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Corso di formazione
―EDUCATORE, CONTESTO SCUOLA E FAMIGLIE –
NORMATIVE, RELAZIONI E ATTIVITA’ ‖
Modulo 1
“I Bisogni Educativi Speciali”
Docente Prof.ssa Silvia Rosati
2
Bes
Bisogni educativi speciali
I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI nella Normativa
 Direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 «Strumenti di intervento
per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione
territoriale per l’inclusione scolastica»
Si tratta di un documento emanato dal Dipartimento per l’Istruzione.
Direzione generale per lo studente , l’integrazione, la partecipazione e la
comunicazione e firmato dal Ministro Profumo
 C.M n. 8 del 6 marzo 2013, Indicazioni operative per la direttiva,
emanata dal Dipartimento per l’Istruzione, a firma del capo
Dipartimento, Lucrezia Stellacci.
 Ordinanza Ministeriale n. 13 del 24 aprile 2013, Esami di Stato
2012/2013: art. 18.
La Direttiva del 27 dicembre 2012
La Direttiva del 27 dicembre 2012 si basa su una nuova impostazione
derivante da studi e riflessioni collegate al sistema di concettualizzazione
del funzionamento umano dell’ICF (International Classification of
Functioning, Disability and Health) e alla prospettiva con cui l’OMS nel
2002 legge la situazione di salute e di funzionamento di una persona.
Il modello ICF, infatti, è la base per la diagnosi funzionale e per il
riconoscimento dei «bisogni educativi speciali»
Cos’è l’ICF ? È la classificazione delle caratteristiche della salute delle
persone all’interno del contesto delle loro situazioni di vita individuali e
degli impatti ambientali.
L’ICF ha le seguenti caratteristiche:
 Il concetto di salute che sta alla base del modello ICF salute non e’
assenza di malattia, ma benessere psicofisico e sociale, ponendosi così
in contrasto con la visione tradizionale di salute.
3
Concezione tradizionale Concezione secondo ICF
Menomazione: esteriorizzazione di uno
stato patologico
Disabilità: oggettivazione della
menomazione (restrizione o carenza della
capacità di compiere una attività, malattia
o disturbo)
Handicap: socializzazione del deficit
(condizione di svantaggio conseguente
alla menomazione)
Non più disabilità’ ma “limitazione delle
attività personali”
Non più “handicap” ma “diversa
partecipazione sociale”
Disabilità come risultante dell’interazione
tra funzionamento umano e fattori
contestuali.
Disabilità come fenomeno sociale
multidimensionale
 Fornisce un linguaggio standard e unificato, condiviso a livello
mondiale e da diverse figure professionali. Serve a descrivere,
comunicare, progettare azioni. NON misura e NON valuta. NON
CLASSIFICA le persone, ma la salute e gli stati di salute ad essa
correlati.
 Il linguaggio nell'ICF è neutrale rispetto all'eziologia, enfatizzando la
"funzione" rispetto al "tipo di malattia".
 L’individuo non viene considerato in sé, ma nel rapporto dinamico ed
interattivo con il proprio ambiente di vita. Il funzionamento e la
disabilità sono viste come una complessa interazione tra le condizioni di
salute dell'individuo e l'interazione con i fattori ambientali e personali.
La classificazione considera questi aspetti come dinamici e in
interazione, non come statici, per questo essa non valuta solo la
disabilità e l'handicap. Siccome la disabilità è un'interazione con
l'ambiente, l'ICF è applicabile a tutte le persone, anche quelle in perfetta
salute.
 Propone una visione complessa del funzionamento umano, intesa come
comprensione individuale e globale della persona, del tutto diversa
dall’etichettatura diagnostica, nosografica ed eziologica di un’eventuale
sindrome patologica (modello bio-psico-sociale). Interpreta la salute e il
funzionamento umano come risultante dell’interazione complessa,
globale e multidimensionale tra fattori biologici, biostrutturali,
funzionali, di capacità, di partecipazione sociale e contestuali,
ambientali e personali.
Salute e funzionamento sono considerati la risultante di
un’interconnessione complessa, globale e multifunzionale tra una serie
di fattori:
condizioni fisiche
4
funzioni e strutture corporee
attività personali
partecipazione sociale
fattori contestuali (ambientali e personali)
Il modello ICF e la lettura delle stringhe
5
Le condizioni fisiche sono indicate con la lettera «b»
FUNZIONI CORPOREE
Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei
(comprese le funzioni psicologiche). Le menomazioni sono problemi nella
funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una
perdita significativa
6
STRUTTURE CORPOREE
Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo,come gli organi,
gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi nella funzione
o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita
significative
Le strutture «s» hanno tre qualificatori: il primo indica la gravità, il
secondo la natura della menomazione(il tipo di alterazione), il terzo la
sua localizzazione.
7
ATTIVITÀ E PARTECIPAZIONE
L'attività è l'esecuzione di un compito o di un'azione da parte di un
individuo.
La partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita.
Le limitazioni dell'attività sono le difficoltà che un individuo può
incontrare nello svolgere delle attività. Le restrizioni alla partecipazione
sono i problemi che un individuo può sperimentare nel coinvolgimento
nelle situazioni di vita
Le stringhe che cominciano per «d» (attività e partecipazione) hanno due
qualificatori il primo indica la performance, ciò che un individuo fa in un
8
contesto sociale; il secondo descrive la capacità, l’abilità dell’individuo
di eseguire un compito o un’azione da solo
FATTORI PERSONALI
I fattori personali si riferiscono alle abilità, agli atteggiamenti, alle
competenze, alle capacità, agli stili di apprendimento e di comunicazione,
alla capacità di resilienza dei soggetti che influenzano il loro
funzionamento
9
FATTORI AMBIENTALI
I fattori ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l'ambiente fisico e
sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.
Essi devono essere codificati dal punto di vista della persona della quale si
sta descrivendo la situazione. Ad esempio, marciapiedi senza scalino
possono essere codificati come facilitatori per una persona che fa uso di
sedia a rotelle ma come una barriera per un non vedente che non percepisce
la differenza fra marciapiede e strada. Inoltre un fattore ambientale può
essere una barriera sia a causa della sua presenza (ad esempio,
atteggiamenti negativi verso le persone con disabilità) sia della sua assenza
(ad esempio, la mancata disponibilità di un servizio necessario).
Il qualificatore indica il grado in cui un fattore rappresenta un facilitatore o
una barriera.
Le stringhe che riguardano i fattori ambientali/ personali «e» impiegano
due tipi di qualificatori che possono essere rispettivamente un facilitatore
se indicato dal + o una barriera se è preceduto dal punto.
10
Dove capacità e performance sono rispettivamente:
L’ICF-CY? E’ la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della
Disabilità e della Salute specifica per Bambini e Adolescenti (fino a 18
anni) . E’ complementare all’ICD-10 e ha lo scopo specifico di cogliere e
descrivere l’universo del funzionamento dei bambini e degli adolescenti.
Presenta delle specificità:
 Il funzionamento del bambino non può essere capito vedendo il
bambino isolatamente bensì vedendolo nel contesto del sistema
familiare.
 Rilevanza della possibilità dello ―sfasamento‖ nella comparsa di
funzioni, strutture, capacità.
 Relatività della ―partecipazione‖ (la prospettiva sociale del
funzionamento).
 Variabilità progressiva degli ambienti e una maggior forza del loro
impatto
11
Utilizzare la classificazione ICF
Come si fa?
Si cerca fra gli oltre 1000 codici ICF quelli adatti a descrivere i nostri
alunni e per lo specifico codice si fa riferimento ai singoli aspetti del
modello ICF connotati dalla specifica lettera e in riferimento alle
sottocategorie relative, qualificando 0 1 2 3 4 - NESSUNA difficoltà -
difficoltà LIEVE - difficoltà MEDIA - difficoltà GRAVE – difficoltà
COMPLETA
12
13
14
Concludendo L’ICF non è una scala di misurazione, ma consente di
osservare e valutare; i risultati di questa valutazione vengono elaborati in
riferimento ad un modello antropologico di tipo bio-psico-sociale.
La condizione di salute e di funzionamento di una persona è la risultante
globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati in uno schema.
Il focus non è sul bisogno espresso dall’alunno, ma sulle condizioni
contestuali che possono rappresentare un ostacolo o un facilitatore a
seconda per il soggetto. In tal senso l’ICF l’ICF riguarda non soltanto le
persone con disabilità, ma riguarda TUTTI GLI INDIVIDUI. Ognuno di
noi può incorrere, nel corso della vita, in una situazione di limitazione
dell’ATTIVITA’ e della PARTECIPAZIONE.
Il Bisogno educativo speciale nella scuola
Il concetto di bisogno
Il bisogno educativo speciale, dunque, si rileva quando il soggetto
osservato presenta problemi di funzionamento rispetto ad una o più polarità
del modello.
Un alunno con BES è un alunno con apprendimento, sviluppo e
comportamento in uno o più dei vari ambiti e competenze, rallentato o
problematico e questa problematicità è riconosciuta per i danni che causa al
soggetto stesso.
15
Questi rallentamenti o problematicità possono essere: globali e pervasivi
(es. autismo), specifici (es. DSA), settoriali (es. disturbi da deficit di
attenzione con iperattività) più o meno gravi, permanenti o transitori.
I fattori causali possono essere a livello organico, psicologico, familiare,
sociale, culturale, ecc.
In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno
di sviluppare competenze, di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di
accettazione, ecc,) si connotano per qualcosa di particolare, di «speciale».
L’alunno necessita allora di approcci educativi, didattici, psicologici
personalizzati.
Ma perché si possa costruire una strategia di intervento è doveroso
procedere con alcune precisazioni.
In primis il concetto di "bisogno" ha per lo più connotazioni negative nella
nostra lingua e, per qualche aspetto, anche in alcune teorie psicologiche.
Partendo da alcune teorie psicologiche che si sono occupate di bisogni
(Maslow, Murray, Lewin) e da posizioni filosofiche come quella di
Heidegger, è necessario ripensare al concetto di bisogno non tanto come ad
una mancanza, privazione o deficienza, in sé negativa, ma come ad una
situazione di dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi
ecosistemi, relazione che (se tutto va bene) porta alla persona che cresce
alimenti positivi per il suo sviluppo. In altre parole, cresco bene in
apprendimenti e partecipazione se questa relazione "gira bene" e posso
trovare risposte e alimenti adeguati al mio sviluppo.
In secundis il concetto di "speciale", applicato ai bisogni e agli interventi
educativi e didattici negativo, viene considerato dai sostenitori del modello
sociale della disabilità e da molti studiosi dell'area dei Disability
svalorizzante ed espressione di una costruzione sociale emarginante che
opera per l'oppressione e la marginalizzazione di particolari gruppi
minoritari di persone e di chi ha qualche differenza rispetto ad aspettative e
standard culturalmente e storicamente determinati. Sarebbe molto meglio,
ad esempio secondo Vehmas, pensare che "ci sono solo bisogni che sono
unici in ogni individuo".
Questo è sicuramente vero, ma ci sono situazioni problematiche di
funzionamento che fanno diventare speciali i bisogni normalissimi e unici:
in tali situazioni diventa più complesso fare in modo che i bisogni
16
ottengano risposte adeguate. Dunque situazioni più complesse che
richiedono azioni più complesse, "speciali".
Sicuramente esistono dinamiche di oppressione e marginalizzazione, ma
esistono anche situazioni problematiche "in sé", al di là dei meccanismi di
potere, che ovviamente vanno smascherati e combattuti.
Una posizione critica radicale al concetto di bisogno o di diversità e ad
interventi istituzioni formativi e sociali operati in risposta rischi di divenire
paralizzante, precludendo possibilità operative positive nella realtà attuale
della scuola.
La complessità delle problematiche
Rispetto alla complessità delle ―problematiche‖ che presentano gli alunni
nelle nostre scuole, se accettiamo il dominio del modello medico
tradizionale saremo costretti a cercare sempre un’eziologia biostrutturale
oppure a negare lo status di reale difficoltà a una problematicità di
funzionamento che non sia evidentemente causata da menomazioni o danni
fisici.
Una diagnosi nosografica ed eziologica è ovviamente fondamentale per
progettare e realizzare interventi riabilitativi, abilitativi, terapeutici,
preventivi, epidemiologici, ecc., ma è spesso una diagnosi che frammenta,
che consolida appartenenze e categorie ma non aiuta a fondare politiche di
equità reale nelle nostre Scuole. Può darsi infatti che un alunno con una
situazione sociale e culturale disastrosa abbia un funzionamento reale ben
più compromesso e bisognoso di interventi (in una Scuola davvero
inclusiva) rispetto al funzionamento reale di un alunno con disabilità
specifica.
Il modello ICF intende far proprio un approccio decisamente educativo,
«per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla
base della eventuale certificazione che certamente mantiene utilità per una
serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in
una cornice ristretta» e va a identificare un’area vasta di svantaggio
scolastico: certificato, non necessariamente certificato, non sempre
certificabile.
E per una lettura e riconoscimento dei bisogni reali di un alunno, interessa
di più comprendere la situazione specifica di funzionamento, per così dire
«a valle» di una qualche ineliminabile diagnosi clinica di tipo nosografico
ed eziologico: comprendere cioè l’intreccio di elementi che adesso, qui e
ora, costituisce il funzionamento di quell’alunno in quella serie di contesti.
17
A scuola si fanno i conti quotidianamente con i funzionamenti «a valle»,
con gli intrecci più diversi di fattori personali e sociali, che nel tempo
rendono molto differenti i funzionamenti anche di persone «uguali» per
alcuni aspetti biostrutturali.
Chi si approccia alla realtà di una scuola non può che porsi nella
prospettiva dell’homo complexus di E. Morin, individuando, alla maniera di
Ianes, la specialità dei bisogni educativi in particolari condizioni di human
functioning (Special Educational Needs su base antropologica ICF/OMS);
la specialità delle ―normali‖ differenze individuali; la necessaria ed
efficace specialità di alcuni interventi.
Il rischio delle tipizzazioni
Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il
modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali
dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. (Premessa). Si vuole
cercare di dirigere l'attenzione sulle situazioni personali specifiche, al di là
e al di fuori delle etichette categoriali: ad esempio: ―il‖ borderline, ―lo‖
svantaggiato, ―lo‖ straniero, e così via. In sostanza, si indica chiaramente
che occorre partire dalla constatazione - o meno - dell'esistenza di un
bisogno di personalizzazione e non dall'appartenenza ad una categoria
nosografica o socioculturale.
Non tutti gli studenti appartenenti alle categorie esemplificative elencate
nella Direttiva inevitabilmente vivono situazioni di BES, ma soltanto che
alcuni di loro, a causa delle difficoltà elencate o di altre problematiche,
possono esservi coinvolti. ―In questo senso, ogni alunno, con continuità o
per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per
motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali,
rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e
personalizzata risposta.‖ In sostanza, si indica chiaramente che occorre
partire dalla constatazione - o meno - dell'esistenza di un bisogno di
personalizzazione e non dall'appartenenza ad una categoria nosografica o
socioculturale
Se lo sguardo diagnostico tendeva a vedere i sintomi e quello che non va,
nel cambio di prospettiva operato dalla Direttiva, lo sguardo pedagogico
tende a evidenziare e a capire quale profilo psicopedagogico presenta
18
l’alunno, come apprende, quali capacità e interessi dimostra, quali sono le
sue inclinazioni e quale linguaggio utilizza.
In Italia l’ICF si è diffuso con forza nel mondo dell’educazione e della
Scuola, grazie anche al fatto che ha trovato una forte affinità con la cultura
pedagogica italiana e con la sua visione antropologica, molto sociale e
legata ai contesti di vita, tant’è che prima della Direttiva, l'Intesa Stato-
Regioni, siglata il 20 marzo 2008 sulla presa in carico globale dell’alunno
con disabilità, prevede per la prima volta a chiare lettere l’uso di ICF come
modello antropologico su cui fare la diagnosi funzionale per gli alunni con
disabilità: «La Diagnosi Funzionale è redatta secondo i criteri del modello
bio-psico-sociale alla base dell’ICF dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità» (art. 2, comma 2).
Non succede lo stesso in altri Paesi europei, dove la cultura pedagogica ha
seguito sviluppi diversi dalla nostra e dove ICF viene addirittura osteggiato
da chi segue una visione culturale e sociale delle difficoltà e disabilità
perché ritenuto — a torto — troppo «medico»
Le sottocategorie individuate dalla Direttiva
La Direttiva individua tre gruppi di alunni /studenti con bisogni educativi
speciali. Alunni con:
1. Disabilità
2. Disturbi evolutivi specifici: problematiche specifiche con competenze
intellettive nella norma accomunati dall’origine in età evolutiva
 DSA
 ADHD deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività
 Altri disturbi evolutivi : deficit del linguaggio, delle abilità non
verbali, della coordinazione motoria e
 Funzionamento cognitivo limite QI 70-85 senza elementi di
specificità (funzionamento intellettivo limite è definito area di
confine tra 1 e 2; interessa il 2,5% degli studenti, circa 200.000
alunni)
3. Con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale:
 Alunni stranieri
 Alunni a rischio per problemi di Bullismo, alcool, Stupefacenti.
19
Le parole chiave nella Direttiva
(n.b. numerosi argomenti cui si fa cenno, saranno oggetto di
approfondimento nei moduli successivi)
Le attività che una scuola inclusiva è chiamata a realizzare in presenza di
Bisogni Educativi Speciali sono le seguenti:
 osservare
 valutare
 comprendere il funzionamento
 descrivere
 comunicare
 programmare azioni
Una scuola inclusiva : dalla presa in carico da parte di tutti i docenti alla
personalizzazione e documentazione dei percorsi
La Direttiva porta a conclusione un processo di trasformazione della
scuola italiana, iniziato a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e si
richiama in maniera esplicita ai principi di personalizzazione dei percorsi di
studio della legge 53/2003 e soprattutto alla Legge 170 che «apre un
diverso canale di cura educativa». Per alunni con BES è necessario un
percorso individualizzato e personalizzato, anche attraverso un Piano
Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della
classe con BES, ma articolato, con la funzione di documentare alle famiglie
le strategie di intervento programmate.
Si afferma la prospettiva della “presa in carico” da parte di tutti i
docenti curricolari e non solo dell’insegnante di sostegno. Si dice che
alcune tipologie di disturbi non esplicitati nella legge 170/2010 danno
diritto ad usufruire delle stesse misure previste (ad esempio disturbo dello
spettro autistico lieve o ADHD.)
Suggerisce la necessità di una didattica inclusiva più che di una didattica
speciale.
Si rilancia la formazione dei docenti, specie curricolari.
Si definisce la riorganizzazione dei Centri Territoriali di Supporto, che, si
dice, vanno ripensati nel ruolo e nelle funzioni: supporto all’inclusione, nel
legame con le altre istituzioni operanti sul territorio, fornitura di servizi con
particolare riferimento all’ uso delle NT; consulenza; formazione, nella
logica di un modello cooperativo di intervento
20
Qualche interrogativo
 In primo luogo sono stati sollevati dubbi di natura giuridica: normare la
materia sui BES può essere fatto sulla base di una Direttiva ? E si
possono inferire diritti di legge in capo ad alunni che non ne hanno
titolo?
Non esiste forse una forzatura nell'estendere ad altre categorie, sulla
base di considerazioni socio-pedagogiche, i diritti che la legge 170 ha
posto in capo a specifici gruppi di studenti, affetti da disturbi, la cui
identificazione è rimessa a procedure e competenze definite.
 Vi sono poi dubbi di natura pedagogica: una nuova categorizzazione
non rischia di creare occasioni di separazione, anziché di inclusione?
Non porterà ad un abbassamento degli obiettivi per gli alunni con BES?
Il richiamo nella direttiva alla possibile applicazione degli strumenti
compensativi e delle misure dispensative per svariate tipologie di alunni
non finisce per suggerire una via più semplice che creare nuove strategie
e applicare una didattica flessibile? Nell’intento meritorio di dare
risposte a bisogni diffusi dei bambini, non sottovaluta il lavoro che già
fanno gli insegnanti, specie nel I ciclo e rischia, nel volerlo «codificare»
, di togliere motivazione e rendere adempimento quello che è lavoro
condiviso e progettazione mirata?
 Infine esistono dubbi di natura organizzativa di sistema. Non c’é il
rischio che le scuole e i Consigli di Classe siano sommersi da
«documentazione clinica», che va ad aggiungersi alle certificazioni
previste in forme stringenti dalle Leggi per disabilità e DSA? Non si
dilatano le responsabilità e gli adempimenti a carico dei docenti in tempi
di risorse sempre più scarse? Quali sono le ripercussioni nei momenti
formali di valutazione e nelle modalità di somministrazione delle prove
nazionali? Non si amplia l’area del contenzioso con le famiglie, specie
con quelle che più facilmente accedono a documentazione clinica
«compiacente»? La dichiarata esigenza di ripensare il modello di
integrazione scolastica non nasconde il disegno di ridurre l’impiego di
risorse di personale ( v. sottolineatura sul ruolo dei docenti curricolari e
riferimento a dotazioni per Centri Territoriali)? O comunque di usare
quelle esistenti (poche, di sostegno) per far fronte a bisogni
ulteriormente «determinati» ?
21
C.M n. 8 del 6 marzo 2013 “Indicazioni operative per la direttiva”
Rispetto ai dubbi sollevati dalla Direttiva, la Circolare ha fornito importanti
precisazioni e dato più stringenti indicazioni, in merito ai compiti da parte
delle Istituzioni Scolastiche.
I consigli di classe
 La progettazione dei percorsi.
Sono i Consigli di classe a decidere, anche in assenza di certificazione,
dove è opportuna e necessaria l’adozione della personalizzazione della
didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative.
Viene rilanciata la progettazione didattico-educativa per es. calibrata sui
livelli minimi attesi per le competenze in uscita, che viene definita più
utile di misure dispensative e compensative. Il percorso ipotizzato va
esplicitato in un Piano Didattico Personalizzato, che è deliberato dal C.
di classe e sottoscritto da DS, docenti e famiglia.
I percorsi personalizzati possono essere attivati per il tempo strettamente
necessario al superamento del bisogno. I Consigli di classe (o i team
docenti) devono monitorare l’efficacia degli interventi.
 La certificazione.
I casi di disabilità e di DSA rimangono soggetti a obbligo di
certificazione.
Per altri BES, in assenza di certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio
di classe verbalizza le decisioni assunte sulla base di considerazioni
pedagogiche e didattiche. L’ampliamento delle maglie della
certificazione (v. per i DSA quando tarda la certificazione pubblica)
viene raccomandato ai consigli di Classe sulla base di considerazioni
psicopedagogiche e didattiche. Viene però richiamato per gli anni
terminali il 31 marzo come data limite di presentazione della
certificazione da parte delle famiglie (v. Conferenza Stato-Regioni).
Lo svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale va individuato
sulla base di elementi oggettivi (segnalazioni dei servizi sociali) o di ben
fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Soprattutto per
gli stranieri è da monitorare l’utilizzo di strumenti compensativi e
misure dispensative .
22
L’ istituzione scolastica e gli USR
 Nasce il GLI- Gruppo di lavoro per l’inclusione, che eredita i compiti
del GLHI, estendendole alla tutela delle problematiche relative a tutti i
BES.
IL GLI procede alla: rilevazione dei casi, raccolta e documentazione
degli interventi, focus/confronto sui casi, monitoraggio e valutazione dei
livelli di inclusività della scuola, con criticità e punti di forza, raccolta
delle proposte di dotazioni organiche dai singoli GLHO, elaborazione di
proposta del Piano annuale per l’Inclusività.
 Il Collegio dei Docenti delibera il Piano annuale per l’Inclusività da
inviare ai competenti Uffici USR, a GLIP e GLIR per la richiesta di
organico di sostegno e alle altre istituzioni territoriali per la richiesta
delle risorse di competenza.
 Viene rilanciata l’azione dei Centri Territoriali per l’Inclusione.
Sono assegnati nuovi compiti, vengono ridefinite l’organizzazione e le
modalità di lavoro interistituzionale , è ben tratteggiato il profilo
professionale del personale chiamato ad operarvi.
 Gli USR assegnano alle singole scuole globalmente le risorse di
sostegno secondo quanto previsto dall’ Art. 19 comma 11 della Legge
111 del 2011.
L’organico dei posti di sostegno e’ determinato secondo quanto
previsto dai commi 413 e 414 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre
2007, n. 244, fermo restando che e’ possibile istituire posti in deroga,
allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela
dell’integrazione scolastica. L’organico di sostegno e’ assegnato
complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite,
tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della
media di un docente ogni due alunni disabili.
 La scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di
integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di
sostegno che dei docenti di classe.Il DS curerà l’assegnazione delle
risorse «sempre in termini funzionali».
 Nell’ambito delle risorse assegnate per la formazione del personale
docente, viene data priorita’ agli interventi di formazione di tutto il
personale docente sulle modalita’ di integrazione degli alunni disabili.

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Modulo 1. i bisogni educativi speciali bes

  • 1. 1 Corso di formazione ―EDUCATORE, CONTESTO SCUOLA E FAMIGLIE – NORMATIVE, RELAZIONI E ATTIVITA’ ‖ Modulo 1 “I Bisogni Educativi Speciali” Docente Prof.ssa Silvia Rosati
  • 2. 2 Bes Bisogni educativi speciali I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI nella Normativa  Direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 «Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica» Si tratta di un documento emanato dal Dipartimento per l’Istruzione. Direzione generale per lo studente , l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione e firmato dal Ministro Profumo  C.M n. 8 del 6 marzo 2013, Indicazioni operative per la direttiva, emanata dal Dipartimento per l’Istruzione, a firma del capo Dipartimento, Lucrezia Stellacci.  Ordinanza Ministeriale n. 13 del 24 aprile 2013, Esami di Stato 2012/2013: art. 18. La Direttiva del 27 dicembre 2012 La Direttiva del 27 dicembre 2012 si basa su una nuova impostazione derivante da studi e riflessioni collegate al sistema di concettualizzazione del funzionamento umano dell’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) e alla prospettiva con cui l’OMS nel 2002 legge la situazione di salute e di funzionamento di una persona. Il modello ICF, infatti, è la base per la diagnosi funzionale e per il riconoscimento dei «bisogni educativi speciali» Cos’è l’ICF ? È la classificazione delle caratteristiche della salute delle persone all’interno del contesto delle loro situazioni di vita individuali e degli impatti ambientali. L’ICF ha le seguenti caratteristiche:  Il concetto di salute che sta alla base del modello ICF salute non e’ assenza di malattia, ma benessere psicofisico e sociale, ponendosi così in contrasto con la visione tradizionale di salute.
  • 3. 3 Concezione tradizionale Concezione secondo ICF Menomazione: esteriorizzazione di uno stato patologico Disabilità: oggettivazione della menomazione (restrizione o carenza della capacità di compiere una attività, malattia o disturbo) Handicap: socializzazione del deficit (condizione di svantaggio conseguente alla menomazione) Non più disabilità’ ma “limitazione delle attività personali” Non più “handicap” ma “diversa partecipazione sociale” Disabilità come risultante dell’interazione tra funzionamento umano e fattori contestuali. Disabilità come fenomeno sociale multidimensionale  Fornisce un linguaggio standard e unificato, condiviso a livello mondiale e da diverse figure professionali. Serve a descrivere, comunicare, progettare azioni. NON misura e NON valuta. NON CLASSIFICA le persone, ma la salute e gli stati di salute ad essa correlati.  Il linguaggio nell'ICF è neutrale rispetto all'eziologia, enfatizzando la "funzione" rispetto al "tipo di malattia".  L’individuo non viene considerato in sé, ma nel rapporto dinamico ed interattivo con il proprio ambiente di vita. Il funzionamento e la disabilità sono viste come una complessa interazione tra le condizioni di salute dell'individuo e l'interazione con i fattori ambientali e personali. La classificazione considera questi aspetti come dinamici e in interazione, non come statici, per questo essa non valuta solo la disabilità e l'handicap. Siccome la disabilità è un'interazione con l'ambiente, l'ICF è applicabile a tutte le persone, anche quelle in perfetta salute.  Propone una visione complessa del funzionamento umano, intesa come comprensione individuale e globale della persona, del tutto diversa dall’etichettatura diagnostica, nosografica ed eziologica di un’eventuale sindrome patologica (modello bio-psico-sociale). Interpreta la salute e il funzionamento umano come risultante dell’interazione complessa, globale e multidimensionale tra fattori biologici, biostrutturali, funzionali, di capacità, di partecipazione sociale e contestuali, ambientali e personali. Salute e funzionamento sono considerati la risultante di un’interconnessione complessa, globale e multifunzionale tra una serie di fattori: condizioni fisiche
  • 4. 4 funzioni e strutture corporee attività personali partecipazione sociale fattori contestuali (ambientali e personali) Il modello ICF e la lettura delle stringhe
  • 5. 5 Le condizioni fisiche sono indicate con la lettera «b» FUNZIONI CORPOREE Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei (comprese le funzioni psicologiche). Le menomazioni sono problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significativa
  • 6. 6 STRUTTURE CORPOREE Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo,come gli organi, gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significative Le strutture «s» hanno tre qualificatori: il primo indica la gravità, il secondo la natura della menomazione(il tipo di alterazione), il terzo la sua localizzazione.
  • 7. 7 ATTIVITÀ E PARTECIPAZIONE L'attività è l'esecuzione di un compito o di un'azione da parte di un individuo. La partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita. Le limitazioni dell'attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nello svolgere delle attività. Le restrizioni alla partecipazione sono i problemi che un individuo può sperimentare nel coinvolgimento nelle situazioni di vita Le stringhe che cominciano per «d» (attività e partecipazione) hanno due qualificatori il primo indica la performance, ciò che un individuo fa in un
  • 8. 8 contesto sociale; il secondo descrive la capacità, l’abilità dell’individuo di eseguire un compito o un’azione da solo FATTORI PERSONALI I fattori personali si riferiscono alle abilità, agli atteggiamenti, alle competenze, alle capacità, agli stili di apprendimento e di comunicazione, alla capacità di resilienza dei soggetti che influenzano il loro funzionamento
  • 9. 9 FATTORI AMBIENTALI I fattori ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l'ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza. Essi devono essere codificati dal punto di vista della persona della quale si sta descrivendo la situazione. Ad esempio, marciapiedi senza scalino possono essere codificati come facilitatori per una persona che fa uso di sedia a rotelle ma come una barriera per un non vedente che non percepisce la differenza fra marciapiede e strada. Inoltre un fattore ambientale può essere una barriera sia a causa della sua presenza (ad esempio, atteggiamenti negativi verso le persone con disabilità) sia della sua assenza (ad esempio, la mancata disponibilità di un servizio necessario). Il qualificatore indica il grado in cui un fattore rappresenta un facilitatore o una barriera. Le stringhe che riguardano i fattori ambientali/ personali «e» impiegano due tipi di qualificatori che possono essere rispettivamente un facilitatore se indicato dal + o una barriera se è preceduto dal punto.
  • 10. 10 Dove capacità e performance sono rispettivamente: L’ICF-CY? E’ la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute specifica per Bambini e Adolescenti (fino a 18 anni) . E’ complementare all’ICD-10 e ha lo scopo specifico di cogliere e descrivere l’universo del funzionamento dei bambini e degli adolescenti. Presenta delle specificità:  Il funzionamento del bambino non può essere capito vedendo il bambino isolatamente bensì vedendolo nel contesto del sistema familiare.  Rilevanza della possibilità dello ―sfasamento‖ nella comparsa di funzioni, strutture, capacità.  Relatività della ―partecipazione‖ (la prospettiva sociale del funzionamento).  Variabilità progressiva degli ambienti e una maggior forza del loro impatto
  • 11. 11 Utilizzare la classificazione ICF Come si fa? Si cerca fra gli oltre 1000 codici ICF quelli adatti a descrivere i nostri alunni e per lo specifico codice si fa riferimento ai singoli aspetti del modello ICF connotati dalla specifica lettera e in riferimento alle sottocategorie relative, qualificando 0 1 2 3 4 - NESSUNA difficoltà - difficoltà LIEVE - difficoltà MEDIA - difficoltà GRAVE – difficoltà COMPLETA
  • 12. 12
  • 13. 13
  • 14. 14 Concludendo L’ICF non è una scala di misurazione, ma consente di osservare e valutare; i risultati di questa valutazione vengono elaborati in riferimento ad un modello antropologico di tipo bio-psico-sociale. La condizione di salute e di funzionamento di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati in uno schema. Il focus non è sul bisogno espresso dall’alunno, ma sulle condizioni contestuali che possono rappresentare un ostacolo o un facilitatore a seconda per il soggetto. In tal senso l’ICF l’ICF riguarda non soltanto le persone con disabilità, ma riguarda TUTTI GLI INDIVIDUI. Ognuno di noi può incorrere, nel corso della vita, in una situazione di limitazione dell’ATTIVITA’ e della PARTECIPAZIONE. Il Bisogno educativo speciale nella scuola Il concetto di bisogno Il bisogno educativo speciale, dunque, si rileva quando il soggetto osservato presenta problemi di funzionamento rispetto ad una o più polarità del modello. Un alunno con BES è un alunno con apprendimento, sviluppo e comportamento in uno o più dei vari ambiti e competenze, rallentato o problematico e questa problematicità è riconosciuta per i danni che causa al soggetto stesso.
  • 15. 15 Questi rallentamenti o problematicità possono essere: globali e pervasivi (es. autismo), specifici (es. DSA), settoriali (es. disturbi da deficit di attenzione con iperattività) più o meno gravi, permanenti o transitori. I fattori causali possono essere a livello organico, psicologico, familiare, sociale, culturale, ecc. In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno di sviluppare competenze, di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di accettazione, ecc,) si connotano per qualcosa di particolare, di «speciale». L’alunno necessita allora di approcci educativi, didattici, psicologici personalizzati. Ma perché si possa costruire una strategia di intervento è doveroso procedere con alcune precisazioni. In primis il concetto di "bisogno" ha per lo più connotazioni negative nella nostra lingua e, per qualche aspetto, anche in alcune teorie psicologiche. Partendo da alcune teorie psicologiche che si sono occupate di bisogni (Maslow, Murray, Lewin) e da posizioni filosofiche come quella di Heidegger, è necessario ripensare al concetto di bisogno non tanto come ad una mancanza, privazione o deficienza, in sé negativa, ma come ad una situazione di dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi ecosistemi, relazione che (se tutto va bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo sviluppo. In altre parole, cresco bene in apprendimenti e partecipazione se questa relazione "gira bene" e posso trovare risposte e alimenti adeguati al mio sviluppo. In secundis il concetto di "speciale", applicato ai bisogni e agli interventi educativi e didattici negativo, viene considerato dai sostenitori del modello sociale della disabilità e da molti studiosi dell'area dei Disability svalorizzante ed espressione di una costruzione sociale emarginante che opera per l'oppressione e la marginalizzazione di particolari gruppi minoritari di persone e di chi ha qualche differenza rispetto ad aspettative e standard culturalmente e storicamente determinati. Sarebbe molto meglio, ad esempio secondo Vehmas, pensare che "ci sono solo bisogni che sono unici in ogni individuo". Questo è sicuramente vero, ma ci sono situazioni problematiche di funzionamento che fanno diventare speciali i bisogni normalissimi e unici: in tali situazioni diventa più complesso fare in modo che i bisogni
  • 16. 16 ottengano risposte adeguate. Dunque situazioni più complesse che richiedono azioni più complesse, "speciali". Sicuramente esistono dinamiche di oppressione e marginalizzazione, ma esistono anche situazioni problematiche "in sé", al di là dei meccanismi di potere, che ovviamente vanno smascherati e combattuti. Una posizione critica radicale al concetto di bisogno o di diversità e ad interventi istituzioni formativi e sociali operati in risposta rischi di divenire paralizzante, precludendo possibilità operative positive nella realtà attuale della scuola. La complessità delle problematiche Rispetto alla complessità delle ―problematiche‖ che presentano gli alunni nelle nostre scuole, se accettiamo il dominio del modello medico tradizionale saremo costretti a cercare sempre un’eziologia biostrutturale oppure a negare lo status di reale difficoltà a una problematicità di funzionamento che non sia evidentemente causata da menomazioni o danni fisici. Una diagnosi nosografica ed eziologica è ovviamente fondamentale per progettare e realizzare interventi riabilitativi, abilitativi, terapeutici, preventivi, epidemiologici, ecc., ma è spesso una diagnosi che frammenta, che consolida appartenenze e categorie ma non aiuta a fondare politiche di equità reale nelle nostre Scuole. Può darsi infatti che un alunno con una situazione sociale e culturale disastrosa abbia un funzionamento reale ben più compromesso e bisognoso di interventi (in una Scuola davvero inclusiva) rispetto al funzionamento reale di un alunno con disabilità specifica. Il modello ICF intende far proprio un approccio decisamente educativo, «per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta» e va a identificare un’area vasta di svantaggio scolastico: certificato, non necessariamente certificato, non sempre certificabile. E per una lettura e riconoscimento dei bisogni reali di un alunno, interessa di più comprendere la situazione specifica di funzionamento, per così dire «a valle» di una qualche ineliminabile diagnosi clinica di tipo nosografico ed eziologico: comprendere cioè l’intreccio di elementi che adesso, qui e ora, costituisce il funzionamento di quell’alunno in quella serie di contesti.
  • 17. 17 A scuola si fanno i conti quotidianamente con i funzionamenti «a valle», con gli intrecci più diversi di fattori personali e sociali, che nel tempo rendono molto differenti i funzionamenti anche di persone «uguali» per alcuni aspetti biostrutturali. Chi si approccia alla realtà di una scuola non può che porsi nella prospettiva dell’homo complexus di E. Morin, individuando, alla maniera di Ianes, la specialità dei bisogni educativi in particolari condizioni di human functioning (Special Educational Needs su base antropologica ICF/OMS); la specialità delle ―normali‖ differenze individuali; la necessaria ed efficace specialità di alcuni interventi. Il rischio delle tipizzazioni Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. (Premessa). Si vuole cercare di dirigere l'attenzione sulle situazioni personali specifiche, al di là e al di fuori delle etichette categoriali: ad esempio: ―il‖ borderline, ―lo‖ svantaggiato, ―lo‖ straniero, e così via. In sostanza, si indica chiaramente che occorre partire dalla constatazione - o meno - dell'esistenza di un bisogno di personalizzazione e non dall'appartenenza ad una categoria nosografica o socioculturale. Non tutti gli studenti appartenenti alle categorie esemplificative elencate nella Direttiva inevitabilmente vivono situazioni di BES, ma soltanto che alcuni di loro, a causa delle difficoltà elencate o di altre problematiche, possono esservi coinvolti. ―In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.‖ In sostanza, si indica chiaramente che occorre partire dalla constatazione - o meno - dell'esistenza di un bisogno di personalizzazione e non dall'appartenenza ad una categoria nosografica o socioculturale Se lo sguardo diagnostico tendeva a vedere i sintomi e quello che non va, nel cambio di prospettiva operato dalla Direttiva, lo sguardo pedagogico tende a evidenziare e a capire quale profilo psicopedagogico presenta
  • 18. 18 l’alunno, come apprende, quali capacità e interessi dimostra, quali sono le sue inclinazioni e quale linguaggio utilizza. In Italia l’ICF si è diffuso con forza nel mondo dell’educazione e della Scuola, grazie anche al fatto che ha trovato una forte affinità con la cultura pedagogica italiana e con la sua visione antropologica, molto sociale e legata ai contesti di vita, tant’è che prima della Direttiva, l'Intesa Stato- Regioni, siglata il 20 marzo 2008 sulla presa in carico globale dell’alunno con disabilità, prevede per la prima volta a chiare lettere l’uso di ICF come modello antropologico su cui fare la diagnosi funzionale per gli alunni con disabilità: «La Diagnosi Funzionale è redatta secondo i criteri del modello bio-psico-sociale alla base dell’ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità» (art. 2, comma 2). Non succede lo stesso in altri Paesi europei, dove la cultura pedagogica ha seguito sviluppi diversi dalla nostra e dove ICF viene addirittura osteggiato da chi segue una visione culturale e sociale delle difficoltà e disabilità perché ritenuto — a torto — troppo «medico» Le sottocategorie individuate dalla Direttiva La Direttiva individua tre gruppi di alunni /studenti con bisogni educativi speciali. Alunni con: 1. Disabilità 2. Disturbi evolutivi specifici: problematiche specifiche con competenze intellettive nella norma accomunati dall’origine in età evolutiva  DSA  ADHD deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività  Altri disturbi evolutivi : deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria e  Funzionamento cognitivo limite QI 70-85 senza elementi di specificità (funzionamento intellettivo limite è definito area di confine tra 1 e 2; interessa il 2,5% degli studenti, circa 200.000 alunni) 3. Con svantaggio socio-economico, linguistico, culturale:  Alunni stranieri  Alunni a rischio per problemi di Bullismo, alcool, Stupefacenti.
  • 19. 19 Le parole chiave nella Direttiva (n.b. numerosi argomenti cui si fa cenno, saranno oggetto di approfondimento nei moduli successivi) Le attività che una scuola inclusiva è chiamata a realizzare in presenza di Bisogni Educativi Speciali sono le seguenti:  osservare  valutare  comprendere il funzionamento  descrivere  comunicare  programmare azioni Una scuola inclusiva : dalla presa in carico da parte di tutti i docenti alla personalizzazione e documentazione dei percorsi La Direttiva porta a conclusione un processo di trasformazione della scuola italiana, iniziato a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e si richiama in maniera esplicita ai principi di personalizzazione dei percorsi di studio della legge 53/2003 e soprattutto alla Legge 170 che «apre un diverso canale di cura educativa». Per alunni con BES è necessario un percorso individualizzato e personalizzato, anche attraverso un Piano Didattico Personalizzato, individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, con la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate. Si afferma la prospettiva della “presa in carico” da parte di tutti i docenti curricolari e non solo dell’insegnante di sostegno. Si dice che alcune tipologie di disturbi non esplicitati nella legge 170/2010 danno diritto ad usufruire delle stesse misure previste (ad esempio disturbo dello spettro autistico lieve o ADHD.) Suggerisce la necessità di una didattica inclusiva più che di una didattica speciale. Si rilancia la formazione dei docenti, specie curricolari. Si definisce la riorganizzazione dei Centri Territoriali di Supporto, che, si dice, vanno ripensati nel ruolo e nelle funzioni: supporto all’inclusione, nel legame con le altre istituzioni operanti sul territorio, fornitura di servizi con particolare riferimento all’ uso delle NT; consulenza; formazione, nella logica di un modello cooperativo di intervento
  • 20. 20 Qualche interrogativo  In primo luogo sono stati sollevati dubbi di natura giuridica: normare la materia sui BES può essere fatto sulla base di una Direttiva ? E si possono inferire diritti di legge in capo ad alunni che non ne hanno titolo? Non esiste forse una forzatura nell'estendere ad altre categorie, sulla base di considerazioni socio-pedagogiche, i diritti che la legge 170 ha posto in capo a specifici gruppi di studenti, affetti da disturbi, la cui identificazione è rimessa a procedure e competenze definite.  Vi sono poi dubbi di natura pedagogica: una nuova categorizzazione non rischia di creare occasioni di separazione, anziché di inclusione? Non porterà ad un abbassamento degli obiettivi per gli alunni con BES? Il richiamo nella direttiva alla possibile applicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative per svariate tipologie di alunni non finisce per suggerire una via più semplice che creare nuove strategie e applicare una didattica flessibile? Nell’intento meritorio di dare risposte a bisogni diffusi dei bambini, non sottovaluta il lavoro che già fanno gli insegnanti, specie nel I ciclo e rischia, nel volerlo «codificare» , di togliere motivazione e rendere adempimento quello che è lavoro condiviso e progettazione mirata?  Infine esistono dubbi di natura organizzativa di sistema. Non c’é il rischio che le scuole e i Consigli di Classe siano sommersi da «documentazione clinica», che va ad aggiungersi alle certificazioni previste in forme stringenti dalle Leggi per disabilità e DSA? Non si dilatano le responsabilità e gli adempimenti a carico dei docenti in tempi di risorse sempre più scarse? Quali sono le ripercussioni nei momenti formali di valutazione e nelle modalità di somministrazione delle prove nazionali? Non si amplia l’area del contenzioso con le famiglie, specie con quelle che più facilmente accedono a documentazione clinica «compiacente»? La dichiarata esigenza di ripensare il modello di integrazione scolastica non nasconde il disegno di ridurre l’impiego di risorse di personale ( v. sottolineatura sul ruolo dei docenti curricolari e riferimento a dotazioni per Centri Territoriali)? O comunque di usare quelle esistenti (poche, di sostegno) per far fronte a bisogni ulteriormente «determinati» ?
  • 21. 21 C.M n. 8 del 6 marzo 2013 “Indicazioni operative per la direttiva” Rispetto ai dubbi sollevati dalla Direttiva, la Circolare ha fornito importanti precisazioni e dato più stringenti indicazioni, in merito ai compiti da parte delle Istituzioni Scolastiche. I consigli di classe  La progettazione dei percorsi. Sono i Consigli di classe a decidere, anche in assenza di certificazione, dove è opportuna e necessaria l’adozione della personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative. Viene rilanciata la progettazione didattico-educativa per es. calibrata sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita, che viene definita più utile di misure dispensative e compensative. Il percorso ipotizzato va esplicitato in un Piano Didattico Personalizzato, che è deliberato dal C. di classe e sottoscritto da DS, docenti e famiglia. I percorsi personalizzati possono essere attivati per il tempo strettamente necessario al superamento del bisogno. I Consigli di classe (o i team docenti) devono monitorare l’efficacia degli interventi.  La certificazione. I casi di disabilità e di DSA rimangono soggetti a obbligo di certificazione. Per altri BES, in assenza di certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di classe verbalizza le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche. L’ampliamento delle maglie della certificazione (v. per i DSA quando tarda la certificazione pubblica) viene raccomandato ai consigli di Classe sulla base di considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Viene però richiamato per gli anni terminali il 31 marzo come data limite di presentazione della certificazione da parte delle famiglie (v. Conferenza Stato-Regioni). Lo svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale va individuato sulla base di elementi oggettivi (segnalazioni dei servizi sociali) o di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Soprattutto per gli stranieri è da monitorare l’utilizzo di strumenti compensativi e misure dispensative .
  • 22. 22 L’ istituzione scolastica e gli USR  Nasce il GLI- Gruppo di lavoro per l’inclusione, che eredita i compiti del GLHI, estendendole alla tutela delle problematiche relative a tutti i BES. IL GLI procede alla: rilevazione dei casi, raccolta e documentazione degli interventi, focus/confronto sui casi, monitoraggio e valutazione dei livelli di inclusività della scuola, con criticità e punti di forza, raccolta delle proposte di dotazioni organiche dai singoli GLHO, elaborazione di proposta del Piano annuale per l’Inclusività.  Il Collegio dei Docenti delibera il Piano annuale per l’Inclusività da inviare ai competenti Uffici USR, a GLIP e GLIR per la richiesta di organico di sostegno e alle altre istituzioni territoriali per la richiesta delle risorse di competenza.  Viene rilanciata l’azione dei Centri Territoriali per l’Inclusione. Sono assegnati nuovi compiti, vengono ridefinite l’organizzazione e le modalità di lavoro interistituzionale , è ben tratteggiato il profilo professionale del personale chiamato ad operarvi.  Gli USR assegnano alle singole scuole globalmente le risorse di sostegno secondo quanto previsto dall’ Art. 19 comma 11 della Legge 111 del 2011. L’organico dei posti di sostegno e’ determinato secondo quanto previsto dai commi 413 e 414 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, fermo restando che e’ possibile istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica. L’organico di sostegno e’ assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili.  La scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe.Il DS curerà l’assegnazione delle risorse «sempre in termini funzionali».  Nell’ambito delle risorse assegnate per la formazione del personale docente, viene data priorita’ agli interventi di formazione di tutto il personale docente sulle modalita’ di integrazione degli alunni disabili.