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Appunti antropologia
1. Appunti di Antropologia medica. I miei appunti presi a lezione del corso di “Antropologia medica” tenuto dalla docente Valentina Porcellana. Anno 2010/2011
5. L'educatore deve avere spiccate doti di osservazione, deve saper prendere le distanze da ciò che vive, deve guardarsi agire, ovvero fare dell'auto riflessività e dell'etero riflessività.
6. Agire per promuovere il benessere sociale, per individuare e sviluppare le potenzialità degli individui, delle famiglie, dei gruppi, di essere il motore del cambiamento.
11. L’antropologia culturale studia l’uomo dal punto di vista culturale quindi studia le idee, i comportamenti, i valori, le pratiche e le conoscenze degli uomini nelle diverse parti del mondo e in tempi diversi.
12. I primi antropologi studiavano le altre culture a distanza attraverso i racconti, tra la fine del '800 e l'inizio del '900 si ha la nascita della ricerca sul campo con osservazione diretta.
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16. Ogni individuo è portatore di una cultura differente che però è interconnessa alla cultura generale, dunque tra la cultura individuale e quella collettiva c'è un continuo apporto di nozioni.
17. Le culture non hanno confini netti, sono modelli che orientano le idee e le azioni di chi li condivide.
18. I modelli culturali ci vengono forniti dal gruppo a cui apparteniamo fin dalla nascita, per questo ci sembrano innati e naturali, essi sono introiettati dall’individuo durante il processo che si definisce inculturazione o socializzazione.
22. Una persona deviante rispetto alla norma è colei che pur conoscendo le regole, perché le ha apprese per inculturazione, decide di non seguirle.
23. Socializzazione = processo di apprendimento mediante il quale l'individuo acquisisce e fa propri norme, valori e modelli di comportamento tipici della società in cui vive.
24. Margaret Mead è la prima sociologa che conduce una ricerca sul campo sulla socializzazione di 3 popolazioni della Nuova Guinea. Essa definisce la socializzazione come la trasmissione di specifici caratteri culturali e la relativa acquisizione di schemi comportamentali.
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26. Il concetto di subcultura viene introdotto dai sociologi della Scuola di Chicago che analizzavano la differenza culturale che caratterizzava all'epoca la città.
27. Una subcultura può crearsi tra persone con caratteristiche simili come il sesso o l'etnia.
28. Quando una subcultura è caratterizzata da un’opposizione sistematica alla cultura dominante, spesso ci si riferisce ad essa come controcultura.
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30. La cultura subalterna ha un sistema complesso di atteggiamenti, valori, stili di vita e di comportamento propri di un gruppo sociale differenziato dalla cultura dominante ma comunque ad essa collegato.
31. La cultura subalterna non è completamente succube di quella egemone, tra le due c'è un condizionamento reciproco.
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33. Max Weber invece intende la classe come qualcosa di connesso a tre dimensioni: la ricchezza, il prestigio ed il potere.
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35. Il cambiamento non avviene individualmente perché si rischia di rimanere isolati, esso dunque può coinvolgere per esempio un gruppo dominante o subalterno.
36. Il cambiamento può essere endogeno, ovvero un cambiamento all'interno della società, oppure esogeno, ovvero dovuto a fenomeni di contatto di tipo continuo e duraturo tra due culture.
39. L’acculturazione comprende quei fenomeni che si verificano quando gruppi di persone di culture diverse entrano in contatto diretto e continuo che comporta modificazioni conseguenti nei modelli culturali di uno o di entrambi i gruppi.
40. La mobilità territoriale permette il contatto tra culture diverse, essa si riscontra in tutta la storia dei gruppi umani e si ricollega al fenomeno del nomadismo.
41. Altro fenomeno che permette l'acculturazione è l'emigrazione, ovvero lo spostamento di una popolazione, di un gruppo o di singoli da un territorio ad un altro, essa può essere volontaria, forzata o organizzata. L'emigrazione può avvenire per diversi motivi, oggi il principale è legato al processo di industrializzazione.
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43. Sincretismo: si ha una fusione tra elementi culturali eterogenei, il modello culturale nuovo ingloba i modelli precedenti senza cancellarli ma facendoli propri; si verifica spesso negli ambiti che coinvolgono le religioni.
44. Deculturazione: azione organizzata o anche inconsapevole che tende a sostituire i modelli preesistenti imponendone di nuovi anche con l'uso della violenza; possono in questo caso nascere modelli integralisti o nativisti che servono a rispondere alla deculturazione (mantenere i propri modelli anche super valorizzandoli).
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46. I fenomeni di trance sono codificati attraverso il rito, che è nello stesso tempo azione terapeutica e espressiva.
51. Interpretazione: è importante che l'antropologo riesca a distaccarsi da ciò che vede e vive per poterlo analizzare con obiettività, per poter interpretare i modelli dell'altro. L'antropologo deve comunque tenere presente che non riuscirà mai ad essere completamente obiettivo nelle sue interpretazioni.
52. Intervista: è un metodo che può essere utilizzato per mantenere una relazione informale e di fidicia senza mettere a disagio l'altro.
53. Prospettiva olistica: studiare l’insieme dei fenomeni per comprendere l’intero sistema, concetto che si associa con la prospettiva del complesso.
54. Contesto: tutti i fenomeni osservati hanno senso solo se legati al contesto di provenienza. In più il fenomeno studiato deve essere inteso come sistema e non come la semplice somma delle sue parti.
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56. Metodo comparativo: esso è utile per cogliere l’unità sotto l’apparente diversità di comportamento, così come serve per mostrare le diversità che esistono sotto un’apparente somiglianza.
57. Carattere dialogico: è visibile nel rapporto tra ascolto e dialogo, non esiste dialogo senza ascolto.
58. Essere traduttore, mediatore e garante: l'antropologo deve tradurre concetti i cui significati differiscono nelle diverse culture, anche se non sempre è possibile; egli deve fare da mediatore tra esperienze culturali diverse; e egli deve essere garante rispetto a possibili atteggiamenti di sopraffazione o sottovalutazione dei diversi modelli culturali.
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60. Risvolto applicativo: secondo molti antropologi questa scienza serve a facilitare la comunicazione tra culture diverse e per denunciare tutte le situazioni sociali e culturali in cui gli esseri umani sono sfruttati, oppressi o discriminati.
61. Riflessività: il lavoro dell'antropologo porta a riflettere molto su sé stessi, ci insegna a vedere noi stessi come gli altri ci vedono.
62. Condivisione: con la persona coinvolta in prima persona nella ricerca e poi con tutti gli altri.
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64. Pratica del fieldwork: ricerca sul campo o etnografia, la differenza la fa il tempo che si trascorre con le persone e il modo con cui lo si passa, essa è diventata una pratica imprescindibile per la professione antropologica e l’elemento di “partecipazione” fa sì che questa esperienza sia qualcosa di più di una raccolta dati e di un’osservazione a fini analitici.
65. Fare ricerca qualitativa: descrivere cause, processi, conseguenze e strategie che conducono a determinati risultati.
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67. Ogni cultura è etnocentrica poiché si considera come la migliore.
68. Nella forma più esasperata l'etnocentrismo si trasforma in razzismo orientato alla distruzione dell'altro.
69. L'etnicità è il senso di appartenenza ad un gruppo, questo è un elemento fondamentale dell’identità individuale e collettiva.
80. Il confronto con l’alterità è indispensabile per la costruzione identitaria.
81. L’alterità è esperienza dell'altro ed essa è sempre stata presente in ogni società attraverso le differenze di genere, di età, di classe sociale, di fede, di lingua o di origine.
84. Tutti i gruppi umani riconoscono le differenze fisiologiche di genere ma ognuno ha rappresentazioni diverse dei rapporti tra i 2 sessi. Per esempio la nostra società presenta una dicotomia insuperabile tra i 2 generi.
85. Il maschile e il femminile sono costruzioni sociali e culturali così come anche il comportamento di genere non è conseguenza “naturale” dell’identità sessuale, ma viceversa, data la differenza sessuale si costruisce la differenze di genere. Anche i tratti della personalità ritenuti naturali per un sesso o l’altro (dolcezza, aggressività, razionalità, decisione, ecc.) sono costruzioni di genere. (studi di Margaret Mead)
86. Il corpo è il “luogo” in cui si mette in scena (attraverso gli atteggiamenti, l’abbigliamento, la gestualità, la nudità, ecc.) la differenza di genere.
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89. Fase classificatoria: il gruppo inizia a discutere su ciò che è emerso e a dare un interpretazione.
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91. Si parla in questo modo di rappresentazione collettiva (Èmile Durkheim) ovvero il prodotto della struttura sociale
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93. La multidimensionalità problematica delle persone senza dimora impone un lavoro complesso sia per la ricerca che per l'attuazione di un servizio.
94. Le disuguaglianze sociale che portano a diventare senza fissa dimora a volte sono attuate attraverso disposizioni normative che sottolineano al mancanza di una normativa specifica.
95. I pregiudizi che ci sono verso i senza fissa dimora spesso guidano le politiche sociali che mancano di una programmazione centrale.
100. L'utente deve avere la possibilità di esprimere desideri giudizi e richieste e non doversi solo accontentare di quello che gli viene offerto.
101. Non è soltanto la mancanza di casa o di lavoro o di salute a portare all’isolamento sociale, ma la difficoltà o la perduta capacità di dare risposte adeguate ai propri bisogni.
102. “ Abitare senza casa” non significa non abitare nessun luogo, significa costruire la propria esistenza in rapporto a spazi diversi, in base a dove abito avrò un certo tipo di comportamento.
103. Le forme abitative sono molto stigmatizzate e il dormitorio si discosta molto da queste, esso è contemporaneamente riprovato socialmente ma preferibile a forme abitative di autonoma costruzione; essi sono dunque modelli abitativi anomali.
104. Una persona senza residenza è una persona senza un legame con il territorio che è fondamentale per la sopravvivenza, in quanto senza di essa non si può accedere ai servizi sanitari.
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106. La rottura dei rapporti famigliari comporta l'esclusione da essa e dal circuito di reciprocità che la caratterizza, quindi perdere i legami familiari pone l’individuo in una condizione di grave solitudine.
107. Gli spazi modellano colui che li abita e allo stesso tempo egli li modifica in luoghi; dunque si può dedurre che l'abitare è un abitudine che ci abitua a determinate azioni per questo bisogna fare attenzione a come presentiamo gli spazi dei dormitori ai senza dimora.
108. Le persone che condividono gli spazi del dormitorio hanno tutte culturalmente appreso differenti modi di pensare e vivere lo spazio domestico del dormitorio, dove si adottano categorie di spazio più neutre e più astratte per favorire la convivenza in uno spazio ristretto.
109. Sarebbe utile ripensare la mission dei dormitori non solo pensando alla riduzione dei costi.
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111. Per promuovere un cambiamento è necessario affidarsi sia a figure specializzate ma anche a persone che hanno esperienza quotidiana di determinati problemi, si tratterebbe di promuovere un tipo di democrazia partecipativa.
112. Si deve superare la visiona assistenzialistica tra chi riceve e chi da ma si deve adottare una visione di scambio, una vera condivizione dei problemi.
113. Il lavoro sociale con i suoi operatori e con i suoi spazi di accoglienza, dovrebbe intervenire prima che la “trasformazione” sia avvenuta ovvero prima che l’adattamento alla nuova condizione sia totale e dunque ogni relazione impedita e ogni progetto a medio o lungo termine diventi un obiettivo impossibile anche da immaginare.
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115. In questo modo il percorso di trasformazione è condiviso dall’educatore e dall’educando su un piano di scambio reciproco.
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117. Egli vuole dimostrare come a diversi livelli di sviluppo della divisione di lavoro corrispondano diversi tipi di solidarietà.
118. La divisione del lavoro rende consapevoli dello stato di dipendenza nei confronti della società, in questo modo la divisione del lavoro diventa anche la base dell'ordine sociale.
119. Egli esamina 2 tipi di solidarietà, quella meccanica, tipica di una società semplice e dove le regole giuridiche sono di tipo repressivo; e quella organica, tipica delle società complesse dove sono presenti diversi organi con compiti specifici e la divisione del lavoro.
120. Per Durkheim la principale funzione della divisione del lavoro è quella di sviluppare la solidarietà sociale.
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122. Fatto sociale totale: momento cruciale della realtà umana che nel momento in cui accadono coinvolgono la pluralità complessiva dei livelli sociali.
123. Il fatto sociale totale è legato al dono poiché secondo lui esso viene usato per concludere scambi e contratti.
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125. Il dono va accettato e ricambiato in maniera adeguata e secondo tempi stabiliti all’interno dei diversi modelli culturali.
126. In più esso non è un oggetto impersonale, ma assume i caratteri, il potere e il valore di chi lo possiede.
127. Se non si accetta il dono è come rifiutare la persona che ce l'ha offerto.
128. La reciprocità è alla base del discorso dono e controdono, essa mantiene e rinforza i vincoli di amicizia.
129. L’atto del donare secondo Mauss si fonda su tre fasi fondamentali: donare, ricevere, restituire. Ciò implicare l’obbligo di fare dei regali; l’obbligo di accettarli, l’obbligo di ricambiare i regali ricevuti.
130. L'economia del dono è una forma economica basata sul valore d’uso (= valore di utilità) degli oggetti e delle azioni, essa si contrappone all'economia di mercato che si basa sul valore commerciale. In questo tipo di economia i doni hanno valore di legame ovvero creano e riproducono relazioni sociali
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132. Per lui tutta la vita sociale è caratterizzata da un incessante flusso di doni e controdoni che rappresentano uno dei principali strumenti dell’organizzazione sociale, dell’autorità politica e dei legami di parentela.
133. Egli individua 2 forme di dono presenti nell'isola di Trobriand, il dono puro, in cui non vi è pretesa e certezza di una controprestazione, e tutti gli altri doni dove è presente un tornaconto personale.
134. Dopo aver letto però l'opera di Mauss sul dono abbraccia anche lui la teoria per cui non esiste il dono puro.
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136. Per lui nei rapporti parentali vi è una reciprocità generalizzata dove non si specificano i modi e i tempi in cui potrà essere ricambiato il dono. Ciò non significa tuttavia che non c'è l'obbligo di contraccambiarlo.
137. Nelle reazioni in cui le persone hanno lo stesso ruolo sociale si avrà una reciprocità bilanciata, ovvero il controdono ha luogo in tempi più brevi ed è commisurato al valore del dono iniziale.
138. Infine esiste la reciprocità negativa in cui le parti si fronteggiano con interessi contrapposti e dove ognuno mira al tornaconto personale.
139. Le diverse gamme di reciprocità in questo modo ricoprono una gamma di doni che va dal sacrifico in favore di un altro, al guadagno egoistico a spese altrui.
140. Egli sottolinea il ruolo dello scambio come forma di contratto politico.
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142. La denominazione di antropologia medica non convince tutti gli antropologi in quanto questa si occupa di diversi aspetti che riguardano la salute e l'esperienza del corpo senza però tralasciare gli aspetti del contesto.
143. Pizza fornisce una definizione di antropologia medica che potrebbe essere tranquillamente estesa a tutta l'antropologia culturale poiché egli descrive ogni aspetto di essa dall'oggetto in analisi, alla metodologia e anche la dinamicità.
144. “ Scienza critica, sperimentale e dialogica, che produce ricerche etnografiche ed elabora riflessioni teoriche specifiche sui modi in cui il corpo, la salute e la malattia sono definiti, costruiti, negoziati e vissuti in un continuo processo dinamico, osservabile nella trasformazione storica con una metodologia comparativa attenta alla variabilità dei contesti culturali, sociali e politici”.
145. Solo recentemente gli antropologi hanno incominciato a fare etnografia in contesti “vicini”, osservando il rapporto tra la cultura e i processi di istituzionalizzazione dei saperi medici.
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147. Anche la biomedicina come la cultura è soggetta a cambiamenti a seconda delle necessità del momento storico.
148. Il corpo è una costruzione culturale che varia a seconda dei contesti socio-culturali, non troviamo mai un corpo nudo ma esso viene disegnato, inciso, scolpito, amputato, modellato come per renderlo più culturale.
149. Ciascuno di noi è un corpo ma ha anche un corpo, l'esperienza che facciamo del corpo e la rappresentazione che abbiamo di esso sono due aspetti inscindibili.
150. La distinzione, culturalmente costruita, tra mente e corpo ci porta a pensare erroneamente che il discorso del corpo sia distinto da quello sul corpo.
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152. L’identità, compresa quella “maschile” e “femminile” non è un dato naturale, ma è una costruzione socioculturale che si fonda sulla relazione, si costruisce attraverso processi e dinamiche mimetiche che si producono nell'incontro con l'altro.
153. Il confronto con l'alterità porta a stupore perché ci si trova davanti a modelli differenti dal nostro.
154. Il rito è utile per sovvertire le regole senza alterare i propri modelli, in esso si possono sovvertire anche le regole di genere.
155. Schismogenesi: elemento chiave del processo di differenziazione nelle norme del comportamento individuale, ovvero la differenza di “comportamento” per esempio di genere.
156. Il rito riequilibria il rapporto tra i generi prevenendo l'esplosione dei contrasti.
157. Durante i riti, i corpi sono ancora di più dipinti, modellati e travestiti.
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159. Per superare questa divisione di blocchi rigidi è necessario riflettere sul continuum esistente tra i 2 aspetti.
160. La malattia è vista come la perdita del proprio ruolo e del proprio lavoro, l'anormalità, essa blocca la produzione e il consumo (o meglio si consuma sulle spalle degli altri); chi non riesce a tornare alla “normalità” in tempo viene escluso dal sistema.
161. I senza dimora non sono malati ma sono anormali perché hanno perso il loro ruolo produttivo.
162. In questo sistema la malattia può diventare uno strumento di ribellione incarnata, in cui il corpo è lo strumento principale per denunciare una situazione insopportabile. Un malessere, dunque, può trovare nella malattia una rappresentazione sociale accettata.
163. Andare dal medico assume in questo sistema il compito di rendere formale la propria malattia o malessere; in questa relazione asimmetrica è il medico a detenere il potere.
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165. La dicotomia mente/corpo è ancora parte costituente del paradigma alla base della biomedicina infatti in alcuni casi tutti gli elementi “di contesto” sono ritenuti estranei al corpo e irrilevanti per comprenderne il problema “fisico”.
170. Nello stesso tempo, però, è necessario indagare su tutte le forze sociali e non solo sugli aspetti individuali perché per esempio alcune malattie colpiscono solo determinati ceti sociali, si parlerà dunque in questi casi di incorporazione dell'ineguaglianza. La salute in questo senso è associata alla possibilità di accesso alle risorse, perciò chi non è in salute è perché non ha la possibilità di essere curato.
171. Nel secondo dopoguerra la salute diventa un diritto della persona e non qualcosa che attiene all’ordine pubblico; la povertà rientra nella mancanza di salute. Oggi le idee di salute e di malattia al posto di essere affidate ai sistemi sociosanitari, sono in mano alle banche che non fanno altro che aumentare drammaticamente le disuguaglianze di accesso alla salute.
172.
173. Per analizzare la violenza strutturale si possono analizzare le 3 assi della sofferenza (asse del genere, asse dell’“etnia”; asse che combina violenza strutturale e differenza culturale) per capire come diversi individui possono essere vittime di violenze diverse.
174. La violenza strutturale passa attraverso i corpi e usa l'annullamento dell'altro sia come mezzo che come fine; rendere invisibile è un modo per negare la presenza dell'altro.
175. I migranti sono corpi con una doppia assenza perché fuori luogo sia in patria che nella terra di approdo; queste non persone possono dunque essere relegate in non luoghi.
176. Nei CIE (Centri di Identificazione e Espulsione) l'ottica di spersonalizzare il clandestino si esprime al meglio; infatti in questi non luoghi vengono controllati i corpi di coloro che la legge considera clandestini.
177.
178. Il termine “biomedicina” è utilizzato dall’antropologia medica per definire la “medicina occidentale”, caratterizzata dal fatto di privilegiare l’aspetto biologico a discapito della dimensione socioculturale della malattia.
179. Inizialmente la biomedicina veniva studiata come sistema culturale di cui si doveva studiare i modi in cui essa è socialmente, culturalmente e storicamente costruita; assunto filosofico di base del “sistema culturale biomedico” è la separazione tra mente e corpo che ha poi generato altre dicotomie associate come razionale e irrazionale, giusto e inefficace. La biomedicina separa la malattia dalla sventura definendo questa operazione come un passaggio dalla “superstizione” alla “scienza”, tuttavia essa non si rende conto che anche la scienza è un modello costruito culturalmente.
180.
181. È importante tenere sempre presenti le modalità con cui le concrete pratiche culturali biomediche, insieme ad altre forze e istituzioni (in primo luogo lo Stato) costruiscono l’idea di località, in cui la macchina biomedica stessa agisce.
182. In Italia solo con la Convenzione di Oviedo si inserisce il “consenso informato”, ovvero un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.
186. L'antropologia delle emozioni è ancora un ambito poco studiato (anni '70-'80) anche a causa della dicotomia ragione/emozione in cui si tende ad escludere le emozioni poiché sono difficili da definire. Si può parlare di emozioni come “pensieri incorporati” in quanto nascono dal pensiero ma si esprimono attraverso il corpo.
187.
188. Quando si cerca il senso della propria malattia si attivano molti sistemi di riferimento che portano non ad un'unica guarigione ma a più percorsi di guarigione.
189. Marc Augé definisce la malattia come il più individuale e contemporaneamente il più sociale degli eventi umani, infatti nell'elaborazione di una risposta efficace ai mali individuali si fa ricorso ad un insieme complesso di risposte sociali.
190. Per autocura Pizza intende «l’insieme dei saperi e dei sistemi tecnici e simbolici, delle rappresentazioni e delle pratiche messe in opera nella dimensione individuale, familiare o comunitaria per fronteggiare, ancor prima del ricorso a professionisti della salute, l’insorgenza di minacce ed eventi negativi avvertiti come rischiosi per la propria salute».
191.
192. Le pratiche autocurative uniscono modelli popolari con quelli biomedici, con una contrattazione continua sulle nozioni di corpo, salute e malattia, essa avviene non in maniera conflittuale ma grazie ad uno spazio di negoziazione.
193. L’autocura impone alla persona di riflettere sulla propria persona, sul proprio corpo, di interrogarsi sulle cause del proprio malessere, di sondare le proprie capacità di attivazione per trovare una cura adeguata, di verificare le possibilità di dare risposta al proprio disagio.
194. L'autocura permette anche a chi non ha la capacità di richiedere in modo appropriato ai servizi sanitari la soddisfazione dei propri bisogni di curarsi.
195. Biopolitica = potere che ciascuno di noi ha di scegliere il modello di corpo, di persona che vuole essere, seguendo magari quello dominante oppure adottando un modello critico.
196.
197. I soggetti si possono rivolgere a medici, maghi, medicine alternative, figure del mito religioso ma anche a più figure contemporaneamente.
198. Nella nostra società il modello dominante è quello biomedico in cui troviamo professionisti della cura che ci accompagnano dalla percezione del problema alla ricerca del trattamento adeguato.
199. Tra tradizione e biomedicina si può dire che si attiva una dialettica di circolarità che dà vita a risposte creative e sempre inedite.
200. La malattia può essere intesa come l’aggressione, da parte di elementi esterni, subita dall’individuo, ma anche dalla comunità, la malattia dunque è vista come una crisi sia per l'individuo che per la comunità.
201. Il compito della figura terapeutica è di mediare tra individuo e società, tra società e elementi estranei.
202. La ricerca delle cause della malattia è un percorso individuale e collettivo che coinvolge agenti diversi, entità materiali e immaginarie.
203.
204. La cura è efficace in quanto processo di relazione