Panoramica sintetica di sociologia della devianza: viene presentato un inquadramento generale del problema ed un prospetto sintetico delle principali teorie sociologiche sulla devianza.
2. Anatomia del
degrado: i
contesti
pericolosi e
gli abusi
Marginalità
e possibili
condotte
devianti
Contesto socio-
culturale
degradato
Abusi condotti
nell’ambito
familiare ed
extrafamiliare
Scarsa disponibilità
di modelli di
socializzazione
sana
Frequentazione
di subculture
devianti
3. Sociologia
della
devianza
• Nel linguaggio sociologico la devianza
rappresenta ogni atto o comportamento
(anche solo verbale) di una persona o di un
gruppo che viola le norme di una collettività
e che di conseguenza va incontro a una
qualche forma di sanzione, disapprovazione,
condanna o discriminazione.
• Un atto viene definito deviante non per la
natura stessa del comportamento, ma per la
risposta che suscita nell'ambiente
socioculturale in cui ha luogo (concezione
relativistica della devianza)
5. Teoria della tensione
La prospettiva di Emile Durkheim
(testo di riferimento: «il suicidio – studio di sociologia»
del 1897)
• La devianza si origina dalla presenza di tensioni
all’interno della struttura sociale (v. studi della scuola
di chicago sullo sviluppo urbano)
• Centrata sul concetto di anomia, l’idea per cui la
devianza è un effetto progressivo legato alla caduta dei
valori tradizionali e delle regole che tengono insieme
un corpo sociale
• La devianza è un fenomeno inevitabile che si associa
all’aumentare della complessità delle strutture sociali,
in ragione dell’impossibilità di ottenere un consenso
generalizzato attorno a norme e regole
6. Teoria della tensione
La prospettiva di Robert King Merton
(testo di riferimento: «Teoria e struttura sociale» del 1949)
• La devianza è il risultato del contrasto tra la struttura
culturale (che definisce le mete verso le quali tendere e i
mezzi con i quali raggiungerle) e la struttura sociale (che
determina la distribuzione effettiva delle opportunità
necessarie per arrivare a tali mete con quei mezzi)
• In base alla dialettica tra mete e mezzi, merton
individua 5 possibili modelli di adattamento
• Conformismo (sì mete/sì mezzi)
• Innovazione (sì mete/no mezzi)
• Ritualismo (no mete/sì mezzi)
• Rinuncia (no mete/no mezzi)
• Ribellione (altre mete/altri mezzi)
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7. Teoria della subcultura
La prospettiva di Edwin Sutherland e Albert Cohen
(testi di riferimento: «White collar crimes» del 1949
“Controllo sociale e comportamento deviante” del 1966)
• Secondo diversi autori, per comprendere i fenomeni devianti è
necessario esaminare i fattori culturali e di valori ai quali il deviante fa
riferimento.
• I primi studi intrapresi in questa direzione furono quelli di Clifford Shaw
e Henry McKay, che nel 1929 effettuarono un'imponente ricerca sul tasso
di delinquenza nella città di Chicago.
• Dopo aver suddiviso la città in cinque zone concentriche, Shaw e McKay
calcolarono il rapporto tra il numero di coloro che avevano commesso
reati e la popolazione totale della zona considerata. Dalla ricerca
emergeva che il tasso di delinquenza così ottenuto rimaneva alto nelle
zone circostanti il centro (abitate in prevalenza da immigrati di diverse
provenienze, soggetti a basso reddito) mentre tendeva a diminuire verso I
sobborghi, zone abitate in prevalenza da operai specializzati e aree
residenziali per cittadini ad alto reddito.
8. Teoria della
subcultura
La prospettiva di Edwin Sutherland e Albert
Cohen
(testi di riferimento: «White collar crimes»
del 1949
“Controllo sociale e comportamento
deviante” del 1966)
• Secondo i due sociologi la spiegazione andava ricercata nei diversi contesti valoriali presenti
nelle aree. In alcuni quartieri erano infatti presenti regole e valori favorevoli a certe forme di
devianza, che venivano di volta in volta trasmessi ai nuovi membri del gruppo.
• Riprendendo questo tipo di analisi, Edwin Sutherland ha elaborato la teoria dell'associazione
differenziale. In base a tale teoria si assume che "un individuo diventa delinquente a causa del
prevalere di definizioni favorevoli alla violazione della legge rispetto a definizioni sfavorevoli a
tale violazione".
• Ciò significa che all'interno dei diversi gruppi della medesima società possono essere presenti
sistemi culturali differenti, i quali incoraggiano comportamenti considerati devianti dalla società
nel suo complesso.
• Va da sé che gli individui che crescono all'interno di questi sistemi risulteranno molto più
predisposti alla devianza di chi appartiene a contesti sociali diversi
9. Teoria della
subcultura
La prospettiva di Edwin
Sutherland e Albert Cohen
(testi di riferimento: «White collar
crimes» del 1949
“Controllo sociale e
comportamento deviante” del
1966)
• Le origini della devianza andrebbero pertanto ricercate nei
processi di socializzazione che normalmente si verificano
all'interno di piccoli gruppi e dei quali l'individuo finisce per
accogliere norme e valori -> è una forma di apprendimento.
• Un fattore determinante nella formazione della
personalità individuale sarebbe non tanto il contatto con le
istituzioni astrattamente intese, quanto piuttosto il rapporto
effettivo istituito dal soggetto con individui particolari,
bande e gruppi.
• Un'implicazione di questa teoria è stata evidenziata dai
sociologi Cohen e Nisbet, per i quali la devianza tenderebbe
a diffondersi in quelle società (tipo le metropoli occidentali)
in cui sono presenti diverse subculture. In questo caso,
infatti, diversamente da quanto accade nelle piccole
comunità, la disomogeneità culturale provocherebbe delle
difficoltà nella trasmissione dei comportamenti approvati
dalla società.
10. Labeling theory
La prospettiva di Howard Saul Becker
(testi di riferimento: «Outsiders. Saggi di
sociologia della devianza», 1963)
• Secondo un'impostazione che risale a Howard Becker e che prende il
nome di labeling theory (cioè teoria dell'etichettamento), il nucleo dei
processi devianti è da rintracciare nelle norme che definiscono un
determinato comportamento come lecito o deviato.
• In sé, sostiene Becker, nessun comportamento è deviante, ma lo
diviene nel momento in cui esso viene definito tale. Il problema diviene
allora quello di capire quali gruppi sociali definiscono qualcosa come
lecito o deviante e per quali fini.
• L'analisi della devianza manifesta allora i rapporti di potere vigenti in
una determinata società. È infatti chi detiene il potere reale a imporre
la propria definizione di norma, etichettando chi non vi si attiene come
outsider. Accade così che le regole di definizione della devianza e i
contesti a cui esse si applicano vengono stabiliti per lo più dai ricchi per
i poveri, dagli uomini per le donne, dagli anziani per i giovani e dalle
maggioranze etniche per i gruppi minoritari.
• Molti bambini, per esempio, fanno cose come entrare nel giardino
degli altri, rompere finestre, rubare frutta o marinare la scuola. Ma
questi comportamenti vengono considerati diversamente a seconda del
contesto in cui si verificano. Così il medesimo fatto può essere
considerato una "monelleria" in un quartiere borghese, un sintomo di
devianza in una zona proletaria.
11. Labeling theory
La prospettiva di Howard Saul Becker
(testi di riferimento: «Outsiders. Saggi di sociologia della devianza»,
1963)
• Questa diversa considerazione non rimane però priva di
conseguenze: un individuo, una volta etichettato come
delinquente, verrà considerato e trattato come tale,
aumentando in tal modo la distanza con il resto della società. In
proposito Edwin Lemert parla di devianza primaria.
• A questo primo momento della trasgressione segue, infatti,
una volta che il soggetto stesso ha accolto l'etichetta di
deviante e si percepisce dunque come tale, la devianza
secondaria, un atteggiamento, cioè, che radicalizza la
propensione trasgressiva del soggetto in questione.
• Da queste teorie trae spunto una critica alle istituzioni
preposte a controllare il comportamento deviante: in altri
termini, riformatori e prigione avrebbero come effetto il
passaggio dell'individuo alla devianza secondaria. Da qui
l'affermazione di Edwin Lemert secondo cui non è la devianza a
richiedere il controllo sociale, ma è il controllo sociale a
generare la devianza.
12. Teoria del
controllo
sociale
(la prospettiva di Travis
Hirschi – “The generality
of deviance”, 1994)
• Tale teoria si basa sull’idea che le persone generalmente
si comportano in maniera conforme alle norme perché
esistono dei meccanismi di controllo sociale che
interdicono l’azione deviante. Tali meccanismi possono
essere sia esterni, sia interni (diretti o indiretti)
• Hirschi individua quattro tipi di vincoli che legano
l’individuo alla società, promuovendo così un
comportamento rispettoso della legge: l’attaccamento,
l’impegno, il coinvolgimento, le credenze.
13. Teoria del
controllo
sociale
I fattori di
protezione
• Attaccamento -> verso le figure adulte di riferimento (genitori,
insegnanti, mentori): quanto più è forte tale vincolo, tanto meno il
soggetto tenderà ad incappare nella loro disapprovazione
• Impegno –> teso al raggiungimento degli obiettivi convenzionali.
Chi ha investito energie in obiettivi di tale genere non tende a violare
le norme (il rischio è più elevato, ha qualcosa da perdere)
• Coinvolgimento -> nelle attività convenzionali (studio, lavoro,
impegno civico): “l’ozio è il padre dei vizi”
• Credenze -> l’accettazione di un Sistema di valori orientato al
rispetto della norma, anzichè alla sua trasgressione.
• In generale, la teoria del controllo sociale perviene ad individuare
nella capacità di autocontrollo la chiave per distinguere il deviante
dalla norma. Il comportamento criminale infatti tende alla
soddisfazione immediata del bisogno, con ricadute negative nel
futuro: il soggetto con buon autocontrollo invece non mette a
repentaglio le proprie prospettive future in vista di vantaggi effimeri.
14. Teoria della scelta
razionale
La prospettiva di Matza e Sykes: A theory of delinquency,
1957
• Tale approccio, figlio dell’utilitarismo, immagina il gesto deviante
come frutto di una scelta libera da parte di un individuo o di un
gruppo, sulla base di un calcolo razionale che bilancia costi e benefici
connessi all’azione deviante.
• La teoria descrive come I soggetti impegnati in attività deviant
facciano ricorso a tecniche di neutralizzazione per ovviare agli
inconvenienti psicologici che derivano dall’aver commesso atti
criminali (o più semplicemente trasgressivi)
• Secondo la teoria della scelta razionale – e la sua affine teoria della
routine - si focalizza sul delitto considerato come un'attività normale,
che dipende dalla opportunità disponibili. La criminalità non ha
bisogno di colpevoli recidivi, né super-predatori, né criminali
condannati o persone malvagie, ma solo di un'opportunità.