori informazioni sulle offerte Maggiori informazioni sulle offerte di abbonamento alla pagina di abbonamento alla pagina www.zeroseiup.eu/abbonamenti www.zeroseiup.eu/abbonamenti Garanzia di riservatezza per gli Garanzia di riservatezza per gli abbonati. abbonati. 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Coordinamento redazionale e Coordinamento redazionale e supervisione: Enrica Fontani supervisione: Enrica Fontani Progetto grafico e impaginazione: Progetto grafico e impaginazione: Alessia Tinelli Alessia Tinelli ISSN: 2420-7829 © 2021 Zeroseiup s.r.l. ISSN: 2420-7829 © 2021 Zeroseiup s.r.l. Chiuso in tipografia Chiuso in tipografia il 10 settembre 2022 il 10 settembre 2022 Tutti i diritti sono riservati. Tutti i diritti sono riservati. È È vietata la riproduzione dell’opera vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa, con qualsiasi o di parti di essa, con qualsiasi mezzo, compresa stampa, mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata non espressamente autorizzata dall’editore, salvo per specifiche dall’editore, salvo per specifiche attività didattiche da svolgere in attività didattiche da svolgere in classe. L’Editore è a disposizione classe. 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  • 3. 4 5 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER un impegno di potenziale trasfor- mazione deve essere una scom- messa collettiva”, la certezza che l’educazione non può che essere “…un’educazione emancipatrice della comunità intera: bambini, professionisti, famiglie, società. Tutti attivi di un processo di ap- prendimento comune.” 3 Capimmo che dovevamo “inter- rogare i luoghi che suggerivano partenze”4 per ri-cominciare e stare anche in quel senso di spa- esamento. E così, con la forza del pensiero di Irene Balaguer, Ma- ria Lai e il nostro bisogno di ri- scatto nasce il percorso “SEMI”. Nel dialogo di un bambino con la sua mamma: “Avvicina la tazza” “Perché?“ “Così fai fare un viaggio più corto al latte e ai biscotti !” “A me piace fare il viaggio lungo!”, (N. 3 anni e mezzo), abbiamo ascoltato il piacere del quotidiano. Così, di “mese, in mese, di luogo in luogo”, abbiamo scelto di of- frire mensilmente la possibilità di narrarsi ad una esperienza lo- cale 06 all’interno di incontri or- ganizzati on line a distanza, rac- cogliendo ogni volta domande sull’infanzia che la storia educa- tiva sollecitava nei partecipanti di servizi e scuole 06 del sistema integrato marchigiano, insieme, in dialogo. E come i contadini seguono il calendario lunare per piantare, potare e raccogliere, 3 “La certezza dell’impegno di fronte all’incertezza dell’orizzonte” uno stralcio dell’intervento Irene Balaguer al XIX convegno del GNNI a Reggio Emilia nel 2014, Irene Balaguer per molti anni presidente dellAssociaciò de Mestres Rosa Sensat, ha sempre mantenuto stretti legami con il GNNI condividen- done idee e progetti (riportato nella pubblicazione per i prossimi 40 anni) 4 “...interrogo i luoghi che mi sugge- riscono partenze che non so mai dove mi porteranno, non c’è mai un progetto definito, c’è solo una partenza” I luoghi dell’arte a portata di mano” Maria Lai – Cinque Continenti noi abbiamo seguito un percorso, un ritmo, ogni mese, da gennaio a giugno, abbiamo fatto una se- mina e da ogni seme si sono ge- nerati scambi e confronti. Un filo rosso unisce il percorso evolutivo d questa attività pro- gettuale del Gruppo Territoriale Nidi Infanzia Marche ed è quello delle Relazioni. Il tema della relazione, inequivo- cabilmente, ha generato intrecci e rimandi in un gioco di “rea- zioni a catena”. Ogni contribu- to prodotto dalla semina ci ha permesso e permette di mettere a fuoco ancora una volta il bi- sogno di approfondimento sul sistema ricco e variegato delle relazioni nei servizi; del resto da sempre soggette di interesse ma indubbiamente acuito, in questi ultimi due anni, dalle vicende della pandemia. Il vissuto di incertezza dovuto ai cambiamenti nell’organizza- zione interna ai servizi educativi per ovvie ragioni di sicurezza, non ha però inciso sulla nostra certezza di agire e progettare in- terventi che non minassero i bi- sogni emotivi di piccoli e grandi e dai Semi emerge questa neces- sità cui segue, a nostro avviso, attenzione e cura. Tra maggio e giugno abbiamo iniziato a cercare un modo per portare domande e condividere pensieri. Ci sono venute in mente delle cartoline perché come i semi possono viaggiare e come i semi sono leggere, capaci di contenere pensieri e mantenere legami. Alla fine di giugno è arrivata una inaspettata proposta dal GNNI e da ZeroSeiup: un numero specia- le della rivista in occasione del convegno “Ri-Pensare ai bam- bini nell’incertezza della nostra epoca. Educare alla complessità. Il futuro dell’educazione tra in- certezza e complessità”. Abbiamo deciso che, oltre a documentare il percorso semi, dovevamo cer- care di raggiungere coordinato- ri, responsabili, amministratori, persone perché c’era un terreno fertile per essere disseminato, per fare crescere insieme una cultura dell’infanzia. Quanti altri “semi-esperienza” che circolavano sicuramente nei fertili terreni dei servizi regiona- li non avevano ancora avuto il modo di essere conosciuti e con- divisi?! Per raggiungere i territori abbia- mo inviato una lettera a tutti gli Ambiti territoriali-sociali mar- chigiani, invitando i referenti dei Coordinamenti pedagogici terri- toriali ad informare del progetto semi i loro servizi e scuole 06, così da farci inviare altre esperienze. Dalla raccolta di numerosi con- tributi nasce così la terza sezione della rivista “Semi diffusi”, che consideriamo solo una tappa in- termedia di ulteriore scambio re- gionale, in attesa di riprendere il percorso semi dopo il Convegno di Pesaro, speriamo, questa volta, in presenza. “…Così come i contadini seguono il calendario lunare per piantare, potare e raccogliere, noi abbiamo seguito un percorso, un ritmo, ogni mese, da gennaio a giugno, abbiamo fatto una semina e da ogni seme si sono generati scambi e confronti.” PROGETTO SEMI Durante una torrida estate, “rinfrescata”dagli incontri, i pensieri, i dubbi, i cambiamenti, le soluzioni creative, hanno curato questo numero speciale regionale le socie del Gruppo territoriale Marche: Cathi Baglioni Lucia Benvenuti Emanulela Bernacchia Alda Bonetti Francesca Ciabotti Cecilia Cirilli Marzia Fratini Gina Iacomucci Veronica Paoli ValentinaTonucci LuciaVitali Ringraziamo Ferruccio Cremaschi che ci aiuta sempre e AlessiaTinelli per la pazienza e l’impaginazione. 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  • 4. 6 7 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER SEMI Per far crescere insieme una cultura dell’infanzia di processi e prospettive Riflessioni intorno alla natura dei bambini, delle fa- miglie, dei servizi per continuare con meraviglia, con determinazione e consapevolezza a costruire una cultura dell’infanzia insieme. “Mio padre mi portava con sé nel bosco sin da quando ero piccolina, insegnandomi con instancabile pazienza i nomi degli animali, delle piante e dei funghi. Pensava che se si sanno nominare le cose, gli si dà maggiore valore. Ma che cos’è la natura? Quale rapporto abbiamo con lei? Può minacciarci? E perché ne abbiamo bisogno? Come possiamo proteggerla e conservarla?” (tratto da “Cosa diventeremo? di Antie Damm, ed. orecchio acerbo) di mese in mese e poi? di luogo in luogo •Ancona e piccoli comuni •Macerata e piccoli comuni •Ascoli Piceno e piccoli comuni •Fermo e piccoli comuni •Pesaro e piccoli comuni •Urbino e piccoli comuni Azioni da intraprendere “La Semina” STORIE DI RELAZIONI...STORIE IN RELAZIONE Ogni mese verranno presentate esperienze di servizi educativi e integrativi appartenenti ad una provincia che possano aprire a spunti di riflessione sul tema delle relazioni (tra bambini, adulti-bambini, tra adul- ti, con lo spazio, con il tempo, con il territorio, con le famiglie......). Le storie, come i semi, possono arrivare in differenti modi e forme: • racconti, riflessioni da portare ad incontri pro- grammati •narrazioni, spunti, pensieri da inviare per mail •testimonianze da raccogliere attraverso interviste CERCATORI DI DOMANDE Ognuno di noi può trasformarsi in un attento ascolta- tore e raccogliere domande aperte intorno all’infan- zia partendo dal piccolo (le domande dei bambini sul mondo? Le domande dei grandi sui bambini?....) Questa prima fase sarà caratterizzata da tempi aperti, apparentemente non lineari, dalla capacità di so-sta- re nei nostri servizi cercando di cogliere quello che c’è, quando c’è e che viene in termini di bellezza, dif- ficoltà, forza, incertezza. Per poter parlare ri-pensare al nuovo che c’è, abbia- mo bisogno di lasciare questo spazio aperto, per ri- cercare, intrecciare le differenze e le connessioni tra luoghi, persone e saperi che possono portare e rac- contare quel che si sente e succede nel quotidiano, nelle crisi e nei successi, nei movimenti (precari? di sviluppo? di stasi? di regresso?...), nelle contamina- zioni... PER UNA CULTURA dell’INFANZIA Come aprirsi al territorio? •Cineforum •manifesti per le città con sollecitazioni “imperti- nenti”sull’infanzia •letture cittadine sul tema dell’educazione rivolte agli adulti •pubblicazione •padlet. Illustrazioni tratte da In un seme - manuale per piccoli collezionisti di meraviglie. Piotto & Marchegiani, ed. Topipittori. Il perché di una metafora Avvertiamo l’esigenza di raccontare la biodiversità educativa del nostro territorio per ridisegnare “una mappa educativa dei servizi 0-6 marchigiani“ fatti di tante particolarità in cui potersi ri-conoscere, parten- do proprio dalle“semplici”esperienze dei servizi. I SEMI, proprio nella loro apparente semplicità indivi- duale, sono l’emblema perfetto della vita: hanno infini- te e sorprendenti forme, sono avventurosi, intelligenti, generosi, sanno spostarsi e adattarsi all’ambiente, difendersi e fare amicizia con molte specie viventi. Un seme, piccolo o grande contiene tutto ciò che serve per vivere. La nostra vita sulla Terra dipende dalle piante, e la vita delle piante, dipende dalla capacità dei loro semi di farla nascere; per questo è fondamentale conoscere la Storia e le storie dei semi, la loro importanza, e la loro sbalorditivavarietà.(trattoda“Inunseme,manualeper piccoli collezionisti di meraviglie di Beti Piotto & Gioia Marchegiani) I semi sono dappertutto con le loro peculiarità, le loro risorse e le loro esigenze.
  • 5. 8 9 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER S ono Lucia Vitali, educa- trice e mamma di una bambina che frequenta una scuola dell’infanzia a Jesi (An). Vi ringrazio per questa opportu- nità di presentare quelle che sono state le mie riflessioni in que- sti giorni, a proposito del tema delle relazioni, che è un tema molto grande e anche molto im- portante. Volevo partire da degli elementi concreti, a livello meta- forico, che potevano aiutarmi in questo momento di racconto e piano piano cercherò di spiegar- mi in questo che è stato un flusso di pensiero. Vorrei partire da una piccola sto- ria: in questi giorni in cui siamo state a casa, che le scuole erano chiuse per le feste natalizie, io e mia figlia siamo uscite a fare del- le passeggiate qui nel quartiere e un giorno, mentre ritornavo ver- so casa mi sono fermata in uno di quei negozi dell’emporio, dove si trovano tutte quelle piante e gli articoli per il giardinaggio e mentre mi avvicinavo – ero così felice dell’idea che m’era venuta – di comprare un bulbo. Quan- do sono andata, ovviamente, la commessa mi ha detto “Questo, signora, non è periodo dei bulbi”. Io sono caduta giù dall’albero e sono tornata con i piedi per ter- ra. E non lo sapevo! Però, a casa avevo dei semini tenuti da parte dall’anno scorso, di un lavoro fatto con i bambini… avevo dei semini di grano e di farro, di cui sapevo almeno, anche osservan- do nei campi attorno a noi, era periodo di semina. Quindi, al- meno quello, con mia figlia l’ho fatto. Piantare dei semini – visto che siamo proprio nel tema SEMI – vedere questa trasformazione e sapere che, la Natura ci insegna, non tutto è fruibile sempre, come e quando vorremmo noi o pensiamo noi. Questo, già, è stato un grande insegnamento. Il passaggio successivo, è quello della conoscenza nella relazione. Cioè se io avessi conosciuto il fat- to che i bulbi adesso non ci sono, non li avrei cercati, ma anzi li avrei cercati nel momento adat- to, per sapere che poi avrebbero fiorito. Se io conosco il fatto che i semi di grano e di farro adesso è il momento di seminarli, lo pos- so agire. Questo lo intendo come un agi- re educativo che può diventare mirato, orientato, che sia sempre più diretto. Ci sta che l’esperienza ha tutta una sua sfera, che le cose si cono- scono strada facendo, ma sapere con chi ci si relaziona, secondo me, è una cosa molto importante. La prima cosa, quando metti insieme una famiglia e la scuo- la, secondo me, per aprire un dialogo ci deve essere un incon- tro fatto di scambio e di cono- scenza. Qui mi viene in mente la diffe- renza nella mia esperienza di genitore: mentre al nido abbia- mo fatto un incontro con le edu- catrici per dire: “Da dove viene Adele? Qual è la sua Storia?” – IN SU PER TRA FRA… LE RELAZIONI Finestre, mura, radure, ponti. Quali e quanti passaggi? LUCIA VITALI ognuno di noi è fatto di Storie, ed è importante – per la scuola dell’infanzia probabilmente ho compilato dei moduli, non lo ri- cordo con esattezza. Quello che immagino, dall’altra parte, cer- to che l’insegnante avrà l’occhio per osservare quelli che sono i cambiamenti di ogni bambino, ma ha già meno dettagli di quel- la che è la Storia del bambino che ha davanti. Per non parlare poi, più avanti, della scuola pri- maria, eccetera. Ciò non toglie il fatto che poi anche i bambini acquisiscono una capacità di linguaggio e di dialogo superio- re per cui saranno loro stessi in grado di presentarsi. ● Un’altra cosa su cui ho riflet- tuto, è la situazione che stiamo vivendo adesso che ricade un po’ sotto tanti fronti. Io, geni- tore, accompagno mia figlia nel cortile, quindi si apre il porto- ne e mentre prima – parlo di due anni fa – si accompagnava il bambino o la bambina fino al piano di sopra, perché la classe è ad un piano superiore, c’è sta- to un graduale cambio di rotta, dato dalle norme, per cui per un momento ci siamo soffermati all’ingresso e abbiamo lasciato i bambini ai collaboratori sco- lastici. Abbiamo allontanato un contatto, non dico verbale, quo- tidiano e diretto, ma anche uno sguardo visivo con le insegnanti che è venuto meno. In una fase successiva, noi accompagnia- mo i bambini fuori della porta. Quindi io sento che, a fronte di questa situazione, la realtà che si viene a creare è questa: alziamo un muro. Questa è la rappresentazione della sezione del plesso scola- stico. Descrizione degli elementi: Rappresentazione della sezione del plesso scolastico. 1. Il genitore e il figlio arrivano a scuola. 5. Tra la scuola e la famiglia c’è distanza: si alza un muro. 6. Si colloca una finestra aperta. 3. Il genitore accompagna il figlio nell’atrio, lo aiuta a cambiarsi e il collaboratore scolastico lo conduce in sezione. 4. Il genitore non entra a scuola; il collaboratore scolastico aiuta il bambino a cambiarsi e lo conduce in sezione. 2. Il genitore accompagna il figlio in sezione.
  • 6. 10 11 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER motivazioni. E poi la domanda è: “Quale scuola sceglierò come scuola primaria?”. Quando sen- to le famiglie intorno a me, quali sono le domande essenziali? Se fa il tempo pieno o il tempo norma- le e se quell’insegnante dà tanti compiti o meno. Anche la scuo- la, sotto un certo punto di vista, mi sembra diventare un pochino ‘privata’, dove io genitore scelgo – per fortuna se posso scegliere – quello che penso per mia figlia possa essere la scuola con l’in- segnante migliore e quindi mal- grado la strada, la comodità o la continuità tra i bambini, perché lì magari c’è l’insegnante, di cui ho sentito parlare, che potesse essere più adatta per la mia famiglia e la mia situazione. Qual è, allora, il senso della continuità tra i gradi di scuola o all’interno dello stes- so ciclo di scuola? Penso che non mi aspetterò più che nell’arco dei tre anni di frequenza della scuo- • La base marrone rappresenta l’ambiente interno; la base verde rappresenta l’ambiente interno, la base bianca sopra le colonne è lo spazio di una sezione. • Il portone d’ingresso è posto tra la base marrone e la base verde ed è di colore celeste. • Il mattoncino azzurro chiaro sta ad indicare una panca posta all’ingresso della scuola • I mattoncini colorati e impilati stanno ad indicare le scale. • Il personaggio con il cappello blu e il bambino con la maglia rossa rappresentano la diade genitore – figlio, durante il mo- mento dell’ingresso a scuola al mattino. • Il personaggio con il cappello marrone rappresenta il collabo- ratore scolastico. • Nella sezione ci sono la maestra e gli alunni. Questo lo dico non banalizzan- do la situazione della pandemia; quello che mi auspico è: riuscia- mo, noi come famiglie e le inse- gnanti a porre un nuovo modo di reinventarsi e poter aprire delle finestre? Una finestra intesa come possibilità di incontro, di scambio. Altrimenti quell’incontro tra me che sono genitore e l’insegnante diventa sporadico, occasionale; diventa difficile costruire un dia- logo. Non è tutto negativo: ho notato il modo di mettersi in gioco delle insegnanti è stato quello di por- tare i lavori fatti dai bambini nel giardino. Il giardino è diventato quell’ambiente di scambio possi- bile, all’aperto, in sicurezza, dove ci si può incontrare. La scuola è uscita fuori. Questo per me è sta- to un segnale molto importante. Sono sicura che ce ne saranno di tantissimi generi. ● Un’altra situazione che ho nota- to – sulla porta – che mi duole la dell’infanzia possa avere dal primo anno all’ultimo gli stessi insegnanti. Questo per me non è una mancanza, il fatto che ci sarà un ricambio di personale, a dif- ferenza di anni fa quando c’erano persone che accompagnavano gli alunni durante tutto il ciclo. Mi auguro, allora, che ci possa essere continuità. Quali sono quegli ele- menti che possono accompagna- re, se non la Storia dei bambini? Alla fine quello che per me è im- portante è che tutto sia orientato rispetto a chi hai davanti, calato su quelle situazioni, nello Stare e nell’Essere in relazione. ● Concludo con delle immagini di alcuni albi illustrati, per rendere l’idea… come fosse una fotogra- fia. Pensavo all’albo illustrato de “L’onda” come idea metaforica di un incontro, come fosse per la prima volta che una bambina un po’ il cuore vedere, è questa: nella peggiore delle ipotesi io mi sento un postino che consegna il pacco, nella migliore delle ipotesi accompagno mia figlia a scuola, la posso salutare, le dico “buona giornata”, le auguro buon diverti- mento e allo stesso modo la vado a riprendere. Più complicato è quando a fianco a me ci sono ge- nitori in difficoltà e bambini in difficoltà, che piangono… e sono sull’uscio della porta. Quella por- ta ti dice: “Stai dentro o stai fuo- ri? Sei pronto ad entrare o ancora no? Stai sulle braccia di mamma, di babbo, o vai dentro? Un po’ da solo… E comunque sull’uscio la maggior parte delle volte c’è il collaboratore scolastico, che è presente nel ‘sistema scuola’, ma non è la persona indicata a curare questo momento di accoglienza. Ancora, se parliamo dello 0-6, sono bambini piccoli, e hanno bisogno di essere accolti, non solo il primo mese dall’inizio della scuola, ma magari al rientro dalle vacanze di Natale, eccetera. Chiediamo al bambino di fare un piccolo sforzo, però non perdiamo di vista quelli che per noi profes- va al mare, non lo conosce e ci entra in relazione. C’è una dan- za tra l’andare e venire del mare e l’avvicinarsi e allontanarsi della bambina, ma la cosa che mi inte- ressa dire alla fine è che il mare lascia dei tesori (conchiglie, stel- le marine, ecc…) e la bambina è lì come a ringraziare per questo incontro e poi, come sempre i tesori dei bambini, entrano nella gonnellina rialzata della bambina che, immagino, se li porti a casa. C’è uno scambio, un conoscer- si reciproco e poi si trovano e si possono raccogliere dei tesori. Questa è l’idea nostra di incon- trarci, anche qui, per far sì che questi semi possano germogliare. Un’altra è presa dal libro di Oli- ver Jeffers, è un’immagine molto semplice e secondo me molto bella: ci sono le mani di un adul- to sotto e le mani del bambino sopra. Noi adulti siamo qui per sostene- re, voi bambini potete crescere, vi alleggerite, potete giocare, potete essere bambini e noi siamo qui. Dall’esperienza di Lucia Vitali, riflessioni e confronti Clara Maccari: “il mio interven- to prende spunto dall’esperienza di Lucia Vitali, la mia metafora riguarda le finestre, probabil- mente in questo periodo di pan- sionisti sono i capisaldi, le cose davvero importanti. Da una parte ci sono le regole, dall’altra cerchia- mo i nostri spazi per poter far sì che, comunque, sia Educazione. Accogliere… in un’idea contraria all’azione che farebbe una mac- china fotografica che è lo zoom, non mi viene tecnicamente, …al- larghiamo. Accogliere una fami- glia è una pluralità di situazioni, come dicevo prima è un’attenzio- ne alla Storia di ognuno, è curare questo, prendersi cura del bam- bino e della famiglia, messi in- sieme in una pluralità di famiglie di situazioni che abbiamo intor- no, perché sento sia come adulta immessa nel mondo del lavoro una grande fluidità, sia nelle re- lazioni, troviamo tante famiglie composte ognuna a modo suo… Dentro la scuola si lavora affinché siamo tutti uguali? Così che tutti i bambini che ho nella classe sono tutti uguali? Oppure sono tutti diversi? Se conosco, se valorizzo le loro diversità? O se magari saran- no tutti e due i paradigmi insieme. ● Un’altra cosa su cui riflettevo, poi hofinito,èlacontinuità.Unacosa che mi è salita alla mente: parlia- mo di ‘poli dell’infanzia 0-6’. Io vedo la mia situazione familiare: io abito in un paese, Monte San Vito, mia figlia va a scuola in un altro paese, un esempio molto semplice. Mi viene un pochino meno l’idea del ‘quartiere’: io e la mia famiglia entriamo in con- tatto con le persone del quartie- re, vado in quella scuola che mi sta più vicina, ai giardinetti che mi stanno più vicini, dove posso intessere relazioni con altre le fa- miglie che con me vivono quel- la zona. Io ho scelto di mandare mia figlia a scuola a Jesi per dei motivi, questo fa parte di tut- ta quella fluidità; noi ci siamo dentro, ognuno con le proprie (da“La gigantesca piccola cosa”, Beatrice Alemagna, Donzelli Editore, 2011) (da“L’onda”, Suzy Lee, Corraini, 2008)
  • 7. 12 13 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER insegnati e viceversa. Ora qual- cosa si è eretto rendendo meno visibile effettivamente la soglia o troppo visibile quel confine che definisce il dentro e il fuori tanto da aumentare l’oscurità di que- sto passaggio.. Ma altre è anche un luogo, di aperture, di grandi luci, che si possono essere at- traversate. E in tutto questo c’è il seme, che è la seconda esperienza, anche noi, in questi servizi stiamo ra- gionando, in questo periodo dell’inverno sui semi. Molti semi sono custoditi dall’inverno, per- ché magari piantati in autunno, come si diceva “il bulbo”, e mi sono chiesta: “Qual è l’ambien- te per il seme?” perché abbiamo parlato di tanti semi, ci siamo detti di raccogliere esperienze, che sono semi, che posso essere messe in relazione, in dialogo. Però c’è in effetti, un terreno di semina che non è indifferente nell’apporre i semi, ci sono anche delle cure che il seme deve ave- re oltre, a monte, avere una certa qualità del seme affinché possa già in principio poter germoglia- re e quindi mi sono detta: “questi semi di futuro, da qui in avanti, come educatori, insegnanti, di cosa hanno bisogno?” Proprio 3 parole, giusto per non allungarci che però possono esse- re d’interesse, innanzi tutto pen- sando a questo tempo dell’inver- no, hanno bisogno di una hanno bisogno di calore, se il seme non ha calore non germoglia, anche quella soglia, se pensata come terreno di calore i semi di futuro possono germogliare, altrimenti non c’è la possibilità che nasca qualcosa. Il seme il calore lo por- ta con sé ma ha bisogno di due focolari, da una parte la scuola, dall’altra la famiglia che portino il calore lì, dove ci sono gli in- contri, le relazioni. Paradossal- mente anche la neve, d’inverno, demia si sono alzati dei muri e quindi bisogna trovare un modo per riaprire spazi di dialogo, fi- nestre, penso sia importante ri- flettere su questi temi, ora più che mai. Prima della pandemia pensavamo che tanti spazi di in- contro già ci fossero e per il fatto che le famiglie potevano circola- re negli ambienti, seguire i figli mentre entravano nelle sezioni, negli spazi ecc., non prestavamo molta attenzione a quello che gli spazi, gli ambienti, le pare- ti, i giochi, le nostre presenze, i nostri messaggi, comunicavano. Ora che alcuni luoghi non sono più accessibili, forse, ci stiamo domandando, con più attenzio- ne, quali comunicazioni inviamo alla famiglia e con quali stru- menti, penso alle documentazio- ni che mandiamo su WhatsApp o i filmati che mandiamo dopo un’esperienza o altre situazioni. Volevo portare la riflessione sul- la comunicazione, non solo sulla necessità, ma soprattutto come e quali finestre riaprire, perché ci siamo resi conto che in questi due anni di pandemia abbiamo mandato tante cose alle famiglie, almeno questa è la mia espe- rienza, ma spesso quello che è pensiamo per tutti i semi, orzo, farro, grano è copertina di calore. Quindi anche quelle situazioni apparentemente fredde possono essere una copertina per il seme e questo ci dà una grande fiducia, perché il dell‘inverno per i semi è un freddo formativo, sembra un paradosso ma è così, è formativo per molti semi se non ci fosse il freddo essi non potrebbero ger- mogliare o addirittura produr- rebbero meno, pensiamo ai cere- ali. Allora, anche noi qui, penso a tutte le difficoltà che stiamo incontrando e portando in questi luoghi dell’incontro, se le guar- diamo come un freddo formativo cambiamo prospettiva, quindi da una parte il calore, da una parte il freddo. Accanto alla dimensione della cura, ci metterei la fiducia, la fiducia che il seme di per sé, in realtà, ha già tutta la poten- za implicita per poter diventare qualcosa d’altro, che è già iscrit- to in sé, però dobbiamo affidar- lo. Ecco è bellissimo che queste esperienze, così portate, affidate a questo gruppo territoriale che un po’, un terreno possa essere affidato gli altri perché è lì che ci può essere la possibilità che pos- sa germogliare. Sono stata un po’ sulla metafora ma è stato molto suggestivo! ● Raffaella Primavera: sono un’e- ducatrice di un nido di Macerata che si chiama “Topolino. L’interessantissimo punto di vista di questa mamma mi ha proprio portata a ancor di più a riflettere di quanto ci stiamo prendendo cura di questo momento di ini- zio giornata a cui segue tutto il resto. Tutte le cose che stiamo dicendo, tutto l’impegno che stiamo mettendo per garantire questa qualità nelle relazioni so- prattutto. Io ho riflettuto molto anche sul tema di quello che sarà arrivato non è stato così curato e pensato come invece il tempo avrebbe richiesto: forse bisogna ripensare i modi, i tempi e i mezzi della comunicazione . Un suggerimento ci veniva anche da Lucia Vitali quando parlava dei giardini, insomma, ci potremmo e dovremmo ritornare su questi argomenti! ● Federica Di Luca, San Ginesio: “A me ha molto colpito la meta- fora dei semi, perché lavorando in contesti a stretta naturalità sono un po’ il quotidiano edu- cativo. Mi sono venuti due pen- sieri. Uno è sul tema della soglia, quando ci veniva presentato que- sto confine tra il dentro e il fuori della scuola, dove da una parte c’è il mondo della scuola e dall’al- tra c’è il mondo della famiglia e c’è il bambino che transita attra- verso questa soglia, questa porta e mi sono chiesta, anche insieme alle colleghe se queste soglie di ingresso e di uscita o comunque di transito tra il dentro e il fuori, in effetti si siano solo spostate. Ma soprattutto sono cambiate o stanno cambiando, ma soprat- tutto dobbiamo ridirci, ri-carat- il convegno: sull’incertezza, in- certezza che sicuramente stiamo vivendo tutti, che è sicuramente un tempo di transizione, di gran- de spaesamento ed è proprio per questo molto importante, che comunque abbiamo tutti biso- gno di fare dei progetti ora, per costruire questo futuro che vo- gliamo vedere tutti. In una inte- ressante trasmissione passata, di cui non ricordo la data, che pos- so cercare e condividere, portata all’attenzione da Radio Rai Tre, si parlava proprio di questo tema, l’incertezza, Recalcati ricordava che Noè quando riuscì a superare questo diluvio, la prima cosa che fece fu piantare una vigna, è un po’ quello che io personalmen- te sento, ma non solo io, perché questo sentire lo sto condividen- do con tante amiche e colleghe, è questa cosa: pensare al futuro, adesso, piantando dei semi, ora è veramente importante. Vi volevo lasciare invece con uno stralcio di un brano scritto da questo straordinario compositore che si chiama Vinicio Capossela, che ha scritto una bellissima canzone che si intitola “La lumaca”, per parlare del tempo lento e dice così: La mia strada lenta e dritta E’ nuda prima Ma scintilla dopo Lasciare un passaggio Lasciare una scia come una co- mete Rallentare il tempo E godersi la scia Mi ha molto ispirata nel pensare come stiamo vivendo ora que- sta traccia che continuamente i bambini lasciano al loro pas- saggio, in ogni momento della giornata. Credo che sia molto importante soffermarsi su queste tracce, su queste scie, sono quelle che poi determinano il percorso che stiamo facendo. terizzare quella che è la qualità di queste soglie, che sono fonda- mentalmente dei confini. In ef- fetti, anche qui l’immagine della esperienza, durante la presenta- zione, faceva vedere, che forse si sono eretti o alzati dei muri. Si, abbiamo visto anche noi che si sono alzati dei muri, altre volte ho visto che non sono solo muri ma si sono aperte delle radure popolate, penso popolate di pau- re, di domande, di incertezza, di vulnerabilità. Oppure si sono aperti, per stare sempre nella dimensione della metafora, dei veri e propri deserti, con quello che può esserci nella dimensione del deserto, non solo rarefazione della comunità vivente ma del- la specializzazione se volgiamo, delle piante e degli animali che richiede una ricerca più attenta, più fine, più sottile dell’acqua. Oppure sono diventate dei bo- schi fitti perché li si addensavano delle cose, dei pensieri, delle do- mande, si concentrava proprio lo scambio fisico anche delle persone. Alcune volte, invece, in alcune esperienze, sono diventa- ti luoghi di grande ricerca, ab- biamo visto come i giardini, gli spazi esterni, si sono “allargati”, così queste soglie sono diventa- te spazi molto interessanti per- ché alcune cose si sono spostate dalla famiglia verso la scuola e dalla scuola verso la famiglia e si sono incontrate e sono diven- tate, forse, dei luoghi di grandi avvenimenti, di ricerche. Alcu- ne volte sono diventate dei luo- ghi d’ispezione reciproca: non so se anche da voi è capitato, il guardarsi da una parte e dall’al- tra un po’ con l’occhio così: “che cosa succederà dentro la scuola che non abbiamo più un’idea di quello che succede”, le soglie a sembrano più irte aumentan- do la dimensione del giudizio da parte delle famiglie verso le (da“Cose da fare. Dritte per il nostro futuro insieme”, Oliver Jeffers, Zoolibri, 2021)
  • 8. 14 15 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER SOTTO SOPRA Storie fuori margine alla scoperta di nuovi perimetri di gioco e diverse prospettive di senso MANUELA BERNACCHIA D ue sono i semi che vorrei mettere in circolo: Sconfinamenti Reciprocità Provo a esplorare questi temi partendo dal racconto di espe- rienze realizzate con i bambini della mia sezione, tutte si svol- gono in uno spazio particolare dell’aula: la cattedra delle mae- stre. La chiamo cattedra e non ta- volo perché è proprio la classica cattedra “istituzionale”, chiusa ai tre lati, con la cassettiera laterale, aperta in fondo e nella parte sot- tostante il piano di lavoro. Da un po’ di tempo mi sono ac- corta che questo spazio è stato pian piano colonizzato dai bam- bini, i quali se ne sono appro- priati facendolo diventare un loro spazio: di gioco, relazioni, lettura… Spazio lettura La cattedra è diventata il luogo privilegiato di lettura per alcuni bambini, quando hanno voglia di leggere i loro albi illustrati pre- feriti, non lo fanno nell’angolo dei libri, dove ci sono il tavolo, le poltroncine, né sotto i loro tavoli (come altri bambini), ma prefe- riscono stare sotto la cattedra, dove trovano una concentrazio- ne intima che vivono in solitaria ma anche in coppia. I bambini si rintano sotto e sfogliano più e più volte i loro libri, e questo suc- cede anche quando ci sono io ad occupare la cattedra, spontanea- mente spostano le mie gambe e si inseriscono all’interno, io entro così a far parte del loro spazio di lettura. Spazio gioco e di relazione La cattedra non è solo angolo di lettura ma anche luogo pri- vilegiato delle relazioni, delle confidenze, spazio gioco. Ulti- mamente il gioco che va per la maggiore sotto la cattedra è il gioco della Centrale operativa. I bambini giocano agli scienziati che attraverso la centrale (co- struita con scatole, mattoncini Lego) comandano una serie di sensori (grandi mattoncini Lego) distribuiti in tutta l’aula, i quali controllano tutte le attività che facciamo durante la giornata (un Grande Fratello in miniatura!). Anche in questa situazione, quando occupo la cattedra, entro mio malgrado (con piacere) a far parte del loro gioco: i miei piedi diventano una parte della loro Centrale, spostandoli mandano comandi ai sensori sparsi nell’au- la, così mi hanno spiegato. Spazio teatro e creativo Il piano di lavoro della cattedra è diventato il nostro spazio teatra- le. Quando facciamo teatro con i burattini o con le sagome co- struite dai bambini, utilizziamo questo spazio come palcoscenico per i nostri personaggi. E proprio al termine di una drammatizza- zione, L. un bambino dell’ultimo anno, mi comunica che vuole scrivere una “scenografia” da rappresentare nei giorni seguen- ti (cosa che è poi avvenuta). Mi chiede i fogli, matita, gomma e mi dice spontaneamente “mae- stra ti sposti che mi serve il tavolo per scrivere”, io stavo mettendo a posto i materiali, l’ho guardato e altrettanto spontaneamente gli ho lasciato lo spazio, andando a finire il mio lavoro nei tavoli dei bambini. L. aveva a disposizione i suoi tavoli, lo spazio tradiziona- le che è deputato alle sue attività e invece ha scelto di fare questo lavoro, per lui molto importante, in uno spazio dedicato, diverso. Dopo quella esperienza, ogni volta che L. deve fare un lavoro a cui tiene particolarmente, mi chiede di utilizzare la cattedra, ormai divenuta il suo spazio cre- ativo privilegiato. ● Che cosa hanno in comune que- ste esperienze? Tutte sono at- traversate da un denominatore comune: la capacità dei bambini di “sconfinare”, di ridisegnare confini di spazio, tempo, senso. In maniera spontanea, istintiva, improvvisa, i bambini sono in grado di destrutturare, “mano- mettere” lo spazio che noi tendia- mo a rendere strutturato: l’angolo dei libri, l’angolo morbido, lo spa- zio della cucina, possono acquisi- re una nuova destinazione d’uso, un nuovo senso. Così come un nuovo senso ce l’ha questa catte- dra che non è più il tavolo della maestra ma diventa il teatro, un angolo di lettura, un luogo di in- contri ma anche uno spazio di gioco e di elaborazioni creative. I bambini “sconfinano”, oltrepas- sano le barriere di spazio, senso, tempo, andando oltre le nostre aspettative, secondo i propri spa- zi, tempi, interessi. Credo che lasciare ai bambini tempi e spazi nuovi per giocare sia una capacità non semplice per noi insegnanti, perché comporta saper attendere, il farsi da parte e lasciare spazio, mettersi in mo- dalità di ascolto attento e curioso, saper dare valore a quello che si osserva e si accoglie, in definitiva comporta la capacità di cambiare la nostra postura di insegnanti. Tuttavia quando avviene questo cambiamento la relazione edu- cativa si arricchisce di un aspetto fondante: la reciprocità. A proposito di reciprocità mi pia- ce ricordare una frase di Donald Winnicott “Nessuno si accorge che i bambini hanno molto più bisogno di dare che di ricevere” e un frammento di uno scritto di Franco Lorenzoni che parla pro- prio dell’“arte del ricevere” nella relazione educativa, sottoline- ando l’aspetto della reciprocità: “L’aggettivo reciproco che a mio avviso costituisce il cardine d’ogni relazione educativa, ci dice molte cose. Viene dal latino recus, che indica l’andare indietro, e procus, che evoca l’andare avanti. E’ im- portante ricordare che prima c’è l’andare indietro, il lasciare spazio facendo silenzio, e solo dopo l’an- dare avanti, in una sorta di danza che deve trovare un’armonia tra i due, data dall’ascolto. Noi docen- ti, come molti genitori, abbiamo spesso il vizio di pensare che dob- biamo sempre dare qualcosa e così troppo raramente facciamo un passo indietro con i bambini”. ● Vorrei commentare queste due citazioni con il racconto di un’al- tra esperienza fatta con i bambini della mia sezione. Una mattina arrivo a scuola e i bambini stavano facendo con la mia collega un percorso mo- torio in sezione, il percorso si snodava attraverso tunnel, passe- relle, anelli, birilli. Nel momento in cui entro i bambini stavano camminando in equilibrio sulle passerelle con le braccia aperte, la prima cosa che ho pensato ve- dendoli è stata quella di mettere una musica come sottofondo e mi è venuto subito in mente un pezzo di Nino Rota del film Otto e mezzo (La passerella d’addio). Era perfetta per quella situazio- ne, subito due bambini mi hanno detto “maestra sembra il circo!” e gli altri “Sii, il circo, maestra fac- ciamo il circo!”. Dal loro entusia- smo ho capito che era necessario “fare il circo”, lasciare spazio alle Non è un banco.
  • 9. 16 17 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER nuela sembra quasi una cosa bella che ci ha dato in leggerez- za e come ha detto anche Lu- cia ci ha raccontato la sua vita, una vita di una giornata è come averlo visto per immagini, però questo non è assolutamente fa- cile che tutto questo avvenga e secondo me, a parte la regia, è un lungo lavoro dell’educatore, dell’adulto su se stesso, sulla vi- sione del bambino, sull’essere capace di andare avanti, di an- dare indietro, e questo impli- ca una grande esperienza, una competenza, un lavoro su se stesso e anche secondo me un lavoro di formazione continua, di sostegno, perché essere un po’ gli angeli custodi, i registi, la parola che userei è veramente rispetto, essere capaci di e avere la competenza professionale di vigilare, di rispettare la voce in- fantile, non è facile è qualcosa che si acquisisce mai ed è qual- cosa che bisogna riapprendere dall’esperienza continuamente dalla relazione con il bambino, dall’osservazione, quindi cre- do che insomma sia credo che sia una cosa spontanea ma che in realtà ha dietro un lungo la- voro che è la competenza dell’e- ducatrice che una competenza relazionale raffinata e profonda, nella relazione con i bambini, di questo ti ringrazio perché hai reso leggero e comprensibile qualcosa di molto profondo e in realtà non semplice, come dire “è facile stare con i bambini, che conta, cosa volete che sia!” non è così, perché riuscire a far fare il circo, riuscire a far destrutturare un cattedra implica un pensiero su di sé, sui bambini, sull’educa- zione, che secondo me deve ma- turare, e sui cui bisogna conti- nuare a discutere per difenderlo e anche per portarlo avanti. ● loro richieste, fare un passo in- dietro, cambiare i miei program- mi per le attività pomeridiane che erano diventati improvvisa- mente anacronistici. Dopo pranzo iniziamo ad orga- nizzare il circo. I bambini decido- no i personaggi: clown, giocolie- ri, equilibristi, mago, spettatori. Ognuno di loro decide che per- sonaggio vuole interpretare, a me affidano il ruolo del presentatore e di “quella che mette la musica”. Poi stabiliscono spazi e tem- pi dello spettacolo: la pista dei clown, dei giocolieri e del mago sarebbe stata l’angolo morbido, la pista degli equilibristi partiva dall’angolo lettura fino all’angolo della cucina; gli spettatori si spo- stavano nei vari angoli seguendo lo spettacolo. I bambini decido- no anche che bisognava fare le prove e quindi la sala mensa (che è una stanza attigua alla sezio- ne) è diventata la sala prove dei clown e del mago, invece la sezio- ne è diventata la sala prove degli equilibristi e dei giocolieri. Dall’angolo cucina e dallo spa- zio dei materiali strutturati e di riuso, i bambini hanno ricavato costumi e strumenti: padelle, coperchi, piatti, mestoli, sono di- ventati cappelli, strumenti musi- cali dei clown, palline di gomma rossa, i nasi. E così la passerella, le aste, i birilli, gli anelli, le pal- le di gomma piuma dei percorsi motori, gli strumenti degli equi- libristi e dei giocolieri. Infine i biglietti, bisognava fare i biglietti per l’ingresso al circo, non potendo invitare i bambini e le maestre delle altre sezioni, i bambini decidono di coinvolgere le collaboratrici scolastiche, per cui realizzano i biglietti (con il disegno dei clown e il nome del circo) e mi chiedono di accom- pagnarli per invitarle allo spetta- colo, poiché, come si sarà intuito, in tutto questo tripudio creativo Raffaella Primavera: “Non è fa- cile”, sottoscrivo assolutamente questa cosa, mi è venuta in men- te un’altra cosa che diceva Fran- co Lorenzoni, rispetto a tutte questa cose che volgiamo fare, che vogliamo mettere in campo, per cui ci affatichiamo tantissi- mo, in realtà lui ci invitava e ci invita tutte le volte, a “fare meno e andare più in profondità”, per fare in modo che effettivamente i bambini, in questo tempo viva- no, le migliori esperienze possi- bili perché ragionavamo anche su quanto è difficile per un bam- bino, e anche per una famiglia pensare che questo sia il tem- po comunque migliore perché loro possano vivere al meglio la loro infanzia, perché questo è il tempo, questo tempo difficile, questo tempo incerto, questo tempo che ci ha affaticato tantis- simo tutti, per cui questo invito io l’ho fatto mio da sempre, fare meno e andare più in profondità, e andare più in profondità come diceva, Francesca o Alda, è an- che quello di confrontare tutto questo con le colleghe, con il gruppo di lavoro, per poi rilan- ciare, ma sempre su quello che i bambini restituiscono e non su quello che noi abbiamo in testa, sui bambini felici, competenti, perché è chiaro perché è chiaro che i bambini sanno benissimo dove vogliono andare, cosa cer- cano, le loro piste di ricerca le continuano a sottoporre, io lo vedo anche con i bambini che frequento, che hanno dagli 8 mesi ai 18 mesi (poi ve lo rac- conteremo la prossima volta) loro hanno chiarissimo di che cosa hanno bisogno per incon- trare il mondo, è chiaro che è fondamentale l’adulto che pro- pone dei materiali dei luoghi belli, interessanti, dove i mate- riali dialogano tra loro , dove c’è un tempo lento e un rispetto il mio ruolo è stato proprio quel- lo di facilitare l’andamento dei vari step dell’organizzazione del- lo spettacolo, accogliendo le loro richieste e aiutandoli, quando necessario, nel portarle a compi- mento. Finalmente, terminata la crea- zione dei costumi, degli attrezzi, finite le prove, consegnati i bi- glietti, inizia lo Spettacolo… che spettacolo! Chiudo con il nome del circo scelto dai bambini. Quando ho chiesto loro che nome dare al cir- co, un bambino dell’ultimo anno mi ha detto “maestra mi è venuta un’idea, chiamiamolo il circo del- la sorridanza”, e io “sorridanza? Volevi dire sorriso?”. Lui “No, no, circo della sorridanza”, sorriden- domi e facendo ruotare le mani davanti alla bocca, come ad imi- tare un movimento circolare. Penso che questo nome espri- ma meglio di tante parole il cli- ma che si era venuto a creare: la danza delle nostre risate e la circolazione di benessere conta- minavano ognuno di noi. In quel momento io non ero la maestra, ero il presentatore del circo e i bambini erano clown, equilibri- sti, giocolieri, maghi, spettatori. Eravamo tutti dentro questa re- lazione in cui ognuno era quello che il gioco ci chiedeva di essere, non eravamo più in un’aula sco- lastica. Dal seme di Emanuela confronti e riflessioni Gina Iacomucci: “Una delle cose importanti di questa storia è di quella di lasciare essere gli ogget- ti, questa sera è stata principal- mente la cattedra che con il suo ruolo, anche istituzionale, ha svolto la parte che spesso è del tavolo, dove da sempre i bambini si nascondono e vivono diverse storie e ci raccontano quanto c’è profondo per l’unicità di ognuno di loro , poi loro vanno. E’ que- sta poi la fiducia che io mi porto dietro tutti i giorni proprio”. ● Gina Iacomucci: “E’ quello dice Raffaella: “Cogliere, fare meno, perché contiene tanto quel meno. Questo mi riporta ad percorso di formazione, all’ osservazione di un momento della giornata quo- tidiana: un bambino stava cer- cando di raggiungere un’oggetto e seppure non ci fosse da parte sua nessuna richiesta d’aiuto, l’e- ducatrice glielo porge. Questa situazione ci ha dato motivo di fermaci e riflettere perché in- dipendentemente dal momento specifico in cui era avvenuta, in cui si poteva parzialmente giu- stificare la difficoltà dell’educa- trice di osservare, mentre lei stes- sa era osservata, ci ha permesso di vedere qualcosa che ricono- scevamo come parte di un no- stro modo di fare, non insolito. Ci siamo dette: - spesso è più facile fare che stare nell’attesa. Spesso è difficile non fare tan- te cose. Facciamo “tanti lavori” che riempiono luoghi e tempi già troppo pieni. Cosa vuol dire prestare attenzione a quel che accade? Saper stare non è non fare. Stare è fare, è poter coglie- re, è saper accogliere quel che c’è, quel che ci potrebbe essere, vuol dire permettere. Mi viene in mente un albo illustrato: “An- cora niente?” “ancora niente?” è la domanda ansiosa dell’attesa, la richiesta di certezze, di ri- sposte. Ancora niente? E’ la dif- ficoltà a stare nel momento di mezzo, intermedio, nel quale ac- cade qualcosa, i greci lo chiama- vano kairos, dove succede qual- cosa che bisogna saper cogliere, un tempo diverso da Chronos, sequenziale, l’organizzato, stabi- lito, quantitativo”. in ogni persona, una cosa fonda- mentale per vivere, ancor più forte nell’età della crescita: la vo- glia e il bisogno di immaginare e fare dei progetti. Nella cattedra, bambini e adulti, hanno avuto la possibilità di potere incontrarsi e incrociare caratteri, fare sto- rie, così come la musica gli ha accompagnati in cucina a cer- care nelle utensili gli strumenti. Gli oggetti e lo spazio sono me- diatori, mettono in relazione le cose con i pensieri, la stanza con le cose, gli uni con gli altri, sono insieme contenitori di libertà e di vincoli, possono fare essere bambini e adulti dei composi- tori di opportunità. Quando questo avviene, c’è la scoperta, stupore, meraviglia perché si sente che c’è qualcosa di grande e di bambino in ognuno. Noi, noi come maestre, educato- ri, alcune, chiediamo ai bambini di fare quello a che a loro non in- teressa tanto, perché pensato e-o fatto da noi un po’ al posto loro. Dobbiamo esserci nell’esperien- za, fare parte dell’incontro. Come fare? “Non è facile!” Tra tutte le parole del racconto di Emanuela, queste parole sono quelle che mi sono scritta, mi hanno fermato: “Non è facile”, tra certezza e in- certezza, al di là del momento che stiamo attraversando, è sem- pre difficile, questo stare tra cer- tezza e incertezza “Non è facile”: “Non è facile!” abbiamo incon- trato belle esperienze e riflessioni durante tanti incontri, momenti di formazione, però” non è facile passare dall’eccezionale al sape- re quotidiano, alla saper essere con, non è facile.” ● Francesca Ciabotti: “Io sono d’accordo, non è facile, così come ce lo ha raccontato Ema-
  • 10. 18 19 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER proprio nel tessere relazioni con questi soggetti, si è aperta una nuova strada. Il mandato istitu- zionale del dott. Valerio Valeriani è stato: dobbiamo elevare la quali- tà dei servizi. Il compito è quello di portare in luce chi siamo e mettere in rela- zione i soggetti del sistema 0-6 affinché si possa fare scambio di esperienze, valorizzare le realtà che hanno mostrato e mostrano maggiore intraprendenza e inte- resse nella ricerca pedagogica ed educativa e ci si apra all’esterno. Il mandato era chiaro ma le dif- ficoltà iniziali sono state non sa- pere bene come dare forma e vita pulsante al sistema. Il primo anno e mezzo è stato de- dicato a capire cos’era questo si- stema integrato e chi eravamo. Ci siamo occupati del piccolo oltre che nel grande, abbiamo opera- to con l’intento di aver cura dei tre ambiti, come tre sottogruppi del coordinamento associato e dell’intero sistema insieme. Il nodo delle figure di riferimento 06 Rappresentanza per un dialogo Già definire le figure di riferi- mento e di rappresentanza ha richiesto due anni e mezzo per il segmento 3-6 anni delle scuole dell’infanzia statali poiché l’uffi- cio scolastico regionale e provin- ciale non hanno dato fin dall’ini- zio indicazioni chiare e rapide. Poi, su richiesta del coordinatore d’ambito, è arrivata l’indicazione che sarebbero stati i dirigenti a nominare le loro figure interne di rappresentanza per lo 0-6. Qual- che dirigente l’ha fatto, ma qual- cuno ha detto “beh, io ancora devo ancora capire bene cosa sia questa cosa”. Dal 2022 abbiamo finalmente i nominativi dei refe- renti per tutti i servizi educativi e le scuole, c’è un gruppo whats Lucia Benvenuti: “In questo rac- conto c’è “rispetto” e “ tempo” e aggiungerei “fiducia”, non pos- siamo dare rispetto e dare tempo se non diamo fiducia. La fiducia è la sicurezza che quel bambino possa portare qualcosa di nuovo a quel contesto e a quei bambini che possano portare qualcosa di nuovo in quelle relazioni. La fi- ducia è qualcosa che si dà un po’ alla cieca, a prescindere, al di là Difficoltà iniziali La difficoltà iniziale è stata con- dividere gli elementi istituzionali e normativi. Nella fase di avvio del coordinamento, nonostante i tre ambiti fossero congiunti, li abbiamo considerati tre territori da curare ciascuno attentamente. Sono stati fatti più incontri nei tre ambiti, tenendo presente l’am- piezza del territorio, e gli stessi dirigenti scolastici hanno parte- cipato all’incontro iniziale di pre- sentazione sul sistema integrato 0/6 e sulle funzioni del coordi- namento pedagogico. Interessati ed a volte anche poco informati sul nuovo quadro normativo hanno gradito la presentazione ed il confronto soprattutto per la possibilità che il coordinamento pedagogico potesse diventare un alleato operativo a supporto della scuola dell’infanzia statale. I commenti di alcuni dirigenti app che si è costruito dopo quat- tro anni e sta aiutando molto la comunicazione, creando imme- diatezza e vicinanza. Sono pic- cole cose, però quando dai una risposta immediata a un inse- gnante che dice “io non ho capito bene questa cosa. La formazione dell’ufficio scolastico regionale, è la stessa che facciamo noi? Si sovrappone oppure è integrata?” Quando si riesce a dare una ri- sposta immediata ad un referen- te di una scuola dell’infanzia che poi farà da portavoce con tutto il team di docenti, l’informazione passa. Fintanto che si inviavano solo le lettere istituzionali dal protocollo dell’ambito che ci mettevano due giorni a partire, o tornavano in- dietro perché l’indirizzo di posta era errato o la casella del destina- tario era piena, oppure si ferma- vano nelle segreterie delle scuole che magari tardavano a rigirarle ai vari plessi, le informazioni fa- cevano fatica a passare. Ora abbiamo accorciato e otti- mizzato i fili del contatto con i referenti di tutti i servizi 0-3 e delle scuole dell’infanzia, il dia- logo è più intenso e molto più efficace. di quelli che sono i fatti reali: “Mi fido e quindi ti lascio spazio, ti do tempo, ti ascolto”. Dove ci porta questo circo? Ma- gari non era neanche chiaro, non so Emanuela, magari all’inizio poteva anche diventare una gran confusione: i pagliacci, gli ani- mali, il mago, la musica; crolla il circo! E invece è stato un bel mix e forse proprio perché quei bambini hanno sentito che c’era “ah meno male adesso ve ne oc- cupate voi di questa cosa!” “va bene, allora cosa possiamo fare?”, “speriamo che non duri solo qualche anno!”. L’impressione è che in generale il segmento dei bambini 3-6 anni, soprattutto negli istituti com- prensivi grandi, rimane il primo gradino della formazione un po’ dimenticato; ancora di più lo 0-3 che fino ad oggi era considerato al di fuori del sistema di educa- zione e istruzione del MIUR. Nell’emergenza della pandemia alcune insegnanti ci hanno det- to: “Guarda, per il lockdown ci avete chiamato prima voi che il mio dirigente”. Questo è esem- plificativo: far arrivare una chia- mata da parte del coordinamen- to pedagogico che si interessa del come stanno le insegnanti e le educatrici e di cosa sta succe- dendo nella loro realtà scolastica, a volte prima ancora del contatto Continuità educativa e consulenza pedagogica Il tavolo di coordinamento pe- dagogico degli ambiti 16-17-18 dell’alta provincia di Macerata ha la rappresentanza di tutte le tipo- logie di servizi educativi, laddove vi sono: nidi d’infanzia pubbli- ci e privati, centri infanzia e di aggregazione, nidi domiciliari, scuole dell’infanzia e sezioni pri- mavera (nel nostro territorio ne abbiamo solo due all’interno del nido). Il coordinamento pedago- gico non è rappresentato da una sola figura che si occupa di tutto. Io sono la referente dal punto di vista organizzativo che tengo i fili organizzativi, lo sviluppo delle diverse azioni, la parte ammi- nistrativa e coordino il gruppo delle sei persone nominate dai servizi e dalle scuole, rappresen- tative delle diverse realtà zero-sei tre-sei, compresi due agri-nido e agri-infanzia e che danno gli in- dirizzi pedagogici e operativi del coordinamento. Rispetto alla continuità tra nidi d’infanzia e scuole dell’infanzia: ci sono percorsi ed esperienze molto differenziate a seconda delle realtà territoriali e culturali. una buona guida, c’era un buon riferimento, per cui loro si sono potuti sperimentare, ecco, han- no sentito: “Qualcuno ha fiducia in me.” Dare fiducia è anche dare re- sponsabilità, perché io ti do fidu- cia ma poi tu devi fare qualcosa di questa fiducia. I bambini in qualche modo l’hanno sentito e ha funzionato grazie alla relazio- ne reciproca. del proprio istituto comprensivo, mi ha colpito tanto. Riconoscere i Servizi, elevare la qualità. Chi siamo ? Quindi, il coordinamento pedago- gico è stato percepito fin dall’inizio come una possibilità di ascolto, di attenzione e di riconoscimento del 3-6; per lo 0-3, ancora di più, poiché i nidi d’infanzia, i centri infanzia o i centri di aggregazio- ne hanno un passaggio formale con gli ambiti territoriali sociali nell’approvazione ma poi spesso rimangono un semplice elenco nell’offerta dei servizi territoriali per l’infanzia e poche relazioni di continuità verticale hanno con le scuole dell’infanzia. Quando il coordinatore d’ambito ha rilanciato e sostenuto la gran- de opportunità che il coordina- mento pedagogico poteva avere Nascita di un Coordinamento pedagogico territoriale QUALE RETE DI RELAZIONI? FEDERICA DI LUCA
  • 11. 20 21 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER zero-sei più ampia, coinvolta con gli interventi per le famiglie, ab- biano la percezione concreta che c’è una rete di supporto con pos- sibilità diverse, non accentrata ma diffusa e organizzata in nodi funzionali e di scambio, a vari li- velli: il gruppo di coordinamen- to, la referente, il team di consu- lenza pedagogica, i singoli servizi e scuole. Negli ultimi due anni gli interventi del coordinamen- to sono stati resi possibili grazie all’implementazione delle risorse per il sistema integrato 0-6 da parte delle Unioni dei Comuni, in varie forme; una strategia di sistema promossa, motivata e sostenuta in maniera eccellente dal coordinatore d’ambito. Non è scontato che il coordinamento pedagogico presenti le proprie azioni nei comitati dei sindaci o partecipi al processo dialogico di definizione del piano sociale dei tre ambiti, per diversi temi: infanzia e povertà, dipendenze. Il coordinamento pedagogico rappresenta il mondo zero-sei non solo della scuola ma anche nell’area delle fragilità, delle di- pendenze, della famiglia. La partecipazione ai vari tavoli consente di narrare e diffondere la strategia del coordinamento nel piano d’ambito sociale inte- grandola nella definizione delle politiche territoriali locali; al- trimenti rimane una questione solo tra insegnanti, educatori e qualche dirigente maggiormente motivato e tra il tavolo territo- riale e i coordinatori d’ambito. Se non esce da questa dimensione limitata, se non entra nel ricono- scimento più ampio delle politi- che territoriali sociali, perde di rilevanza e efficacia. Un sindaco sceglie di compartecipare all’in- vestimento per il coordinamento pedagogico se riconosce che nel proprio territorio c’è un ritorno e se ha cognizione delle azioni e In generale il tema della continu- ità dovrà essere esplorato dal no- stro coordinamento pedagogico sia nel passaggio nido-infanzia, sia nel passaggio infanzia-pri- maria. Lo sviluppo dell’azione di consulenza pedagogica che abbiamo da poco avviato per il primo anno, potrebbe offrire l’oc- casione per far emergere il tema e approfondirlo, nonché per docu- mentarlo e scambiarlo. Infatti, nella recente azione di consulenza pedagogica siamo partiti raccogliendo le manife- stazioni di interesse di servizi e scuole negli anni passati su un ventaglio di tematiche che ri- mandavano agli items del moni- toraggio iniziale che ha coinvolto tutto il sistema 0-6 e sono stati oggetto della formazione (am- bientamento, relazioni educati- ve, tempi e ritmi della giornata educativa, cura e routines, spazi, gioco, attività di apprendimen- to, partecipazione delle famiglie, cooperazione tra operatori, pro- getto pedagogico annuale, con- tinuità). Sono state poste alcune domande che potevano aiutare la comprensione dell’intervento di consulenza pedagogica, nuo- vo nel panorama dell’offerta pe- dagogica: “Facendo riferimento agli item ci sono degli oggetti di ricerca che interessano la vostra realtà educativa? Ci sono delle questioni aperte che volete ap- profondire? Degli elementi di criticità che volete portare all’attenzione della consulenza pedagogica e per cui chiedete un supporto esterno? Il coordinamento pedagogico de- gli ATS 16-17-18 ha attivato un gruppo di consulenza ristretto costituito da tre figure con pro- fessionalità complementari che da gennaio stanno lavorando in team. Le osservazioni nelle scuole e nei nidi sono state svolte sempre da almeno due compo- del senso degli in- terventi. Il ponte tra politica ed educa- zione va costruito e sostenuto con cura. Poi penso che ci sia molto da imparare da altre esperienze già avviate. E’ così che abbiamo inizia- to: invitando Mar- zia Fratini di Mace- rata e Rita Tancredi di San Benedetto, in rappresentanza dei rispettivi coordina- menti pedagogici, a raccontare il loro percorso. Specifico il tema della consulenza in maniera diversa: ha individuato con selezione pubblica quattro inca- richi per l’attività di supervisione dei gruppi educativi nell’ambito del coordinamento pedagogico 0/6 con una copertura territoria- le di tutti i servizi e scuole. Noi abbiamo optato con la raccolta di manifestazioni di interesse e con il coinvolgimento iniziale di un gruppo pilota e sperimentale del percorso di consulenza peda- gogica. Abbiamo privilegiato l’e- mersione della domanda di aiuto anziché l’offerta di consulenza a tutti i servizi viste le fatiche so- ciali del momento che hanno rilevato una diffusa reticenza ad aprire le porte dei servizi e delle scuole. E queste fatiche sono una realtà! Dal seme di Federica Di Luca: riflessione e confronti Francesca Ciabotti Veramente la costruzione del coordinamento territoriale è un lavoro ciclopico, nel senso della definizione di ciclopico :“gigan- nenti del gruppo, le supervisioni utili alle restituzioni sono state condivise da tutto il team così da avere uno sguardo plurimo e un contributo il più ampio possibile. All’interno della consulenza pe- dagogica un tema come la “sezio- ne primavera”, potrebbe diventa- re domanda di ricerca e trovare spazio specifico: “Noi vorremmo aprire una sezione Primavera, oppure ce l’abbiamo già, cosa possiamo fare? Ha senso? Non ha senso? In questo momento storico, rispetto il territorio e chi siamo noi”. ● Comeperaltritemilesezionipri- mavera ed i passaggi nido-scuola infanzia e nido-primaria devono uscire dalla riflessione ordinaria per essere veramente approfon- diti; bisogna accendere un faro di attenzione e di intenzionalità pedagogica condivisa su questi temi e ciò non è così facile. Ab- biamo, infatti, osservato che la stessa espressione dei bisogni da parte dei servizi e delle scuole è complessa sia per l’ampiezza dei temi che pongono (spesso oltre la competenza pedagogica), sia per le modalità nelle quali diventano espliciti. La definizione del biso- gno non è chiara e necessita di un processo di emersione e coscien- tizzazione. Uno dei percorsi che stiamo af- frontando con un gruppo di sei scuole dell’infanzia, afferenti ad un unico istituto comprensivo, è proprio questo. La domanda di consulenza iniziale non era chia- rissima e condivisa; è, quindi, evoluta in corso d’opera, anche nel confronto con la dirigente scolastica ed è cambiata ridefi- nendosi. Il confronto offerto dal- la consulenza ha aiutato la defini- zione più puntuale del bisogno e dell’interesse. Altro esempio: l’azione della tesco”, “enorme”, “imponente”, “molto grande”. Ci troviamo a lavorare per costruire una rete sociale, formale, tra istituzioni, all’interno di un immenso si- stema che è fatto di tanti piccoli microsistemi. Questo implica una enorme capacità di lavorare all’interno di una definizione di relazioni molto complessa. Cosa è venuto alla luce dal seme di Fe- derica? Intanto le due parole che porteremo avanti in questo con- vegno nazionale: la complessità e l’incertezza. L’incertezza è quel- la iniziale, nella sfida di questo lavoro. A parte alcuni paragra- fi, frasi, tracce nel D.L. 65, si è iniziato a lavorare per la costru- zione dei coordinamenti peda- gogici territoriali in assenza di modelli e questo significa avere la capacità di “tenere” l’incertez- za e andare avanti; Federica l’ha chiamata anche “sperimentazio- ne”: incertezza come capacità di sperimentazione. L’altra cosa che mi sembrava importante sottolineare è che nei vostri Ambiti avete avuto formazione è un intervento che raccoglie generalmente un’am- pia partecipazione ogni anno; si propone di rispondere agli inte- ressi prevalenti emergenti anche dall’indagine valutativa finale dei percorsi di formazione ma in essa non sempre trovano spazio le ri- sposte a domande più puntuali e specifiche di un team educativo, come potrebbe essere quella da te posta sulle sezioni primavera. Può aiutare occuparsi del tema a livelli diversi: a livelli micro che poi tornano al grande gruppo, al grande sistema e nel caso del tema della sezione primavera i diversi passaggi diventerebbero patrimonio di tutti, il focus si amplierebbe e da questo si po- trebbero presentare diverse pos- sibili risposte. Il tema verrebbe discusso nel proprio team, nel gruppo ri- stretto di consulenza ma potreb- be essere osservato, riflettuto e documentato al livello pluridi- mensionale in tutto il sistema integrato zero-sei ed essere utile a molti. Insegnanti ed educatori partecipano ogni anno ad una o al massimo due azioni promos- se dal coordinamento, in forma diretta ed indiretta; partecipano a ciò che corrisponde ai loro in- teressi e necessità, in relazione al tempo, alle motivazioni e all’in- vestimento che vogliono fare ma se il coordinamento è una rete di funzioni diverse, al quale si può attingere anche per bisogni diversi, se è una rete di possibi- lità che sostiene la professionali- tà educativa, con informazioni, scambi, spazi di ascolto e acco- glienza, oltre a quello già offerto e disponibile nelle singole realtà scolastiche, allora si motiva l’in- teresse, il sentirsi parte ed il coin- volgimento. Stiamo tentando di lavorare af- finché ogni insegnante ed edu- catore ma anche la popolazione
  • 12. 22 23 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER ed eventi che si susseguivano e abbiamo recuperato piccoli te- sori come fa una rete: pesca, rac- coglie, recupera. C’era la netta sensazione dello spaesamento, dell’incertezza, della perdita, del- la paura e dell’angoscia; il coordi- namento pedagogico c’era anche fuori delle consuete prassi isti- tuzionali, c’era nella cura delle relazioni, nella presenza, “come stai tu in questo momento?” Nel- la sintesi credo si giochi proprio, in questi specifici passaggi, il nu- cleo più vero del sistema istitu- zionale zero-sei, soprattutto nelle emergenze. Come stai tu come insegnante e persona? di cosa hai bisogno e cosa ti manca? Cosa posso fare per aiutare? Come hai sentito i genitori? Come stanno i bambini? Il sistema istituzionale dello 0-6 è sceso dove il bisogno c’era. Questo può accadere e ripe- tersi più volte se si riesce ad avere una visione sociale del sistema. Certo, ogni volta ci sono delle inconsuete incursioni da fare, molto vicine a quella scuola, a quel team; sono richiesti percorsi avventurosi di vicinanza, la sola che tuttavia consente di percepir- si in profondità, di sentirsi, allora la relazione è davvero quello spa- zio “tra”. C’è molto da lavorare. Il mio obiettivo futuro è quello di pas- sare veramente all’incontro nei luoghi. Lo avevo immaginato fin dall’inizio ma, forse, era davvero prematuro. Bisogna capire quan- do proporre le cose in relazione a cosa si sta facendo, a chi hai di fronte, se il territorio è pron- to. Vedo, tuttavia, che sta quasi emergendo da sola questa ne- cessità perché poi entrando nei servizi e nelle scuole ci si sente dire “Sai che mi incuriosisce dav- vero tanto andare a visitare un’al- tra realtà! Ma quale?” quella a 5 km, a 10 km” “Certo è bellissima anche l’esperienza fuori Regione una grande capacità di autoor- ganizzazione e siete stati capaci di trovare al vostro interno una modalità di percorso. L’altro ele- mento strategico è che siete stati in grado di costruire una rap- presentanza. Credo che anche questo sia un elemento molto importante: quando Federica parlava del lavoro iniziale della mappatura dei servizi mi sembra che sia stato fondamentale l’aver portato a una conoscenza, a en- trare “dentro”, ma anche a tirare “fuori” da ogni servizio un rap- presentante. All’interno di questo enorme si- stema complesso che bisogna in qualche modo autogovernare è necessario mantenere la capaci- tà di vicinanza, bisogna essere veramente idonei e competenti a rappresentare e a condivide- re, senza perdersi nelle figure apicali. Dobbiamo costruire una rete di relazioni per evitare il ri- schio di perdersi nel territorio e soprattutto perdersi le domande dei territori. Questa esperienza dimostra che bisogna aver chia- ri gli obiettivi e la funzione del coordinamento pedagogico e conferma la difficoltà del lavoro del coordinatore che, sia quando lavora nel piccolo, sia nel grande ha di fronte un paesaggio così vasto di cui tenere i fili che ri- schia di perdersi, ecco questa è la parola il rischio di perdersi, per- dere i collegamenti, i fili, i con- tatti, l’ordito, la trama con tutto il resto. ● Federica Di Luca Farsi carico. “scendere a fianco di ogni sin- golo servizio” Io il rischio di perdersi l’ho vi- sto in alcuni momenti quando lo sguardo diventa troppo ma- cro, cioè guarda troppo dall’alto; allora si perde inevitabilmente ma dobbiamo re- cuperare i legami corti: in una visi- ta dialogata, nella possibilità di essere osservatori in un altro servizio, nella dimensione di in- tervisione, dentro il territorio. Ci arrive- remo pian piano. ● Gina Iacomucci Io volevo chiederti questo, sono pen- sieri che mi si in- trecciamo anche per le suggestioni degli ultimi giorni di Paolo Nori per la censura del cor- so su Dostoevskij, (…” che senso ha oggi leggere Do- stoevskij nel 2021, perché una persona di 20, di 30 di 40, di 70 anni dovrebbe mettersi a leggere o rileggere Dostoevskij, ecco do- manda che non mi mette mini- mamente in imbarazzo la mia ri- sposta è “ non lo so”. Uno scrittore russo Rasosf descrive Dostoevskij come un arciere nel deserto con una faretra piena di frecce e si colpiscono esce sangue. E poi uno potrebbe chiedermi: “E a te piace sanguinare?” “In un certo senso si!”: nel senso che viviamo in un tempo in cui valgono solo le vitto- rie i vincenti, un tempo in cui il participio presente non indica una condizione temporanea, è un’offe- sa, un tempo dove se ti chiedo- no “Come stai? e te lo chiedono continuamente devi rispondere “benissimo!” con il punto escla- mativo. Viviamo in un tempo in cui devi nascondere le tue ferite, i tuoi dispiaceri, come se tu non fossi fatto di quelle di quelli. Mi è venuto in ” mente Angelo Maria Ribellino che quand’era in sana- torio, in repubblica Ceca e si cura- il particolare, che non va perso perché nel particolare c’è la carat- terizzazione specifica del singolo servizio con quella maestra, con quella insegnante, quel gruppo di bambini e genitori. Anche stare troppo tempo e troppo intensa- mente nel piccolo può far perde- re il senso dell’ampiezza, del re- spiro di sistema e delle relazioni vitali. Riflettiamo sul tempo della pan- demia: alcuni coordinamenti pe- dagogici erano in caso di strut- turazione nella nostra Regione e non sono intervenuti a supporto del sistema 0/6 nel proprio ter- ritorio, altri, come noi, avevano fatto alcuni passi, ma sull’azione dei coordinamenti pedagogici in tempi di emergenza non aveva- mo dei modelli da seguire. An- che con l’esperienza del terremo- to nei nostri territori avremmo potuto fare tanto e nulla perché risentiamo di una grande stan- chezza data dalla somma delle emergenze e dal mancato recu- pero delle forze. Prima della pan- demia avevamo già svolto un pri- mo corso di formazione dedicato alla documentazione dei processi educativi nello 0/6 ma come pro- cedere per sostenere il sistema in tempi di pandemia, fin da subi- to? Un coordinamento pedago- gico non propone solo corsi di formazione ma si fa carico delle relazioni fra i soggetti della rete, soprattutto delle relazioni più sottili. ● La pandemia ha messo forte- mente in crisi i sistemi scuola, famiglia, sanità, lavoro; in alcuni casi li ha fatti proprio saltare: la scuola ha chiuso, per esempio, insegnanti, bambini e personale scolastico tutti a casa. E’ come se la forma dei macrosistemi istitu- zionali così tanto consolidata ne- gli anni non funzionasse più e ri- va, chiamava se stesso e gli altri ricoverati i “nonostante” l’avverbio si fa sostantivo a indicare noi tutti contrassegnati da un numero sbi- lenchi, gualciti, piegati da raffiche, opponevamo, la nostra caparbietà all’insolenza del male… …. Essere dei “nonostante” perché come dice un cantante canadese è attraverso le crepe che si vede la luce, questa condizione riguarda tutti noi in ogni tutti noi in ogni condizione della nostra vita quan- do provi un sentimento… che non ha un nome preciso e se ce ‘l’ha io non lo so”) Cosi incoraggiata da questo pensiero delle crepe e delle pie- ghe, per valore che hanno nel- la nostra esperienza, domando quanto nelle diverse esperienze che abbiamo di coordinamento, nella costruzione di percorsi tra servizi educativi, quanto abbia- mo appreso dalle storte, dalle crisi, dalle differenze, andando, attraversando, sostando tra, con le scuole dell’infanzia statali, i nidi d’infanzia, scuole private, servizi a gestione indiretta? Di chiedeva una ristrutturazione. La pandemia ha richiesto flessibilità e resilienza inconsueta ai sistemi burocratici. Quindi, in teoria, si sarebbe potuta incrinare anche l’operatività del coordinamento pedagogico, quale sistema istitu- zionale. Più che legittimo! Inve- ce, come referente mi sono detta, che facciamo adesso? Mi metto direttamente in campo io! Ed in effetti ho mantenuto vivo l’impul- so sottile e delicato dei fili relazio- nali chiamando personalmente tutti i servizi e tutte le scuole, a casa, sul cellulare della maestra e dell’educatrice per chiedere cosa stesse succedendo. “Come stai? Il servizio o la scuola è chiusa? Hai contattato i bambini? le famiglie? Come stai tenendo la comunica- zione?” Ne è emerso un mondo estremamente interessante. Im- mergersi nella fitta rete di rela- zioni del sistema 0/6 ha messo in luce le fragilità conseguenti alle emergenze (terremoto prima e poi pandemia) e che i traumi a li- vello collettivo hanno un impatto diretto sulle esperienze indivi- duali così come il trauma vissuto a livello individuale è influenzato dal trauma vissuto a livello co- munitario. C’è stata la necessità di scendere proprio a fianco di quel singolo servizio e di quella singola scuola, seppure a distanza ed anche se non la si conosceva così bene. Quella telefonata ha avuto un va- lore maggiore di tante altre azio- ni “ Grazie di questa telefonata, non me l’aspettavo”, hanno rispo- sto molte insegnanti ed educatri- ci. La scuola come istituzione era fragile non sapeva ancora cosa doveva fare, come intervenire nel mezzo dell’emergenza pande- mica. Lì ho avuto la percezione che avessimo recuperato scuo- la, insegnanti, bambini e fami- glie, allontanati e spaventati dal flusso inaudito di informazioni
  • 13. 24 25 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER cosa è fatta la complessità di un sistema? Dove sono o sono state le crepe? Cosa abbiamo fatto con le crepe, con le fratture? Cosa hanno permesso tutti i “nonostante”, quelli che” ci sono stati” come hanno favorito per trovare un contatto, un punto d’incontro rispetto gli inciampi, le difficoltà, una buona resisten- za rispetto un comune obiettivo. Lo chiedo per un bisogno di non cadere dentro le crepe e scorag- giarci, per non scoraggiarmi, no- nostante i blocchi, le retromarce e le non partenze. Per pensare che questi “nono- stante”, sono le differenze, quelle che fanno la differenza, che fan- no le ragioni, la tenuta, quelle che ci possono aiutare, perché questi ci devono incoraggiare. ● Federica di Luca Il gruppo è una grande forza Personalmente lo sguardo ce l’ho sempre in una prospettiva positiva, nonostante i numerosi elementi di criticità che soprag- giungono e le ferite che si aprono. L’esperienza diretta del terremo- to ha reso necessario far emer- gere questa visione ed ha, forse, maturato alcune competenze in tal senso. Scelgo la dimensione pratica e intellettuale dell’attra- versamento della ferita e non dell’elusione, trovo nella ferita ciò che può risorgere ed emergere dall’ombra e non solo quello che può impantanare e lasciar mori- re. Se penso alla storia di questo coordinamento ci sono stati mo- menti nei quali sarebbe potuto crollare tutto con grande facilità ma così non è stato. Bastava solo che avessi un po’ abbassato il filo della regia fiduciosa nelle possi- bilità e sicuramente sarebbe an- data diversamente! Ci sono stati momenti di gran- de scoraggiamento del gruppo di coordinamento. Tuttavia ho sempre creduto che il gruppo è una grande forza: laddove in quel momento con il mio servizio, la mia realtà, il mio specifico, la mia storia sono in affanno, ci può es- sere un’altra persona del coordi- namento che può aiutare a ricu- cire quel filo lacerato e riparare i legami perché in quel momento ha le risorse per farlo mentre io no. Più persone in un gruppo di coordinamento pedagogico sono un fattore di resilienza. Porto un esempio: un momento di difficol- tà per il nostro coordinamento è stata la fase di rielaborazione dei dati del monitoraggio del sistema integrato 0-6, lavoro durato due anni. Quando, dopo la somministra- zione dei questionari, con il sup- porto di una sociologa abbiamo costatato l’inefficacia dei dati rac- colti per una restituzione statisti- ca quantitativa, è sopraggiunta stanchezza e sfiducia: “Buttiamo via tutto? E cosa restituiamo?” Sentivamo forte l’esigenza di ren- dere visibile e riconoscere il lavo- ro che era stato fatto dalle singole insegnanti e dai team che tanto si erano impegnati, che aveva- no risposto quasi nella totalità, che avevano osato, rischiando di esporsi nell’autovalutazione, che avevano messo in campo dispo- nibilità di tempo e di persone. I questionari sono stati portati nei team e nei collegi docenti; c’è stato un lavoro ed una partecipa- zione non scontata. ● Qualcuno avrebbe potuto dire “Non mi interessa. Ho altre cose da fare”. Hanno invece partecipa- to e non solo per senso del dove- re. A questo punto del processo bisognava trovare una diversa forma di restituzione poiché i dati raccolti non erano una foto- grafia reale dello status dei servi- zi quanto piuttosto lo specchio dei desiderata. Decidiamo di re- stituire il processo, puntualizzan- do dove siamo arrivati, e soprat- tutto costruiamo una proiezione di ricerca futura. Il report, per esempio, ha incluso in un’appen- dice finale, una carrellata di im- magini fotografiche degli spazi dei servizi e delle scuole. Ha un valore di riconoscimento trova- re il proprio servizio e scuola in una pubblicazione del sistema integrato 0-6 e muove la doman- da nel confronto. “Guarda un po’ lo spazio esterno del mio nido com’è? E’ pieno di giochi, l’altro è libero e organizzato diversamen- te; il mio è pieno di panchine che consentono delle comode sedute ma lascia poco spazio alla corsa ed al libero movimento; quell’al- tro non esiste perché non c’è pro- prio lo spazio esterno”. Questo è interrogante. Chiedere di fotografare gli spazi interni e esterni e farlo con una certa attenzione è un primo atto con- creto sulla via della ricerca: quale idea di educazione e di appren- dimento emerge dalle scelte di organizzazione degli spazi e dei materiali, chi siamo, cosa voglia- mo mostrare del nostro servizio, come ci narriamo. Questo è ciò che intendo quando ho detto di attraversare la ferita cercando le possibilità ulteriori, anche quelle inaspettate. Abbiamo offerto una restituzione diversa del monitoraggio rispet- to a quella immaginata ma alla fine più interessante perché non compiuta, anzi aperta e ampia di possibilità di ricerca, sostenuta da un’idea articolata e comples- sa di sistema zero-sei. Abbiamo messo un primo punto su chi siamo come sistema 0-6 “Su que- sto ci riconosciamo. Da qui ri- partiamo”. Forse, ogni tanto, può aiutare fare questo: condividere il punto in cui stiamo. IL TEMPO PRESO Storia del gruppo di studio Pikler VERONICA PAOLI, VALERIA AMBROGIANI, GINA IACOMUCCI, LUCIA BENVENUTI, MARIA GIOVANNA IANUARIO, VALENTINA TONUCCI I l gruppo di studio si è riuni- to per la prima volta nel feb- braio 2016, ma il desiderio di incontrarsi seguiva espe- rienze avute in precedenza. Che cosa ha portato alcune educatrici, che non era la prima volta che partecipavano insie- me a percorsi di formazione, a ritrovarsi per fermarsi a riflet- tere e studiare? Riconosciamo che c’è un lega- me che unisce alcune di noi per le parole ascoltate durante la formazione, abbiamo voglia di ritrovarci per non perderle, per non perderci, abbiamo desiderio di frequentarci con costanza per le cose che abbiamo in comune, gli scopi, le aspirazioni, la cono- scenza, per capire, leggere, stu- diare. Sicuramente, come ogni inizio, anche il gruppo studio nasce da un’onda emotiva: il desiderio, il piacere di ritrovarsi ma anche dalla scelta di persone attive e au- tonome consapevoli dell’impe- gno che un gruppo richiede. Una scelta, appunto, attiva e au- tonoma, sulla quale non posso- no non avere influito, aver avuto riflesso, su noi educatrici, i pen- sieri che avevamo incontrato nei percorsi di formazione rispetto alla idea di bambino: fin dalla nascita soggetto d’azione e non di reazione, sensibile, aperto al mondo, pieno di iniziativa, auto- nomo, solidale, comunicativo, si- curo di sé, capace di pensare con una propria logica. Eravamo consapevoli che i bam- bini molto piccoli come quelli che incontriamo nei nidi sono in un periodo della vita molto importante e decisivo perciò ri- tenevamo necessario riformula- re le nostre pratiche e le nostre riflessioni. Il gruppo che abbia- mo chiamato “Gruppo di studio Pikler” si ispira all’esperienza di Emmi Pikler a Lòczy, significati- ve queste poche righe: “Il “dono” più grande che il bam- bino può ricevere dall’adulto che si prende cura di lui fin dalla pri- missima età sono uno spazio e un tempo sufficienti per sperimentare le proprie possibilità autonome di apprendimento, in una completa autonomia, in completa armonia con il proprio livello di maturità, con gli interessi e le iniziative di ogni momento. La capacità di arrivare dalla po- sizione neonatale a quella eretta per spinta propria, senza alcun bisogno di esercizi, anticipazioni, sollecitazioni dall’esterno, e per giunta con un ottimo risultato nella qualità del movimento, ha cambiato radicalmente il modo di vedere e di pensare il bambino e il rapporto che l’adulto stabilisce con lui. L’aiuto dell’adulto alla crescita del bambino si trasforma quindi da una forma di manipolazione, di fornitura o riempimento, giu- stificata da una considerazione di incapacità, a una forma di tute- la e di supporto ad un delicato e basilare processo di maturazione che il bambino continua a fare dopo la fase di gestazione e la na- scita. Questa tutela e supporto si tra- ducono in conoscenza, e quindi attenzione, per ciò che il bambino sta vivendo e facendo, riconosci- mento e rispetto per la sperimen- tazione che sta compiendo, ga- ranzia delle condizioni adeguate, condivisione di tutto il piacere per le macro e micro conquiste pro- Conforto reciproco e confronto acceso.
  • 14. 26 27 ZEROSEI up TEMPO DI SEMINE DOSSIER pendente dall’autorità e sottomes- so al riconoscimento permanente dell’altro, timoroso della punizio- ne e desideroso del premio, un es- sere competitivo per essere sempre il primo? Un essere che pensa che l’identificazione con l’altro è con- fondersi con l’altro? Allora, con- sapevoli della nostra scelta: Qual è il ruolo dell’adulto, della società e dei professionisti per il rispetto della persona dalla più precoce infanzia e il suo diritto a essere riconosciuto come chi è?” (Il con- cetto di autonomia nello sviluppo infantile precoce: coerenza tra teo- ria e pratica. Myrtha Chokler) E questi sono i valori che abbia- mo ri-conosciuto attraverso le parole dalla nostra formatrice dottoressa Myrtha Chokler: Ri- spetto, sicurezza, autonomia. RISPETTO per il bambino e la sua famiglia, per il diritto del bambino ad essere protagonista del suo sviluppo, per la maturazione neuropsicolo- gica del bambino. SICUREZZA Affettiva, posturale, corporea, umana, ambientale e materiale. AUTONOMIA come possibilità di scegliere, di prendere iniziative, come fiducia nelle proprie capa- cità. (liberamente tratto da “Gli orga- nizzatori dello sviluppo “ Myrtha Chokler) Ritornando all’inizio di questo racconto, che ci ha portato in questi giorni, ad andare e tor- nare, con la memoria, alla storia del gruppo Pikler, nel ripercorre il sentiero che abbiamo tracciato come gruppo, abbiamo ritrovato nei passaggi, tutte, un comune incontro: quello con un pensiero ed un luogo, il pensiero di Emmi Pikler e Loczy, in particolare, attraverso la voce, le parole, le gressive.” (così si legge in “Datemi tempo” di Emmi Pikler) Come potevamo noi adulti non sentirci chiamati ad agire nella responsabilità dell’educazione? L’approccio pikleriano contrad- distingue il gruppo ma ognuna di noi aveva inizialmente una sua motivazione particolare per deci- dere di farne parte: - un’occasione per avere uno spa- zio per pensare, studiare, appro- fondire la parte teorica per ripor- tarla alla pratica quotidiana; - condividere l’idea di bambino; - essere consapevoli di quello che facciamo; - bisogno di crescere e conoscer- si, riconoscendoci un valore reci- proco; - un luogo per parlare del nostro vissuto e delle nostre emozioni di educatrici, per non sentirci sole e per prenderci cura di noi stesse. Il desiderio e il piacere di riunirsi nasce quindi da una spinta indi- viduale di educatrici, insegnanti, provenienti da luoghi differenti (Pesaro, Fano, Cartoceto, Peglio, Sant’Angelo in Vado…) e di di- verse appartenenze (pubblico, privato, convenzionato) che ini- ziano ad incontrarsi periodi- camente (ogni 40 giorni circa), fuori dell’orario di lavoro e fuori dalle istituzioni per condividere, studiare e approfondire quei va- lori indispensabili all’educazione e alla crescita dei bambini. Cosa facciamo nel gruppo stu- dio? Cerchiamo di capire e sentiamo il bisogno di sostare, so-stare, di stare dentro il pensiero e l’azione, di tornare costantemente, nell’u- no e nell’altra, leggere, studiare. Sentiamo che non basta il desi- derio, c’è un bisogno, quello di conoscere: per questo troviamo un tempo, un tempo non istitu- zionale, ri-cercato, per fermarci, immagini che ci ha portato Myrtha Chok- ler. Questo in- contro ha fatto la differenza, non solo per la curiosità e l’interesse che ha portato in tante educa- trici favoren- do così un avvicinamen- to o un riav- vicinamento all’approccio Pikler, ma an- che per quello che Myrtha ci ha trasmes- so: il rigore, l’impegno, la responsabilità per l’educazio- ne. Ci ha trasmesso, non solo un sapere, ma ci ha accompagnato nel suo saper essere insegnan- te-educatrice, non lo ha mai fatto con seduzione, ma sempre con fiducia, rispetto e generosità, non sostituendo la sua esperienza alla nostra permettendoci pian piano di comprendere. Nel difficile momento della pan- demia, in particolare durante i lockdown, ha partecipato ai no- stri incontri on line donandoci un grande sostegno. Successi- vamente, ha condiviso con noi articoli e testi proponendo di ri- vederne la traduzione in italiano, favorendo così non solo l’interes- se ma anche l’approfondimento e lo scambio. “Alla fine di questo strano secolo Ventesimo che ci ha insegnato tut- ti i modi scientifici per distruggere l’individuo, sono estremamen- te rari i luoghi in questo mondo dove, come a Loczy, si sa, scienti- ficamente, come aiutarlo a costru- irsi” (Bernard Martino) poiché qui sentiamo una diffe- renza importante per la cura e la crescita dei bambini. Nei nostri incontri, c’è sempre un testo! Il testo ci permette di rimanere sul pezzo, sul contenuto, è il nostro vincolo insieme a quello del con- fronto. Testi e materiali ci hanno ac- compagnate in questo percorso, tra questi: 1. “I compiti dell’adulto a pro- posito delle attività di gioco del bambino” di Anna Tardos.” 2. “Come si gioca il bambino quando gioca. Concetto di gioco: le radici dell’attività ludica.” Myrtha Chokler 3. “L’osservazione del movimento nel bambino” di Agnes Szanto. 4.“Datemi tempo” di Emmi Pikler 5. “Esperienze intense, paure in agguato nel cammino di essere e apprendere” di Myrtha Chokler. Nel tempo le nostre modalità di studio sono cambiate, il gruppo si è aggiustato: inizialmente ci davamo una lettura da fare da “a casa”, per poi discuterla insieme nell’incontro successivo, poi ab- biamo preferito non lasciarci un compito, ma ritrovarci e leggere insieme (questa scelta chiara- mente non escludeva l’altra). Andiamo avanti lentamente, per- ché ci soffermiamo sulle parole e su queste ci confrontiamo sulle diverse attribuzioni di significato, ci facciamo domande, ci scam- biamo le esperienze. La lettura ci offre l’opportunità di ripensare alla pratica quotidiana e il grup- po di confrontarci. Una parola di un testo fa scaturire un momen- to vissuto insieme ai bambini e alle bambine durante il mattino e il gruppo offre la possibilità di verificare, riconoscere, esemplifi- care e legare un’immagine ad una frase. Negli anni diverse persone sono uscite dal gruppo, altre entrate, alcune sono rimaste. Durante la Dalla storia del gruppo studio Pikler confronti e riflessioni Gina Iacomucci: “Il gruppo na- sce da un comune interesse e dal- le differenze che lo compongono e lo mantengono: c’è un rigore attento e gentile di chi tiene la cadenza degli appuntamenti e ri- convoca gli incontri; c’è un buon intreccio tra presenze costanti e partecipazioni intermittenti; c’è sempre il “pensiero di prendere gli appunti, per chi era presente e per chi non c’era; c’è la meti- colosità che porta a soffermarci sulle singole parole, sui dettagli; a volte c’è l’abbandono della let- tura del giorno per il bisogno e il piacere di condividere l’esperien- za quotidiana; c’è un procedere nel cambiamento, imparando dagli incontri come e cosa è meglio fare insieme: quando abbiamo visto che leggere a casa non fun- zionava, perché c’era chi ci riu- sciva e chi no, abbiamo scelto di pandemia alcune di loro sono ritornate; in questo difficilissi- mo periodo, il gruppo di studio è stato di riferimento, sentivamo il bisogno di trovare una “base sicura”, un luogo dove poterci ritrovare con persone di riferi- mento, di forte aiuto reciproco e di confronto accesso. Le lettu- re sono state accantonate perché avevamo bisogno di raccontarci le nostre emozioni, le nostre pau- re, le nostre esperienze e cercare una strada per incontrare i bam- bini e le famiglie. Così in quelle giornate, come in tutto questo tempo, da quando abbiamo ini- ziato a incontrarci ad oggi, abbia- mo sentito e trovato le ragioni per dare al gruppo “spazio e farlo durare”. Questa nostra determinazione ad andare avanti ci fa pensare alla frase di Calvino: “L’inferno dei viventi non è qual- cosa che sarà; se ce n’è uno, è quel- lo che è già qui, l’inferno che abi- tiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al pun- to di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (“Le città invisibili ”Italo Calvino) Quali sono i valori che condi- vidiamo?“Che uomo, e quindi, che tipo di bambino vogliamo aiutare ad essere e a crescere? Un soggetto autonomo, libero, con fiducia in sé stesso, nell’ambiente e nelle sue proprie competenze per riuscire a pensare ed elaborare strategie nel suo livello per la ri- soluzione dei problemi, ostacoli e conflitti? Un essere aperto, sen- sibile, comunicativo e solidale? O invece un essere ubbidiente, di-