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La legge italiana stabilisce
quali debbano essere le
caratteristiche (materie
prime, ingredienti, proprie-
tà fisiche) di un prodotto
alimentare affinché lo stes-
so possa essere definito
“pasta”. Le norme relative
sono contenute nel decreto
187/2001 che, come è noto,
ha sostituito la vecchia
legge 580 del 1967. Le finali-
tà della legge sono la tutela
del prodotto secco tradizio-
nale italiano e la disciplina
dellaproduzioneedistribu-
zionedeglialtritipidipasta,
da quella fresca sfusa o
confezionata alle paste
speciali,nonsenzanovitàdi
rilievo rispetto al passato,
come ad esempio per la
“pasta stabilizzata”.
Le caratteristiche della
pasta alimentare specifica-
te dalla legge italiana sono
per così dire sintetizzate
nella “denominazione di
vendita”, da indicarsi
obbligatoriamente per il
prodotto confezionato.
Per evitare abusi e
confusioni, la legge ne
indica esplicitamente alcu-
ne, altre in modo implicito,
ma non per questo meno
tassative. Così ogni tipo di
pasta prodotta e commer-
cializzata in Italia deve
recare sulla confezione la
denominazione di vendita
conforme al tipo ed alla
sua formulazione.
La pasta essiccata, ad
esempio, deve riportare la
denominazione “pasta di
semola di grano duro”. Se
alla semola viene aggiunto
l’uovo (nella proporzione
obbligatoria di quattro
uova intere sgusciate o 200
grammi di uovo liquido
per ogni chilogrammo di
semola) il prodotto deve
essere denominato “pasta
all’uovo”, denominazione
che ne indica la formula-
zione obbligatoria, cioè
semola di grano duro e
uovo di gallina, la cui
quantità percentuale rife-
rita al prodotto essiccato
deveessereanch’essaindi-
cata nella voce corrispon-
dente dell’elenco degli
ingredienti, oppure nella
stessa denominazione di
vendita.
La “denominazione di
vendita” indica dunque al
consumatore qual è il tipo di
pasta che gli viene proposto
e al tempo stesso lo garanti-
sce, grazie alla specificità ed
obbligatorietà della denomi-
nazione stessa, sulla formu-
lazione del prodotto che
acquista. Ovviamente la
“denominazione di vendi-
ta” della pasta non deve
essere confusa con altre
denominazioni normal-
mente riferite al formato
della pasta stessa, oppure
costituite da un nome di
fantasia liberamente adotta-
to dal produttore per
c o n t r a d d i s t i n g u e r e
commercialmente il suo
prodotto.
La regolamentazione speci-
fica della pasta e l’obbligo
all’uso delle denominazioni
di vendita, indicate nella
regolamentazione stessa,
non stabiliscono solo quali
debbano essere le formula-
zioni di base del prodotto,
ma anche se e quando esso
possa essere definito
“pasta”.
Chiarito questo, vediamo
qualisonoicasipiùfrequenti
diusoimpropriodeltermine
“pasta”, sia per quanto
riguarda le denominazioni
di vendita che le altre indica-
zioniriportatesullaetichetta-
tura del prodotto o, più
genericamente, sulla presen-
tazione del prodotto stesso,
compresi i messaggi che lo
publicizzano.
La pasta essiccata
Per questa tipologia di
pasta c’è ben poco da dire:
può essere prodotta solo
con semola (o semolato) di
grano duro, l’unica mate-
ria prima consentita, a
parte la eventuale presen-
za di grano tenero conse-
guente a possibili impurità
originarie dello sfarinato,
tollerata fino ad un massi-
mo del 3%. È chiaro che la
possibile presenza di
grano tenero per eventuali
impurità della semola non
autorizza nessuno a misce-
lare la semola con farina di
grano tenero fino al limite
percentuale indicato,
anche se in teoria questa
pratica illegale potrebbe
giovarsi di una certa
copertura giuridica.
Comunque sia, la formula-
zione obbligatoriamente
prevista dalla legge esclu-
de che qualsiasi altro
prodotto secco avente la
forma, l’aspetto, le modali-
tà di presentazione e di
consumo tipiche della
pasta alimentare possa
essere definito “pasta” se
non è ottenuto da semola
di grano duro.
L’uso di materie prime
Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.40
USO, NON USO E ABUSO DEL TERMINE PASTA
Le denominazioni di vendita delle paste alimentari e dei prodotti ad esse assimilati o
assimilabili
diverse dalla semola(1) di grano duro
non è pertanto consentito, in base
alla legge italiana, per produrre
pasta essiccata. È questo il caso, ad
esempio, dei formati ottenuti dagli
sfarinati di altri cereali, come il farro,
il mais ed il riso. Le innumerevoli
confezioni di formati corti e lunghi
tipici delle paste alimentari, ma otte-
nuti con le materie prime appena
citate e poste in vendita nei negozi e
nelle altre strutture della distribu-
zione commerciale, sono conse-
guentemente una evidente dimo-
strazione di come anche la rigida
regolamentazione italiana sulla
pasta possa essere aggirata proprio
grazie al criterio normativo citato
prima. Poiché la legge stabilisce
infatti il principio che solo gli
spaghetti di semola possono essere
denominati “pasta”, lo stesso princi-
pio resta giuridicamente valido se lo
si formula in modo opposto, nel
senso cioè che gli spaghetti “non di
semola” non possono essere deno-
minati “pasta”. Ciò assodato sareb-
be dimostrato come sia pertanto
possibile produrli e venderli se
questa loro “non prerogativa” fosse
pienamente rispettata nella etichet-
tatura e presentazione commercia-
le. In base a questa interpretazione,
dunque, gli spaghetti “sono pasta”
se fatti con la semola, “non sono
pasta” se fatti con la farina di mais.
Con ciò uscendo de iure e de facto
dall’ambito di applicazione del DPR
187/2001. E nulla sembrerebbe
contare il dettaglio che il processo
produttivo sia in pratica lo stesso,
identica la forma, identico il modo
di prepararli in cucina e di consu-
marli.
In anni passati di tanto in tanto si è
assistito a qualche intervento
repressivo degli organi pubblici di
controllo (ASL e NAS) contro la
mutazione di identità di ciò che è in
pratica solo una pasta anomala, ma
pur sempre pasta; poi la dinamica
dei controlli si è via via spenta, un
po’ perché qualche tribunale ha
assolto in giudizio l’anomalia, un po’
perché il dilagare di questi prodotti
ha certamente disincentivato i
controlli stessi.
La pasta fresca
Rispetto a quella secca, la pasta
fresca gode di una più ampia libertà
di formulazione, per la quale è
consentito anche l’impiego della
farina di grano tenero, da sola o
miscelata alla semola. Per questa
tipologia di pasta, inoltre, il legislato-
re si è soprattutto preoccupato di
fissare criteri finalizzati alla salva-
Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.41
Nelle immagini di questa pagina alcuni
esempi di etichettatura di pasta fresca.
La foto qui sopra si riferisce a pasta
fresca all’uovo con ripieno, confeziona-
ta in atmosfera protettiva e posta in
vendita con la denominazione “pasta
fresca speciale di farina di grano tenero
all’uovo con ripieno”, denominazione
errata. Da notare anche la mancata
indicazione del “quid” percentuale rife-
rito all’uovo.
La foto in alto mostra alcune confezioni
riferite a tre diverse tipologie di prodotto
con gli usi improprii della denominazio-
ne citati nell’articolo.
guardia della igienicità del
prodotto, tenendo nella
dovuta considerazione la
sua deperibilità e quindi il
rischio potenziale per la
salute del consumatore.
Tuttavia anche per la pasta
fresca (e per le paste stabi-
lizzate) le materie prime
consentite per la prepara-
zione dell’impasto sono
stabilite per legge, per cui
anche per esse vale quanto
osservato per le paste
secche, nonostante sia
consentito l’uso della fari-
na di grano tenero, tradi-
zionale soprattutto nelle
regioni dell’Italia setten-
trionale e centrale. In real-
tà la stessa consuetudine
commerciale delle paste
fresche, prevalentemente
indirizzata alle loro formu-
lazioni tradizionali, ha di
fatto limitato gli abusi
nella denominazione
“pasta”, comunque non
consentita per materie
prime diverse dagli sfari-
nati di frumento nella
preparazione della sfoglia
e/o dell’impasto successi-
vamente estruso.
L’abuso della denominazio-
ne però di tanto in tanto
compare in modo anche
macroscopico, come nel
caso degli gnocchi di patata
denominati “pasta fresca”
sulle confezioni Conad,
abuso documentato dalla
foto che pubblichiamo. Si
tratta, in questo caso, di un
errore probabilmente dovu-
to al fatto che, nella classifi-
cazione merceologica dei
prodotti freschi, la grande
distribuzione accomuna gli
gnocchi alle paste fresche,
farcite e non. Una “svista”
che fornisce però una ulte-
riore prova di quanto possa
essere approssimativa l’ap-
plicazione delle norme sulla
etichettatura dei prodotti
alimentari,anchedapartedi
grandi strutture aziendali
che più che mai dovrebbero
essere particolarmente
attrezzate in tal senso.
La pasta speciale
Questa tipologia di pasta
riguarda i prodotti che
abbiano nell’impasto (sia
esso estruso o laminato,
mantenuto fresco o essic-
cato) uno o più ingredienti
caratterizzanti espressa-
mente indicati come tali
sulla confezione.
L’uso del termine “pasta”
nella denominazione di
vendita del prodotto è
anche in questo caso
subordinato all’impiego
delle materie prime
consentite per la prepara-
zione dell’impasto, rispet-
tando le formulazioni
stabilite a questo proposito
per le paste secche e per le
paste fresche.
L’abuso più frequente
riguarda però non tanto
l’uso improprio del termi-
ne “pasta” quanto invece
quello dell’aggettivo
“speciale”, che non deve
in alcun modo comparire
nella denominazione di
vendita, ma che invece è
presente nella stragrande
maggioranza delle deno-
minazioni stesse stampate
sulle confezioni delle
paste colorate o comun-
que caratterizzate da
ingredienti particolari,
nonché in molte confezio-
ni di pasta fresca con
ripieno. La documenta-
zione fotografica di
questo articolo pubblicata
nella pagina precedente è
quanto mai esauriente in
proposito.
La pasta senza glutine
Il glutine è il componente
che maggiormente carat-
terizza la pasta, dal mo-
mento che ne determina
elasticità e tenacità, tenuta
in cottura, assenza di collo-
sità superficiale: in sintesi
la qualità “al dente”, attri-
buto principe della pasta
tradizionale italiana.
A parte comunque queste
sue specifiche funzioni
tecnologiche, il glutine è
la proteina caratteristica
Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.42
Esempi di prodotti aproteici per alimentazione particolare
commercializzati con l’uso della denominazione “pasta”.
del frumento, in particolare del
grano duro, nel quale le frazioni
proteiche che la compongono sono
presenti in proporzioni ottimali per
la qualità della pasta. Il glutine è
invece assente in altri cereali, ad
esempio mais e riso, per cui le farine
ottenute dalla loro macinazione
sono normalmente utilizzate (da
sole o miscelate ad amidi ottenuti
da altre fonti, anche diverse dai
cereali) nella produzione delle
cosiddette “paste senza glutine”.
Questa definizione, tuttavia, è chia-
ramente impropria dato che, poiché
non può essere denominato “pasta”
il prodotto secco ottenuto senza
semola, non può evidentemente
essere denominato “pasta senza
glutine” il prodotto secco sprovvisto
di quello che, come abbiamo appena
visto, è il componente proteico
specifico degli sfarinati obbligatoria-
mente usati nella produzione delle
paste alimentari.
Perquestatipologiadiprodotto, che
“non è pasta” per la legge italiana,
sempre più sulla cresta dell’onda in
parte per moda in parte per il
crescente numero di persone affette
da patologie che le rendono insoffe-
renti al glutine di frumento, qualsia-
si riferimento alla pasta è pertanto
vietato sia in etichettatura che in
presentazione, qualunque siano le
modalità, compresi i messaggi
pubblicitari.
Eppure gli abusi in tal senso si spre-
cano, anche per i prodotti debita-
mente autorizzati dal Ministero
della salute in osservanza alla
normativa che regola appunto “i
prodotti destinati ad una alimenta-
zione particolare”, venduti soprat-
tutto in farmacia.
L’aspetto davvero criticabile di
questi abusi di denominazione è
ancora una volta l’approssimazione
con la quale sono applicate le
norme di legge, nel caso specifico
non solo quelle sulla etichettatura e
pubblicità dei prodotti alimentari,
ma anche e soprattutto quelle appe-
na citate che dettano le regole
(molto severe) sulla fabbricazione e
distribuzione dei prodotti destinati
ad una alimentazione particolare,
quali appunto gli spaghetti o i riga-
toni senza glutine.
Sconcerta anche l’assenza di
controlli. I formati tradizionali di
pasta prodotti con sfarinati di mais e
riso, sempre più numerosi sugli scaf-
fali della distribuzione commerciale,
non solo aggirano senza tentenna-
menti il rigore del DPR 187/2001
sulle paste alimentari, ma presenta-
no anche vistose ambiguità di
etichettatura chiaramente fina-
lizzate ad attrarre il consumatore,
anche quello purtroppo sofferente
di intolleranza per il glutine e che il
legislatore italiano ha voluto
tutelare con la normativa speciale
sui prodotti destinati ad una alimen-
tazione particolare. Normativa
anch’essa in pratica aggirata, senza
particolari illegalità, ma pur sempre
in modo odioso per il profilo specifi-
co del consumatore, vittima di un
atteggiamento non solo furbesco,
ma anche potenzialmente pericolo-
so per la sua salute.
Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.43
(1) si vedano gli articoli 6, 8 e 9 del DPR
9 febbraio 2001 n.187, relativi agli
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delle paste alimentari.

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USO, NON USO E ABUSO DEL TERMINE PASTA

  • 1. La legge italiana stabilisce quali debbano essere le caratteristiche (materie prime, ingredienti, proprie- tà fisiche) di un prodotto alimentare affinché lo stes- so possa essere definito “pasta”. Le norme relative sono contenute nel decreto 187/2001 che, come è noto, ha sostituito la vecchia legge 580 del 1967. Le finali- tà della legge sono la tutela del prodotto secco tradizio- nale italiano e la disciplina dellaproduzioneedistribu- zionedeglialtritipidipasta, da quella fresca sfusa o confezionata alle paste speciali,nonsenzanovitàdi rilievo rispetto al passato, come ad esempio per la “pasta stabilizzata”. Le caratteristiche della pasta alimentare specifica- te dalla legge italiana sono per così dire sintetizzate nella “denominazione di vendita”, da indicarsi obbligatoriamente per il prodotto confezionato. Per evitare abusi e confusioni, la legge ne indica esplicitamente alcu- ne, altre in modo implicito, ma non per questo meno tassative. Così ogni tipo di pasta prodotta e commer- cializzata in Italia deve recare sulla confezione la denominazione di vendita conforme al tipo ed alla sua formulazione. La pasta essiccata, ad esempio, deve riportare la denominazione “pasta di semola di grano duro”. Se alla semola viene aggiunto l’uovo (nella proporzione obbligatoria di quattro uova intere sgusciate o 200 grammi di uovo liquido per ogni chilogrammo di semola) il prodotto deve essere denominato “pasta all’uovo”, denominazione che ne indica la formula- zione obbligatoria, cioè semola di grano duro e uovo di gallina, la cui quantità percentuale rife- rita al prodotto essiccato deveessereanch’essaindi- cata nella voce corrispon- dente dell’elenco degli ingredienti, oppure nella stessa denominazione di vendita. La “denominazione di vendita” indica dunque al consumatore qual è il tipo di pasta che gli viene proposto e al tempo stesso lo garanti- sce, grazie alla specificità ed obbligatorietà della denomi- nazione stessa, sulla formu- lazione del prodotto che acquista. Ovviamente la “denominazione di vendi- ta” della pasta non deve essere confusa con altre denominazioni normal- mente riferite al formato della pasta stessa, oppure costituite da un nome di fantasia liberamente adotta- to dal produttore per c o n t r a d d i s t i n g u e r e commercialmente il suo prodotto. La regolamentazione speci- fica della pasta e l’obbligo all’uso delle denominazioni di vendita, indicate nella regolamentazione stessa, non stabiliscono solo quali debbano essere le formula- zioni di base del prodotto, ma anche se e quando esso possa essere definito “pasta”. Chiarito questo, vediamo qualisonoicasipiùfrequenti diusoimpropriodeltermine “pasta”, sia per quanto riguarda le denominazioni di vendita che le altre indica- zioniriportatesullaetichetta- tura del prodotto o, più genericamente, sulla presen- tazione del prodotto stesso, compresi i messaggi che lo publicizzano. La pasta essiccata Per questa tipologia di pasta c’è ben poco da dire: può essere prodotta solo con semola (o semolato) di grano duro, l’unica mate- ria prima consentita, a parte la eventuale presen- za di grano tenero conse- guente a possibili impurità originarie dello sfarinato, tollerata fino ad un massi- mo del 3%. È chiaro che la possibile presenza di grano tenero per eventuali impurità della semola non autorizza nessuno a misce- lare la semola con farina di grano tenero fino al limite percentuale indicato, anche se in teoria questa pratica illegale potrebbe giovarsi di una certa copertura giuridica. Comunque sia, la formula- zione obbligatoriamente prevista dalla legge esclu- de che qualsiasi altro prodotto secco avente la forma, l’aspetto, le modali- tà di presentazione e di consumo tipiche della pasta alimentare possa essere definito “pasta” se non è ottenuto da semola di grano duro. L’uso di materie prime Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.40 USO, NON USO E ABUSO DEL TERMINE PASTA Le denominazioni di vendita delle paste alimentari e dei prodotti ad esse assimilati o assimilabili
  • 2. diverse dalla semola(1) di grano duro non è pertanto consentito, in base alla legge italiana, per produrre pasta essiccata. È questo il caso, ad esempio, dei formati ottenuti dagli sfarinati di altri cereali, come il farro, il mais ed il riso. Le innumerevoli confezioni di formati corti e lunghi tipici delle paste alimentari, ma otte- nuti con le materie prime appena citate e poste in vendita nei negozi e nelle altre strutture della distribu- zione commerciale, sono conse- guentemente una evidente dimo- strazione di come anche la rigida regolamentazione italiana sulla pasta possa essere aggirata proprio grazie al criterio normativo citato prima. Poiché la legge stabilisce infatti il principio che solo gli spaghetti di semola possono essere denominati “pasta”, lo stesso princi- pio resta giuridicamente valido se lo si formula in modo opposto, nel senso cioè che gli spaghetti “non di semola” non possono essere deno- minati “pasta”. Ciò assodato sareb- be dimostrato come sia pertanto possibile produrli e venderli se questa loro “non prerogativa” fosse pienamente rispettata nella etichet- tatura e presentazione commercia- le. In base a questa interpretazione, dunque, gli spaghetti “sono pasta” se fatti con la semola, “non sono pasta” se fatti con la farina di mais. Con ciò uscendo de iure e de facto dall’ambito di applicazione del DPR 187/2001. E nulla sembrerebbe contare il dettaglio che il processo produttivo sia in pratica lo stesso, identica la forma, identico il modo di prepararli in cucina e di consu- marli. In anni passati di tanto in tanto si è assistito a qualche intervento repressivo degli organi pubblici di controllo (ASL e NAS) contro la mutazione di identità di ciò che è in pratica solo una pasta anomala, ma pur sempre pasta; poi la dinamica dei controlli si è via via spenta, un po’ perché qualche tribunale ha assolto in giudizio l’anomalia, un po’ perché il dilagare di questi prodotti ha certamente disincentivato i controlli stessi. La pasta fresca Rispetto a quella secca, la pasta fresca gode di una più ampia libertà di formulazione, per la quale è consentito anche l’impiego della farina di grano tenero, da sola o miscelata alla semola. Per questa tipologia di pasta, inoltre, il legislato- re si è soprattutto preoccupato di fissare criteri finalizzati alla salva- Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.41 Nelle immagini di questa pagina alcuni esempi di etichettatura di pasta fresca. La foto qui sopra si riferisce a pasta fresca all’uovo con ripieno, confeziona- ta in atmosfera protettiva e posta in vendita con la denominazione “pasta fresca speciale di farina di grano tenero all’uovo con ripieno”, denominazione errata. Da notare anche la mancata indicazione del “quid” percentuale rife- rito all’uovo. La foto in alto mostra alcune confezioni riferite a tre diverse tipologie di prodotto con gli usi improprii della denominazio- ne citati nell’articolo.
  • 3. guardia della igienicità del prodotto, tenendo nella dovuta considerazione la sua deperibilità e quindi il rischio potenziale per la salute del consumatore. Tuttavia anche per la pasta fresca (e per le paste stabi- lizzate) le materie prime consentite per la prepara- zione dell’impasto sono stabilite per legge, per cui anche per esse vale quanto osservato per le paste secche, nonostante sia consentito l’uso della fari- na di grano tenero, tradi- zionale soprattutto nelle regioni dell’Italia setten- trionale e centrale. In real- tà la stessa consuetudine commerciale delle paste fresche, prevalentemente indirizzata alle loro formu- lazioni tradizionali, ha di fatto limitato gli abusi nella denominazione “pasta”, comunque non consentita per materie prime diverse dagli sfari- nati di frumento nella preparazione della sfoglia e/o dell’impasto successi- vamente estruso. L’abuso della denominazio- ne però di tanto in tanto compare in modo anche macroscopico, come nel caso degli gnocchi di patata denominati “pasta fresca” sulle confezioni Conad, abuso documentato dalla foto che pubblichiamo. Si tratta, in questo caso, di un errore probabilmente dovu- to al fatto che, nella classifi- cazione merceologica dei prodotti freschi, la grande distribuzione accomuna gli gnocchi alle paste fresche, farcite e non. Una “svista” che fornisce però una ulte- riore prova di quanto possa essere approssimativa l’ap- plicazione delle norme sulla etichettatura dei prodotti alimentari,anchedapartedi grandi strutture aziendali che più che mai dovrebbero essere particolarmente attrezzate in tal senso. La pasta speciale Questa tipologia di pasta riguarda i prodotti che abbiano nell’impasto (sia esso estruso o laminato, mantenuto fresco o essic- cato) uno o più ingredienti caratterizzanti espressa- mente indicati come tali sulla confezione. L’uso del termine “pasta” nella denominazione di vendita del prodotto è anche in questo caso subordinato all’impiego delle materie prime consentite per la prepara- zione dell’impasto, rispet- tando le formulazioni stabilite a questo proposito per le paste secche e per le paste fresche. L’abuso più frequente riguarda però non tanto l’uso improprio del termi- ne “pasta” quanto invece quello dell’aggettivo “speciale”, che non deve in alcun modo comparire nella denominazione di vendita, ma che invece è presente nella stragrande maggioranza delle deno- minazioni stesse stampate sulle confezioni delle paste colorate o comun- que caratterizzate da ingredienti particolari, nonché in molte confezio- ni di pasta fresca con ripieno. La documenta- zione fotografica di questo articolo pubblicata nella pagina precedente è quanto mai esauriente in proposito. La pasta senza glutine Il glutine è il componente che maggiormente carat- terizza la pasta, dal mo- mento che ne determina elasticità e tenacità, tenuta in cottura, assenza di collo- sità superficiale: in sintesi la qualità “al dente”, attri- buto principe della pasta tradizionale italiana. A parte comunque queste sue specifiche funzioni tecnologiche, il glutine è la proteina caratteristica Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.42 Esempi di prodotti aproteici per alimentazione particolare commercializzati con l’uso della denominazione “pasta”.
  • 4. del frumento, in particolare del grano duro, nel quale le frazioni proteiche che la compongono sono presenti in proporzioni ottimali per la qualità della pasta. Il glutine è invece assente in altri cereali, ad esempio mais e riso, per cui le farine ottenute dalla loro macinazione sono normalmente utilizzate (da sole o miscelate ad amidi ottenuti da altre fonti, anche diverse dai cereali) nella produzione delle cosiddette “paste senza glutine”. Questa definizione, tuttavia, è chia- ramente impropria dato che, poiché non può essere denominato “pasta” il prodotto secco ottenuto senza semola, non può evidentemente essere denominato “pasta senza glutine” il prodotto secco sprovvisto di quello che, come abbiamo appena visto, è il componente proteico specifico degli sfarinati obbligatoria- mente usati nella produzione delle paste alimentari. Perquestatipologiadiprodotto, che “non è pasta” per la legge italiana, sempre più sulla cresta dell’onda in parte per moda in parte per il crescente numero di persone affette da patologie che le rendono insoffe- renti al glutine di frumento, qualsia- si riferimento alla pasta è pertanto vietato sia in etichettatura che in presentazione, qualunque siano le modalità, compresi i messaggi pubblicitari. Eppure gli abusi in tal senso si spre- cano, anche per i prodotti debita- mente autorizzati dal Ministero della salute in osservanza alla normativa che regola appunto “i prodotti destinati ad una alimenta- zione particolare”, venduti soprat- tutto in farmacia. L’aspetto davvero criticabile di questi abusi di denominazione è ancora una volta l’approssimazione con la quale sono applicate le norme di legge, nel caso specifico non solo quelle sulla etichettatura e pubblicità dei prodotti alimentari, ma anche e soprattutto quelle appe- na citate che dettano le regole (molto severe) sulla fabbricazione e distribuzione dei prodotti destinati ad una alimentazione particolare, quali appunto gli spaghetti o i riga- toni senza glutine. Sconcerta anche l’assenza di controlli. I formati tradizionali di pasta prodotti con sfarinati di mais e riso, sempre più numerosi sugli scaf- fali della distribuzione commerciale, non solo aggirano senza tentenna- menti il rigore del DPR 187/2001 sulle paste alimentari, ma presenta- no anche vistose ambiguità di etichettatura chiaramente fina- lizzate ad attrarre il consumatore, anche quello purtroppo sofferente di intolleranza per il glutine e che il legislatore italiano ha voluto tutelare con la normativa speciale sui prodotti destinati ad una alimen- tazione particolare. Normativa anch’essa in pratica aggirata, senza particolari illegalità, ma pur sempre in modo odioso per il profilo specifi- co del consumatore, vittima di un atteggiamento non solo furbesco, ma anche potenzialmente pericolo- so per la sua salute. Pasta & Pastai n. 32/2003 - pag.43 (1) si vedano gli articoli 6, 8 e 9 del DPR 9 febbraio 2001 n.187, relativi agli sfarinati utilizzabili per la produzione delle paste alimentari.