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METAMORFOSI
La metamorfosi è un cambiamento.
Nell'etimologia della parola c'é il termine
greco  cioè “forma”, dunque essa è,
in primo luogo, un mutamento della forma,
dell’aspetto, che spesso, però, porta con sé
anche un mutamento dell'essenza, del
comportamento, della natura più profonda.
Partiamo da una domanda:
“è“è meglio per l'umano diventare inumano o permeglio per l'umano diventare inumano o per
l'inumano divenire umano?l'inumano divenire umano?””
Ciascuno può dare una risposta istintiva o
ragionata, condizionata naturalmente da come si
sente nella sua forma umana.
Anche gli scrittori hanno tentato delle risposte,
talvolta in modo esplicito, più spesso tra le righe.
.
Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano all'animaleumano all'animale
Ovidio narra di Aracne che diviene ragno. La dea che la condanna,
la salva dalla morte, ma a quale prezzo! Che avrà provato la fanciulla?
Lacerata la tela, fu smembrata
insieme l’anima ribelle, imbelle
ora di fronte all’ira della dea.
Come grida la sua rabbia tremenda!
Troppo è bella la tela,
troppo anche per la dea,
troppa bellezza la vince.
Tende una mano che pare un artiglio
tocca la tela, la squarcia, intanto
balza il mio cuore dal petto. I colori,
le linee par che piangano
tanta bellezza lordata e tagliata.
Cadono le mie mani a pezzi, gli occhi
spezzati come specchi.
Incisione di Gustave Doré
Implacabile d’ira la dea svelle
l’aurata tessitura filo a filo,
filo a filo le vene
si sciolgono: sto immobile ghiacciata
dissanguata asciugata.
Giace la tela a brani, lapidata
ai piedi della dea,
che ancora s’accanisce:
bisogna difendersi
dalla troppa bellezza.
Giace la tela e giaccio esanime io,
tagliata, frantumata, lapidata:
io ora non più io.
Io ero la tela ribelle e preziosa
disarticolata infine, non sento
neppure più il dolore
voglio ora dondolare, dondolare
appesa al filo della mia armoniosa
tela per questo mondo troppo bella.
Maria Rosa Panté, Amplesso retorico
Paolo Veronese
Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano al vegetaleumano al vegetale
Ecco la storia di Filemone e Bauci.
“Bauci, Bauci”.
“Filemone…” par che dicano, lente e solenni, le fronde dei due grandi alberi. Il visitatore, il pellegrino che
arriva presso il santuario da subito li vede, maestosi, a lato della porta. Le chiome spesse sono sempre percorse
da una lieve brezza e le foglie parlano, pronunciano due soli nomi: Bauci, Filemone.
Quegli alberi si chiamano, come un tempo incessantemente si chiamavano i due anziani proprietari della casa.
Bauci amava suo marito Filemone da sempre e ora erano già così vecchi!
Filemone non si era ancora stancato di contemplare, la sera, la sua Bauci: nessuna donna gli era parsa più
bella.
I due coniugi amavano ogni essere vivente, accoglievano tutti con gentilezza, giacché per loro l’ospitalità era
davvero sacra.
Così, quando nel villaggio giunsero i due stranieri e tutti serrarono le porte, solo Bauci e Filemone li accolsero,
diedero loro il pane che Bauci aveva appena cotto e mangiarono insieme.
I due viandanti però non erano persone comuni, erano due divinità.
Con implacabile giustizia, punirono tutto il villaggio inviando uno spaventoso diluvio, ma salvarono i due
vecchi e decisero di esaudire una loro richiesta.
I due coniugi, attoniti per la distruzione intorno a loro, chiesero di morire insieme. Ma, quando giunse il loro
momento, invece di morire furono entrambi trasformati nei grandi alberi che sussurrano eternamente i loro
nomi e la casa divenne un santuario, votato all’ospitalità.
(Maria Rosa Panté, Amplesso retorico)
Ne “La pioggia nel pineto” Gabriele
D’Annunzio descrive la donna che
l’accompagna “fatta quasi virente”:
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe”
http://www.ilcerchiodellaluna.it
In questo tipo di metamorfosi
rientra la vicenda di Pier delle
Vigne che Dante descrive in
Inferno XIII ispirandosi alla triste
storia di Polidoro tratta dall’Eneide
di Virgilio, libro III.
Dante Alighieri
Mentre in Ovidio (Filemone e Bauci) e in D’Annunzio il passaggio da
umano a vegetale è un premio perché la natura è percepita come
percorsa dal divino, divina ed eternatrice, e dunque benefica, in Dante
(Pier delle Vigne) la metamorfosi è una punizione, una condanna: lo
testimonia la descrizione dei dannati come alberi contorti,
aggrovigliati, inquietanti. Il divino non percorre la natura, ma in
qualche modo la usa; deformandola, diviene figura della condanna di
peccato e peccatore: il suicida si priva del corpo in vita e per l’eternità.
È l’esatto opposto della vicenda di Filemone e Bauci.
In “mezzo” sta Virgilio: il
giovane e innocente Polidoro
viene ucciso e dal suo sangue
sparso nascono arbusti; la
natura, neutra, non è altro che
simbolo dell’efferatezza d’un
delitto.
Virgilio
Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano al mondo astronomicoumano al mondo astronomico
I Dioscuri Castore e Polluce sono fratelli gemelli di Elena e
Clitemnestra; della loro sorte il mito racconta due versioni. Nati
dall’unione della madre Alcmena con Zeus, sotto le spoglie del
marito, e dall’unione nella stessa notte col marito: l’uno era
immortale, l’altro mortale. Non potendo reggere alla divisione,
provocata dalla morte, invocarono gli Dei, Zeus ebbe pietà di
loro e fece sì che mentre un giorno moriva un gemello, il giorno
dopo moriva l’altro, insomma morivano un giorno per uno.
L’altra versione invece è quella della trasformazione, narrata tra
gli altri anche da Euripide, raro caso di metamorfosi presente in
una tragedia.
Dall’Elena di Euripide:
ELENA: E i Tindàridi, vivono o non vivono?
TEUCRO: Sono morti, e non son: la fama è duplice.
ELENA: O me tapina! E quale è la piú certa?
TEUCRO: Ch'astri sian divenuti, e Numi, dicono.
ELENA: É bello questo ch'or mi dici…
La chiusa di Elena evidenzia che la
metamorfosi in astri è sempre
positiva, perché toglie al mortale il
suo grande fardello, appunto la
mortalità.
Filippo Tagliolini, Castore e Polluce
MetamorfosiMetamorfosi
dalldall’’umano agliumano agli
elementi naturalielementi naturali
La ninfa Aretusa viene trasformata in
fonte. La metamorfosi in questo caso
lascia spazio a più interpretazioni:
Aretusa divenuta fonte si salva? In
realtà no, giacché Alfeo, che la
insegue per unirsi a lei, fuggiasca per
preservare la propria verginità
consacrata alla dea, ritorna fiume e si
mescola a lei (come effettivamente avviene a
Siracusa, ove sgorga la fonte Aretusa, raggiunta dal
fiume Alfeo: le metamorfosi spesso sono
“spiegazioni” poetiche di fatti naturali).Fonte Aretusa, Siracusa
Però, chissà, forse Aretusa raggiunta dall’abbraccio di Alfeo
avrà apprezzato, libera da giuramenti, il suo amore così forte
da vincere una dea.
Metamorfosi dal vegetale
all'umano, il caso del
Pinocchio di Collodi e dal
minerale all'umano la statua
di Pigmalione che prende
vita, narrata da Ovidio (e
ripresa sia pure sotto forma
di mutamento del carattere e
della personalità da Bernard
Shaw in una commedia poi
trasformata in musical di
successo, My Fair Lady).
Metamorfosi dal vegetale e dal minerale allMetamorfosi dal vegetale e dal minerale all’’umanoumano
In entrambi questi casi il passaggio dal vegetale e minerale
all’umano implica una presa di coscienza di sé: Pinocchio da
burattino manovrato da tutti può divenire persona e la statua
diviene donna, si conosce grazie alla forza del sentimento
d’amore. Collodi ci fa capire che è meglio essere persona; chissà
invece per la statua di Pigmalione se conoscere l’amore, ma
divenire mortale, sia proprio una ricompensa.
Falconet
Una trasformazione inusuale è
quella infine che tocca alla
ninfa Eco: diviene pura voce,
essenza e assenza (almeno
quella fisica).
Eco, l’assenza
Sono tutte le mani, senza mani:
cullano, impastano, lievi accarezzano,
filano, toccano le corde della
cetra sonora. Sono
priva d’occhi: così
che veda non ciò che è,
ma ciò che dovrebbe essere.
Non ho flessuose membra, sì pesanti
da nutrire e invecchiare: pura essenza,
assenza, mi nutro di sogni e cresco
con spiriti giocondi.
Sola la voce, condannata a eterna
ripetizione di sillabe morte.
Sola la voce condannata? No!
Innalzata alla somma libertà
dell’ironia: di lontano ripeto
parole logore, intanto riluce
la mia pura risata cristallina.
Piccola ninfa, ciarliera, sei riuscita ad ingannare Era con le tue chiacchiere sonore.
Intanto Zeus corteggiava le ninfe leggiadre.
Era ti ha scoperta, ha scoperto l’inganno, soprattutto s’adonta d’essersi fatta incantare
dalle tue chiacchiere. La tua impudenza sarà punita: ripeterai per sempre l’ultima
parola di ogni discorso. Come sarai ridicola!
Ben altra sarà la tua pena, giovane fanciulla, libera ninfa che hai deriso gli dei.
L’amore per Narciso che non ti ama, che ama solo se stesso, ti perderà.
Andrai consumando il tuo esile corpo in lamenti e pianti, dimentica del cibo saporito e
del dolce riposo.
Del tuo errante dolore non altro resterà che la voce.
Ripeti all’infinito le ultime parole di chi parla invano, di chi dice frasi vanesie e vacue:
ripeti e in fondo ad ogni parola si sente il tuo riso giocondo.
Ilare assenza!
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Ma perchMa perchéé avvengono queste trasformazioni?avvengono queste trasformazioni?
per salvare e ricompensare (Filemone e Bauci)
per punire (Aracne)
per rendere onore e immortalità (Dioscuri, D’Annunzio)
per diventare un essere umano (Pinocchio)
per svelare la realtà
Il pregio maggiore, forse addirittura l’unico, della metamorfosi dametamorfosi da
umano a inumanoumano a inumano è la preservazione dalla morte, che può essere
solo procrastinata come nel caso di Aracne o addirittura vinta come
nel caso dei Dioscuri trasformati in astri.
Il passaggio contrario, cioè da inumano a umanoda inumano a umano, avviene più
raramente da elementi eterni, o considerati tali, come gli astri,
piuttosto:
da ciò che non ha vita: pietra
da ciò che non ha autonomia: un burattino
da ciò che ha una vita inferiore (almeno secondo una visione
antropocentrica), cioè meno diritti e soprattutto un’intelligenza
diversa: asino, cane.
La risposta al quesito iniziale (se sia meglio passare da umani ad
altra forma o viceversa) dipende sempre da dove si nasce, da come
ci si sente in una dato momento, dal fatto che a porsi questa
domanda probabilmente sono solo gli esseri umani, gli altri
accontentandosi saggiamente di essere quello che sono.
Pier delle Vigne, Salvasor Dalì
Cesare Pavese scrive, ne L’uomo-lupo (Licaone) dei Dialoghi con
Leucò:
«SECONDO CACCIATORE: A sentirti
parrebbe che quello del lupo sia un alto
destino.
PRIMO CACCIATORE: Non so se alto o
basso, ma hai mai sentito di una bestia o di
una pianta che si facesse essere umano?
Invece questi luoghi sono pieni di uomini e
donne toccati dal dio – chi divenne cespuglio,
chi uccello, chi lupo. E per empio che fosse,
per delitti che avesse commesso, guadagnò
che non ebbe più le mani rosse sfuggì al
rimorso e alla speranza, si scordò d’esser
uomo. Provan altro gli dei?»
D’altra parte: "Come dice il bottaio protagonista del dialogo del
Gelli, a malgrado di tutti i mali degli uomini è meglio essere uomo
che animale (o pezzo di legno). Lo proclama l’elefante, il più
intelligente degli animali, nell’opera del letterato della prima metà
del ‘500”. (cit. Giorgio Barberi Squarotti)
In sostanza conviene lasciarci con una risposta di buon senso: alla
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Metamorfosi

  • 1. METAMORFOSI La metamorfosi è un cambiamento. Nell'etimologia della parola c'é il termine greco  cioè “forma”, dunque essa è, in primo luogo, un mutamento della forma, dell’aspetto, che spesso, però, porta con sé anche un mutamento dell'essenza, del comportamento, della natura più profonda.
  • 2. Partiamo da una domanda: “è“è meglio per l'umano diventare inumano o permeglio per l'umano diventare inumano o per l'inumano divenire umano?l'inumano divenire umano?”” Ciascuno può dare una risposta istintiva o ragionata, condizionata naturalmente da come si sente nella sua forma umana. Anche gli scrittori hanno tentato delle risposte, talvolta in modo esplicito, più spesso tra le righe. .
  • 3. Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano all'animaleumano all'animale Ovidio narra di Aracne che diviene ragno. La dea che la condanna, la salva dalla morte, ma a quale prezzo! Che avrà provato la fanciulla? Lacerata la tela, fu smembrata insieme l’anima ribelle, imbelle ora di fronte all’ira della dea. Come grida la sua rabbia tremenda! Troppo è bella la tela, troppo anche per la dea, troppa bellezza la vince. Tende una mano che pare un artiglio tocca la tela, la squarcia, intanto balza il mio cuore dal petto. I colori, le linee par che piangano tanta bellezza lordata e tagliata. Cadono le mie mani a pezzi, gli occhi spezzati come specchi. Incisione di Gustave Doré
  • 4. Implacabile d’ira la dea svelle l’aurata tessitura filo a filo, filo a filo le vene si sciolgono: sto immobile ghiacciata dissanguata asciugata. Giace la tela a brani, lapidata ai piedi della dea, che ancora s’accanisce: bisogna difendersi dalla troppa bellezza. Giace la tela e giaccio esanime io, tagliata, frantumata, lapidata: io ora non più io. Io ero la tela ribelle e preziosa disarticolata infine, non sento neppure più il dolore voglio ora dondolare, dondolare appesa al filo della mia armoniosa tela per questo mondo troppo bella. Maria Rosa Panté, Amplesso retorico Paolo Veronese
  • 5. Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano al vegetaleumano al vegetale Ecco la storia di Filemone e Bauci. “Bauci, Bauci”. “Filemone…” par che dicano, lente e solenni, le fronde dei due grandi alberi. Il visitatore, il pellegrino che arriva presso il santuario da subito li vede, maestosi, a lato della porta. Le chiome spesse sono sempre percorse da una lieve brezza e le foglie parlano, pronunciano due soli nomi: Bauci, Filemone. Quegli alberi si chiamano, come un tempo incessantemente si chiamavano i due anziani proprietari della casa. Bauci amava suo marito Filemone da sempre e ora erano già così vecchi! Filemone non si era ancora stancato di contemplare, la sera, la sua Bauci: nessuna donna gli era parsa più bella. I due coniugi amavano ogni essere vivente, accoglievano tutti con gentilezza, giacché per loro l’ospitalità era davvero sacra. Così, quando nel villaggio giunsero i due stranieri e tutti serrarono le porte, solo Bauci e Filemone li accolsero, diedero loro il pane che Bauci aveva appena cotto e mangiarono insieme. I due viandanti però non erano persone comuni, erano due divinità. Con implacabile giustizia, punirono tutto il villaggio inviando uno spaventoso diluvio, ma salvarono i due vecchi e decisero di esaudire una loro richiesta. I due coniugi, attoniti per la distruzione intorno a loro, chiesero di morire insieme. Ma, quando giunse il loro momento, invece di morire furono entrambi trasformati nei grandi alberi che sussurrano eternamente i loro nomi e la casa divenne un santuario, votato all’ospitalità. (Maria Rosa Panté, Amplesso retorico)
  • 6. Ne “La pioggia nel pineto” Gabriele D’Annunzio descrive la donna che l’accompagna “fatta quasi virente”: Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le palpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alveoli son come mandorle acerbe” http://www.ilcerchiodellaluna.it
  • 7. In questo tipo di metamorfosi rientra la vicenda di Pier delle Vigne che Dante descrive in Inferno XIII ispirandosi alla triste storia di Polidoro tratta dall’Eneide di Virgilio, libro III. Dante Alighieri
  • 8. Mentre in Ovidio (Filemone e Bauci) e in D’Annunzio il passaggio da umano a vegetale è un premio perché la natura è percepita come percorsa dal divino, divina ed eternatrice, e dunque benefica, in Dante (Pier delle Vigne) la metamorfosi è una punizione, una condanna: lo testimonia la descrizione dei dannati come alberi contorti, aggrovigliati, inquietanti. Il divino non percorre la natura, ma in qualche modo la usa; deformandola, diviene figura della condanna di peccato e peccatore: il suicida si priva del corpo in vita e per l’eternità. È l’esatto opposto della vicenda di Filemone e Bauci. In “mezzo” sta Virgilio: il giovane e innocente Polidoro viene ucciso e dal suo sangue sparso nascono arbusti; la natura, neutra, non è altro che simbolo dell’efferatezza d’un delitto. Virgilio
  • 9. Metamorfosi dallMetamorfosi dall’’umano al mondo astronomicoumano al mondo astronomico I Dioscuri Castore e Polluce sono fratelli gemelli di Elena e Clitemnestra; della loro sorte il mito racconta due versioni. Nati dall’unione della madre Alcmena con Zeus, sotto le spoglie del marito, e dall’unione nella stessa notte col marito: l’uno era immortale, l’altro mortale. Non potendo reggere alla divisione, provocata dalla morte, invocarono gli Dei, Zeus ebbe pietà di loro e fece sì che mentre un giorno moriva un gemello, il giorno dopo moriva l’altro, insomma morivano un giorno per uno. L’altra versione invece è quella della trasformazione, narrata tra gli altri anche da Euripide, raro caso di metamorfosi presente in una tragedia.
  • 10. Dall’Elena di Euripide: ELENA: E i Tindàridi, vivono o non vivono? TEUCRO: Sono morti, e non son: la fama è duplice. ELENA: O me tapina! E quale è la piú certa? TEUCRO: Ch'astri sian divenuti, e Numi, dicono. ELENA: É bello questo ch'or mi dici… La chiusa di Elena evidenzia che la metamorfosi in astri è sempre positiva, perché toglie al mortale il suo grande fardello, appunto la mortalità. Filippo Tagliolini, Castore e Polluce
  • 11. MetamorfosiMetamorfosi dalldall’’umano agliumano agli elementi naturalielementi naturali La ninfa Aretusa viene trasformata in fonte. La metamorfosi in questo caso lascia spazio a più interpretazioni: Aretusa divenuta fonte si salva? In realtà no, giacché Alfeo, che la insegue per unirsi a lei, fuggiasca per preservare la propria verginità consacrata alla dea, ritorna fiume e si mescola a lei (come effettivamente avviene a Siracusa, ove sgorga la fonte Aretusa, raggiunta dal fiume Alfeo: le metamorfosi spesso sono “spiegazioni” poetiche di fatti naturali).Fonte Aretusa, Siracusa Però, chissà, forse Aretusa raggiunta dall’abbraccio di Alfeo avrà apprezzato, libera da giuramenti, il suo amore così forte da vincere una dea.
  • 12. Metamorfosi dal vegetale all'umano, il caso del Pinocchio di Collodi e dal minerale all'umano la statua di Pigmalione che prende vita, narrata da Ovidio (e ripresa sia pure sotto forma di mutamento del carattere e della personalità da Bernard Shaw in una commedia poi trasformata in musical di successo, My Fair Lady). Metamorfosi dal vegetale e dal minerale allMetamorfosi dal vegetale e dal minerale all’’umanoumano
  • 13. In entrambi questi casi il passaggio dal vegetale e minerale all’umano implica una presa di coscienza di sé: Pinocchio da burattino manovrato da tutti può divenire persona e la statua diviene donna, si conosce grazie alla forza del sentimento d’amore. Collodi ci fa capire che è meglio essere persona; chissà invece per la statua di Pigmalione se conoscere l’amore, ma divenire mortale, sia proprio una ricompensa. Falconet
  • 14. Una trasformazione inusuale è quella infine che tocca alla ninfa Eco: diviene pura voce, essenza e assenza (almeno quella fisica). Eco, l’assenza Sono tutte le mani, senza mani: cullano, impastano, lievi accarezzano, filano, toccano le corde della cetra sonora. Sono priva d’occhi: così che veda non ciò che è, ma ciò che dovrebbe essere. Non ho flessuose membra, sì pesanti da nutrire e invecchiare: pura essenza, assenza, mi nutro di sogni e cresco con spiriti giocondi. Sola la voce, condannata a eterna ripetizione di sillabe morte. Sola la voce condannata? No! Innalzata alla somma libertà dell’ironia: di lontano ripeto parole logore, intanto riluce la mia pura risata cristallina.
  • 15. Piccola ninfa, ciarliera, sei riuscita ad ingannare Era con le tue chiacchiere sonore. Intanto Zeus corteggiava le ninfe leggiadre. Era ti ha scoperta, ha scoperto l’inganno, soprattutto s’adonta d’essersi fatta incantare dalle tue chiacchiere. La tua impudenza sarà punita: ripeterai per sempre l’ultima parola di ogni discorso. Come sarai ridicola! Ben altra sarà la tua pena, giovane fanciulla, libera ninfa che hai deriso gli dei. L’amore per Narciso che non ti ama, che ama solo se stesso, ti perderà. Andrai consumando il tuo esile corpo in lamenti e pianti, dimentica del cibo saporito e del dolce riposo. Del tuo errante dolore non altro resterà che la voce. Ripeti all’infinito le ultime parole di chi parla invano, di chi dice frasi vanesie e vacue: ripeti e in fondo ad ogni parola si sente il tuo riso giocondo. Ilare assenza! Maria Rosa Panté, Amplesso retorico
  • 16. Ma perchMa perchéé avvengono queste trasformazioni?avvengono queste trasformazioni? per salvare e ricompensare (Filemone e Bauci) per punire (Aracne) per rendere onore e immortalità (Dioscuri, D’Annunzio) per diventare un essere umano (Pinocchio) per svelare la realtà
  • 17. Il pregio maggiore, forse addirittura l’unico, della metamorfosi dametamorfosi da umano a inumanoumano a inumano è la preservazione dalla morte, che può essere solo procrastinata come nel caso di Aracne o addirittura vinta come nel caso dei Dioscuri trasformati in astri. Il passaggio contrario, cioè da inumano a umanoda inumano a umano, avviene più raramente da elementi eterni, o considerati tali, come gli astri, piuttosto: da ciò che non ha vita: pietra da ciò che non ha autonomia: un burattino da ciò che ha una vita inferiore (almeno secondo una visione antropocentrica), cioè meno diritti e soprattutto un’intelligenza diversa: asino, cane.
  • 18. La risposta al quesito iniziale (se sia meglio passare da umani ad altra forma o viceversa) dipende sempre da dove si nasce, da come ci si sente in una dato momento, dal fatto che a porsi questa domanda probabilmente sono solo gli esseri umani, gli altri accontentandosi saggiamente di essere quello che sono. Pier delle Vigne, Salvasor Dalì
  • 19. Cesare Pavese scrive, ne L’uomo-lupo (Licaone) dei Dialoghi con Leucò: «SECONDO CACCIATORE: A sentirti parrebbe che quello del lupo sia un alto destino. PRIMO CACCIATORE: Non so se alto o basso, ma hai mai sentito di una bestia o di una pianta che si facesse essere umano? Invece questi luoghi sono pieni di uomini e donne toccati dal dio – chi divenne cespuglio, chi uccello, chi lupo. E per empio che fosse, per delitti che avesse commesso, guadagnò che non ebbe più le mani rosse sfuggì al rimorso e alla speranza, si scordò d’esser uomo. Provan altro gli dei?»
  • 20. D’altra parte: "Come dice il bottaio protagonista del dialogo del Gelli, a malgrado di tutti i mali degli uomini è meglio essere uomo che animale (o pezzo di legno). Lo proclama l’elefante, il più intelligente degli animali, nell’opera del letterato della prima metà del ‘500”. (cit. Giorgio Barberi Squarotti) In sostanza conviene lasciarci con una risposta di buon senso: alla fine è meglio che ognuno resti ciò che è.