1. Gruppo nazionale Nidi e Infanzia
Territoriale MARCHE
TEMPO DI SEMINE
FAR CRESCERE UNA CULTURA
DELL’INFANZIA
SETTEMBRE–OTTOBRE 2
0
2
2
Poste
Italiane
S.p.A.
-
Spedizione
in
Abbonamento
Postale
-
D.L.
353/2003
(conv.
in
L.
27/02/2004
n.46)
art.
1
comma
1,
LO/MI
-
ISSN
2420-7829
-
all.
1
al
n.
4
2022
3. 4 5
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
un impegno di potenziale trasfor-
mazione deve essere una scom-
messa collettiva”, la certezza che
l’educazione non può che essere
“…un’educazione emancipatrice
della comunità intera: bambini,
professionisti, famiglie, società.
Tutti attivi di un processo di ap-
prendimento comune.” 3
Capimmo che dovevamo “inter-
rogare i luoghi che suggerivano
partenze”4
per ri-cominciare e
stare anche in quel senso di spa-
esamento. E così, con la forza del
pensiero di Irene Balaguer, Ma-
ria Lai e il nostro bisogno di ri-
scatto nasce il percorso “SEMI”.
Nel dialogo di un bambino con
la sua mamma:
“Avvicina la tazza” “Perché?“
“Così fai fare un viaggio più corto
al latte e ai biscotti !” “A me piace
fare il viaggio lungo!”, (N. 3 anni
e mezzo), abbiamo ascoltato il
piacere del quotidiano.
Così, di “mese, in mese, di luogo
in luogo”, abbiamo scelto di of-
frire mensilmente la possibilità
di narrarsi ad una esperienza lo-
cale 06 all’interno di incontri or-
ganizzati on line a distanza, rac-
cogliendo ogni volta domande
sull’infanzia che la storia educa-
tiva sollecitava nei partecipanti
di servizi e scuole 06 del sistema
integrato marchigiano, insieme,
in dialogo. E come i contadini
seguono il calendario lunare per
piantare, potare e raccogliere,
3 “La certezza dell’impegno di fronte
all’incertezza dell’orizzonte” uno stralcio
dell’intervento Irene Balaguer al XIX
convegno del GNNI a Reggio Emilia nel
2014, Irene Balaguer per molti anni
presidente dellAssociaciò de Mestres
Rosa Sensat, ha sempre mantenuto
stretti legami con il GNNI condividen-
done idee e progetti (riportato nella
pubblicazione per i prossimi 40 anni)
4 “...interrogo i luoghi che mi sugge-
riscono partenze che non so mai dove
mi porteranno, non c’è mai un progetto
definito, c’è solo una partenza” I luoghi
dell’arte a portata di mano” Maria Lai –
Cinque Continenti
noi abbiamo seguito un percorso,
un ritmo, ogni mese, da gennaio
a giugno, abbiamo fatto una se-
mina e da ogni seme si sono ge-
nerati scambi e confronti.
Un filo rosso unisce il percorso
evolutivo d questa attività pro-
gettuale del Gruppo Territoriale
Nidi Infanzia Marche ed è quello
delle Relazioni.
Il tema della relazione, inequivo-
cabilmente, ha generato intrecci
e rimandi in un gioco di “rea-
zioni a catena”. Ogni contribu-
to prodotto dalla semina ci ha
permesso e permette di mettere
a fuoco ancora una volta il bi-
sogno di approfondimento sul
sistema ricco e variegato delle
relazioni nei servizi; del resto da
sempre soggette di interesse ma
indubbiamente acuito, in questi
ultimi due anni, dalle vicende
della pandemia.
Il vissuto di incertezza dovuto
ai cambiamenti nell’organizza-
zione interna ai servizi educativi
per ovvie ragioni di sicurezza,
non ha però inciso sulla nostra
certezza di agire e progettare in-
terventi che non minassero i bi-
sogni emotivi di piccoli e grandi
e dai Semi emerge questa neces-
sità cui segue, a nostro avviso,
attenzione e cura.
Tra maggio e giugno abbiamo
iniziato a cercare un modo per
portare domande e condividere
pensieri. Ci sono venute in mente
delle cartoline perché come i semi
possono viaggiare e come i semi
sono leggere, capaci di contenere
pensieri e mantenere legami.
Alla fine di giugno è arrivata una
inaspettata proposta dal GNNI e
da ZeroSeiup: un numero specia-
le della rivista in occasione del
convegno “Ri-Pensare ai bam-
bini nell’incertezza della nostra
epoca. Educare alla complessità.
Il futuro dell’educazione tra in-
certezza e complessità”. Abbiamo
deciso che, oltre a documentare
il percorso semi, dovevamo cer-
care di raggiungere coordinato-
ri, responsabili, amministratori,
persone perché c’era un terreno
fertile per essere disseminato, per
fare crescere insieme una cultura
dell’infanzia.
Quanti altri “semi-esperienza”
che circolavano sicuramente nei
fertili terreni dei servizi regiona-
li non avevano ancora avuto il
modo di essere conosciuti e con-
divisi?!
Per raggiungere i territori abbia-
mo inviato una lettera a tutti gli
Ambiti territoriali-sociali mar-
chigiani, invitando i referenti dei
Coordinamenti pedagogici terri-
toriali ad informare del progetto
semi i loro servizi e scuole 06, così
da farci inviare altre esperienze.
Dalla raccolta di numerosi con-
tributi nasce così la terza sezione
della rivista “Semi diffusi”, che
consideriamo solo una tappa in-
termedia di ulteriore scambio re-
gionale, in attesa di riprendere il
percorso semi dopo il Convegno
di Pesaro, speriamo, questa volta,
in presenza.
“…Così come i contadini seguono
il calendario lunare per piantare,
potare e raccogliere, noi abbiamo
seguito un percorso, un ritmo, ogni
mese, da gennaio a giugno, abbiamo
fatto una semina e da ogni seme si
sono generati scambi e confronti.”
PROGETTO SEMI
Durante una torrida estate,
“rinfrescata”dagli incontri, i pensieri,
i dubbi, i cambiamenti, le soluzioni
creative, hanno curato questo
numero speciale regionale le socie
del Gruppo territoriale Marche:
Cathi Baglioni
Lucia Benvenuti
Emanulela Bernacchia
Alda Bonetti
Francesca Ciabotti
Cecilia Cirilli
Marzia Fratini
Gina Iacomucci
Veronica Paoli
ValentinaTonucci
LuciaVitali
Ringraziamo Ferruccio Cremaschi
che ci aiuta sempre e AlessiaTinelli
per la pazienza e l’impaginazione.
Pexels.com
4. 6 7
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
SEMI
Per far crescere insieme una cultura dell’infanzia
di processi e prospettive
Riflessioni intorno alla natura dei bambini, delle fa-
miglie, dei servizi per continuare con meraviglia, con
determinazione e consapevolezza a costruire una
cultura dell’infanzia insieme.
“Mio padre mi portava con sé nel bosco sin da
quando ero piccolina, insegnandomi con instancabile
pazienza i nomi degli animali, delle piante e dei funghi.
Pensava che se si sanno nominare le cose, gli si dà
maggiore valore. Ma che cos’è la natura? Quale
rapporto abbiamo con lei? Può minacciarci? E perché
ne abbiamo bisogno? Come possiamo proteggerla e
conservarla?”
(tratto da “Cosa diventeremo? di Antie Damm,
ed. orecchio acerbo)
di mese in mese
e poi?
di luogo in luogo
•Ancona e piccoli comuni
•Macerata e piccoli comuni
•Ascoli Piceno e piccoli comuni
•Fermo e piccoli comuni
•Pesaro e piccoli comuni
•Urbino e piccoli comuni
Azioni da intraprendere
“La Semina”
STORIE DI RELAZIONI...STORIE IN RELAZIONE
Ogni mese verranno presentate esperienze di servizi
educativi e integrativi appartenenti ad una provincia
che possano aprire a spunti di riflessione sul tema
delle relazioni (tra bambini, adulti-bambini, tra adul-
ti, con lo spazio, con il tempo, con il territorio, con le
famiglie......).
Le storie, come i semi, possono arrivare in differenti
modi e forme:
• racconti, riflessioni da portare ad incontri pro-
grammati
•narrazioni, spunti, pensieri da inviare per mail
•testimonianze da raccogliere attraverso interviste
CERCATORI DI DOMANDE
Ognuno di noi può trasformarsi in un attento ascolta-
tore e raccogliere domande aperte intorno all’infan-
zia partendo dal piccolo (le domande dei bambini
sul mondo? Le domande dei grandi sui bambini?....)
Questa prima fase sarà caratterizzata da tempi aperti,
apparentemente non lineari, dalla capacità di so-sta-
re nei nostri servizi cercando di cogliere quello che
c’è, quando c’è e che viene in termini di bellezza, dif-
ficoltà, forza, incertezza.
Per poter parlare ri-pensare al nuovo che c’è, abbia-
mo bisogno di lasciare questo spazio aperto, per ri-
cercare, intrecciare le differenze e le connessioni tra
luoghi, persone e saperi che possono portare e rac-
contare quel che si sente e succede nel quotidiano,
nelle crisi e nei successi, nei movimenti (precari? di
sviluppo? di stasi? di regresso?...), nelle contamina-
zioni...
PER UNA CULTURA dell’INFANZIA
Come aprirsi al territorio?
•Cineforum
•manifesti per le città con sollecitazioni “imperti-
nenti”sull’infanzia
•letture cittadine sul tema dell’educazione rivolte
agli adulti
•pubblicazione
•padlet.
Illustrazioni tratte da
In un seme - manuale per
piccoli collezionisti
di meraviglie.
Piotto & Marchegiani,
ed. Topipittori.
Il perché di una metafora
Avvertiamo l’esigenza di raccontare la biodiversità
educativa del nostro territorio per ridisegnare “una
mappa educativa dei servizi 0-6 marchigiani“ fatti di
tante particolarità in cui potersi ri-conoscere, parten-
do proprio dalle“semplici”esperienze dei servizi.
I SEMI, proprio nella loro apparente semplicità indivi-
duale, sono l’emblema perfetto della vita: hanno infini-
te e sorprendenti forme, sono avventurosi, intelligenti,
generosi, sanno spostarsi e adattarsi all’ambiente,
difendersi e fare amicizia con molte specie viventi. Un
seme, piccolo o grande contiene tutto ciò che serve per
vivere. La nostra vita sulla Terra dipende dalle piante, e
la vita delle piante, dipende dalla capacità dei loro semi
di farla nascere; per questo è fondamentale conoscere
la Storia e le storie dei semi, la loro importanza, e la loro
sbalorditivavarietà.(trattoda“Inunseme,manualeper
piccoli collezionisti di meraviglie di Beti Piotto & Gioia
Marchegiani)
I semi sono dappertutto con le loro peculiarità, le
loro risorse e le loro esigenze.
5. 8 9
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
S
ono Lucia Vitali, educa-
trice e mamma di una
bambina che frequenta
una scuola dell’infanzia
a Jesi (An).
Vi ringrazio per questa opportu-
nità di presentare quelle che sono
state le mie riflessioni in que-
sti giorni, a proposito del tema
delle relazioni, che è un tema
molto grande e anche molto im-
portante. Volevo partire da degli
elementi concreti, a livello meta-
forico, che potevano aiutarmi in
questo momento di racconto e
piano piano cercherò di spiegar-
mi in questo che è stato un flusso
di pensiero.
Vorrei partire da una piccola sto-
ria: in questi giorni in cui siamo
state a casa, che le scuole erano
chiuse per le feste natalizie, io e
mia figlia siamo uscite a fare del-
le passeggiate qui nel quartiere e
un giorno, mentre ritornavo ver-
so casa mi sono fermata in uno
di quei negozi dell’emporio, dove
si trovano tutte quelle piante e
gli articoli per il giardinaggio e
mentre mi avvicinavo – ero così
felice dell’idea che m’era venuta
– di comprare un bulbo. Quan-
do sono andata, ovviamente, la
commessa mi ha detto “Questo,
signora, non è periodo dei bulbi”.
Io sono caduta giù dall’albero e
sono tornata con i piedi per ter-
ra. E non lo sapevo! Però, a casa
avevo dei semini tenuti da parte
dall’anno scorso, di un lavoro
fatto con i bambini… avevo dei
semini di grano e di farro, di cui
sapevo almeno, anche osservan-
do nei campi attorno a noi, era
periodo di semina. Quindi, al-
meno quello, con mia figlia l’ho
fatto.
Piantare dei semini – visto che
siamo proprio nel tema SEMI –
vedere questa trasformazione e
sapere che, la Natura ci insegna,
non tutto è fruibile sempre,
come e quando vorremmo noi
o pensiamo noi. Questo, già, è
stato un grande insegnamento.
Il passaggio successivo, è quello
della conoscenza nella relazione.
Cioè se io avessi conosciuto il fat-
to che i bulbi adesso non ci sono,
non li avrei cercati, ma anzi li
avrei cercati nel momento adat-
to, per sapere che poi avrebbero
fiorito. Se io conosco il fatto che i
semi di grano e di farro adesso è
il momento di seminarli, lo pos-
so agire.
Questo lo intendo come un agi-
re educativo che può diventare
mirato, orientato, che sia sempre
più diretto.
Ci sta che l’esperienza ha tutta
una sua sfera, che le cose si cono-
scono strada facendo, ma sapere
con chi ci si relaziona, secondo
me, è una cosa molto importante.
La prima cosa, quando metti
insieme una famiglia e la scuo-
la, secondo me, per aprire un
dialogo ci deve essere un incon-
tro fatto di scambio e di cono-
scenza.
Qui mi viene in mente la diffe-
renza nella mia esperienza di
genitore: mentre al nido abbia-
mo fatto un incontro con le edu-
catrici per dire: “Da dove viene
Adele? Qual è la sua Storia?” –
IN SU PER TRA FRA…
LE RELAZIONI
Finestre, mura, radure, ponti. Quali e quanti passaggi?
LUCIA VITALI
ognuno di noi è fatto di Storie,
ed è importante – per la scuola
dell’infanzia probabilmente ho
compilato dei moduli, non lo ri-
cordo con esattezza. Quello che
immagino, dall’altra parte, cer-
to che l’insegnante avrà l’occhio
per osservare quelli che sono i
cambiamenti di ogni bambino,
ma ha già meno dettagli di quel-
la che è la Storia del bambino
che ha davanti. Per non parlare
poi, più avanti, della scuola pri-
maria, eccetera. Ciò non toglie
il fatto che poi anche i bambini
acquisiscono una capacità di
linguaggio e di dialogo superio-
re per cui saranno loro stessi in
grado di presentarsi.
●
Un’altra cosa su cui ho riflet-
tuto, è la situazione che stiamo
vivendo adesso che ricade un
po’ sotto tanti fronti. Io, geni-
tore, accompagno mia figlia nel
cortile, quindi si apre il porto-
ne e mentre prima – parlo di
due anni fa – si accompagnava
il bambino o la bambina fino al
piano di sopra, perché la classe
è ad un piano superiore, c’è sta-
to un graduale cambio di rotta,
dato dalle norme, per cui per un
momento ci siamo soffermati
all’ingresso e abbiamo lasciato
i bambini ai collaboratori sco-
lastici. Abbiamo allontanato un
contatto, non dico verbale, quo-
tidiano e diretto, ma anche uno
sguardo visivo con le insegnanti
che è venuto meno. In una fase
successiva, noi accompagnia-
mo i bambini fuori della porta.
Quindi io sento che, a fronte di
questa situazione, la realtà che si
viene a creare è questa: alziamo
un muro.
Questa è la rappresentazione
della sezione del plesso scola-
stico.
Descrizione degli elementi:
Rappresentazione della sezione del plesso scolastico.
1. Il genitore e il figlio arrivano a scuola.
5. Tra la scuola e la famiglia c’è distanza:
si alza un muro.
6. Si colloca una finestra aperta.
3. Il genitore accompagna il figlio
nell’atrio, lo aiuta a cambiarsi e il
collaboratore scolastico lo conduce in
sezione.
4. Il genitore non entra a scuola;
il collaboratore scolastico aiuta il
bambino a cambiarsi e lo conduce in
sezione.
2. Il genitore accompagna il figlio in
sezione.
6. 10 11
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
motivazioni. E poi la domanda
è: “Quale scuola sceglierò come
scuola primaria?”. Quando sen-
to le famiglie intorno a me, quali
sono le domande essenziali? Se fa
il tempo pieno o il tempo norma-
le e se quell’insegnante dà tanti
compiti o meno. Anche la scuo-
la, sotto un certo punto di vista,
mi sembra diventare un pochino
‘privata’, dove io genitore scelgo
– per fortuna se posso scegliere
– quello che penso per mia figlia
possa essere la scuola con l’in-
segnante migliore e quindi mal-
grado la strada, la comodità o la
continuità tra i bambini, perché lì
magari c’è l’insegnante, di cui ho
sentito parlare, che potesse essere
più adatta per la mia famiglia e la
mia situazione. Qual è, allora, il
senso della continuità tra i gradi
di scuola o all’interno dello stes-
so ciclo di scuola? Penso che non
mi aspetterò più che nell’arco dei
tre anni di frequenza della scuo-
• La base marrone rappresenta
l’ambiente interno; la base verde
rappresenta l’ambiente interno, la
base bianca sopra le colonne è lo
spazio di una sezione.
• Il portone d’ingresso è posto tra
la base marrone e la base verde
ed è di colore celeste.
• Il mattoncino azzurro chiaro
sta ad indicare una panca posta
all’ingresso della scuola
• I mattoncini colorati e impilati
stanno ad indicare le scale.
• Il personaggio con il cappello
blu e il bambino con la maglia
rossa rappresentano la diade
genitore – figlio, durante il mo-
mento dell’ingresso a scuola al
mattino.
• Il personaggio con il cappello
marrone rappresenta il collabo-
ratore scolastico.
• Nella sezione ci sono la maestra
e gli alunni.
Questo lo dico non banalizzan-
do la situazione della pandemia;
quello che mi auspico è: riuscia-
mo, noi come famiglie e le inse-
gnanti a porre un nuovo modo di
reinventarsi e poter aprire delle
finestre? Una finestra intesa come
possibilità di incontro, di scambio.
Altrimenti quell’incontro tra me
che sono genitore e l’insegnante
diventa sporadico, occasionale;
diventa difficile costruire un dia-
logo.
Non è tutto negativo: ho notato
il modo di mettersi in gioco delle
insegnanti è stato quello di por-
tare i lavori fatti dai bambini nel
giardino. Il giardino è diventato
quell’ambiente di scambio possi-
bile, all’aperto, in sicurezza, dove
ci si può incontrare. La scuola è
uscita fuori. Questo per me è sta-
to un segnale molto importante.
Sono sicura che ce ne saranno di
tantissimi generi.
●
Un’altra situazione che ho nota-
to – sulla porta – che mi duole
la dell’infanzia possa avere dal
primo anno all’ultimo gli stessi
insegnanti. Questo per me non è
una mancanza, il fatto che ci sarà
un ricambio di personale, a dif-
ferenza di anni fa quando c’erano
persone che accompagnavano gli
alunni durante tutto il ciclo. Mi
auguro, allora, che ci possa essere
continuità. Quali sono quegli ele-
menti che possono accompagna-
re, se non la Storia dei bambini?
Alla fine quello che per me è im-
portante è che tutto sia orientato
rispetto a chi hai davanti, calato
su quelle situazioni, nello Stare e
nell’Essere in relazione.
●
Concludo con delle immagini di
alcuni albi illustrati, per rendere
l’idea… come fosse una fotogra-
fia. Pensavo all’albo illustrato de
“L’onda” come idea metaforica
di un incontro, come fosse per
la prima volta che una bambina
un po’ il cuore vedere, è questa:
nella peggiore delle ipotesi io mi
sento un postino che consegna il
pacco, nella migliore delle ipotesi
accompagno mia figlia a scuola,
la posso salutare, le dico “buona
giornata”, le auguro buon diverti-
mento e allo stesso modo la vado
a riprendere. Più complicato è
quando a fianco a me ci sono ge-
nitori in difficoltà e bambini in
difficoltà, che piangono… e sono
sull’uscio della porta. Quella por-
ta ti dice: “Stai dentro o stai fuo-
ri? Sei pronto ad entrare o ancora
no? Stai sulle braccia di mamma,
di babbo, o vai dentro? Un po’
da solo… E comunque sull’uscio
la maggior parte delle volte c’è il
collaboratore scolastico, che è
presente nel ‘sistema scuola’, ma
non è la persona indicata a curare
questo momento di accoglienza.
Ancora, se parliamo dello 0-6,
sono bambini piccoli, e hanno
bisogno di essere accolti, non
solo il primo mese dall’inizio
della scuola, ma magari al rientro
dalle vacanze di Natale, eccetera.
Chiediamo al bambino di fare un
piccolo sforzo, però non perdiamo
di vista quelli che per noi profes-
va al mare, non lo conosce e ci
entra in relazione. C’è una dan-
za tra l’andare e venire del mare
e l’avvicinarsi e allontanarsi della
bambina, ma la cosa che mi inte-
ressa dire alla fine è che il mare
lascia dei tesori (conchiglie, stel-
le marine, ecc…) e la bambina è
lì come a ringraziare per questo
incontro e poi, come sempre i
tesori dei bambini, entrano nella
gonnellina rialzata della bambina
che, immagino, se li porti a casa.
C’è uno scambio, un conoscer-
si reciproco e poi si trovano e si
possono raccogliere dei tesori.
Questa è l’idea nostra di incon-
trarci, anche qui, per far sì che
questi semi possano germogliare.
Un’altra è presa dal libro di Oli-
ver Jeffers, è un’immagine molto
semplice e secondo me molto
bella: ci sono le mani di un adul-
to sotto e le mani del bambino
sopra.
Noi adulti siamo qui per sostene-
re, voi bambini potete crescere, vi
alleggerite, potete giocare, potete
essere bambini e noi siamo qui.
Dall’esperienza
di Lucia Vitali,
riflessioni e confronti
Clara Maccari: “il mio interven-
to prende spunto dall’esperienza
di Lucia Vitali, la mia metafora
riguarda le finestre, probabil-
mente in questo periodo di pan-
sionisti sono i capisaldi, le cose
davvero importanti. Da una parte
ci sono le regole, dall’altra cerchia-
mo i nostri spazi per poter far sì
che, comunque, sia Educazione.
Accogliere… in un’idea contraria
all’azione che farebbe una mac-
china fotografica che è lo zoom,
non mi viene tecnicamente, …al-
larghiamo. Accogliere una fami-
glia è una pluralità di situazioni,
come dicevo prima è un’attenzio-
ne alla Storia di ognuno, è curare
questo, prendersi cura del bam-
bino e della famiglia, messi in-
sieme in una pluralità di famiglie
di situazioni che abbiamo intor-
no, perché sento sia come adulta
immessa nel mondo del lavoro
una grande fluidità, sia nelle re-
lazioni, troviamo tante famiglie
composte ognuna a modo suo…
Dentro la scuola si lavora affinché
siamo tutti uguali? Così che tutti i
bambini che ho nella classe sono
tutti uguali? Oppure sono tutti
diversi? Se conosco, se valorizzo le
loro diversità? O se magari saran-
no tutti e due i paradigmi insieme.
●
Un’altra cosa su cui riflettevo, poi
hofinito,èlacontinuità.Unacosa
che mi è salita alla mente: parlia-
mo di ‘poli dell’infanzia 0-6’. Io
vedo la mia situazione familiare:
io abito in un paese, Monte San
Vito, mia figlia va a scuola in un
altro paese, un esempio molto
semplice. Mi viene un pochino
meno l’idea del ‘quartiere’: io e
la mia famiglia entriamo in con-
tatto con le persone del quartie-
re, vado in quella scuola che mi
sta più vicina, ai giardinetti che
mi stanno più vicini, dove posso
intessere relazioni con altre le fa-
miglie che con me vivono quel-
la zona. Io ho scelto di mandare
mia figlia a scuola a Jesi per dei
motivi, questo fa parte di tut-
ta quella fluidità; noi ci siamo
dentro, ognuno con le proprie
(da“La gigantesca piccola cosa”,
Beatrice Alemagna, Donzelli Editore,
2011)
(da“L’onda”, Suzy
Lee, Corraini, 2008)
7. 12 13
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
insegnati e viceversa. Ora qual-
cosa si è eretto rendendo meno
visibile effettivamente la soglia o
troppo visibile quel confine che
definisce il dentro e il fuori tanto
da aumentare l’oscurità di que-
sto passaggio.. Ma altre è anche
un luogo, di aperture, di grandi
luci, che si possono essere at-
traversate.
E in tutto questo c’è il seme, che
è la seconda esperienza, anche
noi, in questi servizi stiamo ra-
gionando, in questo periodo
dell’inverno sui semi. Molti semi
sono custoditi dall’inverno, per-
ché magari piantati in autunno,
come si diceva “il bulbo”, e mi
sono chiesta: “Qual è l’ambien-
te per il seme?” perché abbiamo
parlato di tanti semi, ci siamo
detti di raccogliere esperienze,
che sono semi, che posso essere
messe in relazione, in dialogo.
Però c’è in effetti, un terreno di
semina che non è indifferente
nell’apporre i semi, ci sono anche
delle cure che il seme deve ave-
re oltre, a monte, avere una certa
qualità del seme affinché possa
già in principio poter germoglia-
re e quindi mi sono detta: “questi
semi di futuro, da qui in avanti,
come educatori, insegnanti, di
cosa hanno bisogno?”
Proprio 3 parole, giusto per non
allungarci che però possono esse-
re d’interesse, innanzi tutto pen-
sando a questo tempo dell’inver-
no, hanno bisogno di una hanno
bisogno di calore, se il seme non
ha calore non germoglia, anche
quella soglia, se pensata come
terreno di calore i semi di futuro
possono germogliare, altrimenti
non c’è la possibilità che nasca
qualcosa. Il seme il calore lo por-
ta con sé ma ha bisogno di due
focolari, da una parte la scuola,
dall’altra la famiglia che portino
il calore lì, dove ci sono gli in-
contri, le relazioni. Paradossal-
mente anche la neve, d’inverno,
demia si sono alzati dei muri e
quindi bisogna trovare un modo
per riaprire spazi di dialogo, fi-
nestre, penso sia importante ri-
flettere su questi temi, ora più
che mai. Prima della pandemia
pensavamo che tanti spazi di in-
contro già ci fossero e per il fatto
che le famiglie potevano circola-
re negli ambienti, seguire i figli
mentre entravano nelle sezioni,
negli spazi ecc., non prestavamo
molta attenzione a quello che
gli spazi, gli ambienti, le pare-
ti, i giochi, le nostre presenze, i
nostri messaggi, comunicavano.
Ora che alcuni luoghi non sono
più accessibili, forse, ci stiamo
domandando, con più attenzio-
ne, quali comunicazioni inviamo
alla famiglia e con quali stru-
menti, penso alle documentazio-
ni che mandiamo su WhatsApp
o i filmati che mandiamo dopo
un’esperienza o altre situazioni.
Volevo portare la riflessione sul-
la comunicazione, non solo sulla
necessità, ma soprattutto come e
quali finestre riaprire, perché
ci siamo resi conto che in questi
due anni di pandemia abbiamo
mandato tante cose alle famiglie,
almeno questa è la mia espe-
rienza, ma spesso quello che è
pensiamo per tutti i semi, orzo,
farro, grano è copertina di calore.
Quindi anche quelle situazioni
apparentemente fredde possono
essere una copertina per il seme
e questo ci dà una grande fiducia,
perché il dell‘inverno per i semi è
un freddo formativo, sembra un
paradosso ma è così, è formativo
per molti semi se non ci fosse il
freddo essi non potrebbero ger-
mogliare o addirittura produr-
rebbero meno, pensiamo ai cere-
ali. Allora, anche noi qui, penso
a tutte le difficoltà che stiamo
incontrando e portando in questi
luoghi dell’incontro, se le guar-
diamo come un freddo formativo
cambiamo prospettiva, quindi da
una parte il calore, da una parte il
freddo. Accanto alla dimensione
della cura, ci metterei la fiducia,
la fiducia che il seme di per sé,
in realtà, ha già tutta la poten-
za implicita per poter diventare
qualcosa d’altro, che è già iscrit-
to in sé, però dobbiamo affidar-
lo. Ecco è bellissimo che queste
esperienze, così portate, affidate
a questo gruppo territoriale che
un po’, un terreno possa essere
affidato gli altri perché è lì che ci
può essere la possibilità che pos-
sa germogliare. Sono stata un po’
sulla metafora ma è stato molto
suggestivo!
●
Raffaella Primavera: sono un’e-
ducatrice di un nido di Macerata
che si chiama “Topolino.
L’interessantissimo punto di vista
di questa mamma mi ha proprio
portata a ancor di più a riflettere
di quanto ci stiamo prendendo
cura di questo momento di ini-
zio giornata a cui segue tutto il
resto. Tutte le cose che stiamo
dicendo, tutto l’impegno che
stiamo mettendo per garantire
questa qualità nelle relazioni so-
prattutto. Io ho riflettuto molto
anche sul tema di quello che sarà
arrivato non è stato così curato
e pensato come invece il tempo
avrebbe richiesto: forse bisogna
ripensare i modi, i tempi e i
mezzi della comunicazione . Un
suggerimento ci veniva anche da
Lucia Vitali quando parlava dei
giardini, insomma, ci potremmo
e dovremmo ritornare su questi
argomenti!
●
Federica Di Luca, San Ginesio:
“A me ha molto colpito la meta-
fora dei semi, perché lavorando
in contesti a stretta naturalità
sono un po’ il quotidiano edu-
cativo. Mi sono venuti due pen-
sieri. Uno è sul tema della soglia,
quando ci veniva presentato que-
sto confine tra il dentro e il fuori
della scuola, dove da una parte
c’è il mondo della scuola e dall’al-
tra c’è il mondo della famiglia e
c’è il bambino che transita attra-
verso questa soglia, questa porta
e mi sono chiesta, anche insieme
alle colleghe se queste soglie di
ingresso e di uscita o comunque
di transito tra il dentro e il fuori,
in effetti si siano solo spostate.
Ma soprattutto sono cambiate o
stanno cambiando, ma soprat-
tutto dobbiamo ridirci, ri-carat-
il convegno: sull’incertezza, in-
certezza che sicuramente stiamo
vivendo tutti, che è sicuramente
un tempo di transizione, di gran-
de spaesamento ed è proprio per
questo molto importante, che
comunque abbiamo tutti biso-
gno di fare dei progetti ora, per
costruire questo futuro che vo-
gliamo vedere tutti. In una inte-
ressante trasmissione passata, di
cui non ricordo la data, che pos-
so cercare e condividere, portata
all’attenzione da Radio Rai Tre,
si parlava proprio di questo tema,
l’incertezza, Recalcati ricordava
che Noè quando riuscì a superare
questo diluvio, la prima cosa che
fece fu piantare una vigna, è un
po’ quello che io personalmen-
te sento, ma non solo io, perché
questo sentire lo sto condividen-
do con tante amiche e colleghe,
è questa cosa: pensare al futuro,
adesso, piantando dei semi, ora è
veramente importante. Vi volevo
lasciare invece con uno stralcio
di un brano scritto da questo
straordinario compositore che
si chiama Vinicio Capossela, che
ha scritto una bellissima canzone
che si intitola “La lumaca”, per
parlare del tempo lento e dice
così:
La mia strada lenta e dritta
E’ nuda prima
Ma scintilla dopo
Lasciare un passaggio
Lasciare una scia come una co-
mete
Rallentare il tempo
E godersi la scia
Mi ha molto ispirata nel pensare
come stiamo vivendo ora que-
sta traccia che continuamente
i bambini lasciano al loro pas-
saggio, in ogni momento della
giornata. Credo che sia molto
importante soffermarsi su queste
tracce, su queste scie, sono quelle
che poi determinano il percorso
che stiamo facendo.
terizzare quella che è la qualità
di queste soglie, che sono fonda-
mentalmente dei confini. In ef-
fetti, anche qui l’immagine della
esperienza, durante la presenta-
zione, faceva vedere, che forse si
sono eretti o alzati dei muri. Si,
abbiamo visto anche noi che si
sono alzati dei muri, altre volte
ho visto che non sono solo muri
ma si sono aperte delle radure
popolate, penso popolate di pau-
re, di domande, di incertezza,
di vulnerabilità. Oppure si sono
aperti, per stare sempre nella
dimensione della metafora, dei
veri e propri deserti, con quello
che può esserci nella dimensione
del deserto, non solo rarefazione
della comunità vivente ma del-
la specializzazione se volgiamo,
delle piante e degli animali che
richiede una ricerca più attenta,
più fine, più sottile dell’acqua.
Oppure sono diventate dei bo-
schi fitti perché li si addensavano
delle cose, dei pensieri, delle do-
mande, si concentrava proprio
lo scambio fisico anche delle
persone. Alcune volte, invece, in
alcune esperienze, sono diventa-
ti luoghi di grande ricerca, ab-
biamo visto come i giardini, gli
spazi esterni, si sono “allargati”,
così queste soglie sono diventa-
te spazi molto interessanti per-
ché alcune cose si sono spostate
dalla famiglia verso la scuola e
dalla scuola verso la famiglia e
si sono incontrate e sono diven-
tate, forse, dei luoghi di grandi
avvenimenti, di ricerche. Alcu-
ne volte sono diventate dei luo-
ghi d’ispezione reciproca: non
so se anche da voi è capitato, il
guardarsi da una parte e dall’al-
tra un po’ con l’occhio così: “che
cosa succederà dentro la scuola
che non abbiamo più un’idea di
quello che succede”, le soglie a
sembrano più irte aumentan-
do la dimensione del giudizio
da parte delle famiglie verso le
(da“Cose da fare. Dritte per il nostro futuro insieme”, Oliver Jeffers, Zoolibri, 2021)
8. 14 15
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
SOTTO SOPRA
Storie fuori margine alla scoperta di nuovi
perimetri di gioco e diverse prospettive di senso
MANUELA BERNACCHIA
D
ue sono i semi che
vorrei mettere in
circolo:
Sconfinamenti
Reciprocità
Provo a esplorare questi temi
partendo dal racconto di espe-
rienze realizzate con i bambini
della mia sezione, tutte si svol-
gono in uno spazio particolare
dell’aula: la cattedra delle mae-
stre. La chiamo cattedra e non ta-
volo perché è proprio la classica
cattedra “istituzionale”, chiusa ai
tre lati, con la cassettiera laterale,
aperta in fondo e nella parte sot-
tostante il piano di lavoro.
Da un po’ di tempo mi sono ac-
corta che questo spazio è stato
pian piano colonizzato dai bam-
bini, i quali se ne sono appro-
priati facendolo diventare un
loro spazio: di gioco, relazioni,
lettura…
Spazio lettura
La cattedra è diventata il luogo
privilegiato di lettura per alcuni
bambini, quando hanno voglia
di leggere i loro albi illustrati pre-
feriti, non lo fanno nell’angolo
dei libri, dove ci sono il tavolo, le
poltroncine, né sotto i loro tavoli
(come altri bambini), ma prefe-
riscono stare sotto la cattedra,
dove trovano una concentrazio-
ne intima che vivono in solitaria
ma anche in coppia. I bambini
si rintano sotto e sfogliano più e
più volte i loro libri, e questo suc-
cede anche quando ci sono io ad
occupare la cattedra, spontanea-
mente spostano le mie gambe e si
inseriscono all’interno, io entro
così a far parte del loro spazio di
lettura.
Spazio gioco e di relazione
La cattedra non è solo angolo
di lettura ma anche luogo pri-
vilegiato delle relazioni, delle
confidenze, spazio gioco. Ulti-
mamente il gioco che va per la
maggiore sotto la cattedra è il
gioco della Centrale operativa. I
bambini giocano agli scienziati
che attraverso la centrale (co-
struita con scatole, mattoncini
Lego) comandano una serie di
sensori (grandi mattoncini Lego)
distribuiti in tutta l’aula, i quali
controllano tutte le attività che
facciamo durante la giornata (un
Grande Fratello in miniatura!).
Anche in questa situazione,
quando occupo la cattedra, entro
mio malgrado (con piacere) a far
parte del loro gioco: i miei piedi
diventano una parte della loro
Centrale, spostandoli mandano
comandi ai sensori sparsi nell’au-
la, così mi hanno spiegato.
Spazio teatro e creativo
Il piano di lavoro della cattedra è
diventato il nostro spazio teatra-
le. Quando facciamo teatro con
i burattini o con le sagome co-
struite dai bambini, utilizziamo
questo spazio come palcoscenico
per i nostri personaggi. E proprio
al termine di una drammatizza-
zione, L. un bambino dell’ultimo
anno, mi comunica che vuole
scrivere una “scenografia” da
rappresentare nei giorni seguen-
ti (cosa che è poi avvenuta). Mi
chiede i fogli, matita, gomma e
mi dice spontaneamente “mae-
stra ti sposti che mi serve il tavolo
per scrivere”, io stavo mettendo a
posto i materiali, l’ho guardato
e altrettanto spontaneamente gli
ho lasciato lo spazio, andando a
finire il mio lavoro nei tavoli dei
bambini. L. aveva a disposizione
i suoi tavoli, lo spazio tradiziona-
le che è deputato alle sue attività
e invece ha scelto di fare questo
lavoro, per lui molto importante,
in uno spazio dedicato, diverso.
Dopo quella esperienza, ogni
volta che L. deve fare un lavoro
a cui tiene particolarmente, mi
chiede di utilizzare la cattedra,
ormai divenuta il suo spazio cre-
ativo privilegiato.
●
Che cosa hanno in comune que-
ste esperienze? Tutte sono at-
traversate da un denominatore
comune: la capacità dei bambini
di “sconfinare”, di ridisegnare
confini di spazio, tempo, senso.
In maniera spontanea, istintiva,
improvvisa, i bambini sono in
grado di destrutturare, “mano-
mettere” lo spazio che noi tendia-
mo a rendere strutturato: l’angolo
dei libri, l’angolo morbido, lo spa-
zio della cucina, possono acquisi-
re una nuova destinazione d’uso,
un nuovo senso. Così come un
nuovo senso ce l’ha questa catte-
dra che non è più il tavolo della
maestra ma diventa il teatro, un
angolo di lettura, un luogo di in-
contri ma anche uno spazio di
gioco e di elaborazioni creative.
I bambini “sconfinano”, oltrepas-
sano le barriere di spazio, senso,
tempo, andando oltre le nostre
aspettative, secondo i propri spa-
zi, tempi, interessi.
Credo che lasciare ai bambini
tempi e spazi nuovi per giocare
sia una capacità non semplice per
noi insegnanti, perché comporta
saper attendere, il farsi da parte
e lasciare spazio, mettersi in mo-
dalità di ascolto attento e curioso,
saper dare valore a quello che si
osserva e si accoglie, in definitiva
comporta la capacità di cambiare
la nostra postura di insegnanti.
Tuttavia quando avviene questo
cambiamento la relazione edu-
cativa si arricchisce di un aspetto
fondante: la reciprocità.
A proposito di reciprocità mi pia-
ce ricordare una frase di Donald
Winnicott “Nessuno si accorge
che i bambini hanno molto più
bisogno di dare che di ricevere” e
un frammento di uno scritto di
Franco Lorenzoni che parla pro-
prio dell’“arte del ricevere” nella
relazione educativa, sottoline-
ando l’aspetto della reciprocità:
“L’aggettivo reciproco che a mio
avviso costituisce il cardine d’ogni
relazione educativa, ci dice molte
cose. Viene dal latino recus, che
indica l’andare indietro, e procus,
che evoca l’andare avanti. E’ im-
portante ricordare che prima c’è
l’andare indietro, il lasciare spazio
facendo silenzio, e solo dopo l’an-
dare avanti, in una sorta di danza
che deve trovare un’armonia tra i
due, data dall’ascolto. Noi docen-
ti, come molti genitori, abbiamo
spesso il vizio di pensare che dob-
biamo sempre dare qualcosa e così
troppo raramente facciamo un
passo indietro con i bambini”.
●
Vorrei commentare queste due
citazioni con il racconto di un’al-
tra esperienza fatta con i bambini
della mia sezione.
Una mattina arrivo a scuola e
i bambini stavano facendo con
la mia collega un percorso mo-
torio in sezione, il percorso si
snodava attraverso tunnel, passe-
relle, anelli, birilli. Nel momento
in cui entro i bambini stavano
camminando in equilibrio sulle
passerelle con le braccia aperte,
la prima cosa che ho pensato ve-
dendoli è stata quella di mettere
una musica come sottofondo e
mi è venuto subito in mente un
pezzo di Nino Rota del film Otto
e mezzo (La passerella d’addio).
Era perfetta per quella situazio-
ne, subito due bambini mi hanno
detto “maestra sembra il circo!” e
gli altri “Sii, il circo, maestra fac-
ciamo il circo!”. Dal loro entusia-
smo ho capito che era necessario
“fare il circo”, lasciare spazio alle
Non è un banco.
9. 16 17
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
nuela sembra quasi una cosa
bella che ci ha dato in leggerez-
za e come ha detto anche Lu-
cia ci ha raccontato la sua vita,
una vita di una giornata è come
averlo visto per immagini, però
questo non è assolutamente fa-
cile che tutto questo avvenga e
secondo me, a parte la regia, è
un lungo lavoro dell’educatore,
dell’adulto su se stesso, sulla vi-
sione del bambino, sull’essere
capace di andare avanti, di an-
dare indietro, e questo impli-
ca una grande esperienza, una
competenza, un lavoro su se
stesso e anche secondo me un
lavoro di formazione continua,
di sostegno, perché essere un
po’ gli angeli custodi, i registi,
la parola che userei è veramente
rispetto, essere capaci di e avere
la competenza professionale di
vigilare, di rispettare la voce in-
fantile, non è facile è qualcosa
che si acquisisce mai ed è qual-
cosa che bisogna riapprendere
dall’esperienza continuamente
dalla relazione con il bambino,
dall’osservazione, quindi cre-
do che insomma sia credo che
sia una cosa spontanea ma che
in realtà ha dietro un lungo la-
voro che è la competenza dell’e-
ducatrice che una competenza
relazionale raffinata e profonda,
nella relazione con i bambini, di
questo ti ringrazio perché hai
reso leggero e comprensibile
qualcosa di molto profondo e in
realtà non semplice, come dire
“è facile stare con i bambini, che
conta, cosa volete che sia!” non è
così, perché riuscire a far fare il
circo, riuscire a far destrutturare
un cattedra implica un pensiero
su di sé, sui bambini, sull’educa-
zione, che secondo me deve ma-
turare, e sui cui bisogna conti-
nuare a discutere per difenderlo
e anche per portarlo avanti.
●
loro richieste, fare un passo in-
dietro, cambiare i miei program-
mi per le attività pomeridiane
che erano diventati improvvisa-
mente anacronistici.
Dopo pranzo iniziamo ad orga-
nizzare il circo. I bambini decido-
no i personaggi: clown, giocolie-
ri, equilibristi, mago, spettatori.
Ognuno di loro decide che per-
sonaggio vuole interpretare, a me
affidano il ruolo del presentatore
e di “quella che mette la musica”.
Poi stabiliscono spazi e tem-
pi dello spettacolo: la pista dei
clown, dei giocolieri e del mago
sarebbe stata l’angolo morbido,
la pista degli equilibristi partiva
dall’angolo lettura fino all’angolo
della cucina; gli spettatori si spo-
stavano nei vari angoli seguendo
lo spettacolo. I bambini decido-
no anche che bisognava fare le
prove e quindi la sala mensa (che
è una stanza attigua alla sezio-
ne) è diventata la sala prove dei
clown e del mago, invece la sezio-
ne è diventata la sala prove degli
equilibristi e dei giocolieri.
Dall’angolo cucina e dallo spa-
zio dei materiali strutturati e di
riuso, i bambini hanno ricavato
costumi e strumenti: padelle,
coperchi, piatti, mestoli, sono di-
ventati cappelli, strumenti musi-
cali dei clown, palline di gomma
rossa, i nasi. E così la passerella,
le aste, i birilli, gli anelli, le pal-
le di gomma piuma dei percorsi
motori, gli strumenti degli equi-
libristi e dei giocolieri.
Infine i biglietti, bisognava fare
i biglietti per l’ingresso al circo,
non potendo invitare i bambini
e le maestre delle altre sezioni, i
bambini decidono di coinvolgere
le collaboratrici scolastiche, per
cui realizzano i biglietti (con il
disegno dei clown e il nome del
circo) e mi chiedono di accom-
pagnarli per invitarle allo spetta-
colo, poiché, come si sarà intuito,
in tutto questo tripudio creativo
Raffaella Primavera: “Non è fa-
cile”, sottoscrivo assolutamente
questa cosa, mi è venuta in men-
te un’altra cosa che diceva Fran-
co Lorenzoni, rispetto a tutte
questa cose che volgiamo fare,
che vogliamo mettere in campo,
per cui ci affatichiamo tantissi-
mo, in realtà lui ci invitava e ci
invita tutte le volte, a “fare meno
e andare più in profondità”, per
fare in modo che effettivamente
i bambini, in questo tempo viva-
no, le migliori esperienze possi-
bili perché ragionavamo anche
su quanto è difficile per un bam-
bino, e anche per una famiglia
pensare che questo sia il tem-
po comunque migliore perché
loro possano vivere al meglio la
loro infanzia, perché questo è il
tempo, questo tempo difficile,
questo tempo incerto, questo
tempo che ci ha affaticato tantis-
simo tutti, per cui questo invito
io l’ho fatto mio da sempre, fare
meno e andare più in profondità,
e andare più in profondità come
diceva, Francesca o Alda, è an-
che quello di confrontare tutto
questo con le colleghe, con il
gruppo di lavoro, per poi rilan-
ciare, ma sempre su quello che i
bambini restituiscono e non su
quello che noi abbiamo in testa,
sui bambini felici, competenti,
perché è chiaro perché è chiaro
che i bambini sanno benissimo
dove vogliono andare, cosa cer-
cano, le loro piste di ricerca le
continuano a sottoporre, io lo
vedo anche con i bambini che
frequento, che hanno dagli 8
mesi ai 18 mesi (poi ve lo rac-
conteremo la prossima volta)
loro hanno chiarissimo di che
cosa hanno bisogno per incon-
trare il mondo, è chiaro che è
fondamentale l’adulto che pro-
pone dei materiali dei luoghi
belli, interessanti, dove i mate-
riali dialogano tra loro , dove c’è
un tempo lento e un rispetto
il mio ruolo è stato proprio quel-
lo di facilitare l’andamento dei
vari step dell’organizzazione del-
lo spettacolo, accogliendo le loro
richieste e aiutandoli, quando
necessario, nel portarle a compi-
mento.
Finalmente, terminata la crea-
zione dei costumi, degli attrezzi,
finite le prove, consegnati i bi-
glietti, inizia lo Spettacolo… che
spettacolo!
Chiudo con il nome del circo
scelto dai bambini. Quando ho
chiesto loro che nome dare al cir-
co, un bambino dell’ultimo anno
mi ha detto “maestra mi è venuta
un’idea, chiamiamolo il circo del-
la sorridanza”, e io “sorridanza?
Volevi dire sorriso?”. Lui “No, no,
circo della sorridanza”, sorriden-
domi e facendo ruotare le mani
davanti alla bocca, come ad imi-
tare un movimento circolare.
Penso che questo nome espri-
ma meglio di tante parole il cli-
ma che si era venuto a creare:
la danza delle nostre risate e la
circolazione di benessere conta-
minavano ognuno di noi. In quel
momento io non ero la maestra,
ero il presentatore del circo e i
bambini erano clown, equilibri-
sti, giocolieri, maghi, spettatori.
Eravamo tutti dentro questa re-
lazione in cui ognuno era quello
che il gioco ci chiedeva di essere,
non eravamo più in un’aula sco-
lastica.
Dal seme di Emanuela
confronti e riflessioni
Gina Iacomucci: “Una delle cose
importanti di questa storia è di
quella di lasciare essere gli ogget-
ti, questa sera è stata principal-
mente la cattedra che con il suo
ruolo, anche istituzionale, ha
svolto la parte che spesso è del
tavolo, dove da sempre i bambini
si nascondono e vivono diverse
storie e ci raccontano quanto c’è
profondo per l’unicità di ognuno
di loro , poi loro vanno. E’ que-
sta poi la fiducia che io mi porto
dietro tutti i giorni proprio”.
●
Gina Iacomucci: “E’ quello dice
Raffaella: “Cogliere, fare meno,
perché contiene tanto quel meno.
Questo mi riporta ad percorso di
formazione, all’ osservazione di
un momento della giornata quo-
tidiana: un bambino stava cer-
cando di raggiungere un’oggetto
e seppure non ci fosse da parte
sua nessuna richiesta d’aiuto, l’e-
ducatrice glielo porge. Questa
situazione ci ha dato motivo di
fermaci e riflettere perché in-
dipendentemente dal momento
specifico in cui era avvenuta, in
cui si poteva parzialmente giu-
stificare la difficoltà dell’educa-
trice di osservare, mentre lei stes-
sa era osservata, ci ha permesso
di vedere qualcosa che ricono-
scevamo come parte di un no-
stro modo di fare, non insolito.
Ci siamo dette: - spesso è più
facile fare che stare nell’attesa.
Spesso è difficile non fare tan-
te cose. Facciamo “tanti lavori”
che riempiono luoghi e tempi
già troppo pieni. Cosa vuol dire
prestare attenzione a quel che
accade? Saper stare non è non
fare. Stare è fare, è poter coglie-
re, è saper accogliere quel che
c’è, quel che ci potrebbe essere,
vuol dire permettere. Mi viene
in mente un albo illustrato: “An-
cora niente?” “ancora niente?” è
la domanda ansiosa dell’attesa,
la richiesta di certezze, di ri-
sposte. Ancora niente? E’ la dif-
ficoltà a stare nel momento di
mezzo, intermedio, nel quale ac-
cade qualcosa, i greci lo chiama-
vano kairos, dove succede qual-
cosa che bisogna saper cogliere,
un tempo diverso da Chronos,
sequenziale, l’organizzato, stabi-
lito, quantitativo”.
in ogni persona, una cosa fonda-
mentale per vivere, ancor più
forte nell’età della crescita: la vo-
glia e il bisogno di immaginare e
fare dei progetti. Nella cattedra,
bambini e adulti, hanno avuto la
possibilità di potere incontrarsi
e incrociare caratteri, fare sto-
rie, così come la musica gli ha
accompagnati in cucina a cer-
care nelle utensili gli strumenti.
Gli oggetti e lo spazio sono me-
diatori, mettono in relazione le
cose con i pensieri, la stanza con
le cose, gli uni con gli altri, sono
insieme contenitori di libertà e
di vincoli, possono fare essere
bambini e adulti dei composi-
tori di opportunità.
Quando questo avviene, c’è la
scoperta, stupore, meraviglia
perché si sente che c’è qualcosa di
grande e di bambino in ognuno.
Noi, noi come maestre, educato-
ri, alcune, chiediamo ai bambini
di fare quello a che a loro non in-
teressa tanto, perché pensato e-o
fatto da noi un po’ al posto loro.
Dobbiamo esserci nell’esperien-
za, fare parte dell’incontro.
Come fare?
“Non è facile!”
Tra tutte le parole del racconto di
Emanuela, queste parole sono
quelle che mi sono scritta, mi
hanno fermato:
“Non è facile”, tra certezza e in-
certezza, al di là del momento
che stiamo attraversando, è sem-
pre difficile, questo stare tra cer-
tezza e incertezza “Non è facile”:
“Non è facile!” abbiamo incon-
trato belle esperienze e riflessioni
durante tanti incontri, momenti
di formazione, però” non è facile
passare dall’eccezionale al sape-
re quotidiano, alla saper essere
con, non è facile.”
●
Francesca Ciabotti: “Io sono
d’accordo, non è facile, così
come ce lo ha raccontato Ema-
10. 18 19
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
proprio nel tessere relazioni con
questi soggetti, si è aperta una
nuova strada. Il mandato istitu-
zionale del dott. Valerio Valeriani
è stato: dobbiamo elevare la quali-
tà dei servizi.
Il compito è quello di portare in
luce chi siamo e mettere in rela-
zione i soggetti del sistema 0-6
affinché si possa fare scambio di
esperienze, valorizzare le realtà
che hanno mostrato e mostrano
maggiore intraprendenza e inte-
resse nella ricerca pedagogica ed
educativa e ci si apra all’esterno.
Il mandato era chiaro ma le dif-
ficoltà iniziali sono state non sa-
pere bene come dare forma e vita
pulsante al sistema.
Il primo anno e mezzo è stato de-
dicato a capire cos’era questo si-
stema integrato e chi eravamo. Ci
siamo occupati del piccolo oltre
che nel grande, abbiamo opera-
to con l’intento di aver cura dei
tre ambiti, come tre sottogruppi
del coordinamento associato e
dell’intero sistema insieme.
Il nodo delle figure
di riferimento 06
Rappresentanza per un dialogo
Già definire le figure di riferi-
mento e di rappresentanza ha
richiesto due anni e mezzo per
il segmento 3-6 anni delle scuole
dell’infanzia statali poiché l’uffi-
cio scolastico regionale e provin-
ciale non hanno dato fin dall’ini-
zio indicazioni chiare e rapide.
Poi, su richiesta del coordinatore
d’ambito, è arrivata l’indicazione
che sarebbero stati i dirigenti a
nominare le loro figure interne di
rappresentanza per lo 0-6. Qual-
che dirigente l’ha fatto, ma qual-
cuno ha detto “beh, io ancora
devo ancora capire bene cosa sia
questa cosa”. Dal 2022 abbiamo
finalmente i nominativi dei refe-
renti per tutti i servizi educativi
e le scuole, c’è un gruppo whats
Lucia Benvenuti: “In questo rac-
conto c’è “rispetto” e “ tempo” e
aggiungerei “fiducia”, non pos-
siamo dare rispetto e dare tempo
se non diamo fiducia. La fiducia
è la sicurezza che quel bambino
possa portare qualcosa di nuovo
a quel contesto e a quei bambini
che possano portare qualcosa di
nuovo in quelle relazioni. La fi-
ducia è qualcosa che si dà un po’
alla cieca, a prescindere, al di là
Difficoltà iniziali
La difficoltà iniziale è stata con-
dividere gli elementi istituzionali
e normativi. Nella fase di avvio
del coordinamento, nonostante
i tre ambiti fossero congiunti, li
abbiamo considerati tre territori
da curare ciascuno attentamente.
Sono stati fatti più incontri nei
tre ambiti, tenendo presente l’am-
piezza del territorio, e gli stessi
dirigenti scolastici hanno parte-
cipato all’incontro iniziale di pre-
sentazione sul sistema integrato
0/6 e sulle funzioni del coordi-
namento pedagogico. Interessati
ed a volte anche poco informati
sul nuovo quadro normativo
hanno gradito la presentazione
ed il confronto soprattutto per la
possibilità che il coordinamento
pedagogico potesse diventare un
alleato operativo a supporto della
scuola dell’infanzia statale.
I commenti di alcuni dirigenti
app che si è costruito dopo quat-
tro anni e sta aiutando molto la
comunicazione, creando imme-
diatezza e vicinanza. Sono pic-
cole cose, però quando dai una
risposta immediata a un inse-
gnante che dice “io non ho capito
bene questa cosa. La formazione
dell’ufficio scolastico regionale,
è la stessa che facciamo noi? Si
sovrappone oppure è integrata?”
Quando si riesce a dare una ri-
sposta immediata ad un referen-
te di una scuola dell’infanzia che
poi farà da portavoce con tutto il
team di docenti, l’informazione
passa.
Fintanto che si inviavano solo le
lettere istituzionali dal protocollo
dell’ambito che ci mettevano due
giorni a partire, o tornavano in-
dietro perché l’indirizzo di posta
era errato o la casella del destina-
tario era piena, oppure si ferma-
vano nelle segreterie delle scuole
che magari tardavano a rigirarle
ai vari plessi, le informazioni fa-
cevano fatica a passare.
Ora abbiamo accorciato e otti-
mizzato i fili del contatto con i
referenti di tutti i servizi 0-3 e
delle scuole dell’infanzia, il dia-
logo è più intenso e molto più
efficace.
di quelli che sono i fatti reali: “Mi
fido e quindi ti lascio spazio, ti do
tempo, ti ascolto”.
Dove ci porta questo circo? Ma-
gari non era neanche chiaro, non
so Emanuela, magari all’inizio
poteva anche diventare una gran
confusione: i pagliacci, gli ani-
mali, il mago, la musica; crolla
il circo! E invece è stato un bel
mix e forse proprio perché quei
bambini hanno sentito che c’era
“ah meno male adesso ve ne oc-
cupate voi di questa cosa!” “va
bene, allora cosa possiamo fare?”,
“speriamo che non duri solo
qualche anno!”.
L’impressione è che in generale il
segmento dei bambini 3-6 anni,
soprattutto negli istituti com-
prensivi grandi, rimane il primo
gradino della formazione un po’
dimenticato; ancora di più lo 0-3
che fino ad oggi era considerato
al di fuori del sistema di educa-
zione e istruzione del MIUR.
Nell’emergenza della pandemia
alcune insegnanti ci hanno det-
to: “Guarda, per il lockdown ci
avete chiamato prima voi che il
mio dirigente”. Questo è esem-
plificativo: far arrivare una chia-
mata da parte del coordinamen-
to pedagogico che si interessa
del come stanno le insegnanti e
le educatrici e di cosa sta succe-
dendo nella loro realtà scolastica,
a volte prima ancora del contatto
Continuità educativa e
consulenza pedagogica
Il tavolo di coordinamento pe-
dagogico degli ambiti 16-17-18
dell’alta provincia di Macerata ha
la rappresentanza di tutte le tipo-
logie di servizi educativi, laddove
vi sono: nidi d’infanzia pubbli-
ci e privati, centri infanzia e di
aggregazione, nidi domiciliari,
scuole dell’infanzia e sezioni pri-
mavera (nel nostro territorio ne
abbiamo solo due all’interno del
nido). Il coordinamento pedago-
gico non è rappresentato da una
sola figura che si occupa di tutto.
Io sono la referente dal punto di
vista organizzativo che tengo i fili
organizzativi, lo sviluppo delle
diverse azioni, la parte ammi-
nistrativa e coordino il gruppo
delle sei persone nominate dai
servizi e dalle scuole, rappresen-
tative delle diverse realtà zero-sei
tre-sei, compresi due agri-nido e
agri-infanzia e che danno gli in-
dirizzi pedagogici e operativi del
coordinamento.
Rispetto alla continuità tra nidi
d’infanzia e scuole dell’infanzia:
ci sono percorsi ed esperienze
molto differenziate a seconda
delle realtà territoriali e culturali.
una buona guida, c’era un buon
riferimento, per cui loro si sono
potuti sperimentare, ecco, han-
no sentito: “Qualcuno ha fiducia
in me.”
Dare fiducia è anche dare re-
sponsabilità, perché io ti do fidu-
cia ma poi tu devi fare qualcosa
di questa fiducia. I bambini in
qualche modo l’hanno sentito e
ha funzionato grazie alla relazio-
ne reciproca.
del proprio istituto comprensivo,
mi ha colpito tanto.
Riconoscere i Servizi,
elevare la qualità.
Chi siamo ?
Quindi, il coordinamento pedago-
gico è stato percepito fin dall’inizio
come una possibilità di ascolto, di
attenzione e di riconoscimento
del 3-6; per lo 0-3, ancora di più,
poiché i nidi d’infanzia, i centri
infanzia o i centri di aggregazio-
ne hanno un passaggio formale
con gli ambiti territoriali sociali
nell’approvazione ma poi spesso
rimangono un semplice elenco
nell’offerta dei servizi territoriali
per l’infanzia e poche relazioni di
continuità verticale hanno con le
scuole dell’infanzia.
Quando il coordinatore d’ambito
ha rilanciato e sostenuto la gran-
de opportunità che il coordina-
mento pedagogico poteva avere
Nascita di un Coordinamento pedagogico territoriale
QUALE RETE DI RELAZIONI?
FEDERICA DI LUCA
11. 20 21
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
zero-sei più ampia, coinvolta con
gli interventi per le famiglie, ab-
biano la percezione concreta che
c’è una rete di supporto con pos-
sibilità diverse, non accentrata
ma diffusa e organizzata in nodi
funzionali e di scambio, a vari li-
velli: il gruppo di coordinamen-
to, la referente, il team di consu-
lenza pedagogica, i singoli servizi
e scuole. Negli ultimi due anni
gli interventi del coordinamen-
to sono stati resi possibili grazie
all’implementazione delle risorse
per il sistema integrato 0-6 da
parte delle Unioni dei Comuni,
in varie forme; una strategia di
sistema promossa, motivata e
sostenuta in maniera eccellente
dal coordinatore d’ambito. Non
è scontato che il coordinamento
pedagogico presenti le proprie
azioni nei comitati dei sindaci o
partecipi al processo dialogico
di definizione del piano sociale
dei tre ambiti, per diversi temi:
infanzia e povertà, dipendenze.
Il coordinamento pedagogico
rappresenta il mondo zero-sei
non solo della scuola ma anche
nell’area delle fragilità, delle di-
pendenze, della famiglia.
La partecipazione ai vari tavoli
consente di narrare e diffondere
la strategia del coordinamento
nel piano d’ambito sociale inte-
grandola nella definizione delle
politiche territoriali locali; al-
trimenti rimane una questione
solo tra insegnanti, educatori e
qualche dirigente maggiormente
motivato e tra il tavolo territo-
riale e i coordinatori d’ambito. Se
non esce da questa dimensione
limitata, se non entra nel ricono-
scimento più ampio delle politi-
che territoriali sociali, perde di
rilevanza e efficacia. Un sindaco
sceglie di compartecipare all’in-
vestimento per il coordinamento
pedagogico se riconosce che nel
proprio territorio c’è un ritorno
e se ha cognizione delle azioni e
In generale il tema della continu-
ità dovrà essere esplorato dal no-
stro coordinamento pedagogico
sia nel passaggio nido-infanzia,
sia nel passaggio infanzia-pri-
maria. Lo sviluppo dell’azione
di consulenza pedagogica che
abbiamo da poco avviato per il
primo anno, potrebbe offrire l’oc-
casione per far emergere il tema e
approfondirlo, nonché per docu-
mentarlo e scambiarlo.
Infatti, nella recente azione di
consulenza pedagogica siamo
partiti raccogliendo le manife-
stazioni di interesse di servizi e
scuole negli anni passati su un
ventaglio di tematiche che ri-
mandavano agli items del moni-
toraggio iniziale che ha coinvolto
tutto il sistema 0-6 e sono stati
oggetto della formazione (am-
bientamento, relazioni educati-
ve, tempi e ritmi della giornata
educativa, cura e routines, spazi,
gioco, attività di apprendimen-
to, partecipazione delle famiglie,
cooperazione tra operatori, pro-
getto pedagogico annuale, con-
tinuità). Sono state poste alcune
domande che potevano aiutare
la comprensione dell’intervento
di consulenza pedagogica, nuo-
vo nel panorama dell’offerta pe-
dagogica: “Facendo riferimento
agli item ci sono degli oggetti di
ricerca che interessano la vostra
realtà educativa? Ci sono delle
questioni aperte che volete ap-
profondire?
Degli elementi di criticità che
volete portare all’attenzione della
consulenza pedagogica e per cui
chiedete un supporto esterno? Il
coordinamento pedagogico de-
gli ATS 16-17-18 ha attivato un
gruppo di consulenza ristretto
costituito da tre figure con pro-
fessionalità complementari che
da gennaio stanno lavorando
in team. Le osservazioni nelle
scuole e nei nidi sono state svolte
sempre da almeno due compo-
del senso degli in-
terventi. Il ponte tra
politica ed educa-
zione va costruito e
sostenuto con cura.
Poi penso che ci sia
molto da imparare
da altre esperienze
già avviate. E’ così
che abbiamo inizia-
to: invitando Mar-
zia Fratini di Mace-
rata e Rita Tancredi
di San Benedetto, in
rappresentanza dei
rispettivi coordina-
menti pedagogici,
a raccontare il loro
percorso.
Specifico il tema
della consulenza in
maniera diversa:
ha individuato con
selezione pubblica quattro inca-
richi per l’attività di supervisione
dei gruppi educativi nell’ambito
del coordinamento pedagogico
0/6 con una copertura territoria-
le di tutti i servizi e scuole. Noi
abbiamo optato con la raccolta
di manifestazioni di interesse e
con il coinvolgimento iniziale di
un gruppo pilota e sperimentale
del percorso di consulenza peda-
gogica. Abbiamo privilegiato l’e-
mersione della domanda di aiuto
anziché l’offerta di consulenza a
tutti i servizi viste le fatiche so-
ciali del momento che hanno
rilevato una diffusa reticenza ad
aprire le porte dei servizi e delle
scuole. E queste fatiche sono una
realtà!
Dal seme di Federica
Di Luca: riflessione
e confronti
Francesca Ciabotti
Veramente la costruzione del
coordinamento territoriale è un
lavoro ciclopico, nel senso della
definizione di ciclopico :“gigan-
nenti del gruppo, le supervisioni
utili alle restituzioni sono state
condivise da tutto il team così da
avere uno sguardo plurimo e un
contributo il più ampio possibile.
All’interno della consulenza pe-
dagogica un tema come la “sezio-
ne primavera”, potrebbe diventa-
re domanda di ricerca e trovare
spazio specifico: “Noi vorremmo
aprire una sezione Primavera,
oppure ce l’abbiamo già, cosa
possiamo fare? Ha senso? Non
ha senso? In questo momento
storico, rispetto il territorio e chi
siamo noi”.
●
Comeperaltritemilesezionipri-
mavera ed i passaggi nido-scuola
infanzia e nido-primaria devono
uscire dalla riflessione ordinaria
per essere veramente approfon-
diti; bisogna accendere un faro
di attenzione e di intenzionalità
pedagogica condivisa su questi
temi e ciò non è così facile. Ab-
biamo, infatti, osservato che la
stessa espressione dei bisogni da
parte dei servizi e delle scuole è
complessa sia per l’ampiezza dei
temi che pongono (spesso oltre la
competenza pedagogica), sia per
le modalità nelle quali diventano
espliciti. La definizione del biso-
gno non è chiara e necessita di un
processo di emersione e coscien-
tizzazione.
Uno dei percorsi che stiamo af-
frontando con un gruppo di sei
scuole dell’infanzia, afferenti ad
un unico istituto comprensivo,
è proprio questo. La domanda di
consulenza iniziale non era chia-
rissima e condivisa; è, quindi,
evoluta in corso d’opera, anche
nel confronto con la dirigente
scolastica ed è cambiata ridefi-
nendosi. Il confronto offerto dal-
la consulenza ha aiutato la defini-
zione più puntuale del bisogno e
dell’interesse.
Altro esempio: l’azione della
tesco”, “enorme”, “imponente”,
“molto grande”. Ci troviamo a
lavorare per costruire una rete
sociale, formale, tra istituzioni,
all’interno di un immenso si-
stema che è fatto di tanti piccoli
microsistemi. Questo implica
una enorme capacità di lavorare
all’interno di una definizione di
relazioni molto complessa. Cosa
è venuto alla luce dal seme di Fe-
derica? Intanto le due parole che
porteremo avanti in questo con-
vegno nazionale: la complessità e
l’incertezza. L’incertezza è quel-
la iniziale, nella sfida di questo
lavoro. A parte alcuni paragra-
fi, frasi, tracce nel D.L. 65, si è
iniziato a lavorare per la costru-
zione dei coordinamenti peda-
gogici territoriali in assenza di
modelli e questo significa avere
la capacità di “tenere” l’incertez-
za e andare avanti; Federica l’ha
chiamata anche “sperimentazio-
ne”: incertezza come capacità di
sperimentazione.
L’altra cosa che mi sembrava
importante sottolineare è che
nei vostri Ambiti avete avuto
formazione è un intervento che
raccoglie generalmente un’am-
pia partecipazione ogni anno; si
propone di rispondere agli inte-
ressi prevalenti emergenti anche
dall’indagine valutativa finale dei
percorsi di formazione ma in essa
non sempre trovano spazio le ri-
sposte a domande più puntuali e
specifiche di un team educativo,
come potrebbe essere quella da te
posta sulle sezioni primavera.
Può aiutare occuparsi del tema a
livelli diversi: a livelli micro che
poi tornano al grande gruppo,
al grande sistema e nel caso del
tema della sezione primavera i
diversi passaggi diventerebbero
patrimonio di tutti, il focus si
amplierebbe e da questo si po-
trebbero presentare diverse pos-
sibili risposte.
Il tema verrebbe discusso nel
proprio team, nel gruppo ri-
stretto di consulenza ma potreb-
be essere osservato, riflettuto e
documentato al livello pluridi-
mensionale in tutto il sistema
integrato zero-sei ed essere utile
a molti. Insegnanti ed educatori
partecipano ogni anno ad una o
al massimo due azioni promos-
se dal coordinamento, in forma
diretta ed indiretta; partecipano
a ciò che corrisponde ai loro in-
teressi e necessità, in relazione al
tempo, alle motivazioni e all’in-
vestimento che vogliono fare ma
se il coordinamento è una rete
di funzioni diverse, al quale si
può attingere anche per bisogni
diversi, se è una rete di possibi-
lità che sostiene la professionali-
tà educativa, con informazioni,
scambi, spazi di ascolto e acco-
glienza, oltre a quello già offerto
e disponibile nelle singole realtà
scolastiche, allora si motiva l’in-
teresse, il sentirsi parte ed il coin-
volgimento.
Stiamo tentando di lavorare af-
finché ogni insegnante ed edu-
catore ma anche la popolazione
12. 22 23
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
ed eventi che si susseguivano e
abbiamo recuperato piccoli te-
sori come fa una rete: pesca, rac-
coglie, recupera. C’era la netta
sensazione dello spaesamento,
dell’incertezza, della perdita, del-
la paura e dell’angoscia; il coordi-
namento pedagogico c’era anche
fuori delle consuete prassi isti-
tuzionali, c’era nella cura delle
relazioni, nella presenza, “come
stai tu in questo momento?” Nel-
la sintesi credo si giochi proprio,
in questi specifici passaggi, il nu-
cleo più vero del sistema istitu-
zionale zero-sei, soprattutto nelle
emergenze. Come stai tu come
insegnante e persona? di cosa hai
bisogno e cosa ti manca? Cosa
posso fare per aiutare? Come hai
sentito i genitori? Come stanno i
bambini? Il sistema istituzionale
dello 0-6 è sceso dove il bisogno
c’era. Questo può accadere e ripe-
tersi più volte se si riesce ad avere
una visione sociale del sistema.
Certo, ogni volta ci sono delle
inconsuete incursioni da fare,
molto vicine a quella scuola, a
quel team; sono richiesti percorsi
avventurosi di vicinanza, la sola
che tuttavia consente di percepir-
si in profondità, di sentirsi, allora
la relazione è davvero quello spa-
zio “tra”.
C’è molto da lavorare. Il mio
obiettivo futuro è quello di pas-
sare veramente all’incontro nei
luoghi. Lo avevo immaginato fin
dall’inizio ma, forse, era davvero
prematuro. Bisogna capire quan-
do proporre le cose in relazione
a cosa si sta facendo, a chi hai
di fronte, se il territorio è pron-
to. Vedo, tuttavia, che sta quasi
emergendo da sola questa ne-
cessità perché poi entrando nei
servizi e nelle scuole ci si sente
dire “Sai che mi incuriosisce dav-
vero tanto andare a visitare un’al-
tra realtà! Ma quale?” quella a 5
km, a 10 km” “Certo è bellissima
anche l’esperienza fuori Regione
una grande capacità di autoor-
ganizzazione e siete stati capaci
di trovare al vostro interno una
modalità di percorso. L’altro ele-
mento strategico è che siete stati
in grado di costruire una rap-
presentanza. Credo che anche
questo sia un elemento molto
importante: quando Federica
parlava del lavoro iniziale della
mappatura dei servizi mi sembra
che sia stato fondamentale l’aver
portato a una conoscenza, a en-
trare “dentro”, ma anche a tirare
“fuori” da ogni servizio un rap-
presentante.
All’interno di questo enorme si-
stema complesso che bisogna in
qualche modo autogovernare è
necessario mantenere la capaci-
tà di vicinanza, bisogna essere
veramente idonei e competenti
a rappresentare e a condivide-
re, senza perdersi nelle figure
apicali. Dobbiamo costruire una
rete di relazioni per evitare il ri-
schio di perdersi nel territorio e
soprattutto perdersi le domande
dei territori. Questa esperienza
dimostra che bisogna aver chia-
ri gli obiettivi e la funzione del
coordinamento pedagogico e
conferma la difficoltà del lavoro
del coordinatore che, sia quando
lavora nel piccolo, sia nel grande
ha di fronte un paesaggio così
vasto di cui tenere i fili che ri-
schia di perdersi, ecco questa è la
parola il rischio di perdersi, per-
dere i collegamenti, i fili, i con-
tatti, l’ordito, la trama con tutto
il resto.
●
Federica Di Luca
Farsi carico.
“scendere a fianco di ogni sin-
golo servizio”
Io il rischio di perdersi l’ho vi-
sto in alcuni momenti quando
lo sguardo diventa troppo ma-
cro, cioè guarda troppo dall’alto;
allora si perde inevitabilmente
ma dobbiamo re-
cuperare i legami
corti: in una visi-
ta dialogata, nella
possibilità di essere
osservatori in un
altro servizio, nella
dimensione di in-
tervisione, dentro il
territorio. Ci arrive-
remo pian piano.
●
Gina Iacomucci
Io volevo chiederti
questo, sono pen-
sieri che mi si in-
trecciamo anche
per le suggestioni
degli ultimi giorni
di Paolo Nori per
la censura del cor-
so su Dostoevskij,
(…” che senso ha oggi leggere Do-
stoevskij nel 2021, perché una
persona di 20, di 30 di 40, di 70
anni dovrebbe mettersi a leggere
o rileggere Dostoevskij, ecco do-
manda che non mi mette mini-
mamente in imbarazzo la mia ri-
sposta è “ non lo so”. Uno scrittore
russo Rasosf descrive Dostoevskij
come un arciere nel deserto con
una faretra piena di frecce e si
colpiscono esce sangue. E poi uno
potrebbe chiedermi: “E a te piace
sanguinare?” “In un certo senso
si!”: nel senso che viviamo in un
tempo in cui valgono solo le vitto-
rie i vincenti, un tempo in cui il
participio presente non indica una
condizione temporanea, è un’offe-
sa, un tempo dove se ti chiedo-
no “Come stai? e te lo chiedono
continuamente devi rispondere
“benissimo!” con il punto escla-
mativo. Viviamo in un tempo in
cui devi nascondere le tue ferite,
i tuoi dispiaceri, come se tu non
fossi fatto di quelle di quelli. Mi è
venuto in ” mente Angelo Maria
Ribellino che quand’era in sana-
torio, in repubblica Ceca e si cura-
il particolare, che non va perso
perché nel particolare c’è la carat-
terizzazione specifica del singolo
servizio con quella maestra, con
quella insegnante, quel gruppo di
bambini e genitori. Anche stare
troppo tempo e troppo intensa-
mente nel piccolo può far perde-
re il senso dell’ampiezza, del re-
spiro di sistema e delle relazioni
vitali.
Riflettiamo sul tempo della pan-
demia: alcuni coordinamenti pe-
dagogici erano in caso di strut-
turazione nella nostra Regione e
non sono intervenuti a supporto
del sistema 0/6 nel proprio ter-
ritorio, altri, come noi, avevano
fatto alcuni passi, ma sull’azione
dei coordinamenti pedagogici in
tempi di emergenza non aveva-
mo dei modelli da seguire. An-
che con l’esperienza del terremo-
to nei nostri territori avremmo
potuto fare tanto e nulla perché
risentiamo di una grande stan-
chezza data dalla somma delle
emergenze e dal mancato recu-
pero delle forze. Prima della pan-
demia avevamo già svolto un pri-
mo corso di formazione dedicato
alla documentazione dei processi
educativi nello 0/6 ma come pro-
cedere per sostenere il sistema in
tempi di pandemia, fin da subi-
to? Un coordinamento pedago-
gico non propone solo corsi di
formazione ma si fa carico delle
relazioni fra i soggetti della rete,
soprattutto delle relazioni più
sottili.
●
La pandemia ha messo forte-
mente in crisi i sistemi scuola,
famiglia, sanità, lavoro; in alcuni
casi li ha fatti proprio saltare: la
scuola ha chiuso, per esempio,
insegnanti, bambini e personale
scolastico tutti a casa. E’ come se
la forma dei macrosistemi istitu-
zionali così tanto consolidata ne-
gli anni non funzionasse più e ri-
va, chiamava se stesso e gli altri
ricoverati i “nonostante” l’avverbio
si fa sostantivo a indicare noi tutti
contrassegnati da un numero sbi-
lenchi, gualciti, piegati da raffiche,
opponevamo, la nostra caparbietà
all’insolenza del male…
…. Essere dei “nonostante” perché
come dice un cantante canadese è
attraverso le crepe che si vede la
luce, questa condizione riguarda
tutti noi in ogni tutti noi in ogni
condizione della nostra vita quan-
do provi un sentimento… che non
ha un nome preciso e se ce ‘l’ha io
non lo so”)
Cosi incoraggiata da questo
pensiero delle crepe e delle pie-
ghe, per valore che hanno nel-
la nostra esperienza, domando
quanto nelle diverse esperienze
che abbiamo di coordinamento,
nella costruzione di percorsi tra
servizi educativi, quanto abbia-
mo appreso dalle storte, dalle
crisi, dalle differenze, andando,
attraversando, sostando tra, con
le scuole dell’infanzia statali, i
nidi d’infanzia, scuole private,
servizi a gestione indiretta? Di
chiedeva una ristrutturazione. La
pandemia ha richiesto flessibilità
e resilienza inconsueta ai sistemi
burocratici. Quindi, in teoria, si
sarebbe potuta incrinare anche
l’operatività del coordinamento
pedagogico, quale sistema istitu-
zionale. Più che legittimo! Inve-
ce, come referente mi sono detta,
che facciamo adesso? Mi metto
direttamente in campo io! Ed in
effetti ho mantenuto vivo l’impul-
so sottile e delicato dei fili relazio-
nali chiamando personalmente
tutti i servizi e tutte le scuole, a
casa, sul cellulare della maestra
e dell’educatrice per chiedere cosa
stesse succedendo. “Come stai? Il
servizio o la scuola è chiusa? Hai
contattato i bambini? le famiglie?
Come stai tenendo la comunica-
zione?” Ne è emerso un mondo
estremamente interessante. Im-
mergersi nella fitta rete di rela-
zioni del sistema 0/6 ha messo in
luce le fragilità conseguenti alle
emergenze (terremoto prima e
poi pandemia) e che i traumi a li-
vello collettivo hanno un impatto
diretto sulle esperienze indivi-
duali così come il trauma vissuto
a livello individuale è influenzato
dal trauma vissuto a livello co-
munitario. C’è stata la necessità
di scendere proprio a fianco di
quel singolo servizio e di quella
singola scuola, seppure a distanza
ed anche se non la si conosceva
così bene.
Quella telefonata ha avuto un va-
lore maggiore di tante altre azio-
ni “ Grazie di questa telefonata,
non me l’aspettavo”, hanno rispo-
sto molte insegnanti ed educatri-
ci. La scuola come istituzione era
fragile non sapeva ancora cosa
doveva fare, come intervenire
nel mezzo dell’emergenza pande-
mica. Lì ho avuto la percezione
che avessimo recuperato scuo-
la, insegnanti, bambini e fami-
glie, allontanati e spaventati dal
flusso inaudito di informazioni
13. 24 25
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
cosa è fatta la complessità di un
sistema? Dove sono o sono state
le crepe? Cosa abbiamo fatto con
le crepe, con le fratture?
Cosa hanno permesso tutti i
“nonostante”, quelli che” ci sono
stati” come hanno favorito per
trovare un contatto, un punto
d’incontro rispetto gli inciampi,
le difficoltà, una buona resisten-
za rispetto un comune obiettivo.
Lo chiedo per un bisogno di non
cadere dentro le crepe e scorag-
giarci, per non scoraggiarmi, no-
nostante i blocchi, le retromarce
e le non partenze.
Per pensare che questi “nono-
stante”, sono le differenze, quelle
che fanno la differenza, che fan-
no le ragioni, la tenuta, quelle che
ci possono aiutare, perché questi
ci devono incoraggiare.
●
Federica di Luca
Il gruppo è una grande forza
Personalmente lo sguardo ce
l’ho sempre in una prospettiva
positiva, nonostante i numerosi
elementi di criticità che soprag-
giungono e le ferite che si aprono.
L’esperienza diretta del terremo-
to ha reso necessario far emer-
gere questa visione ed ha, forse,
maturato alcune competenze in
tal senso. Scelgo la dimensione
pratica e intellettuale dell’attra-
versamento della ferita e non
dell’elusione, trovo nella ferita ciò
che può risorgere ed emergere
dall’ombra e non solo quello che
può impantanare e lasciar mori-
re. Se penso alla storia di questo
coordinamento ci sono stati mo-
menti nei quali sarebbe potuto
crollare tutto con grande facilità
ma così non è stato. Bastava solo
che avessi un po’ abbassato il filo
della regia fiduciosa nelle possi-
bilità e sicuramente sarebbe an-
data diversamente!
Ci sono stati momenti di gran-
de scoraggiamento del gruppo
di coordinamento. Tuttavia ho
sempre creduto che il gruppo è
una grande forza: laddove in quel
momento con il mio servizio, la
mia realtà, il mio specifico, la mia
storia sono in affanno, ci può es-
sere un’altra persona del coordi-
namento che può aiutare a ricu-
cire quel filo lacerato e riparare i
legami perché in quel momento
ha le risorse per farlo mentre io
no. Più persone in un gruppo di
coordinamento pedagogico sono
un fattore di resilienza. Porto un
esempio: un momento di difficol-
tà per il nostro coordinamento è
stata la fase di rielaborazione dei
dati del monitoraggio del sistema
integrato 0-6, lavoro durato due
anni.
Quando, dopo la somministra-
zione dei questionari, con il sup-
porto di una sociologa abbiamo
costatato l’inefficacia dei dati rac-
colti per una restituzione statisti-
ca quantitativa, è sopraggiunta
stanchezza e sfiducia: “Buttiamo
via tutto? E cosa restituiamo?”
Sentivamo forte l’esigenza di ren-
dere visibile e riconoscere il lavo-
ro che era stato fatto dalle singole
insegnanti e dai team che tanto
si erano impegnati, che aveva-
no risposto quasi nella totalità,
che avevano osato, rischiando di
esporsi nell’autovalutazione, che
avevano messo in campo dispo-
nibilità di tempo e di persone. I
questionari sono stati portati nei
team e nei collegi docenti; c’è
stato un lavoro ed una partecipa-
zione non scontata.
●
Qualcuno avrebbe potuto dire
“Non mi interessa. Ho altre cose
da fare”. Hanno invece partecipa-
to e non solo per senso del dove-
re. A questo punto del processo
bisognava trovare una diversa
forma di restituzione poiché i
dati raccolti non erano una foto-
grafia reale dello status dei servi-
zi quanto piuttosto lo specchio
dei desiderata. Decidiamo di re-
stituire il processo, puntualizzan-
do dove siamo arrivati, e soprat-
tutto costruiamo una proiezione
di ricerca futura. Il report, per
esempio, ha incluso in un’appen-
dice finale, una carrellata di im-
magini fotografiche degli spazi
dei servizi e delle scuole. Ha un
valore di riconoscimento trova-
re il proprio servizio e scuola in
una pubblicazione del sistema
integrato 0-6 e muove la doman-
da nel confronto. “Guarda un po’
lo spazio esterno del mio nido
com’è? E’ pieno di giochi, l’altro è
libero e organizzato diversamen-
te; il mio è pieno di panchine che
consentono delle comode sedute
ma lascia poco spazio alla corsa
ed al libero movimento; quell’al-
tro non esiste perché non c’è pro-
prio lo spazio esterno”.
Questo è interrogante. Chiedere
di fotografare gli spazi interni
e esterni e farlo con una certa
attenzione è un primo atto con-
creto sulla via della ricerca: quale
idea di educazione e di appren-
dimento emerge dalle scelte di
organizzazione degli spazi e dei
materiali, chi siamo, cosa voglia-
mo mostrare del nostro servizio,
come ci narriamo. Questo è ciò
che intendo quando ho detto di
attraversare la ferita cercando le
possibilità ulteriori, anche quelle
inaspettate.
Abbiamo offerto una restituzione
diversa del monitoraggio rispet-
to a quella immaginata ma alla
fine più interessante perché non
compiuta, anzi aperta e ampia di
possibilità di ricerca, sostenuta
da un’idea articolata e comples-
sa di sistema zero-sei. Abbiamo
messo un primo punto su chi
siamo come sistema 0-6 “Su que-
sto ci riconosciamo. Da qui ri-
partiamo”. Forse, ogni tanto, può
aiutare fare questo: condividere il
punto in cui stiamo.
IL TEMPO PRESO
Storia del gruppo di studio Pikler
VERONICA PAOLI, VALERIA AMBROGIANI, GINA IACOMUCCI,
LUCIA BENVENUTI, MARIA GIOVANNA IANUARIO, VALENTINA TONUCCI
I
l gruppo di studio si è riuni-
to per la prima volta nel feb-
braio 2016, ma il desiderio
di incontrarsi seguiva espe-
rienze avute in precedenza.
Che cosa ha portato alcune
educatrici, che non era la prima
volta che partecipavano insie-
me a percorsi di formazione, a
ritrovarsi per fermarsi a riflet-
tere e studiare?
Riconosciamo che c’è un lega-
me che unisce alcune di noi per
le parole ascoltate durante la
formazione, abbiamo voglia di
ritrovarci per non perderle, per
non perderci, abbiamo desiderio
di frequentarci con costanza per
le cose che abbiamo in comune,
gli scopi, le aspirazioni, la cono-
scenza, per capire, leggere, stu-
diare.
Sicuramente, come ogni inizio,
anche il gruppo studio nasce da
un’onda emotiva: il desiderio, il
piacere di ritrovarsi ma anche
dalla scelta di persone attive e au-
tonome consapevoli dell’impe-
gno che un gruppo richiede.
Una scelta, appunto, attiva e au-
tonoma, sulla quale non posso-
no non avere influito, aver avuto
riflesso, su noi educatrici, i pen-
sieri che avevamo incontrato nei
percorsi di formazione rispetto
alla idea di bambino: fin dalla
nascita soggetto d’azione e non
di reazione, sensibile, aperto al
mondo, pieno di iniziativa, auto-
nomo, solidale, comunicativo, si-
curo di sé, capace di pensare con
una propria logica.
Eravamo consapevoli che i bam-
bini molto piccoli come quelli
che incontriamo nei nidi sono
in un periodo della vita molto
importante e decisivo perciò ri-
tenevamo necessario riformula-
re le nostre pratiche e le nostre
riflessioni. Il gruppo che abbia-
mo chiamato “Gruppo di studio
Pikler” si ispira all’esperienza di
Emmi Pikler a Lòczy, significati-
ve queste poche righe:
“Il “dono” più grande che il bam-
bino può ricevere dall’adulto che
si prende cura di lui fin dalla pri-
missima età sono uno spazio e un
tempo sufficienti per sperimentare
le proprie possibilità autonome di
apprendimento, in una completa
autonomia, in completa armonia
con il proprio livello di maturità,
con gli interessi e le iniziative di
ogni momento.
La capacità di arrivare dalla po-
sizione neonatale a quella eretta
per spinta propria, senza alcun
bisogno di esercizi, anticipazioni,
sollecitazioni dall’esterno, e per
giunta con un ottimo risultato
nella qualità del movimento, ha
cambiato radicalmente il modo di
vedere e di pensare il bambino e il
rapporto che l’adulto stabilisce con
lui. L’aiuto dell’adulto alla crescita
del bambino si trasforma quindi
da una forma di manipolazione,
di fornitura o riempimento, giu-
stificata da una considerazione di
incapacità, a una forma di tute-
la e di supporto ad un delicato e
basilare processo di maturazione
che il bambino continua a fare
dopo la fase di gestazione e la na-
scita.
Questa tutela e supporto si tra-
ducono in conoscenza, e quindi
attenzione, per ciò che il bambino
sta vivendo e facendo, riconosci-
mento e rispetto per la sperimen-
tazione che sta compiendo, ga-
ranzia delle condizioni adeguate,
condivisione di tutto il piacere per
le macro e micro conquiste pro-
Conforto reciproco e confronto acceso.
14. 26 27
ZEROSEI up
TEMPO DI SEMINE
DOSSIER
pendente dall’autorità e sottomes-
so al riconoscimento permanente
dell’altro, timoroso della punizio-
ne e desideroso del premio, un es-
sere competitivo per essere sempre
il primo? Un essere che pensa che
l’identificazione con l’altro è con-
fondersi con l’altro? Allora, con-
sapevoli della nostra scelta: Qual
è il ruolo dell’adulto, della società
e dei professionisti per il rispetto
della persona dalla più precoce
infanzia e il suo diritto a essere
riconosciuto come chi è?” (Il con-
cetto di autonomia nello sviluppo
infantile precoce: coerenza tra teo-
ria e pratica. Myrtha Chokler)
E questi sono i valori che abbia-
mo ri-conosciuto attraverso le
parole dalla nostra formatrice
dottoressa Myrtha Chokler: Ri-
spetto, sicurezza, autonomia.
RISPETTO
per il bambino e la sua famiglia,
per il diritto del bambino ad essere
protagonista del suo sviluppo,
per la maturazione neuropsicolo-
gica del bambino.
SICUREZZA
Affettiva,
posturale, corporea,
umana, ambientale e materiale.
AUTONOMIA
come possibilità di scegliere,
di prendere iniziative,
come fiducia nelle proprie capa-
cità.
(liberamente tratto da “Gli orga-
nizzatori dello sviluppo “ Myrtha
Chokler)
Ritornando all’inizio di questo
racconto, che ci ha portato in
questi giorni, ad andare e tor-
nare, con la memoria, alla storia
del gruppo Pikler, nel ripercorre
il sentiero che abbiamo tracciato
come gruppo, abbiamo ritrovato
nei passaggi, tutte, un comune
incontro: quello con un pensiero
ed un luogo, il pensiero di Emmi
Pikler e Loczy, in particolare,
attraverso la voce, le parole, le
gressive.” (così si legge in “Datemi
tempo” di Emmi Pikler)
Come potevamo noi adulti non
sentirci chiamati ad agire nella
responsabilità dell’educazione?
L’approccio pikleriano contrad-
distingue il gruppo ma ognuna
di noi aveva inizialmente una sua
motivazione particolare per deci-
dere di farne parte:
- un’occasione per avere uno spa-
zio per pensare, studiare, appro-
fondire la parte teorica per ripor-
tarla alla pratica quotidiana;
- condividere l’idea di bambino;
- essere consapevoli di quello che
facciamo;
- bisogno di crescere e conoscer-
si, riconoscendoci un valore reci-
proco;
- un luogo per parlare del nostro
vissuto e delle nostre emozioni di
educatrici, per non sentirci sole e
per prenderci cura di noi stesse.
Il desiderio e il piacere di riunirsi
nasce quindi da una spinta indi-
viduale di educatrici, insegnanti,
provenienti da luoghi differenti
(Pesaro, Fano, Cartoceto, Peglio,
Sant’Angelo in Vado…) e di di-
verse appartenenze (pubblico,
privato, convenzionato) che ini-
ziano ad incontrarsi periodi-
camente (ogni 40 giorni circa),
fuori dell’orario di lavoro e fuori
dalle istituzioni per condividere,
studiare e approfondire quei va-
lori indispensabili all’educazione
e alla crescita dei bambini.
Cosa facciamo nel gruppo stu-
dio?
Cerchiamo di capire e sentiamo
il bisogno di sostare, so-stare, di
stare dentro il pensiero e l’azione,
di tornare costantemente, nell’u-
no e nell’altra, leggere, studiare.
Sentiamo che non basta il desi-
derio, c’è un bisogno, quello di
conoscere: per questo troviamo
un tempo, un tempo non istitu-
zionale, ri-cercato, per fermarci,
immagini che
ci ha portato
Myrtha Chok-
ler. Questo in-
contro ha fatto
la differenza,
non solo per
la curiosità e
l’interesse che
ha portato in
tante educa-
trici favoren-
do così un
avvicinamen-
to o un riav-
vicinamento
all’approccio
Pikler, ma an-
che per quello
che Myrtha ci
ha trasmes-
so: il rigore,
l’impegno, la
responsabilità
per l’educazio-
ne. Ci ha trasmesso, non solo un
sapere, ma ci ha accompagnato
nel suo saper essere insegnan-
te-educatrice, non lo ha mai fatto
con seduzione, ma sempre con
fiducia, rispetto e generosità, non
sostituendo la sua esperienza alla
nostra permettendoci pian piano
di comprendere.
Nel difficile momento della pan-
demia, in particolare durante i
lockdown, ha partecipato ai no-
stri incontri on line donandoci
un grande sostegno. Successi-
vamente, ha condiviso con noi
articoli e testi proponendo di ri-
vederne la traduzione in italiano,
favorendo così non solo l’interes-
se ma anche l’approfondimento e
lo scambio.
“Alla fine di questo strano secolo
Ventesimo che ci ha insegnato tut-
ti i modi scientifici per distruggere
l’individuo, sono estremamen-
te rari i luoghi in questo mondo
dove, come a Loczy, si sa, scienti-
ficamente, come aiutarlo a costru-
irsi” (Bernard Martino)
poiché qui sentiamo una diffe-
renza importante per la cura e la
crescita dei bambini. Nei nostri
incontri, c’è sempre un testo! Il
testo ci permette di rimanere sul
pezzo, sul contenuto, è il nostro
vincolo insieme a quello del con-
fronto.
Testi e materiali ci hanno ac-
compagnate in questo percorso,
tra questi:
1. “I compiti dell’adulto a pro-
posito delle attività di gioco del
bambino” di Anna Tardos.”
2. “Come si gioca il bambino
quando gioca. Concetto di gioco:
le radici dell’attività ludica.”
Myrtha Chokler
3. “L’osservazione del movimento
nel bambino” di Agnes Szanto.
4.“Datemi tempo” di Emmi Pikler
5. “Esperienze intense, paure in
agguato nel cammino di essere e
apprendere” di Myrtha Chokler.
Nel tempo le nostre modalità di
studio sono cambiate, il gruppo
si è aggiustato: inizialmente ci
davamo una lettura da fare da “a
casa”, per poi discuterla insieme
nell’incontro successivo, poi ab-
biamo preferito non lasciarci un
compito, ma ritrovarci e leggere
insieme (questa scelta chiara-
mente non escludeva l’altra).
Andiamo avanti lentamente, per-
ché ci soffermiamo sulle parole e
su queste ci confrontiamo sulle
diverse attribuzioni di significato,
ci facciamo domande, ci scam-
biamo le esperienze. La lettura
ci offre l’opportunità di ripensare
alla pratica quotidiana e il grup-
po di confrontarci. Una parola di
un testo fa scaturire un momen-
to vissuto insieme ai bambini e
alle bambine durante il mattino
e il gruppo offre la possibilità di
verificare, riconoscere, esemplifi-
care e legare un’immagine ad una
frase.
Negli anni diverse persone sono
uscite dal gruppo, altre entrate,
alcune sono rimaste. Durante la
Dalla storia del gruppo
studio Pikler confronti
e riflessioni
Gina Iacomucci: “Il gruppo na-
sce da un comune interesse e dal-
le differenze che lo compongono
e lo mantengono: c’è un rigore
attento e gentile di chi tiene la
cadenza degli appuntamenti e ri-
convoca gli incontri; c’è un buon
intreccio tra presenze costanti e
partecipazioni intermittenti; c’è
sempre il “pensiero di prendere
gli appunti, per chi era presente
e per chi non c’era; c’è la meti-
colosità che porta a soffermarci
sulle singole parole, sui dettagli;
a volte c’è l’abbandono della let-
tura del giorno per il bisogno e il
piacere di condividere l’esperien-
za quotidiana; c’è un procedere nel
cambiamento, imparando dagli
incontri come e cosa è meglio
fare insieme: quando abbiamo
visto che leggere a casa non fun-
zionava, perché c’era chi ci riu-
sciva e chi no, abbiamo scelto di
pandemia alcune di loro sono
ritornate; in questo difficilissi-
mo periodo, il gruppo di studio
è stato di riferimento, sentivamo
il bisogno di trovare una “base
sicura”, un luogo dove poterci
ritrovare con persone di riferi-
mento, di forte aiuto reciproco
e di confronto accesso. Le lettu-
re sono state accantonate perché
avevamo bisogno di raccontarci
le nostre emozioni, le nostre pau-
re, le nostre esperienze e cercare
una strada per incontrare i bam-
bini e le famiglie. Così in quelle
giornate, come in tutto questo
tempo, da quando abbiamo ini-
ziato a incontrarci ad oggi, abbia-
mo sentito e trovato le ragioni
per dare al gruppo “spazio e farlo
durare”.
Questa nostra determinazione
ad andare avanti ci fa pensare alla
frase di Calvino:
“L’inferno dei viventi non è qual-
cosa che sarà; se ce n’è uno, è quel-
lo che è già qui, l’inferno che abi-
tiamo tutti i giorni, che formiamo
stando insieme. Due modi ci sono
per non soffrirne. Il primo riesce
facile a molti: accettare l’inferno
e diventarne parte fino al pun-
to di non vederlo più. Il secondo
è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare
e saper riconoscere chi e cosa, in
mezzo all’inferno, non è inferno, e
farlo durare, e dargli spazio.” (“Le
città invisibili ”Italo Calvino)
Quali sono i valori che condi-
vidiamo?“Che uomo, e quindi,
che tipo di bambino vogliamo
aiutare ad essere e a crescere?
Un soggetto autonomo, libero, con
fiducia in sé stesso, nell’ambiente e
nelle sue proprie competenze per
riuscire a pensare ed elaborare
strategie nel suo livello per la ri-
soluzione dei problemi, ostacoli
e conflitti? Un essere aperto, sen-
sibile, comunicativo e solidale? O
invece un essere ubbidiente, di-