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Facoltà di Agraria
            Università di Pisa




        Corso di Laurea di I livello
“Gestione del verde urbano e del paesaggio”


             Insegnamento di
      “Tecniche di comunicazione”

       Dispensa di approfondimento


              Anno Accademico
                 2003/2004

                 Docente
         Dott.ssa Patrizia Mariani
Presentazione


Perché un insegnamento di “Tecniche di comunicazione” in Facoltà di Agraria?

La risposta è semplice: l’avere padronanza di saperi e competenze comunicative rappresenta
una delle tante sfide della “nuova Università”. Essere capaci di comunicare, in forma scritta
ed orale, significa esprimersi con chiarezza, capacità di analisi e di sintesi, presentarsi in una
forma accattivante e stimolante, evitare incomprensioni, creare l’impatto adeguato alle proprie
espressioni. E lo Studente di Agraria DEVE essere in grado, nel suo percorso accademico (per
affrontare con sicurezza un esame spesso occorre saper coniugare una solida preparazione
tecnica e scientifica con una adeguata capacità di esposizione) e poi al momento
dell’inserimento nel mercato del lavoro di disporre di opportuni ed efficaci strumenti di
comunicazione.

E’ in tale spirito che si colloca il presente testo: si tratta di appunti preparati dalla Dottoressa
Patrizia Mariani, apprezzata professionista e Docente a contratto dell’Insegnamento di
“Tecniche di comunicazione” del Corso di Laurea in Gestione del verde urbano e del
paesaggio della Facoltà di Agraria di Pisa: si tratta di uno strumento prezioso per iniziare
l’esplorazione di questa importante disciplina, scritto in forma chiara e ricco di esempi. Sono
certo che gli Studenti apprezzeranno lo sforzo, così come hanno gradito l’impostazione con la
quale la Docente ha dato vita alle lezioni accademiche.

          Prof. Giacomo Lorenzini
        Presidente del CdL Gestione del
         verde urbano e del paesaggio
               Università di Pisa
DISPENSA DI APPROFONDIMENTO



Dispensa 1:   Gli elementi della comunicazione

Dispensa 2:   La comunicazione interpersonale

Dispensa 3:   La comunicazione interpersonale:

              • Il colloquio di selezione del personale
              • Tecniche di preparazione al colloquio di lavoro
              • Il curriculum vitae

Dispensa 4:   La comunicazione nelle Organizzazioni


Dispensa 5:   La società dell’informazione: concetti, prospettive,
              problematiche
GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE
INDICE


    1. LA DINAMICA DELLA COMUNICAZIONE


    2. COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO


    3. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA COMUNICAZIONE UMANA


                3.1      EMITTENTE
                3.2      RICEVENTE
                3.3      CANALE
                3.4      CODICE
                3.5      CODIFICA E DECODIFICA
                3.6      FEEDBACK
                3.7      CONTESTO
                3.8      MESSAGGIO


    4. I MODELLI TEORICI DELLA COMUNICAZIONE


                4.1      IL MODELLO TRADIZIONALE O LINEARE
                4.2      IL MODELLO INTERATTIVO
                4.3      IL MODELLO DIALOGICO




Gli elementi della comunicazione                2
1       LA DINAMICA DELLA COMUNICAZIONE


La comunicazione è un elemento essenziale di molti aspetti della nostra esperienza quotidiana ed
avviene in ogni ambito dei rapporti tra le persone, sia fra due individui sia a livello di gruppi.
La comunicazione ha molti scopi; generalmente ogni interazione comunicativa ha una combinazione di
scopi e può produrre una combinazione di risultati.




Scopi della comunicazione interpersonale:



                         IMPARARE                Acquisire conoscenze su se stessi, gli altri ed
                                                 il mondo; apprendere abilità


                      RELAZIONARSI               Stabilire, mantenere e migliorare le relazioni
                                                 interpersonali


                       INFLUENZARE               Controllare, manipolare, persuadere e dirigere



                          GIOCARE                Evadere, rilassarsi e divertirsi



                          AIUTARE                Consolare, provvedere ai bisogni altrui e
                                                 essere di sostegno




La comunicazione umana può essere descritta in modo schematico come un’interazione dinamica fra un
emittente di un messaggio ed un ricevente, mediata da alcuni passaggi che vanno dalla codifica del
messaggio alla scelta del canale di trasmissione da parte dell’emittente, alla decodifica del messaggio
ricevuto da parte del ricevente, alla sua interpretazione, alla ricodifica in termini di risposta e rinvio al
destinatario, il tutto seguendo la logica grafica espressa dalla figura sotto riportata.




Gli elementi della comunicazione                       3
MESSAGGIO
                              Codifica                                Decodifica




  EMITTENTE               Interpretazione                          Interpretazione           RICEVENTE




                             Decodifica                                Codifica

                                              FEEDBACK




La forma ovale che racchiude l’intero processo sta ad intendere lo stretto legame interattivo che si viene
a determinare fra emittente e ricevente: la relazione sociale. I processi vanno intesi in senso sincronico,
in quanto fra chi parla e chi ascolta i ruoli sono continuamente riscritti e nulla garantisce che il processo
segua una logica lineare.
Il messaggio è inizialmente l’idea, la visione della realtà che abbiamo dentro la nostra testa e che
intendiamo comunicare e condividere con gli altri con finalità lavorative o puramente affettive; la
codifica è la trasformazione dell’idea in segni convenzionalmente riconosciuti, ossia i codici di
comunicazione, che consentono al messaggio di strutturarsi in termini espressivi comprensibili ai
diversi soggetti coinvolti nella comunicazione.
Il codice più conosciuto è sicuramente quello linguistico. Esso attiene alla capacità che le persone hanno
di saper produrre e saper interpretare il linguaggio verbale parlato, cui si unisce un’abilità non verbale
non secondaria, la paralinguistica, che attiene ad un saper produrre e un saper interpretare in modo
efficace ed adeguato tutti gli elementi del linguaggio che concorrono a modellarlo in un senso o in un
altro, sia esso positivo o negativo; ne sono un esempio l’enfasi data ad alcune parole o frasi, l’uso delle
esclamazioni e delle pause, che insieme danno colore e senso alla comunicazione verbale.


                                           Paralinguistica
   Modalità di emissione vocale come il tono, il timbro, l’altezza ed il ritmo della voce.




Gli elementi della comunicazione                     4
Cinesica
   Espressioni del corpo come movimenti, gesti, posizioni ed espressioni del volto, intesi come
   mezzi di comunicazione




                                                Prossemica
   Studio dei contenuti comunicativi delle relazioni spaziali fra le persone in diverse situazioni
   sociali.



Accanto alle abilità linguistiche e paralinguistiche troviamo i codici di comunicazione non verbale, che
svolgono la stessa funzione della paralinguistica, ossia concorrono a modellare il contenuto di senso
della comunicazione e, in alcuni casi, a sostituirsi interamente alla stessa comunicazione verbale. Siamo
nel campo della cinesica e della prossemica. La prima attiene alla capacità di comunicare tramite la
mimica del volto, l’uso dello sguardo, il movimento del corpo, i gesti delle mani, ecc.; la seconda
attiene alle regole che governano la distanza fisica da tenere fra le persone, il contatto corporeo, ecc.
Queste abilità, seppur diversamente codificate da cultura a cultura (anche all’interno di una stessa
società), si possono ritenere patrimonio di tutti gli individui, anche se sono usate con diverso grado di
competenza e di consapevolezza da parte delle singole persone. Se a tali elementi sommiamo altre
competenze comunicative, quali la performativa, ossia la capacità di usare intenzionalmente per
determinati scopi gli strumenti della comunicazione verbale e non verbale, la pragmatica, ossia la
capacità di usare la comunicazione verbale e non verbale in modo adeguato agli scopi e alla situazione,
la socioculturale, intesa come capacità di rapportarsi correttamente ai ruoli e alle situazioni sociali, ci
rendiamo conto della complessità del processo comunicativo umano, e dell’importanza che riveste nella
vita di ogni giorno. Padroneggiare tali strumenti significa comunicare secondo una intenzionalità di
senso strutturato a nostro vantaggio.
Il mondo non è una realtà oggettiva che sta di fronte a noi, ma è qualcosa che costruiamo
quotidianamente insieme agli altri attraverso un processo simbolico e comunicativo che ci conduce
verso una possibile condivisione dei significati sugli oggetti, sui fatti e sugli eventi. Ciò, oltre a creare
un’interazione relazionale forte e positiva, consente anche di lavorare meglio insieme agli altri in un
percorso ed in un progetto di cambiamento continuo della realtà e di noi stessi.



Gli elementi della comunicazione                      5
Per avere comunicazione occorre una condivisione da parte dell’emittente e del ricevente dello stesso
significato attribuito alle situazioni sociali, ai fatti, agli eventi e alle condizioni relazionali oggetto della
comunicazione. Nella comunicazione interpersonale è relativamente più facile cercare di instaurare e
conservare tale forma di relazione con l’altro; l’interazione faccia a faccia consente di monitorare
costantemente gli elementi della comunicazione verbale e non verbale, messaggi e feedback, delle
persone in modo tale da mantenere un efficace scambio comunicativo con gli altri. Nella comunicazione
di massa ciò è più difficile in quanto i feedback sono indiretti, deduttivi ed eterogenei.
Il feedback è l’informazione che torna all’emittente a seguito della sua azione comunicativa. Esso è originato dal
ricevente; la sua funzione è di informare l’emittente del senso e del significato, appreso e condiviso dal ricevente,
dell’idea inizialmente comunicata. Il feedback può tornare all’emittente utilizzando gli stessi canali di codifica
attraverso cui si è strutturato il messaggio iniziale, può fare uso dei medesimi codici di comunicazione come
quelli orali, grafici, sonori, ecc., può essere immediato come nella comunicazione faccia a faccia o seguire tempi
di risposta diversi.
L’articolazione dei messaggi e dei feedback può essere più o meno dinamica e dialettica fra le persone. Quanto
maggiore sarà l’alternanza fra messaggi e feedback, tanto maggiore sarà la possibilità di giungere ad una
condivisione, fra due o più soggetti, dei medesimi significati sugli oggetti, sulle relazioni e sulle diverse
situazioni della vita quotidiana.
La comunicazione, pertanto, connota, caratterizza e struttura i rapporti con le altre persone e con la realtà
circostante. Ogni forma d’interazione è un’azione comunicativa rivolta ad altre persone, che modella il mondo
sociale e lo modifica, dando direzione progettuale all’intera azione umana.




2. COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO


Il linguaggio, il mezzo attraverso cui si interagisce con le altre persone trasmettendo informazioni,
sensazioni, stati d’animo ed emozioni, è oggetto di studio di antica tradizione nelle scienze umane, in
particolare della filosofia. Fin dalla classicità greca l’attenzione è stata prestata al linguaggio inteso
come strumento attraverso cui avviene il processo comunicativo. La stessa comunicazione, infatti, si
struttura in linguaggio, intendendo quest’ultimo quale medium o codice, o un insieme di codici verbali e
non verbali, che consente di trasmettere informazione, di conservarla nel tempo e nello spazio e di
rielaborarla.



Gli elementi della comunicazione                         6
Linguaggio
   Facoltà umana di esprimere e comunicare conoscenze, pensieri, bisogni e sentimenti attraverso
   l’uso di segni e simboli.



Il linguaggio è un insieme di segni verbali e non verbali che costituisce il veicolo principale della
comunicazione umana. Esso consente la trasmissione di significati tra uomo e uomo, in quanto,
attraverso tale facoltà, si esprimono conoscenze, sentimenti, bisogni e pensieri. Il linguaggio verbale è il
principale strumento della comunicazione umana ed è sostanzialmente fonetico/auditivo, ma si avvale
anche di una componente visiva necessaria sia per l’ambito mimico/gestuale dell’interazione
comunicativa umana sia per la scrittura. Il linguaggio può essere spontaneo, come per gli animali,
oppure convenzionale. In questo ultimo caso il linguaggio in senso stretto deve essere inteso come
specifica facoltà umana di usare segni per esprimere, comunicare e condividere con le altre persone
sensazioni, conoscenze e sentimenti.
La comunicazione è un’esperienza intersoggettiva di vitale importanza per l’uomo, diventata oggetto di
studio autonomo delle scienze del comportamento, quali la sociologia, la psicologia, l’antropologia,
solo nel corso del novecento. Tale rilevanza, registratasi in modo crescente nel corso del ventesimo
secolo, ha coinciso, da un lato, con l’aumento quantitativo delle informazioni che circolano all’interno
della società, dall’altro con la riduzione qualitativa degli scambi comunicativi fra le persone.
La comunicazione svolge funzioni di integrazione sia per i sistemi micro-relazionali (famiglia, lavoro,
gruppi informali e gruppi amicali, ecc.), sia per il sistema sociale nel suo complesso. La comunicazione
interpersonale si propone nei termini di una dinamica interattiva fra le persone in grado di rispondere a
tutta una serie di bisogni umani: bisogni di tipo fisico, bisogni di identità, bisogni sociali, bisogni di tipo
pratico o strumentale.
La presenza o l’assenza di comunicazione può determinare, nelle persone, l’insorgenza di situazioni di
vera e propria sofferenza fisica, di malattie e anche di morte prematura. Attraverso la comunicazione si
definisce il senso di identità degli individui, si impara a riconoscersi sulla base delle interazioni che si
hanno con gli altri, e soprattutto con gli “altri significativi” quali genitori, amici e persone per noi
importanti. La comunicazione soddisfa i bisogni di appartenenza delle persone ad un gruppo, una
comunità, una famiglia, una nazione, ecc., determinando il grado e la dimensione dei coinvolgimenti
emotivi, affettivi, relazionali di ciascuno e le azioni sociali conseguenti. Infine la comunicazione
soddisfa bisogni di tipo pratico o strumentale, consentendo lo svolgimento di una ordinata vita sociale.



Gli elementi della comunicazione                      7
Le dinamiche comunicative si sviluppano fra le persone nei diversi contesti organizzativi e relazionali:
famiglia, scuola, azienda, organizzazioni sociali in generale, società nel suo complesso, piccoli gruppi
informali, organizzati, istituzionali, lavorativi, ludici. L’indagine psico-sociale investe sia i sistemi di
comunicazione verbale, quelli che si basano sull’uso dei linguaggi naturali, sia i sistemi di
comunicazione non verbale, costituiti dai gesti delle mani, dai movimenti e dalle posture del corpo,
dalle espressioni del viso, ecc.



                                        Comunicazione di massa
  Processi di comunicazione diffusi dai mass media e rivolti ad un numero di destinatari
  indifferenziati e potenzialmente illimitati.


A seguito dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa i sistemi di comunicazione iconica hanno
accresciuto la loro portata simbolica e strutturante per l’esperienza intersoggettiva e per
l’organizzazione della vita sociale. Nonostante ciò, i sistemi di comunicazione verbale restano di gran
lunga più importanti nel determinare i processi, le dinamiche e gli esiti delle interazioni significanti fra
le persone e le istituzioni.


                                 Comunicazione interpersonale
  Processo di comunicazione verbale e non verbale tra due o più persona compresenti o mediata da
  telefono o computer.



La comunicazione interpersonale va analizzata come esperienza di vitale importanza per l’esistenza e
l’integrazione dei sistemi psico-sociali individuali (le persone in quanto tali) e per le organizzazioni
relazionali nel loro complesso, sia informali sia istituzionali. Un’ulteriore conferma di ciò ci viene dalla
pragmatica della comunicazione umana e dal suo intendere la relazione come interazione sistemica.
L’approccio proposto indaga prevalentemente i processi e le dinamiche della comunicazione
interpersonale, soprattutto riguardo alle interazioni faccia a faccia, senza ignorare, per estensione, la
dimensione della comunicazione mediata e di massa. La scelta parte dalla consapevolezza
dell’importanza della dimensione classica ed elementare della comunicazione, intesa come scambio di
segni e simboli significanti fra due o più persone in relazione fra loro allo scopo di realizzare una
condizione di interazione compartecipata di senso e di significato. Tale dimensione relazionale resta il
fondamento strutturale indispensabile per analizzare ogni tipo di azione comunicativa, anche quella

Gli elementi della comunicazione                     8
mediata dall’uso dei mass media (stampa, radio, televisione) o impostasi dall’introduzione delle nuove
forme di relazionalità comunicativa proprie dell’attuale epoca della rivoluzione elettronica e telematica.



                                           Mass media
  Strumenti tecnologici che hanno determinato l’estensione della comunicazione su larga scala,
  riducendo od annullando la dimensione spazio temporale.




Gli elementi della comunicazione                    9
3.      ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA COMUNICAZIONE UMANA




3.1   EMITTENTE


L’emittente, o fonte, è il soggetto, l'oggetto, il gruppo o l’istituzione che emette il messaggio, dando
avvio all’azione comunicativa. L’emittente produce un messaggio che rende manifesto ad altri
conoscenze, pensieri, bisogni o sentimenti. Tale azione si struttura intorno ad un contenuto informativo
rivolto ad altri individui. Alcuni studiosi associano una forma di intenzionalità all'emittente, escludendo
dunque la possibilità che esso possa essere un oggetto, e lo definiscono come una persona che ha un
obiettivo, una ragione per entrare in comunicazione.
Sottolineare l'elemento dell'emittente all'interno del processo comunicativo, significa quasi
inevitabilmente pensare alla comunicazione come a un processo lineare, dove un soggetto produce un
messaggio e lo invia verso il ricevente che ne subirà l'effetto. È ciò che viene suggerito da alcuni dei più
classici schemi di lettura della comunicazione, come quello di Laswell, quello di Shannon & Weaver, e
anche dal più antico approccio allo studio della comunicazione, ovvero la retorica, l'arte del persuadere.


                                                 LASWELL
        Alcuni affermano che il moderno studio della comunicazione sia nato quando Laswell ha
        coniato una descrizione dell'atto comunicativo basata sulle seguenti domande:

                                   •   chi?
                                   •   dice cosa?
                                   •   a chi?
                                   •   attraverso quale canale?
                                   •   con quale scopo?

        Questo modo di leggere la comunicazione è solo apparentemente banale: in realtà riflette
        l'idea che un emittente strategico e avveduto possa disegnare e strutturare un messaggio a
        cui il ricevente non può "resistere". E' un approccio non equilibrato dal lato del ricevente.
        Le riflessioni di Laswell sono infatti datate poco dopo la fine della II Guerra Mondiale, e
        rispondono alle preoccupazioni create dall'effetto che i mass media avevano avuto nella
        crescita dei regimi dittatoriali della prima metà del novecento. Il rischio principale
        individuato da Laswell si concretizzava nel pericolo che una fonte autorevole potesse,
        attraverso la comunicazione, "mettere" idee o opinioni direttamente nella mente di un gran
        numero di persone acritiche e passive.



Gli elementi della comunicazione                         10
SHANNON & WEAVER - La teoria dell'informazione
               Più o meno negli stessi anni in cui Laswell pubblicava i suoi studi, nei laboratori della
               Bell Telephone Laboratories, alcuni ricercatori cercavano di comprendere come si
               potesse aumentare l'efficienza e la fedeltà della trasmissione del messaggio telefonico.
               La loro attenzione era rivolta a focalizzare l'efficienza e l'efficacia della trasmissione di
               un messaggio attraverso un canale, senza attenzione al contenuto del messaggio stesso.
               Da questi studi ha tratto origine il fortunato schema della comunicazione di Shannon e
               Weaver (1949), che ancora oggi rappresenta il più utilizzato punto di partenza degli
               studi in questo campo.


                  E                cod             messaggio              dec              R

                                                     rumore

               Rumore è qualsiasi cosa di involontario che disturbi la decodifica di un messaggio.
               Il rumore si può manifestare sia a livello tecnico (i disturbi nella ricezione di una
               stazione radio, ad esempio) sia a livello semantico, come distorsione del significato del
               messaggio dovuta a differenze o incompatibilità di codici linguistici, culturali,
               psicologici, ecc.




                                         LA TRADIZIONE RETORICA

               La retorica è la più antica forma di studio della comunicazione. Fino dall’antichità
               l'uomo è stato affascinato dalle grandi capacità comunicative che alcuni individui
               utilizzavano per ottenere degli effetti persuasivi su di un pubblico di ascoltatori. Più di
               2000 anni fa, in Grecia, il parlare in pubblico era diventata un'attività molto importante
               sia per la partecipazione dei cittadini alla vita della polis, sia per curare i proprio
               interessi. L'arte della retorica veniva studiata, analizzata e trasmessa alle nuove
               generazioni.
               Uno dei documenti più importanti giunto fino a noi è il trattato "La retorica" (4 secolo
               a.C.), in cui Aristotele studia le tattiche che colui che parla utilizza per influenzare i
               pensieri, le idee e il comportamento di coloro che ascoltano (gli altri cittadini).
               Aristotele era guidato dal desiderio di conoscere i principi di una comunicazione
               efficace, in modo da poter distinguere i "cattivi" dai "buoni" comunicatori.




Gli elementi della comunicazione                          11
Il compito dell’emittente non si esaurisce con il processo di codifica del messaggio, ma prosegue
nell’individuazione del o dei destinatari del messaggio, nella scelta degli strumenti adatti a comunicare
determinati contenuti informativi e nell’accertamento che il ricevente abbia i mezzi (culturali, tecnici o
tecnologici) necessari alla decodifica del messaggio ricevuto. Se l’emittente e il ricevente usano gli
stessi codici e gli stessi canali, è probabile che il messaggio ricevuto e interpretato sia coerente con
quanto intenzionalmente inviato dall’emittente.




3.2     RICEVENTE


          E' il soggetto o l'oggetto che riceve il messaggio. Anche nella situazione comunicativamente più
estrema, quando un solo soggetto parla e l'altro ascolta (come può essere a volte una conversazione
professore-alunno),il ricevente non è mai solamente passivo (come era considerato dai primi modelli
descrittivi dei processi comunicativi); in realtà, nella dinamica dell’azione comunicativa, il ricevente è
allo stesso tempo destinatario ed emittente. Il ricevente, infatti, è il destinatario dell’azione
comunicativa, ma è anche emittente di un messaggio di ritorno (il feedback), che informa l’emittente se
il messaggio inviato è arrivato e, in molti casi, se è stato compreso in maniera corretta.



                                                   Feedback
      Possibilità di controllo del processo di comunicazione da parte degli attori coinvolti




Krippendorf ha focalizzato la sua attenzione sull’importanza del ricevente, o meglio della
"comprensione" da parte del ricevente, all'interno dell'atto comunicativo. Partendo dalla considerazione
che il significato di ogni messaggio viene interpretato da parte del ricevente sulla base del proprio
sistema cognitivo, Krippendorf sostiene che l'elemento centrale della comunicazione è proprio il modo
in cui il ricevente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una certa misura
imprevedibile ed incontrollabile.




Gli elementi della comunicazione                      12
SCHRAMM
               Schramm ha sottolineato come coloro che comunicano simultaneamente inviano e
               ricevono messaggi. Mentre uno dei due comunicatori sta parlando, l'altro ascolta. Il
               modo in cui quest'ultimo ascolta, attraverso il feedback, invia informazioni a chi sta
               parlando. Riconoscere l'aspetto interattivo di ogni comunicazione "reale" contraddice
               una visione lineare della comunicazione.


                                          codifica                  decodifica
                                             1                          2
                                         decodifica                  codifica


               Le persone, per Schramm, rispondono ai messaggi che ricevono sulla base della loro
               personalità, delle loro appartenenze di gruppo, e della situazione in cui avviene la
               comunicazione. Dunque ogni comunicazione è l'incontro di due "repertori" (quello che
               sappiamo e che siamo, ovvero l'insieme delle conoscenze, informazioni, convinzioni,
               stati d'animo, studi, esperienze e tutto quello che compone la nostra identità individuale
               e sociale). Ogni comunicazione riuscita, dunque, produce una "sovrapposizione", più o
               meno ampia, dei repertori dei due comunicanti.




3.3      CANALE


E' il mezzo attraverso cui l'emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottiene, il messaggio. Alcuni
studiosi lo definiscono come "il veicolo di natura fisica, sollecitato da un tramite fisiologico o
tecnologico, che costituisce il mezzo attraverso il quale i messaggi sono trasmessi nella sfera sociale".
Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (principalmente udito e
vista), sia come il mezzo tecnico esterno al soggetto con cui il messaggio arriva (telefono, fax, posta
ecc.).
Ogni canalizzazione di un messaggio produce necessariamente una "riduzione di complessità". Quando
comunichiamo, nella nostra mente possediamo un messaggio complesso, dotato di molte sfaccettature e
molti livelli di significato; riversando questo messaggio all'esterno siamo costretti a veicolarlo
attraverso un codice, a "semplificarlo", in modo che possa passare attraverso un canale.




Gli elementi della comunicazione                         13
MARSHALL McLUHAN

            Parlando di canale non si può non citare la celebre frase di Marshall McLuhan, "medium
            is the message". Il mezzo attraverso cui arriva una comunicazione sarebbe esso stesso il
            messaggio. Questa osservazione suggerisce come i diversi tipi di canale si differenziano
            non solo sulla base dei contenuti che veicolano, ma anche sulla base del modo in cui
            risvegliano o alterano i pensieri e i sensi del ricevente. Il processo percettivo che una
            persona attiva di fronte a un libro (canale visivo), o ascoltando la radio (canale uditivo), o
            di fronte a uno spettacolo televisivo (entrambi), è molto diverso da quello che una
            persona attiva quando assiste,per esempio, ad una lezione universitaria, dove sono
            stimolati contemporaneamente la vista, l'udito, e tutti gli altri sensi attivi nella
            comunicazione interpersonale.




Ci sono dunque almeno tre modi di intendere il concetto di canale:


                     1. come mezzo di comunicazione utilizzato;
                     2. come processo percettivo interessato dal segnale;
                     3. come "messaggio", ovvero come un insieme di processi percettivi che ogni canale
                     stimola in modo diverso, i quali influenzano il contenuto del messaggio co-
                     determinandone il significato.


                                                 Canale
   Supporto fisico, materiale o veicolo attraverso cui un messaggio è inviato da un emittente ad un
   ricevente.



I canali comunicativi sono visivi, uditivi, cinesici (relativi ai movimenti del corpo, ossia mimico-
gestuali), olfattivi. L’elencazione appena effettuata descrive i canali non verbali. La dimensione verbale
si esprime attraverso la scrittura e l’apparato vocale. C’è poi tutta la gamma degli strumenti tecnologici
ed informatici; fanno parte di questo ambito gli apparecchi telefonici, il computer, ecc. E’ difficile
elencare tutti i mezzi comunicativi, dato che le definizioni spaziano dalla estrema generalità fisico-
ambientale (ad esempio l’aria come canale di trasmissione di segnali sonori) fino ai mezzi informatici.




Gli elementi della comunicazione                         14
3.4     CODICE


Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare. I significati,
ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo all'interno della nostra mente. Per
poter uscire all'esterno devono essere codificati, ovvero tradotti in suoni, gesti, segni, che possiedano un
significato condiviso.
Il codice più importante per la comunicazione umana è quello linguistico, costituito da segni (le lettere
dell’alfabeto) combinati secondo delle regole (la sintassi).
Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni dei significati (ed è la società che ci porta a
conoscere questi codici insegnandoceli fin dai primi giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o
quasi nulla. L'uomo dispone di una complessa serie di codici di cui può fare un uso creativo, come ad
esempio il linguaggio, o i gesti, ecc.
La condivisione dello stesso codice da parte degli attori comunicativi garantisce la corretta
formulazione dei messaggi e la comprensione da parte dei destinatari o riceventi. Quando tale
condivisione viene a mancare il messaggio non è correttamente decodificato dal ricevente e possono
insorgere incomprensioni o anche conflitti.


                                                  Codice
      Sistema socialmente condiviso di organizzare i segni.


In ogni azione comunicativa si utilizzano contestualmente sia codici propri della comunicazione verbale
sia codici della comunicazione non verbale. I codici non verbali possono essere coerenti o meno con
quelli verbali. In caso di coerenza il codice non verbale ha un effetto di rinforzo del contenuto del
messaggio, in caso contrario c’è una “collisione” tra i due codici a scapito dell’effettiva comprensione
dei significati trasmessi e ricevuti.




Gli elementi della comunicazione                     15
3.5   CODIFICA E DECODIFICA


Gli studiosi descrivono con l'espressione "codificare" l'attività che l'emittente compie per emettere un
messaggio che sia effettivamente significativo per l'ascoltatore. La codifica si riferisce al processo
attraverso il quale l'emittente trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro
genere, nel tentativo di renderle comprensibili agli altri. Dunque le idee vengono codificate in messaggi,
i quali vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente processo di decodifica.
La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti in un significato, che può
essere simile, esattamente uguale o anche completamente diverso rispetto al significato iniziale, quello
cioè che l'emittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea.
L'attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre condiviso, e dunque la
decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive una patologia al paziente utilizzando il
suo gergo tecnico, non si rende conto che il messaggio non è correttamente decodificabile da parte del
ricevente, poiché solo l'emittente conosce il codice utilizzato.




3.6   FEEDBACK (o retrocomunicazione)


Il feedback è la retrocomunicazione che il ricevente invia all'emittente mentre la comunicazione sta
avvenendo.
È una informazione di ritorno che permette all'emittente, mentre sta comunicando, di percepire se il
messaggio è stato ricevuto, capito, approvato, ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per
raggiungere il risultato che si è prefisso.
Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feedback per "aggiustare il tiro" rispetto a
quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo
osserviamo periodicamente l'interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che
stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo
alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a
raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo di rinunciare).




Gli elementi della comunicazione                     16
3.7   CONTESTO


E' il "luogo" (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ovvero la "situazione" in cui
l'atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce).
Il contesto è parte integrante del messaggio, e può cambiare il significato del messaggio stesso: la frase
"bene, molto bene" pronunciata da un insegnante significa cose molto diverse se detta al termine di una
interrogazione in cui lo studente ha dato buona prova di sé, oppure appena dopo che l'insegnante ha
scoperto lo stesso studente copiare durante un compito in classe.
Quando inviamo messaggi come la frase "questo mi sembra ok", è il contesto che permette di
comprendere che la parola "questo" si riferisce ad un determinato oggetto e non ad un altro. Senza
contesto, le parole e le azioni non hanno nessun significato.
In ogni situazione comunicativa reale sono coinvolti molti contesti contemporaneamente, che spesso si
sovrappongono. Questo può creare imbarazzo: è ciò che può accadere se partecipate ad una festa in cui
sono presenti sia i vostri amici (che richiederebbero da voi un certo linguaggio, un certo tipo di
contenuti ed un certo comportamento) sia i vostri genitori (che ne richiedono ben altri).




3.8   MESSAGGIO


È il contenuto di ciò che si comunica. È strettamente legato al concetto di informazione, e può essere un
dato, una notizia o più semplicemente una sensazione, veicolata attraverso segni significativi (frasi,
singole parole o suoni, gesti, espressioni, immagini, ecc.). È la parte "attiva" dell'atto comunicativo,
quella che genera l'effetto di inviare all'ambiente esterno pensieri o informazioni prima contenute solo
all'interno della mente dell'individuo che le emette.
Il concetto di "messaggio", apparentemente scontato, è in realtà difficile da afferrare. Se definiamo il
termine messaggio dal punto di vista dell'emittente, esso è il mezzo attraverso cui viene veicolata o resa
disponibile una informazione, e dunque ricercata un'influenza sociale, un effetto sul ricevente. Se lo
definiamo dal punto di vista del ricevente, il messaggio è invece l'interpretazione che il ricevente fa
dello stimolo proveniente dall'emittente. Non dobbiamo fare l'errore infatti di credere che il significato
del messaggio sia contenuto all'interno del messaggio stesso. Il significato emerge solo dalla lettura

Gli elementi della comunicazione                       17
contestuale del messaggio e di tutti gli altri elementi della comunicazione. Lettura contestuale che è
possibile, però, solo dopo che un soggetto ha deciso di agire inviando al mondo un segnale.
Watzlawick ed i suoi collaboratori sostengono che tutto è comunicazione, anche il mero comportamento
interpersonale. Ogni comportamento, pertanto, ha valore di messaggio, anche quando evidenzia
caratteri non intenzionali. Tale posizione teorica è riassunta dagli autori nel primo assioma della
comunicazione, che afferma l’impossibilità di non comunicare. Secondo l’approccio pragmatico alla
comunicazione umana il contenuto del messaggio esula, dunque, dal puro atto linguistico intenzionale,
per comprendere ogni azione, anche involontaria, dell’attore sociale inserito in un processo relazionale.
In base a questa teoria la sfera della comunicazione coinvolge gli aspetti non verbali dell’interazione
sociale, che si esprimono attraverso la postura, il modo di porsi agli altri, l’intonazione della voce,
l’immagine estetica, l’abbigliamento, lo sguardo, il silenzio. Il messaggio è ciò che transita, sotto forma
di codici verbali e non verbali e attraverso canali acustici, visivi, olfattivi, ecc., dall’emittente al
ricevente.




4. I MODELLI TEORICI DELLA COMUNICAZIONE



4.1   IL MODELLO TRADIZIONALE O LINEARE



In questo modello la comunicazione, anche umana, è vista come un processo dove il messaggio è
codificato da un’emittente ed inviato attraverso un canale ad un ricevente che lo decodifica.
Codifica e decodifica sono due processi distinti ed autonomi (come in un messaggio parlato è diverso
produrre le parole dall’ascoltarle). Altro aspetto esaminato dal modello è il rumore, intendendo con esso
qualsiasi fonte di disturbo che interferisce con una comunicazione efficace.
Ruolo del canale. In questo modello il canale della comunicazione è il mezzo attraverso il quale
passano i segnali. Il canale lavora come un ponte fra emittente e ricevente. Di solito vengono usati
contemporaneamente più canali; per esempio in interazioni faccia a faccia si parla e si ascolta, usando il
canale vocale-uditivo, ma si fanno anche gesti o si ricevono segnali non verbali, usando il canale visivo;
oppure si tocca l’altro, usando il canale tattile. Se scriviamo una lettera o mandiamo una e-mail usiamo
canali ancora diversi.


Gli elementi della comunicazione                    18
Critiche al modello lineare. Questo modello non tiene conto degli interlocutori coinvolti e del contesto,
che possono entrambi modificare i significati. In particolare il ricevente è visto come una “macchina di
decodifica” passiva e muta (abbiamo visto invece come schemi, atteggiamenti, esperienze passate,
influenzino percezione, interpretazione, valutazione, memoria, ect). Inoltre il linguaggio naturale
umano non corrisponde ad un codice, ma ha delle ambiguità intrinseche che vengono risolte ogni volta
dalla situazione.




4.2   IL MODELLO INTERATTIVO


Questo modello supera lo schema semplicistico del modello lineare, introducendo il concetto di
feedback ed occupandosi più esplicitamente delle intenzioni comunicative di chi parla e di chi ascolta,
che vengono (e non solo il significato letterale del messaggio) fatte oggetto di codifica/decodifica per
essere sicuri di cogliere le intenzioni sottostanti e di condividere gli stessi significati. Parlante ed
ascoltatore obbediscono ad un “principio di cooperazione” e condividono uno scopo comune. Solo così
la comunicazione può dirsi efficacemente avvenuta.
Sono spesso i segnali non verbali a costituire un feedback su come un messaggio è stato recepito: con
segnali di attenzione (es. segnalando con lo sguardo che si sta ascoltando) di comprensione (es.
accennando di sì con il capo), di valutazione (es. alzando le spalle o aggrottando la fronte).




4.3   IL MODELLO DIALOGICO


In questo modello l’individuo è visto come soggetto attivo (dotato di pensieri, emozioni, status, ruoli,
capacità) che cerca di interpretare tutte le informazioni che provengono dall’ambiente. Il parlante e
l’ascoltatore sono meglio definiti come interlocutori coinvolti in una relazione complessa in cui
costruiscono il loro specifico contesto. La comunicazione non è più una semplice trasmissione di
informazioni, ma una complessa attività congiunta che genera una realtà sociale.
Questo modello sottolinea l’importanza del contesto, non più visto come semplice sfondo bensì come
elemento strutturante.

Gli elementi della comunicazione                    19
Grande importanza viene data all’analisi della conversazione come modello tipico della comunicazione.
Il modello dialogico considera, a differenza dei modelli precedenti situazioni asimmetriche, o quelle in
cui sono coinvolti più destinatari di una comunicazione (es. una lezione in classe).




Gli elementi della comunicazione                   20
LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE
INDICE

1.    LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE
        1.1     L’ELENCO DELLE FUNZIONI
        1.2     GLI ATTI LINGUISTICI
                Massime conversazionali o principi generali
                Il principio di cooperazione
                Massima di qualità
                Massima di quantità
                La massima di relazione
                La massima di modo
        1.3     GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI
        1.4     LE EMOZIONI NELLE PAROLE


2.    IL LINGUAGGIO CORPOREO
        2.1     ANALOGICO E DIGITALE
        2.2     DAL SEGNALE ALLA VERIFICA
        2.3     CINQUE CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO
                        2.3.1     L’ATTEGGIAMENTO
                        2.3.2     MIMICA
                                  2.3.2.1 FRONTE
                                  2.3.2.2 LO SGUARDO
                                  2.3.2.3 I MOVIMENTI OCULARI
                                  2.3.2.4 LA BOCCA
                        2.3.3     LA GESTUALITÀ
                        2.3.4     LA DISTANZA
                                  2.3.4.1 ZONA INTIMA
                                  2.3.4.2 ZONA PERSONALE
                                  2.3.4.3 ZONA SOCIALE
                                  2.3.4.4 ZONA PUBBLICA
                        2.3.5     IL TONO
        2.4     LA RISATA
        2.5     L’EFFETTO PIGMALIONE


La Comunicazione Interpersonale                         2
1.      LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE


Gli uomini comunicano sia con il modulo numerico (verbale) che con il modulo analogico (non
verbale). Questo vuol dire che qualsiasi comunicazione è composta da due momenti
contemporaneamente presenti: un momento verbale (espressione verbale della comunicazione) ed un
momento gestuale e quant’altro non sia solo verbale (espressione mimica, prossemica, ecc.). Per dare
luogo ad una comunicazione definita sana queste due diverse componenti devono necessariamente
essere coerenti tra loro. Nel caso contraria si assiste ad una comunicazione definita paradossale.
Il livello di contenuto è trasmesso di preferenza con il modulo numerico, il livello di relazione è
trasmesso di preferenza con il modulo analogico.
Quando comunichiamo con gli altri non passiamo solo informazioni sull’argomento trattato, altrimenti
“informeremmo” nell’accezione più tecnica del termine. Comunicare è invece molto di più.
Il linguaggio che noi adoperiamo quotidianamente, ogni nostra espressione, anche quella utilizzata in
una conversazione telefonica, non è esente dall’essere molto di più della semplice risultante dei
significati delle parole usate.


E’ lecito porsi una domanda: è possibile non comunicare?


Riflettiamo sulla situazione (una delle tante possibili) qui di seguito riportata:
immaginate un gruppo di persone in una stanza; fate uscire due di queste, possibilmente un uomo ed
una donna. Ai due dite che, una volta rientrati nella stanza, dovranno simulare un viaggio su un mezzo
pubblico, possibilmente vicini e senza parlare.
Prima di farli rientrare, chiedete alle persone rimaste dentro la stanza di provare a capire che cosa i due,
una volta rientrati, si stanno comunicano. Solitamente, il silenzio imposto ai due, viene
abbondantemente riempito dalla fantasia degli altri partecipanti.
Perché questo? Noi siamo nati e viviamo in un ambiente comunicativo. La prima comunicazione
interpersonale avviene tra madre e figlio. Tra i due si costruisce un linguaggio decodificabile soltanto
da loro due: quando il bambino piange in una data maniera ottiene una determinata cosa.




La Comunicazione Interpersonale                       3
1.1      L’ELENCO DELLE FUNZIONI


Attraverso il linguaggio naturale vengono trasmessi molti dati, alcuni che non controlliamo
consciamente, altri che possiamo simulare.
Questo rappresenta un surplus informativo, che può essere inteso come il valore aggiunto alla cruda
informazione trasmessa su un determinato oggetto; in tal modo la comunicazione diventa
effettivamente il passaggio e la messa in comune di dati, informazioni, valori, diviene strumento di
regolamentazione sociale in maniera interattiva e reciproca ed il linguaggio, anche attraverso questo
surplus di dati, svolge le seguenti funzioni:


a) Referenziale (o rappresentazionale)
      Quando descriviamo un dato di realtà o uno stato di cose veicoliamo informazioni che si
      riferiscono alla situazione che descriviamo.
b) Interpersonale (o espressiva)
      In ogni comunicazione con l’altro, non si veicolano solo significati ancorati all’uso del vocabolario
      e alla loro combinazione, ma anche ciò che noi siamo in relazione al mondo e all’interlocutore
      stesso, e a ciò che l’interlocutore è per il resto del mondo e per noi, includendo in questo l’identità
      personale, lo stato emotivo temporale, gli atteggiamenti abituali e le relazioni sociali.
      Nella funzione interpersonale-espressiva un ruolo importante è svolto dal linguaggio non verbale
      (tono dell’eloquio, linguaggio del corpo, gestione dello spazio e della distanza). Basti pensare a
      quanti significati possono venire racchiusi in un semplice “ciao”: a seconda che ci rivolgiamo ad
      una persona che amiamo oppure ad una persona che detestiamo, questa piccola parola, pur
      pronunciata nello stesso modo, esprimerà sentimenti contrapposti ed il nostro linguaggio corporeo
      difficilmente sarà capace di mentire.
c) di auto ed eteroregolazione
      Noi utilizziamo il linguaggio per regolare le nostre azioni e quelle degli interlocutori, attraverso
      richieste, ordini, comandi, persuasioni. Quando chiediamo qualcosa a qualcuno, interveniamo su
      dati di realtà. Perfino nel linguaggio interiore ci diamo degli ordini.
d) di coordinazione delle sequenze interattive



La Comunicazione Interpersonale                         4
Nella comunicazione l’alternanza tra emittente e ricevente non dovrebbe essere casuale, ma gestita
      da regole; e l’inizio della conversazione, il passaggio di ruolo emittente/ricevente e la fine della
      comunicazione vengono segnalati dal linguaggio(ad esempio uno sguardo, una domanda
      all’interlocutore, un “bene” sempre più veloce e accentuato in chiusura di una conversazione
      telefonica).
e) di metacomunicazione
      Ciò che ci distingue dagli animali sembra essere, in particolare, la metacomunicazione, ossia il
      comunicare sulla comunicazione. Noi discutiamo spesso su ciò che un altro aveva detto, o noi stessi
      avremmo voluto dire e non siamo stati intesi, o riusciamo per mezzo di segnali paralinguistici e del
      linguaggio del corpo, a simulare e dissimulare messaggi su stati interiori o esteriori (ad esempio con
      ironia, clamore o menzogna). Possiamo dire una cosa seria e renderla risibile con l’espressione,
      oppure, al contrario, pronunciare una notizia allegra con tono tragico.
      Questa funzione può diventare di grande utilità nel gestire situazioni di incomprensione reciproca,
      nel cercare di interpretare e tradurre il messaggio che ha generato la turbativa nella comunicazione,
      nello sdrammatizzare con il tono certe situazioni gravi e nel far sentire a proprio agio
      l’interlocutore.




1.2      GLI ATTI LINGUISTICI


In base a quanto esaminato fino ad adesso, abbiamo visto che con il linguaggio ha molteplici funzioni.
Pensiamo, ad esempio, alle conseguenze che in qualsiasi momento può avere sulla nostra vita e su
quella degli altri una certa frase detta in una certa maniera. L’impiego energetico per proferirla è
pressoché nullo, ma possiamo produrre nella realtà una separazione, l’interruzione di un rapporto di
amicizia, una reazione violenta. Il senso di queste frasi non risiede tanto nei loro contenuti, cioè nella
loro verità o falsità, quanto su come esse andranno ad interferire sul piano della realtà.
Infatti, quando agiamo con le parole, la nostra attenzione non si pone tanto sulla verità o meno
dell’enunciato proferito, bensì su come esso andrà ad agire sulla realtà.
Esiste una categoria di verbi che danno alle parole la “forza” per agire sulla realtà: sono i verbi
performativi, per esempio “io scommetto”, “prometto”...



La Comunicazione Interpersonale                       5
Questi verbi possono essere sia espliciti che impliciti: ad esempio”Vieni qua!” può essere esplicitato
con “ti ordino di venire qua”.
Non tutte le azioni linguistiche riescono, anche se si presuppone che tutti coloro che parlano, in quanto
capaci d’intendere, di volere ed in grado di comprendere e formulare frasi di senso compiuto siano
accomunati da una competenza comunicativa.
Qui di seguito enunciamo quelle che sono le condizioni di buona riuscita di una atto linguistico, ovvero
le regole da seguire affinché un atto linguistico abbia la forza appropriata:


A       1.      deve esistere una procedura convenzionale che abbia un effetto convenzionale;
        2.      le circostanze e le persone devono essere appropriate secondo quanto specificato dalla
               procedura.
B       La procedura deve essere seguita:
        1.      in modo corretto;
        2.      in modo completo.


C       1.      Le persone devono avere i pensieri, i sentimenti e le intenzioni richieste dalla procedura
        2.      se è specificato un comportamento conseguente, esso deve verificarsi.”


Le violazioni indicate nei punti A e B originano delle azioni che non hanno esito. Le violazioni delle
regole indicate nel punto C non sempre si possono individuare; pertanto si può agire in maniera
inappropriata o insincera, in quanto entriamo nell’ambito delle certificazioni di stati e motivazioni
interiori, dei quali siamo unici giudici e testimoni.


Ovviamente le tre classi di condizioni non sono sufficienti affinché si possano avere sulla realtà le
conseguenze che ci siamo prefissati. L’imprevedibile può sempre accadere: una reazione inattesa da
parte del nostro interlocutore, o uno o più elementi inattesi, si possono aggiungere alla situazione.
Si possono pertanto individuare tre livelli per aiutarci a comprendere come dal “dire” si passa al “fare”:


    •   atto illocutorio (o illocuzione):
        dire la frase grammaticalmente compiuta.
    •   atto locutorio (locuzione):



La Comunicazione Interpersonale                         6
il “fare” convenzionalmente legato ad un atto linguistico, con la forza di un comando, di un
        ordine, di una condanna, avvenuti secondo le condizioni di buona riuscita.
    •   atto perlocutorio (perlocuzione):
        ciò che consegue al “fare” convenzionale, che non è di per se convenzionale.




GLI ATTI LINGUISTICI INDIRETTI
Non soltanto attraverso l’uso di verbi performativi possiamo agire sulla realtà e formulare richieste. Le
richieste possono essere formulate anche attraverso delle asserzioni dichiarative e delle preposizioni
interrogative
Quando noi conversiamo con un altra persona è sottinteso che seguiamo delle regole, esplicitate nel
seguente elenco, al quale è meglio attenersi durante una conversazione formale, come può essere un
colloquio di lavoro.




Massime conversazionali o principi generali


    • Il principio di cooperazione
        Al momento opportuno fornite il vostro contributo così come è richiesto dalla situazione, dagli
        scopi o dall’orientamento del discorso in cui siete impegnati.
        Aderite cioè al contesto in cui vi trovate seguendo il turno della conversazione.


    • Massima di qualità
        Cercate di fornire un contributo vero; in modo particolare:
            1. non dite cose che credete siano false:
            2. non dite cose per le quali non avete prove adeguate.


    • Massima di quantità
        1. fornite un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in un modo adeguato agli
            scopi della situazione nella quale vi trovate.
        2. non fornite un contributo più informativo del necessario.

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• Massima di relazione
        Fornite contributi pertinenti


      • Massima di modo
        Siate comprensibili, ed in particolare:
        1. evitate oscurità; siate chiari nel linguaggio e nella forma espositiva;
        2. evitate le ambiguità; definite ogni significato senza margini di dubbio;
        3. siate brevi;
        4. procedete in modo ordinato.


1.3     GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI


La collaborazione conversazionale durante particolari confronti dialettici non viene meno, ma può
essere continuamente contrattata e specificata (esempio di ciò, nella memoria collettiva, è
l’interrogatorio che l’avvocato americano fa a un testimone, le cui domande vanno alla ricerca delle
maggiori informazioni possibili che attestino una data tesi e le risposte sembrano essere più succinte
possibili). Per ottenere quanti più dati possibili da affermazioni povere di informazioni esplicite, è di
grande aiuto tenere bene a mente quelle particolari parole (nomi, verbi, avverbi…) grazie alle quali,
partendo da una asserzione, si arriva a delle conclusioni su uno stato di cose (mentre, al contrario, con
le implicature conversazionali, da una asserzione su uno stato di cose si arriva al senso della
proposizione). Anziché essere legati al contesto, gli attivatori presupposizionali sono legati al
significato delle parole interne al testo e generano delle inferenze su ciò che deve essere vero affinché
un enunciato abbia senso (e rimane vero anche nella sua negazione). Tali inferenze vengono indicate
con il nome di presupposizioni, ed hanno validità universale in qualsiasi contesto vengano pronunciate
(ad esempio la frase “I figli di Marco sono biondi” ha senso solo qualora esistano Marco e i suoi figli,
sia che i figli siano biondi o mori e cioè sia vera la sua negazione. La presupposizione della frase “I
figli di Marco sono biondi” è “Marco ha dei figli”).


Ecco alcuni esempi di attivatori presuppozionali:
1.      Descrizioni definite:
        Ho cavalcato/non ho cavalcato Furia (esiste Furia)
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2.      Verbi fattivi
        Rimpiangere, essere consapevoli/non consapevoli di, rendersi conto di, sapere, dispiacere,
        essere orgogliosi del fatto che, essere indifferenti al fatto che,essere contenti del fatto che,
        essere tristi per (esiste l’oggetto o è avvenuta la situazione che si rimpiange, di cui si è
        consapevoli...).
3.      Verbi implicativi
        Riuscire (cercare di fare), dimenticare (si sarebbe dovuto ricordare, si aveva intenzione di
        ricordare), capitare qualcosa (non era prevista quella cosa), evitare qualcosa (si aspettava quella
        cosa)
4.      Verbi di cambiamento di stato
        Smettere, cominciare, continuare, prendere, partire/lasciare, entrare, venire, andare, arrivare,
        ecc. (esisteva già uno stato o un’azione precedente)
5.      Iterativi
        Di nuovo, non più, ritornare, un’altra volta, ripristinare, ripetere, (esisteva già uno stato o
        un’azione precedente alla quale si fa riferimento)
6.      Verbi di giudizio
        Accusare di, criticare, (ciò di cui si accusa o ciò che si critica si ritiene negativo)
7.      Proposizioni temporali
        Prima, mentre, da quando, dopo, durante, quando nel (la situazione alla quale si riferisce la
        proposizione è vera)
8.      Frasi scisse
        É stato Gianluca a tirare il sasso. (qualcuno ha tirato il sasso)
9.      Paragoni o contrari
        Anche, invece, in cambio, poi, a sua volta (l’esistenza e la qualità dello stato a cui si fa
        riferimento)
10.     Preposizioni relative non-restrittive
        Marco, che è l’ultimo figlio di Laura, oggi è/non è andato a scuola. (Marco è l’ultimo figlio di
        Laura)
11.     Ipotetiche controfattuali
        Se solo fossi andato piano avresti frenato in tempo, (non andavi piano)
12.     Domande



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C’è una macchinetta per il caffè? (o c’è o non c’è), Monfalcone è in provincia di Trieste o di
        Gorizia? (una delle due), Chi è il vostro professore di matematica? (avete un professore di
        matematica)




1.4     LE EMOZIONI NELLE PAROLE


Esistono diverse immagini e sensazioni legate alle parole. Questi legami possono influenzare le disposizioni
interiori, il contesto emotivo e lo svolgersi dell’interazione. Le ancore possono essere collettive, culturalmente
condivise, di specifici gruppi o isolate alle esperienze personali.
Anche all’interno di conversazioni, citare avvenimenti o cose positive o negative può indirizzare, anche se
solamente a livello inconscio, gran parte della decodifica del messaggio.
In ogni scelta la componente emotiva è fortissima: questa è una regola che gli esperti venditori ben conoscono.
Per questo, durante una conversazione, preliminare a qualsiasi tipo di decisione, è importante sapere gestire le
sensazioni che si veicolano attraverso i messaggi.
Altre sensazioni, vengono veicolate, per lo più inconsciamente, attraverso il linguaggio corporeo.




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2.        IL LINGUAGGIO CORPOREO


2.1     ANALOGICO E DIGITALE


Nell’interazione di ogni giorno non comunichiamo soltanto attraverso il contenuto espresso nelle
parole, ma veicoliamo anche emozioni, intensità e passioni attraverso la cadenza, le posizioni del corpo
e lo sguardo.
Pensiamo a quanto ci può essere in un semplice “Ciao” rivolto ad un amico. Nel proferirlo non
trasmettiamo solo il significato del saluto, ma possiamo anche esprimere un mondo di relazioni: quello
che è l’altro per noi, quello che noi reputiamo di essere per lui, il nostro stato d’animo, tutto il nostro
vissuto fino a quel momento e quello che è intercorso con l’altro.
Una parola convenzionalmente è composta da un segno finito, che può essere modificato attraverso
altri segni finiti e convenzionali (plurali, diminutivi, maggiorativi, aggettivi numerali o di qualità, che
di per sé seguono le regole della parola che modificano: grande, grandi, grandissimo…). Concetto che
la linguistica definisce come morfemi lessicali (buon, am), in unione con dei morfemi grammaticali
(buono, amo). Niente, a livello figurativo, del concetto della parola è immesso nella parola stessa,
tranne nel caso di onomatopee, che hanno un suono che per analogia ricorda il significato che evocano:
“gong”, “trillare”. Ma “casa” o “gatto”, nulla mi dicono della casa o del gatto, e “cccaaasssaaa” o
“gggaaatttooo” non mi indicano una casa o un gatto più grande, mentre “grande casa” o “grande
gatto” sì, proprio come “13” mi indica un numero di tre unità più grande di dieci.
Non si può esprimere continuità tra una grandezza e l’altra, cosa che invece si può fare per analogia,
magari con un gesto delle mani “era alto così” o con un suono “ha fatto boom!!!”. Indicheremo i primi
segni (“casa”,“13”) come segnali discreti o digitali e i secondi (“boom”) come continui o analogici.
Nei caso di segni/segnali digitali, la relazione tra segno e significato è arbitraria e convenzionale.
Ad un segno arbitrario del codice facciamo per convenzione corrispondere un significato.
Il segno predefinito non può subire variazioni al di fuori di quelle permesse dal codice: nell’insieme dei
numeri naturali, nella declinazione al plurale, nella scala degli aggettivi, si passa da un segno all’altro
senza possibilità di vie di mezzo.
Nel caso di segni/segnali analogici il significato si assume per analogia al referente, ossia sussiste
un’analogia, qualcosa che lega per similitudine il significante (il segno) al significato (il referente). La
similitudine, non essendo attuata per mezzo di un segnale definito, ma attraverso la riproduzione di una

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delle qualità dell’oggetto riferito, non è suscettibile della scalarità dei segni digitali. Io posso allargare
le mani in maniera continua per indicare una grandezza, così come posso utilizzare il tono della voce
per riprodurre un suono.
Posso usare segnali digitali per combinare dei segnali analogici. Nella poesia ad esempio, l’unione di
segni discreti, quali le parole, formano analogie con sensazioni e significati che si vogliono riprodurre.
L’oggetto della poesia, spesso ancorato all’interiorità, è di per sé maggiormente esplicabile attraverso
segnali analogici e la bravura di chi recita si valuta in gran parte per come sa riprodurre stati d’animo
attraverso il tono della voce, la velocità dell’eloquio, l’espressione del volto e i gesti del corpo.


Ecco tre esempi di poesie, che per analogie rimandano a un qualcos’altro di per se di difficile
definizione:


                …finché saremo vivi
                faremo nostra
                tutta
                la vera vita,
                ma anche
                i sogni:
                tutti
                i sogni:
                tutti
                i sogni
                sogneremo.
                (P. Neruda)


Neruda descrive la sua esperienza intima assieme ad una ragazza e poteva concludere con il dire
semplicemente “sogneremo tutto ciò che è possibile sognare”, mentre nella ripetizione di “tutti i sogni”
legato a “sogneremo” crea un’analogia con l’atmosfera soffusa ed indefinita del sogno.


                …ta ta ta ta giii tumb giiii tumb ZZZANG-TUMB-TUMB (280 colpi di partenza)
                srrrrrr GRANGGRANG (colpi in arrivo) coooc-craaac grida degli ufficciali
                sbattacchiare come piatti d’ottone…

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(F. T. Marinetti)


Marinetti, per rievocare la battaglia, crea una forte analogia con l’ausilio delle lettere (digitali) e con
l’utilizzo delle onomatopee (segnali analogici), con il campo di scontro, in un contesto di esplosioni di
armi da fuoco.


                 Tu sei come una giovane,
                 Una bianca pollastra.
                 (U. Saba)


Saba qui avrebbe potuto scrivere: “donna giovane di razza bianca con probabile anemia” se avesse
voluto simulare la descrizione fatta da una persona patita di medicina, mentre ha creato un continuum,
poco onorevole raffronto, tra la giovane descritta nel testo e una gallina.


Per concludere, per capire la differenza che intercorre tra il segnale analogico e quello digitale, basta
fare i seguenti due esperimenti:
prendiamo, con il massimo rispetto per Dante, il seguente verso:


                 103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
                 (Divina Commedia, Inferno, Canto V)


L’insieme di queste parole esprime più o meno il seguente significato: l’amore è una cosa così intensa,
che non può lasciare indifferenti dall’amare chi è fatto oggetto di questo sentimento.
Prendiamo una parola a caso nel testo e facciamo quello che Neruda ha fatto con i “tutti i sogni”: per
esempio prendiamo in esame la parola “nullo” e ripetiamola due volte. Il risultato è il seguente:
Amor, ch’a nullo nullo amato amar perdona.
La ripetizione della parola “nullo” pone l’attenzione, con una tensione che potremmo definire
drammatica, sul significato di nessuno, in analogia con l’importanza che intendiamo darvi. Qualcuno
però potrebbe obiettare che l’analogia viene posta su un piano di scalarità, e che ogni “nullo” in più, un
gradino digitale, aumenta d’intensità l’analogia.
Potremmo anche provare a ridurre la parola “nullo”, e porlo su un piano di continuità con l’intera frase,
usando il seguente stratagemma:

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Amor, ch’a nullo nullo nullo nell’amato amar perdona
La preposizione “nell’” è simile a “nullo” (presenta delle analogie), lo richiama ed intensifica la sua
importanza, ma questa volta in maniera più indefinita, fondendosi con tutta la frase, in quanto “nell”
apostrofato si appoggia e si completa foneticamente e semanticamente con “amato”. Un po’ come
quando si pronuncia qualcosa, la grandezza del gesto non è di per se misurabile in maniera precisa e
neppure replicabile in maniera esatta; si pone semplicemente su un paio di continuità, come la voce, i
sorrisi, i gesti delle mani.


Supponiamo di trovarci di fronte ad una platea: utilizzando una stessa parola provocheremo esiti diversi
a secondo di come la pronunceremo. Supponiamo di individuare una persona del pubblico, e di dirgli
“attento” con tono basso e lentamente. Se ci sarà un qualche effetto, sarà del tutto impercettibile.
Proviamo poi, subito dopo, individuando un altro soggetto, a gridare velocemente la stessa parola
scattando con il corpo. L’effetto indotto sarà di panico e di agitazione. Eppure era la stessa parola. Che
cosa ha fatto la differenza? Il linguaggio del corpo.


Perché una parte così importante della comunicazione è lasciata ad un codice non strutturato e con
elementi non strutturabili ad un alto livello di complessità, quindi anche difficilmente definibile come
un codice?
Una spiegazione plausibile potrebbe essere la seguente:
un codice gestibile da molti utenti deve avere come riferimento un insieme di significati definiti,
condivisibili e finiti. Le generalizzazioni e le classificazioni riguardanti il mondo sensibile sono definite
e limitate all’interno di ogni paradigma culturale. Un codice standard, può facilmente veicolare tutte
queste informazioni. Ma quando comunichiamo, veicoliamo attraverso i messaggi molto di noi stessi,
della nostra interpretazione del mondo, delle cose, di noi stessi rispetto al mondo. Contenuti questi che
possono anche essere molto idiosincratici, diversi per ciascuno di noi, dunque difficilmente codificabili
- se lo si volesse - attraverso un linguaggio standard e per i quali è impossibile definire dei significanti
standard.
Le combinazioni possibili del linguaggio naturale (le parole) sono infinite e la lunghezza delle frasi
potenzialmente illimitata, ma la linearità del linguaggio produrrebbe una lunghezza ed una spesa di
risorse mentali spropositata semplicemente per esplicitare un battito di ciglia.
La soluzione migliore è un codice di pochi elementi graduabili in maniera pressoché infinitesima nelle
loro espressioni continue, talmente immediato da essere a volte incontrollabile.

La Comunicazione Interpersonale                      14
Ecco una tabella delle distinzioni tra digitale e analogico.




                     DIGITALE                                                 ANALOGICO


        le parole                                                 l’uso delle mani per indicare quantità o
        il quadrante dell’orologio in cifre (si passa da          intensità
        un secondo all’altro)                                     “ho visto miao miao” (un gatto) (onomatopee)
        la codifica dei computer (o è “0” o è “1”, 8 bit          il tono e la velocità dell’eloquio basta!!!! (tratti
        formano un byte che codifica un carattere                 paralinguistici)
                                                                  il gesticolare, le espressioni del volto, la
                                                                  distanza corporea (linguaggio del corpo)
                                                                  la poesia
                                                                  il quadrante con le lancette (viene indicato il
                                                                  passare parziale del tempo)
                                                                  la vecchia linea telefonica (il messaggio viene
                                                                  modulato in impulsi elettrici che riproducono
                                                                  analogicamente il suono)

il modem (modulatore demodulatore) fa da tramite tra il computer (digitale) e la linea telefonica (analogica)




È importante sapere che nella comunicazione interpersonale possiamo effettuare distinzione tra “ciò
che si dice” e “come lo si dice”, ovvero tra i segnali sul piano del contenuto, espresso prevalentemente
con le parole, e i segnali sul piano della relazione. I primi veicolano informazioni, i secondi veicolano
informazioni sulle informazioni




La Comunicazione Interpersonale                         15
L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come
                        interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998




Tra ciò che esprimiamo con le parole (segnali digitali) e ciò che esprimiamo con il corpo (segnali
analogici) vi può essere congruenza o incongruenza. È importante sapere che la congruenza tra i due
piani (contenutistico e relazionale) convince di più, mentre l’insicurezza porta all’ incongruenza e
dunque a non essere creduti.
Ovviamente la relazione tra gli interlocutori può essere buona o cattiva ed esprimere aggressività,
incongruenza o non ascolto, e lì dove si riesce a creare una buona dinamica della relazione tra gli
interlocutori si facilita la comprensione, in quanto, se ci sentiamo in qualche modo attaccati, agisce la
parte più emotiva di noi, e subentra quella che viene definita “nebbia psicologica”, cioè un’incapacità a
razionalizzare e ad esprimere le nostre ragioni, perfino a ricordare




2.2     DAL SEGNALE ALLA VERIFICA


Poiché non sempre ad un segnale corporeo corrisponde un solo significato (o il più comune), si può
passare ad una verifica nella comunicazione per vedere se ciò che si esprime con un segnale del corpo
viene confermato o da altri segnali o dalle parole.


La verifica può essere di tre tipi:


                1.      la domanda aperta;
                2.      la domanda chiusa;

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3.      il silenzio.


      1. La domanda aperta è quando formulo un quesito per far parlare quanto possibile l’interlocutore,
         preferibilmente su un atteggiamento interiore (es. “Cosa le sembra della proposta?”).
         La risposta che ne segue non solo verifica le mie impressioni, ma mi permette anche di condurre
         ulteriori analisi sui segnali dell’interlocutore, eventuali congruenze o incongruenze.


      2. Alla domanda chiusa si risponde con un “sì” o con un “no”. Chiedere un’informazione in
         maniera così diretta, se non si è acquisito un certo grado di fiducia nell’interlocutore, può essere
         pericoloso, poiché, di fronte a delle variabili da ponderare, l’interlocutore può anche ipotizzare
         conseguenze svantaggiose da una sua concessione ed interpretare la nostra richiesta esplicita
         come uno stratagemma per concludere, senza farlo arrivare a percepire elementi che lo
         influenzerebbero negativamente.


Il silenzio può essere un’ottima strategia, ma bisogna essere molto esercitati a praticarlo.




2.3      CINQUE CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO


Non è propriamente legittimo chiamare il linguaggio corporeo “comunicazione corporea”, poiché non
sempre abbiamo padronanza di tanti segnali che partono dal nostro corpo; quindi non si può parlare di
intenzionalità. Tali segnali costituiscono però pur sempre un feedback alla comunicazione: quando
comunichiamo con qualcuno gli elementi della sua risposta possono anche essere a livello corporeo.
Conoscendo per lo meno i principi di base, si può cercare di simulare o dissimulare i segnali corporei,
in maniera da incidere con maggior chiarezza sull’interazione in corso (per esempio, con i segnali del
corpo si può caricare d’enfasi o svuotare d’importanza un messaggio, ma si può anche esprimere
imbarazzo o simpatia verso l’interlocutore, oppure disagio o serenità verso il contesto).
La pratica di questi segnali si può dire dissociata dalla loro conoscenza, in quanto, pur non conoscendo
la loro classificazione, nomenclatura e definizione, c’è chi li usa quotidianamente e li ha affinati
attraverso un lungo esercizio nelle relazioni umane. C’è anche però che ne fa un uso errato
Ecco qui elencata, rifacendosi al testo di V. Birkenbihl, una possibile suddivisione in 5 tipologie dei

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segnali del corpo.


         1.     L’ATTEGGIAMENTO: la postura e le sue modificazioni
         2.     LA MIMICA: segnali del volto
         3.     LA GESTUALITÀ: movimenti delle mani e delle braccia anche nell’eseguire azioni
         4.     LA DISTANZA: la gestione dello spazio intorno a sé e in relazione all’altro
         5.     IL TONO: tutti i tratti paralinguistici (velocità dell’eloquio, volume della voce, ritmo ed
                eventuali espressioni sonore prive di contenuto verbale come, ad esempio, riso e sospiri)




2.3.1 L’ATTEGGIAMENTO


Secondo V. Birkenbihl, la cosa più naturale, nelle situazione nelle quali sentiamo una qualche forma di
pericolo, è proteggersi le zone vitali e, anche se minimamente, prepararsi alla fuga. Ciò vuol dire che
colui che si sente perfettamente a proprio agio in una situazione non cerca barriere o difese alla
comunicazione, ed ha una posizione, perfettamente eretta.
Colui che ritiene di avere l’autorità per dominare completamente una situazione, può avere una
posizione leggermente inclinata e flessa sulla schiena. Nel caso opposto, avrà invece il capo e il corpo
chino in avanti. Ovviamente tutte queste posizioni possono non avere nulla a che fare con il reale stato
interiore; è importante però sapere che la maggior parte delle volte vengono interpretate così e che, e
poiché siamo anche noi, con la percezione che diamo l’uno all’altra, a condurre il gioco, è inutile
pregiudicarlo con errate proiezione di quello che siamo(se non rientra in una strategia determinata).
Una breve descrizione degli esempi:


Il primo atteggiamento sulla destra fa trasparire un atteggiamento sicuro, e dunque senza timori e che
tenderà a non porre difese tra le zone più vulnerabili del corpo e gli altri, cosa che invece accade
nell’atteggiamento di chiusura (secondo disegno).




La Comunicazione Interpersonale                     18
Fig 2     L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio
                          corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998


Nel primo disegno della seconda immagine, la persona può trasmettere presunzione di superiorità.
Nella seconda posizione si comunica un’apertura equilibrata verso gli altri (“nè sopra nè sotto di te”).
Infine, nell’ultimo disegno, viene espresso un atteggiamento di sottomissione.




2.3.2 MIMICA


Il volto può venire suddiviso in tre zone espressive:



                                                                                               Frontale

                                                                                               Mediana
                                                                                               Bocca

                  Fig 3     L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come interpretare il
                            linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998




La Comunicazione Interpersonale                                   19
2.3.2.1 FRONTE


Le pieghe orizzontali significano che l’attenzione è attratta da qualcosa mentre le pieghe verticali che ci
si sta concentrando su qualcosa.


2.3.2.2 LO SGUARDO


Non sempre una persona che non ci guarda non ci sta seguendo, ma è questa l’impressione che se ne
Riceve. Dunque per una buona conversazione, occorre guardare in direzione dell’interlocutore


2.3.2.3 I MOVIMENTI OCULARI


Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Senza esagerare, gli occhi sono spesso un buon
indice per sapere che tipo di zone del cervello sta utilizzando il nostro interlocutore, in quanto si
compiono dei movimenti automatici a livello oculare.
Ovvero se la persona:


    •   accede alla memoria visiva, dunque ricorda immagini, muove gli occhi in alto alla sua sinistra;
    •   crea immagini visive muove gli occhi in alto alla sua destra (e questo può voler dire che mente);
    •   accede a ricordi uditivi muove gli occhi alla sua sinistra;
    •   crea “immagini” sonore, muove gli occhi alla sua destra;
    •   se ha un dialogo interiore, muove gli occhi in basso alla sua sinistra;
    •   se pensa a sensazioni cinestetiche (sul toccare qualcosa), muove gli occhi in basso alla sua
        destra.


2.3.2.4 LA BOCCA


I segnali della bocca, in base alle pieghe, agli angoli, alla chiusura delle labbra, non solo sono molto
intuitivi, e generalmente riconoscibili (anche simulabili), ma in diretta connessione con zone cerebrali.
Per esempio, se assaggio qualcosa di amaro, meccanicamente le mie labbra assumeranno l’aspetto
definito “amaro” e quando proverò una sensazione interiore di amarezza anche le labbra assumeranno

La Comunicazione Interpersonale                      20
quell’aspetto. Questo mette in evidenza una tecnica di recitazione diffusa tra gli attori professionisti:
non si recita falsificando uno stato d’animo, ma indossandolo, ovvero evocando interiormente una
situazione vissuta che ha provocato quella sensazione.


2.3.3 LA GESTUALITÀ


E’ sufficiente sapere che, nella comunicazione, più grandi saranno le emozioni ed i sentimenti (gioia,
rabbia, dispiacere, insicurezza)coinvolti, più intensi e frequenti saranno i gesti


2.3.4 LA DISTANZA


La distanza fisica tra noi e gli altri comunica la distanza sociale e relazionale, in quanto in ogni cultura
è codificato l’uso dello spazio.
Ecco la codificazione dell’uso dello spazio nella cultura europea ed americana.




                                                                      Zona Pubblica
                                       Zona sociale


                                      Zona personale

                                           Zona
                                           intima




La Comunicazione Interpersonale                       21
2.3.4.1 ZONA INTIMA


È la zona più privata, nella quale facciamo entrare, e non sempre, solo chi gode della nostra piùintima
fiducia.
L’invasione di questa area produce un senso di lotta o di fuga, che, se non espresso, può dare origine a
fenomeni di stress.
Maggiore è l’autorità della persona, più grande sarà lo spazio di zona intima che le verrà riconosciuto.
Quando si è costretti a subire una momentanea invasione della nostra sfera intima (es. in bus,
ascensore), tendiamo a trattare gli altri come non persone (non li si guarda, non si parla loro). Se questo
momento di invasione è forzatamente prolungato si può provare a sentirci a proprio agio trasmettendo
messaggi che nulla hanno a che fare con il loro contenuto, ma piuttosto con il loro tono rassicurante.




2.3.4.2 ZONA PERSONALE


Nella sfera personale hanno accesso quelle persone che non sono dei semplici conoscenti, ma che non
sono neppure in un rapporto tale di confidenza con noi da avere accesso alla zona più intima.


2.3.4.3 ZONA SOCIALE


È la zona deputata allo scambio formale e ai contatti superficiali con conoscenti o colleghi di lavoro.




2.3.4.4 ZONA PUBBLICA


E’ tutta la zona visibile oltre alla zona sociale
Grazie ai nuovi media è possibile che la zona pubblica di una persona entri in quella personale di altre,
per cui le seconde si sentono di diritto rientrare nella zona personale dei primi (es. i divi televisivi).


L’invasione di una sfera nella quale non abbiamo diritto d’accesso, può pregiudicare le dinamiche della
comunicazione: anche se non ce ne rendiamo conto, spesso questa invasione può incidere
negativamente sulle decisioni dell’interlocutore.

La Comunicazione Interpersonale                       22
2.3.5 IL TONO


La congruenza fra tono e contenuto è determinante per l’efficacia del messaggio.
Spesso è più importante il tono, e non il contenuto, per mettere a proprio agio l’interlocutore, per
sedurre o per convincere.


        LA VELOCITÀ


La velocità dell’eloquio è un fattore importantissimo nel processo di comprensione. Purtroppo la
tendenza della velocità tra il pronunciare ciò che ci è noto e la necessità di ascoltare ciò che ci è nuovo
vanno in direzioni opposte.
Troppe volte si parla velocemente per i seguenti motivi:


            perché si conosce a memoria l’argomento;
            perché si preferisce mostrare piena conoscenza dell’argomento, ma non vogliamo che chi ci
            ascolta si soffermi su nessun termine in particolare;
            per non essere compresi anche se si dicono corbellerie.


Ecco perché invece avremmo bisogno di ascoltare qualcosa di nuovo pronunciato lentamente:


            perché ogni parola ha bisogno di essere contestualizzata per assumere il giusto significato;
            perché noi elaboriamo le informazioni mentre ascoltiamo, e spesso dobbiamo ricostruire
            parole incomplete;
            perché ci può essere una pessima acustica, per cui l’ascolto è veramente una ricostruzione
            minuziosa non solo di significati ma anche di significanti;
            per lasciare il tempo, le giuste pause, per fissare i concetti del discorso. Se tutto viene detto
            velocemente, anche l’enfasi, le pause, saranno più brevi e dunque meno percettibili.


Ecco uno schema delle velocità contrapposte:




La Comunicazione Interpersonale                      23
VELOCITÀ INFORMAZIONE NOTA

Una notizia a noi nota, e da noi già ripetuta, viene da noi pronunciata in modo relativamente più veloce.




                                   VELOCITÀ INFORMAZIONE IGNOTA


Una notizia ignota, per essere appresa, deve essere da noi pronunciata in modo relativamente più lento.




2.4     LA RISATA


E’ stato rilevato che la risata:


          esprime gioia
          può venire interpreta come disprezzo, sarcasmo, sfida o falsa.
          può far pensare a una “gioia maligna repressa”
          esprime meraviglia e sarcasmo
          può essere sintomo di “paura, spavento”




2.5     L’EFFETTO PIGMALIONE


La situazione comunicativa è influenzata dall’atteggiamento di entrambe le parti attraverso la
proiezione di quella che si ritiene possa essere la reale situazione comunicativa.




La Comunicazione Interpersonale                     24
Esempio: se io credo che il mio interlocutore sia falso, probabilmente diventerò anch’io meno sincero;
lui avvertirà la mia simulazione e lo sarà a sua volta, e io così avrò ulteriori segnali di conferma della
mia aspettativa iniziale.
Dunque, si deve provare a trasmettete fiducia e input positivi all’interlocutore: è molto più probabile
che a nostra volta possiamo ricevere sensazioni positive.




La Comunicazione Interpersonale                    25
COMUNICAZIONE INTERPERSONALE:


    IL COLLOQUIO DI SELEZIONE DEL PERSONALE
TECNICHE DI PREPARAZIONE AL COLLOQUIO DI LAVORO
             IL CURRICULUM VITAE
INDICE



    1. INTRODUZIONE


    2. IL COLLOQUIO DI SELEZIONE

            2.1 MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DEL COLLOQUIO
            2.2 POSSIBILI DOMANDE


    3. IL CURRICULUM VITAE


    4. LA LETTERA DI PRESENTAZIONE




La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae     2
1.        INTRODUZIONE


All’interno del vasto insieme chiamato comunicazione abbiamo fatto rientrare la comunicazione
interpersonale di cui consideriamo, a titolo esplicativo, il colloquio di selezione del personale,
costituito sia da elementi rientranti all'interno della comunicazione verbale sia da elementi che sono
considerati afferenti ad un tipo di comunicazione non verbale.



                                                                                   COMUNICAZIONE




                                                                                      COMUNICAZIONE
                                                                                      INTERPERSONALE




     COMUNICAZIONE
        VERBALE                                      COMUNICAZIONE
                                                      NON VERBALE



                                COLLOQUIO DI
                                 SELEZIONE




In questo evento comunicativo, ovvero il colloquio di selezione, emittente e ricevente sono di volta in
volta il selezionatore e il candidato; il contesto è la selezione del personale.
Consideriamo una semplificazione del tipo di comunicazione verbale che intrattengono l’addetto alla
selezione e il candidato:




La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae     3
EMITTENTE               →       SELEZIONATORE che fa una domanda


        RICEVENTE               →       CANDIDATO che ascolta e si prepara a rispondere


        EMITTENTE               →       CANDIDATO che risponde alla domanda


        RICEVENTE               →                  SELEZIONATORE che ascolta e valuta la risposta


Naturalmente entrano a pieno titolo a far parte del colloquio anche l’insieme degli aspetti non verbali
che sottendono alla comunicazione.
Ogni comportamento umano che si verifica all’interno di un contesto interattivo implica una forma di
comunicazione.
Ogni comportamento costituisce perciò un veicolo di informazioni, per cui è possibile considerare
inesistente la variabile “non comunicazione” anche in presenza di un tipo di comunicazione non
intenzionale o inconsapevole delle singoli componenti del processo comunicativo. Sembra, inoltre, non
paradossale ritenere che perfino i silenzi siano talvolta molto eloquenti.
Entrambi gli interlocutori ricoprono il ruolo di emittente e ricevente in quanto nel colloquio
comunicano sia verbalmente sia non verbalmente qualcosa all’altro e reagiscono di conseguenza.




Scopo della comunicazione nel colloquio di selezione:


                                             Valutare se il candidato è idoneo all’incarico da
                                             ricoprire.
                                             Raccogliere       informazioni       sul      candidato
                                             (supplementari rispetto a quelle contenute nel
               Selezionatore                 curriculum vitae e nella lettera di presentazione) così
                                             da formulare un giudizio il più possibile
                                             circostanziato.
                                             Presentare al candidato l’azienda, fornendo
                                             informazioni, sulle condizioni e sul tipo di lavoro che
                                             dovrà svolgere, sulle prospettive di crescita interne
                                             all’azienda, sull’organizzazione nel suo complesso,
                                             sul clima, la cultura ed il modo di operare
                                             dell’organizzazione


La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae        4
Valutare se si è disposti a ricoprire l’incarico
                 Candidato                    professionale in questione (se si confà alle proprie
                                              aspettative professionali, se è interessante, se ci si
                                              sente motivati a svolgere tale mansione lavorativa,
                                              ecc.)




Il colloquio di selezione altro non è che una conversazione condotta in maniera sistematica, cioè con
metodo: si tratta di un’intervista tra due persone che ha lo scopo di permettere ad entrambe di
apprendere e valutare qualcosa sull’altra.
Il colloquio di lavoro va inteso come promozione: l’obiettivo di ogni candidato è l’assunzione, che
concretizza la volontà dei contraenti (azienda-soggetto), i quali riconoscono la reciproca convenienza
nell’allacciare stabilmente un rapporto di lavoro.
Per cui occorre saper cogliere l’occasione di valorizzare (vendere) le proprie capacità, ma anche di
essere pronti a valutare le opportunità di carriera e di crescita professionale che il datore propone.
Anche il colloquio di lavoro è dunque una forma di vendita, nel quale si è insieme il prodotto ed il
venditore. Quindi, occorre sapersi presentare al colloquio di selezione nel modo più conveniente.
Per meglio “confezionare” il colloquio di selezione occorre:


        preventivamente autovalutarsi;
        raccogliere preventivamente informazioni sul potenziale datore di lavoro;
        informarsi sul luogo e sull’orario di lavoro;
        organizzare bene il proprio tempo ed arrivare puntuali;
        saper raccontare, avendolo memorizzato perfettamente, il proprio curriculum vitae;
        sapere ascoltare con attenzione le domande che vengono poste;
        dare sempre del lei all’interlocutore anche se è più giovane;
        non confondersi dando risposte precipitose;
        mostrarsi interessati;
        chiedere spiegazioni;
        essere chiari e concisi nelle esternazioni;
        essere decisi ma non supponenti;
        non esporsi ad un tono confidenziale;

La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae      5
non interrompere l’interlocutore né parlargli in continuazione, bensì lasciare che si sviluppi un
        dialogo equilibrato e senza interferenze;


Sappiamo che tutto il corpo comunica: perciò, sia attraverso la comunicazione non verbale (posturale)
che con l’abbigliamento, si possono trasmettere sensazioni di affidabilità e serietà.
A tal proposito, durante un colloquio di selezione, occorre:


        Guardare in faccia chi ti parla. Non guardarsi intorno e non abbassare lo sguardo
        continuamente; adottare un comportamento trasparente.
        Sorridere, ma, soprattutto, comunicare con il corpo apertura e disponibilità. Niente braccia
        conserte o pugni serrati; occorre escludere atteggiamenti di chiusura.
        Assumere una postura corretta, diritti e rilassati sulla sedia. Non mettersi a giocherellare con
        capelli o effetti personali, o tormentarsi le mani.
        Non avere fretta e non guardare l’orologio in continuazione. Consentire all’interlocutore di
        scandire il tempo.
        Assumere un atteggiamento di collaborazione. Occorre dimostrare la capacità di inserirsi in
        un’organizzazione complessa e competitiva qual è un’azienda.
        Manifestare interesse per l’incarico che si vorrebbe ci fosse assegnato.
        Evitare di dichiarare la disponibilità a fare “qualsiasi cosa”.


Riguardo al “come abbigliarsi” esiste una quantità infinita di pubblicazioni; ci limiteremo qui a fare
brevissime considerazioni:


    •   per le donne va evitato il casual eccessivo, accessori colori e trucco vistosi, ma anche
        l’insidioso effetto kitsch, che si ottiene indossando abiti inadeguati alla propria età, alla propria
        specificità lavorativa ed insieme al proprio stile naturale. Occorre evitare, nel modo più
        assoluto, di voler sembrare diversi da quello che si è.
    •   Anche per gli uomini si deve anzitutto rispettare e rafforzare l’immagine di credibilità che si
        vuole trasmettere.




La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae     6
Le più frequenti reazioni emotive al colloquio:


    1. L’ansia. L’ansia è generata dalla paura di perdere un’occasione importante e, forse, irripetibile.
        Consigli contro l’ansia non c’è ne sono: tenetevela, vi servirà da stimolo e vi passerà a mano a
        mano che il colloquio procede. Dovete però controllare quei nervosismi gestuali che sono
        espressione visibile della vostra ansia (ticchettio della mano sul tavolo, arrotolamento della
        cravatta, ravviarsi i capelli, etc).
    2. La seduzione. La seduzione è un modo inconscio che ha come scopo quello di suscitare
        l’attrazione e la benevolenza dell’intervistatore. Benché si attribuisca principalmente alle donne,
        questo tipo di meccanismo è comune anche negli uomini. Cercata di farne buon uso, perché se
        usata con discrezione può favorire la comunicazione. Non eccedete in atteggiamenti
        reverenziali.
    3. L’aggressività. A volte la timidezza fa brutti scherzi e proteste fare l’errore di mostrarvi troppo
        sicuri di voi stessi fino a risultare boriosi. Attenzione a non eccedere o a dire cose non vere.
        L’aggressività può essere indice di difficoltà a sostenere situazioni critiche che invece
        richiedono calma, riflessività e serenità.
    4. Il blocco emotivo. Il blocco emotivo vi può venire per moltissime ragioni, soprattutto se tenete
        molto a quel posto. Quello che è importante è vivere il colloquio non come una questione di vita
        o di morte, ma come un’opportunità fra tante. Se non è con questo colloquio sarà con il
        prossimo che troverete la vostra collocazione lavorativa.
    5. La noia. Se siete al vostro ottantesimo colloquio di lavoro potete rischiarlo di condurlo senza
        interesse e senza determinazione. Anche se non ci credete più, l’opportunità statistica di trovare
        il lavoro non dipende solo dal numero dei colloqui, ma anche, e soprattutto, dalla qualità degli
        stessi. Mostrate quindi la stessa freschezza e lo stesso entusiasmo del primo colloquio in quello
        che potrebbe essere l’ultimo.




Se vogliamo concentrare adesso la nostra attenzione sugli obiettivi del colloquio di selezione dal punto
di vista del selezionatore, dobbiamo necessariamente allargare la voce scopo della comunicazione, sino
a comprenderne almeno quattro:


    •   accertare che il candidato possieda i requisiti richiesti dalla mansione

La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae     7
•   fornire al candidato i dati sull’azienda e la posizione offerta
    •   controllare validità ed attendibilità delle informazioni già disponibili sul candidato
    •   creare nel candidato una buona impressione dell’azienda


Il colloquio di selezione può, quindi, essere considerato un’intervista, guidata dal selezionatore, volta a
testare una persona che si presenta, in qualità di candidato, per ricoprire un dato incarico lavorativo.
Esso può avvenire in risposta ad una domanda o ad un’offerta di lavoro, noti tramite un pubblico
annuncio o una lettera privata.
Durante il colloquio di lavoro l’esaminatore può utilizzare diverse tipologie comportamentali,
adottando diversi stili di conduzione dell’intervista:
        •   Seduttivo.
            Il conduttore sembra affrontare il colloquio come se fosse un tentativo di conoscenza non
            finalizzato alla selezione vera e propria. È molto accomodante, assertivo, fa spesso
            complimenti al candidato. Attenzione a non esserne complice!
        •   Provocatorio.
            Il conduttore risulta molto freddo e pone domande dirette; sembra che apertamente voglia
            provocare il soggetto, contestando quello che dice o ponendo domane di tipo provocatorio
            sui contenuti, senza cercare mai di mettere a proprio agio il candidato. Attenzione a
            controllare bene l’emotività!
        •   Paterno.
            Il conduttore tenta di mettere a suo agio il candidato, cercando di presentarsi con un’area
            benevola e paterna. Il candidato, in questo clima, potrebbe sentirsi libero di dire ciò che
            vuole senza paura di essere giudicato. Attenzione: ricordarsi sempre che si è in un colloquio
            di selezione e alla fine viene emesso un giudizio!
        •   Professionale.
            Il conduttore, in modo calmo e tranquillo, pone domande che mirano ad ottenere
            informazioni sul soggetto, senza però creargli ansia e cercando comunque un clima
            facilitante per il proseguimento del colloquio. Attenzione: occorre sempre mantenere alta la
            soglia di attenzione!




La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae     8
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Tecniche di comunicazione

  • 1. Facoltà di Agraria Università di Pisa Corso di Laurea di I livello “Gestione del verde urbano e del paesaggio” Insegnamento di “Tecniche di comunicazione” Dispensa di approfondimento Anno Accademico 2003/2004 Docente Dott.ssa Patrizia Mariani
  • 2. Presentazione Perché un insegnamento di “Tecniche di comunicazione” in Facoltà di Agraria? La risposta è semplice: l’avere padronanza di saperi e competenze comunicative rappresenta una delle tante sfide della “nuova Università”. Essere capaci di comunicare, in forma scritta ed orale, significa esprimersi con chiarezza, capacità di analisi e di sintesi, presentarsi in una forma accattivante e stimolante, evitare incomprensioni, creare l’impatto adeguato alle proprie espressioni. E lo Studente di Agraria DEVE essere in grado, nel suo percorso accademico (per affrontare con sicurezza un esame spesso occorre saper coniugare una solida preparazione tecnica e scientifica con una adeguata capacità di esposizione) e poi al momento dell’inserimento nel mercato del lavoro di disporre di opportuni ed efficaci strumenti di comunicazione. E’ in tale spirito che si colloca il presente testo: si tratta di appunti preparati dalla Dottoressa Patrizia Mariani, apprezzata professionista e Docente a contratto dell’Insegnamento di “Tecniche di comunicazione” del Corso di Laurea in Gestione del verde urbano e del paesaggio della Facoltà di Agraria di Pisa: si tratta di uno strumento prezioso per iniziare l’esplorazione di questa importante disciplina, scritto in forma chiara e ricco di esempi. Sono certo che gli Studenti apprezzeranno lo sforzo, così come hanno gradito l’impostazione con la quale la Docente ha dato vita alle lezioni accademiche. Prof. Giacomo Lorenzini Presidente del CdL Gestione del verde urbano e del paesaggio Università di Pisa
  • 3. DISPENSA DI APPROFONDIMENTO Dispensa 1: Gli elementi della comunicazione Dispensa 2: La comunicazione interpersonale Dispensa 3: La comunicazione interpersonale: • Il colloquio di selezione del personale • Tecniche di preparazione al colloquio di lavoro • Il curriculum vitae Dispensa 4: La comunicazione nelle Organizzazioni Dispensa 5: La società dell’informazione: concetti, prospettive, problematiche
  • 4. GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE
  • 5. INDICE 1. LA DINAMICA DELLA COMUNICAZIONE 2. COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO 3. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA COMUNICAZIONE UMANA 3.1 EMITTENTE 3.2 RICEVENTE 3.3 CANALE 3.4 CODICE 3.5 CODIFICA E DECODIFICA 3.6 FEEDBACK 3.7 CONTESTO 3.8 MESSAGGIO 4. I MODELLI TEORICI DELLA COMUNICAZIONE 4.1 IL MODELLO TRADIZIONALE O LINEARE 4.2 IL MODELLO INTERATTIVO 4.3 IL MODELLO DIALOGICO Gli elementi della comunicazione 2
  • 6. 1 LA DINAMICA DELLA COMUNICAZIONE La comunicazione è un elemento essenziale di molti aspetti della nostra esperienza quotidiana ed avviene in ogni ambito dei rapporti tra le persone, sia fra due individui sia a livello di gruppi. La comunicazione ha molti scopi; generalmente ogni interazione comunicativa ha una combinazione di scopi e può produrre una combinazione di risultati. Scopi della comunicazione interpersonale: IMPARARE Acquisire conoscenze su se stessi, gli altri ed il mondo; apprendere abilità RELAZIONARSI Stabilire, mantenere e migliorare le relazioni interpersonali INFLUENZARE Controllare, manipolare, persuadere e dirigere GIOCARE Evadere, rilassarsi e divertirsi AIUTARE Consolare, provvedere ai bisogni altrui e essere di sostegno La comunicazione umana può essere descritta in modo schematico come un’interazione dinamica fra un emittente di un messaggio ed un ricevente, mediata da alcuni passaggi che vanno dalla codifica del messaggio alla scelta del canale di trasmissione da parte dell’emittente, alla decodifica del messaggio ricevuto da parte del ricevente, alla sua interpretazione, alla ricodifica in termini di risposta e rinvio al destinatario, il tutto seguendo la logica grafica espressa dalla figura sotto riportata. Gli elementi della comunicazione 3
  • 7. MESSAGGIO Codifica Decodifica EMITTENTE Interpretazione Interpretazione RICEVENTE Decodifica Codifica FEEDBACK La forma ovale che racchiude l’intero processo sta ad intendere lo stretto legame interattivo che si viene a determinare fra emittente e ricevente: la relazione sociale. I processi vanno intesi in senso sincronico, in quanto fra chi parla e chi ascolta i ruoli sono continuamente riscritti e nulla garantisce che il processo segua una logica lineare. Il messaggio è inizialmente l’idea, la visione della realtà che abbiamo dentro la nostra testa e che intendiamo comunicare e condividere con gli altri con finalità lavorative o puramente affettive; la codifica è la trasformazione dell’idea in segni convenzionalmente riconosciuti, ossia i codici di comunicazione, che consentono al messaggio di strutturarsi in termini espressivi comprensibili ai diversi soggetti coinvolti nella comunicazione. Il codice più conosciuto è sicuramente quello linguistico. Esso attiene alla capacità che le persone hanno di saper produrre e saper interpretare il linguaggio verbale parlato, cui si unisce un’abilità non verbale non secondaria, la paralinguistica, che attiene ad un saper produrre e un saper interpretare in modo efficace ed adeguato tutti gli elementi del linguaggio che concorrono a modellarlo in un senso o in un altro, sia esso positivo o negativo; ne sono un esempio l’enfasi data ad alcune parole o frasi, l’uso delle esclamazioni e delle pause, che insieme danno colore e senso alla comunicazione verbale. Paralinguistica Modalità di emissione vocale come il tono, il timbro, l’altezza ed il ritmo della voce. Gli elementi della comunicazione 4
  • 8. Cinesica Espressioni del corpo come movimenti, gesti, posizioni ed espressioni del volto, intesi come mezzi di comunicazione Prossemica Studio dei contenuti comunicativi delle relazioni spaziali fra le persone in diverse situazioni sociali. Accanto alle abilità linguistiche e paralinguistiche troviamo i codici di comunicazione non verbale, che svolgono la stessa funzione della paralinguistica, ossia concorrono a modellare il contenuto di senso della comunicazione e, in alcuni casi, a sostituirsi interamente alla stessa comunicazione verbale. Siamo nel campo della cinesica e della prossemica. La prima attiene alla capacità di comunicare tramite la mimica del volto, l’uso dello sguardo, il movimento del corpo, i gesti delle mani, ecc.; la seconda attiene alle regole che governano la distanza fisica da tenere fra le persone, il contatto corporeo, ecc. Queste abilità, seppur diversamente codificate da cultura a cultura (anche all’interno di una stessa società), si possono ritenere patrimonio di tutti gli individui, anche se sono usate con diverso grado di competenza e di consapevolezza da parte delle singole persone. Se a tali elementi sommiamo altre competenze comunicative, quali la performativa, ossia la capacità di usare intenzionalmente per determinati scopi gli strumenti della comunicazione verbale e non verbale, la pragmatica, ossia la capacità di usare la comunicazione verbale e non verbale in modo adeguato agli scopi e alla situazione, la socioculturale, intesa come capacità di rapportarsi correttamente ai ruoli e alle situazioni sociali, ci rendiamo conto della complessità del processo comunicativo umano, e dell’importanza che riveste nella vita di ogni giorno. Padroneggiare tali strumenti significa comunicare secondo una intenzionalità di senso strutturato a nostro vantaggio. Il mondo non è una realtà oggettiva che sta di fronte a noi, ma è qualcosa che costruiamo quotidianamente insieme agli altri attraverso un processo simbolico e comunicativo che ci conduce verso una possibile condivisione dei significati sugli oggetti, sui fatti e sugli eventi. Ciò, oltre a creare un’interazione relazionale forte e positiva, consente anche di lavorare meglio insieme agli altri in un percorso ed in un progetto di cambiamento continuo della realtà e di noi stessi. Gli elementi della comunicazione 5
  • 9. Per avere comunicazione occorre una condivisione da parte dell’emittente e del ricevente dello stesso significato attribuito alle situazioni sociali, ai fatti, agli eventi e alle condizioni relazionali oggetto della comunicazione. Nella comunicazione interpersonale è relativamente più facile cercare di instaurare e conservare tale forma di relazione con l’altro; l’interazione faccia a faccia consente di monitorare costantemente gli elementi della comunicazione verbale e non verbale, messaggi e feedback, delle persone in modo tale da mantenere un efficace scambio comunicativo con gli altri. Nella comunicazione di massa ciò è più difficile in quanto i feedback sono indiretti, deduttivi ed eterogenei. Il feedback è l’informazione che torna all’emittente a seguito della sua azione comunicativa. Esso è originato dal ricevente; la sua funzione è di informare l’emittente del senso e del significato, appreso e condiviso dal ricevente, dell’idea inizialmente comunicata. Il feedback può tornare all’emittente utilizzando gli stessi canali di codifica attraverso cui si è strutturato il messaggio iniziale, può fare uso dei medesimi codici di comunicazione come quelli orali, grafici, sonori, ecc., può essere immediato come nella comunicazione faccia a faccia o seguire tempi di risposta diversi. L’articolazione dei messaggi e dei feedback può essere più o meno dinamica e dialettica fra le persone. Quanto maggiore sarà l’alternanza fra messaggi e feedback, tanto maggiore sarà la possibilità di giungere ad una condivisione, fra due o più soggetti, dei medesimi significati sugli oggetti, sulle relazioni e sulle diverse situazioni della vita quotidiana. La comunicazione, pertanto, connota, caratterizza e struttura i rapporti con le altre persone e con la realtà circostante. Ogni forma d’interazione è un’azione comunicativa rivolta ad altre persone, che modella il mondo sociale e lo modifica, dando direzione progettuale all’intera azione umana. 2. COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO Il linguaggio, il mezzo attraverso cui si interagisce con le altre persone trasmettendo informazioni, sensazioni, stati d’animo ed emozioni, è oggetto di studio di antica tradizione nelle scienze umane, in particolare della filosofia. Fin dalla classicità greca l’attenzione è stata prestata al linguaggio inteso come strumento attraverso cui avviene il processo comunicativo. La stessa comunicazione, infatti, si struttura in linguaggio, intendendo quest’ultimo quale medium o codice, o un insieme di codici verbali e non verbali, che consente di trasmettere informazione, di conservarla nel tempo e nello spazio e di rielaborarla. Gli elementi della comunicazione 6
  • 10. Linguaggio Facoltà umana di esprimere e comunicare conoscenze, pensieri, bisogni e sentimenti attraverso l’uso di segni e simboli. Il linguaggio è un insieme di segni verbali e non verbali che costituisce il veicolo principale della comunicazione umana. Esso consente la trasmissione di significati tra uomo e uomo, in quanto, attraverso tale facoltà, si esprimono conoscenze, sentimenti, bisogni e pensieri. Il linguaggio verbale è il principale strumento della comunicazione umana ed è sostanzialmente fonetico/auditivo, ma si avvale anche di una componente visiva necessaria sia per l’ambito mimico/gestuale dell’interazione comunicativa umana sia per la scrittura. Il linguaggio può essere spontaneo, come per gli animali, oppure convenzionale. In questo ultimo caso il linguaggio in senso stretto deve essere inteso come specifica facoltà umana di usare segni per esprimere, comunicare e condividere con le altre persone sensazioni, conoscenze e sentimenti. La comunicazione è un’esperienza intersoggettiva di vitale importanza per l’uomo, diventata oggetto di studio autonomo delle scienze del comportamento, quali la sociologia, la psicologia, l’antropologia, solo nel corso del novecento. Tale rilevanza, registratasi in modo crescente nel corso del ventesimo secolo, ha coinciso, da un lato, con l’aumento quantitativo delle informazioni che circolano all’interno della società, dall’altro con la riduzione qualitativa degli scambi comunicativi fra le persone. La comunicazione svolge funzioni di integrazione sia per i sistemi micro-relazionali (famiglia, lavoro, gruppi informali e gruppi amicali, ecc.), sia per il sistema sociale nel suo complesso. La comunicazione interpersonale si propone nei termini di una dinamica interattiva fra le persone in grado di rispondere a tutta una serie di bisogni umani: bisogni di tipo fisico, bisogni di identità, bisogni sociali, bisogni di tipo pratico o strumentale. La presenza o l’assenza di comunicazione può determinare, nelle persone, l’insorgenza di situazioni di vera e propria sofferenza fisica, di malattie e anche di morte prematura. Attraverso la comunicazione si definisce il senso di identità degli individui, si impara a riconoscersi sulla base delle interazioni che si hanno con gli altri, e soprattutto con gli “altri significativi” quali genitori, amici e persone per noi importanti. La comunicazione soddisfa i bisogni di appartenenza delle persone ad un gruppo, una comunità, una famiglia, una nazione, ecc., determinando il grado e la dimensione dei coinvolgimenti emotivi, affettivi, relazionali di ciascuno e le azioni sociali conseguenti. Infine la comunicazione soddisfa bisogni di tipo pratico o strumentale, consentendo lo svolgimento di una ordinata vita sociale. Gli elementi della comunicazione 7
  • 11. Le dinamiche comunicative si sviluppano fra le persone nei diversi contesti organizzativi e relazionali: famiglia, scuola, azienda, organizzazioni sociali in generale, società nel suo complesso, piccoli gruppi informali, organizzati, istituzionali, lavorativi, ludici. L’indagine psico-sociale investe sia i sistemi di comunicazione verbale, quelli che si basano sull’uso dei linguaggi naturali, sia i sistemi di comunicazione non verbale, costituiti dai gesti delle mani, dai movimenti e dalle posture del corpo, dalle espressioni del viso, ecc. Comunicazione di massa Processi di comunicazione diffusi dai mass media e rivolti ad un numero di destinatari indifferenziati e potenzialmente illimitati. A seguito dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa i sistemi di comunicazione iconica hanno accresciuto la loro portata simbolica e strutturante per l’esperienza intersoggettiva e per l’organizzazione della vita sociale. Nonostante ciò, i sistemi di comunicazione verbale restano di gran lunga più importanti nel determinare i processi, le dinamiche e gli esiti delle interazioni significanti fra le persone e le istituzioni. Comunicazione interpersonale Processo di comunicazione verbale e non verbale tra due o più persona compresenti o mediata da telefono o computer. La comunicazione interpersonale va analizzata come esperienza di vitale importanza per l’esistenza e l’integrazione dei sistemi psico-sociali individuali (le persone in quanto tali) e per le organizzazioni relazionali nel loro complesso, sia informali sia istituzionali. Un’ulteriore conferma di ciò ci viene dalla pragmatica della comunicazione umana e dal suo intendere la relazione come interazione sistemica. L’approccio proposto indaga prevalentemente i processi e le dinamiche della comunicazione interpersonale, soprattutto riguardo alle interazioni faccia a faccia, senza ignorare, per estensione, la dimensione della comunicazione mediata e di massa. La scelta parte dalla consapevolezza dell’importanza della dimensione classica ed elementare della comunicazione, intesa come scambio di segni e simboli significanti fra due o più persone in relazione fra loro allo scopo di realizzare una condizione di interazione compartecipata di senso e di significato. Tale dimensione relazionale resta il fondamento strutturale indispensabile per analizzare ogni tipo di azione comunicativa, anche quella Gli elementi della comunicazione 8
  • 12. mediata dall’uso dei mass media (stampa, radio, televisione) o impostasi dall’introduzione delle nuove forme di relazionalità comunicativa proprie dell’attuale epoca della rivoluzione elettronica e telematica. Mass media Strumenti tecnologici che hanno determinato l’estensione della comunicazione su larga scala, riducendo od annullando la dimensione spazio temporale. Gli elementi della comunicazione 9
  • 13. 3. ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA COMUNICAZIONE UMANA 3.1 EMITTENTE L’emittente, o fonte, è il soggetto, l'oggetto, il gruppo o l’istituzione che emette il messaggio, dando avvio all’azione comunicativa. L’emittente produce un messaggio che rende manifesto ad altri conoscenze, pensieri, bisogni o sentimenti. Tale azione si struttura intorno ad un contenuto informativo rivolto ad altri individui. Alcuni studiosi associano una forma di intenzionalità all'emittente, escludendo dunque la possibilità che esso possa essere un oggetto, e lo definiscono come una persona che ha un obiettivo, una ragione per entrare in comunicazione. Sottolineare l'elemento dell'emittente all'interno del processo comunicativo, significa quasi inevitabilmente pensare alla comunicazione come a un processo lineare, dove un soggetto produce un messaggio e lo invia verso il ricevente che ne subirà l'effetto. È ciò che viene suggerito da alcuni dei più classici schemi di lettura della comunicazione, come quello di Laswell, quello di Shannon & Weaver, e anche dal più antico approccio allo studio della comunicazione, ovvero la retorica, l'arte del persuadere. LASWELL Alcuni affermano che il moderno studio della comunicazione sia nato quando Laswell ha coniato una descrizione dell'atto comunicativo basata sulle seguenti domande: • chi? • dice cosa? • a chi? • attraverso quale canale? • con quale scopo? Questo modo di leggere la comunicazione è solo apparentemente banale: in realtà riflette l'idea che un emittente strategico e avveduto possa disegnare e strutturare un messaggio a cui il ricevente non può "resistere". E' un approccio non equilibrato dal lato del ricevente. Le riflessioni di Laswell sono infatti datate poco dopo la fine della II Guerra Mondiale, e rispondono alle preoccupazioni create dall'effetto che i mass media avevano avuto nella crescita dei regimi dittatoriali della prima metà del novecento. Il rischio principale individuato da Laswell si concretizzava nel pericolo che una fonte autorevole potesse, attraverso la comunicazione, "mettere" idee o opinioni direttamente nella mente di un gran numero di persone acritiche e passive. Gli elementi della comunicazione 10
  • 14. SHANNON & WEAVER - La teoria dell'informazione Più o meno negli stessi anni in cui Laswell pubblicava i suoi studi, nei laboratori della Bell Telephone Laboratories, alcuni ricercatori cercavano di comprendere come si potesse aumentare l'efficienza e la fedeltà della trasmissione del messaggio telefonico. La loro attenzione era rivolta a focalizzare l'efficienza e l'efficacia della trasmissione di un messaggio attraverso un canale, senza attenzione al contenuto del messaggio stesso. Da questi studi ha tratto origine il fortunato schema della comunicazione di Shannon e Weaver (1949), che ancora oggi rappresenta il più utilizzato punto di partenza degli studi in questo campo. E cod messaggio dec R rumore Rumore è qualsiasi cosa di involontario che disturbi la decodifica di un messaggio. Il rumore si può manifestare sia a livello tecnico (i disturbi nella ricezione di una stazione radio, ad esempio) sia a livello semantico, come distorsione del significato del messaggio dovuta a differenze o incompatibilità di codici linguistici, culturali, psicologici, ecc. LA TRADIZIONE RETORICA La retorica è la più antica forma di studio della comunicazione. Fino dall’antichità l'uomo è stato affascinato dalle grandi capacità comunicative che alcuni individui utilizzavano per ottenere degli effetti persuasivi su di un pubblico di ascoltatori. Più di 2000 anni fa, in Grecia, il parlare in pubblico era diventata un'attività molto importante sia per la partecipazione dei cittadini alla vita della polis, sia per curare i proprio interessi. L'arte della retorica veniva studiata, analizzata e trasmessa alle nuove generazioni. Uno dei documenti più importanti giunto fino a noi è il trattato "La retorica" (4 secolo a.C.), in cui Aristotele studia le tattiche che colui che parla utilizza per influenzare i pensieri, le idee e il comportamento di coloro che ascoltano (gli altri cittadini). Aristotele era guidato dal desiderio di conoscere i principi di una comunicazione efficace, in modo da poter distinguere i "cattivi" dai "buoni" comunicatori. Gli elementi della comunicazione 11
  • 15. Il compito dell’emittente non si esaurisce con il processo di codifica del messaggio, ma prosegue nell’individuazione del o dei destinatari del messaggio, nella scelta degli strumenti adatti a comunicare determinati contenuti informativi e nell’accertamento che il ricevente abbia i mezzi (culturali, tecnici o tecnologici) necessari alla decodifica del messaggio ricevuto. Se l’emittente e il ricevente usano gli stessi codici e gli stessi canali, è probabile che il messaggio ricevuto e interpretato sia coerente con quanto intenzionalmente inviato dall’emittente. 3.2 RICEVENTE E' il soggetto o l'oggetto che riceve il messaggio. Anche nella situazione comunicativamente più estrema, quando un solo soggetto parla e l'altro ascolta (come può essere a volte una conversazione professore-alunno),il ricevente non è mai solamente passivo (come era considerato dai primi modelli descrittivi dei processi comunicativi); in realtà, nella dinamica dell’azione comunicativa, il ricevente è allo stesso tempo destinatario ed emittente. Il ricevente, infatti, è il destinatario dell’azione comunicativa, ma è anche emittente di un messaggio di ritorno (il feedback), che informa l’emittente se il messaggio inviato è arrivato e, in molti casi, se è stato compreso in maniera corretta. Feedback Possibilità di controllo del processo di comunicazione da parte degli attori coinvolti Krippendorf ha focalizzato la sua attenzione sull’importanza del ricevente, o meglio della "comprensione" da parte del ricevente, all'interno dell'atto comunicativo. Partendo dalla considerazione che il significato di ogni messaggio viene interpretato da parte del ricevente sulla base del proprio sistema cognitivo, Krippendorf sostiene che l'elemento centrale della comunicazione è proprio il modo in cui il ricevente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una certa misura imprevedibile ed incontrollabile. Gli elementi della comunicazione 12
  • 16. SCHRAMM Schramm ha sottolineato come coloro che comunicano simultaneamente inviano e ricevono messaggi. Mentre uno dei due comunicatori sta parlando, l'altro ascolta. Il modo in cui quest'ultimo ascolta, attraverso il feedback, invia informazioni a chi sta parlando. Riconoscere l'aspetto interattivo di ogni comunicazione "reale" contraddice una visione lineare della comunicazione. codifica decodifica 1 2 decodifica codifica Le persone, per Schramm, rispondono ai messaggi che ricevono sulla base della loro personalità, delle loro appartenenze di gruppo, e della situazione in cui avviene la comunicazione. Dunque ogni comunicazione è l'incontro di due "repertori" (quello che sappiamo e che siamo, ovvero l'insieme delle conoscenze, informazioni, convinzioni, stati d'animo, studi, esperienze e tutto quello che compone la nostra identità individuale e sociale). Ogni comunicazione riuscita, dunque, produce una "sovrapposizione", più o meno ampia, dei repertori dei due comunicanti. 3.3 CANALE E' il mezzo attraverso cui l'emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottiene, il messaggio. Alcuni studiosi lo definiscono come "il veicolo di natura fisica, sollecitato da un tramite fisiologico o tecnologico, che costituisce il mezzo attraverso il quale i messaggi sono trasmessi nella sfera sociale". Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (principalmente udito e vista), sia come il mezzo tecnico esterno al soggetto con cui il messaggio arriva (telefono, fax, posta ecc.). Ogni canalizzazione di un messaggio produce necessariamente una "riduzione di complessità". Quando comunichiamo, nella nostra mente possediamo un messaggio complesso, dotato di molte sfaccettature e molti livelli di significato; riversando questo messaggio all'esterno siamo costretti a veicolarlo attraverso un codice, a "semplificarlo", in modo che possa passare attraverso un canale. Gli elementi della comunicazione 13
  • 17. MARSHALL McLUHAN Parlando di canale non si può non citare la celebre frase di Marshall McLuhan, "medium is the message". Il mezzo attraverso cui arriva una comunicazione sarebbe esso stesso il messaggio. Questa osservazione suggerisce come i diversi tipi di canale si differenziano non solo sulla base dei contenuti che veicolano, ma anche sulla base del modo in cui risvegliano o alterano i pensieri e i sensi del ricevente. Il processo percettivo che una persona attiva di fronte a un libro (canale visivo), o ascoltando la radio (canale uditivo), o di fronte a uno spettacolo televisivo (entrambi), è molto diverso da quello che una persona attiva quando assiste,per esempio, ad una lezione universitaria, dove sono stimolati contemporaneamente la vista, l'udito, e tutti gli altri sensi attivi nella comunicazione interpersonale. Ci sono dunque almeno tre modi di intendere il concetto di canale: 1. come mezzo di comunicazione utilizzato; 2. come processo percettivo interessato dal segnale; 3. come "messaggio", ovvero come un insieme di processi percettivi che ogni canale stimola in modo diverso, i quali influenzano il contenuto del messaggio co- determinandone il significato. Canale Supporto fisico, materiale o veicolo attraverso cui un messaggio è inviato da un emittente ad un ricevente. I canali comunicativi sono visivi, uditivi, cinesici (relativi ai movimenti del corpo, ossia mimico- gestuali), olfattivi. L’elencazione appena effettuata descrive i canali non verbali. La dimensione verbale si esprime attraverso la scrittura e l’apparato vocale. C’è poi tutta la gamma degli strumenti tecnologici ed informatici; fanno parte di questo ambito gli apparecchi telefonici, il computer, ecc. E’ difficile elencare tutti i mezzi comunicativi, dato che le definizioni spaziano dalla estrema generalità fisico- ambientale (ad esempio l’aria come canale di trasmissione di segnali sonori) fino ai mezzi informatici. Gli elementi della comunicazione 14
  • 18. 3.4 CODICE Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare. I significati, ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo all'interno della nostra mente. Per poter uscire all'esterno devono essere codificati, ovvero tradotti in suoni, gesti, segni, che possiedano un significato condiviso. Il codice più importante per la comunicazione umana è quello linguistico, costituito da segni (le lettere dell’alfabeto) combinati secondo delle regole (la sintassi). Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni dei significati (ed è la società che ci porta a conoscere questi codici insegnandoceli fin dai primi giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o quasi nulla. L'uomo dispone di una complessa serie di codici di cui può fare un uso creativo, come ad esempio il linguaggio, o i gesti, ecc. La condivisione dello stesso codice da parte degli attori comunicativi garantisce la corretta formulazione dei messaggi e la comprensione da parte dei destinatari o riceventi. Quando tale condivisione viene a mancare il messaggio non è correttamente decodificato dal ricevente e possono insorgere incomprensioni o anche conflitti. Codice Sistema socialmente condiviso di organizzare i segni. In ogni azione comunicativa si utilizzano contestualmente sia codici propri della comunicazione verbale sia codici della comunicazione non verbale. I codici non verbali possono essere coerenti o meno con quelli verbali. In caso di coerenza il codice non verbale ha un effetto di rinforzo del contenuto del messaggio, in caso contrario c’è una “collisione” tra i due codici a scapito dell’effettiva comprensione dei significati trasmessi e ricevuti. Gli elementi della comunicazione 15
  • 19. 3.5 CODIFICA E DECODIFICA Gli studiosi descrivono con l'espressione "codificare" l'attività che l'emittente compie per emettere un messaggio che sia effettivamente significativo per l'ascoltatore. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale l'emittente trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderle comprensibili agli altri. Dunque le idee vengono codificate in messaggi, i quali vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente processo di decodifica. La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti in un significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamente diverso rispetto al significato iniziale, quello cioè che l'emittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea. L'attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre condiviso, e dunque la decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive una patologia al paziente utilizzando il suo gergo tecnico, non si rende conto che il messaggio non è correttamente decodificabile da parte del ricevente, poiché solo l'emittente conosce il codice utilizzato. 3.6 FEEDBACK (o retrocomunicazione) Il feedback è la retrocomunicazione che il ricevente invia all'emittente mentre la comunicazione sta avvenendo. È una informazione di ritorno che permette all'emittente, mentre sta comunicando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato, ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per raggiungere il risultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feedback per "aggiustare il tiro" rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l'interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo di rinunciare). Gli elementi della comunicazione 16
  • 20. 3.7 CONTESTO E' il "luogo" (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ovvero la "situazione" in cui l'atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce). Il contesto è parte integrante del messaggio, e può cambiare il significato del messaggio stesso: la frase "bene, molto bene" pronunciata da un insegnante significa cose molto diverse se detta al termine di una interrogazione in cui lo studente ha dato buona prova di sé, oppure appena dopo che l'insegnante ha scoperto lo stesso studente copiare durante un compito in classe. Quando inviamo messaggi come la frase "questo mi sembra ok", è il contesto che permette di comprendere che la parola "questo" si riferisce ad un determinato oggetto e non ad un altro. Senza contesto, le parole e le azioni non hanno nessun significato. In ogni situazione comunicativa reale sono coinvolti molti contesti contemporaneamente, che spesso si sovrappongono. Questo può creare imbarazzo: è ciò che può accadere se partecipate ad una festa in cui sono presenti sia i vostri amici (che richiederebbero da voi un certo linguaggio, un certo tipo di contenuti ed un certo comportamento) sia i vostri genitori (che ne richiedono ben altri). 3.8 MESSAGGIO È il contenuto di ciò che si comunica. È strettamente legato al concetto di informazione, e può essere un dato, una notizia o più semplicemente una sensazione, veicolata attraverso segni significativi (frasi, singole parole o suoni, gesti, espressioni, immagini, ecc.). È la parte "attiva" dell'atto comunicativo, quella che genera l'effetto di inviare all'ambiente esterno pensieri o informazioni prima contenute solo all'interno della mente dell'individuo che le emette. Il concetto di "messaggio", apparentemente scontato, è in realtà difficile da afferrare. Se definiamo il termine messaggio dal punto di vista dell'emittente, esso è il mezzo attraverso cui viene veicolata o resa disponibile una informazione, e dunque ricercata un'influenza sociale, un effetto sul ricevente. Se lo definiamo dal punto di vista del ricevente, il messaggio è invece l'interpretazione che il ricevente fa dello stimolo proveniente dall'emittente. Non dobbiamo fare l'errore infatti di credere che il significato del messaggio sia contenuto all'interno del messaggio stesso. Il significato emerge solo dalla lettura Gli elementi della comunicazione 17
  • 21. contestuale del messaggio e di tutti gli altri elementi della comunicazione. Lettura contestuale che è possibile, però, solo dopo che un soggetto ha deciso di agire inviando al mondo un segnale. Watzlawick ed i suoi collaboratori sostengono che tutto è comunicazione, anche il mero comportamento interpersonale. Ogni comportamento, pertanto, ha valore di messaggio, anche quando evidenzia caratteri non intenzionali. Tale posizione teorica è riassunta dagli autori nel primo assioma della comunicazione, che afferma l’impossibilità di non comunicare. Secondo l’approccio pragmatico alla comunicazione umana il contenuto del messaggio esula, dunque, dal puro atto linguistico intenzionale, per comprendere ogni azione, anche involontaria, dell’attore sociale inserito in un processo relazionale. In base a questa teoria la sfera della comunicazione coinvolge gli aspetti non verbali dell’interazione sociale, che si esprimono attraverso la postura, il modo di porsi agli altri, l’intonazione della voce, l’immagine estetica, l’abbigliamento, lo sguardo, il silenzio. Il messaggio è ciò che transita, sotto forma di codici verbali e non verbali e attraverso canali acustici, visivi, olfattivi, ecc., dall’emittente al ricevente. 4. I MODELLI TEORICI DELLA COMUNICAZIONE 4.1 IL MODELLO TRADIZIONALE O LINEARE In questo modello la comunicazione, anche umana, è vista come un processo dove il messaggio è codificato da un’emittente ed inviato attraverso un canale ad un ricevente che lo decodifica. Codifica e decodifica sono due processi distinti ed autonomi (come in un messaggio parlato è diverso produrre le parole dall’ascoltarle). Altro aspetto esaminato dal modello è il rumore, intendendo con esso qualsiasi fonte di disturbo che interferisce con una comunicazione efficace. Ruolo del canale. In questo modello il canale della comunicazione è il mezzo attraverso il quale passano i segnali. Il canale lavora come un ponte fra emittente e ricevente. Di solito vengono usati contemporaneamente più canali; per esempio in interazioni faccia a faccia si parla e si ascolta, usando il canale vocale-uditivo, ma si fanno anche gesti o si ricevono segnali non verbali, usando il canale visivo; oppure si tocca l’altro, usando il canale tattile. Se scriviamo una lettera o mandiamo una e-mail usiamo canali ancora diversi. Gli elementi della comunicazione 18
  • 22. Critiche al modello lineare. Questo modello non tiene conto degli interlocutori coinvolti e del contesto, che possono entrambi modificare i significati. In particolare il ricevente è visto come una “macchina di decodifica” passiva e muta (abbiamo visto invece come schemi, atteggiamenti, esperienze passate, influenzino percezione, interpretazione, valutazione, memoria, ect). Inoltre il linguaggio naturale umano non corrisponde ad un codice, ma ha delle ambiguità intrinseche che vengono risolte ogni volta dalla situazione. 4.2 IL MODELLO INTERATTIVO Questo modello supera lo schema semplicistico del modello lineare, introducendo il concetto di feedback ed occupandosi più esplicitamente delle intenzioni comunicative di chi parla e di chi ascolta, che vengono (e non solo il significato letterale del messaggio) fatte oggetto di codifica/decodifica per essere sicuri di cogliere le intenzioni sottostanti e di condividere gli stessi significati. Parlante ed ascoltatore obbediscono ad un “principio di cooperazione” e condividono uno scopo comune. Solo così la comunicazione può dirsi efficacemente avvenuta. Sono spesso i segnali non verbali a costituire un feedback su come un messaggio è stato recepito: con segnali di attenzione (es. segnalando con lo sguardo che si sta ascoltando) di comprensione (es. accennando di sì con il capo), di valutazione (es. alzando le spalle o aggrottando la fronte). 4.3 IL MODELLO DIALOGICO In questo modello l’individuo è visto come soggetto attivo (dotato di pensieri, emozioni, status, ruoli, capacità) che cerca di interpretare tutte le informazioni che provengono dall’ambiente. Il parlante e l’ascoltatore sono meglio definiti come interlocutori coinvolti in una relazione complessa in cui costruiscono il loro specifico contesto. La comunicazione non è più una semplice trasmissione di informazioni, ma una complessa attività congiunta che genera una realtà sociale. Questo modello sottolinea l’importanza del contesto, non più visto come semplice sfondo bensì come elemento strutturante. Gli elementi della comunicazione 19
  • 23. Grande importanza viene data all’analisi della conversazione come modello tipico della comunicazione. Il modello dialogico considera, a differenza dei modelli precedenti situazioni asimmetriche, o quelle in cui sono coinvolti più destinatari di una comunicazione (es. una lezione in classe). Gli elementi della comunicazione 20
  • 25. INDICE 1. LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE 1.1 L’ELENCO DELLE FUNZIONI 1.2 GLI ATTI LINGUISTICI Massime conversazionali o principi generali Il principio di cooperazione Massima di qualità Massima di quantità La massima di relazione La massima di modo 1.3 GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI 1.4 LE EMOZIONI NELLE PAROLE 2. IL LINGUAGGIO CORPOREO 2.1 ANALOGICO E DIGITALE 2.2 DAL SEGNALE ALLA VERIFICA 2.3 CINQUE CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO 2.3.1 L’ATTEGGIAMENTO 2.3.2 MIMICA 2.3.2.1 FRONTE 2.3.2.2 LO SGUARDO 2.3.2.3 I MOVIMENTI OCULARI 2.3.2.4 LA BOCCA 2.3.3 LA GESTUALITÀ 2.3.4 LA DISTANZA 2.3.4.1 ZONA INTIMA 2.3.4.2 ZONA PERSONALE 2.3.4.3 ZONA SOCIALE 2.3.4.4 ZONA PUBBLICA 2.3.5 IL TONO 2.4 LA RISATA 2.5 L’EFFETTO PIGMALIONE La Comunicazione Interpersonale 2
  • 26. 1. LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE Gli uomini comunicano sia con il modulo numerico (verbale) che con il modulo analogico (non verbale). Questo vuol dire che qualsiasi comunicazione è composta da due momenti contemporaneamente presenti: un momento verbale (espressione verbale della comunicazione) ed un momento gestuale e quant’altro non sia solo verbale (espressione mimica, prossemica, ecc.). Per dare luogo ad una comunicazione definita sana queste due diverse componenti devono necessariamente essere coerenti tra loro. Nel caso contraria si assiste ad una comunicazione definita paradossale. Il livello di contenuto è trasmesso di preferenza con il modulo numerico, il livello di relazione è trasmesso di preferenza con il modulo analogico. Quando comunichiamo con gli altri non passiamo solo informazioni sull’argomento trattato, altrimenti “informeremmo” nell’accezione più tecnica del termine. Comunicare è invece molto di più. Il linguaggio che noi adoperiamo quotidianamente, ogni nostra espressione, anche quella utilizzata in una conversazione telefonica, non è esente dall’essere molto di più della semplice risultante dei significati delle parole usate. E’ lecito porsi una domanda: è possibile non comunicare? Riflettiamo sulla situazione (una delle tante possibili) qui di seguito riportata: immaginate un gruppo di persone in una stanza; fate uscire due di queste, possibilmente un uomo ed una donna. Ai due dite che, una volta rientrati nella stanza, dovranno simulare un viaggio su un mezzo pubblico, possibilmente vicini e senza parlare. Prima di farli rientrare, chiedete alle persone rimaste dentro la stanza di provare a capire che cosa i due, una volta rientrati, si stanno comunicano. Solitamente, il silenzio imposto ai due, viene abbondantemente riempito dalla fantasia degli altri partecipanti. Perché questo? Noi siamo nati e viviamo in un ambiente comunicativo. La prima comunicazione interpersonale avviene tra madre e figlio. Tra i due si costruisce un linguaggio decodificabile soltanto da loro due: quando il bambino piange in una data maniera ottiene una determinata cosa. La Comunicazione Interpersonale 3
  • 27. 1.1 L’ELENCO DELLE FUNZIONI Attraverso il linguaggio naturale vengono trasmessi molti dati, alcuni che non controlliamo consciamente, altri che possiamo simulare. Questo rappresenta un surplus informativo, che può essere inteso come il valore aggiunto alla cruda informazione trasmessa su un determinato oggetto; in tal modo la comunicazione diventa effettivamente il passaggio e la messa in comune di dati, informazioni, valori, diviene strumento di regolamentazione sociale in maniera interattiva e reciproca ed il linguaggio, anche attraverso questo surplus di dati, svolge le seguenti funzioni: a) Referenziale (o rappresentazionale) Quando descriviamo un dato di realtà o uno stato di cose veicoliamo informazioni che si riferiscono alla situazione che descriviamo. b) Interpersonale (o espressiva) In ogni comunicazione con l’altro, non si veicolano solo significati ancorati all’uso del vocabolario e alla loro combinazione, ma anche ciò che noi siamo in relazione al mondo e all’interlocutore stesso, e a ciò che l’interlocutore è per il resto del mondo e per noi, includendo in questo l’identità personale, lo stato emotivo temporale, gli atteggiamenti abituali e le relazioni sociali. Nella funzione interpersonale-espressiva un ruolo importante è svolto dal linguaggio non verbale (tono dell’eloquio, linguaggio del corpo, gestione dello spazio e della distanza). Basti pensare a quanti significati possono venire racchiusi in un semplice “ciao”: a seconda che ci rivolgiamo ad una persona che amiamo oppure ad una persona che detestiamo, questa piccola parola, pur pronunciata nello stesso modo, esprimerà sentimenti contrapposti ed il nostro linguaggio corporeo difficilmente sarà capace di mentire. c) di auto ed eteroregolazione Noi utilizziamo il linguaggio per regolare le nostre azioni e quelle degli interlocutori, attraverso richieste, ordini, comandi, persuasioni. Quando chiediamo qualcosa a qualcuno, interveniamo su dati di realtà. Perfino nel linguaggio interiore ci diamo degli ordini. d) di coordinazione delle sequenze interattive La Comunicazione Interpersonale 4
  • 28. Nella comunicazione l’alternanza tra emittente e ricevente non dovrebbe essere casuale, ma gestita da regole; e l’inizio della conversazione, il passaggio di ruolo emittente/ricevente e la fine della comunicazione vengono segnalati dal linguaggio(ad esempio uno sguardo, una domanda all’interlocutore, un “bene” sempre più veloce e accentuato in chiusura di una conversazione telefonica). e) di metacomunicazione Ciò che ci distingue dagli animali sembra essere, in particolare, la metacomunicazione, ossia il comunicare sulla comunicazione. Noi discutiamo spesso su ciò che un altro aveva detto, o noi stessi avremmo voluto dire e non siamo stati intesi, o riusciamo per mezzo di segnali paralinguistici e del linguaggio del corpo, a simulare e dissimulare messaggi su stati interiori o esteriori (ad esempio con ironia, clamore o menzogna). Possiamo dire una cosa seria e renderla risibile con l’espressione, oppure, al contrario, pronunciare una notizia allegra con tono tragico. Questa funzione può diventare di grande utilità nel gestire situazioni di incomprensione reciproca, nel cercare di interpretare e tradurre il messaggio che ha generato la turbativa nella comunicazione, nello sdrammatizzare con il tono certe situazioni gravi e nel far sentire a proprio agio l’interlocutore. 1.2 GLI ATTI LINGUISTICI In base a quanto esaminato fino ad adesso, abbiamo visto che con il linguaggio ha molteplici funzioni. Pensiamo, ad esempio, alle conseguenze che in qualsiasi momento può avere sulla nostra vita e su quella degli altri una certa frase detta in una certa maniera. L’impiego energetico per proferirla è pressoché nullo, ma possiamo produrre nella realtà una separazione, l’interruzione di un rapporto di amicizia, una reazione violenta. Il senso di queste frasi non risiede tanto nei loro contenuti, cioè nella loro verità o falsità, quanto su come esse andranno ad interferire sul piano della realtà. Infatti, quando agiamo con le parole, la nostra attenzione non si pone tanto sulla verità o meno dell’enunciato proferito, bensì su come esso andrà ad agire sulla realtà. Esiste una categoria di verbi che danno alle parole la “forza” per agire sulla realtà: sono i verbi performativi, per esempio “io scommetto”, “prometto”... La Comunicazione Interpersonale 5
  • 29. Questi verbi possono essere sia espliciti che impliciti: ad esempio”Vieni qua!” può essere esplicitato con “ti ordino di venire qua”. Non tutte le azioni linguistiche riescono, anche se si presuppone che tutti coloro che parlano, in quanto capaci d’intendere, di volere ed in grado di comprendere e formulare frasi di senso compiuto siano accomunati da una competenza comunicativa. Qui di seguito enunciamo quelle che sono le condizioni di buona riuscita di una atto linguistico, ovvero le regole da seguire affinché un atto linguistico abbia la forza appropriata: A 1. deve esistere una procedura convenzionale che abbia un effetto convenzionale; 2. le circostanze e le persone devono essere appropriate secondo quanto specificato dalla procedura. B La procedura deve essere seguita: 1. in modo corretto; 2. in modo completo. C 1. Le persone devono avere i pensieri, i sentimenti e le intenzioni richieste dalla procedura 2. se è specificato un comportamento conseguente, esso deve verificarsi.” Le violazioni indicate nei punti A e B originano delle azioni che non hanno esito. Le violazioni delle regole indicate nel punto C non sempre si possono individuare; pertanto si può agire in maniera inappropriata o insincera, in quanto entriamo nell’ambito delle certificazioni di stati e motivazioni interiori, dei quali siamo unici giudici e testimoni. Ovviamente le tre classi di condizioni non sono sufficienti affinché si possano avere sulla realtà le conseguenze che ci siamo prefissati. L’imprevedibile può sempre accadere: una reazione inattesa da parte del nostro interlocutore, o uno o più elementi inattesi, si possono aggiungere alla situazione. Si possono pertanto individuare tre livelli per aiutarci a comprendere come dal “dire” si passa al “fare”: • atto illocutorio (o illocuzione): dire la frase grammaticalmente compiuta. • atto locutorio (locuzione): La Comunicazione Interpersonale 6
  • 30. il “fare” convenzionalmente legato ad un atto linguistico, con la forza di un comando, di un ordine, di una condanna, avvenuti secondo le condizioni di buona riuscita. • atto perlocutorio (perlocuzione): ciò che consegue al “fare” convenzionale, che non è di per se convenzionale. GLI ATTI LINGUISTICI INDIRETTI Non soltanto attraverso l’uso di verbi performativi possiamo agire sulla realtà e formulare richieste. Le richieste possono essere formulate anche attraverso delle asserzioni dichiarative e delle preposizioni interrogative Quando noi conversiamo con un altra persona è sottinteso che seguiamo delle regole, esplicitate nel seguente elenco, al quale è meglio attenersi durante una conversazione formale, come può essere un colloquio di lavoro. Massime conversazionali o principi generali • Il principio di cooperazione Al momento opportuno fornite il vostro contributo così come è richiesto dalla situazione, dagli scopi o dall’orientamento del discorso in cui siete impegnati. Aderite cioè al contesto in cui vi trovate seguendo il turno della conversazione. • Massima di qualità Cercate di fornire un contributo vero; in modo particolare: 1. non dite cose che credete siano false: 2. non dite cose per le quali non avete prove adeguate. • Massima di quantità 1. fornite un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in un modo adeguato agli scopi della situazione nella quale vi trovate. 2. non fornite un contributo più informativo del necessario. La Comunicazione Interpersonale 7
  • 31. • Massima di relazione Fornite contributi pertinenti • Massima di modo Siate comprensibili, ed in particolare: 1. evitate oscurità; siate chiari nel linguaggio e nella forma espositiva; 2. evitate le ambiguità; definite ogni significato senza margini di dubbio; 3. siate brevi; 4. procedete in modo ordinato. 1.3 GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI La collaborazione conversazionale durante particolari confronti dialettici non viene meno, ma può essere continuamente contrattata e specificata (esempio di ciò, nella memoria collettiva, è l’interrogatorio che l’avvocato americano fa a un testimone, le cui domande vanno alla ricerca delle maggiori informazioni possibili che attestino una data tesi e le risposte sembrano essere più succinte possibili). Per ottenere quanti più dati possibili da affermazioni povere di informazioni esplicite, è di grande aiuto tenere bene a mente quelle particolari parole (nomi, verbi, avverbi…) grazie alle quali, partendo da una asserzione, si arriva a delle conclusioni su uno stato di cose (mentre, al contrario, con le implicature conversazionali, da una asserzione su uno stato di cose si arriva al senso della proposizione). Anziché essere legati al contesto, gli attivatori presupposizionali sono legati al significato delle parole interne al testo e generano delle inferenze su ciò che deve essere vero affinché un enunciato abbia senso (e rimane vero anche nella sua negazione). Tali inferenze vengono indicate con il nome di presupposizioni, ed hanno validità universale in qualsiasi contesto vengano pronunciate (ad esempio la frase “I figli di Marco sono biondi” ha senso solo qualora esistano Marco e i suoi figli, sia che i figli siano biondi o mori e cioè sia vera la sua negazione. La presupposizione della frase “I figli di Marco sono biondi” è “Marco ha dei figli”). Ecco alcuni esempi di attivatori presuppozionali: 1. Descrizioni definite: Ho cavalcato/non ho cavalcato Furia (esiste Furia) La Comunicazione Interpersonale 8
  • 32. 2. Verbi fattivi Rimpiangere, essere consapevoli/non consapevoli di, rendersi conto di, sapere, dispiacere, essere orgogliosi del fatto che, essere indifferenti al fatto che,essere contenti del fatto che, essere tristi per (esiste l’oggetto o è avvenuta la situazione che si rimpiange, di cui si è consapevoli...). 3. Verbi implicativi Riuscire (cercare di fare), dimenticare (si sarebbe dovuto ricordare, si aveva intenzione di ricordare), capitare qualcosa (non era prevista quella cosa), evitare qualcosa (si aspettava quella cosa) 4. Verbi di cambiamento di stato Smettere, cominciare, continuare, prendere, partire/lasciare, entrare, venire, andare, arrivare, ecc. (esisteva già uno stato o un’azione precedente) 5. Iterativi Di nuovo, non più, ritornare, un’altra volta, ripristinare, ripetere, (esisteva già uno stato o un’azione precedente alla quale si fa riferimento) 6. Verbi di giudizio Accusare di, criticare, (ciò di cui si accusa o ciò che si critica si ritiene negativo) 7. Proposizioni temporali Prima, mentre, da quando, dopo, durante, quando nel (la situazione alla quale si riferisce la proposizione è vera) 8. Frasi scisse É stato Gianluca a tirare il sasso. (qualcuno ha tirato il sasso) 9. Paragoni o contrari Anche, invece, in cambio, poi, a sua volta (l’esistenza e la qualità dello stato a cui si fa riferimento) 10. Preposizioni relative non-restrittive Marco, che è l’ultimo figlio di Laura, oggi è/non è andato a scuola. (Marco è l’ultimo figlio di Laura) 11. Ipotetiche controfattuali Se solo fossi andato piano avresti frenato in tempo, (non andavi piano) 12. Domande La Comunicazione Interpersonale 9
  • 33. C’è una macchinetta per il caffè? (o c’è o non c’è), Monfalcone è in provincia di Trieste o di Gorizia? (una delle due), Chi è il vostro professore di matematica? (avete un professore di matematica) 1.4 LE EMOZIONI NELLE PAROLE Esistono diverse immagini e sensazioni legate alle parole. Questi legami possono influenzare le disposizioni interiori, il contesto emotivo e lo svolgersi dell’interazione. Le ancore possono essere collettive, culturalmente condivise, di specifici gruppi o isolate alle esperienze personali. Anche all’interno di conversazioni, citare avvenimenti o cose positive o negative può indirizzare, anche se solamente a livello inconscio, gran parte della decodifica del messaggio. In ogni scelta la componente emotiva è fortissima: questa è una regola che gli esperti venditori ben conoscono. Per questo, durante una conversazione, preliminare a qualsiasi tipo di decisione, è importante sapere gestire le sensazioni che si veicolano attraverso i messaggi. Altre sensazioni, vengono veicolate, per lo più inconsciamente, attraverso il linguaggio corporeo. La Comunicazione Interpersonale 10
  • 34. 2. IL LINGUAGGIO CORPOREO 2.1 ANALOGICO E DIGITALE Nell’interazione di ogni giorno non comunichiamo soltanto attraverso il contenuto espresso nelle parole, ma veicoliamo anche emozioni, intensità e passioni attraverso la cadenza, le posizioni del corpo e lo sguardo. Pensiamo a quanto ci può essere in un semplice “Ciao” rivolto ad un amico. Nel proferirlo non trasmettiamo solo il significato del saluto, ma possiamo anche esprimere un mondo di relazioni: quello che è l’altro per noi, quello che noi reputiamo di essere per lui, il nostro stato d’animo, tutto il nostro vissuto fino a quel momento e quello che è intercorso con l’altro. Una parola convenzionalmente è composta da un segno finito, che può essere modificato attraverso altri segni finiti e convenzionali (plurali, diminutivi, maggiorativi, aggettivi numerali o di qualità, che di per sé seguono le regole della parola che modificano: grande, grandi, grandissimo…). Concetto che la linguistica definisce come morfemi lessicali (buon, am), in unione con dei morfemi grammaticali (buono, amo). Niente, a livello figurativo, del concetto della parola è immesso nella parola stessa, tranne nel caso di onomatopee, che hanno un suono che per analogia ricorda il significato che evocano: “gong”, “trillare”. Ma “casa” o “gatto”, nulla mi dicono della casa o del gatto, e “cccaaasssaaa” o “gggaaatttooo” non mi indicano una casa o un gatto più grande, mentre “grande casa” o “grande gatto” sì, proprio come “13” mi indica un numero di tre unità più grande di dieci. Non si può esprimere continuità tra una grandezza e l’altra, cosa che invece si può fare per analogia, magari con un gesto delle mani “era alto così” o con un suono “ha fatto boom!!!”. Indicheremo i primi segni (“casa”,“13”) come segnali discreti o digitali e i secondi (“boom”) come continui o analogici. Nei caso di segni/segnali digitali, la relazione tra segno e significato è arbitraria e convenzionale. Ad un segno arbitrario del codice facciamo per convenzione corrispondere un significato. Il segno predefinito non può subire variazioni al di fuori di quelle permesse dal codice: nell’insieme dei numeri naturali, nella declinazione al plurale, nella scala degli aggettivi, si passa da un segno all’altro senza possibilità di vie di mezzo. Nel caso di segni/segnali analogici il significato si assume per analogia al referente, ossia sussiste un’analogia, qualcosa che lega per similitudine il significante (il segno) al significato (il referente). La similitudine, non essendo attuata per mezzo di un segnale definito, ma attraverso la riproduzione di una La Comunicazione Interpersonale 11
  • 35. delle qualità dell’oggetto riferito, non è suscettibile della scalarità dei segni digitali. Io posso allargare le mani in maniera continua per indicare una grandezza, così come posso utilizzare il tono della voce per riprodurre un suono. Posso usare segnali digitali per combinare dei segnali analogici. Nella poesia ad esempio, l’unione di segni discreti, quali le parole, formano analogie con sensazioni e significati che si vogliono riprodurre. L’oggetto della poesia, spesso ancorato all’interiorità, è di per sé maggiormente esplicabile attraverso segnali analogici e la bravura di chi recita si valuta in gran parte per come sa riprodurre stati d’animo attraverso il tono della voce, la velocità dell’eloquio, l’espressione del volto e i gesti del corpo. Ecco tre esempi di poesie, che per analogie rimandano a un qualcos’altro di per se di difficile definizione: …finché saremo vivi faremo nostra tutta la vera vita, ma anche i sogni: tutti i sogni: tutti i sogni sogneremo. (P. Neruda) Neruda descrive la sua esperienza intima assieme ad una ragazza e poteva concludere con il dire semplicemente “sogneremo tutto ciò che è possibile sognare”, mentre nella ripetizione di “tutti i sogni” legato a “sogneremo” crea un’analogia con l’atmosfera soffusa ed indefinita del sogno. …ta ta ta ta giii tumb giiii tumb ZZZANG-TUMB-TUMB (280 colpi di partenza) srrrrrr GRANGGRANG (colpi in arrivo) coooc-craaac grida degli ufficciali sbattacchiare come piatti d’ottone… La Comunicazione Interpersonale 12
  • 36. (F. T. Marinetti) Marinetti, per rievocare la battaglia, crea una forte analogia con l’ausilio delle lettere (digitali) e con l’utilizzo delle onomatopee (segnali analogici), con il campo di scontro, in un contesto di esplosioni di armi da fuoco. Tu sei come una giovane, Una bianca pollastra. (U. Saba) Saba qui avrebbe potuto scrivere: “donna giovane di razza bianca con probabile anemia” se avesse voluto simulare la descrizione fatta da una persona patita di medicina, mentre ha creato un continuum, poco onorevole raffronto, tra la giovane descritta nel testo e una gallina. Per concludere, per capire la differenza che intercorre tra il segnale analogico e quello digitale, basta fare i seguenti due esperimenti: prendiamo, con il massimo rispetto per Dante, il seguente verso: 103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona, (Divina Commedia, Inferno, Canto V) L’insieme di queste parole esprime più o meno il seguente significato: l’amore è una cosa così intensa, che non può lasciare indifferenti dall’amare chi è fatto oggetto di questo sentimento. Prendiamo una parola a caso nel testo e facciamo quello che Neruda ha fatto con i “tutti i sogni”: per esempio prendiamo in esame la parola “nullo” e ripetiamola due volte. Il risultato è il seguente: Amor, ch’a nullo nullo amato amar perdona. La ripetizione della parola “nullo” pone l’attenzione, con una tensione che potremmo definire drammatica, sul significato di nessuno, in analogia con l’importanza che intendiamo darvi. Qualcuno però potrebbe obiettare che l’analogia viene posta su un piano di scalarità, e che ogni “nullo” in più, un gradino digitale, aumenta d’intensità l’analogia. Potremmo anche provare a ridurre la parola “nullo”, e porlo su un piano di continuità con l’intera frase, usando il seguente stratagemma: La Comunicazione Interpersonale 13
  • 37. Amor, ch’a nullo nullo nullo nell’amato amar perdona La preposizione “nell’” è simile a “nullo” (presenta delle analogie), lo richiama ed intensifica la sua importanza, ma questa volta in maniera più indefinita, fondendosi con tutta la frase, in quanto “nell” apostrofato si appoggia e si completa foneticamente e semanticamente con “amato”. Un po’ come quando si pronuncia qualcosa, la grandezza del gesto non è di per se misurabile in maniera precisa e neppure replicabile in maniera esatta; si pone semplicemente su un paio di continuità, come la voce, i sorrisi, i gesti delle mani. Supponiamo di trovarci di fronte ad una platea: utilizzando una stessa parola provocheremo esiti diversi a secondo di come la pronunceremo. Supponiamo di individuare una persona del pubblico, e di dirgli “attento” con tono basso e lentamente. Se ci sarà un qualche effetto, sarà del tutto impercettibile. Proviamo poi, subito dopo, individuando un altro soggetto, a gridare velocemente la stessa parola scattando con il corpo. L’effetto indotto sarà di panico e di agitazione. Eppure era la stessa parola. Che cosa ha fatto la differenza? Il linguaggio del corpo. Perché una parte così importante della comunicazione è lasciata ad un codice non strutturato e con elementi non strutturabili ad un alto livello di complessità, quindi anche difficilmente definibile come un codice? Una spiegazione plausibile potrebbe essere la seguente: un codice gestibile da molti utenti deve avere come riferimento un insieme di significati definiti, condivisibili e finiti. Le generalizzazioni e le classificazioni riguardanti il mondo sensibile sono definite e limitate all’interno di ogni paradigma culturale. Un codice standard, può facilmente veicolare tutte queste informazioni. Ma quando comunichiamo, veicoliamo attraverso i messaggi molto di noi stessi, della nostra interpretazione del mondo, delle cose, di noi stessi rispetto al mondo. Contenuti questi che possono anche essere molto idiosincratici, diversi per ciascuno di noi, dunque difficilmente codificabili - se lo si volesse - attraverso un linguaggio standard e per i quali è impossibile definire dei significanti standard. Le combinazioni possibili del linguaggio naturale (le parole) sono infinite e la lunghezza delle frasi potenzialmente illimitata, ma la linearità del linguaggio produrrebbe una lunghezza ed una spesa di risorse mentali spropositata semplicemente per esplicitare un battito di ciglia. La soluzione migliore è un codice di pochi elementi graduabili in maniera pressoché infinitesima nelle loro espressioni continue, talmente immediato da essere a volte incontrollabile. La Comunicazione Interpersonale 14
  • 38. Ecco una tabella delle distinzioni tra digitale e analogico. DIGITALE ANALOGICO le parole l’uso delle mani per indicare quantità o il quadrante dell’orologio in cifre (si passa da intensità un secondo all’altro) “ho visto miao miao” (un gatto) (onomatopee) la codifica dei computer (o è “0” o è “1”, 8 bit il tono e la velocità dell’eloquio basta!!!! (tratti formano un byte che codifica un carattere paralinguistici) il gesticolare, le espressioni del volto, la distanza corporea (linguaggio del corpo) la poesia il quadrante con le lancette (viene indicato il passare parziale del tempo) la vecchia linea telefonica (il messaggio viene modulato in impulsi elettrici che riproducono analogicamente il suono) il modem (modulatore demodulatore) fa da tramite tra il computer (digitale) e la linea telefonica (analogica) È importante sapere che nella comunicazione interpersonale possiamo effettuare distinzione tra “ciò che si dice” e “come lo si dice”, ovvero tra i segnali sul piano del contenuto, espresso prevalentemente con le parole, e i segnali sul piano della relazione. I primi veicolano informazioni, i secondi veicolano informazioni sulle informazioni La Comunicazione Interpersonale 15
  • 39. L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998 Tra ciò che esprimiamo con le parole (segnali digitali) e ciò che esprimiamo con il corpo (segnali analogici) vi può essere congruenza o incongruenza. È importante sapere che la congruenza tra i due piani (contenutistico e relazionale) convince di più, mentre l’insicurezza porta all’ incongruenza e dunque a non essere creduti. Ovviamente la relazione tra gli interlocutori può essere buona o cattiva ed esprimere aggressività, incongruenza o non ascolto, e lì dove si riesce a creare una buona dinamica della relazione tra gli interlocutori si facilita la comprensione, in quanto, se ci sentiamo in qualche modo attaccati, agisce la parte più emotiva di noi, e subentra quella che viene definita “nebbia psicologica”, cioè un’incapacità a razionalizzare e ad esprimere le nostre ragioni, perfino a ricordare 2.2 DAL SEGNALE ALLA VERIFICA Poiché non sempre ad un segnale corporeo corrisponde un solo significato (o il più comune), si può passare ad una verifica nella comunicazione per vedere se ciò che si esprime con un segnale del corpo viene confermato o da altri segnali o dalle parole. La verifica può essere di tre tipi: 1. la domanda aperta; 2. la domanda chiusa; La Comunicazione Interpersonale 16
  • 40. 3. il silenzio. 1. La domanda aperta è quando formulo un quesito per far parlare quanto possibile l’interlocutore, preferibilmente su un atteggiamento interiore (es. “Cosa le sembra della proposta?”). La risposta che ne segue non solo verifica le mie impressioni, ma mi permette anche di condurre ulteriori analisi sui segnali dell’interlocutore, eventuali congruenze o incongruenze. 2. Alla domanda chiusa si risponde con un “sì” o con un “no”. Chiedere un’informazione in maniera così diretta, se non si è acquisito un certo grado di fiducia nell’interlocutore, può essere pericoloso, poiché, di fronte a delle variabili da ponderare, l’interlocutore può anche ipotizzare conseguenze svantaggiose da una sua concessione ed interpretare la nostra richiesta esplicita come uno stratagemma per concludere, senza farlo arrivare a percepire elementi che lo influenzerebbero negativamente. Il silenzio può essere un’ottima strategia, ma bisogna essere molto esercitati a praticarlo. 2.3 CINQUE CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO Non è propriamente legittimo chiamare il linguaggio corporeo “comunicazione corporea”, poiché non sempre abbiamo padronanza di tanti segnali che partono dal nostro corpo; quindi non si può parlare di intenzionalità. Tali segnali costituiscono però pur sempre un feedback alla comunicazione: quando comunichiamo con qualcuno gli elementi della sua risposta possono anche essere a livello corporeo. Conoscendo per lo meno i principi di base, si può cercare di simulare o dissimulare i segnali corporei, in maniera da incidere con maggior chiarezza sull’interazione in corso (per esempio, con i segnali del corpo si può caricare d’enfasi o svuotare d’importanza un messaggio, ma si può anche esprimere imbarazzo o simpatia verso l’interlocutore, oppure disagio o serenità verso il contesto). La pratica di questi segnali si può dire dissociata dalla loro conoscenza, in quanto, pur non conoscendo la loro classificazione, nomenclatura e definizione, c’è chi li usa quotidianamente e li ha affinati attraverso un lungo esercizio nelle relazioni umane. C’è anche però che ne fa un uso errato Ecco qui elencata, rifacendosi al testo di V. Birkenbihl, una possibile suddivisione in 5 tipologie dei La Comunicazione Interpersonale 17
  • 41. segnali del corpo. 1. L’ATTEGGIAMENTO: la postura e le sue modificazioni 2. LA MIMICA: segnali del volto 3. LA GESTUALITÀ: movimenti delle mani e delle braccia anche nell’eseguire azioni 4. LA DISTANZA: la gestione dello spazio intorno a sé e in relazione all’altro 5. IL TONO: tutti i tratti paralinguistici (velocità dell’eloquio, volume della voce, ritmo ed eventuali espressioni sonore prive di contenuto verbale come, ad esempio, riso e sospiri) 2.3.1 L’ATTEGGIAMENTO Secondo V. Birkenbihl, la cosa più naturale, nelle situazione nelle quali sentiamo una qualche forma di pericolo, è proteggersi le zone vitali e, anche se minimamente, prepararsi alla fuga. Ciò vuol dire che colui che si sente perfettamente a proprio agio in una situazione non cerca barriere o difese alla comunicazione, ed ha una posizione, perfettamente eretta. Colui che ritiene di avere l’autorità per dominare completamente una situazione, può avere una posizione leggermente inclinata e flessa sulla schiena. Nel caso opposto, avrà invece il capo e il corpo chino in avanti. Ovviamente tutte queste posizioni possono non avere nulla a che fare con il reale stato interiore; è importante però sapere che la maggior parte delle volte vengono interpretate così e che, e poiché siamo anche noi, con la percezione che diamo l’uno all’altra, a condurre il gioco, è inutile pregiudicarlo con errate proiezione di quello che siamo(se non rientra in una strategia determinata). Una breve descrizione degli esempi: Il primo atteggiamento sulla destra fa trasparire un atteggiamento sicuro, e dunque senza timori e che tenderà a non porre difese tra le zone più vulnerabili del corpo e gli altri, cosa che invece accade nell’atteggiamento di chiusura (secondo disegno). La Comunicazione Interpersonale 18
  • 42. Fig 2 L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998 Nel primo disegno della seconda immagine, la persona può trasmettere presunzione di superiorità. Nella seconda posizione si comunica un’apertura equilibrata verso gli altri (“nè sopra nè sotto di te”). Infine, nell’ultimo disegno, viene espresso un atteggiamento di sottomissione. 2.3.2 MIMICA Il volto può venire suddiviso in tre zone espressive: Frontale Mediana Bocca Fig 3 L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, “Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998 La Comunicazione Interpersonale 19
  • 43. 2.3.2.1 FRONTE Le pieghe orizzontali significano che l’attenzione è attratta da qualcosa mentre le pieghe verticali che ci si sta concentrando su qualcosa. 2.3.2.2 LO SGUARDO Non sempre una persona che non ci guarda non ci sta seguendo, ma è questa l’impressione che se ne Riceve. Dunque per una buona conversazione, occorre guardare in direzione dell’interlocutore 2.3.2.3 I MOVIMENTI OCULARI Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Senza esagerare, gli occhi sono spesso un buon indice per sapere che tipo di zone del cervello sta utilizzando il nostro interlocutore, in quanto si compiono dei movimenti automatici a livello oculare. Ovvero se la persona: • accede alla memoria visiva, dunque ricorda immagini, muove gli occhi in alto alla sua sinistra; • crea immagini visive muove gli occhi in alto alla sua destra (e questo può voler dire che mente); • accede a ricordi uditivi muove gli occhi alla sua sinistra; • crea “immagini” sonore, muove gli occhi alla sua destra; • se ha un dialogo interiore, muove gli occhi in basso alla sua sinistra; • se pensa a sensazioni cinestetiche (sul toccare qualcosa), muove gli occhi in basso alla sua destra. 2.3.2.4 LA BOCCA I segnali della bocca, in base alle pieghe, agli angoli, alla chiusura delle labbra, non solo sono molto intuitivi, e generalmente riconoscibili (anche simulabili), ma in diretta connessione con zone cerebrali. Per esempio, se assaggio qualcosa di amaro, meccanicamente le mie labbra assumeranno l’aspetto definito “amaro” e quando proverò una sensazione interiore di amarezza anche le labbra assumeranno La Comunicazione Interpersonale 20
  • 44. quell’aspetto. Questo mette in evidenza una tecnica di recitazione diffusa tra gli attori professionisti: non si recita falsificando uno stato d’animo, ma indossandolo, ovvero evocando interiormente una situazione vissuta che ha provocato quella sensazione. 2.3.3 LA GESTUALITÀ E’ sufficiente sapere che, nella comunicazione, più grandi saranno le emozioni ed i sentimenti (gioia, rabbia, dispiacere, insicurezza)coinvolti, più intensi e frequenti saranno i gesti 2.3.4 LA DISTANZA La distanza fisica tra noi e gli altri comunica la distanza sociale e relazionale, in quanto in ogni cultura è codificato l’uso dello spazio. Ecco la codificazione dell’uso dello spazio nella cultura europea ed americana. Zona Pubblica Zona sociale Zona personale Zona intima La Comunicazione Interpersonale 21
  • 45. 2.3.4.1 ZONA INTIMA È la zona più privata, nella quale facciamo entrare, e non sempre, solo chi gode della nostra piùintima fiducia. L’invasione di questa area produce un senso di lotta o di fuga, che, se non espresso, può dare origine a fenomeni di stress. Maggiore è l’autorità della persona, più grande sarà lo spazio di zona intima che le verrà riconosciuto. Quando si è costretti a subire una momentanea invasione della nostra sfera intima (es. in bus, ascensore), tendiamo a trattare gli altri come non persone (non li si guarda, non si parla loro). Se questo momento di invasione è forzatamente prolungato si può provare a sentirci a proprio agio trasmettendo messaggi che nulla hanno a che fare con il loro contenuto, ma piuttosto con il loro tono rassicurante. 2.3.4.2 ZONA PERSONALE Nella sfera personale hanno accesso quelle persone che non sono dei semplici conoscenti, ma che non sono neppure in un rapporto tale di confidenza con noi da avere accesso alla zona più intima. 2.3.4.3 ZONA SOCIALE È la zona deputata allo scambio formale e ai contatti superficiali con conoscenti o colleghi di lavoro. 2.3.4.4 ZONA PUBBLICA E’ tutta la zona visibile oltre alla zona sociale Grazie ai nuovi media è possibile che la zona pubblica di una persona entri in quella personale di altre, per cui le seconde si sentono di diritto rientrare nella zona personale dei primi (es. i divi televisivi). L’invasione di una sfera nella quale non abbiamo diritto d’accesso, può pregiudicare le dinamiche della comunicazione: anche se non ce ne rendiamo conto, spesso questa invasione può incidere negativamente sulle decisioni dell’interlocutore. La Comunicazione Interpersonale 22
  • 46. 2.3.5 IL TONO La congruenza fra tono e contenuto è determinante per l’efficacia del messaggio. Spesso è più importante il tono, e non il contenuto, per mettere a proprio agio l’interlocutore, per sedurre o per convincere. LA VELOCITÀ La velocità dell’eloquio è un fattore importantissimo nel processo di comprensione. Purtroppo la tendenza della velocità tra il pronunciare ciò che ci è noto e la necessità di ascoltare ciò che ci è nuovo vanno in direzioni opposte. Troppe volte si parla velocemente per i seguenti motivi: perché si conosce a memoria l’argomento; perché si preferisce mostrare piena conoscenza dell’argomento, ma non vogliamo che chi ci ascolta si soffermi su nessun termine in particolare; per non essere compresi anche se si dicono corbellerie. Ecco perché invece avremmo bisogno di ascoltare qualcosa di nuovo pronunciato lentamente: perché ogni parola ha bisogno di essere contestualizzata per assumere il giusto significato; perché noi elaboriamo le informazioni mentre ascoltiamo, e spesso dobbiamo ricostruire parole incomplete; perché ci può essere una pessima acustica, per cui l’ascolto è veramente una ricostruzione minuziosa non solo di significati ma anche di significanti; per lasciare il tempo, le giuste pause, per fissare i concetti del discorso. Se tutto viene detto velocemente, anche l’enfasi, le pause, saranno più brevi e dunque meno percettibili. Ecco uno schema delle velocità contrapposte: La Comunicazione Interpersonale 23
  • 47. VELOCITÀ INFORMAZIONE NOTA Una notizia a noi nota, e da noi già ripetuta, viene da noi pronunciata in modo relativamente più veloce. VELOCITÀ INFORMAZIONE IGNOTA Una notizia ignota, per essere appresa, deve essere da noi pronunciata in modo relativamente più lento. 2.4 LA RISATA E’ stato rilevato che la risata: esprime gioia può venire interpreta come disprezzo, sarcasmo, sfida o falsa. può far pensare a una “gioia maligna repressa” esprime meraviglia e sarcasmo può essere sintomo di “paura, spavento” 2.5 L’EFFETTO PIGMALIONE La situazione comunicativa è influenzata dall’atteggiamento di entrambe le parti attraverso la proiezione di quella che si ritiene possa essere la reale situazione comunicativa. La Comunicazione Interpersonale 24
  • 48. Esempio: se io credo che il mio interlocutore sia falso, probabilmente diventerò anch’io meno sincero; lui avvertirà la mia simulazione e lo sarà a sua volta, e io così avrò ulteriori segnali di conferma della mia aspettativa iniziale. Dunque, si deve provare a trasmettete fiducia e input positivi all’interlocutore: è molto più probabile che a nostra volta possiamo ricevere sensazioni positive. La Comunicazione Interpersonale 25
  • 49. COMUNICAZIONE INTERPERSONALE: IL COLLOQUIO DI SELEZIONE DEL PERSONALE TECNICHE DI PREPARAZIONE AL COLLOQUIO DI LAVORO IL CURRICULUM VITAE
  • 50. INDICE 1. INTRODUZIONE 2. IL COLLOQUIO DI SELEZIONE 2.1 MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DEL COLLOQUIO 2.2 POSSIBILI DOMANDE 3. IL CURRICULUM VITAE 4. LA LETTERA DI PRESENTAZIONE La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 2
  • 51. 1. INTRODUZIONE All’interno del vasto insieme chiamato comunicazione abbiamo fatto rientrare la comunicazione interpersonale di cui consideriamo, a titolo esplicativo, il colloquio di selezione del personale, costituito sia da elementi rientranti all'interno della comunicazione verbale sia da elementi che sono considerati afferenti ad un tipo di comunicazione non verbale. COMUNICAZIONE COMUNICAZIONE INTERPERSONALE COMUNICAZIONE VERBALE COMUNICAZIONE NON VERBALE COLLOQUIO DI SELEZIONE In questo evento comunicativo, ovvero il colloquio di selezione, emittente e ricevente sono di volta in volta il selezionatore e il candidato; il contesto è la selezione del personale. Consideriamo una semplificazione del tipo di comunicazione verbale che intrattengono l’addetto alla selezione e il candidato: La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 3
  • 52. EMITTENTE → SELEZIONATORE che fa una domanda RICEVENTE → CANDIDATO che ascolta e si prepara a rispondere EMITTENTE → CANDIDATO che risponde alla domanda RICEVENTE → SELEZIONATORE che ascolta e valuta la risposta Naturalmente entrano a pieno titolo a far parte del colloquio anche l’insieme degli aspetti non verbali che sottendono alla comunicazione. Ogni comportamento umano che si verifica all’interno di un contesto interattivo implica una forma di comunicazione. Ogni comportamento costituisce perciò un veicolo di informazioni, per cui è possibile considerare inesistente la variabile “non comunicazione” anche in presenza di un tipo di comunicazione non intenzionale o inconsapevole delle singoli componenti del processo comunicativo. Sembra, inoltre, non paradossale ritenere che perfino i silenzi siano talvolta molto eloquenti. Entrambi gli interlocutori ricoprono il ruolo di emittente e ricevente in quanto nel colloquio comunicano sia verbalmente sia non verbalmente qualcosa all’altro e reagiscono di conseguenza. Scopo della comunicazione nel colloquio di selezione: Valutare se il candidato è idoneo all’incarico da ricoprire. Raccogliere informazioni sul candidato (supplementari rispetto a quelle contenute nel Selezionatore curriculum vitae e nella lettera di presentazione) così da formulare un giudizio il più possibile circostanziato. Presentare al candidato l’azienda, fornendo informazioni, sulle condizioni e sul tipo di lavoro che dovrà svolgere, sulle prospettive di crescita interne all’azienda, sull’organizzazione nel suo complesso, sul clima, la cultura ed il modo di operare dell’organizzazione La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 4
  • 53. Valutare se si è disposti a ricoprire l’incarico Candidato professionale in questione (se si confà alle proprie aspettative professionali, se è interessante, se ci si sente motivati a svolgere tale mansione lavorativa, ecc.) Il colloquio di selezione altro non è che una conversazione condotta in maniera sistematica, cioè con metodo: si tratta di un’intervista tra due persone che ha lo scopo di permettere ad entrambe di apprendere e valutare qualcosa sull’altra. Il colloquio di lavoro va inteso come promozione: l’obiettivo di ogni candidato è l’assunzione, che concretizza la volontà dei contraenti (azienda-soggetto), i quali riconoscono la reciproca convenienza nell’allacciare stabilmente un rapporto di lavoro. Per cui occorre saper cogliere l’occasione di valorizzare (vendere) le proprie capacità, ma anche di essere pronti a valutare le opportunità di carriera e di crescita professionale che il datore propone. Anche il colloquio di lavoro è dunque una forma di vendita, nel quale si è insieme il prodotto ed il venditore. Quindi, occorre sapersi presentare al colloquio di selezione nel modo più conveniente. Per meglio “confezionare” il colloquio di selezione occorre: preventivamente autovalutarsi; raccogliere preventivamente informazioni sul potenziale datore di lavoro; informarsi sul luogo e sull’orario di lavoro; organizzare bene il proprio tempo ed arrivare puntuali; saper raccontare, avendolo memorizzato perfettamente, il proprio curriculum vitae; sapere ascoltare con attenzione le domande che vengono poste; dare sempre del lei all’interlocutore anche se è più giovane; non confondersi dando risposte precipitose; mostrarsi interessati; chiedere spiegazioni; essere chiari e concisi nelle esternazioni; essere decisi ma non supponenti; non esporsi ad un tono confidenziale; La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 5
  • 54. non interrompere l’interlocutore né parlargli in continuazione, bensì lasciare che si sviluppi un dialogo equilibrato e senza interferenze; Sappiamo che tutto il corpo comunica: perciò, sia attraverso la comunicazione non verbale (posturale) che con l’abbigliamento, si possono trasmettere sensazioni di affidabilità e serietà. A tal proposito, durante un colloquio di selezione, occorre: Guardare in faccia chi ti parla. Non guardarsi intorno e non abbassare lo sguardo continuamente; adottare un comportamento trasparente. Sorridere, ma, soprattutto, comunicare con il corpo apertura e disponibilità. Niente braccia conserte o pugni serrati; occorre escludere atteggiamenti di chiusura. Assumere una postura corretta, diritti e rilassati sulla sedia. Non mettersi a giocherellare con capelli o effetti personali, o tormentarsi le mani. Non avere fretta e non guardare l’orologio in continuazione. Consentire all’interlocutore di scandire il tempo. Assumere un atteggiamento di collaborazione. Occorre dimostrare la capacità di inserirsi in un’organizzazione complessa e competitiva qual è un’azienda. Manifestare interesse per l’incarico che si vorrebbe ci fosse assegnato. Evitare di dichiarare la disponibilità a fare “qualsiasi cosa”. Riguardo al “come abbigliarsi” esiste una quantità infinita di pubblicazioni; ci limiteremo qui a fare brevissime considerazioni: • per le donne va evitato il casual eccessivo, accessori colori e trucco vistosi, ma anche l’insidioso effetto kitsch, che si ottiene indossando abiti inadeguati alla propria età, alla propria specificità lavorativa ed insieme al proprio stile naturale. Occorre evitare, nel modo più assoluto, di voler sembrare diversi da quello che si è. • Anche per gli uomini si deve anzitutto rispettare e rafforzare l’immagine di credibilità che si vuole trasmettere. La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 6
  • 55. Le più frequenti reazioni emotive al colloquio: 1. L’ansia. L’ansia è generata dalla paura di perdere un’occasione importante e, forse, irripetibile. Consigli contro l’ansia non c’è ne sono: tenetevela, vi servirà da stimolo e vi passerà a mano a mano che il colloquio procede. Dovete però controllare quei nervosismi gestuali che sono espressione visibile della vostra ansia (ticchettio della mano sul tavolo, arrotolamento della cravatta, ravviarsi i capelli, etc). 2. La seduzione. La seduzione è un modo inconscio che ha come scopo quello di suscitare l’attrazione e la benevolenza dell’intervistatore. Benché si attribuisca principalmente alle donne, questo tipo di meccanismo è comune anche negli uomini. Cercata di farne buon uso, perché se usata con discrezione può favorire la comunicazione. Non eccedete in atteggiamenti reverenziali. 3. L’aggressività. A volte la timidezza fa brutti scherzi e proteste fare l’errore di mostrarvi troppo sicuri di voi stessi fino a risultare boriosi. Attenzione a non eccedere o a dire cose non vere. L’aggressività può essere indice di difficoltà a sostenere situazioni critiche che invece richiedono calma, riflessività e serenità. 4. Il blocco emotivo. Il blocco emotivo vi può venire per moltissime ragioni, soprattutto se tenete molto a quel posto. Quello che è importante è vivere il colloquio non come una questione di vita o di morte, ma come un’opportunità fra tante. Se non è con questo colloquio sarà con il prossimo che troverete la vostra collocazione lavorativa. 5. La noia. Se siete al vostro ottantesimo colloquio di lavoro potete rischiarlo di condurlo senza interesse e senza determinazione. Anche se non ci credete più, l’opportunità statistica di trovare il lavoro non dipende solo dal numero dei colloqui, ma anche, e soprattutto, dalla qualità degli stessi. Mostrate quindi la stessa freschezza e lo stesso entusiasmo del primo colloquio in quello che potrebbe essere l’ultimo. Se vogliamo concentrare adesso la nostra attenzione sugli obiettivi del colloquio di selezione dal punto di vista del selezionatore, dobbiamo necessariamente allargare la voce scopo della comunicazione, sino a comprenderne almeno quattro: • accertare che il candidato possieda i requisiti richiesti dalla mansione La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 7
  • 56. fornire al candidato i dati sull’azienda e la posizione offerta • controllare validità ed attendibilità delle informazioni già disponibili sul candidato • creare nel candidato una buona impressione dell’azienda Il colloquio di selezione può, quindi, essere considerato un’intervista, guidata dal selezionatore, volta a testare una persona che si presenta, in qualità di candidato, per ricoprire un dato incarico lavorativo. Esso può avvenire in risposta ad una domanda o ad un’offerta di lavoro, noti tramite un pubblico annuncio o una lettera privata. Durante il colloquio di lavoro l’esaminatore può utilizzare diverse tipologie comportamentali, adottando diversi stili di conduzione dell’intervista: • Seduttivo. Il conduttore sembra affrontare il colloquio come se fosse un tentativo di conoscenza non finalizzato alla selezione vera e propria. È molto accomodante, assertivo, fa spesso complimenti al candidato. Attenzione a non esserne complice! • Provocatorio. Il conduttore risulta molto freddo e pone domande dirette; sembra che apertamente voglia provocare il soggetto, contestando quello che dice o ponendo domane di tipo provocatorio sui contenuti, senza cercare mai di mettere a proprio agio il candidato. Attenzione a controllare bene l’emotività! • Paterno. Il conduttore tenta di mettere a suo agio il candidato, cercando di presentarsi con un’area benevola e paterna. Il candidato, in questo clima, potrebbe sentirsi libero di dire ciò che vuole senza paura di essere giudicato. Attenzione: ricordarsi sempre che si è in un colloquio di selezione e alla fine viene emesso un giudizio! • Professionale. Il conduttore, in modo calmo e tranquillo, pone domande che mirano ad ottenere informazioni sul soggetto, senza però creargli ansia e cercando comunque un clima facilitante per il proseguimento del colloquio. Attenzione: occorre sempre mantenere alta la soglia di attenzione! La comunicazione interpersonale:Curriculum Vitae 8