1. Le distanze sulle strade venivano indicate da grandi cippi in pietra conficcati nel terreno a lato della strada
alla distanza di un miglio l'uno dall'altro e perci detti miliarii o pietre miliari.ò
Secondo Strabone l'uso di segnalare con regolarit la strada percorsa o quella da percorrere fuà
un'innovazione romana resa obbligatoria nella seconda met del II sec.a.C. con la lex Sempronia viariaà
di C. Gracco. Le pi antiche pietre miliari risalgono ad un periodo compreso tra il III sec. ed il II sec.ù
a .C.; originariamente erano semplici pietre appena sbozzate, come il cippo di P. Popilius da Adria (123
a.C.); in seguito, assunsero una tipica forma cilindrica e man mano sempre pi rilevata a colonna, con unù
diametro di 60-90 cm e un'altezza variabile da 1,80 a 2,70 m. Le iscrizioni miliari contenevano
essenzialmente pochi dati: in primo luogo (anche se non necessariamente in prima posizione) la distanza
dall'inizio della strada o dalla localit vicina pi importante, gi oltrepassata o ancora da raggiungere.à ù à
Un altro elemento fondamentale dei cippi miliari era il nome e la carica di chi li aveva fatti innalzare,
legandolo alla costruzione della via o a un intervento di restauro o anche soltanto al rifacimento dei miliari
stessi.
2.
3. Le strade romane furono uno degli strumenti
fondamentali attraverso cui Roma si affermò ed
esercitò per secoli il suo dominio su popoli e
territori.Già nel V sec. a.C. le leggi delle XII
tavole contenevano norme precise sulle dimensioni
e sui limiti di percorrenza delle strade; ma fu
dalla fine del IV e per tutto il III sec. a.C. che
Roma sviluppò un consistente impianto stadale,
che seguì l'espansione territoriale dello stato
romano sviluppandosi. Le prime esperienze stradali
si limitavano, probabilmente, all'adeguamento e
all'unificazione di percorsi precedenti e, molto
probabilmente, non doveva trattarsi di strade
lastricate.
4. La lastricatura, che per secoli fu l'elemento qualificante
e distintivo delle strade romane, sembra non sia stata
introdotta prima del III sec. a.C., quando si diffusero
anche procedure standardizzate includenti studi
preliminari e rilevazioni accurate dei territori
attraversati.Tito Livio afferma che nel 174 a.C. le strade
dovevano essere lastricate nei tratti urbani, ma
semplicemente rivestite di sabbia e ciottoli in
campagna. Verso la fine dell’età repubblicana la rete
stradale collegava Roma con tutte le principali città
della penisola ed in età imperiale essa raggiunse anche
nelle province la capillarità che aveva in Italia con un’
estensione complessiva di oltre 120.000
km.L'intervento statale interessava le viae publicae,
vale a dire le strade di grande comunicazione che si
snodavano su un terreno di proprietà demaniale. In età
repubblicana, la competenza primaria per le attività di
costruzione spettava al Senato, che le promuoveva e
stabiliva l'assegnazione di fondi.
5. Ben presto l'estendersi della rete stradale comportò la creazione
di funzionari specificatamente dedicati alla cura delle strade,
denominati curatores viarum, che incominciano a comparire nelle
fonti a partire dal I sec. a.C.; fu Augusto nel 20 a.C., in seguito ad
accresciute esigenze di ordinaria gestione delle strade, a
riorganizzare il sistema, istituendo ufficialmente l'incarico della
cura viarum, di cui egli stesso assunse la direzione, coadiuvato da
un collegium di curatores. All'attività di questi curatores si
accompagnò alla fine della repubblica anche l'evergetismo di
alcuni illustri personaggi pubblici: Agrippa, ad esempio, restaurò a
sue spese l'intera rete viaria di Roma.Ogni strada importante
aveva il suo curator, cui era affidata la totale responsabilità della
gestione, che poteva occuparsi anche di più strade.Nel suo
impegno rientravano non solo il mantenimento, ma anche il
restauro, la stabilità delle opere, in particolare del lastricato o dei
marciapiedi, della segnaletica, dei canali di scolo per le acque,
delle opere di difesa e consolidamento del tracciato.
6. Inoltre, era di loro competenza anche l'attuazione delle norme giuridiche relative alla
tutela patrimoniale della strada e dei regolamenti di polizia a proposito della
circolazione.
I curatores si distinsero da tutte le altre magistrature per una durata del loro mandato
più prolungata e variabile nel tempo (anche fino a undici anni), evidentemente
condizionata dalle specifiche esigenze di garantire un adeguato esercizio delle proprie
funzioni.
Le viae communes, invece, erano costruite e mantenute direttamente dalle piccole
comunità rurali per il proprio uso e le viae privatae dai privati cittadini di cui percorrevano
le tenute. Fuori dall'Italia, invece, la cura delle strade veniva esercitata dai governatori
nell'ambito delle ampie facoltà giurisdizionali e amministrative che li
contraddistingueva.A progettare le strade ed a dirigerne i cantieri erano gli architecti
(ingegneri civili o militari) e i mensores (geometri), mentre la fase esecutiva era affidata,
a seconda dei casi, alle truppe, alle popolazioni sottomesse o alla manodopera reperita
dagli appaltatori privati, diretti dai genieri (praefecti fabrum), che avevano la
responsabilità tecnica del progetto, coadiuvati dai questores per i problemi di ordine
finanziario.
7. La costruzione vera e propria di una strada doveva essere preceduta
dallo studio della morfologia del terreno interessato, in modo da
appurare la necessità di eventuali opere di difesa o di
consolidamento per proteggere l’infrastruttura sia dalle infiltrazioni
d'acqua superficiali - che potevano provocare dissesti e
sprofondamenti – sia dalle sollecitazioni e dalle spinte laterali che
esse avrebbero potuto subire in seguito a frane, movimenti sismici
ed alluvioni.
Proprio per evitare il pericolo di inondazioni, infatti, i Romani
evitavano i fondi-valle, preferendo costruire i percorsi stradali sui
bordi collinari, anche a costo talvolta di affrontare grosse pendenze.
A volte l'attraversamento di zone acquitrinose e la necessità di
superare dislivelli e ostacoli naturali imponevano la realizzazione di
eccezionali opere d'architettura ed ingegneria: ponti (alcuni dei
quali ancora in uso), terrapieni stradali, viadotti, muri di sostegno,
asportazioni di terreno e perfino tagli nella roccia e scavi di gallerie.
Ruolo fondamentale era quello dei gromatici che, con l’utilizzo di
sofisticati strumenti di precisione, stabilivano il tracciato della
strada, fissato sul terreno attraverso allineamenti successivi di
traguardi lungo i quali si incidevano nel terreno due solchi paralleli.
8. La costruzione vera e propria di una strada doveva essere
preceduta dallo studio della morfologia del terreno interessato,
in modo da appurare la necessità di eventuali opere di difesa o
di consolidamento per proteggere l’infrastruttura sia dalle
infiltrazioni d'acqua superficiali - che potevano provocare
dissesti e sprofondamenti – sia dalle sollecitazioni e dalle spinte
laterali che esse avrebbero potuto subire in seguito a frane,
movimenti sismici ed alluvioni.
Proprio per evitare il pericolo di inondazioni, infatti, i Romani
evitavano i fondi-valle, preferendo costruire i percorsi stradali
sui bordi collinari, anche a costo talvolta di affrontare grosse
pendenze.
A volte l'attraversamento di zone acquitrinose e la necessità di
superare dislivelli e ostacoli naturali imponevano la
realizzazione di eccezionali opere d'architettura ed ingegneria:
ponti (alcuni dei quali ancora in uso), terrapieni stradali, viadotti,
muri di sostegno, asportazioni di terreno e perfino tagli nella
roccia e scavi di gallerie. Ruolo fondamentale era quello dei
gromatici che, con l’utilizzo di sofisticati strumenti di precisione,
stabilivano il tracciato della strada, fissato sul terreno attraverso
allineamenti successivi di traguardi lungo i quali si incidevano
nel terreno due solchi paralleli.
9. Dopo aver delimitato in tal modo i margini della strada, al loro interno
veniva scavata una trincea sufficientemente solida e profonda da sostenere
il manto stradale, che poteva raggiungere una profondità complessiva di
oltre un metro e mezzo.
La fossa veniva successivamente colmata con alcuni strati di materiale.
La fondazione, lo statumen, era costituita da uno strato, spesso almeno 30
cm, formato da pietre di media o grossa taglia che aveva lo scopo di
consolidare il terreno naturale, compattandolo ed evitando il ristagno
dell’acqua.
Al di sopra veniva gettato il rudus, uno spesso strato di sabbia o di ghiaia e
sabbia, talvolta mescolato ad argilla (raramente con malta), che veniva
battuto con mazze ferrate per livellarlo e renderlo più compatto.
Questo strato di materiale più fino, che serviva a drenare le acque, era
ricoperto a sua volta dal nucleus, costituito da ghiaia grossa livellata con
battipali e rulli, ed avente il dorso leggermente arcuato (a “schiena
d’asino”) così come l’ultimo strato, il summum dorsum, crusta o
pavimentum.
In questo modo le acque piovane defluivano nelle cunette poste ai lati
della carreggiata immediatamente al di sotto dei marciapiedi (crepidines)
che talora l'affiancavano.
10. A seconda del materiale utilizzato per il summum dorsum, i Romani
distinguevano diversi tipi di strade : se il pavimentum era costituito di
semplice terra battuta si parlava di viae terrenae, se di ghiaia o breccia le
vie erano dette viae glarea stratae o glareatae,
Più spesso si trattava di strade selciate (viae silicae o lapidibus stratae),
come la via Appia, pavimentate con lastre di pietra poligonali e diseguali
di basalto o, a seconda della disponibilità, di calcare, spianati nella parte
superiore e profilati in quella inferiore a cuneo, accostate accuratamente.
Talvolta, specie su percorsi ripidi, solchi paralleli venivano scavati nella
pavimentazione per guidare le ruote dei veicoli evitando la loro uscita di
strada specie in caso di presenza di ghiaccio.
Le strade dovevano garantire il passaggio di due carri
contemporaneamente, per cui la misura canonica della sede carrabile
lastricata era di 4,1 m, fiancheggiata da marciapiedi pedonali larghi di
solito 3 metri.