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22
18 giugno
2013
Direttore responsabile:
Giovanni Ajassa
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
Non solo austerità. Sono alcune riforme del mercato del lavoro attuate nei primi
anni Duemila a consentire oggi alla Germania di avere un tasso di disoccupazione
pari alla metà di quello italiano e della media dell’Area euro. Riforme che hanno
contribuito a contenere il costo del lavoro anche attraverso il consolidamento di una
quota elevata di occupazione a bassa retribuzione.
La dinamica del credito alle imprese continua a risultare negativa in gran parte
dell’area euro. In Italia ad aprile è in flessione del 4% a/a. Se si guarda all’andamento
delle nuove erogazioni il quadro appare però meno negativo: quelle fino a 250mila
euro scendono dell’1,9%, quelle fino a 1 milione di euro dell’1,4%. Per alleviare la
strutturale fragilità finanziaria delle nostre imprese negli ultimi anni sono stati adottati
numerosi provvedimenti. Una prima linea di intervento è quella delle garanzie
pubbliche finalizzate a ridurre il rischio per la banca che eroga il finanziamento. Una
seconda linea di intervento punta a rendere più ampio il finanziamento attraverso
titoli di debito. Infine, si sono predisposti gli strumenti per operazioni di rafforzamento
del capitale a beneficio delle imprese con elevato potenziale sul terreno
dell’innovazione e dell’internazionalizzazione
Nuovi prestiti erogati alle imprese non
finanziarie
(flusso mensile in mld di euro)
7
8 8 8
14 15 14 14
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-
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15
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35
2010 2011 2012 gen-apr 2013
Fino a €250mila Fino a €1 milione Oltre €1 milione
Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Banca d’Italia
2
18 giugno 2013
Editoriale: Imparare il tedesco?
G. Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com
Tasso di disoccupazione: Italia e Germania
(in percentuale della forza lavoro)
11,3
5,4
7,7
11,8
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
Germania
Italia
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat e
previsioni Commissione UE
I dati del PIL del periodo gennaio-marzo 2013 confermano la recessione dell’economia
italiana. Trimestre su trimestre il nostro paese segna la settima riduzione consecutiva
dalla ripartenza della fase recessiva nell’autunno del 2011. Andando più indietro nel
tempo, il “double-dip” del prodotto lordo italiano accusa un calo cumulato di circa nove
punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2008. Nello stesso periodo il PIL
francese arretra di appena otto decimi. Il prodotto tedesco, invece, aumenta di oltre un
punto percentuale. Fuori dal Vecchio Continente, l’economia USA è oggi quasi quattro
punti percentuali sopra i volumi di inizio 2008. Al Giappone, che oltre alla recessione
ha dovuto fare i conti anche con il sisma di Fukushima, manca poco più di un punto
percentuale per pareggiare i numeri di cinque anni fa.
L’Italia continua ad arretrare in un’Europa che, al meglio, ristagna. Al di là dei numeri
del PIL il problema più grave rimane quello del mercato del lavoro. Ad aprile il tasso di
disoccupazione è salito in Italia al dodici per cento, il valore più alto da almeno
trent’anni. La disoccupazione aumenta e supera il dodici per cento della forza lavoro
anche nella media dell’Area euro. Diversamente, il tasso di disoccupazione scende a
minimi storici e al di sotto del sei per cento in Germania. Pur non brillando in termini di
crescita congiunturale del PIL, l’economia tedesca continua a mostrare eccellenti
risultati sul piano del mercato del lavoro. Non sono risultati casuali, ma la conseguenza
di un processo di profonde riforme strutturali che i tedeschi hanno completato entro la
metà dello scorso decennio. Sono le riforme Hartz.
3
18 giugno 2013
Le quattro leggi che hanno trasformato il mercato tedesco del lavoro sono partite dalla
semplificazione delle procedure di assunzione, dall’introduzione dei “buoni” per la
formazione, e dal ridisegno dei “job center”, i centri per l’impiego. Il secondo passaggio
ha visto l’introduzione dei cosiddetti “minijob”, contratti di lavoro atipici che prevedono
una retribuzione massima di 450 euro mensili e non sono soggetti a contribuzione
sociale e pensionistica. Il terzo atto della riforma ha trasformato l’Ufficio Federale del
Lavoro in Agenzia Federale per l’Impiego. La legge finale entrata in vigore a gennaio
2005 ha provveduto ad unificare sussidi sociali e indennità di disoccupazione in un
sistema di assistenza economica unica finalizzato a ridurre la disoccupazione di lungo
periodo.
Proporzione di “low wage earners”
(%; anno 2010)
22,2
38,0 38,1
54,6
6,1
18,1
12,4 11,912,4
26,7
25,0
20,9
Totale Tempodeterminato Under 30 Bassa istruzione
Germania Francia Italia
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat; la
soglia per l’identificazione di un percettore di bassa
retribuzione è identificata in un compenso orario comprensivo
di contributi sociali, non superiore ai 10,2 euro per la
Germania, ai 9,2 euro per la Francia e ai 7,9 euro per l’Italia.
In Germania gli esiti delle quattro riforme Hartz sono oggetto di dibattito. Da parte di
alcuni si osserva come le nuove leggi, insieme ad importanti elementi di flessibilità e di
innovazione, abbiano anche consolidato rischi di precarietà. Un dato statistico
affidabile è quello della indagine quadriennale di Eurostat sulla struttura delle
retribuzioni in Europa. La più recente edizione della “survey” relativa ai risultati
dell’anno 2010 indica che la proporzione dei “low wage earners” – i percettori di bassa
retribuzione – sono in Germania ben il 22,2 per cento del totale degli occupati contro il
6,1 per cento in Francia e il 12,4 per cento in Italia. Per intendersi, un percettore di
bassa retribuzione è colui il quale lavora ricevendo un compenso inclusivo di eventuali
contributi pari ai due terzi della retribuzione oraria mediana del paese. Per la Germania
sono 10,2 euro l’ora. Per la Francia la soglia è 9,2 euro l’ora. Per l’Italia 7,9 euro l’ora.
4
18 giugno 2013
Pari al 22 per cento del totale dell’occupazione, in Germania l’incidenza del lavoro a
bassa retribuzione sale al 38 per cento nel caso dei contratti a tempo determinato o dei
lavoratori giovani con meno di trenta anni. Supera il 50 per cento nel caso dei lavoratori
con titolo di studio inferiore al diploma. Si riduce al 18 per cento tra i diplomati usciti
dagli istituti tecnici e professionali, dai percorsi di apprendistato e dai circuiti duali di
scuola-lavoro delle Berufsschulen.
Retribuzione annuale media per occupato
(migliaia di euro; al lordo dei contributi)
37,1 Germania
47,9 Francia
39,3 Italia
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
45,0
50,0
55,0
Germania
Francia
Italia
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat.
All’inizio di questo millennio la crescita tedesca languiva più di quella italiana. La
Germania era il “malato d’Europa”. Le riforme del lavoro volute da Schroeder furono
una risposta ad un grave problema interno. Le stesse riforme hanno anche
rappresentato un formidabile “atout” sull’estero consegnando all’economia tedesca una
leva importante per contenere i costi del lavoro nel momento in cui la competizione
salariale diveniva da europea a globale. Ex post, le riforme Hartz hanno molto aiutato il
sistema industriale tedesco ad affrontare la sfida portata alle manifatture europee
dall’ingresso della Cina nel WTO. Certo, le retribuzioni sotto i dieci euro l’ora percepite
da circa un quarto degli occupati tedeschi non bastano a coprire il divario rispetto ai 3-5
dollari di compenso orario del lavoro in un paese emergente. Non bastano né sono
bastate, ma insieme a tanti altri e più noti fattori hanno certamente aiutato a sostenere
la competitività del “made in Germany” e a trattenere in Germania una quota più
elevata di capacità produttiva e di output potenziale. Salari bassi oltre che alti, buona
produttività, investimenti, una burocrazia efficiente, un welfare meno generoso di un
tempo e una moneta non più forte del Deutsche Mark. Sono ingredienti della ricetta
economica tedesca degli ultimi anni. Molto più della cultura della austerità. Forse meno
dell’economia sociale di mercato o del modello renano di capitalismo à la Michel Albert.
Qualcosa da imparare?
5
17 giugno 2013
Iniziative per ridurre la fragilità finanziaria delle imprese
S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com
La sfavorevole dinamica del credito alle imprese è problema di dimensione
europea. Ad aprile la consistenza dei prestiti alle società non finanziarie ha
registrato nell’eurozona l’undicesima contrazione consecutiva (-3% a/a), con 10
dei 17 paesi su livelli negativi.
Per quanto concerne l’Italia lo stesso aggregato risulta ad aprile in flessione del
4% a/a. Se si guarda all’andamento delle nuove erogazioni il quadro appare
meno negativo: quelle fino a 250mila euro sono scese dell’1,9%, quelle fino a 1
milione di euro dell’1,4%. Le imprese maggiori hanno in parte compensato il
minore afflusso di nuovi prestiti (-11,1%) con una più intensa attività di raccolta
sul mercato dei titoli di debito.
Negli ultimi cinque anni il sistema produttivo italiano si è trovato ad affrontare
per due volte le difficoltà di una recessione. Tra le imprese industriali e dei
servizi (escluse quelle finanziarie) con almeno 20 addetti, la quota di quelle che
hanno chiuso in utile il 2012 si è fermata al 55%, circa 12 punti percentuali in
meno rispetto al periodo precedente la crisi.
Per alleviare la condizione di strutturale fragilità finanziaria delle imprese negli
ultimi anni sono stati adottati molti provvedimenti. Una prima linea di intervento
è quella delle garanzie pubbliche finalizzate a ridurre il rischio per la banca che
eroga il finanziamento. Una seconda linea di intervento è quella di rendere più
ampio il finanziamento attraverso titoli di debito. Infine, si sono predisposti gli
strumenti per operazioni di rafforzamento del capitale a beneficio delle imprese
con elevato potenziale sul terreno dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.
Finanziamento alle imprese: il circuito bancario
Ad aprile la consistenza dei prestiti alle società non finanziarie ha registrato in Italia la
dodicesima variazione negativa consecutiva (-4% a/a)1
La sfavorevole dinamica del credito alle imprese è quindi un problema di dimensione
europea, riflesso della negativa congiuntura economica. L’Eurozona sta sperimentando
una nuova fase di rallentamento, non altrettanto severa quanto quella del 2008-09 ma
certamente più prolungata: nel primo trimestre 2013 l’area ha registrato il suo sesto
rallentamento congiunturale consecutivo e una crescita annua negativa (-1,1%).
. Solo leggermente più breve è
la sequenza delle flessioni riscontrate per l’Eurozona (-3% a/a ad aprile), con 10 dei 17
paesi in territorio negativo nel mese più recente. Francia e Germania registrano
variazioni positive ma di contenuta dimensione (+0,7% a/a per entrambi).
La dinamica dello stock dei prestiti è un indicatore solo parzialmente idoneo per
descrivere l’andamento del finanziamento bancario alle imprese: a) si tratta di una
consistenza, quindi un aggregato che riassume più il passato piuttosto che
rappresentare il presente; b) include le sofferenze (ovunque in sensibile crescita),
prestiti che non hanno più una funzione di effettivo supporto alla produzione.
Per avere una rappresentazione più chiara dell’andamento del credito alle imprese
conviene guardare alla dinamica delle nuove erogazioni. Se si considera il flusso
cumulato dei nuovi prestiti nei dodici mesi terminanti ad aprile 2013 e lo si confronta
con l’analogo periodo precedente ne emergono alcune interessanti indicazioni: il totale
1
I tassi annuali di crescita sono calcolati dalla BCE al netto dei cambiamenti dovuti a riclassificazioni,
variazioni del cambio, aggiustamenti di valore e altre variazioni diverse da quelle originate da transazioni.
6
17 giugno 2013
delle nuove erogazioni è diminuito del 7,7% (€37,6 mld in meno); nel loro ambito quelle
fino a 250mila euro sono scese solo dell’1,9%, quelle fino a 1 milione di euro dell’1,4%.
Il 93% della diminuzione dell’aggregato è dovuto alla contrazione dei nuovi prestiti di
importo superiore a 1 milione di euro (-11,1%).
Le imprese di maggiore dimensione hanno in parte sostituito il finanziamento bancario
con l’emissione di titoli sul mercato: negli ultimi dodici mesi2
le emissioni nette di
obbligazioni a lungo termine da parte di società non finanziarie italiane sono aumentate
di €8,8 miliardi (a €12,6 miliardi), un importo pari a un quarto della diminuzione dei
nuovi finanziamenti di importo superiore a 1 milione di euro. La più intensa attività del
mercato dei corporate bonds è un fenomeno non solo italiano: nei dodici mesi
terminanti a marzo 2013, le emissioni nette nell’eurozona sono ammontate a €97
miliardi, €54 miliardi in più rispetto al corrispondente periodo precedente.
Nuovi prestiti erogati alle imprese non
finanziarie
(flusso mensile in mld di euro)
7
8 8 8
14 15 14 14
29
27
25
22
-
5
10
15
20
25
30
35
2010 2011 2012 gen-apr 2013
Fino a €250mila Fino a €1 milione Oltre €1 milione
Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Banca d’Italia
Riepilogando, l’erogazione del credito alle imprese minori ha registrato una contrazione
complessivamente limitata. La diminuzione dei nuovi prestiti alle imprese maggiori è
invece rilevante ma da un lato è in parte compensata da maggiori risorse raccolte sul
mercato tramite titoli di debito, dall’altro lato le incertezze sulle prospettive di domanda
possono avere indotto a rinviare i piani di investimento.
Sulla dinamica prospettica dei finanziamenti bancari alle imprese pesa l’intenso
processo di deterioramento della loro qualità: alla fine del 2012 (ultima data disponibile)
i prestiti irregolari ammontavano a €150 miliardi (di cui €82 miliardi sofferenze).
L’aggregato aumenterebbe di ulteriori €15 miliardi circa se si considerassero anche le
esposizioni ristrutturate, prestiti tornati performing ma a prezzo di costose revisioni
delle condizioni contrattuali. Si può anche aggiungere che nel primo trimestre del 2013
il tasso di decadimento (rapporto tra flusso annualizzato di nuove sofferenze rettificate
e prestiti vivi all’inizio del periodo) ha raggiunto il 4,5%, il livello più elevato degli ultimi
anni. Nel 2012 le rettifiche su crediti (in larga parte relativi alle imprese) hanno
assorbito l’87% del risultato di gestione prodotto dalle banche italiane (il 91% nel caso
dei gruppi maggiori).
2
Marzo 2013 ultimo dato disponibile.
7
17 giugno 2013
Interventi per rafforzare il processo di finanziamento delle imprese
Negli ultimi cinque anni il sistema produttivo italiano si è trovato ad affrontare per due
volte le difficoltà di una recessione. Tra le imprese industriali e dei servizi (escluse
quelle finanziarie) con almeno 20 addetti, la quota di quelle che hanno chiuso in utile il
2012 si è fermata al 55%, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al periodo
precedente la crisi (la flessione è più marcata per le imprese con meno di 50 addetti,
per quelle localizzate nel Mezzogiorno e per quelle non esportatrici)3
In questo difficile contesto la vulnerabilità finanziaria delle imprese è apparsa ancor più
evidente del passato, a partire dal modesto livello di patrimonializzazione: alla fine del
2012, il peso della voce “azioni e partecipazioni” sul totale delle passività era pari al
41,3%, 8,3 punti percentuali al di sotto della media dell’area euro. Questa debolezza è
resa più grave dal rilievo di alcune poste contabili a breve termine. La quota dei
finanziamenti bancari con durata inferiore a un anno è pari al 38%, oltre 13 punti
percentuali in più rispetto alla media dell’eurozona, con gli affidamenti in conto corrente
che rappresentano il 28% dei prestiti contro il 12% degli altri paesi dell’area dell’euro. I
crediti commerciali, pur in diminuzione (-€48 miliardi nel 2012), rappresentano ancora
quasi il 40% di tutte le attività, una quota particolarmente elevata soprattutto in
presenza dell’acuto fenomeno del ritardo dei pagamenti.
.
In una fase in cui più intenso è il confronto competitivo con le realtà imprenditoriali di
altri paesi correggere questa condizione di strutturale fragilità finanziaria è decisamente
importante. A questo fine negli ultimi anni sono stati introdotti provvedimenti tesi a
contenere gli effetti negativi di questa situazione e/o a porre le premesse per un suo
superamento.
Una prima linea di intervento è quella delle garanzie pubbliche finalizzate a ridurre il
rischio per la banca che eroga il finanziamento all’impresa. In questo ambito
l’esperienza da considerare è quella del Fondo centrale di garanzia per le piccole e
medie imprese. Destinato alle PMI di ogni settore per qualunque operazione finanziaria
nell’ambito dell’attività imprenditoriale, l’intervento del Fondo abbatte il rischio
sull’importo garantito4
. Ciascuna impresa può beneficiare complessivamente di un
importo massimo garantito pari a 2,5 milioni da utilizzare eventualmente attraverso più
operazioni, sia a breve sia a medio-lungo termine5
La garanzia dello Stato sulla copertura prestata dal Fondo è conforme ai dettami di
Basilea 2 (è cioè “a prima richiesta”, quindi esplicita, incondizionata e irrevocabile).
Sulla quota di finanziamento garantita dal Fondo il rischio per le banche è pari a zero,
circostanza che da un lato permette di abbattere il corrispondente assorbimento
patrimoniale, dall’altro lato consente di ridurre il tasso d’interesse richiesto.
.
3
Cfr. Banca d’Italia, relazione annuale, maggio 2013.
4
Il Fondo opera secondo le seguenti tipologie di intervento: a) garanzia diretta (concessa direttamente alle
banche e agli intermediari finanziari che forniscono prestiti alle PMI); b) controgaranzia su operazioni di
garanzia concesse da Confidi o altri fondi privati di garanzia; c) cogaranzia, concessa direttamente a
favore dei soggetti finanziatori e congiuntamente a un altro fondo (privato) di garanzia. Attraverso la
“cogaranzia” il Fondo garantisce direttamente il soggetto finanziatore come accade con la “garanzia
diretta”, ma pro-quota.
5
Il decreto legge cd “del fare” approvato il 14 giugno scorso dal Consiglio dei Ministri contiene alcune
modifiche al funzionamento del Fondo. In particolare, è previsto l’aggiornamento dei criteri di valutazione
ai fini dell’acceso al Fondo; la semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle
richieste (maggior ricorso a modalità telematiche); l’incremento della misura massima di copertura fino
all’80% dell’importo dell’operazione. In precedenza, questo limite era raggiungibile solo dalle imprese
ubicate nel Mezzogiorno e dalle imprese femminili (in entrambi i casi per le operazioni di durata non
inferiore a 36 mesi e per le “altre operazioni finanziarie”) e dalle imprese colpite dagli eventi sismici del
maggio 2012 (tutte le operazioni). L’intervento del Fondo continua ad essere limitato alle nuove
erogazioni.
8
17 giugno 2013
L’attività del Fondo ha sulle finanze pubbliche un onere molto contenuto: è di carattere
rotativo ed ha finora registrato un tasso di default pari a circa il 2% del totale delle
operazioni. Costituito nel 2000, il Fondo ha incrementato sensibilmente la sua attività
nel quadriennio 2009-12 intervenendo in oltre 190mila operazioni, concedendo
garanzie per oltre €16 miliardi, rendendo possibili quasi €31 miliardi di finanziamenti.
La dimensione media dei finanziamenti garantiti registra una costante discesa (dai
€199mila del 2009 si è passati ai €133mila del 2012). La prospettiva cui si sta
lavorando prevede il passaggio dal finanziamento di singole operazioni al
finanziamento di interi portafogli.
Attività del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI
richieste
accolte
garanzie
concesse
finanziamenti
garantito
dimensione
media
operazione
n° € mln € mln €000
2009 24.598 2.742 4.890 198,8
2010 50.078 5.209 9.090 181,5
2011 55.209 4.435 8.378 151,8
2012 61.408 4.035 8.192 133,4
2009-12 191.293 16.421 30.550 159,7
Fonte: Ministero Sviluppo Economico
Una seconda linea di intervento per ridurre la fragilità finanziaria delle imprese è quella
di accrescere la diversificazione del passivo con un più ampio finanziamento attraverso
titoli di debito. L’emissione di corporate bonds è nel nostro Paese un’opzione
effettivamente disponibile solo per un numero ristretto di grandi imprese; anche tra le
imprese medio-grandi6
il ricorso alle obbligazioni è molto limitato (appena sopra il 5%
dei debiti finanziari). Nella media delle imprese italiane sul totale dei debiti finanziari la
quota delle obbligazioni non arriva al 7% e sono solo 29 i gruppi industriali italiani che
hanno emesso titoli tra il 2007 e il 2012. Le emissioni hanno una dimensione
prevalente di €150-200 milioni e l’80% circa dei titoli emessi finisce nel portafoglio di
investitori esteri7
Per allargare la platea degli emittenti il decreto sviluppo 2012 ha modificato in modo
significativo la disciplina di emissione dei titoli di debito (cambiali finanziarie e
obbligazioni). Previo il rispetto di alcune condizioni, viene riconosciuto un trattamento
fiscale equiparato a quello riservato ai titoli delle società quotate. Per beneficiare di tali
incentivi si richiede che i titoli emessi circolino esclusivamente tra investitori qualificati,
che l’ultimo bilancio dell’emittente sia stato oggetto di revisione contabile e che
l’emissione da parte di imprese non grandi sia assistita da intermediari (cosiddetti
sponsor) tenuti a segnalare periodicamente un rating dell’emittente.
.
Secondo il Ministero per lo Sviluppo Economico le società potenzialmente interessate
sarebbero alcune centinaia e le nuove obbligazioni (mini bond) indotte dal
provvedimento potrebbero superare i €10 miliardi nell’arco di due anni. Una
valutazione del provvedimento è per ora difficile: divenuto effettivamente operativo dal
dicembre 2012, ha finora determinato un flusso complessivo di emissioni di poco
inferiore a €2 miliardi, con una sola emissione però realmente mini (€3 milioni,
scadenza 3 anni). L’iniziativa ha raccolto consensi ma per registrare un decollo di
6
Cfr. Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane (2000-2009)
7
Cfr. Standard & Poor's Ratings Services, Italian Companies Are Turning To The Capital Markets Amid
Weak Credit Conditions, giugno 2013.
9
17 giugno 2013
questo mercato bisognerà aspettare che acquisti liquidità (nelle condizioni attuali il
titolo è tendenzialmente destinato a essere mantenuto fino a scadenza), stimoli la
nascita di un adeguato numero di operatori specializzati, venga alimentato da una
domanda stabile.
La terza direttrice di intervento è quella che guarda alla base patrimoniale delle
imprese. Il mercato azionario italiano ha una dimensione modesta: alla fine del 2012
erano appena 255 le società italiane quotate (8 in meno rispetto al 2011), ben lontano
dalle 1009 società del Regno Unito, le 528 della Francia, le 757 della Germania.
Altrettanto ampia la differenza se si considera la negoziazione dei titoli di piccole-medie
imprese: l’Aim (Alternative Investment Market) del London Stock Exchange contava
alla fine dello scorso anno 870 società domestiche rispetto alle 27 del nostro Aim - Mac
(Aim Italia - Mercato alternativo del capitale).
Le operazioni di rafforzamento del capitale sono focalizzate sulle imprese con elevato
potenziale sul terreno dell’innovazione, dell’internazionalizzazione, etc. In questo
ambito si può collocare l’attività del Fondo Italiano Investimenti promosso da Cassa
Depositi e Prestiti, Ministero Economia e Finanze, Confindustria, ABI e i maggiori
gruppi bancari italiani. Il Fondo, attivo dal novembre 2010, ha una dotazione di €1,2
miliardi e rivolge il suo interesse verso le imprese con fatturato compreso tra 10 e 250
milioni di euro; opera come un fondo chiuso con investimenti diretti (assunzione di
partecipazioni, prevalentemente di minoranza) o come fondo di fondi (investimento in
fondi di venture capital con analoghe politiche di selezione). Alla fine del 2012 il Fondo
Italiano Investimenti aveva perfezionato investimenti diretti per un ammontare di €316
milioni mentre il totale degli investimenti indiretti ammontava a €350 milioni. Le imprese
coinvolte nell’attività del Fondo sono 55 (di cui 35 tramite investimenti diretti) con un
fatturato medio intorno ai €55 milioni, la dimensione di una impresa medio-grande.
Nella realtà del private equity italiano il Fondo Italiano Investimenti ha un ruolo
decisamente importante: nel 2012 ha determinato il 18% degli investimenti totali, quasi
il 60% se si considerano solo quelli di tipo expansion rivolti a imprese con fatturato tra
10 e 250 milioni di euro.
In questa linea di intervento possono essere inseriti anche il Fondo Unico per le
operazioni di Venture Capital e il Fondo Nazionale per l'Innovazione, costituiti entrambi
per iniziativa del Ministero per lo Sviluppo Economico. Il primo, costituito nel 2007 con
una dotazione iniziale di €228 milioni, è un fondo di tipo rotativo (l’investimento può
durare un massimo di 8 anni) ed opera attraverso la SIMEST. La sua finalità è quella
incentivare gli investimenti in mercati ritenuti strategicamente importanti per
l’internazionalizzazione.
Il Fondo Nazionale per l'Innovazione, invece, intende sostenere le piccole e medie
imprese nella valorizzazione di progetti innovativi basati sullo sfruttamento industriale
di disegni e modelli. Per questa finalità ha a disposizione €75 milioni. Per ottenere il
finanziamento (fino a un massimo di €3 milioni ed una durata fino a 10 anni) non viene
richiesta all’impresa nessuna garanzia personale o reale.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL-
Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.

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  • 1. 22 18 giugno 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Non solo austerità. Sono alcune riforme del mercato del lavoro attuate nei primi anni Duemila a consentire oggi alla Germania di avere un tasso di disoccupazione pari alla metà di quello italiano e della media dell’Area euro. Riforme che hanno contribuito a contenere il costo del lavoro anche attraverso il consolidamento di una quota elevata di occupazione a bassa retribuzione. La dinamica del credito alle imprese continua a risultare negativa in gran parte dell’area euro. In Italia ad aprile è in flessione del 4% a/a. Se si guarda all’andamento delle nuove erogazioni il quadro appare però meno negativo: quelle fino a 250mila euro scendono dell’1,9%, quelle fino a 1 milione di euro dell’1,4%. Per alleviare la strutturale fragilità finanziaria delle nostre imprese negli ultimi anni sono stati adottati numerosi provvedimenti. Una prima linea di intervento è quella delle garanzie pubbliche finalizzate a ridurre il rischio per la banca che eroga il finanziamento. Una seconda linea di intervento punta a rendere più ampio il finanziamento attraverso titoli di debito. Infine, si sono predisposti gli strumenti per operazioni di rafforzamento del capitale a beneficio delle imprese con elevato potenziale sul terreno dell’innovazione e dell’internazionalizzazione Nuovi prestiti erogati alle imprese non finanziarie (flusso mensile in mld di euro) 7 8 8 8 14 15 14 14 29 27 25 22 - 5 10 15 20 25 30 35 2010 2011 2012 gen-apr 2013 Fino a €250mila Fino a €1 milione Oltre €1 milione Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Banca d’Italia
  • 2. 2 18 giugno 2013 Editoriale: Imparare il tedesco? G. Ajassa  06-47028414 giovanni.ajassa@bnlmail.com Tasso di disoccupazione: Italia e Germania (in percentuale della forza lavoro) 11,3 5,4 7,7 11,8 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Germania Italia Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat e previsioni Commissione UE I dati del PIL del periodo gennaio-marzo 2013 confermano la recessione dell’economia italiana. Trimestre su trimestre il nostro paese segna la settima riduzione consecutiva dalla ripartenza della fase recessiva nell’autunno del 2011. Andando più indietro nel tempo, il “double-dip” del prodotto lordo italiano accusa un calo cumulato di circa nove punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2008. Nello stesso periodo il PIL francese arretra di appena otto decimi. Il prodotto tedesco, invece, aumenta di oltre un punto percentuale. Fuori dal Vecchio Continente, l’economia USA è oggi quasi quattro punti percentuali sopra i volumi di inizio 2008. Al Giappone, che oltre alla recessione ha dovuto fare i conti anche con il sisma di Fukushima, manca poco più di un punto percentuale per pareggiare i numeri di cinque anni fa. L’Italia continua ad arretrare in un’Europa che, al meglio, ristagna. Al di là dei numeri del PIL il problema più grave rimane quello del mercato del lavoro. Ad aprile il tasso di disoccupazione è salito in Italia al dodici per cento, il valore più alto da almeno trent’anni. La disoccupazione aumenta e supera il dodici per cento della forza lavoro anche nella media dell’Area euro. Diversamente, il tasso di disoccupazione scende a minimi storici e al di sotto del sei per cento in Germania. Pur non brillando in termini di crescita congiunturale del PIL, l’economia tedesca continua a mostrare eccellenti risultati sul piano del mercato del lavoro. Non sono risultati casuali, ma la conseguenza di un processo di profonde riforme strutturali che i tedeschi hanno completato entro la metà dello scorso decennio. Sono le riforme Hartz.
  • 3. 3 18 giugno 2013 Le quattro leggi che hanno trasformato il mercato tedesco del lavoro sono partite dalla semplificazione delle procedure di assunzione, dall’introduzione dei “buoni” per la formazione, e dal ridisegno dei “job center”, i centri per l’impiego. Il secondo passaggio ha visto l’introduzione dei cosiddetti “minijob”, contratti di lavoro atipici che prevedono una retribuzione massima di 450 euro mensili e non sono soggetti a contribuzione sociale e pensionistica. Il terzo atto della riforma ha trasformato l’Ufficio Federale del Lavoro in Agenzia Federale per l’Impiego. La legge finale entrata in vigore a gennaio 2005 ha provveduto ad unificare sussidi sociali e indennità di disoccupazione in un sistema di assistenza economica unica finalizzato a ridurre la disoccupazione di lungo periodo. Proporzione di “low wage earners” (%; anno 2010) 22,2 38,0 38,1 54,6 6,1 18,1 12,4 11,912,4 26,7 25,0 20,9 Totale Tempodeterminato Under 30 Bassa istruzione Germania Francia Italia Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat; la soglia per l’identificazione di un percettore di bassa retribuzione è identificata in un compenso orario comprensivo di contributi sociali, non superiore ai 10,2 euro per la Germania, ai 9,2 euro per la Francia e ai 7,9 euro per l’Italia. In Germania gli esiti delle quattro riforme Hartz sono oggetto di dibattito. Da parte di alcuni si osserva come le nuove leggi, insieme ad importanti elementi di flessibilità e di innovazione, abbiano anche consolidato rischi di precarietà. Un dato statistico affidabile è quello della indagine quadriennale di Eurostat sulla struttura delle retribuzioni in Europa. La più recente edizione della “survey” relativa ai risultati dell’anno 2010 indica che la proporzione dei “low wage earners” – i percettori di bassa retribuzione – sono in Germania ben il 22,2 per cento del totale degli occupati contro il 6,1 per cento in Francia e il 12,4 per cento in Italia. Per intendersi, un percettore di bassa retribuzione è colui il quale lavora ricevendo un compenso inclusivo di eventuali contributi pari ai due terzi della retribuzione oraria mediana del paese. Per la Germania sono 10,2 euro l’ora. Per la Francia la soglia è 9,2 euro l’ora. Per l’Italia 7,9 euro l’ora.
  • 4. 4 18 giugno 2013 Pari al 22 per cento del totale dell’occupazione, in Germania l’incidenza del lavoro a bassa retribuzione sale al 38 per cento nel caso dei contratti a tempo determinato o dei lavoratori giovani con meno di trenta anni. Supera il 50 per cento nel caso dei lavoratori con titolo di studio inferiore al diploma. Si riduce al 18 per cento tra i diplomati usciti dagli istituti tecnici e professionali, dai percorsi di apprendistato e dai circuiti duali di scuola-lavoro delle Berufsschulen. Retribuzione annuale media per occupato (migliaia di euro; al lordo dei contributi) 37,1 Germania 47,9 Francia 39,3 Italia 20,0 25,0 30,0 35,0 40,0 45,0 50,0 55,0 Germania Francia Italia Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat. All’inizio di questo millennio la crescita tedesca languiva più di quella italiana. La Germania era il “malato d’Europa”. Le riforme del lavoro volute da Schroeder furono una risposta ad un grave problema interno. Le stesse riforme hanno anche rappresentato un formidabile “atout” sull’estero consegnando all’economia tedesca una leva importante per contenere i costi del lavoro nel momento in cui la competizione salariale diveniva da europea a globale. Ex post, le riforme Hartz hanno molto aiutato il sistema industriale tedesco ad affrontare la sfida portata alle manifatture europee dall’ingresso della Cina nel WTO. Certo, le retribuzioni sotto i dieci euro l’ora percepite da circa un quarto degli occupati tedeschi non bastano a coprire il divario rispetto ai 3-5 dollari di compenso orario del lavoro in un paese emergente. Non bastano né sono bastate, ma insieme a tanti altri e più noti fattori hanno certamente aiutato a sostenere la competitività del “made in Germany” e a trattenere in Germania una quota più elevata di capacità produttiva e di output potenziale. Salari bassi oltre che alti, buona produttività, investimenti, una burocrazia efficiente, un welfare meno generoso di un tempo e una moneta non più forte del Deutsche Mark. Sono ingredienti della ricetta economica tedesca degli ultimi anni. Molto più della cultura della austerità. Forse meno dell’economia sociale di mercato o del modello renano di capitalismo à la Michel Albert. Qualcosa da imparare?
  • 5. 5 17 giugno 2013 Iniziative per ridurre la fragilità finanziaria delle imprese S. Carletti  06-47028440 – silvano.carletti@bnlmail.com La sfavorevole dinamica del credito alle imprese è problema di dimensione europea. Ad aprile la consistenza dei prestiti alle società non finanziarie ha registrato nell’eurozona l’undicesima contrazione consecutiva (-3% a/a), con 10 dei 17 paesi su livelli negativi. Per quanto concerne l’Italia lo stesso aggregato risulta ad aprile in flessione del 4% a/a. Se si guarda all’andamento delle nuove erogazioni il quadro appare meno negativo: quelle fino a 250mila euro sono scese dell’1,9%, quelle fino a 1 milione di euro dell’1,4%. Le imprese maggiori hanno in parte compensato il minore afflusso di nuovi prestiti (-11,1%) con una più intensa attività di raccolta sul mercato dei titoli di debito. Negli ultimi cinque anni il sistema produttivo italiano si è trovato ad affrontare per due volte le difficoltà di una recessione. Tra le imprese industriali e dei servizi (escluse quelle finanziarie) con almeno 20 addetti, la quota di quelle che hanno chiuso in utile il 2012 si è fermata al 55%, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al periodo precedente la crisi. Per alleviare la condizione di strutturale fragilità finanziaria delle imprese negli ultimi anni sono stati adottati molti provvedimenti. Una prima linea di intervento è quella delle garanzie pubbliche finalizzate a ridurre il rischio per la banca che eroga il finanziamento. Una seconda linea di intervento è quella di rendere più ampio il finanziamento attraverso titoli di debito. Infine, si sono predisposti gli strumenti per operazioni di rafforzamento del capitale a beneficio delle imprese con elevato potenziale sul terreno dell’innovazione e dell’internazionalizzazione. Finanziamento alle imprese: il circuito bancario Ad aprile la consistenza dei prestiti alle società non finanziarie ha registrato in Italia la dodicesima variazione negativa consecutiva (-4% a/a)1 La sfavorevole dinamica del credito alle imprese è quindi un problema di dimensione europea, riflesso della negativa congiuntura economica. L’Eurozona sta sperimentando una nuova fase di rallentamento, non altrettanto severa quanto quella del 2008-09 ma certamente più prolungata: nel primo trimestre 2013 l’area ha registrato il suo sesto rallentamento congiunturale consecutivo e una crescita annua negativa (-1,1%). . Solo leggermente più breve è la sequenza delle flessioni riscontrate per l’Eurozona (-3% a/a ad aprile), con 10 dei 17 paesi in territorio negativo nel mese più recente. Francia e Germania registrano variazioni positive ma di contenuta dimensione (+0,7% a/a per entrambi). La dinamica dello stock dei prestiti è un indicatore solo parzialmente idoneo per descrivere l’andamento del finanziamento bancario alle imprese: a) si tratta di una consistenza, quindi un aggregato che riassume più il passato piuttosto che rappresentare il presente; b) include le sofferenze (ovunque in sensibile crescita), prestiti che non hanno più una funzione di effettivo supporto alla produzione. Per avere una rappresentazione più chiara dell’andamento del credito alle imprese conviene guardare alla dinamica delle nuove erogazioni. Se si considera il flusso cumulato dei nuovi prestiti nei dodici mesi terminanti ad aprile 2013 e lo si confronta con l’analogo periodo precedente ne emergono alcune interessanti indicazioni: il totale 1 I tassi annuali di crescita sono calcolati dalla BCE al netto dei cambiamenti dovuti a riclassificazioni, variazioni del cambio, aggiustamenti di valore e altre variazioni diverse da quelle originate da transazioni.
  • 6. 6 17 giugno 2013 delle nuove erogazioni è diminuito del 7,7% (€37,6 mld in meno); nel loro ambito quelle fino a 250mila euro sono scese solo dell’1,9%, quelle fino a 1 milione di euro dell’1,4%. Il 93% della diminuzione dell’aggregato è dovuto alla contrazione dei nuovi prestiti di importo superiore a 1 milione di euro (-11,1%). Le imprese di maggiore dimensione hanno in parte sostituito il finanziamento bancario con l’emissione di titoli sul mercato: negli ultimi dodici mesi2 le emissioni nette di obbligazioni a lungo termine da parte di società non finanziarie italiane sono aumentate di €8,8 miliardi (a €12,6 miliardi), un importo pari a un quarto della diminuzione dei nuovi finanziamenti di importo superiore a 1 milione di euro. La più intensa attività del mercato dei corporate bonds è un fenomeno non solo italiano: nei dodici mesi terminanti a marzo 2013, le emissioni nette nell’eurozona sono ammontate a €97 miliardi, €54 miliardi in più rispetto al corrispondente periodo precedente. Nuovi prestiti erogati alle imprese non finanziarie (flusso mensile in mld di euro) 7 8 8 8 14 15 14 14 29 27 25 22 - 5 10 15 20 25 30 35 2010 2011 2012 gen-apr 2013 Fino a €250mila Fino a €1 milione Oltre €1 milione Fonte: elaborazione Servizio Studi Bnl su dati Banca d’Italia Riepilogando, l’erogazione del credito alle imprese minori ha registrato una contrazione complessivamente limitata. La diminuzione dei nuovi prestiti alle imprese maggiori è invece rilevante ma da un lato è in parte compensata da maggiori risorse raccolte sul mercato tramite titoli di debito, dall’altro lato le incertezze sulle prospettive di domanda possono avere indotto a rinviare i piani di investimento. Sulla dinamica prospettica dei finanziamenti bancari alle imprese pesa l’intenso processo di deterioramento della loro qualità: alla fine del 2012 (ultima data disponibile) i prestiti irregolari ammontavano a €150 miliardi (di cui €82 miliardi sofferenze). L’aggregato aumenterebbe di ulteriori €15 miliardi circa se si considerassero anche le esposizioni ristrutturate, prestiti tornati performing ma a prezzo di costose revisioni delle condizioni contrattuali. Si può anche aggiungere che nel primo trimestre del 2013 il tasso di decadimento (rapporto tra flusso annualizzato di nuove sofferenze rettificate e prestiti vivi all’inizio del periodo) ha raggiunto il 4,5%, il livello più elevato degli ultimi anni. Nel 2012 le rettifiche su crediti (in larga parte relativi alle imprese) hanno assorbito l’87% del risultato di gestione prodotto dalle banche italiane (il 91% nel caso dei gruppi maggiori). 2 Marzo 2013 ultimo dato disponibile.
  • 7. 7 17 giugno 2013 Interventi per rafforzare il processo di finanziamento delle imprese Negli ultimi cinque anni il sistema produttivo italiano si è trovato ad affrontare per due volte le difficoltà di una recessione. Tra le imprese industriali e dei servizi (escluse quelle finanziarie) con almeno 20 addetti, la quota di quelle che hanno chiuso in utile il 2012 si è fermata al 55%, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al periodo precedente la crisi (la flessione è più marcata per le imprese con meno di 50 addetti, per quelle localizzate nel Mezzogiorno e per quelle non esportatrici)3 In questo difficile contesto la vulnerabilità finanziaria delle imprese è apparsa ancor più evidente del passato, a partire dal modesto livello di patrimonializzazione: alla fine del 2012, il peso della voce “azioni e partecipazioni” sul totale delle passività era pari al 41,3%, 8,3 punti percentuali al di sotto della media dell’area euro. Questa debolezza è resa più grave dal rilievo di alcune poste contabili a breve termine. La quota dei finanziamenti bancari con durata inferiore a un anno è pari al 38%, oltre 13 punti percentuali in più rispetto alla media dell’eurozona, con gli affidamenti in conto corrente che rappresentano il 28% dei prestiti contro il 12% degli altri paesi dell’area dell’euro. I crediti commerciali, pur in diminuzione (-€48 miliardi nel 2012), rappresentano ancora quasi il 40% di tutte le attività, una quota particolarmente elevata soprattutto in presenza dell’acuto fenomeno del ritardo dei pagamenti. . In una fase in cui più intenso è il confronto competitivo con le realtà imprenditoriali di altri paesi correggere questa condizione di strutturale fragilità finanziaria è decisamente importante. A questo fine negli ultimi anni sono stati introdotti provvedimenti tesi a contenere gli effetti negativi di questa situazione e/o a porre le premesse per un suo superamento. Una prima linea di intervento è quella delle garanzie pubbliche finalizzate a ridurre il rischio per la banca che eroga il finanziamento all’impresa. In questo ambito l’esperienza da considerare è quella del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese. Destinato alle PMI di ogni settore per qualunque operazione finanziaria nell’ambito dell’attività imprenditoriale, l’intervento del Fondo abbatte il rischio sull’importo garantito4 . Ciascuna impresa può beneficiare complessivamente di un importo massimo garantito pari a 2,5 milioni da utilizzare eventualmente attraverso più operazioni, sia a breve sia a medio-lungo termine5 La garanzia dello Stato sulla copertura prestata dal Fondo è conforme ai dettami di Basilea 2 (è cioè “a prima richiesta”, quindi esplicita, incondizionata e irrevocabile). Sulla quota di finanziamento garantita dal Fondo il rischio per le banche è pari a zero, circostanza che da un lato permette di abbattere il corrispondente assorbimento patrimoniale, dall’altro lato consente di ridurre il tasso d’interesse richiesto. . 3 Cfr. Banca d’Italia, relazione annuale, maggio 2013. 4 Il Fondo opera secondo le seguenti tipologie di intervento: a) garanzia diretta (concessa direttamente alle banche e agli intermediari finanziari che forniscono prestiti alle PMI); b) controgaranzia su operazioni di garanzia concesse da Confidi o altri fondi privati di garanzia; c) cogaranzia, concessa direttamente a favore dei soggetti finanziatori e congiuntamente a un altro fondo (privato) di garanzia. Attraverso la “cogaranzia” il Fondo garantisce direttamente il soggetto finanziatore come accade con la “garanzia diretta”, ma pro-quota. 5 Il decreto legge cd “del fare” approvato il 14 giugno scorso dal Consiglio dei Ministri contiene alcune modifiche al funzionamento del Fondo. In particolare, è previsto l’aggiornamento dei criteri di valutazione ai fini dell’acceso al Fondo; la semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle richieste (maggior ricorso a modalità telematiche); l’incremento della misura massima di copertura fino all’80% dell’importo dell’operazione. In precedenza, questo limite era raggiungibile solo dalle imprese ubicate nel Mezzogiorno e dalle imprese femminili (in entrambi i casi per le operazioni di durata non inferiore a 36 mesi e per le “altre operazioni finanziarie”) e dalle imprese colpite dagli eventi sismici del maggio 2012 (tutte le operazioni). L’intervento del Fondo continua ad essere limitato alle nuove erogazioni.
  • 8. 8 17 giugno 2013 L’attività del Fondo ha sulle finanze pubbliche un onere molto contenuto: è di carattere rotativo ed ha finora registrato un tasso di default pari a circa il 2% del totale delle operazioni. Costituito nel 2000, il Fondo ha incrementato sensibilmente la sua attività nel quadriennio 2009-12 intervenendo in oltre 190mila operazioni, concedendo garanzie per oltre €16 miliardi, rendendo possibili quasi €31 miliardi di finanziamenti. La dimensione media dei finanziamenti garantiti registra una costante discesa (dai €199mila del 2009 si è passati ai €133mila del 2012). La prospettiva cui si sta lavorando prevede il passaggio dal finanziamento di singole operazioni al finanziamento di interi portafogli. Attività del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI richieste accolte garanzie concesse finanziamenti garantito dimensione media operazione n° € mln € mln €000 2009 24.598 2.742 4.890 198,8 2010 50.078 5.209 9.090 181,5 2011 55.209 4.435 8.378 151,8 2012 61.408 4.035 8.192 133,4 2009-12 191.293 16.421 30.550 159,7 Fonte: Ministero Sviluppo Economico Una seconda linea di intervento per ridurre la fragilità finanziaria delle imprese è quella di accrescere la diversificazione del passivo con un più ampio finanziamento attraverso titoli di debito. L’emissione di corporate bonds è nel nostro Paese un’opzione effettivamente disponibile solo per un numero ristretto di grandi imprese; anche tra le imprese medio-grandi6 il ricorso alle obbligazioni è molto limitato (appena sopra il 5% dei debiti finanziari). Nella media delle imprese italiane sul totale dei debiti finanziari la quota delle obbligazioni non arriva al 7% e sono solo 29 i gruppi industriali italiani che hanno emesso titoli tra il 2007 e il 2012. Le emissioni hanno una dimensione prevalente di €150-200 milioni e l’80% circa dei titoli emessi finisce nel portafoglio di investitori esteri7 Per allargare la platea degli emittenti il decreto sviluppo 2012 ha modificato in modo significativo la disciplina di emissione dei titoli di debito (cambiali finanziarie e obbligazioni). Previo il rispetto di alcune condizioni, viene riconosciuto un trattamento fiscale equiparato a quello riservato ai titoli delle società quotate. Per beneficiare di tali incentivi si richiede che i titoli emessi circolino esclusivamente tra investitori qualificati, che l’ultimo bilancio dell’emittente sia stato oggetto di revisione contabile e che l’emissione da parte di imprese non grandi sia assistita da intermediari (cosiddetti sponsor) tenuti a segnalare periodicamente un rating dell’emittente. . Secondo il Ministero per lo Sviluppo Economico le società potenzialmente interessate sarebbero alcune centinaia e le nuove obbligazioni (mini bond) indotte dal provvedimento potrebbero superare i €10 miliardi nell’arco di due anni. Una valutazione del provvedimento è per ora difficile: divenuto effettivamente operativo dal dicembre 2012, ha finora determinato un flusso complessivo di emissioni di poco inferiore a €2 miliardi, con una sola emissione però realmente mini (€3 milioni, scadenza 3 anni). L’iniziativa ha raccolto consensi ma per registrare un decollo di 6 Cfr. Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane (2000-2009) 7 Cfr. Standard & Poor's Ratings Services, Italian Companies Are Turning To The Capital Markets Amid Weak Credit Conditions, giugno 2013.
  • 9. 9 17 giugno 2013 questo mercato bisognerà aspettare che acquisti liquidità (nelle condizioni attuali il titolo è tendenzialmente destinato a essere mantenuto fino a scadenza), stimoli la nascita di un adeguato numero di operatori specializzati, venga alimentato da una domanda stabile. La terza direttrice di intervento è quella che guarda alla base patrimoniale delle imprese. Il mercato azionario italiano ha una dimensione modesta: alla fine del 2012 erano appena 255 le società italiane quotate (8 in meno rispetto al 2011), ben lontano dalle 1009 società del Regno Unito, le 528 della Francia, le 757 della Germania. Altrettanto ampia la differenza se si considera la negoziazione dei titoli di piccole-medie imprese: l’Aim (Alternative Investment Market) del London Stock Exchange contava alla fine dello scorso anno 870 società domestiche rispetto alle 27 del nostro Aim - Mac (Aim Italia - Mercato alternativo del capitale). Le operazioni di rafforzamento del capitale sono focalizzate sulle imprese con elevato potenziale sul terreno dell’innovazione, dell’internazionalizzazione, etc. In questo ambito si può collocare l’attività del Fondo Italiano Investimenti promosso da Cassa Depositi e Prestiti, Ministero Economia e Finanze, Confindustria, ABI e i maggiori gruppi bancari italiani. Il Fondo, attivo dal novembre 2010, ha una dotazione di €1,2 miliardi e rivolge il suo interesse verso le imprese con fatturato compreso tra 10 e 250 milioni di euro; opera come un fondo chiuso con investimenti diretti (assunzione di partecipazioni, prevalentemente di minoranza) o come fondo di fondi (investimento in fondi di venture capital con analoghe politiche di selezione). Alla fine del 2012 il Fondo Italiano Investimenti aveva perfezionato investimenti diretti per un ammontare di €316 milioni mentre il totale degli investimenti indiretti ammontava a €350 milioni. Le imprese coinvolte nell’attività del Fondo sono 55 (di cui 35 tramite investimenti diretti) con un fatturato medio intorno ai €55 milioni, la dimensione di una impresa medio-grande. Nella realtà del private equity italiano il Fondo Italiano Investimenti ha un ruolo decisamente importante: nel 2012 ha determinato il 18% degli investimenti totali, quasi il 60% se si considerano solo quelli di tipo expansion rivolti a imprese con fatturato tra 10 e 250 milioni di euro. In questa linea di intervento possono essere inseriti anche il Fondo Unico per le operazioni di Venture Capital e il Fondo Nazionale per l'Innovazione, costituiti entrambi per iniziativa del Ministero per lo Sviluppo Economico. Il primo, costituito nel 2007 con una dotazione iniziale di €228 milioni, è un fondo di tipo rotativo (l’investimento può durare un massimo di 8 anni) ed opera attraverso la SIMEST. La sua finalità è quella incentivare gli investimenti in mercati ritenuti strategicamente importanti per l’internazionalizzazione. Il Fondo Nazionale per l'Innovazione, invece, intende sostenere le piccole e medie imprese nella valorizzazione di progetti innovativi basati sullo sfruttamento industriale di disegni e modelli. Per questa finalità ha a disposizione €75 milioni. Per ottenere il finanziamento (fino a un massimo di €3 milioni ed una durata fino a 10 anni) non viene richiesta all’impresa nessuna garanzia personale o reale. Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL- Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.