XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
Righetto.Essere digitali non Computercentrici
1. ESSERE DIGITALI,
NON SOLO COMPUTERCENTRICI.
Gabriele Righetto
Centro d’Ateneo di
Ecologia Umana –
Università di Padova
Tecnologia: trasformazione oltre che informazione e
mediante informazione
In un convegno dedicato a ‘Le Tecnologie dell’informatica e della
comunicazione in classe: l’insegnamento scientifico’ può risultare
fuorviante ricordare che la Tecnologia è l’espressione originaria della
cultura dell’uomo il quale, non solo sta nel mondo e prende conoscenza di
se stesso nel momento medesimo in cui progressivamente allarga gli
orizzonti della sua conoscenza del mondo esterno (cultura umanistica e
scientifica), ma anche evolve nelle modalità e consapevolezze della
trasformazione della dimensione esterna ed intima che conivolgono
concretamente la complessità dell’esistente.
La Tecnologia è universo della trasformazione ossia dell’adeguamento
del mondo esterno non a quello che esso già è, ma secondo progetti che
gli uomini elaborano in forme immaginative e progettuali e
conseguentemente produttive.
Gli uomini hanno modificato e modificano il mondo circostante, perché
lavorano, ossia trasformano costantemente loro stessi con conseguenze
sull’ambiente che li circonda.
Questo impegno di modificazione di loro stessi riguarda l’informazione e
la comunicazione.
L’informazione è un processo trasformativo per molti aspetti complesso e
misterioso. Gli uomini hanno consapevolezza che qualcosa accade dentro
la loro mente e che questi accadimenti li modificano: capire qualcosa di sé
e di esterno da sé significa cambiare il modo di essere e di vedere il
2. mondo e di comportarsi. Eppure se tutto questo accadesse solo all’interno
delle singole menti non ci accorgeremmo di nulla.
E’ uno degli aspetti che rende inquietante e affascinante la patologia
dell’autismo: vi sono persone dalle quali riceviamo indizi che è in atto
un’intensa attività nella mente e che esse elaborano loro pensieri e
sensazioni ricevuti da altri e dall’esterno, ma non sono in grado di
comunicare con l’esterno e con gli altri. Il loro mondo è chiuso, o meglio
è una fortezza aperta come diceva Bettelheim.
Sarebbe un grande dramma se tutti fossimo autistici: spettatori di
cambiamenti e incapaci di comunicarlo. In forme in gran parte ancora
insondate invece accade che processi che stanno in una mente possano
essere messi a disposizione di altre menti configurandosi in segni.
Questo universo di segni che vengono messi a disposizione di menti che
esternano i processi avvenuti all’interno delle loro menti su mezzi
extracorporei, dà consistenza reale all’informazione.
Dobbiamo renderci conto che l’informazione è avvenuta sempre e che
essa parte dall’impiego del corpo come fonte di informazione (il riso, la
gestualità, le espressioni di gioia, indifferenza, entusiasmo, dolore, paura,
desiderio, ecc.) fino all’uso della materia esterna come ‘luogo’ a cui
affidare l’informazione: i segni sulla sabbia, sulla terra, le orme, gli
oggetti, gli arnesi, le costruzioni che informano che è avvenuto un
cambiamento voluto da alcuni uomini e che suggerisce dei comportamenti
ad altri uomini.
Queste ultime informazioni non sono solo cambiamento e trasformazione
del mondo esterno, ma sono deposito di informazioni sulla materia stessa
con la messa a disposizione all’esterno di processi che sono accaduti nelle
menti di alcuni uomini.
L’esternalizzazione della mente e il deposito di questa in segni che stanno
presenti nel mondo esterno costituisce la fonte dell’informazione.
Anche gli elementi naturali, quando perdono il carattere del caos
indistinto e diventano differenze, ossia segni, sono informazione messa a
disposizione.
Segni e segnali
Ma un’informazione è una ricchezza perduta se non c’è qualcuno che la
coglie come segno e segnale disponibile e la traduce in strumento per far
accadere una trasformazione nella sua mente, ossia non internalizza
l’informazione.
3. Se vedo le orme di cervi e li internalizzo come informazione che di lì è
passato un branco, allora posso prendere comportamenti conseguenti. Se
percepisco un vaso e lo colgo come informazione che dentro vi è qualcosa
o che dentro vi posso mettere qualcosa, allora internalizzo
un’informazione e trasformo la mia mente nel momento in cui entro in
rapporto con tali segni-segnali.
Se non capisco che sono segni-segnali l’informazione rimane inerte e non
provoca nessuna trasformazione nella mente dell’astante.
Credo sia fondamentale aver richiamato la stretta connessione sempre
esistente tra tecnologia della trasformazione e tecnologia
dell’informazione, per mettere in chiaro che non può darsi utilmente una
separazione tra le tecnologie dell’informazione da una parte e le
tecnologie della trasformazione dall’altro. Le une e le altre sono
compenetrate.
Occorre comunque un’altra precisazione: le tecnologie della
comunicazione sono impropriamente chiamate tecnologie, forse sarebbe
più esatto chiamarle metodi di comunicazione.
Metodi di comunicazione
Ad ogni buon conto, senza sottilizzare troppo sulle parole, forse è
opportuno precisare cosa s’intende per comunicazione.
Si ha comunicazione quando un soggetto o più soggetti, mediante azione
e produzione di segni o segnali esterni, inducono processi mentali,
conoscitivi, apprenditivi e comportamentali in altro soggetto o soggetti,
ossia quando si mette in comune dell’esperienza senza che questa sia
stata esperita nel medesimo spazio e tempo.
Per far sì che i processi mentali si veicolino da alcuni soggetti ad altri
soggetti non basta produrre dei segni-segnali contenenti informazione, è
necessario che si segua un metodo per cui si ottenga un credibile riscontro
del fatto che un bagaglio di esperienza è passato da un soggetto emittente
informazione ad un altro soggetto recettore di informazione, per cui fra
loro è avvenuta com-unic-azione che conduce non solo a conoscere cose
in comune, ma a fare cose in comune.
La produzione di tecniche e tecnologie di informazione non è
automaticamente produzione di comunicazione. Occorre che i soggetti
produttori e utilizzatori di informazione si scambino un metodo di
4. trattamento dell’informazione oppure siano dotati di un comune metodo
di trattamento dell’informazione.
Educare agli infoggetti
Fatta la precedente premessa, passiamo ad alcune considerazioni
sull’intervento dall’infanzia all’adolescenza, tenendo sempre conto che le
tecnologie dell’informazione non sono disgiunte dalle tecnologie della
trasformazione e che i processi di comunicazione sono sempre
indispensabili.
Rispetto ad alcuni saperi essenziali tipo
- impara l’arte e mettila da parte sintesi della cultura agrario -
artigianale
- e del leggere-scrivere-far di conto sintesi primaria per la cultura
industriale,
- l’infoindustriale fa sintesi con il digitare, far girare, elaborare,
navigare, implementare e interfacciare che siglano le azioni
dell’operatività dell’infoindustriale.
Avere a che fare con un sistema che immette input, comanda elaborazioni
ad un dispositivo con chip / microprocessori, rivela esiti in
display/monitor o sensori consimili e consente di produrre outputs
operativi con periferiche dalla semplice stampante a sistemi operativi
complessi ed elaborati come ad esempio il CAD/CAM, nucleo operativo
della situazione infoindustriale, tutto ciò significa comunicazione con
interazione di tecnologie della trasformazione e dell’informazione.
Allora noi dobbiamo porre precocemente i bambini nella condizione
dell’accesso alla triade tastiera/display/periferica operativa e far capire,
in modo facilitato e graduale, che tutti gli infoggetti (dal Lego robot agli
oggetti spaziali telecomandati) appartengono alla logica di questa triade,
pur con livelli di complessità diversi.
Si tratta di introdurre nella scuola, sin dai primi livelli, da un lato l’uso
consapevole degli infogiocattoli per portare i bambini a livelli di ludicità
alta e creativa con supporto di infoggetti e dall’altro dobbiamo portarli ad
un uso friendly del computer.
5. L’infodesk
Credo sia però opportuno introdurre la tastiera come strumento normale
fin dai primi giorni di scuola, esattamente come i nostri nonni avevano
penna, carta e calamaio.
Occorre porre una domanda al mercato perché produca degli elaboratori
semplificati per l’infanzia in grado di gestire elementi molto essenziali di
videoscrittura e computergrafica fin dai primi anni di scolarizzazione.
La tipologia del banco di scuola deve cambiare e configurarsi come un
infodesk.
Ovviamente sento già le facili obiezioni: ma così si ucciderà la parte
creativa dei bambini.
Non solleviamo subito le contrapposizioni più scontate e immotivate
secondo dei riflessi condizionati consolidati: i bambini continueranno a
disegnare in maniera espressiva come hanno sempre fatto, scriveranno
manualmente come hanno sempre fatto. Solo che avranno in
concomitanza la videoscrittura e la videografica semplificati.
L’obiezione un po’ più fondata è quella dei costi: oggi molti videogiochi
consentono videoscrittura e computergrafica idonea ai bambini.
Le scuole, anche consorziandosi, possono realizzare degli infodesk
commissionandoli a piccole industrie, a cooperative di giovani e
addirittura penso agli studenti di istituti tecnici e tecnologici condotti da
team di dirigenza avanzati. Sono anche convinto che almeno a livello
sperimentale le Regioni siano in grado di finanziare reti di scuole pronte
ad innovare in modo serio e produttivo. Occorre dare avvio a processi di
autonomia scolastica virtuosi.
Un altro strumento che ritengo indispensabile è lo scanner.
La scannerizzazione consente di esperire l’interfaccia ad esempio tra
disegni e scritti prodotti dai bambini e la loro immissione in ambiente
digitale e quindi avere successivamente il modo di condurre operazioni di
tipo elettronico su materiali inizialmente manuali.
Sul piano educativo come non ha senso arroccarsi su posizioni di difesa
acritica della tradizione e del passato considerandoli impeccabili e
perfetti, così non ha senso separare nettamente il vecchio e il nuovo. Il
digitale non è sopraggiunto per distruggere tutto il precedente, ma
semplicemente per offrire nuove e potenti opportunità.
6. L’operazione culturale motivata consiste nel realizzare la più alta ed
evoluta integrazione tra precedenti agrario-artigianali e industriali e
dotazioni digitali – bioelettronici.
La scannerizzazione è un transito molto semplice tra il mondo predigitale
e il digitale ed è un’esperienza facilitata di interfaccia.
I materiali scannerizzati consentono poi, una volta entrati in ambiente
digitale, di fare molte altre operazioni elaborate, mediante processi
elementari del tipo taglia, copia, incolla, riproduci in sequenza, colora,
retina, riduci, ingrandisci, seleziona, rendi tridimensionalmente, ecc.
insomma il vasto contesto del ‘modifica’ che è il generale contesto della
flessibilità interna del digitale.
Su questa capacità del ‘portar dentro’ all’ambiente digitale anche
materiali che digitali inizialmente non sono, si potrebbero dire molte altre
cose, ma per brevità basti sottolineare la rilevanza della possibilità di
elaborare abbastanza facilmente materiali di provenienza varia.
E' un'esperienza importante che i bambini ad esempio siano in grado di
elaborare digitalmente disegni da loro prodotti all’inizio in maniera
manuale o foto di tipo tradizionale e far loro capire che il manuale e il
digitale concorrono senza conflittualità con proprie capacità e proprietà
positive e specifiche.
Sulla flessibilità dell’interfaccia invito quindi a riflettere e soprattutto a
produrre creativamente.
Ma è un’altra deriva culturale che voglio invece evidenziare.
Troppa burotica
Ricordo che tra la fine degli anni 70 e i primissimi anni 80 si faceva
un’arcaica distinzione tra:
- burotica
- robotica
- e domotica
ossia, per dirla in breve,
- tra informatica applicata in campo amministrativo ed impiegatizio
con punto focale incentrato su computer e programmi adeguati
(burotica);
- tra informatica applicata a macchine automatizzate mediante
sistemi internalizzati e automatizzati con circuiti integrati e
microchip, di cui i robot nelle versioni varie erano espressione
evidente e che costituivano la base per la fabbrica automatizzata
(robotica);
7. - tra l’informatica, ancora, che entrava nella natura dei devices
abitativi e domestici e avviava l’automatizzazione dei servizi
all’abitazione.
Aspetto annunciato, ma non ancora molto sviluppato nella società
digitale, ma facilmente prevedibile per il prossimo futuro
(domotica).
Oggi, al di là del tramonto della terminologia paleodigitale, possiamo dire
che nella scuola si è avuta un’immotivata egemonia della burotica, per cui
lo scolastico si è tramutato in computercentrico, tradendo la natura ampia
e complessa del mondo industriale e dell’infosocietà, di cui forse la robotica
è il vero tratto innovativo.
Allora forse bisogna introdurre alcuni correttivi per cui precocemente va
immesso nella scuola, già dai primi cicli, il mondo della robotica, dapprima
attraverso le modalità consimili al Lego robot e poi progressivamente con
sistemi automatizzati che possono essere costruiti all’interno stesso delle
scuole, soprattutto con intese a rete che abbiano come scuole capofila istituti
tecnici di alta qualità, come il Malignani qui a Udine.
Robotica: l’informazione che si fa trasformazione
La questione della robotica presenta una grande rilevanza perché la robotica è
quella parte della tecnologia digitale che si pone chiaramente il problema della
tecnologia della trasformazione e quindi accoglie la miniaturizzazione e la
dematerializzazione come uno stile di lavoro della società digitale, ma non
cade nell’illusione del velo di Maia che la digitalizzazione sia solo effimero
soft senza ricadute hard nel mondo reale, insomma non culla l’evanescenza
della separazione tra mondo virtuale e mondo reale.
Essi sono mondi inscindibilmente contigui e sono soltanto le tecnologie
linguistiche che possono divenire autoreferenti a se stesse e rintanabili in
mondi di segni e non in mondi di luoghi.
La scuola ha quindi un forte bisogno di sfuggire all’egemonia della
burotica ed entrare nel mondo palpabile della robotica, sapendo che
questa entrata pone i problemi della sostenibilità, della compatibilità
ambientale e del valore del contesto.
Insomma si ritorna, ma senza rimpianti per vecchi paradigmi, alla fonte
vitale dell’ecosistema.
Certo ho trascurato la domotica, che nell’immediato futuro avrà sviluppo,
ma la domotica, pur con le doverose distinzioni e specificità, altro non è
8. che la robotica delle abitazioni e quindi va salvaguardato un principio
generale che è quello della diffusione delle tecnologie digitali della
trasformazione.
La domotica altro non è che la versione elettronica della dotazione
domestica, come gli elettrodomestici (universo di macchine) sono stati
l’espressione più matura dell’industrialismo all’interno delle case. La
domotica non è e sarà che la domesticizzazione dell’infosocietà.
Lettura ecologica del tecnologico
Una volta che si ritrova ancora la sintonia tra tecnologia della
comunicazione e tecnologia della trasformazione allora riprendono le
fondamentali questioni dell’identità culturale della tecnologia.
La tecnologia non è neutrale rispetto all’ambiente sia fisico che sociale.
Ne può fare un uso impattante o ecosostenibile e non si può pensare che
le due strategie possano svilupparsi spontaneisticamente, occorre
un’educazione precoce e avanzata che non ha assunti arcadici e nostalgici
di un ambiente premoderno, ma anche in contesto infoindustriale va
rivendicata la comprimarietà dell’evoluzione culturale ed economico-
tecnologica con la salvaguardia dei valori ambientali.
Allora si tratta di educare al tecnologico, ossia al mondo degli artefatti
con una eco-logica che vuol dire trasformazione compatibile.
Innovazione estesa fino a quanto il capitale natura mette a disposizione
come risorsa compatibile, ossia secondo una sana logica
ecoimprenditoriale.
Anche questo è un aspetto educativo da non lasciare a classi sociali
residuali ed elitarie. Il capitale natura è di tutti e va gestito con le modalità
più evolute.
Ogni trasformazione comporta una modificazione dell’ecosistema e non
tutte le trasformazioni sono sostenibili sul piano ambientale,
socioculturale ed etico.
Non basta educare ad un’utenza informata, ma anche responsabile e
orientata ad una lettura ecologica del tecnologico, rilevando il
sostenibile, la valutazione di impatto ambientale e l’ambientalmente
riparativo.
Vi sono alcune tecnologie (acquedotto, rete elettrica, rete del metano,
depuratori, discariche, termorecupero, rete telematica e satellitare,
radiofonia mobile, (per citare solo le più importanti) che richiedono non
9. solo la capacità di essere utenti, ma anche lo sviluppo di una cittadinanza
attiva e responsabile.
La dimensione delle ecotecnologie va gestita in progressione e
gradualmente. Per i bambini piccoli si può spiegare ed educare all’uso di
aria, acqua, suolo, energia in un’ottica di non spreco e valorizzazione
delle risorse, per poi portarli via via alla conoscenza più approfondita di
impianti e di reti tecnologici mirati specificamente alle questioni delle
ecotecnologie.
Transizione di paradigma
Nell’attuale fase storica nella società a cui apparteniamo stiamo
assistendo ad un progressivo passaggio dal paradigma
elettromeccanico a quello elettronico, informatizzato e automatizzato.
Questo comporta un’incidenza notevole sulla realtà concreta e fisica e non
solo sulla dimensione digitale.
Vuol anche dire che la transizione di paradigma tocca gli ambiti del
vissuto quotidiano fino alle più vaste dimensioni territoriali.
Se non si rinserrano immotivatamente le tecnologie dell’informazione e
comunicazione alla sola dimensione computercentrica e a configurazione
burotica, allora occorre offrire, dall’infanzia all’adolescenza,
un’educazione all’utenza consapevole del territorio e dell’ambiente in cui
agisce il tecnologico digitale dentro l’assetto degli ecosistemi.
Gradualità spaziale, non solo argomentativa
La gradualità dell’approccio non è riferibile solo alla complessità degli
argomenti e delle competenze da acquisire, ma anche alla gradualità
ambientale e territoriale.
I bambini e i ragazzi e poi gli adolescenti vanno aiutati a cogliere le
presenze nella gradualità che va dagli edifici (scuola e abitazione come
riferimenti primari), ai primi aggregati urbani intesi come isolati e
quartieri, alle città (l’infocittà, ossia la sua digitalizzazione è una
questione importante e complessa, ma che va affrontata almeno dalla
preadolescenza) per arrivare alla visione metropolitana e dei territori
estesi.
10. Per sintesi evidenzio i quattro filoni irrinunciabili di tipo tematico che
riguardano il tecnologico e all’interno dei quali va sviluppata un’azione
concertata di educazione alle tecnologie dell’informazione e
comunicazione in modo integrato:
• il filone ingegneristico (oggetti [arnesi, strumenti] – macchine – impianti –
reti materiali e immateriali) anche questo filone tradizionale sta conoscendo
una profonda transizione dal paradigma meccanico ed elettromeccanico a
quello, almeno misto, di tipo digitale, quasi tutti gli oggetti stanno
incorporando in loro stessi o una modalità digitale di produzione o degli
elementi digitali e pragrammati elettronicamente come nuovo status di
artefatti;
• il filone architettonico/urbanistico (edifici-isolati-città-metropoli-territorio
insediato) non solo a livello di progettazione, ma anche nella realizzazione
dell’ambiente costruito, sempre più l’edificato si arricchisce di
componentistica digitale e i bits divengono in modo sempre più determinate
parti costitutive dell’edificare come i mattoni, il cemento, l’acciaio, il vetro.
Gli edifici sono sempre più impastati di bits.
• il filone agrario (boschi-foreste, coltivazioni, allevamenti, tecnologie
alimentari, biotecnologie, governo del paesaggio) i campi di ricerca e di
preparazione dei materiali sono sicuramente interessati in maniera cospicua dal
digitale, ma in genere il monitoraggio e il governo del territorio agrario sono
digitalizzati sempre più;
• il filone ecologico ( cotecnologie dell’aria, del suolo, dell’acqua, dell’energia
e
[filtri, riciclo/smaltimento residui, termorecupero, depuratori, centrali
energetiche sostenibili, tutto dentro una configurazione di tecnologia
dell’artificiale sostenibile]): ogni cosa è gestibile nella sua assoluta complessità
con il concorso e l’ausilio almeno della strumentazione digitale.
Gli istituti si digitalizzino territorialmente. Con autonomia.
E’ chiaro che attivare un’educazione al tecnologico comporta un impegno
vasto e di difficile approccio. Devono essere alla fine i singoli istituti ad
elaborare, secondo il principio dell’autonomia, un piano educativo che
favorisca un’adeguata educazione al tecnologico e allo scientifico in
rapporto al territorio di appartenenza.
Ma devono essere anche i singoli docenti a ricalibrare una materia così
complessa declinandola sulle caratteristiche dei propri allievi.
I docenti è bene abbiano coscienza che difficilmente possono far fronte da
soli ad un contesto talmente articolato.
E’ indispensabile farsi risorsa comunitaria, ossia lavorare in team con
gli altri docenti e ancor più lavorare in rete. In rete non solo perché così si
usano le tecnologie della comunicazione a distanza, ma soprattutto perché
11. si producono comunanze e collaborazioni che non si rinserrano in
localismi o povertà di approcci.
Farsi collaborativi in rete, perché i ragazzi possano crescere conoscendo e
agendo in modo consono, cioè scientificamente, tecnologicamente ed
eticamente adeguato rispetto al 'villaggio reale' in cui vivono ed operano,
ma sapendo far ricorso e partecipazione profittevoli anche al ‘villaggio
globale’, ossia risultando aperti alle strade del mondo che non sono solo
quelle bianche del mondo preindustriale o asfaltate del contesto
industriale, ma anche autostrade dei bits proprie dell’infosocietà.
Udine 27 aprile 01