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Ingredienti in etichetta. Il caso delle cagliate.
1. Anno XVII - 2 - Marzo 2015
Informazione al consumatore
Ingannevole evidenziarle come “latte” nella lista degli ingredienti?*
I
l regolamento UE 1169/2011, in diverse sue parti
e nell’impianto giuridico più complessivo, presen-
ta aspetti di maggior tutela rispetto alle frodi, in
particolare circa gli ingredienti e la loro denomina-
zione, che spesso sono serviti per occultare materie
prime di valore qualitativo e merceologico inferiore,
con danno dei consumatori e dei produttori1
.
Un caso di interesse precipuo a livello nazionale
sembra essere costituito dalle cagliate, semi-trasfor-
mati-precipitati del latte in seguito ad aggiunta del
caglio e usati come ingrediente intermedio anche
per la lavorazione di formaggi (freschi a pasta fila-
ta).
Le cagliate importate in Italia spesso finiscono in
prodotti a tutti gli effetti “Made in Italy”, con pre-
giudizio però della corretta informazione dei consu-
matori. In un articolo precedente (vedi l’articolo
“Origine “italiana” assolte 28 aziende casearie” di
Carlo e Corinna Correra, pubblicato sul numero di
gennaio/febbraio 2014) si è introdotto il tema del-
l’indicazione dell’origine, con interpretazioni giuri-
sprudenziali che autorizzano il “Made in Italy” per
formaggi freschi a pasta filata ottenuti da cagliate
estere, nel rispetto del codice di doganale (e del luo-
go di ultima trasformazione sostanziale come riferi-
mento preliminare per il “Made in […]”).
L’altra faccia della medaglia sembra essere costitui-
ta dalla possibilità, o invece necessità, di indicare
nella lista degli ingredienti i semilavorati (cagliate)
qualora diversi da latte in quanto tale. Anche su
questo punto, in realtà, la giurisprudenza ha tutela-
to in passato imprese che utilizzavano latte in pol-
vere nella produzione di mozzarella (vedi l’articolo
“Latte in polvere nella mozzarella. Crescono le as-
soluzioni per i produttori” di Carlo e Corinna Cor-
rera, pubblicato sul numero di luglio/agosto 2014)
senza configurare il reato di frode in commercio
Ingredienti
in etichetta
Ilcasodellecagliate
di Corrado Finardi e Rolando Manfredini
Food Policy adviser
Le cagliate
non sono raffigurabili
come latte in polvere
né possono essere
equiparate
al “latte”.
Vediamo perché
25
*
Si ringrazia per il costruttivo scambio di opinioni sulla bozza originale, nonché per la gentilezza, l’Avv. Carlo Correra.
1
Questo è vero sia per l’impianto generale della normativa comunitaria, sia – e a maggior ragione – per gli spazi
demandati agli Stati membri, di cui al capo VI, in particolare all’art. 39, laddove si motiva che gli Stati potranno
adottare normative di dettaglio più stringenti in ragione di motivi di protezione della salute pubblica, di protezione
dei consumatori e di prevenzione delle frodi.
2. (aliud pro alio). In passato il Ministero dello Svilup-
po Economico (MISE) ha infatti interpretato l’uso
del termine “mozzarella” come ammissibile anche
per prodotti costituiti a partire dal latte in polvere,
in ragione del principio di mutuo riconoscimento.
Mozzarelle così prodotte in paesi dell’Est aderenti
all’UE potrebbero- secondo il principio “Cassis de
Dijon” e l’interpretazione MISE- essere esportate le-
gittimamente anche in Italia, senza dover cambiare
denominazione legale. Questo in virtù di una diffe-
renza apprezzata come “non notevole” rispetto al
prodotto originario (la mozzarella).
Lo stato delle cose
La normativa in vigore e precedente ha fornito, a di-
re il vero, una copertura all’indicazione nella lista
degli ingredienti di “latte” al posto di “cagliata/e”,
ammettendo un’assenza legittima della lista degli
ingredienti.
Per il d.lgs. 109/92 (art. 7, comma 2) l’indicazione
degli ingredienti non è richiesta nel latte e nelle cre-
me di latte fermentati, nei formaggi, nel burro, pur-
ché non siano stati aggiunti ingredienti diversi dai
costituenti propri del latte, dal sale o dagli enzimi e
colture di microrganismi necessari alla loro fabbrica-
zione; in ogni caso, l’indicazione del sale è richiesta
per i formaggi freschi, per i formaggi fusi e per il
burro.
Entro il reg. UE 1169/2011 (art. 19, comma 1) si
precisa poi che non è richiesto un elenco degli in-
gredienti su: i formaggi, il burro, il latte e le creme
di latte fermentati, purché non siano stati aggiunti
ingredienti diversi dai prodotti derivati dal latte, gli
enzimi alimentari e le colture di microrganismi ne-
cessari alla fabbricazione o ingredienti diversi dal sa-
le necessario alla fabbricazione di formaggi che non
siano freschi o fusi.
L’ingrediente “formaggio”, inoltre, come da allega-
ti tecnici, può essere semplicemente indicato come
“formaggio”, senza ulteriore esplosione della lista
dei sottoingredienti (e, quindi, delle cagliate).
Se questa è la previsione generale, che permette-
rebbe in qualche modo di continuare a occultare le
cagliate in lista ingredienti, vi sono diversi aspetti di
filosofia dell’impianto giuridico del regolamento UE
1169/2011 – soprattutto nell’ottica di una maggio-
re tutela del consumatore – che sembrano autoriz-
zare una diversa interpretazione normativa.
Denominazione dell’alimento
Intanto, la stessa “denominazione dell’alimento”
ex art. 17 del reg. UE 1169/2011 – ora alternati-
va e riassuntiva della “denominazione di vendita”
– è stata interpretata dal Ministero dello Sviluppo
Economico (MISE) (in riferimento all’art. 18, co. 2
del reg. UE 1169/2011 e con nota informativa del
31 luglio 2014) come a tutti gli effetti riferibile
non solo alla denominazione merceologica del-
l’alimento (trasformato) finale, bensì anche ai sin-
goli ingredienti che lo compongono. In tal senso,
vi deve essere una coincidenza biunivoca tra no-
me, come riportato da norme di commercializza-
zione stabilite a livello europeo e rispettivi requisi-
ti qualitativi, e denominazione dell’alimento-in-
grediente. Di risulta, “latte” nella lista ingredienti
è solo “latte vaccino fresco intero pastorizzato” e
non, invece, anche cagliate o sieroproteine del lat-
te.
A rafforzare tale lettura, proprio lo stesso regola-
mento UE 1169/2011, che all’allegato VI, parte A,
par. 1, precisa che:
«1. La denominazione dell’alimento comprende o è
accompagnata da un’indicazione dello stato fisico
nel quale si trova il prodotto o dello specifico tratta-
mento che esso ha subito (ad esempio “in polve-
re”, “ricongelato”, “liofilizzato”, “surgelato”,
“concentrato”, “affumicato”), nel caso in cui
l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in
errore l’acquirente.»
Ad ogni modo, sempre all’art. 17.2, il legislatore
precisa che:
«È ammesso l’uso nello Stato membro di commer-
cializzazione della denominazione dell’alimento
sotto la quale il prodotto è legalmente fabbricato e
commercializzato nello Stato di produzione. Tutta-
via, quando l’applicazione delle altre disposizioni
del presente regolamento, in particolare quelle di
cui all’articolo 9, non consentirebbe ai consumatori
dello Stato membro di commercializzazione di co-
noscere la natura reale dell’alimento e di distinguer-
lo dai prodotti con i quali potrebbero confonderlo,
la denominazione del prodotto in questione è ac-
compagnata da altre informazioni descrittive che
appaiono in prossimità della denominazione del-
l’alimento.»
Informazione al consumatore
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3. Pratiche leali di informazione
Come nota più generale, ma non meno rilevante,
soprattutto ai fini della corretta comprensione e ap-
plicazione del regolamento UE 1169/2011, l’artico-
lo 4, nello stabilire i “principi che disciplinano le in-
formazioni obbligatorie sugli alimenti”, precisa che
(co. 1): «Le eventuali informazioni obbligatorie su-
gli alimenti richieste dalla normativa in materia di
informazioni sugli alimenti rientrano, in particolare,
in una delle seguenti categorie: a) informazioni sul-
l’identità e la composizione, le proprietà o altre ca-
ratteristiche dell’alimento […].»
Ad adiuvandum, all’articolo 7, “Pratiche leali di in-
formazione” (co. 1): «Le informazioni sugli alimen-
ti non inducono in errore, in particolare: a) per
quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in
particolare, la natura, l’identità, le proprietà, la com-
posizione, la quantità, la durata di conservazione, il
Paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo
di fabbricazione o di produzione […]». Qui si preci-
sa anche il metodo di fabbricazione, che evidente-
mente è diverso nel caso di formaggi freschi a pa-
sta filata ottenuti da cagliate o invece da latte fre-
sco. Soprattutto-ma non solo- quando queste siano
costituite a partire da latte in polvere. Di conse-
guenza, il Reg. (UE) 1169/2011 sembra rafforzare la
legge 138/1974, che impediva la ricostituzione di
prodotti caseari con latte in polvere o altrimenti al-
terato, traendo nuova linfa non solo dal succitato
articolo 4, ma anche da eventuali norme nazionali
di maggior tutela per i consumatori, come previste
al Capo VI (articolo 39), in particolare –ma non so-
lo- per la tutela dalle frodi. Né può essere usata a
giustificazione dell’uso del latte in polvere- come
fatto dal Tribunale di Monza (sentenza 26 settem-
bre 2008) la normativa UE riferita alla sicurezza ali-
mentare (e non già all’informazione ai consumato-
ri!), nella parte definitoria di prodotti lattiero-casea-
ri (Reg. 853/20004, allegato I, punto 7), secondo la
quale questi sarebbero “i prodotti trasformati risul-
tanti dalla trasformazione di latte crudo o dall’ulte-
riore trasformazione di detti prodotti”.
Tale normativa infatti copre aspetti meramente igie-
nico-sanitari e non di corretta e leale informazione
ai consumatori (su cui invece ha vigore il reg. 1169).
Del resto nessun prodotto lattiero caseario verrà
successivamente venduto in modo così generico
(“prodotto lattiero-caseario”). Insomma, si tratta di
una interpretazione assolutamente criticabile e rife-
rita a domini del diritto non confrontabili. Il passag-
gio di stato fisico andrebbe comunicato, a maggior
ragione in presenza di ben tre passaggi (da latte in
polvere a cagliata, da cagliata a cagliata congelata,
da cagliata congelata a mozzarella).
Ingrediente sostitutivo
Una delle novità del regolamento UE 1169/2011,
inoltre, nasce da previsioni specifiche – e coerenti
con la portata complessiva della rinnovata imposta-
zione “filosofica” – circa la sostituzione di ingre-
dienti che il consumatore si attende di trovare nor-
malmente nel prodotto che acquista. Tali ingredien-
ti debbono essere resi immediatamente riconoscibi-
li nel loro carattere di succedaneità rispetto a quelli
abitualmente usati, proprio per evitare di ingannare
o altrimenti suggerire proprietà che il prodotto non
possiede.
All’allegato VI, par. 4, (“Denominazione degli ali-
menti e indicazioni specifiche che la accompagna-
no”) sono previste, infatti, alcune indicazioni obbli-
gatorie che devono accompagnare la denominazio-
ne dell’alimento:
«Nel caso di alimenti in cui un componente o un in-
grediente che i consumatori presumono sia normal-
mente utilizzato o naturalmente presente è stato
sostituito con un diverso componente o ingredien-
te, l’etichettatura reca – oltre all’elenco degli ingre-
dienti – una chiara indicazione del componente o
dell’ingrediente utilizzato per la sostituzione parzia-
le o completa:
a) in prossimità della denominazione del prodotto;
e
b) in caratteri la cui parte mediana (altezza della x)
è pari ad almeno il 75% di quella utilizzata per la
denominazione del prodotto e comunque di di-
mensioni non inferiori a quelle previste dall’articolo
13, paragrafo 2, del presente regolamento.»
In ragione di tale previsione, l’utilizzo di cagliate e
sieroproteine del latte al posto di latte fresco inte-
ro pastorizzato dovrebbe addirittura essere ripor-
tato a fianco della denominazione di vendita e
con carattere prospiciente, oltre che ovviamente e
con la massima trasparenza, anche nella lista in-
gredienti.
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4. Denominazioni generiche
al posto di denominazioni
più precise
Il regolamento UE 1169/2011 è infine preciso nella
semplificazione concessa nella designazione di talu-
ni ingredienti nella lista degli ingredienti, come, ad
esempio, pesce, formaggio e pangrattato, ma non
“latte” in quanto tale.
All’allegato VII, parte B, ovvero “Ingredienti desi-
gnati con la denominazione di una categoria piut-
tosto che con una denominazione specifica”, gli in-
gredienti che appartengono a una delle categorie di
alimenti sottoelencate e che sono componenti di
un altro alimento possono essere designati con la
denominazione di tale categoria invece che con la
denominazione specifica.
Tra queste, le semplificazioni ammesse in lista ingre-
dienti riguardano, circa i latticini, le “proteine del
latte”; possono così essere indicate tutte le protei-
ne del latte (caseine, caseinati e proteine del siero di
latte) e loro miscele. In tono ancora più rafforzativo
e specifico, quindi, il reg. UE 1169/2011 disciplina
che i caseinati debbano perentoriamente essere in-
dicati nella lista ingredienti, ammettendo come uni-
ca semplificazione la menzione “proteine del latte”
e senza possibili eccezioni.
Ingrediente caratterizzante
Nel caso poi del cosiddetto “ingrediente caratteriz-
zante” (art. 22 del reg. UE 1169/2011), di questo
va indicata la percentuale in lista ingredienti ed
eventualmente a fianco della denominazione del-
l’alimento.
Come “ingrediente caratterizzante” si intende quel
particolare ingrediente che si vuole “vantare” nella
denominazione dell’alimento o semplicemente
suggerire anche tramite simboli grafici (ad esempio,
un disegno del latte) o che è generalmente associa-
to dal consumatore all’alimento. Non solo, il rego-
lamento precisa che è ingrediente caratterizzante
anche l’ingrediente necessario per «caratterizzare
l’alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali po-
trebbe essere confuso a causa della sua denomina-
zione o del suo aspetto.»
Sebbene l’indicazione dell’ingrediente caratteriz-
zante non abbia in quanto tale a che fare con la più
precisa denominazione dell’ingrediente o dell’ali-
mento, introduce criteri di chiarezza e trasparenza
interpretativa. E lo fa al punto tale che una interpre-
tazione “in negativo” fa supporre come un ingre-
diente caratterizzante possa anche essere un ingre-
diente sostitutivo rispetto a quello abitualmente
usato, che potrebbe ingenerare confusione nel con-
sumatore. Di conseguenza, l’articolo 22 va letto in
sinossi con l’allegato VI, parte 4, facendo sì che le
due disposizioni si completino vicendevolmente.
La pronuncia della Cassazione
Sul tema è in qualche modo intervenuta anche la
Corte di Cassazione con la sentenza 11513/2104.
La Corte si è espressa soltanto relativamente al ter-
mine volontario “fresco”, che non può mai essere
riferito a ricotta a partire da latte in polvere o pro-
teine del latte. In tal caso, ribadiamo che l’obbligo
di indicazione nella lista degli ingredienti può esse-
re sintetizzato con “proteine del latte”, quale mo-
dalità di massima semplificazione ammessa dal legi-
slatore al massimo livello (comunitario).
Nel testo della sentenza, si legge infatti: “del resto
la giurisprudenza di questa Corte suprema, sia pur
in epoca assai risalente, in materia di preparazione
della ricotta aveva affermato che integrava l’ipotesi
contravvenzionale di cui all’art. 5 della l. 262/83 sia
la produzione di latticini con latte in polvere di qual-
siasi tipo, sia, in particolare, la produzione di ricotta
(che costituisce una particolare forma di latticino in
quanto derivato dal siero di latte dopo la separazio-
ne dalla cagliata) con il siero di latte in polvere”.
La domanda è allora: “Le cagliate sono raffigurabi-
li sic et simpliciter come latte in polvere?” La realtà
tecnologica sembra essere appena diversa. Le ca-
gliate non sono raffigurabili né come latte in polve-
re né però possono essere equiparate, a nostro mo-
desto avviso, al “latte” in quanto tale in lista ingre-
dienti.
Più in generale, c’è da presumere comunque un
atto di ingannevolezza del consumatore, nel caso
si evidenzi come “latte” quale ingrediente l’uso
invece di cagliate, che sono un prelavorato con-
servato e con caratteristiche assai diverse sia in
termini composizionali che di processo richiesto
successivamente.
La cagliata prelavorata, infatti, diminuisce l’onere
trasformativo successivo, finendo per ledere i diritti
contrattuali del consumatore, che ritiene, a ragione,
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5. di acquistare un prodotto ottenuto a partire da lat-
te fresco e magari lavorato magistralmente, per ot-
tenere il bene per il quale è disposto a riconoscere
al trasformatore un prezzo consono, proprio in ra-
gione delle fasi di lavorazione “incamerate”, qualo-
ra si parta dal latte fresco. Anche ammettendo in
prima battuta ed in astratto la liceità di indicare
“latte” al posto di “cagliata”, occorre tener presen-
te che il trasformatore finale non produce la caglia-
ta dal latte nel proprio stabilimento, nel qual caso
potrebbe avere un senso indicare “latte”, ma la im-
porti da altri livelli della filiera produttiva e spesso da
fuori Italia. In base a tale lettura, e proprio in ragio-
ne dell’uso di sottoprodotti del latte, questi dovreb-
bero essere etichettati e comunicati come tali al
consumatore, per metterlo nelle condizioni di esse-
re informato su quello che sta acquistando.
Ne risulta, a nostro modesto convincimento, che
eventuali comportamenti degli operatori economici
che contemplino la sostituzione di latte con caglia-
te o sieroproteine del latte siano da considerarsi a
pieno titolo in contrasto con le varie succitate dispo-
sizioni – precise e generali – del regolamento UE
1169/2011, oltre a più ampi riferimenti alle buone
prassi commerciali.
In tal senso, i rifermenti al quadro sanzionatorio
passeranno necessariamente tramite la disciplina
penale vigente (in particolare, l’articolo 515 del c.p.
“Aliud pro alio” e 516 “Vendita di sostanze non
genuine come genuine), che esce rafforzata dalle
disposizioni europee, insieme ad aspetti emergenti
del rinnovato quadro sanzionatorio che accompa-
gnerà il novellato d.lgs. 109/1992, attualmente in
bozza.
Di conseguenza, il livello di azione adeguato do-
vrebbe riferirsi al contrasto e alla repressione delle
frodi, più che non ad una perimetrazione normati-
va del tema, che sembra ben delineata dalle nuove
disposizioni UE di tipo regolamentare e, quindi, pie-
namente applicativa in tutti gli Stati dell’Unione.
Buchi normativi
Il regolamento UE 1169/2011 disciplina anche gli
ingredienti composti (come definiti all’art. 2, co. 2,
l. “h”), che effettivamente possono costituire un
escamotage giuridico per aggirare le disposizioni
più puntuali, in nome magari della semplificazione
delle informazioni al consumatore.
Ma all’allegato VII, parte E, par. 1, si precisa che gli
ingredienti dell’ingrediente composto vanno sem-
pre indicati:
«1. Un ingrediente composto può figurare nel-
l’elenco degli ingredienti sotto la sua designazione,
nella misura in cui essa è prevista dalla regolamen-
tazione o fissata dall’uso, in rapporto al suo peso
globale, e deve essere immediatamente seguita
dall’elenco dei suoi ingredienti.
2. Fatto salvo l’articolo 21, l’elenco degli ingredien-
ti previsto per gli ingredienti composti non è obbli-
gatorio:
a) quando la composizione dell’ingrediente compo-
sto è definita nel quadro di disposizioni vigenti del-
l’Unione e nella misura in cui l’ingrediente compo-
sto interviene per meno del 2 % nel prodotto fini-
to. […].»
Ovviamente, nel caso di caseinati e sieroproteine o
cagliate eventualmente aggiunti, la necessità di un
utilizzo in quantità ben maggiore del 2% sul pro-
dotto finito per formaggi freschi a pasta filata, ma
anche per altri formaggi, rende obbligatoria la tra-
sparenza nella lista degli ingredienti di caseinati e
sieroproteine del latte, senza possibilità di deroga
alcuna.
A dire il vero, una possibile eccezione – tutto som-
mato minore – riguarda prodotti trasformati, anche
preconfezionati, che potranno recare la denomina-
zione “formaggio” in lista degli ingredienti, senza
necessità di avere una più precisa lista dell’ingre-
diente composto (ad esempio, “Ingredienti: acqua,
carne di manzo, purea di patate, formaggio (latte,
proteine del latte, caglio, sale”), con possibilità di
nascondere i caseinati.
In base all’allegato VII del 1169, infatti, potrà esse-
re menzionato in lista ingredienti come “formag-
gio”, senza alcuna lista dei sottoingredienti, qual-
siasi specie di formaggio, quando il formaggio o
una miscela di formaggi costituisce un ingrediente
di un altro alimento, purché la denominazione e la
presentazione di quest’ultimo non facciano riferi-
mento a una precisa specie di formaggio.
Il latte così inteso, a partire dal r.d. 9 maggio
1929, n. 994 (con la sola parola “latte” deve in-
tendersi il latte proveniente dalla vacca), riguarda
solo il latte vaccino intero, «il prodotto ottenuto
dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa
di animali in buono stato di salute e di nutrizio-
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6. ne». Di conseguenza, ogni altro (sotto)prodotto
va etichettato diversamente, inclusi i condensati,
precipitati, liofilizzati, nonché congelati. La caglia-
ta, infatti, è qualcosa di diverso per stato fisico dal
latte.
“Decongelato” o meno
in etichetta?
Le cagliate vengono inoltre trasportate spesso con-
gelate: un riferimento in tal senso dovrebbe essere
obbligatorio, almeno con il termine “latte deconge-
lato”. Ma anche se qui, a dire il vero, le ambiguità
del regolamento UE 1169/2011 non mancano di
sollevare dubbi. Se, infatti, all’allegato VI si precisa
tale necessità normativa, successivamente si intro-
duce un numero di deroghe a dir poco impressio-
nante. Al paragrafo 2 si legge infatti: «Nel caso di
alimenti che sono stati congelati prima della vendi-
ta e sono venduti decongelati, la denominazione
dell’alimento è accompagnata dalla designazione
“decongelato.»
Tale obbligo non si applica:
a) agli ingredienti presenti nel prodotto finale;
b) agli alimenti per i quali il congelamento costitui-
sce una fase tecnologicamente necessaria del pro-
cesso di produzione;
c) agli alimenti sui quali lo scongelamento non
produce effetti negativi in termini di sicurezza o
qualità.
Un salto logico importante, tra la necessaria infor-
mazione al consumatore prevista dal regolamento
e le disposizioni tecniche, a vantaggio indiscusso di
alcuni soggetti produttivi meno interessati alla tra-
sparenza.
Conclusioni: nuovi spazi
per l’origine?
L’art. 26 del reg. UE 1169/2011, poi, prevede l’indi-
cazione del Paese di origine-luogo di provenienza
del «latte usato come ingrediente», nonché del-
l’ingrediente primario (che costituisce almeno il
50% di un alimento) o dei prodotti monoingre-
diente (come è ragionevole ritenere essere i lat-
ticini). La Commissione europea dovrebbe a breve
prevedere una relazione in tal senso, nel caso corre-
data da proposta legislativa. Alcuni Paesi come
l’Ungheria hanno già previsto norme di dettaglio
sull’origine dei latticini, in anticipo sulle norme UE.
È una strada alternativa, ma che permette al consu-
matore di recuperare – in altro modo – informazio-
ni sulla provenienza che in qualche modo fungono
da proxy dello stato fisico. In tal senso, diventa as-
solutamente interessante verificare se, in ragione
della diversa provenienza, un ingrediente come il
formaggio/cagliata, che pure a norma del reg. UE
1169/2011 non prevede una lista ingredienti (art.
19, comma 1), la debba contemplare per una più
piena attuazione dell’articolo 26 del reg. UE
1169/2011.
Da un punto di vista di più ampio respiro e consi-
derando che il reg. UE 1169/2011 introduce a
chiare lettere un capo “Pratiche Leali di Informa-
zione”, il consumatore dovrebbe avere tutto il di-
ritto di sapere se il formaggio fresco è ottenuto da
latte o da cagliate e, nel caso, con quale prove-
nienza. Anche perché il regolamento UE
1169/2011 riafferma la necessità di indicare con
precisione lo stato fisico: se lo stabilimento di tra-
sformazione finale usa cagliata e non latte fresco
dovrebbe essere reso apprezzabile.
In tal senso, gli spazi aperti per gli Stati membri
circa il contrasto delle frodi e la tutela dei consu-
matori – come previsti al capo VI, art. 39 – lascia-
no impregiudicate possibilità di norme più precise
a livello nazionale, un’opportunità che invero il le-
gislatore nazionale potrebbe cogliere, a tutela di
un comparto – il lattiero-caseario – sempre più in
crisi.
Ad adiuvandum, all’art. 39, par. 2, del reg. UE
1169/2011 si prevede che gli Stati membri abbiano
facoltà di adottare indicazioni obbligatorie sul Pae-
se di origine-luogo di provenienza, ove esista un
nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e
la sua origine o provenienza, e quando vi sia la pro-
va del fatto che la maggior parte dei consumatori
attribuisce un valore significativo alla fornitura di ta-
li informazioni.
Ciò sembra lasciare aperti spazi di evoluzione non
solo normativa, ma anche interpretativa della nor-
ma rispetto al passato, in modo da garantire una
più completa e corretta informazione al consuma-
tore, secondo i più alti principi della normativa eu-
ropea, tutelandolo al contempo da possibili feno-
meni fraudolenti.
Informazione al consumatore
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