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AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 1
di Marco Lorusso
RICORDARE NON BASTA
IL TEMPO DELLA RICRESCITA
Ilprimoerrorechesipuòcommettereleggendoque-
sto articolo è quello di pensare che arrivi fuori tem-
po, inopportunamente. L’argomento è uno di quelli
importanti, da maneggiare con cura e precisione,
facendo attenzione al detto e non-detto delle pro-
prie parole. Tanto è importante che parlarne troppo
potrebbe significare banalizzarlo, quasi asciugarlo
del proprio senso. Tanto è importante che si preferi-
sce riservarlo alla formalità delle grandi cerimonie
e alla commozione di un’unica giornata, dove tutto
si rinchiude e nulla poi rimane. Il treno dei gran-
di opinionisti passato il 27 Gennaio l’ho perso, sono
arrivato in ritardo, ma ciò non mi impedisce, a un
mese di distanza, di prenderne un altro, salirci su
e parlare, senza ricorrenze o grandi appuntamenti,
della Giornata della Memoria.
Con la legge n.21 del 20 Luglio 2000 viene ufficial-
mente indetto in Italia il Giorno della Memoria “al
fine di ricordare la Shoah […] in modo da conservare
nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed
oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in
Europa, e affinché simili eventi non possano mai
più accadere.”.
Sicuramente nel cuore di chi si è seduto a tavolino
per scrivere queste parole ardeva un sentimento
per cui ricordare non è una scelta trascurabile, ma
una necessità. La necessità di ricordare è, infatti,
il frutto del dovere sociale e morale di mantenere
vivo il peso del dramma, il bruciore delle ferite, l’o-
dore del sangue e il dolore del più grande crimine
commesso dall’umanità sull’umanità. Quel senti-
mento attraverso cui si esplica la paura, la speranza
che l’incubo non torni a infestare le nostre notti e il
sogno che la diversità non si mischi più con l’odio e
la violenza.
E fin qui, per carità, tutto bene.
Nel corso di questi anni, però, forse abbiamo dato
per scontato troppe cose, come il fatto che questo
sentimento potesse alimentarsi da solo, come
il fatto che l’odore del sangue potesse sentirlo
chiunque, dall’anziano più esperto al ragazzino più
distratto, noncuranti e ignoranti di un doveroso
interrogativo:
Cosa succede quando il sentimento scompare? E
si, perché, se è sicuro che un giorno basti per ricor-
dare, non è altrettanto sicuro che un giorno basti
per sentire, per capire, insomma, per tenerlo vivo
quel sentimento. E così, quando questo svanisce, la
memoria sfuma e rimaniamo noi a galleggiare tra
i minuti di silenzio, le scene de “La Vita è Bella” e le
letture di Se questo è un uomo nelle scuole di ogni
grado. Quando il sentimento scompare, l’esigenza si
trasforma in ricorrenza ed ecco che la storia falli-
sce, quando un presente anarchico affoga l’anima
del suo passato. Infatti, dinanzi ai nostri occhi, nel
profondo del nostro quotidiano, risorgono, soprat-
tutto tra i giovani, quelle stesse ideologie che hanno
portato al disastro, quelle stesse ideologie represse
dalla Legge Scelba e vietate attraverso l’istituzione
del reato di Apologia del Fascismo. Risorgono così
prepotentemente, tanto da far dubitare che siano
mai morte.
Non lo dicono le parole di uno pseudo giornalista,
ma alcuni dati che chiunque potrebbe raccogliere.
Basta fare un giro su Facebook e digitare sulla barra
di ricerca la parola Fascismo ed ecco palesarsi da-
vanti a noi le pagine I Giovani Fascisti Italiani, Esse-
re Fascista non è REATO, Fascisti Italiani, Fascisti del
Terzo Millennio e chissà quante altre che non stiamo
qui ad annoverare. Solo tra queste succitate pos-
siamo contare circa 170.000 likes, 170.000 persone
che sbandierano il loro amor patriae, il loro credo, il
loro orgoglio, ora più che mai, di essere fascisti.
Sotto una pellicola trasparente, visibile a tutti, si
svolge la ricostruzione di un pensiero che è stato
imballato, confezionato, riposto in uno scatolone
per qualche decennio e che la memoria non è riu-
scita (e probabilmente non riuscirà mai) a sconfig-
gere. 	
Smettiamo di trasformare la necessità in formalità,
l’essenziale in rituale, ricordiamoci meno dei cosa
e più dei perché e cerchiamo
un po’ di somigliare alla co-
pertina di questo numero: un
continuo gioco di sguardi tra
passato e futuro.
EDITORIALE
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Città
Cinque mesi fa un mio caro ami-
co, presidente del giornale per il
quale ho il piacere di scrivere, mi
parlava con gran gioia e deter-
minazione di un progetto, un’i-
dea “innovativa” e “antiquata” al
tempo stesso.
Io ero lì, seduto a sorseggiare
una tazza di caffè bollente men-
tre simulavo l’espressione di un
ascoltatore attento. Come accade
spesso, la mia mente era in quel
momento vittima di un inces-
sante divagare: pensavo a quanto
fosse affascinante il luogo di ri-
trovo – Piazza Duomo ad Altamu-
ra - e alla sua importanza nella
storia altamurana.
Proprio la piazza nacque come
luogo d’incontro e di aggrega-
zione, in cui ognuno era libero di
dir la propria, di polemizzare o di
esprimere consenso, come cuore
pulsante della vita cittadina.
A quel punto mi chiedevo: che
cosa rimane oggi di quella febbri-
citante interazione sociale? Quali
sono i luoghi e i mezzi più effica-
ci per poter esprimere le proprie
idee? E i giovani, che ruolo hanno
in tutto ciò? Non potranno mica
esprimersi solamente tramite
likes e selfie!
I miei pensieri furono brusca-
mente interrotti da una doman-
da del mio caro amico:
‘’Allora? Cosa ne pensi?’’
Colto di sorpresa, risposi : ‘’È una
gran bella idea, ma non so se pos-
sa funzionare, perché sai come
oggi i giornali non si leggono più.
In ogni caso, fammi sapere come
va!’’.
Di lì a pochi giorni sarei partito
per cominciare la mia avventura
universitaria lontano da casa e
di quel progetto, a parte qualche
rapida notizia su Facebook, non
seppi più nulla, fin quando non
tornai qualche mese dopo. Solo
allora mi resi conto della portata
di ciò che la comunità giovanile
altamurana stava partorendo.
Oggi Sedici Pagine è una realtà
già affermata e consolidata nel
panorama culturale altamura-
SEDICI PAGINE AR
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no, un giornale indipendente e
vario che si pone uno scopo ben
preciso: creare uno spazio che dia
l’opportunità di mostrare a più
persone quale sia il pensiero gio-
vanile riguardo temi locali e non.
Quello che può sembrare un
banalissimo giornale, un’idea
antiquata, nell’era del digitale
e dell’informazione online co-
stituisce un’innovazione di cui
ognuno di noi dovrebbe farsi por-
tatore. Sotto le vesti del giornale,
infatti, scalpita la volontà di ri-
costruire una rete sociale basata
su rapporti umani, di dare vita al
confronto e al dibattito, di ripor-
tare sensibilità verso ciò che più è
vicino e più resta indifferente ai
nostri occhi.
Dunque, perché non allargare il
più possibile questa rete?
L’esigenza dei giovani altamura-
ni, d’altra parte, non è sola, per-
ché la accomuna anche alla vici-
na città futura capitale europea
della cultura.
A Matera la parola cultura risuo-
na da tempo nell’aria: qualcuno
sembra averne sentito l’eco, qual-
cun altro crede sia stata rapita e
venduta all’ingresso di bar, piz-
zerie e b&b del centro storico, allo
scopo di attrarre folle di turisti
incantati dalla sua bellezza.
Forse non è ancora troppo tardi
per liberarla, poiché fortunata-
mente anche a Matera qualcuno
è pronto a smuoversi per dire la
sua, anche se in sole Sedici Pagi-
ne. Anche di lì ci saranno presto
novità.
RRIVA A MATERA
di Alessandro Cornacchia
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Scuola
A partire dal 2018 verranno mes-
se in atto le novità previste dalla
Buona scuola, una riforma già
entrata in vigore il 16 luglio 2015
e che ha già scatenato numerose
polemiche. Tra queste novità vi è
la modifica dell’Esame di Stato,
la riforma più attesa e temuta da
noi studenti.
Ma in cosa consiste questo cam-
biamento?
Cambiano le modalità di am-
missione all’esame
Tanto per cominciare, per essere
ammessi all’Esame di Stato non
sarà più necessario raggiungere
la sufficienza in tutte le materie:
questo significa che si potrà es-
sere ammessi all’Esame di Stato
anche con un 5 (o un 4 o un 3)
purché ci siano dei 7 (o degli 8 o
dei 9) a compensare su altre ma-
terie. Le insufficienze sono indi-
cate in modo generico e dunque
è irrilevante che siano nelle ma-
terie considerate fondamentali.
Un cambiamento del tutto for-
male, come dimostrano i dati:
l’anno scorso, infatti, il 96% degli
studenti è stato ammesso all’esa-
me di Stato, ma che il 20% di loro
aveva insufficienze in una o più
discipline, trasformate in sei in
seguito agli scrutini.
L’eliminazione della terza prova
La novità che ha fatto più notizia
nelle ultime settimane, però, è
senz’altro questa: dal 2018 in poi
gli studenti affronteranno solo
due prove, una di italiano e una
specifica del proprio indirizzo di
studio. Viene quindi eliminata la
prova di tipo interdisciplinare,
considerata la prova scritta più
temuta.
Prove Invalsi: un nuovo test per
la lingua inglese
Se da un lato ci si libera della
terza prova, dall’altra il decreto
attuativo prevede che si aggiun-
ga alle prove Invalsi di italiano e
matematica una prova di inglese
standardizzata. Lo svolgimen-
to della prova, però, non influ-
isce sul voto finale. A che serve?
La prova certificherà le abilità di
comprensione e uso della lingua
inglese in linea con il Quadro Co-
mune di Riferimento Europeo
per le lingue. Il punteggio rag-
giunto sarà riportato nella docu-
mentazione allegata al diploma.
L’alternanza scuola lavoro di-
venta argomento di esame
La tanto chiacchierata alternan-
za scuola lavoro sarà anche ar-
gomento del colloquio orale, in
cui agli studenti verrà chiesto
di relazionare sulle attività svol-
te. L’alternanza scuola lavoro ha
suscitato e continua a suscitare
polemiche, sia per la quantità
di tempo richiesto (400 ore per
tecnici e professionali, almeno
200 ore per i licei), sia per la qua-
lità dell’offerta formativa. É giu-
sto sottolineare che l’alternanza
scuola lavoro tenta di colmare
un gap della scuola italiana, che
è quello di essere molto teorica
e poco pratica; tuttavia, a causa
della mancanza di fondi, spesso
le attività svolte non riguardano
l’indirizzo di studio scelto, altre
volte consistono soltanto in uno
sfruttamento di mano d’opera e
non in una reale occasione di for-
mazione. Altro problema sono le
spese dell’alternanza scuola-la-
voro, solitamente a carico delle
famiglie.
Esami di Stato 2018
come cambia la scuola italiana
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 5
di Mariateresa Natuzzi
Raddoppia il punteggio del cre-
dito scolastico e diminuisce
quello del colloquio orale
A partire dal 2018 la ripartizione
del punteggio sarà modificata in
questo modo:
- i crediti scolastici incideran-
no fino a 40 punti, e non 25
come è attualmente
- il punteggio complessivo del-
le prove scritte passa da 30 a
40 punti
- il colloquio orale passa da 30
a 20 punti
Le prove scritte e i voti degli ul-
timi tre anni di scuola superiore
avranno quindi un peso maggio-
re rispetto al colloquio orale, la
prova che più di tutte consente di
valutare le conoscenze interdi-
sciplinari e la capacità critica e
argomentativa del candidato.
Resta da chiedersi se è questo il
modello di scuola a cui vogliamo
tendere o se forse proprio la scuo-
la italiana può intraprendere una
nuova direzione di rotta. Come?
Preferendo la globalità del sape-
re al tecnicismo, la capacità cri-
tica al vuoto nozionismo, ripar-
tendo dalla scuola per incidere
sulla società: sta a noi giovani,
ancora una volta, la responsabili-
tà di scegliere quale strada pren-
dere e quale futuro provare a co-
struire.
6
Sport
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Il borsone già pronto ad un ango-
lo della stanza, poi corri in pale-
stra, oppure in piscina, o ancora
al campetto…
Quasi tutti i bambini, in età
pre-puberale praticano uno sport.
Per loro è sempre occasione di
gioco e divertimento, ed è anche
il momento giusto per passare del
tempo fuori casa o fuori scuola.
Tuttavia, man mano che si cresce,
si assiste ad un fenomeno poco
piacevole; gli inglesi lo definisco-
no “drop out”: l’abbandono del-
la disciplina praticata. Il tutto
avviene specialmente in età ado-
lescenziale, a partire dai 14 anni,
proprio durante quella fase così
delicata, in cui l’attività sportiva
sarebbe davvero fondamentale
per la crescita del ragazzo a livel-
lo psicologico, sociale e fisico. Il
dato è preoccupante: stando ad
un’indagine ISTAT del 2014, circa
il 43% degli adolescenti ha abban-
donato lo sport.
Nel corso degli anni, questo fe-
nomeno ha attratto sempre più
l’attenzione di psicologi, terapeu-
ti e istruttori, al punto da avviare
studi ed indagini per comprende-
re origini e motivazioni del fe-
nomeno.
Dunque, quali sono le ragioni per
cui un adolescente smette di prati-
care il proprio sport?
Interviste, ricerche sul campo e
questionari hanno rivelato che
le motivazioni sarebbero mol-
te e di numerosi tipi. Primo fra
tutti c’è il problema dell’agoni-
smo esasperato fin da piccoli, in
un mondo che non sa aspettare
la maturazione di ciascuno, ma
sempre più avviato verso una se-
lezione precoce; la ricerca di un
risultato a tutti i costi; l’illusione
di divenire campioni. Non da sot-
tovalutare ci sono fattori dovuti
proprio alla crescita del piccolo
atleta, come la comparsa di nuovi
interessi; la mancanza di diver-
timento a causa della comparsa
di un training sempre più ripeti-
tivo e meccanico; il problema di
conciliare studio e allenamento.
E infine ci sono quei dati che fan-
no più paura e che solo un prati-
cante può comprendere appieno:
la troppa fatica, la mancanza di
sopportazione al dolore, gli ec-
cessivi sacrifici; o addirittura l’i-
nadeguatezza degli impianti dal
punto di vista logistico, accompa-
gnati dai disaccordi che possono
sorgere con il proprio istrutto-
re, allenatore, maestro, in un
mondo in cui ormai, la maggior
parte degli insegnanti si forma in
pochi mesi e non in anni di prati-
ca costante.
Sarebbero questi, dunque, i mo-
tivi del drop out… motivi che ri-
mandano al vero problema, che
non è l’abbandono della discipli-
na a lungo praticata, bensì, l’ab-
bandono dello “sport” in senso
lato. I dati elencati, infatti, abbat-
tono totalmente quello che era il
senso originario dello sport, che
nella sua etimologia più antica è
l›abbreviazione della parola ingle-
se “disport” che vuol dire “diverti-
mento”, dal francese “desport”
che ha lo stesso significato e che
viene dal latino “deportare”, ter-
mine che rimandava al “portare
fuori dalle mura della città”.
Soluzioni? Sicuramente, sono da
ricercare nel ritorno all’origine,
nella competenza dell’istruttore
in questione, nel cercare di cre-
are un gruppo compatto e com-
plice, nel tentativo di trasmettere
quelli che sono i valori educativi
di qualsiasi disciplina sportiva,
nel far comprendere che l’im-
portante non è il risultato, ma il
costante miglioramento della
prestazione, la crescita perso-
nale, la vittoria che si trova in
sé stessi.
Dopotutto, come disse il barone
Pierre de Coubertin (pedagogista
e storico francese, promotore dei
Giochi Olimpici dell’era moder-
na): “La cosa essenziale non è la
vittoria ma la certezza di essersi
battuti bene”.
di Silvia Miglionico
DROP OUTla sindrome del voglio smettere
Scienza
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 7
Se ci fosse una selezione delle
domande più inusuali, perché
non inserire “da cosa dipende il
colore che il tramonto assume?”
Quasi tutti ne fanno l’oggetto dei
loro scatti, ma si interessano per
davvero a quanto succede dinan-
zi a loro? Quello che si mostra a
noi come un affascinante gioco
di luci offerto da madre natura
diventa un vero e proprio spetta-
colo se si pensa che ogni giorno
i suoi colori mutano, rendendo-
lo un fenomeno irripetibile. Lo
scattering, o diffusione ottica,
è una sottospecie di “biliardo”
delle onde e delle piccole parti-
celle. In questo specifico caso, la
luce, viaggiando in direzione del
pianeta Terra, deve attraversare
strati più o meno vasti dell’at-
mosfera, ma rimbalzando con-
tro le particelle che compongono
quest’ultima, i raggi sono deviati
in più direzioni e prendono co-
lorazione differente in base alla
composizione chimica dell’aria. É
un procedimento che si ripete mi-
lioni di volte prima che la luce ci
raggiunga, ma ciò non può essere
colto dai nostri occhi, o meglio,
può essere percepito solo in par-
te, secondo lo spettro del visibile,
lo stesso che fa sì che il cielo ci
sembri azzurro. Il tramonto, visto
da noi, perde della sua vividezza
dal momento che le particelle più
grandi, polveri ed inquinamento,
catturano il colore. Nonostante
ciò, le onde elettromagnetiche
corrispondenti al colore rosso
hanno una grande lunghezza
d’onda che, a differenza di quelle
ultraviolette, assai pericolose per
l’uomo e caratterizzate da una
bassa lunghezza d’onda, permet-
te loro di solcare l’aria senza tan-
te difficoltà. Si può sperare in un
capolavoro dopo una tempesta,
quando non solo ci sarà apparso
l’arcobaleno, ma anche il crepu-
scolo ci sedurrà (più del solito): in
determinate condizioni, infatti,
le nuvole, come uno scudo scin-
tillante, proteggeranno le sfu-
mature di colore più intense e le
rifletteranno, facendone dono ai
nostri occhi. Un robot della Nasa
Curiosity ha catturato con un’im-
magine il tramonto su Marte,
mostrandoci che anche lì questo
fenomeno ha il suo effetto : il cie-
lo si tinge di un blu intenso e le
dimensioni del Sole si aggirano
intorno ai 2/3 di quelle avvertite
sul nostro pianeta. Altre imma-
gini giungono a noi dalla Stazio-
ne Spaziale Internazionale che,
con gran tempismo, hanno col-
to uno dei 16 tramonti infuocati
rintracciati nonostante l’elevata
velocità orbitale in un giorno. Lo
scattering, pur essendo stato vi-
visezionato dagli studi dei fisici,
è avvolto da un barlume di ma-
gia che lo rende imprevedibile.
La dispersione ottica non ha nul-
la a che vedere con la copertina
di ‘The dark side of the moon’, è
determinata dal caso in maniera
del tutto disordinata. È come se
avesse dell’umano nella sua im-
perfezione.
Sarà forse
per questo
che ci attrae
così tanto?
di Eleonora Pucci
MAI UGUALE A SE STESSO
ECCO COME CAMBIA IL COLORE DEL CIELO
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Cultura e Città
Nell’aprile del 1925, Tommaso
Fiore, scrisse una serie di lettere
a Piero Gobetti, raccolte poi nel li-
bro ‘Un popolo di formiche’, ove
conduce una analisi delle realtà
pugliesi, o, come ama definirle il
politico pugliese, delle “espres-
sioni archeologiche”. Il reporta-
ge racconta il divario fra sud e
nord: una grossa raccolta di cor-
rispondenze che inquadrano il
meridione “serrato nel dolore e
negli usi, senza conforto, senza
dolcezza”. Fiore si sofferma, però,
su un particolare non trascura-
bile: la laboriosità. Terre come
la Murgia hanno poco da offrire
e quindi poco possono fruttare.
Sono terre ‘difficili’ e senz’acqua.
Eppure sono abitate da contadini
umili e perseveranti, che giorno
dopo giorno, nei secoli, hanno
modellato le stesse, senza stra-
volgerle. Ma Fiore non poteva di
certo immaginare che in qual-
che decennio sarebbe cambiato
(quasi) tutto. Nel primo dopo-
guerra, infatti, per far fronte alla
ormai dilagante Questione Meri-
dionale vennero realizzate la ri-
forma agraria e la legge 634 del
1957. L’obiettivo era offrire aiuti
finalizzati allo sviluppo tecnolo-
gico per le medie e piccole pro-
prietà terriere e innescare un
processo di industrializzazione
per far ‘respirare’ questi luoghi
remoti. Da allora, incentivi, fi-
nanziamenti a fondo perduto,
integrazione, e altri sovvenzioni
hanno generato un flusso di da-
naro abnorme. Lo sviluppo è sta-
to avviato, sí, ma accompagnato,
purtroppo, da qualche contrad-
dizione. Esempio lampante: di-
stese di Murgia spietrate hanno
lasciato spazio a pseudo colti-
vazioni, i quali unici frutti sono
gli introiti dell’integrazione. Tut-
tavia queste sovvenzioni hanno
fatto sì che Altamura, assieme
alla vicina Matera e Santeramo
in Colle, facesse parte del cosid-
detto ‘triangolo del salotto’. Nel
bel mezzo del nulla, infatti, è cre-
sciuto un fiore all’occhiello del
Made in Italy, che nel solo 2003
valeva circa 2.2 miliardi di euro:
il 55% della produzione italia-
na, e l’11% di quella dell’intero
pianeta. È bello pensare come
tutto sia nato dalla dedizione e
dal fiuto di qualche operaio, che
dopo aver fatto esperienza dai
‘maestri d’ascia’ o nelle gran-
di industrie settentrionali, si è
gettato nel mondo dell’impren-
ditoria, raggiungendo risultati
impressionanti, qui, al sud (vedi:
Natuzzi, Nicoletti, Calia). Un fio-
re, peró, affinchè cresca sano e
profumato, necessita di attenzio-
COSA RIMANE DEL DIVA
DECADENZA DELL’IMPERO CHE PRODUCEV
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9
ni. Se alle neorealtà non si affian-
cano le infrastrutture adeguate
e non viene operato un controllo
valido, viene precluso l’avvento
di uno sviluppo solido. Da anni
si attende la messa in sicurezza
dell’arteria principale che collega
Bari all’entroterra murgiano (S.s.
96), frequentata assiduamen-
te da mezzi pesanti. Le ‘4 corsie’
dovrebbero arrivare finalmente
entro la fine di quest’anno, più di
dieci anni dopo l’inizio della cri-
si del settore. La strada ferrata?
Praticamente inesistente. La Fal
non è attrezzata per il trasporto
merci;l’ avvento della concorren-
za spietata da parte dei mercati
asiatici, la scarsa collaborazio-
ne delle amministrazioni locali
e delle regioni, che fanno diffi-
coltà a trovare punti d’incontro,
hanno sradicato il nostro fragile
fiore. Fatta eccezione per qualche
attività, come la ‘Calia italia’ che,
pur producendo in Basilicata, dà
lavoro a circa trecento persone e
ha una reputazione rispettabile,
riconosciuta sui mercati di tut-
to il mondo, c’è chi ha preferito
investire direttamente altrove,
ove la manodopera costa meno:
Natuzzi ha lasciato a casa centi-
naia di operai, aprendo aziende
altrove e quotando la società a
New York. Molte realtà, oppresse
dalla crisi hanno dovuto chiude-
re, trascinando nell’oblio anche
le piccole imprese satelliti che
collaboravano con i colossi. Ma
del resto quando si ‘gioca’ a fare
gli imprenditori, ignorando di-
verse responsabilità e prestando
poca attenzione alla gestione de-
gli investimenti, non ci si assicu-
ra la stabilità. Se poi nei luoghi
del potere si alternano degli in-
capaci, piuttosto che ingranare
una marcia in piú, si torna indie-
tro a testa bassa.
Un popolo di formiche? Forse
una volta, quando guidati da
antichi valori, ci si accontenta-
va di poco e si viveva in simbiosi
con la madre Terra. Mentre ora
ci godiamo la pietra frantuma-
ta, le cattedrali in un deserto
sempre più arido e qualche ci-
cala con la sua grossa cilindrata
che sfreccia su strade sconnesse
e piene di buche, verso un futu-
ro incerto.
di Giuseppe Sardone
ANO “MADE IN MURGIA”?
VA PIÙ DELLA METÀ DEL DIVANO ITALIANO
www.sipremsrl.it
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA10
Società
Nei paesi del blocco occidenta-
le, la retorica politica si è recen-
temente concentrata sulla pro-
spettazione al grande pubblico
dei pericoli del calo demografico,
partorendo una infinità di cam-
pagne mediatiche di sensibilizza-
zione, le quali hanno assimilato il
problema del calo delle nascite ad
un mostro da combattere a tutti i
costi, per scongiurare i rischi del
progressivo invecchiamento del-
la popolazione.
In realtà, raschiando la superficie
del problema, al fine di sondarne
gli effettivi risvolti, soprattutto
nel medio-lungo termine, è fa-
cile accorgersi di come la cresci-
ta demografica sia una temati-
ca ben più complessa rispetto a
come viene affrontata dai gover-
ni occidentali e, addentrandosi
in un’analisi più approfondita,
è quasi inevitabile imbattersi in
un dubbio innocente e al con-
tempo angosciante: è davvero
auspicabile una ulteriore crescita
demografica?
L’attuale popolazione umana
ha superato la soglia dei set-
te miliardi di unità e gli incre-
menti maggiori si segnalano in
particolare nei mastodontici pa-
esi asiatici come la Cina, attual-
mente composta da un miliardo e
quattrocento milioni di cittadini
e l’India, staccata all’incirca di
duecento milioni.
Questi numeri, già di per sé spa-
ventosi ove ci si soffermi anche
solo per un attimo a considerare
la mole di risorse ambientali oc-
correnti per dare sostentamento
ad un così grande numero di uo-
mini, paiono ancor più preoccu-
panti laddove si prenda atto del
fatto che, meno di un secolo fa,
l’intera popolazione mondiale
non superava il miliardo e mez-
zo di componenti.
Inoltre, se a questi dati si aggiun-
gono anche le recentissime stime
dell’ONU basate sull’attuale tas-
so di crescita mondiale, in base
alle quali si prevede che entro
85 anni la popolazione mondiale
crescerà di oltre il 32%, toccando
quota dieci miliardi già nel 2050,
è ancor più semplice compren-
dere l’enormità del problema. In
tempi non sospetti, questi perico-
li furono scientificamente analiz-
zati dal celebre economista e ma-
tematico inglese Thomas Robert
Malthus, il quale, a cavallo tra il
‘700 e l’800, sostenne per la pri-
ma volta, servendosi di un model-
lo matematico noto come curva di
Malthus, che il processo di cre-
scita della popolazione, spinto
oltre la soglia di tollerabilità,
avrebbe avuto come estrema
conseguenza l’estinzione della
razza umana.
La teoria malthusiana si sostan-
zia nella rappresentazione gra-
fica, su diagramma cartesiano,
delle variazioni della popolazione
nel corso del tempo e con essa l’e-
conomista ha dimostrato come la
crescita della popolazione sia in
grado di ridurre progressivamen-
te le risorse alimentari a disposi-
zione degli uomini, fino a farle
scarseggiare.
Ad una situazione di scarsità di
risorse segue poi, un inevitabile
rallentamento del processo biolo-
gico di riproduzione della specie il
quale si arresta in un punto, detto
di stabilità, in cui ogni individuo
ha a disposizione esattamente le
risorse alimentari fisiologiche
per sopravvivere e riprodursi.
Ogni scostamento dal punto di
equilibrio, orientato verso un in-
sostenibile aumento di popola-
zione costituisce, per Malthus, un
passo verso l’inevitabile estin-
zione della specie.
Alla luce di questi dati, la teoria
del geniale ingegnere genetico
e miliardario svizzero Bertrand
Zobrist, principale antagonista
di Robert Langdon nel romanzo
“Inferno” di Dan Brown, recen-
temente trasposto in un thril-
ler cinematografico, mirante ad
una drastica riduzione della po-
polazione mondiale attraverso
un virus letale, creato per porre
un freno alla insostenibilità del-
la crescita demografica, mostra
degli inquietanti fondamenti di
verità e può pertanto fungere per
l’uomo, come monito per ridurre
gli sprechi di energie e risorse co-
muni.Con questa nuova consape-
volezza si può adesso far ritorno
con maggior lucidità al quesito
iniziale.
È davvero auspicabile un’ulteriore
crescitademografica? A queste
condizioni, con questi ritmi, senza
nuove fonti di risorse, evidente-
mente no
di Marco Nuzzi
SULLA TERRA NON C’È PIÙ SPAZIO
DA MALTHUS A DAN BROWN: IL PROBLEMA DI ESSERE TROPPI
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Cultura
È sempre pericoloso utilizzare
categorie interpretative, nate e
pensate per un contesto, nel ten-
tativo di analizzare un contesto
completamente diverso. Un dif-
fuso mantra islamofobo recita
che: “L’Islam è bloccato nel me-
dioevo”. Sì, ma quale “medioe-
vo”? Applicare questo concetto,
coniato dal pensiero umanisti-
co-rinascimentale per la storia
dell’Europa Cristiana, al mondo
islamico è assolutamente inap-
propriato.
Nel mondo arabo-islamico, che
come unità politica raggiunge la
sua massima espansione già nel
VII secolo, il periodo corrispon-
dente a quello che la tradizione
cristiano-occidentale ha definito
“medioevo” è stato un’epoca ca-
ratterizzata da tutto fuorché da
un ristagno culturale, tecnico e
scientifico. Tutto parte dal Corano
e dalla Sunna. L’Islam incoraggia
la crescita della conoscenza ed il
progresso, a differenza di quanto
faceva il coevo cristianesimo me-
dievale. Uno degli hadith (detti
attribuiti al Profeta Muhammad)
sostiene la necessità di ricercare
la conoscenza anche a costo di
camminare fino in Cina! La scien-
za è un dono di Allah e chi la ri-
cerca, accetta meritoriamente la
benevolenza di Dio.
A cosa portò questa concezione
positiva della crescita scientifi-
ca? Al fiorire di una civiltà ric-
ca, rigogliosa e dispensatrice di
cultura e conoscenza. Tipo? La
Spagna musulmana, chiamata
al-Andalus (da cui “Andalusia”),
è l’esempio più famoso in meri-
to. La penisola iberica, sottoposta
alla dominazione islamica fino
alla “Reconquista” cristiana con-
clusasi nel 1492, era un esempio
di splendore multiculturale gra-
zie alla compresenza di ebrei, cri-
stiani e musulmani. Dalla Spagna
sono giunte nell’Europa cristiana
le opere di autori come Avicenna
(Ibn Sina), ritenuto il padre della
medicina diagnostica e definito
da George Sarton “il più famoso
scienziato dell’Islam di tutte le
razze, luoghi e tempi”. Della me-
desima provenienza sono le ope-
re di Averroè (Ibn Rushd), filosofo
e matematico arabo noto per il
commento alle opere di Aristo-
tele, ripreso da Dante nella sua
Commedia col verso “Averrois
che ‘l gran comento feo” (Inferno
IV). La scolastica di San Tommaso
d’Aquino non sarebbe mai esisti-
ta senza questa immensa eredità.
Senza contare l’opera di Alha-
zen (Hasan Ibn Haitham), punto
di partenza per tutte le ricerche
sull’ottica.
Anche la poesia in volgare, dai
trobadores spagnoli al Dolce Stil
novo, secondo alcuni è stata in-
fluenzata dallo stile dei poeti
arabo-andalusi. Infine, per tor-
nare alla questione dei numeri, il
metodo di numerazione che oggi
utilizziamo in Italia è definito
“arabo” poiché, sebbene inventa-
to dagli indiani, è stato introdotto
in Europa grazie alla mediazione
arabo-islamica. Se ci aggiungia-
mo l’opera di al-Khwarizmi (da
cui la parola “algoritmo”) ed il
suo apporto allo studio dell’al-
gebra (dall’arabo al-jabr) è facile
rendersi conto che la matematica
come la conosciamo e le sue ap-
plicazioni in ambito ingegneristi-
co ed informatico non esistereb-
bero affatto.
Insomma, quale medioevo?
di Francesco Petronella
“BLOCCATI NEL MEDIOEVO”. SI, MA QUALE?
STEREOTIPI E FALSI MITI SUL MONDO ISLAMICO
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA12
Viaggi
IL SONel periodo estivo molti studen-
ti decidono di cambiare le loro
abitudini spinti dalla curiosità di
voler vivere in un posto diverso,
dove ciò che sono li possa rappre-
sentare.
L’educazione più innovativa ri-
tiene che per uno studente sia
più importante esplorare anzi-
ché “dare la risposta giusta”. E il
segreto della vera esplorazione
è la libertà. La stessa che ha per-
messo a me e ad un mio amico
di atterrare a Londra nel giugno
del 2016. Volevamo spingerci al
limite della libertà, volevamo
metterci alla prova.
Non avevamo niente di sicuro pri-
ma di partire se non un biglietto
di sola andata e una stanza in un
appartamento condiviso per una
settimana. Potevamo abbando-
nare tutto e tornare a casa dopo
una settimana ma questa era l’ul-
tima soddisfazione che avremmo
voluto dare a chi non credeva in
noi. Ci rimboccammo le maniche
e creammo il nostro Curriculum,
misero di esperienze ma pieno di
speranze e, nel disperato bisogno
di trovare lavoro, passavamo le
mattine lasciandolo in ogni ri-
storante e i pomeriggi inviando-
lo via mail. Non fu facile trovare
qualcuno che credesse in noi e
nella nostra permanenza prolun-
gata: avevamo rispettivamente 17
e 18 anni e dopo tre mesi sarem-
mo tornati tra i banchi di scuola.
Dopo cinque giorni, incontram-
mo entrambi qualcuno che cre-
deva in noi: trovammo un lavoro
vero, non come quelli scritti sul
nostro curriculum. Il manager
di un ristorante italiano credette
alla mia storia, diede fiducia ad
un ragazzo che, secondo un lungo
colloquio menzognero, sarebbe
rimasto per molto tempo in quel-
la metropoli e che aveva lasciato
la scuola per andare a lavorare. La
prima prova di lavoro in quell’im-
menso ristorante fu un disastro:
non avevo mai lavorato come ca-
meriere e la paura di sbagliare in-
timoriva ogni mia azione. Nono-
stante l’inesperienza, la fortuna
fu dalla mia parte: avrei iniziato a
lavorare part-time nella settima-
na successiva. Ero stato assunto!
Da quando eravamo arrivati, per-
nottavamo in una stanza con un
letto a castello e un armadio: una
camera così piccola in cui ogni
volta che mi cambiavo, il mio
compagno di stanza doveva sta-
re steso sul letto. Dopo la nostra
assunzione, ci trasferimmo in
un posto più abitabile, lontano
dal quartiere periferico costipa-
to da case popolari circondate da
parchi in cui di mattina i ragazzi
costruivano sogni e di notte gli
spacciatori glieli distruggevano.
Ci trasferimmo in una piccola
villa di un quartiere residenziale
vicino Willesden Green. La nostra
villetta si differenziava da tutte
le altre che la circondavano: le
crepe dei muri si mostravano ai
passanti della strada e il nostro
vialetto oltre ad essere l’unico
a non avere una macchina, era
sempre il più sporco. Abitavamo
con altri tre ragazzi, ognuno con
un unico obiettivo: riuscire a vi-
vere e cercare di far vivere altri.
Il mio coinquilino bulgaro, Miru,
un padre trentenne, lavorava tut-
ti i giorni della settimana e ogni
guadagno lo inviava alla sua fa-
miglia. L’unico momento libero
della sua vita era il lunedì pome-
riggio, l’unica parola che cono-
sceva era il lavoro e l’unico amore
che aveva era la sua famiglia. Non
lo conobbi subito, dovetti aspetta-
re quel “lunedì pomeriggio”.
Il primo giorno di lavoro arrivai
al ristorante carico di vitalità e
di umiltà, avevo 17 anni e per
la prima volta mi affacciavo al
In Italia 4 giovan
Vi raccontiamo la s
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di Domenico Stea
OGNO LONDINESEmondo del lavoro. Pensavo di do-
ver fare il barista o il cameriere
ma non andò come volevo. Il mio
primo lavoro fu il “jolly”: venivo
sbattuto dalla cucina alla sala, dal
magazzino al bar come se fossi
inutile ma allo stesso tempo utile
al lavoro di tutti. Mi sentivo pic-
colo in un mondo di grandi. Ca-
rico di laboriosità affrontai la pri-
ma settimana di lavoro ma senza
essere sotto contratto. In Inghil-
terra, prima di essere assunti bi-
sogna avere un conto corrente,
come se ti volessero già pagare.
La mia età non mi permetteva di
aprire un conto bancario se non
con l’ausilio di un genitore che,
in quel momento, era distante
migliaia di chilometri da me. Do-
vevo risolvere quel problema, ma
soprattutto dovevo risolverlo da
solo. Più la vita si metteva contro
e più aumentava la voglia di so-
praffarla, come se fosse un diver-
timento! Facevo di tutta l’espe-
rienza una conoscenza che mi
permetteva di affrontare meglio
ogni giornata e mi rendeva sem-
pre più parte della società londi-
nese.
Dopo due settimane di lavoro,
il manager mi fece lavorare in
sala come cameriere. Ogni gior-
no osservavo nei movimenti e
nei comportamenti chi aveva più
esperienza di me, copiavo chiun-
que per unire le loro conoscenze e
diventare uno dei migliori. Quel-
la stessa settimana ottenni il mio
primo stipendio, raggiunsi l’o-
biettivo del mio viaggio: divenni
libero. Non avevo più bisogno dei
soldi dei miei genitori. La liber-
tà permette di essere quello che
siamo! Per la prima volta avevo
ritrovato me stesso, sapevo che
se avessi lavorato di più, avrei
avuto più denaro da usare a mia
discrezione. Avevo combattuto
per la mia libertà e l’avevo otte-
nuta! Cosa sarei stato se mi fossi
accontentato di rimanere sotto
la protezione dei miei genitori?
La libertà è un concetto troppo
generico e no n di certo si può ca-
pire dalle mie parole. Certo, non
è un semplice obiettivo, ma il ri-
schio ne vale l’impresa?
Lo stesso manager che aveva cre-
duto in me il primo giorno, cre-
dette ancora di più in me dopo
avermi fatto lavorare come bar-
tender. In questo nuovo lavoro
avrei dovuto avere la conoscenza
del ristorante di un jolly e la ve-
locità del servizio di un camerie-
re. Il manager era arrivato al suo
obiettivo: forse è stato da sempre
più furbo di me, non a caso gesti-
va un ristorante. Iniziai a lavora-
re full time e divenni il secondo
bartender del ristorante, dopo
un mese divenni il primo. Metà
agosto arrivò subito, la scuola sa-
rebbe iniziata a breve e dopo una
miriade di esperienze in quella
palestra di vita dovetti licenziar-
mi.
Londra è una metropolitana che
dà a tutti una possibilità. Non ci
sono limiti di età o pregiudizi di
alcun tipo: si va avanti per me-
ritocrazia. Solo viaggiando e cer-
cando di essere i più liberi possi-
bile si può avere una concezione
diversa di quello che ci circonda.
Non pensate a quello che potrà
capitare, provateci! Del resto, si
va via per tornare.
ni su 10 vogliono scappare dal proprio paese per cercare felicità, divertimento e soddisfazione.
storia di Domenico, partito questa estate verso la meta più desiderata da ogni ragazzo: Londra
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
Musica
14
Molto spesso si cade nell’errore di
considerare i gruppi che hanno
riscosso un ampio successo com-
merciale, come quei gruppi che
hanno apportato notevoli miglio-
ramenti nel vastissimo panora-
ma musicale.
Nella maggior parte dei casi, in-
vece, non è assolutamente così. La
fama non è sinonimo nè di quali-
tà nè di innovazione. Ovviamen-
te, dinanzi ai gusti personali, po-
trebbero risultare superflui i dati
oggettivi con i quali si giustifica la
validità o meno di un gruppo. Ciò
nonostante la realtà è diversa. Le
cosiddette band “underground”,
conosciute, comprese e valorizza-
te da pochi, hanno portato, con le
loro sperimentazioni e la loro in-
clinazione all’avanguardia, enor-
mi cambiamenti.
Entrando nello specifico, la mu-
sica tedesca è stata forse la ten-
denza più creativa dei primi anni
Settanta, poiché ha creato una
nuova identità musicale nel mon-
do intero.
Tra il 1968 e il 1977 si sviluppa
in Germania il movimento del
“krautrock”. Esso non si basa su
rigidi schemi musicali, ma crea
diversissime maniere di fare mu-
sica, svincolandosi da ogni limi-
tazione che il rock con i suoi mu-
sicisti aveva imposto.
Tutto è musica per questi mu-
sicisti. Si passa dalle overtures
inquiete e dissacranti dei Faust,
per arrivare all’avant-garde con
i Can; si visitano scenari apoca-
di Nicolò Mascolo
KRAUTROCK
L’INNOVAZIONE MUSICALE
PARLA TEDESCO
littici con la musica degli Amon
Duul, per essere poi immersi nel-
le atmosfere irreali e sospese dei
Popol Vuh. Ma la creatività rag-
giunge i suoi massimi livelli con
l’elettronica. Il sound metallico e
minimalista dei Kraftwerk sarà
un punto di riferimento impre-
scindibile per lo sviluppo della
musica elettronica ed industriale
fino ai giorni nostri.
Le sinfonie di Klaus Schulze rap-
presentano un chiaro esempio
di come musica classica ed elet-
tronica possano unirsi perfetta-
mente per creare, attraverso il
loro connubio, opere di grande
valore artistico. Chitarre trattate,
voci usate come uno strumento e
ritmiche metronomiche marca-
no lo stile dei Neu! le cui sonorità
sono state copiate e riproposte,
ad esempio, da David Bowie.
Pertanto tutti questi musicisti
tedeschi, superando i canoni del
rock ed esplorando nuovi lin-
guaggi sonori, possono essere
considerati, senza ombra di dub-
bio, come alcuni dei più grandi
artisti del XX secolo. Malgrado
queste numerose innovazioni,
costoro hanno continuato ad es-
sere ignorati dal grande pubblico
mondiale, nonostante le loro idee
siano state rubate da beceri grup-
pi commerciali.
Il mondo delle sette note era e
rimane malato e solo attacca-
to al dio Denaro. A conferma di
ciò risulta emblematica la luci-
da analisi di Florian Fricke (ani-
ma dei Popol Vuh) che sostiene:
“Nell’apparato propagandistico
del capitalismo, la musica s’inca-
rica di stendere un velo che serva
a coprire la ragione, a impedire di
scegliere e decidere.
Gran parte del pop americano e
inglese si ritrova in questo ambi-
to deteriore, dove l’arte dei suoni
diviene corruzione o appare in
stretto accordo con essa”.
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE
Cinema
15
Campione di incassi a livello
mondiale con quasi 3 miliardi an-
nui all’attivo, il cinema indiano
è una realtà cinematografica an-
cora poco esplorata dai profani.
L’industria cinematografica del
paese è propriamente conosciuta
come “Bollywood”, termine nato
dalla fusione di due parole chi-
ave: Bombay, una delle metrop-
oli principali del subcontinente,
e Hollywood, mecca del cinema
statunitense.
Il popolo indiano si affacciò mol-
to presto sul cinema, quando nel
1897 un cinematografo dei fratel-
li Lumière approdò a Bombay con
alcuni cortometraggi, ed è in quel
momento che l’ancora viene get-
tata. I principali centri di produz-
ione affondarono le radici a Cal-
cutta, con la Phalke Film Compa-
ny e il Madan Theatre, la catena
più diffusa. La crescita divenne
chiara quando negli anni ‘30,
con l’avvento del sonoro, i film
annualmente prodotti in India
divennero numericamente su-
periori a quelli di qualsiasi altro
luogo. I temi principali dei film
erano le figure mitologiche e i san-
ti, spesso raffigurati in maniera
melodrammatica e accompagna-
ti dalla musica, l’elemento impre-
scindibile cui era legato il succes-
so dell’opera; i protagonisti can-
tavano in playback, sostituiti da
cantanti professionisti, e spesso
a suoni poco ispirati corrisponde-
va il fallimento del film. Superati
i problemi di linguaggio, legati
ai molteplici dialetti presenti nel
paese, tra gli anni ’30 e la fine
anni ’40 l’India dovette far fronte
al crollo politico post decoloniz-
zazione, con annesso aumento
della povertà e dell’instabilità so-
ciale. In tutta questa incertezza si
potrebbe pensare che il Paese non
abbia avuto tempo per il cinema,
ma è proprio allora che il cinema
indiano crebbe notevolmente,
sostenuto economicamente dallo
Stato, trasformandosi da cinema
commerciale a cinema d’arte,
con temi che riflettono le ten-
sioni del mondo e le controversie
della nazione.
Questa crescita rivoluzionaria
portò il nome di Satyajit Ray, con-
siderato uno dei miglior registi
a livello mondiale; il suo cinema
comprendeva fattori propri del
neorealismo italiano, ma la pro-
fonda bellezza del paese e l’uso
sinuoso della macchina da presa
trasformavano ogni sequenza in
un connubio melodrammatico
unico, come dimostrato nel suo
primo film “Pather Panchali” (“Il
lamento sul sentiero”) in cui vi-
ene raccontata la storia di Apu,
figlio di un sacerdote, e il rap-
porto con la sua famiglia. Il film è
privo di artificio, senza trucchi, con
la natura del territorio e dei sui
costumi rappresenta in modo cru-
do e non idealizzato, a differenza
del cinema statunitense del tem-
po, teso a mascherare i problemi
della società. Il cinema di Ray era
un vaso di Pandora che suscitava
una miriade di sentimenti diver-
si, tutti dediti a scacciar via ig-
noranza e luoghi comuni verso il
territorio indiano. Era semplice-
mente poesia in movimento. A
coronamento del suo lavoro e dei
suo sforzi, Satyajit Ray, simbolo
del ‘Nuovo Cinema Indiano’ e di
crescita del paese, è stato omag-
giato nel 1992 con un Oscar on-
orario alla
carriera.
di Francesco Colonna
IL MONDO DI BOLLYWOODDALLA NASCITA AL “NUOVO CINEMA INDIANO”
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
città
16
Perché dovreste soffermarvi a leggere questo
articolo? Cosa è Cor Habeo?
Cor Habeo è una associazione culturale, nata
ad Altamura, dall’unione di giovani e adulti con
l’obiettivo di affrontare il concetto di “Cultura” a
360°. Cultura è convegni, dibattiti, tavole rotonde,
laboratori di disegno, di botanica, di ecologia, di
estetica. Cultura è il divertimento di una serata
tra giochi di società, cultura è una giornata tra le
bellezze murgiane. Siamo appena nati e abbiamo
bisogno dell’aiuto di quanti vogliano collaborare e
confrontarsi con noi, abbiamo voglia di agire e di
fare squadra.
Mi chiamo Grazia Panettieri, e faccio parte della
squadra Cor Habeo. Ho venticinque anni e studio
Lettere Moderne. Altamura è la mia città da
sempre, sento spesso ripetere: “qui non c’è nulla”.
È una frase che io stessa ho detto molte volte in
preda ad una vera e propria “noia di vivere”; poi ho
realizzato che Altamura ha strade, piazze, palazzi
proprio come qualsiasi altra città, che Altamura
non è propriamente una Craco disabitata. Quindi
qualcosa c’è: cervelli pensanti, interessi, idee. Io
sono una degli ultimi “superstiti” all’interno di una
cerchia di amici che, per un motivo o per un altro,
hanno abbandonato questa città verso il nord delle
“grandi speranze”; io stessa non so se trascorrerò
tutta la mia vita ad Altamura ma, adesso sono qui e
per questo ho accettato l’invito ad entrare in questa
squadra, composta da personalità diverse, con
diversi punti di vista e diverse attitudini. L’obiettivo
però è comune. Per questo #iociprovo!
Sono Marika Giordano, parte del direttivo di Cor
Habeo, una studentessa universitaria altamurana
che come tanti coetanei cerca ancora il suo posto
nel mondo. Sono una ventenne che ancora si
dondola sulla sedia pensando a quello che sarà della
sua vita, che passa il suo tempo sui libri cercando di
mettere insieme i tasselli
del proprio futuro.
Faccio parte di
quella generazione
che si informa su
internet, che si
relaziona con i
social network e
che interagisce
t r a m i t e
Whatsapp.. Nella
mia quotidianità,
sempre più
frenetica, ho sentito,
però, l’esigenza di
crearmi uno spazio, un
attimo di tempo, per pensare a quanto la mia città
possa offrirmi. Ho capito che è necessario mettersi
alla prova in prima persona, sfidare le difficoltà e la
diffidenza della gente, dei miei coetanei e di quanti
pensano che non ci siano opportunità o che queste
vengano “calate dall’alto”. Per tutti questi motivi
nasce Cor Habeo, dall’etimologia della parola
“Coraggio”. Quante cosa sono nate dal coraggio di
chi ha saputo osare! Sarebbe mai stata scoperta
l’America se Cristoforo Colombo non avesse avuto
il coraggio di osare? Sarebbe mai stata brevettata
la penicillina? Steve Jobs avrebbe mai pensato al
sistema binario nei dispositivi informatici?
Ridimensionandoci un po’, noi di Cor Habeo
nasciamo per fare domande e trovare risposte, per
cercare pian piano delle opportunità, per costruire
i nostri spazi e creare la nostra piccola realtà. Per
questo #iociprovo!
Il tesseramento all’Associazione è sempre aperto e
potete contattarci tramite e-mail all’indirizzo cor.
habeo@libero.it oppure tramite la nostra pagina
Facebook: Cor Habeo – Associazione Culturale.
Vi aspettiamo!
di Grazia Panettieri e Marika Giordano
LA CULTURA DELLA CULTURA:
NASCE COR HABEO
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE
Periodico di cultura,
informazione e attualità,
supplemento de La Nuova Murgia.
Anno II, n 4, Febbario 2017,
Registrato presso il tribunale di Bari
il 09/11/2000 n 1493
Edito dall’Associazione Culturale
La Nuova Murgia
Piazza Zanardelli 22 / 70022 Altamura (BA)
Tel. 3293394234
e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com
Direttore:
Antonio Molinari
Presidente:
Domenico Stea
Caporedattore:
Marco Lorusso
Presidente de La Nuova Murgia:
Michele Cannito
Diretto Responsabile:
Giovanni Brunelli
Redazione del Numero 4:
Alessandro Cornacchia
Mariateresa Natuzzi
Silvia Miglionico
Eleonora Pucci
Giuseppe Sardone
Domenico Stea
Marco Nuzzi
Francesco Colonna
Francesco Petronella
Nicolò Mascolo
Marica Giordano
Grazia Panettieri
Pubblicità: Antonio Molinari 3293394234
Domenico Stea 3441139614
Progetto grafico e impaginazione:
Francesco Viscanti 3928759874
Stampa: Grafica & Stampa
Questo numero è stato chiuso il 19/02/2017
alle ore 21:00
In collaborzione con:
16 Pagine - Numero 4

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  • 2. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
  • 3. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 1 di Marco Lorusso RICORDARE NON BASTA IL TEMPO DELLA RICRESCITA Ilprimoerrorechesipuòcommettereleggendoque- sto articolo è quello di pensare che arrivi fuori tem- po, inopportunamente. L’argomento è uno di quelli importanti, da maneggiare con cura e precisione, facendo attenzione al detto e non-detto delle pro- prie parole. Tanto è importante che parlarne troppo potrebbe significare banalizzarlo, quasi asciugarlo del proprio senso. Tanto è importante che si preferi- sce riservarlo alla formalità delle grandi cerimonie e alla commozione di un’unica giornata, dove tutto si rinchiude e nulla poi rimane. Il treno dei gran- di opinionisti passato il 27 Gennaio l’ho perso, sono arrivato in ritardo, ma ciò non mi impedisce, a un mese di distanza, di prenderne un altro, salirci su e parlare, senza ricorrenze o grandi appuntamenti, della Giornata della Memoria. Con la legge n.21 del 20 Luglio 2000 viene ufficial- mente indetto in Italia il Giorno della Memoria “al fine di ricordare la Shoah […] in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”. Sicuramente nel cuore di chi si è seduto a tavolino per scrivere queste parole ardeva un sentimento per cui ricordare non è una scelta trascurabile, ma una necessità. La necessità di ricordare è, infatti, il frutto del dovere sociale e morale di mantenere vivo il peso del dramma, il bruciore delle ferite, l’o- dore del sangue e il dolore del più grande crimine commesso dall’umanità sull’umanità. Quel senti- mento attraverso cui si esplica la paura, la speranza che l’incubo non torni a infestare le nostre notti e il sogno che la diversità non si mischi più con l’odio e la violenza. E fin qui, per carità, tutto bene. Nel corso di questi anni, però, forse abbiamo dato per scontato troppe cose, come il fatto che questo sentimento potesse alimentarsi da solo, come il fatto che l’odore del sangue potesse sentirlo chiunque, dall’anziano più esperto al ragazzino più distratto, noncuranti e ignoranti di un doveroso interrogativo: Cosa succede quando il sentimento scompare? E si, perché, se è sicuro che un giorno basti per ricor- dare, non è altrettanto sicuro che un giorno basti per sentire, per capire, insomma, per tenerlo vivo quel sentimento. E così, quando questo svanisce, la memoria sfuma e rimaniamo noi a galleggiare tra i minuti di silenzio, le scene de “La Vita è Bella” e le letture di Se questo è un uomo nelle scuole di ogni grado. Quando il sentimento scompare, l’esigenza si trasforma in ricorrenza ed ecco che la storia falli- sce, quando un presente anarchico affoga l’anima del suo passato. Infatti, dinanzi ai nostri occhi, nel profondo del nostro quotidiano, risorgono, soprat- tutto tra i giovani, quelle stesse ideologie che hanno portato al disastro, quelle stesse ideologie represse dalla Legge Scelba e vietate attraverso l’istituzione del reato di Apologia del Fascismo. Risorgono così prepotentemente, tanto da far dubitare che siano mai morte. Non lo dicono le parole di uno pseudo giornalista, ma alcuni dati che chiunque potrebbe raccogliere. Basta fare un giro su Facebook e digitare sulla barra di ricerca la parola Fascismo ed ecco palesarsi da- vanti a noi le pagine I Giovani Fascisti Italiani, Esse- re Fascista non è REATO, Fascisti Italiani, Fascisti del Terzo Millennio e chissà quante altre che non stiamo qui ad annoverare. Solo tra queste succitate pos- siamo contare circa 170.000 likes, 170.000 persone che sbandierano il loro amor patriae, il loro credo, il loro orgoglio, ora più che mai, di essere fascisti. Sotto una pellicola trasparente, visibile a tutti, si svolge la ricostruzione di un pensiero che è stato imballato, confezionato, riposto in uno scatolone per qualche decennio e che la memoria non è riu- scita (e probabilmente non riuscirà mai) a sconfig- gere. Smettiamo di trasformare la necessità in formalità, l’essenziale in rituale, ricordiamoci meno dei cosa e più dei perché e cerchiamo un po’ di somigliare alla co- pertina di questo numero: un continuo gioco di sguardi tra passato e futuro. EDITORIALE
  • 4. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA2 Città Cinque mesi fa un mio caro ami- co, presidente del giornale per il quale ho il piacere di scrivere, mi parlava con gran gioia e deter- minazione di un progetto, un’i- dea “innovativa” e “antiquata” al tempo stesso. Io ero lì, seduto a sorseggiare una tazza di caffè bollente men- tre simulavo l’espressione di un ascoltatore attento. Come accade spesso, la mia mente era in quel momento vittima di un inces- sante divagare: pensavo a quanto fosse affascinante il luogo di ri- trovo – Piazza Duomo ad Altamu- ra - e alla sua importanza nella storia altamurana. Proprio la piazza nacque come luogo d’incontro e di aggrega- zione, in cui ognuno era libero di dir la propria, di polemizzare o di esprimere consenso, come cuore pulsante della vita cittadina. A quel punto mi chiedevo: che cosa rimane oggi di quella febbri- citante interazione sociale? Quali sono i luoghi e i mezzi più effica- ci per poter esprimere le proprie idee? E i giovani, che ruolo hanno in tutto ciò? Non potranno mica esprimersi solamente tramite likes e selfie! I miei pensieri furono brusca- mente interrotti da una doman- da del mio caro amico: ‘’Allora? Cosa ne pensi?’’ Colto di sorpresa, risposi : ‘’È una gran bella idea, ma non so se pos- sa funzionare, perché sai come oggi i giornali non si leggono più. In ogni caso, fammi sapere come va!’’. Di lì a pochi giorni sarei partito per cominciare la mia avventura universitaria lontano da casa e di quel progetto, a parte qualche rapida notizia su Facebook, non seppi più nulla, fin quando non tornai qualche mese dopo. Solo allora mi resi conto della portata di ciò che la comunità giovanile altamurana stava partorendo. Oggi Sedici Pagine è una realtà già affermata e consolidata nel panorama culturale altamura- SEDICI PAGINE AR
  • 5. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 3 no, un giornale indipendente e vario che si pone uno scopo ben preciso: creare uno spazio che dia l’opportunità di mostrare a più persone quale sia il pensiero gio- vanile riguardo temi locali e non. Quello che può sembrare un banalissimo giornale, un’idea antiquata, nell’era del digitale e dell’informazione online co- stituisce un’innovazione di cui ognuno di noi dovrebbe farsi por- tatore. Sotto le vesti del giornale, infatti, scalpita la volontà di ri- costruire una rete sociale basata su rapporti umani, di dare vita al confronto e al dibattito, di ripor- tare sensibilità verso ciò che più è vicino e più resta indifferente ai nostri occhi. Dunque, perché non allargare il più possibile questa rete? L’esigenza dei giovani altamura- ni, d’altra parte, non è sola, per- ché la accomuna anche alla vici- na città futura capitale europea della cultura. A Matera la parola cultura risuo- na da tempo nell’aria: qualcuno sembra averne sentito l’eco, qual- cun altro crede sia stata rapita e venduta all’ingresso di bar, piz- zerie e b&b del centro storico, allo scopo di attrarre folle di turisti incantati dalla sua bellezza. Forse non è ancora troppo tardi per liberarla, poiché fortunata- mente anche a Matera qualcuno è pronto a smuoversi per dire la sua, anche se in sole Sedici Pagi- ne. Anche di lì ci saranno presto novità. RRIVA A MATERA di Alessandro Cornacchia
  • 6. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA4 Scuola A partire dal 2018 verranno mes- se in atto le novità previste dalla Buona scuola, una riforma già entrata in vigore il 16 luglio 2015 e che ha già scatenato numerose polemiche. Tra queste novità vi è la modifica dell’Esame di Stato, la riforma più attesa e temuta da noi studenti. Ma in cosa consiste questo cam- biamento? Cambiano le modalità di am- missione all’esame Tanto per cominciare, per essere ammessi all’Esame di Stato non sarà più necessario raggiungere la sufficienza in tutte le materie: questo significa che si potrà es- sere ammessi all’Esame di Stato anche con un 5 (o un 4 o un 3) purché ci siano dei 7 (o degli 8 o dei 9) a compensare su altre ma- terie. Le insufficienze sono indi- cate in modo generico e dunque è irrilevante che siano nelle ma- terie considerate fondamentali. Un cambiamento del tutto for- male, come dimostrano i dati: l’anno scorso, infatti, il 96% degli studenti è stato ammesso all’esa- me di Stato, ma che il 20% di loro aveva insufficienze in una o più discipline, trasformate in sei in seguito agli scrutini. L’eliminazione della terza prova La novità che ha fatto più notizia nelle ultime settimane, però, è senz’altro questa: dal 2018 in poi gli studenti affronteranno solo due prove, una di italiano e una specifica del proprio indirizzo di studio. Viene quindi eliminata la prova di tipo interdisciplinare, considerata la prova scritta più temuta. Prove Invalsi: un nuovo test per la lingua inglese Se da un lato ci si libera della terza prova, dall’altra il decreto attuativo prevede che si aggiun- ga alle prove Invalsi di italiano e matematica una prova di inglese standardizzata. Lo svolgimen- to della prova, però, non influ- isce sul voto finale. A che serve? La prova certificherà le abilità di comprensione e uso della lingua inglese in linea con il Quadro Co- mune di Riferimento Europeo per le lingue. Il punteggio rag- giunto sarà riportato nella docu- mentazione allegata al diploma. L’alternanza scuola lavoro di- venta argomento di esame La tanto chiacchierata alternan- za scuola lavoro sarà anche ar- gomento del colloquio orale, in cui agli studenti verrà chiesto di relazionare sulle attività svol- te. L’alternanza scuola lavoro ha suscitato e continua a suscitare polemiche, sia per la quantità di tempo richiesto (400 ore per tecnici e professionali, almeno 200 ore per i licei), sia per la qua- lità dell’offerta formativa. É giu- sto sottolineare che l’alternanza scuola lavoro tenta di colmare un gap della scuola italiana, che è quello di essere molto teorica e poco pratica; tuttavia, a causa della mancanza di fondi, spesso le attività svolte non riguardano l’indirizzo di studio scelto, altre volte consistono soltanto in uno sfruttamento di mano d’opera e non in una reale occasione di for- mazione. Altro problema sono le spese dell’alternanza scuola-la- voro, solitamente a carico delle famiglie. Esami di Stato 2018 come cambia la scuola italiana
  • 7. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 5 di Mariateresa Natuzzi Raddoppia il punteggio del cre- dito scolastico e diminuisce quello del colloquio orale A partire dal 2018 la ripartizione del punteggio sarà modificata in questo modo: - i crediti scolastici incideran- no fino a 40 punti, e non 25 come è attualmente - il punteggio complessivo del- le prove scritte passa da 30 a 40 punti - il colloquio orale passa da 30 a 20 punti Le prove scritte e i voti degli ul- timi tre anni di scuola superiore avranno quindi un peso maggio- re rispetto al colloquio orale, la prova che più di tutte consente di valutare le conoscenze interdi- sciplinari e la capacità critica e argomentativa del candidato. Resta da chiedersi se è questo il modello di scuola a cui vogliamo tendere o se forse proprio la scuo- la italiana può intraprendere una nuova direzione di rotta. Come? Preferendo la globalità del sape- re al tecnicismo, la capacità cri- tica al vuoto nozionismo, ripar- tendo dalla scuola per incidere sulla società: sta a noi giovani, ancora una volta, la responsabili- tà di scegliere quale strada pren- dere e quale futuro provare a co- struire.
  • 8. 6 Sport 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Il borsone già pronto ad un ango- lo della stanza, poi corri in pale- stra, oppure in piscina, o ancora al campetto… Quasi tutti i bambini, in età pre-puberale praticano uno sport. Per loro è sempre occasione di gioco e divertimento, ed è anche il momento giusto per passare del tempo fuori casa o fuori scuola. Tuttavia, man mano che si cresce, si assiste ad un fenomeno poco piacevole; gli inglesi lo definisco- no “drop out”: l’abbandono del- la disciplina praticata. Il tutto avviene specialmente in età ado- lescenziale, a partire dai 14 anni, proprio durante quella fase così delicata, in cui l’attività sportiva sarebbe davvero fondamentale per la crescita del ragazzo a livel- lo psicologico, sociale e fisico. Il dato è preoccupante: stando ad un’indagine ISTAT del 2014, circa il 43% degli adolescenti ha abban- donato lo sport. Nel corso degli anni, questo fe- nomeno ha attratto sempre più l’attenzione di psicologi, terapeu- ti e istruttori, al punto da avviare studi ed indagini per comprende- re origini e motivazioni del fe- nomeno. Dunque, quali sono le ragioni per cui un adolescente smette di prati- care il proprio sport? Interviste, ricerche sul campo e questionari hanno rivelato che le motivazioni sarebbero mol- te e di numerosi tipi. Primo fra tutti c’è il problema dell’agoni- smo esasperato fin da piccoli, in un mondo che non sa aspettare la maturazione di ciascuno, ma sempre più avviato verso una se- lezione precoce; la ricerca di un risultato a tutti i costi; l’illusione di divenire campioni. Non da sot- tovalutare ci sono fattori dovuti proprio alla crescita del piccolo atleta, come la comparsa di nuovi interessi; la mancanza di diver- timento a causa della comparsa di un training sempre più ripeti- tivo e meccanico; il problema di conciliare studio e allenamento. E infine ci sono quei dati che fan- no più paura e che solo un prati- cante può comprendere appieno: la troppa fatica, la mancanza di sopportazione al dolore, gli ec- cessivi sacrifici; o addirittura l’i- nadeguatezza degli impianti dal punto di vista logistico, accompa- gnati dai disaccordi che possono sorgere con il proprio istrutto- re, allenatore, maestro, in un mondo in cui ormai, la maggior parte degli insegnanti si forma in pochi mesi e non in anni di prati- ca costante. Sarebbero questi, dunque, i mo- tivi del drop out… motivi che ri- mandano al vero problema, che non è l’abbandono della discipli- na a lungo praticata, bensì, l’ab- bandono dello “sport” in senso lato. I dati elencati, infatti, abbat- tono totalmente quello che era il senso originario dello sport, che nella sua etimologia più antica è l›abbreviazione della parola ingle- se “disport” che vuol dire “diverti- mento”, dal francese “desport” che ha lo stesso significato e che viene dal latino “deportare”, ter- mine che rimandava al “portare fuori dalle mura della città”. Soluzioni? Sicuramente, sono da ricercare nel ritorno all’origine, nella competenza dell’istruttore in questione, nel cercare di cre- are un gruppo compatto e com- plice, nel tentativo di trasmettere quelli che sono i valori educativi di qualsiasi disciplina sportiva, nel far comprendere che l’im- portante non è il risultato, ma il costante miglioramento della prestazione, la crescita perso- nale, la vittoria che si trova in sé stessi. Dopotutto, come disse il barone Pierre de Coubertin (pedagogista e storico francese, promotore dei Giochi Olimpici dell’era moder- na): “La cosa essenziale non è la vittoria ma la certezza di essersi battuti bene”. di Silvia Miglionico DROP OUTla sindrome del voglio smettere
  • 9. Scienza AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 7 Se ci fosse una selezione delle domande più inusuali, perché non inserire “da cosa dipende il colore che il tramonto assume?” Quasi tutti ne fanno l’oggetto dei loro scatti, ma si interessano per davvero a quanto succede dinan- zi a loro? Quello che si mostra a noi come un affascinante gioco di luci offerto da madre natura diventa un vero e proprio spetta- colo se si pensa che ogni giorno i suoi colori mutano, rendendo- lo un fenomeno irripetibile. Lo scattering, o diffusione ottica, è una sottospecie di “biliardo” delle onde e delle piccole parti- celle. In questo specifico caso, la luce, viaggiando in direzione del pianeta Terra, deve attraversare strati più o meno vasti dell’at- mosfera, ma rimbalzando con- tro le particelle che compongono quest’ultima, i raggi sono deviati in più direzioni e prendono co- lorazione differente in base alla composizione chimica dell’aria. É un procedimento che si ripete mi- lioni di volte prima che la luce ci raggiunga, ma ciò non può essere colto dai nostri occhi, o meglio, può essere percepito solo in par- te, secondo lo spettro del visibile, lo stesso che fa sì che il cielo ci sembri azzurro. Il tramonto, visto da noi, perde della sua vividezza dal momento che le particelle più grandi, polveri ed inquinamento, catturano il colore. Nonostante ciò, le onde elettromagnetiche corrispondenti al colore rosso hanno una grande lunghezza d’onda che, a differenza di quelle ultraviolette, assai pericolose per l’uomo e caratterizzate da una bassa lunghezza d’onda, permet- te loro di solcare l’aria senza tan- te difficoltà. Si può sperare in un capolavoro dopo una tempesta, quando non solo ci sarà apparso l’arcobaleno, ma anche il crepu- scolo ci sedurrà (più del solito): in determinate condizioni, infatti, le nuvole, come uno scudo scin- tillante, proteggeranno le sfu- mature di colore più intense e le rifletteranno, facendone dono ai nostri occhi. Un robot della Nasa Curiosity ha catturato con un’im- magine il tramonto su Marte, mostrandoci che anche lì questo fenomeno ha il suo effetto : il cie- lo si tinge di un blu intenso e le dimensioni del Sole si aggirano intorno ai 2/3 di quelle avvertite sul nostro pianeta. Altre imma- gini giungono a noi dalla Stazio- ne Spaziale Internazionale che, con gran tempismo, hanno col- to uno dei 16 tramonti infuocati rintracciati nonostante l’elevata velocità orbitale in un giorno. Lo scattering, pur essendo stato vi- visezionato dagli studi dei fisici, è avvolto da un barlume di ma- gia che lo rende imprevedibile. La dispersione ottica non ha nul- la a che vedere con la copertina di ‘The dark side of the moon’, è determinata dal caso in maniera del tutto disordinata. È come se avesse dell’umano nella sua im- perfezione. Sarà forse per questo che ci attrae così tanto? di Eleonora Pucci MAI UGUALE A SE STESSO ECCO COME CAMBIA IL COLORE DEL CIELO
  • 10. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA8 Cultura e Città Nell’aprile del 1925, Tommaso Fiore, scrisse una serie di lettere a Piero Gobetti, raccolte poi nel li- bro ‘Un popolo di formiche’, ove conduce una analisi delle realtà pugliesi, o, come ama definirle il politico pugliese, delle “espres- sioni archeologiche”. Il reporta- ge racconta il divario fra sud e nord: una grossa raccolta di cor- rispondenze che inquadrano il meridione “serrato nel dolore e negli usi, senza conforto, senza dolcezza”. Fiore si sofferma, però, su un particolare non trascura- bile: la laboriosità. Terre come la Murgia hanno poco da offrire e quindi poco possono fruttare. Sono terre ‘difficili’ e senz’acqua. Eppure sono abitate da contadini umili e perseveranti, che giorno dopo giorno, nei secoli, hanno modellato le stesse, senza stra- volgerle. Ma Fiore non poteva di certo immaginare che in qual- che decennio sarebbe cambiato (quasi) tutto. Nel primo dopo- guerra, infatti, per far fronte alla ormai dilagante Questione Meri- dionale vennero realizzate la ri- forma agraria e la legge 634 del 1957. L’obiettivo era offrire aiuti finalizzati allo sviluppo tecnolo- gico per le medie e piccole pro- prietà terriere e innescare un processo di industrializzazione per far ‘respirare’ questi luoghi remoti. Da allora, incentivi, fi- nanziamenti a fondo perduto, integrazione, e altri sovvenzioni hanno generato un flusso di da- naro abnorme. Lo sviluppo è sta- to avviato, sí, ma accompagnato, purtroppo, da qualche contrad- dizione. Esempio lampante: di- stese di Murgia spietrate hanno lasciato spazio a pseudo colti- vazioni, i quali unici frutti sono gli introiti dell’integrazione. Tut- tavia queste sovvenzioni hanno fatto sì che Altamura, assieme alla vicina Matera e Santeramo in Colle, facesse parte del cosid- detto ‘triangolo del salotto’. Nel bel mezzo del nulla, infatti, è cre- sciuto un fiore all’occhiello del Made in Italy, che nel solo 2003 valeva circa 2.2 miliardi di euro: il 55% della produzione italia- na, e l’11% di quella dell’intero pianeta. È bello pensare come tutto sia nato dalla dedizione e dal fiuto di qualche operaio, che dopo aver fatto esperienza dai ‘maestri d’ascia’ o nelle gran- di industrie settentrionali, si è gettato nel mondo dell’impren- ditoria, raggiungendo risultati impressionanti, qui, al sud (vedi: Natuzzi, Nicoletti, Calia). Un fio- re, peró, affinchè cresca sano e profumato, necessita di attenzio- COSA RIMANE DEL DIVA DECADENZA DELL’IMPERO CHE PRODUCEV
  • 11. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9 ni. Se alle neorealtà non si affian- cano le infrastrutture adeguate e non viene operato un controllo valido, viene precluso l’avvento di uno sviluppo solido. Da anni si attende la messa in sicurezza dell’arteria principale che collega Bari all’entroterra murgiano (S.s. 96), frequentata assiduamen- te da mezzi pesanti. Le ‘4 corsie’ dovrebbero arrivare finalmente entro la fine di quest’anno, più di dieci anni dopo l’inizio della cri- si del settore. La strada ferrata? Praticamente inesistente. La Fal non è attrezzata per il trasporto merci;l’ avvento della concorren- za spietata da parte dei mercati asiatici, la scarsa collaborazio- ne delle amministrazioni locali e delle regioni, che fanno diffi- coltà a trovare punti d’incontro, hanno sradicato il nostro fragile fiore. Fatta eccezione per qualche attività, come la ‘Calia italia’ che, pur producendo in Basilicata, dà lavoro a circa trecento persone e ha una reputazione rispettabile, riconosciuta sui mercati di tut- to il mondo, c’è chi ha preferito investire direttamente altrove, ove la manodopera costa meno: Natuzzi ha lasciato a casa centi- naia di operai, aprendo aziende altrove e quotando la società a New York. Molte realtà, oppresse dalla crisi hanno dovuto chiude- re, trascinando nell’oblio anche le piccole imprese satelliti che collaboravano con i colossi. Ma del resto quando si ‘gioca’ a fare gli imprenditori, ignorando di- verse responsabilità e prestando poca attenzione alla gestione de- gli investimenti, non ci si assicu- ra la stabilità. Se poi nei luoghi del potere si alternano degli in- capaci, piuttosto che ingranare una marcia in piú, si torna indie- tro a testa bassa. Un popolo di formiche? Forse una volta, quando guidati da antichi valori, ci si accontenta- va di poco e si viveva in simbiosi con la madre Terra. Mentre ora ci godiamo la pietra frantuma- ta, le cattedrali in un deserto sempre più arido e qualche ci- cala con la sua grossa cilindrata che sfreccia su strade sconnesse e piene di buche, verso un futu- ro incerto. di Giuseppe Sardone ANO “MADE IN MURGIA”? VA PIÙ DELLA METÀ DEL DIVANO ITALIANO www.sipremsrl.it
  • 12. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA10 Società Nei paesi del blocco occidenta- le, la retorica politica si è recen- temente concentrata sulla pro- spettazione al grande pubblico dei pericoli del calo demografico, partorendo una infinità di cam- pagne mediatiche di sensibilizza- zione, le quali hanno assimilato il problema del calo delle nascite ad un mostro da combattere a tutti i costi, per scongiurare i rischi del progressivo invecchiamento del- la popolazione. In realtà, raschiando la superficie del problema, al fine di sondarne gli effettivi risvolti, soprattutto nel medio-lungo termine, è fa- cile accorgersi di come la cresci- ta demografica sia una temati- ca ben più complessa rispetto a come viene affrontata dai gover- ni occidentali e, addentrandosi in un’analisi più approfondita, è quasi inevitabile imbattersi in un dubbio innocente e al con- tempo angosciante: è davvero auspicabile una ulteriore crescita demografica? L’attuale popolazione umana ha superato la soglia dei set- te miliardi di unità e gli incre- menti maggiori si segnalano in particolare nei mastodontici pa- esi asiatici come la Cina, attual- mente composta da un miliardo e quattrocento milioni di cittadini e l’India, staccata all’incirca di duecento milioni. Questi numeri, già di per sé spa- ventosi ove ci si soffermi anche solo per un attimo a considerare la mole di risorse ambientali oc- correnti per dare sostentamento ad un così grande numero di uo- mini, paiono ancor più preoccu- panti laddove si prenda atto del fatto che, meno di un secolo fa, l’intera popolazione mondiale non superava il miliardo e mez- zo di componenti. Inoltre, se a questi dati si aggiun- gono anche le recentissime stime dell’ONU basate sull’attuale tas- so di crescita mondiale, in base alle quali si prevede che entro 85 anni la popolazione mondiale crescerà di oltre il 32%, toccando quota dieci miliardi già nel 2050, è ancor più semplice compren- dere l’enormità del problema. In tempi non sospetti, questi perico- li furono scientificamente analiz- zati dal celebre economista e ma- tematico inglese Thomas Robert Malthus, il quale, a cavallo tra il ‘700 e l’800, sostenne per la pri- ma volta, servendosi di un model- lo matematico noto come curva di Malthus, che il processo di cre- scita della popolazione, spinto oltre la soglia di tollerabilità, avrebbe avuto come estrema conseguenza l’estinzione della razza umana. La teoria malthusiana si sostan- zia nella rappresentazione gra- fica, su diagramma cartesiano, delle variazioni della popolazione nel corso del tempo e con essa l’e- conomista ha dimostrato come la crescita della popolazione sia in grado di ridurre progressivamen- te le risorse alimentari a disposi- zione degli uomini, fino a farle scarseggiare. Ad una situazione di scarsità di risorse segue poi, un inevitabile rallentamento del processo biolo- gico di riproduzione della specie il quale si arresta in un punto, detto di stabilità, in cui ogni individuo ha a disposizione esattamente le risorse alimentari fisiologiche per sopravvivere e riprodursi. Ogni scostamento dal punto di equilibrio, orientato verso un in- sostenibile aumento di popola- zione costituisce, per Malthus, un passo verso l’inevitabile estin- zione della specie. Alla luce di questi dati, la teoria del geniale ingegnere genetico e miliardario svizzero Bertrand Zobrist, principale antagonista di Robert Langdon nel romanzo “Inferno” di Dan Brown, recen- temente trasposto in un thril- ler cinematografico, mirante ad una drastica riduzione della po- polazione mondiale attraverso un virus letale, creato per porre un freno alla insostenibilità del- la crescita demografica, mostra degli inquietanti fondamenti di verità e può pertanto fungere per l’uomo, come monito per ridurre gli sprechi di energie e risorse co- muni.Con questa nuova consape- volezza si può adesso far ritorno con maggior lucidità al quesito iniziale. È davvero auspicabile un’ulteriore crescitademografica? A queste condizioni, con questi ritmi, senza nuove fonti di risorse, evidente- mente no di Marco Nuzzi SULLA TERRA NON C’È PIÙ SPAZIO DA MALTHUS A DAN BROWN: IL PROBLEMA DI ESSERE TROPPI
  • 13. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 11 Cultura È sempre pericoloso utilizzare categorie interpretative, nate e pensate per un contesto, nel ten- tativo di analizzare un contesto completamente diverso. Un dif- fuso mantra islamofobo recita che: “L’Islam è bloccato nel me- dioevo”. Sì, ma quale “medioe- vo”? Applicare questo concetto, coniato dal pensiero umanisti- co-rinascimentale per la storia dell’Europa Cristiana, al mondo islamico è assolutamente inap- propriato. Nel mondo arabo-islamico, che come unità politica raggiunge la sua massima espansione già nel VII secolo, il periodo corrispon- dente a quello che la tradizione cristiano-occidentale ha definito “medioevo” è stato un’epoca ca- ratterizzata da tutto fuorché da un ristagno culturale, tecnico e scientifico. Tutto parte dal Corano e dalla Sunna. L’Islam incoraggia la crescita della conoscenza ed il progresso, a differenza di quanto faceva il coevo cristianesimo me- dievale. Uno degli hadith (detti attribuiti al Profeta Muhammad) sostiene la necessità di ricercare la conoscenza anche a costo di camminare fino in Cina! La scien- za è un dono di Allah e chi la ri- cerca, accetta meritoriamente la benevolenza di Dio. A cosa portò questa concezione positiva della crescita scientifi- ca? Al fiorire di una civiltà ric- ca, rigogliosa e dispensatrice di cultura e conoscenza. Tipo? La Spagna musulmana, chiamata al-Andalus (da cui “Andalusia”), è l’esempio più famoso in meri- to. La penisola iberica, sottoposta alla dominazione islamica fino alla “Reconquista” cristiana con- clusasi nel 1492, era un esempio di splendore multiculturale gra- zie alla compresenza di ebrei, cri- stiani e musulmani. Dalla Spagna sono giunte nell’Europa cristiana le opere di autori come Avicenna (Ibn Sina), ritenuto il padre della medicina diagnostica e definito da George Sarton “il più famoso scienziato dell’Islam di tutte le razze, luoghi e tempi”. Della me- desima provenienza sono le ope- re di Averroè (Ibn Rushd), filosofo e matematico arabo noto per il commento alle opere di Aristo- tele, ripreso da Dante nella sua Commedia col verso “Averrois che ‘l gran comento feo” (Inferno IV). La scolastica di San Tommaso d’Aquino non sarebbe mai esisti- ta senza questa immensa eredità. Senza contare l’opera di Alha- zen (Hasan Ibn Haitham), punto di partenza per tutte le ricerche sull’ottica. Anche la poesia in volgare, dai trobadores spagnoli al Dolce Stil novo, secondo alcuni è stata in- fluenzata dallo stile dei poeti arabo-andalusi. Infine, per tor- nare alla questione dei numeri, il metodo di numerazione che oggi utilizziamo in Italia è definito “arabo” poiché, sebbene inventa- to dagli indiani, è stato introdotto in Europa grazie alla mediazione arabo-islamica. Se ci aggiungia- mo l’opera di al-Khwarizmi (da cui la parola “algoritmo”) ed il suo apporto allo studio dell’al- gebra (dall’arabo al-jabr) è facile rendersi conto che la matematica come la conosciamo e le sue ap- plicazioni in ambito ingegneristi- co ed informatico non esistereb- bero affatto. Insomma, quale medioevo? di Francesco Petronella “BLOCCATI NEL MEDIOEVO”. SI, MA QUALE? STEREOTIPI E FALSI MITI SUL MONDO ISLAMICO
  • 14. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA12 Viaggi IL SONel periodo estivo molti studen- ti decidono di cambiare le loro abitudini spinti dalla curiosità di voler vivere in un posto diverso, dove ciò che sono li possa rappre- sentare. L’educazione più innovativa ri- tiene che per uno studente sia più importante esplorare anzi- ché “dare la risposta giusta”. E il segreto della vera esplorazione è la libertà. La stessa che ha per- messo a me e ad un mio amico di atterrare a Londra nel giugno del 2016. Volevamo spingerci al limite della libertà, volevamo metterci alla prova. Non avevamo niente di sicuro pri- ma di partire se non un biglietto di sola andata e una stanza in un appartamento condiviso per una settimana. Potevamo abbando- nare tutto e tornare a casa dopo una settimana ma questa era l’ul- tima soddisfazione che avremmo voluto dare a chi non credeva in noi. Ci rimboccammo le maniche e creammo il nostro Curriculum, misero di esperienze ma pieno di speranze e, nel disperato bisogno di trovare lavoro, passavamo le mattine lasciandolo in ogni ri- storante e i pomeriggi inviando- lo via mail. Non fu facile trovare qualcuno che credesse in noi e nella nostra permanenza prolun- gata: avevamo rispettivamente 17 e 18 anni e dopo tre mesi sarem- mo tornati tra i banchi di scuola. Dopo cinque giorni, incontram- mo entrambi qualcuno che cre- deva in noi: trovammo un lavoro vero, non come quelli scritti sul nostro curriculum. Il manager di un ristorante italiano credette alla mia storia, diede fiducia ad un ragazzo che, secondo un lungo colloquio menzognero, sarebbe rimasto per molto tempo in quel- la metropoli e che aveva lasciato la scuola per andare a lavorare. La prima prova di lavoro in quell’im- menso ristorante fu un disastro: non avevo mai lavorato come ca- meriere e la paura di sbagliare in- timoriva ogni mia azione. Nono- stante l’inesperienza, la fortuna fu dalla mia parte: avrei iniziato a lavorare part-time nella settima- na successiva. Ero stato assunto! Da quando eravamo arrivati, per- nottavamo in una stanza con un letto a castello e un armadio: una camera così piccola in cui ogni volta che mi cambiavo, il mio compagno di stanza doveva sta- re steso sul letto. Dopo la nostra assunzione, ci trasferimmo in un posto più abitabile, lontano dal quartiere periferico costipa- to da case popolari circondate da parchi in cui di mattina i ragazzi costruivano sogni e di notte gli spacciatori glieli distruggevano. Ci trasferimmo in una piccola villa di un quartiere residenziale vicino Willesden Green. La nostra villetta si differenziava da tutte le altre che la circondavano: le crepe dei muri si mostravano ai passanti della strada e il nostro vialetto oltre ad essere l’unico a non avere una macchina, era sempre il più sporco. Abitavamo con altri tre ragazzi, ognuno con un unico obiettivo: riuscire a vi- vere e cercare di far vivere altri. Il mio coinquilino bulgaro, Miru, un padre trentenne, lavorava tut- ti i giorni della settimana e ogni guadagno lo inviava alla sua fa- miglia. L’unico momento libero della sua vita era il lunedì pome- riggio, l’unica parola che cono- sceva era il lavoro e l’unico amore che aveva era la sua famiglia. Non lo conobbi subito, dovetti aspetta- re quel “lunedì pomeriggio”. Il primo giorno di lavoro arrivai al ristorante carico di vitalità e di umiltà, avevo 17 anni e per la prima volta mi affacciavo al In Italia 4 giovan Vi raccontiamo la s
  • 15. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 13 di Domenico Stea OGNO LONDINESEmondo del lavoro. Pensavo di do- ver fare il barista o il cameriere ma non andò come volevo. Il mio primo lavoro fu il “jolly”: venivo sbattuto dalla cucina alla sala, dal magazzino al bar come se fossi inutile ma allo stesso tempo utile al lavoro di tutti. Mi sentivo pic- colo in un mondo di grandi. Ca- rico di laboriosità affrontai la pri- ma settimana di lavoro ma senza essere sotto contratto. In Inghil- terra, prima di essere assunti bi- sogna avere un conto corrente, come se ti volessero già pagare. La mia età non mi permetteva di aprire un conto bancario se non con l’ausilio di un genitore che, in quel momento, era distante migliaia di chilometri da me. Do- vevo risolvere quel problema, ma soprattutto dovevo risolverlo da solo. Più la vita si metteva contro e più aumentava la voglia di so- praffarla, come se fosse un diver- timento! Facevo di tutta l’espe- rienza una conoscenza che mi permetteva di affrontare meglio ogni giornata e mi rendeva sem- pre più parte della società londi- nese. Dopo due settimane di lavoro, il manager mi fece lavorare in sala come cameriere. Ogni gior- no osservavo nei movimenti e nei comportamenti chi aveva più esperienza di me, copiavo chiun- que per unire le loro conoscenze e diventare uno dei migliori. Quel- la stessa settimana ottenni il mio primo stipendio, raggiunsi l’o- biettivo del mio viaggio: divenni libero. Non avevo più bisogno dei soldi dei miei genitori. La liber- tà permette di essere quello che siamo! Per la prima volta avevo ritrovato me stesso, sapevo che se avessi lavorato di più, avrei avuto più denaro da usare a mia discrezione. Avevo combattuto per la mia libertà e l’avevo otte- nuta! Cosa sarei stato se mi fossi accontentato di rimanere sotto la protezione dei miei genitori? La libertà è un concetto troppo generico e no n di certo si può ca- pire dalle mie parole. Certo, non è un semplice obiettivo, ma il ri- schio ne vale l’impresa? Lo stesso manager che aveva cre- duto in me il primo giorno, cre- dette ancora di più in me dopo avermi fatto lavorare come bar- tender. In questo nuovo lavoro avrei dovuto avere la conoscenza del ristorante di un jolly e la ve- locità del servizio di un camerie- re. Il manager era arrivato al suo obiettivo: forse è stato da sempre più furbo di me, non a caso gesti- va un ristorante. Iniziai a lavora- re full time e divenni il secondo bartender del ristorante, dopo un mese divenni il primo. Metà agosto arrivò subito, la scuola sa- rebbe iniziata a breve e dopo una miriade di esperienze in quella palestra di vita dovetti licenziar- mi. Londra è una metropolitana che dà a tutti una possibilità. Non ci sono limiti di età o pregiudizi di alcun tipo: si va avanti per me- ritocrazia. Solo viaggiando e cer- cando di essere i più liberi possi- bile si può avere una concezione diversa di quello che ci circonda. Non pensate a quello che potrà capitare, provateci! Del resto, si va via per tornare. ni su 10 vogliono scappare dal proprio paese per cercare felicità, divertimento e soddisfazione. storia di Domenico, partito questa estate verso la meta più desiderata da ogni ragazzo: Londra
  • 16. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Musica 14 Molto spesso si cade nell’errore di considerare i gruppi che hanno riscosso un ampio successo com- merciale, come quei gruppi che hanno apportato notevoli miglio- ramenti nel vastissimo panora- ma musicale. Nella maggior parte dei casi, in- vece, non è assolutamente così. La fama non è sinonimo nè di quali- tà nè di innovazione. Ovviamen- te, dinanzi ai gusti personali, po- trebbero risultare superflui i dati oggettivi con i quali si giustifica la validità o meno di un gruppo. Ciò nonostante la realtà è diversa. Le cosiddette band “underground”, conosciute, comprese e valorizza- te da pochi, hanno portato, con le loro sperimentazioni e la loro in- clinazione all’avanguardia, enor- mi cambiamenti. Entrando nello specifico, la mu- sica tedesca è stata forse la ten- denza più creativa dei primi anni Settanta, poiché ha creato una nuova identità musicale nel mon- do intero. Tra il 1968 e il 1977 si sviluppa in Germania il movimento del “krautrock”. Esso non si basa su rigidi schemi musicali, ma crea diversissime maniere di fare mu- sica, svincolandosi da ogni limi- tazione che il rock con i suoi mu- sicisti aveva imposto. Tutto è musica per questi mu- sicisti. Si passa dalle overtures inquiete e dissacranti dei Faust, per arrivare all’avant-garde con i Can; si visitano scenari apoca- di Nicolò Mascolo KRAUTROCK L’INNOVAZIONE MUSICALE PARLA TEDESCO littici con la musica degli Amon Duul, per essere poi immersi nel- le atmosfere irreali e sospese dei Popol Vuh. Ma la creatività rag- giunge i suoi massimi livelli con l’elettronica. Il sound metallico e minimalista dei Kraftwerk sarà un punto di riferimento impre- scindibile per lo sviluppo della musica elettronica ed industriale fino ai giorni nostri. Le sinfonie di Klaus Schulze rap- presentano un chiaro esempio di come musica classica ed elet- tronica possano unirsi perfetta- mente per creare, attraverso il loro connubio, opere di grande valore artistico. Chitarre trattate, voci usate come uno strumento e ritmiche metronomiche marca- no lo stile dei Neu! le cui sonorità sono state copiate e riproposte, ad esempio, da David Bowie. Pertanto tutti questi musicisti tedeschi, superando i canoni del rock ed esplorando nuovi lin- guaggi sonori, possono essere considerati, senza ombra di dub- bio, come alcuni dei più grandi artisti del XX secolo. Malgrado queste numerose innovazioni, costoro hanno continuato ad es- sere ignorati dal grande pubblico mondiale, nonostante le loro idee siano state rubate da beceri grup- pi commerciali. Il mondo delle sette note era e rimane malato e solo attacca- to al dio Denaro. A conferma di ciò risulta emblematica la luci- da analisi di Florian Fricke (ani- ma dei Popol Vuh) che sostiene: “Nell’apparato propagandistico del capitalismo, la musica s’inca- rica di stendere un velo che serva a coprire la ragione, a impedire di scegliere e decidere. Gran parte del pop americano e inglese si ritrova in questo ambi- to deteriore, dove l’arte dei suoni diviene corruzione o appare in stretto accordo con essa”.
  • 17. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Cinema 15 Campione di incassi a livello mondiale con quasi 3 miliardi an- nui all’attivo, il cinema indiano è una realtà cinematografica an- cora poco esplorata dai profani. L’industria cinematografica del paese è propriamente conosciuta come “Bollywood”, termine nato dalla fusione di due parole chi- ave: Bombay, una delle metrop- oli principali del subcontinente, e Hollywood, mecca del cinema statunitense. Il popolo indiano si affacciò mol- to presto sul cinema, quando nel 1897 un cinematografo dei fratel- li Lumière approdò a Bombay con alcuni cortometraggi, ed è in quel momento che l’ancora viene get- tata. I principali centri di produz- ione affondarono le radici a Cal- cutta, con la Phalke Film Compa- ny e il Madan Theatre, la catena più diffusa. La crescita divenne chiara quando negli anni ‘30, con l’avvento del sonoro, i film annualmente prodotti in India divennero numericamente su- periori a quelli di qualsiasi altro luogo. I temi principali dei film erano le figure mitologiche e i san- ti, spesso raffigurati in maniera melodrammatica e accompagna- ti dalla musica, l’elemento impre- scindibile cui era legato il succes- so dell’opera; i protagonisti can- tavano in playback, sostituiti da cantanti professionisti, e spesso a suoni poco ispirati corrisponde- va il fallimento del film. Superati i problemi di linguaggio, legati ai molteplici dialetti presenti nel paese, tra gli anni ’30 e la fine anni ’40 l’India dovette far fronte al crollo politico post decoloniz- zazione, con annesso aumento della povertà e dell’instabilità so- ciale. In tutta questa incertezza si potrebbe pensare che il Paese non abbia avuto tempo per il cinema, ma è proprio allora che il cinema indiano crebbe notevolmente, sostenuto economicamente dallo Stato, trasformandosi da cinema commerciale a cinema d’arte, con temi che riflettono le ten- sioni del mondo e le controversie della nazione. Questa crescita rivoluzionaria portò il nome di Satyajit Ray, con- siderato uno dei miglior registi a livello mondiale; il suo cinema comprendeva fattori propri del neorealismo italiano, ma la pro- fonda bellezza del paese e l’uso sinuoso della macchina da presa trasformavano ogni sequenza in un connubio melodrammatico unico, come dimostrato nel suo primo film “Pather Panchali” (“Il lamento sul sentiero”) in cui vi- ene raccontata la storia di Apu, figlio di un sacerdote, e il rap- porto con la sua famiglia. Il film è privo di artificio, senza trucchi, con la natura del territorio e dei sui costumi rappresenta in modo cru- do e non idealizzato, a differenza del cinema statunitense del tem- po, teso a mascherare i problemi della società. Il cinema di Ray era un vaso di Pandora che suscitava una miriade di sentimenti diver- si, tutti dediti a scacciar via ig- noranza e luoghi comuni verso il territorio indiano. Era semplice- mente poesia in movimento. A coronamento del suo lavoro e dei suo sforzi, Satyajit Ray, simbolo del ‘Nuovo Cinema Indiano’ e di crescita del paese, è stato omag- giato nel 1992 con un Oscar on- orario alla carriera. di Francesco Colonna IL MONDO DI BOLLYWOODDALLA NASCITA AL “NUOVO CINEMA INDIANO”
  • 18. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA città 16 Perché dovreste soffermarvi a leggere questo articolo? Cosa è Cor Habeo? Cor Habeo è una associazione culturale, nata ad Altamura, dall’unione di giovani e adulti con l’obiettivo di affrontare il concetto di “Cultura” a 360°. Cultura è convegni, dibattiti, tavole rotonde, laboratori di disegno, di botanica, di ecologia, di estetica. Cultura è il divertimento di una serata tra giochi di società, cultura è una giornata tra le bellezze murgiane. Siamo appena nati e abbiamo bisogno dell’aiuto di quanti vogliano collaborare e confrontarsi con noi, abbiamo voglia di agire e di fare squadra. Mi chiamo Grazia Panettieri, e faccio parte della squadra Cor Habeo. Ho venticinque anni e studio Lettere Moderne. Altamura è la mia città da sempre, sento spesso ripetere: “qui non c’è nulla”. È una frase che io stessa ho detto molte volte in preda ad una vera e propria “noia di vivere”; poi ho realizzato che Altamura ha strade, piazze, palazzi proprio come qualsiasi altra città, che Altamura non è propriamente una Craco disabitata. Quindi qualcosa c’è: cervelli pensanti, interessi, idee. Io sono una degli ultimi “superstiti” all’interno di una cerchia di amici che, per un motivo o per un altro, hanno abbandonato questa città verso il nord delle “grandi speranze”; io stessa non so se trascorrerò tutta la mia vita ad Altamura ma, adesso sono qui e per questo ho accettato l’invito ad entrare in questa squadra, composta da personalità diverse, con diversi punti di vista e diverse attitudini. L’obiettivo però è comune. Per questo #iociprovo! Sono Marika Giordano, parte del direttivo di Cor Habeo, una studentessa universitaria altamurana che come tanti coetanei cerca ancora il suo posto nel mondo. Sono una ventenne che ancora si dondola sulla sedia pensando a quello che sarà della sua vita, che passa il suo tempo sui libri cercando di mettere insieme i tasselli del proprio futuro. Faccio parte di quella generazione che si informa su internet, che si relaziona con i social network e che interagisce t r a m i t e Whatsapp.. Nella mia quotidianità, sempre più frenetica, ho sentito, però, l’esigenza di crearmi uno spazio, un attimo di tempo, per pensare a quanto la mia città possa offrirmi. Ho capito che è necessario mettersi alla prova in prima persona, sfidare le difficoltà e la diffidenza della gente, dei miei coetanei e di quanti pensano che non ci siano opportunità o che queste vengano “calate dall’alto”. Per tutti questi motivi nasce Cor Habeo, dall’etimologia della parola “Coraggio”. Quante cosa sono nate dal coraggio di chi ha saputo osare! Sarebbe mai stata scoperta l’America se Cristoforo Colombo non avesse avuto il coraggio di osare? Sarebbe mai stata brevettata la penicillina? Steve Jobs avrebbe mai pensato al sistema binario nei dispositivi informatici? Ridimensionandoci un po’, noi di Cor Habeo nasciamo per fare domande e trovare risposte, per cercare pian piano delle opportunità, per costruire i nostri spazi e creare la nostra piccola realtà. Per questo #iociprovo! Il tesseramento all’Associazione è sempre aperto e potete contattarci tramite e-mail all’indirizzo cor. habeo@libero.it oppure tramite la nostra pagina Facebook: Cor Habeo – Associazione Culturale. Vi aspettiamo! di Grazia Panettieri e Marika Giordano LA CULTURA DELLA CULTURA: NASCE COR HABEO
  • 19. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Periodico di cultura, informazione e attualità, supplemento de La Nuova Murgia. Anno II, n 4, Febbario 2017, Registrato presso il tribunale di Bari il 09/11/2000 n 1493 Edito dall’Associazione Culturale La Nuova Murgia Piazza Zanardelli 22 / 70022 Altamura (BA) Tel. 3293394234 e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com Direttore: Antonio Molinari Presidente: Domenico Stea Caporedattore: Marco Lorusso Presidente de La Nuova Murgia: Michele Cannito Diretto Responsabile: Giovanni Brunelli Redazione del Numero 4: Alessandro Cornacchia Mariateresa Natuzzi Silvia Miglionico Eleonora Pucci Giuseppe Sardone Domenico Stea Marco Nuzzi Francesco Colonna Francesco Petronella Nicolò Mascolo Marica Giordano Grazia Panettieri Pubblicità: Antonio Molinari 3293394234 Domenico Stea 3441139614 Progetto grafico e impaginazione: Francesco Viscanti 3928759874 Stampa: Grafica & Stampa Questo numero è stato chiuso il 19/02/2017 alle ore 21:00 In collaborzione con: